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I O N E IT A L AN D RI TOA I A Z rivista di diritto alimentare · Gianluca Brunori, Adanella Rossi,...

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Editoriale L’orchestrina del Titanic In un periodo di profonda crisi nello sviluppo della Comunità euro- pea, cui certo non porrà rimedio, anche se ratificato da tutti gli Stati membri, il Trattato di Lisbona, le Istituzioni comunitarie pre- feriscono, anziché affrontare i problemi gravissimi provocati dalla tempesta finanziaria che ha colpito il mondo sviluppato facendo progredire la cooperazione europea in questo settore vitale, che non potrà non avere riflessi sul mondo del lavoro e della produzio- ne, dedicarsi al regolamento sull’informazione dei consumatori, argomento certo importante ma che ricorda sinistramente l’orche- strina del Titanic che suonava mentre la nave affondava. Inoltre, le regole proposte sembrano velleitarie per molti aspetti. Le informazioni al consumatore, come emerge dal testo del pro- getto di regolamento, non risultano capaci di raggiungere piena- mente il loro scopo, per la difficoltà di trasmettere ad un acquiren- te non professionale notizie esaustive; senza considerare che, spesso, il compratore non è neppure attento a quanto scritto sulle confezioni. Inoltre, se lo fosse, forse non capirebbe il significato di molte informazioni rese necessariamente con linguaggio tecnico ed in forma, per molti versi, semplificata. Tutto questo ricorda anche la pretesa comunitaria di portare sul mercato mondiale gli agricoltori europei, che da quasi mezzo secolo (per non pensare alle regole che in precedenza erano applicate da molti degli Stati membri della Comunità) hanno vis- suto protetti da prezzi “politici” e da barriere doganali mobili. I risul- tati sono stati tutt’altro che positivi, come dimostrano le due ultime annate agrarie. In questo caso l’asimmetria informativa fra grandi traders e picco- li agricoltori o cooperative gestite spesso in modo quanto meno discutibile, ha messo i produttori alla mercé di un mercato che non conoscevano nei suoi funzionamenti. Similmente, mutatis mutan- dis, può dirsi della posizione del compratore – consumatore di ali- menti rispetto al distributore, sia esso grande o piccolo, e del pro- duttore. In entrambi gli esempi fatti sembra non si possa che auspicare un intervento per moderare l’asimmetria suddetta. Nel caso degli agricoltori, fornendo loro un servizio di informazioni sull’andamen- to di semine, produzioni e raccolti, nel secondo sviluppando una I T A L I A N F O O D L A W A S S O C I A T I O N A S S O C I A Z I O N E I T A LIA N A D IR IT T O A L I M E N T A R E rivista di diritto alimentare www .rivistadirittoalimentar e.it Anno II, numero 4 Ottobre-Dicembre 2008 Sommario Editoriale Luigi Costato L’orchestrina del Titanic 1 Due anni della Rivista di diritto alimentare 2 Luigi Costato L’informazione dei consumatori postrema frontiera della C.E. 3 Sandro Amorosino Le acque più “pregiate”: i regimi amministrativi delle acque minerali e termali 7 Keith C. Miller Obesity litigation: curbing America’s appetite through court action 12 Kensuke Ebihara L’impact de la réforme de l’OCM vitivinicole dans les échanges avec les pays-tiers: l’exemple japonais 17 Antonio Neri Etichettatura, presentazione, pubblicità dei prodotti alimentari nel decreto leg.vo 109/92 21 Walter Sbandi La disciplina doganale dei prodotti alimentari 27 Ricerche Gianluca Brunori, Adanella Rossi, Francesca Guidi Strategie per i mercati dei produttori 30 Simone Gabbi Profili giuridici dell’EFSA 33 Domenico Viti L’esperienza dei Farmers’ markets negli USA tra food security e food safety 43 Bruno Nobile Il principio di precauzione nella legislazione regionale 49 Commenti Gaetano Forte Il tappetino, l’uva e la Cassazione 55 Alice Artom Il regime fiscale della birra 57 Alimentare & Globale a cura di Paolo Borghi e Susanna Visser 62
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Editoriale

L’orchestrina del Titanic

In un periodo di profonda crisi nello sviluppo della Comunità euro-pea, cui certo non porrà rimedio, anche se ratificato da tutti gliStati membri, il Trattato di Lisbona, le Istituzioni comunitarie pre-feriscono, anziché affrontare i problemi gravissimi provocati dallatempesta finanziaria che ha colpito il mondo sviluppato facendoprogredire la cooperazione europea in questo settore vitale, chenon potrà non avere riflessi sul mondo del lavoro e della produzio-ne, dedicarsi al regolamento sull’informazione dei consumatori,argomento certo importante ma che ricorda sinistramente l’orche-strina del Titanic che suonava mentre la nave affondava.Inoltre, le regole proposte sembrano velleitarie per molti aspetti.Le informazioni al consumatore, come emerge dal testo del pro-getto di regolamento, non risultano capaci di raggiungere piena-mente il loro scopo, per la difficoltà di trasmettere ad un acquiren-te non professionale notizie esaustive; senza considerare che,spesso, il compratore non è neppure attento a quanto scritto sulleconfezioni. Inoltre, se lo fosse, forse non capirebbe il significato dimolte informazioni rese necessariamente con linguaggio tecnicoed in forma, per molti versi, semplificata.Tutto questo ricorda anche la pretesa comunitaria di portare sulmercato mondiale gli agricoltori europei, che da quasi mezzosecolo (per non pensare alle regole che in precedenza eranoapplicate da molti degli Stati membri della Comunità) hanno vis-suto protetti da prezzi “politici” e da barriere doganali mobili. I risul-tati sono stati tutt’altro che positivi, come dimostrano le due ultimeannate agrarie.In questo caso l’asimmetria informativa fra grandi traders e picco-li agricoltori o cooperative gestite spesso in modo quanto menodiscutibile, ha messo i produttori alla mercé di un mercato che nonconoscevano nei suoi funzionamenti. Similmente, mutatis mutan-dis, può dirsi della posizione del compratore – consumatore di ali-menti rispetto al distributore, sia esso grande o piccolo, e del pro-duttore.In entrambi gli esempi fatti sembra non si possa che auspicare unintervento per moderare l’asimmetria suddetta. Nel caso degliagricoltori, fornendo loro un servizio di informazioni sull’andamen-to di semine, produzioni e raccolti, nel secondo sviluppando una

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Anno II, numero 4 • Ottobre-Dicembre 2008

SommarioEditoriale

Luigi CostatoL’orchestrina del Titanic 1

Due anni della Rivistadi diritto alimentare 2Luigi Costato L’informazione dei consumatoripostrema frontiera della C.E. 3

Sandro AmorosinoLe acque più “pregiate”:i regimi amministrativi delleacque minerali e termali 7

Keith C. MillerObesity litigation:curbing America’s appetitethrough court action 12

Kensuke EbiharaL’impact de la réforme de l’OCMvitivinicole dans les échangesavec les pays-tiers: l’exemple japonais 17

Antonio NeriEtichettatura, presentazione, pubblicità dei prodotti alimentari nel decreto leg.vo 109/92 21

Walter SbandiLa disciplina doganale dei prodotti alimentari 27

RicercheGianluca Brunori, Adanella Rossi,Francesca GuidiStrategie per i mercati dei produttori 30

Simone GabbiProfili giuridici dell’EFSA 33

Domenico VitiL’esperienza dei Farmers’ markets negli USA tra food security e food safety 43

Bruno NobileIl principio di precauzione nella legislazione regionale 49

CommentiGaetano ForteIl tappetino, l’uva e la Cassazione 55

Alice ArtomIl regime fiscale della birra 57

Alimentare & Globalea cura di Paolo Borghie Susanna Visser 62

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rivistadi diritto alimentare

DirettoreLuigi Costato

Vice direttoriFerdinando Albisinni - Paolo Borghi

Comitato scientificoFrancesco Adornato - Sandro Amorosino

Alessandro Artom - Corrado BarberisLucio Francario - Alberto Germanò

Giovanni Galloni - Corrado GiacominiMarianna Giuffrida - Marco Goldoni

Antonio Jannarelli - Emanuele MarconiPietro Masi - Lorenza Paoloni

Michele Tamponi

Coordinatrice della RedazioneEleonora Sirsi

RedazioneFrancesco Aversano - Paola Cosentino

Giuliano Leuzzi - Nicoletta Rauseo

Segreteria di RedazioneMonica Minelli

EditoreA.I.D.A. - ASSOCIAZIONE

ITALIANA DI DIRITTO ALIMENTARE

RedazioneVia Ciro Menotti 4 – 00195 Romatel. 063210986 – fax 063217034

e-mail [email protected]

Sede legaleVia Ricchieri 21 – 45100 Rovigo

Periodico iscritto il 18/9/2007 al n.393/2007 del Registro della Stampa

presso il Tribunale di RomaISSN 1973-3593 [online]

dir. resp.: Ferdinando Albisinni

HANNO COLLABORATO A QUESTO FASCICOLO

SANDRO AMOROSINO, ordinario nell’Univ. Roma La SapienzaALICE ARTOM, studio legale Artom-Papini, MilanoPAOLO BORGHI, ordinario nell’Università di FerraraGIANLUCA BRUNORI, ordinario nell’Università di PisaLUIGI COSTATO, ordinario nell’Università di FerraraKENSUKE EBIHARA, Meiji Gakuin Univ., Faculty of Law, TokioGAETANO FORTE, avvocato in FerraraSIMONE GABBI, EFSA - ParmaFRANCESCA GUIDI, Università di PisaKEITH C. MILLER, Drake University, Iowa, U.S.A.ANTONIO NERI, Istituto Bromatologico Italiano, MilanoADANELLA ROSSI, Università di PisaBRUNO NOBILE, FederalimentareWALTER SBANDI, Uff. Applic.Tributi Direz. gen. Ag. DoganeSUSANNA VISSER, dottorando di ricerca Univ. di FerraraDOMENICO VITI, associato nell’Università di Foggia

Nel rispetto della pluralità di voci e di opi-nioni accolte nella Rivista, gli articoli ed icommenti pubblicati impegnano esclusi-vamente la responsabilità degli autori

forte campagna di informazione sul come leggere le etichette e lealtre notizie fornite sul prodotto alimentare per preparare il consu-matore a fruire positivamente dei dati fornitigli.In questo senso sembrerebbe, comunque, muoversi la propostadi regolamento, che prevede venga creato un sistema in materiad’informazione sui prodotti alimentari destinato a colmare il dettogap. È auspicabile che tale orientamento sia capace di produrreeffetti positivi, anche se i vecchi europeisti come me continuano asperare, sempre più debolmente, che l’Europa dei mercati evolvain una entità politica forte, della quale oggi, come in molte altreoccasioni, si sente – ed in che modo ! - la mancanza.

Luigi Costato

Due anni della Rivista

Questo fascicolo chiude il secondo anno di pubblicazione dellaRivista di diritto alimentare on line.Un primo sommario bilancio di questi primi due anni muove dal-l’iniziale scommessa di dar vita e continuità ad una nuova rivista,in un panorama già affollato di pubblicazioni di editoria giuridica,nella convinzione che il diritto alimentare individui un’area di espe-rienza giuridica caratterizzata da forti elementi di originalità edinteresse, che si va connotando in prospettiva sistematica ed uni-taria attorno ad alcuni principi ordinatori.I fascicoli sin qui pubblicati hanno alcuni caratteri comuni:– la scelta di individuare per ciascun numero un tema centrale, cui

è dedicata una pluralità di interventi, accompagnati da contribu-ti su temi di interesse;

– la ricerca di una dimensione non confinata, quanto all’oggetto,all’ambito ed agli strumenti di indagine, con la pubblicazione dilavori di studiosi di altre aree disciplinari e di giuristi di paesidiversi dal nostro, anche in lingua originale, e così in inglese,francese e spagnolo, per sollecitare, anche grazie alla diffusio-ne via web, riflessioni e confronti su scala più ampia;

– il tentativo di riflettere a più voci, di diversa formazione e collo-cazione, sui temi del diritto alimentare dell’oggi, dal progetto (sinqui irrealizzato) di elaborazione ed adozione di un Codice ali-mentare, alle riforme comunitarie (da quelle dell’OCM vino a

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Anno II, numero 4 • Ottobre-Dicembre 20083

L’informazione dei consumatoripostrema frontiera della C.E.*

Luigi Costato

1.- Premessa

Nel settore farmaceutico da tempo è imposta una scrupolo-sa informazione dei consumatori, ovviamente indirizzata adaspetti peculiari del farmaco, contenuta in un foglietto nutri-to di indicazioni, controindicazioni, metodi di impiego, ecc.,che viene usualmente chiamata “bugiardino”. Rispettoall’epoca in cui il foglietto ha acquisito il nomignolo. oggi leinformazioni che contiene sono molto più attendibili, macomunque “spaventevoli” al punto che, se un possibileutente lo legge, esso è portato ad evitare di utilizzare il far-maco.L’etichettatura dei prodotti alimentari non ha ancora acqui-

sito questi caratteri, ed anzi è regolamentata in normativesparse, talvolta confuse e poco chiare, sicché appareopportuno arrivare ad una unificazione di esse in un unicotesto, per il quale si è scelto la forma del regolamento, delcui progetto oggi qui si discute, che sostituisce una seriemolto lunga di direttive. Tale unificazione, secondo quantoprevisto dal considerando n. 4 della proposta di regolamen-to, deve tenere conto di una normativa orizzontale costitui-ta dalla direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e delConsiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche com-merciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato inter-no, la quale comprende taluni aspetti della fornitura d’infor-mazioni ai consumatori. I principi generali sulle pratichecommerciali sleali devono, però, nel caso degli alimenti,essere integrati da norme specifiche che impongano la for-nitura di informazioni alimentari ai consumatori.Un primo, ma non nuovo, quesito si propone al giurista difronte al contenuto di questa proposta, come di altri attiregolamentari adottati sulla base dell’art. 95 TCE, che ha lafinalità di ravvicinare la legislazione degli Stati membri per

quelle in tema di etichettatura e comunicazione), alle linee emergenti in tema di OGM, alleregole del mercato agroalimentare (già adottate od in corso di adozione) alle nuove forme dicommercializzazione (dai farmers’ markets al web).

Riteniamo che queste scelte possano essere confermate, e su questa medesima linea verrannoquindi costruiti i prossimi fascicoli.In questo numero, il tema della disciplina dell’informazione del consumatore di prodotti alimenta-ri è oggetto di indagine secondo diverse declinazioni: dal progetto di regolamento predispostodalla Commissione, all’emergere di nuovi orientamenti giurisprudenziali sulla responsabilità diproduttori e commercianti in ragione dell’intreccio fra disciplina comunitaria e norme nazionalisanzionatorie, all’adozione del principio di precauzione nella legislazione regionale.Completano il fascicolo la nuova rubrica, Alimentare & Globale, curata da Paolo Borghi eSusanna Visser, sul WTO e il commercio internazionale, e numerosi articoli e commenti, che tor-nano sui temi già discussi nel corso dell’anno (dall’OCM vino ai farmers markets) o che introdu-cono nuove aree di indagine (sul regime amministrativo delle acque, sull’EFSA, sul regime doga-nale dei prodotti alimentari, su specifici prodotti quale la birra, sulla giurisprudenza relativa alregime sanzionatorio in riferimento ad alcuni peculiari imballaggi).

la redazione

(*) Relazione presentata al Congresso internazionale “The legal frame of food information”, organizzato dall’EFLA – European FoodLaw Association, Bologna, 18-19 settembre 2008

facilitare la creazione del mercato unico.Esaminando il contenuto di questa proposta, come di altriregolamenti sulla sicurezza alimentare quali il 178/2002 equelli costituenti il pacchetto igiene del 2004 si può osser-vare che non si tratta, sostanzialmente, di atti di ravvicina-mento ma di unificazione delle legislazioni o, meglio, disostituzione – risalendo nel tempo alle prime normative CEsul punto - delle legislazioni nazionali con quella comunita-ria. È pur vero che in più di un caso si lascia qualche spa-zio alla scelta dei Membri, ma l’intelaiatura degli atti consi-derati resta unificante, sicché si proporrebbe addirittura ilproblema della legittimità di questi atti.Tuttavia le esigenze pratiche determinate, in particolare,dall’adesione dei nuovi Stati membri, ha consigliato leIstituzioni comunitarie ad aumentare l’interventismo e adadottare la forma regolamentare, di immediata attuazione etale da non richiedere interventi normativi degli Stati mem-bri. In effetti la Relazione premessa alla proposta di regola-mento afferma che “qualunque altro strumento non sarebbeadeguato (…)”.Nella Relazione si fa richiamo anche alla sussidiarietà e allaproporzionalità, ma si mette in evidenza che l’etichettaturadei preimballati suscettibili di scambi intracomunitari richie-de “un’armonizzazione” che, in realtà, è una unificazionedelle regole. Per gli altri prodotti gli Stati membri possono,a determinate e stringenti condizioni, legiferare autonoma-mente, ma si tratta di aspetti residuali.

2.- L’equilibrio fa gli interessi dei consumatori e quelli deitrasformatori e la difficoltà di comprensione delle etichette

Fra le affermazioni contenute nella Relazione che accom-pagna la proposta si può notare la posizione sostanzial-mente equidistante della Commissione fra consumatori eproduttori: infatti si afferma, tra l’altro, che “gli Stati mem-bri auspicano che sia trovato un equilibrio tra le esigenzedei consumatori e quelle dell’industria, tenuto conto even-tualmente delle considerazioni specifiche a ciascun Paese”.Nella stessa Relazione la Commissione nota che

“- i consumatori incontrano difficoltà nel leggere e com-prendere le etichette;

- per alcuni prodotti alimentari mancano informazionisugli allergeni;

- l’etichettatura di origine è un settore problematico;- vi è un limbo giuridico in materia di elencazione degli

ingredienti delle bevande alcoliche”.Oltre al desiderio di codificare e di rendere più stringenti gliobblighi di etichettatura, la Commissione ha voluto affronta-re la riscrittura delle norme sulle etichette per le ragioni suesposte.Certamente le ragioni dei consumatori, in applicazione dellenorme del trattato sulla salute pubblica, dovrebbero avere untrattamento privilegiato, ma la posizione della Commissioneappare voler porsi in equilibrio fra i due interessi, anche se ilprimo, quello dei consumatori, è un vero e proprio diritto, per

essere legato a quello della salute, mentre il secondo è pale-semente solo e veramente un interesse.È pur vero, d’altra parte, che la Commissione appare sen-sibile al problema dei costi dei produttori, che potrebberoriflettersi su quelli al consumo, ma l’equilibrio ricercato devetenere conto dell’opportunità di dare informazioni chiare ecerte, soprattutto igienico sanitarie, ai consumatori, anchese non si può pretermettere il fatto che tale missione appa-re, allo stato attuale, quasi impossibile. Infatti quello di infor-mare i consumatori è problema che trova ostacolo nella dif-ficoltà degli stessi nel leggere e comprendere le etichette.Con evidenza, far divenire più ampie e complete le etichet-te ed informazioni rischia di renderle ancora meno com-prensibili di quanto non lo siano oggi; in effetti la pretesacontenuta nel regolamento di fornire ai consumatori “finalile basi a partire dalle quali essi possono adottare scelteinformate e utilizzare i prodotti alimentari in modo sicuro,nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, econo-miche, ecologiche, sociali ed etiche” appare di difficile rea-lizzazione. L’elenco dei contenuti da indicare in etichetta è dettato dal-l’art. 9 del progetto di regolamento, e non presenta partico-lari novità, se non quella di essere più puntuale in materiadi presenza di allergeni. La chiarezza richiesta in etichetta,tuttavia, anche per ragioni comprensibili di semplicità, e dispazio, ed anche perché molti nomi tecnici non direbberonulla al consumatore, si appanna, come avviene anchesecondo la legislazione vigente, grazie alla sostituzione deinomi tecnici dei coloranti, ad esempio con numeri e sigle.Ciò fa sì che il consumatore non possa essere informatoappieno, proprio a proposito di coloranti e simili, prodottiche, più di altri, potrebbero essere fonti di preoccupazionisanitarie.Queste difficoltà stanno a dimostrare quanto sia difficileconiugare informazione esauriente e comprensibilità delleetichette.

3.- L’origine dei prodotti

Fra le indicazioni da apporre in etichetta, la lett. i) dell’art. 9della proposta indica in particolare “il paese d’origine o illuogo di provenienza nel caso in cui l’omissione di questaindicazione sarebbe suscettibile di indurre in errore materia-le il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo diprovenienza reali del prodotto alimentare, in particolare se leinformazioni che accompagnano il prodotto alimentare o con-tenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero far pensareche l’alimento ha un differente paese d’origine o luogo di pro-venienza; in tali casi l’indicazione deve essere conforme aquanto stabilito dall’articolo 35, paragrafi 3, 4 e 5”.A proposito di queste indicazioni occorre considerare da unlato il Capo V della proposta di regolamento che tratta delle“informazioni volontarie sui prodotti alimentari” ed in partico-lare il par. 3 dell’art. 35, ove si prevede che il paese di ori-gine di uno degli ingredienti primari del prodotto alimentare

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debba essere indicato quando il primo sia diverso dalsecondo, dall’altro il Capo VI, rubricato “disposizioni nazio-nali” ove si stabilisce che gli Stati possano chiedere diapporre indicazioni obbligatorie complementari aggiuntive aquelle di cui agli artt. 9 e 10 per certi prodotti al limitato finedi proteggere la salute pubblica, ovvero di proteggere i con-sumatori, di prevenire le frodi e di proteggere la proprietàindustriale, le indicazioni di provenienza, le DOP et similia edi reprimere la concorrenza sleale.Tuttavia queste indicazioni possono essere apposte solodopo lo svolgimento di una procedura volta ad ottenere l’au-torizzazione da parte della Commissione.In ogni caso si considera origine di un prodotto quella delpaese nel quale si sia concluso il processo produttivo,secondo l’insegnamento della Corte di giustizia. Dice infattila Relazione di accompagnamento: “Per quanto riguardal’indicazione sull’etichetta del paese d’origine o del luogo diprovenienza di un prodotto alimentare, il requisito fonda-mentale posto dalla normativa rimane lo stesso. Tale indica-zione rimane pertanto facoltativa; tuttavia, se l’omissione ditale informazione potrebbe indurre in errore il consumatore,l’indicazione diviene obbligatoria. In ogni caso, l’indicazionedel paese d’origine o del luogo di provenienza di un prodot-to alimentare in quanto strumento di commercializzazione,sia essa facoltativa od obbligatoria, non deve ingannare ilconsumatore e deve essere basata su criteri armonizzati. Ilpaese d’origine deve essere determinato conformementealle disposizioni relative all’origine non preferenziale delCodice Doganale Comunitario. Per luogo di provenienza siintenderà qualunque luogo diverso dal paese d’origine spe-cificato dal Codice Doganale Comunitario. Per quantoriguarda l’indicazione sull’etichetta del paese d’origine o delluogo di provenienza di un prodotto alimentare, il requisitofondamentale posto dalla normativa rimane lo stesso. Taleindicazione rimane pertanto facoltativa; tuttavia, se l’omis-sione di tale informazione potrebbe indurre in errore il con-sumatore, l’indicazione diviene obbligatoria. In ogni caso,l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienzadi un prodotto alimentare in quanto strumento di commer-cializzazione, sia essa facoltativa od obbligatoria, non deveingannare il consumatore e deve essere basata su criteriarmonizzati. Il paese d’origine deve essere determinatoconformemente alle disposizioni relative all’origine non pre-ferenziale del Codice Doganale Comunitario. Per luogo diprovenienza si intenderà qualunque luogo diverso dalpaese d’origine specificato dal Codice DoganaleComunitario”.Afferma, poi, il 31° considerando. “Le regole della Comunitàeuropea sull’origine non preferenziale sono stabilite nelregolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre1992 che istituisce un codice doganale comunitario e le suedisposizioni di applicazione nel regolamento (CEE) n.2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissatalune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n.2913/92 che istituisce il Codice doganale comunitario. Ladeterminazione del paese d’origine degli alimenti si baserà

su queste regole, ben note agli operatori commerciali e alleamministrazioni, che dovrebbero agevolare l’applicazionedella normativa”. La lett. g) dell’art. 1 del progetto di regolamento stabilisceche è “luogo di provenienza” “qualunque luogo da cui siindica che il prodotto alimentare proviene, ma che non è il“paese d’origine” così come definito conformemente agliarticoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) del Consiglio n.2913/92”.Appare, pertanto, complesso e difficile da realizzare il dirit-to attribuito agli Stati, e condizionato dall’assenso dellaCommissione, di specificare un luogo di origine di materieprime agricole di provenienza diversa da quella del prodot-to finito, a meno che questa non possa essere consideratauna informazione essenziale per il consumatore secondo lecondizioni espresse dall’art. 38, par. 1, della proposta diregolamento.Sembra che in quest’ultima abbiano prevalso le richieste dicoloro che si oppongono con molta rigidità all’accettazionedi indicazioni di origine diverse da quelle del luogo di fabbri-cazione finale del prodotto, e che considerano sufficientel’aver previsto, in altri regolamenti, le DOP, le IGP e le SGTcome soluzione che soddisfi queste istanze.

4.- Il governo dell’alimentare

Come si è potuto constatare, a conferma di quanto stabilitonel reg. 182 e nel “pacchetto igiene”, il governo del settorealimentare è ripartito fra Stati membri e Comunità in funzio-ne di specifiche sottomaterie, se così è consentito definirle.Agli Stati è riconosciuto il diritto di stabilire la composizionedei prodotti, fermo restando il diritto della Comunità di auto-rizzare o vietare l’uso di additivi ed aromi, fatte salve leeccezioni previste dai parr. 4 e 5 dell’art. 95, da ritenersi, afronte di ravvicinamenti–unificazioni sempre più frequenti,di scarsa praticabilità, di proporre alla stessa Comunità ilriconoscimento di DOP, IGP e SGT, e di utilizzo della possi-bilità di fornire informazioni volontarie, ex art. 35 della pro-posta, su certi prodotti “nei casi in cui il paese di origine oil luogo di provenienza di un prodotto alimentare è indicatovolontariamente per informare i consumatori che un alimen-to ha origine o proviene dalla Comunità europea o da undeterminato paese o luogo”, ma anche in questo casoseguendo una procedura autorizzativa che vede coinvolta,con poteri decisionali, la CommissioneSi può parlare, dunque, di una certa “marginalità” dei pote-ri statali – che nel caso italiano diventano particolarmentecomplessi da esercitare trattandosi di materia ripartita fraStato e Regioni – a fronte di un forte potere comunitarioche, fondato essenzialmente sull’art. 153 del trattato, si rea-lizza con interventi mirati a garantire la circolazione dei pro-dotti nella CE.Proprio questa particolarità consente di lasciare, anche quiresidualmente, poteri allo Stato quando si tratti di prodottinon preimballati o non destinati alla circolazione intracomu-

nitaria o aventi la destinazione al consumo in collettivitàcome mense, collegi ecc.Così recita sul punto l’art. 41 della proposta di regolamento:

«1. Nel caso in cui i prodotti alimentari sono offerti allavendita al consumatore finale o alle collettività senza preim-ballaggio, o nei casi in cui i prodotti alimentari siano imbal-lati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore opreimballati per la vendita diretta, gli Stati membri possonostabilire le modalità secondo le quali devono esseremostrate le indicazioni specificate agli articoli 9 e 10.

2. Gli Stati membri possono non rendere obbligatoriealcune delle indicazioni di cui al paragrafo 1, diverse daquelle di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), a condizio-ne che il consumatore o la collettività continuino a ricevereinformazioni sufficienti.

3. Gli Stati membri comunicano immediatamente allaCommissione il testo delle misure di cui ai paragrafi 1 e 2».D’altra parte, restando in un settore contermine, non si puònon segnalare che, quanto all’HACCP, l’art. 13 del reg.852/2004 ammette che uno Stato membro chieda la possi-bilità di ammettere alla commercializzazione un prodottonon ottenuto rispettando le regole microbiologiche propriedell’HACCP; anche in questa fattispecie, comunque, occor-re l’approvazione della Commissione, sentiti per sopramer-cato gli Stati membri.In generale, comunque, la Commissione è supportatadall’Autorità (EFSA) istituita dal reg. 178, come risultaanche dall’art. 5 della proposta in commento:

«Qualunque misura adottata nell’ambito della legislazio-ne concernente l’informazione sui prodotti alimentari esuscettibile di avere un impatto sulla salute pubblica è adot-tata previa consultazione dell’Autorità europea per la sicu-rezza alimentare».Dunque, il potere decisionale in materia di cibi, soprattuttosotto il profilo igienico sanitario, è stato acquisito dallaComunità, che ha progressivamente legiferato prima inmodo episodico con direttive, in prevalenza, e che nel XXIsecolo è passata ad una normativa più sistematica conte-nuta in regolamenti del Parlamento europeo e delConsiglio, i quali contengono il cuore della loro parte prati-co - normativa nei differenti allegati, generalmente modifica-bili ad opera della Commissione.Nel caso di questa proposta di regolamento, infatti, l’art. 48prevede: “Fatte salve le disposizioni relative alle modifichedegli allegati II e III di cui all’articolo 10, paragrafo 2 e all’ar-ticolo 22, paragrafo 2, la Commissione può modificare gliallegati. Le misure volte a modificare elementi non essen-ziali del presente regolamento completandolo sono adotta-te in conformità con la procedura di regolamentazione concontrollo di cui all’articolo 49, paragrafo 3”, che, al contrariodi quanto spesso accade, è una procedura di regolamenta-zione, cioè più stringente per la Commissione. L’eccezioneprevista dall’art. 10, par. 2, ammette questa procedura pervariazioni degli allegati non significativi, mentre quella di cuiall’art. 22, par. 2, concede maggiore libertà allaCommissione stessa.

Pertanto mentre gli Stati membri vengono in larga misuramarginalizzati, per le ragioni sopra esposte, il governo igie-nico sanitario degli alimenti è stato acquisito dalla Comunità,che lo esercita tramite sia la procedura di cui all’art. 251 checonferendo deleghe alla Commissione, progressivamentemeno ampie e libere, e grazie all’assistenza di Comitati maanche, e soprattutto, dell’Autorità istituita dal reg. 178.Resta da considerare come verranno attuati, in concreto, gliartt. 2 – 6 del Trattato sul funzionamento dell’Unione euro-pea contenuto nel trattato di Lisbona – se entrerà in vigore- che delimitano bruscamente le competenze dell’Unione,indicando come concorrenti, e pertanto assoggettate allecorrispondenti norme di comportamento, materie comel’agricoltura e la protezione dei consumatori, fra i quali quel-li di alimenti sono ora strettamente controllati, sotto il profi-lo igienico sanitario, dalla Comunità, così come la stessaCorte di giustizia non ha mai dubitato della piena competen-za della C.E. in materia agricola.

5.- Conclusioni

Questa forse un po’ troppo lunga disanima di una parte delcontenuto del progetto di regolamento relativo alla fornituradi informazioni alimentari ai consumatori consente di trarrealcune considerazioni conclusive:

- l’apice della governance in materia di sicurezza alimen-tare e di informazione dei consumatori è costituita dalleIstituzioni comunitarie. Tuttavia le informazioni al consuma-tore, come emerge dal testo del progetto di regolamento,non possono, per la difficoltà di comunicare con un acqui-rente non professionale, essere pienamente efficaci,soprattutto se si pretende di fornirle in modo esaustivo. Siricade, in sostanza, nei rischi che si corre con il “bugiardi-no”, per altro destinato sostanzialmente più ai medici che aimalati, al contrario delle informazioni qui trattate, volte aisoli consumatori;

- ne consegue che apparirebbe necessaria soprattuttouna forte campagna di informazione sul come leggere le eti-chette e le altre informazioni apposte sul prodotto alimenta-re per preparare il consumatore a fruire positivamente dellenotizie fornitegli;

- nel capitolo VII della proposta di regolamento vienecreato un sistema di governance in materia d’informazionesui prodotti alimentari per gli ordinamenti nazionali, al fine diincoraggiare un processo di scambio di informazioni interat-tivo e costante a livello nazionale, in grado di consentire lamessa a punto di sistemi nazionali non vincolanti basatisulle buone prassi. Su questa linea, si afferma che laCommissione incoraggerà e organizzerà lo scambio diinformazioni tra gli Stati membri e tra questi ultimi e laCommissione sulle attività connesse allo sviluppo dei siste-mi nazionali;

- il complesso di norme alimentari adottato dallaComunità costituisce veramente un sistema dotato di prin-cipi propri, talvolta comuni ad altre branche del diritto della

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C.E. ma che assumono coloritura speciale quando inter-vengono sul mondo dell’alimentare. Infatti la direttiva2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali traimprese e consumatori nel mercato interno, comprendetaluni aspetti della fornitura d’informazioni ai consumatori al

fine specifico di prevenire azioni in grado di indurre in erro-re i compratori ed omissioni di informazioni. I principi gene-rali sulle pratiche commerciali sleali vengono, dunque, inte-grati da norme specifiche relative alla fornitura di informa-zioni alimentari ai consumatori, che sono quelle compresenel progetto di regolamento in questione.

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Le acque più “pregiate”:i regimi amministrativi delleacque minerali e termali *

Sandro Amorosino

1.- Il regime giuridico peculiare delle acque minerali e termali

Le acque “ordinarie” – potabili, irrigue o destinate ad usiindustriali – sono, al contempo: un bene vitale al quale deveessere garantito l’accesso delle collettività1; di qui in moltiordinamenti la qualificazione come beni pubblici: una risor-sa e componente ambientale da gestire oculatamente eduna merce che viene distribuita mediante diverse reti, checostituiscono l’elemento base di servizi universali, peraltrodi grande rilevanza economica2.Le acque minerali e termali sono “speciali” (perché hannostruttura chimico fisica peculiare) e “pregiate” (perché costi-tuiscono una merce destinata al consumo o all’uso – le ter-mali – di massa, ma non universale). Non formano oggetto di servizio pubblico – almeno nelsenso più attuale e restrittivo della locuzione3 – non vengo-

no immesse in reti, ma sono oggetto di imbottigliamento edistribuzione commerciale (le minerali) o di fruizione inappositi stabilimenti termali, che sono le aziende di impreseoperanti nel settore della fitness.La netta distinzione ha trovato riscontro anche in sede diregolamento di giurisdizione in quanto le Sezioni Unite dellaCassazione, con sentenza n. 176 del 23 aprile 2001, hannostabilito il principio che le acque minerali non rientrano nelladisciplina delle acque pubbliche e che pertanto le contro-versie ad esse relative rientrano nella giurisdizione dei giu-dici amministrativi e non in quella dei Tribunali delle AcquePubbliche4.Inoltre le acque minerali e termali come beni pubblici nonsono disciplinate dalle leggi generali sulle acque ma costi-tuiscono species del genus “beni minerari”.E – nell’ottica del diritto dell’economia – le diverse discipli-ne normative che se ne occupano sono riconducibili alletematiche dei controlli, anche conformativi, sulle impreseprivate5, in ragione dell’inerenza ad esse di interessi pubbli-ci, che sono molteplici: ambientali (relativi ai procedimenti dicoltivazione delle sorgenti minerali e termali) e igienico-sanitari (relativi alla preparazione degli alimenti – per leminerali; e agli stabilimenti – per le termali).Si hanno – così – una molteplicità di procedimenti ammini-strativi:a) autorizzazioni o permessi di ricerca;b) concessioni (regionali) per la coltivazione dei giacimenti,

le quali presuppongono o, per così dire, “internalizzano” –

(*) Relazione di settore al XVII Congresso italo spagnolo dei professori di diritto amministrativo – Saragozza 23-25 ottobre 2008 - dedi-cato ai regimi giuridici delle acque.L’autore ringrazia per la gentile collaborazione nel reperimento dei materiali l’Avv. Ettore Fortuna, Presidente, e l’Avv. Paola Parziale,consulente giuridico di Federacqua, il Dott. Luigi Fasano di Federterme e, per le utili indicazioni, il Prof. Renato Federici.(1) J. Rifkin, L’era dell’accesso, Milano, 2000.(2) F. Di Porto, La disciplina delle reti nel diritto dell’economia, vol. VI del Trattato di diritto dell’economia, a cura di E. Picozza ed E.Gabrielli, Padova, 2008.(3) F. Merusi, La nuova disciplina dei servizi pubblici, ora in Le leggi del mercato. Innovazione comunitaria e autarchia nazionale,Bologna, 2002; e G. Della Cananea, voce Servizi pubblici, in Dizionario di diritto amministrativo, a cura di M. Clarich e G. Fonderico,Milano, 2007.(4) V. Carbone, Recentissime dalla Cassazione Civile, in Giur. It. 2001.(5) M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1995.

in molte normazioni regionali – due – paralleli – altri pro-cedimenti:

• di accertamento (riconoscimento) della mineralità otermalità dell’acqua;

• di verificazione dell’impatto sul sistema ambientaledello “sfruttamento” delle sorgenti e giacimenti;

c) controlli sulla produzione (delle acque minerali come ali-menti) e sulla gestione degli stabilimenti termali.

L’unico tratto in comune con il regime delle acque “ordina-rie” – trattandosi in ambedue i casi di beni pubblici – è laprevisione di un regime concessorio per l’utilizzazione daparte di privati.Si tratta, tuttavia – nei due ambiti – di procedimenti conces-sori sia strutturalmente che funzionalmente differenti: da unlato di captazione o derivazione e/o utilizzazione delleacque pubbliche, dall’altro di coltivazione, “produzione” ecommercializzazione di beni minerari.Le acque minerali (così definite perché contengono sali ometalli – allo stato colloidale) e termali (in quanto sgorganoad alta temperatura)6 hanno – in sintesi – un regime giuridi-co peculiare perché sono assoggettate ad una pluralità didiscipline amministrative, che concorrono alla configurazio-ne del regime stesso.

2.- I complicati sistemi “paralleli” delle fonti normative: tra lamateria delle acque e quella dei prodotti alimentari; traregole comunitarie e normative statali e regionali

Prima di accennare brevemente alle varie discipline ammi-nistrative concorrenti è indispensabile mettere a fuoco leproblematiche latu sensu “costituzionali” della materia: ilsistema delle fonti del diritto e, intrecciato ad esso, l’attribu-zione delle competenze legislative ed amministrative nel-l’ordinamento italiano.Più che di sistema unico delle fonti occorre parlare di piùsistemi verticali, affiancati a canne d’organo, che – in più –sono in certa misura diversi per le acque minerali e perquelle termali.

2.1 Le acque minerali

All’apice dei diversi sistemi di norme stanno – per le acqueminerali – varie normative comunitarie, succedutesi neglianni7, le quali si dispongono su due versanti:- quello specifico delle acque minerali;- quello generale degli alimenti o prodotti alimentari.La compresenza ha avuto origine dal fatto che le acqueminerali sono considerate alimenti, a partire dalla direttiva

80/777/CEE, che ha sostanzialmente recepito il criteriotedesco di identificazione delle acque minerali, incentratosulla loro particolare composizione chimica, rendendorecessivo quello italiano e francese, incentrato sulle pro-prietà di natura terapeutica possedute dalle acque stesse8.La scelta comunitaria fu palesemente volta ad escludere leimplicazioni terapeutiche, di difficile determinabilità, al finedi favorire la circolazione nel mercato interno della merce“acqua minerale” (applicando il principio della libera circola-zione delle acque minerali riconosciute da ciascuno statomembro, al quale è strumentale la pubblicazione sullaGUCE degli elenchi delle acque minerali riconosciute in cia-scuna nazione). Iniziamo dalle direttive specifiche (o settoriali).La Direttiva 80/777 è stata recepita nell’ordinamento italia-no dal D.Lgs. n. 105/1992 – sul quale si tornerà – che defi-nisce le acque minerali in relazione al possesso di caratte-ristiche igieniche particolari ed “eventualmente” di proprietàfavorevoli alla salute.Alla prima direttiva sono seguite la direttiva 96/70/CE, cheha modificato la direttiva 80/777, ed è stata recepita nell’or-dinamento italiano con D. Lgs. n. 339/1999 (il quale – spe-cularmente – ha modificato il D. Lgs. n. 105/1992), e laDirettiva 2003/40/CE, che ha determinato l’elenco, i limiti diconcentrazione e le indicazioni di etichettatura per le acqueminerali naturali, recepita nell’ordinamento italiano con ilD.M. 11 settembre 2003, relativamente all’etichettatura econ D.M. 29 dicembre 2003, relativamente alle caratteristi-che delle acque minerali naturali ed ai trattamenti di esse edelle acque di sorgente.Anche solo dai sommari riferimenti al contenuto delle nor-mative comunitarie, emergono i punti di contatto con la nor-mazione in materia alimentare, ad esempio: per quantoriguarda l’etichettatura, i materiali a contatto con gli alimen-ti [le bottiglie] o la tracciabilità.La prevalenza – in sede comunitaria – della concezionedelle acque minerali come merce–alimento spiega perchési debba accennare alla “seconda canna dell’organo”, valea dire il diritto alimentare comunitario9.Vengono qui in rilievo il regolamento CE n. 178/2002 (per ilquale le bevande sono ricomprese nella nozione di alimen-to) ed il regolamento CE n. 2073/2005, nel quale sono defi-niti i criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari,che (art. 1) “si applica senza pregiudizio di altre norme spe-cifiche relative al controllo dei microorganismi, stabilite dallalegislazione comunitaria e in particolare … dei criteri micro-biologici di cui alla direttiva 80/777…”.Dunque la normazione comunitaria generale fa salva e rin-via alla normazione di settore in materia di acque.Di conseguenza si applica alle acque minerali anche il

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(6) S. Zara, voce Acque minerali, in Dig. Disc. Pubbl. – Aggiornamento, Torino, 2005.(7) P.G. Calà, Aspetti normativi nazionali e comunitari delle acque minerali naturali, in Boll. Chimici Igienisti n. 4/2007.(8) M. Stipo, Spunti comunitari e di diritto interno in materia di acque minerali e termali, in AA.VV., Approfondimenti sul diritto minerarionazionale e introduzione al diritto minerario comunitario e comparato, a cura di R. Federici, Padova, 2001.(9) Sul quale v. L. Costato, Compendio di diritto alimentare, Padova, 2007; F.Albisinni, Il diritto alimentare europeo, in Banca Dati, “Dirittoalimentare – Mercato e sicurezza”, www.leggiditaliaprofessionale.it, Wolters Kluwer Italia, 2008.

Regolamento CE n. 852/2004, che reca norme generali inmateria di igiene dei prodotti alimentari, prescrivendo inparticolare la notifica degli stabilimenti nei quali avviene laproduzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti, aifini della registrazione degli stabilimenti stessi.Ed, ancora conseguentemente, si applica anche ilRegolamento CE n. 882/2004, relativo ai controlli ufficialivolti a verificare la conformità alla normativa in materia dimangimi ed alimenti. Si tratta essenzialmente dei controlliigienico-sanitari (articolati nella sorveglianza, nel monito-raggio, nelle verifiche ed ispezioni e nell’audit).“A valle” delle direttive riguardanti le acque minerali e deiRegolamenti comunitari sugli alimenti vi sono le normativestatali di recepimento delle direttive, le leggi statali di setto-re e, con un ruolo sempre più predominante, ma non esclu-sivo, le leggi regionali.La ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni sideduce dall’art. 117 della Costituzione, alla cui interpreta-zione è dedicato il paragrafo 3, al quale si rinvia.

2.2 Le acque e gli stabilimenti termali.

Molto più semplice è il sistema delle fonti normative cheriguardano le acque termali, delle quali la normazionecomunitaria non si è occupata, in quanto esse non sonouna merce, e soprattutto una merce suscettibile di circola-zione nel mercato interno, come le acque minerali, e la lorofruizione può avvenire solo in prossimità delle sorgenti ogiacimenti, prevalentemente in appositi stabilimenti.Di conseguenza il testo normativo “di riferimento” è la l. n.323/2000, “Riordino del settore termale”, la quale10: defini-sce le acque termali; rinvia per la definizione di stabilimentitermali al regolamento n. 1924/1919 (quelli in cui si utilizza-no a scopo terapeutico le acque minerali, i fanghi e le“stufe” naturali o artificiali – ad esempio le saune – e stabi-lisce che i titolari debbano avere un titolo di legittimazione,che può essere la concessione, o subconcessione, minera-ria, oppure l’autorizzazione (a norma delle leggi sanitarie)regionale; definisce le cure termali; promuove il termalismoed il marchio di qualità termale.

3.- Le competenze legislative interne: attribuzione residua-le alle Regioni e attribuzioni – riservate o concorrenti – delloStato

L’art. 117 della Costituzione, nel testo originario, includeva

le acque minerali e termali tra le materie oggetto di potestàlegislativa concorrente, nelle quali la normazione regionalesi poteva esplicare nei limiti dei principi fondamentali stabi-liti dalle leggi dello Stato.Il nuovo art. 117 – nel testo sostituito con l. cost. n. 3/2001– non menziona più né le acque minerali e termali, né – piùin generale – le miniere. Nel nuovo modello costituzionale ciò comporta l’attribuzio-ne della potestà legislativa primaria alle regioni11. Tale attri-buzione primaria riguarda più in generale i beni minerari12,nei quali continuano ad essere incluse le acque minerali etermali.Per quanto riguarda la specifica materia in esame attribu-zione primaria non significa tuttavia un’esclusiva regionale,in quanto:- se da un lato è vero che il nuovo art. 117 ha segnato, perimplicito, “il venir meno dell’interesse statale allo sfrutta-mento dei minerali non energetici, con il conseguente unita-rio assoggettamento di miniere, cave e torbiere ed acqueminerali e termali al regime amministrativo che i legislatoriregionali potranno per essi determinare”13;- è anche vero che sussiste – sotto molteplici profili e convari gradi di “intensità” – anche una potestà legislativa sta-tale.In estrema schematizzazione le fonti di legittimazione dellapersistenza di poteri legislativi statali sono:

I) l’attribuzione alla potestà legislativa statale esclusivadella tutela della concorrenza; un’attribuzione “pervasiva”,che riguarda tutti i settori di attività economica assegnatialla potestà legislativa regionale, concorrente o residualeche sia14. In particolare la tutela della concorrenza “non èestranea”15 alla materia de qua.In concreto i profili sotto i quali può venire in rilievo la tute-la della concorrenza rispetto alla legislazione regionale intema di acque minerali e termali riguardano tutte le sceltenormative che si traducano in limitazioni della concorrenzia-lità di imprese operanti nel mercato di settore, nazionale edeuropeo, in ragione unicamente della loro localizzazione inun determinato territorio regionale. Così, ad esempio, la sottoposizione delle concessioni diacque minerali e/o delle autorizzazioni a realizzare gliimpianti (di lavorazione – ad esempio: miscelazione) o glistabilimenti termali a contingentamenti quantitativi, sia purea mezzo di piani regionali di settore.La Corte Costituzionale ha certo affermato che “subordina-re il rilascio dell’autorizzazione per l’apertura di una grandestruttura di vendita” (ipermercato) “alla previa programma-

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(10) V. S. Zara, Acque minerali, cit.(11) L. Torchia, La potestà legislativa residuale delle regioni, in Le Regioni, 2002, p. 343 ss.(12) F. Francario, I beni minerari e le fonti di energia, in AA.VV., I beni pubblici: tutela valorizzazione e gestione, a cura di A. Police, Milano,2008.(

13) F. Francario, cit.

(14) L. Torchia, cit.(15) E. Follieri, Profili amministrativi nell’individuazione delle materie di cui all’art. 117 Cost. in Annuario 2002 dell’Ass. It. Prof. Dir. Amm.– AIPDA, Milano, 2003.

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zione urbanistica” costituisce “un limite non irragionevoleall’iniziativa economica privata per la salvaguardia di unbene di rilievo costituzionale qual’è il governo del territo-rio”16, ma tale principio di contingentabilità delle intrapreseprivate appare di difficile applicazione alla materia inesame, in quanto per essa l’unico limite è, per così dire,naturale o oggettivo ed è dato dal numero delle sorgenti odei giacimenti di acque minerali e termali, che sono peraltroin molti casi suscettibili di sfruttamenti multipli.Si tratta, come si vede, di una materia che mal tollera i con-tingentamenti degli impianti, anche ad opera di strumentipianificatori di settore, perché i provvedimenti limitativi opreclusivi devono essere motivati, caso per caso, con pun-tuali e specifiche ragioni di tutela ambientale.E’ anche configurabile – per fare un secondo esempio –una lesione della par condicio nel mercato delle imprese disettore quando, come accade in Italia, le Regioni assogget-tano i concessionari, oltre al normale canone concessorio,anche al pagamento di contributi commisurati alla quantitàdi acqua minerale imbottigliata o comunque utilizzata. Talicontributi sono estremamente differenziati da regione aregione e sono inoltre calcolati in alcuni casi sulla base diparametri astratti (ad esempio: la superficie dell’area data inconcessione) o della quantità di acqua estratta.Viceversa nessun rilievo ha la qualità (e quindi il prezzo)dell’acqua estratta nei singoli casi.Ne consegue che – a parità di condizioni analoghe (non iden-tiche, perché ogni acqua minerale naturale costituisce un uni-cum) – l’estrazione e la produzione è spesso molto più onero-sa per l’impresa operante in una certa regione che per un’im-presa operante nella regione confinante (ciò che inevitabil-mente ricade sui consumatori). E’ superfluo sottolineare che la misura del contributo è stabili-ta in sede politica, prescindendo del tutto da valutazioni cheattengono alla natura, allo sviluppo ed alla concorrenzialitàdelle imprese, ma unicamente sulla base del fabbisogno con-tingente della finanza regionale (spesso mal gestita).Negli esempi fatti la tutela della concorrenza si configuracome tutela della par condicio delle imprese nel mercato elegittima interventi del legislatore statale che circoscrivano ladiscrezionalità/irragionevolezza della normazione regionalenel prevedere, o consentire, il ricorso, da parte delle ammini-strazioni regionali e locali (alle quali spesso sono delegate oaffidate le funzioni gestionali) a meccanismi distorsivi dellaconcorrenza stessa;

II) l’attribuzione allo Stato della potestà legislativa esclusiva in

materia di tutela dell’ambiente, che si riverbera sulla materiade qua17 data la – più volte accennata – rilevanza ambientaledelle attività estrattive delle acque minerali e termali. Di conseguenza la legislazione statale può prevedere, adesempio:

- che la concessione della coltivazione dei giacimenti odelle sorgenti di acque minerali naturali e termali sia subordi-nata a previa Valutazione di Impatto Ambientale18;

- che – a scala più vasta – i piani di settore (“minerale” e“termale”), eventualmente previsti dalle leggi regionali, sianoassoggettati alla previa Valutazione Ambientale Strategica19;

III) l’attribuzione allo Stato della potestà legislativa concorren-te in materia di tutela della salute e di alimentazione legittimala posizione dei principi fondamentali volti a garantire l’igienedei processi produttivi e dei prodotti, nonché – per le acquetermali – del loro trattamento e della gestione degli stabilimen-ti termali e le misure di controllo sanitarie conseguenti. Così,ad esempio, nell’auspicato Codice dell’Alimentazione – chenegli anni scorsi non è riuscito a vedere la luce per l’ostruzio-nismo del Ministero della Salute – alcune norme dovrebberoesser specificamente dedicate alle acque minerali, in partico-lare per quel che concerne i tipi, i criteri ed i procedimenti dicontrollo sull’igiene, genuinità e qualità dei prodotti;

IV) infine il potere statale sostitutivo, anche preventivo, neiconfronti delle regioni per l’attuazione delle direttive comunita-rie nelle materie di propria competenza.Come s’è visto il diritto comunitario ha una grande rilevanzanella disciplina della materia in esame.Ferma restando la competenza statale “di primo impatto”nel dare attuazione alle eventuali direttive comunitarie inmateria alimentare, ed in particolare dell’igiene degli ali-menti, occorre soffermarsi sulle competenze attuative nellematerie, come le acque minerali e termali, di competenzaresiduale delle Regioni. Com’è noto20 in forza della legge n.11/2005 – attuativa dell’art. 117, comma 5, dellaCostituzione – spetta alle Regioni il potere di dare immedia-ta attuazione alle direttive, ma è previsto “un ampio poteresostitutivo statale, altresì preventivo, esercitabile – se pos-sibile dopo una prima intimazione a provvedere – connorme cedevoli” (nel senso che vengono meno a seguitodel successivo esercizio della potestà legislativa regionale).Il potere sostitutivo può essere esercitato anche anticipata-mente rispetto alla scadenza del termine stabilito da ciascu-na direttiva per il suo recepimento, pure mediante atti pre-cettivi di natura regolamentare ed amministrativa21, specie

(16) S. Amorosino, Il governo dei sistemi territoriali, Padova, 2008.(17) N. Gullo, Beni pubblici in AA.VV., Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, a cura di G. Corso e V. Lopilato, Parte spe-ciale – vol. II, Milano, 2006.(18) Sulla quale v. P. Dell’Anno, Elementi di diritto dell’ambiente, Padova, 2008; G. Manfredi, VIA e VAS nel codice dell’ambiente – rela-zione alle Giornate di studio sul Codice dell’Ambiente, Università di Palermo, maggio 2008; E. Boscolo, VAS e VIA riformate: limiti epotenzialità degli strumenti applicativi del principio di precauzione, in Urb. e App. n. 5/2008, p. 544.(19) Sulla quale v. L. Gallo, voce Valutazione Ambientale Strategica, in Dig. Disc. Pubbl. – Aggiornamento 2008.(20) A. Celotto, Le fonti comunitarie in AA.VV., Il diritto amministrativo dopo le riforme…, cit., Parte Generale.(21) V. Lopilato e G. Pastorio, Le fonti comunitarie, in R. Chieppa e V. Lopilato, Studi di Diritto Amministrativo, Milano, 2007.

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in una materia, come quella in esame, che postula l’adozio-ne di numerose norme tecniche22.Il potere sostitutivo si fonda sulla responsabilità primariadello Stato nell’attuazione degli obblighi comunitari.Il presupposto sostanziale per l’esercizio anticipato delpotere sostitutivo è l’urgenza del recepimento; il presuppo-sto procedurale è la previa intimazione alla Regione a prov-vedere23.In conclusione: in relazione ai profili sub I, II e III è configu-rabile una potestà legislativa statale che si potrebbe defini-re, in senso lato, di coordinamento – in uno dei significatidella locuzione24, quello di uniformazione d’apice delle nor-mazioni regionali mediante norme generali volte alla tuteladella concorrenza, dell’ambiente e dell’igiene alimentare e– in generale – delle attività imprenditoriali.Non si può escludere – se non altro a fini pratici – che talepotestà possa trovare il suo “precipitato” in una unica legge,breve, “di coordinamento”.

4.- I procedimenti amministrativi relativi alla gestione delleacque minerali e termali: tipologie e sequenze

Resta da accennare brevemente ai variegati procedimentiamministrativi mediante i quali vengono gestiti i diversi pro-fili attinenti le acque minerali e termali. Sono procedimenti digrande rilievo pratico ma di agevole tipizzazione dogmatica.Sono, in primo luogo, procedimenti autorizzatori della ricer-ca delle sorgenti e/o giacimenti delle acque minerali e ter-mali. L’oggetto del permesso di ricerca è l’attività, in unambito territoriale delimitato, volta ad accertare l’esistenza,consistenza e sfruttabilità a fini produttivi di sorgive o giaci-menti di acque minerali e termali.Il permesso viene rilasciato per un periodo di tempo delimi-tato.Ove sia accertata l’esistenza del giacimento ha inizio il pro-cedimento volto alla qualificazione dell’acqua come “mine-rale”, incentrato su una serie di analisi scientifiche. Il riconoscimento è dato dal Ministero della Sanità, anche aifini dell’inserimento nell’elenco europeo delle acque mine-rali (v. supra) ed in quello nazionale delle acque termali.Si tratta – in termini giuridici – di un procedimento di certa-zione della mineralità o termalità dell’acqua. Il provvedi-mento di riconoscimento comporta “l’ingresso formale” nel-l’ordinamento amministrativo dell’acqua25 che ha ottenuto laqualifica ufficiale, la denominazione e l’etichettatura.Il procedimento di riconoscimento può essere anteriore, ma

anche parallelo, al procedimento concessorio dello sfrutta-mento del giacimento o sorgente, che sono beni del patri-monio regionale indisponibile.La concessione è dunque rilasciata dalla Regione, maanche, in via delegata – a seconda delle leggi regionali –dalle province o dai comuni nel cui territorio ricadono le sor-genti o i giacimenti.Come per tutti i beni minerari oggetto della concessione èl’”estrazione” e lo sfruttamento del bene stesso a finiimprenditoriali. Il concessionario deve corrispondere un canone e poi uncontributo per lo sfruttamento industriale.Nell’ambito del procedimento concessorio debbono esserevalutate – come s’è accennato – tutte le implicazioniambientali della coltivazione e captazione.Ciò vale sia per le acque minerali che termali.In sostanza si tratta di accertare la compatibilità dello sfrut-tamento con la salvaguardia dell’ecosistema idrogeologico.Nel procedimento concessorio si aprono dunque procedi-menti incidentali ad oggetto ambientale, all’esito dei quali laconcessione può essere rilasciata o negata o, più spesso,nel provvedimento concessorio possono esser inseriteapposite prescrizioni volte a conformare l’attività d’impresa.Caratteristica delle fattispecie concessorie – com’è noto – èquella di esser composte da un provvedimento amministra-tivo (che può anche non esservi) e da una convenzione cheregola il rapporto concessorio, in primis le obbligazioni delconcessionario (ad esempio: la realizzazione del program-ma industriale presentato o il rispetto delle prescrizioni ditutela ambientale)26.Un provvedimento in senso proprio può anche non esservi.In questi casi la convenzione è qualificabile come moduloconvenzionale sostitutivo del provvedimento e si ha unaccordo sostitutivo, ex art. 11 l. 241/199027 al qualel’Amministrazione può ormai fare ricorso in tutti i casi, salvoche la legge non lo vieti espressamente28.La “produzione” industriale formava oggetto sino a qualcheanno fa di apposita autorizzazione. A seguito del sopracita-to regolamento CE n. 852/2004 – che prevede la registra-zione degli stabilimenti di produzione delle acque minerali –nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni è stato stipula-to, in data 9 febbraio 2006, un accordo in forza del quale siprevede che, in luogo dell’autorizzazione, valga, ai fini dellaregistrazione, la Dichiarazione di Inizio Attività, nel modellopiù volte modificato dal legislatore italiano29.Per gli stabilimenti termali – viceversa – è ancora necessa-ria l’autorizzazione sanitaria regionale.

(22) Sulle quali v. M. Gigante, Norma Tecnica in Dizionario di diritto pubblico, dir. da S. Cassese, vol. IV, Milano, 2006.(23) V., amplius, C. Mainardis, Poteri sostitutivi statali e autonomia amministrativa regionale, Milano, 2007, pp. 66-67 e G. Serges,Commento all’art. 117, comma 5, in AA.VV., Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino, 2006.(24) M.S. Giannini, Diritto amministrativo, 3^ ed., Milano, 1993.(25) M. Stipo, cit.(26) B. Mameli, voce Concessioni amministrative, nel Dizionario di diritto pubblico, cit.(27) F. Satta, Accordi, in Dizionario del diritto amministrativo, cit.(28) V. S. Amorosino, Achille e la tartaruga. Semplificazione amministrativa e competitività del sistema Italia, Milano, 2006.(29) V. P. Marzaro Gamba, Dichiarazione di Inizio di Attività, in Dizionario del diritto amministrativo, cit.

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Obesity litigation:curbing America’s appetite through court action

Keith C. Miller*

1.- Introduction

There is no doubt that obesity is a public health disaster inthe United States. The Centers for Disease Control (CDC),a government agency responsible for many issues of publichealth, reported in 2005 that sixty percent of adults in theU.S. were overweight, twenty-four percent were obese, andthree percent were extremely obese.1 Furthermore, the gov-

ernment estimates that 300,000 deaths per year are attrib-utable to obesity.2 Obese persons have higher risks of heartdisease, diabetes, arthritis, and even cancer.3 Even moreunsettling is the fact that obesity among children has dou-bled in the past twenty years.4 Diabetes, a disease usuallyobserved in adults, has become much more common withchildren and adolescents.5 Obese children are likely tobecome obese adults, leading to the health problemsnoted.6

The costs associated with obesity in the U.S. economy areestimated to be nearly $100 billion.7 This number is anapproximation of the money needed to treat obesity-relatedmedical problems and of the lost potential wages from ill-ness and premature death due to obesity. The costs of obe-sity are not just economic; they are social. Occupationaldiscrimination against obese persons is well-documented,8

though there is no state or federal law prohibiting such dis-crimination.9 Likewise, obese persons are often stigmatized

I controlli sull’attività sono – da un lato – quelli ordinari sulleproduzioni alimentari e – dall’altro – quelli sanitari sullagestione degli stabilimenti termali, nei quali la direzionedella gestione è affiancata da una direzione sanitaria, daaffidarsi ad un medico termalista.ABSTRACT

The most valuable waters: the administrativeregulations of mineral and thermal waters

The mineral and thermal waters are governed by specialregulations, different from those relating to “common” waters,because they are not distributed by network (aqueducts orcanals for irrigation), but they are bottled (mineral water) orused in spas, at their spring location (the thermal waters).

These waters are particularly valuable because they have avery high value of consumption (the mineral waters) or veryhigh value of use (thermal waters).The mineral waters are subject to a double regulation,because they are at the same time public waters - miningassets - and food items. As mining assets these waters require a specific license fortheir exploration and exploitation by private companies.As food items they are governed by detailed EU regulationsregarding food.Even the thermal waters are public assets and for theirexploitation a specific license is required. Moreover these waters are used in spas governed byspecific hygiene and health regulations.

*Ellis and Nelle Levitt Distinguished Professor of Law, Drake University, Iowa, U.S.A. This paper is based on a lecture given at theUniversity of Foggia May 8, 2008. The author wishes to thank Professor Domenico Viti for his help in presenting this lecture, and for hishospitality. The author also thanks Stephanie Schultz, a second year law student at Drake University Law School, for her help with thispaper.(1) Centers for Disease Control and Prevention, U.S. Obesity Trends 1985–2007, http://www.cdc.gov/nccdphp/dnpa/obesity/trend/maps/index.htm (last visited October 2, 2008).(2) Id.(3) Id.(4) Jess Alderman et al., Application of Law to Childhood Obesity Epidemic, 35 J.L. MED. & ETHICS 90, 90 (2007). (5) Centers for Disease Control and Prevention, U.S. Obesity Trends 1985–2007, http://www.cdc.gov/nccdphp/dnpa/obesity/trend/maps/index.htm (last visited October 2, 2008).(6) See Centers for Disease Control and Prevention, Defining Overweight and Obesity, http://www.cdc.gov/nccdphp/dnpa/obesity/defin-ing.htm (last visited October 2, 2008) (“The ranges for considering people either overweight or obese are determined by using weightand height to calculate a number called the “body mass index.” (BMI) This BMI generally relates to one’s body fat.”).(7) See Centers for Disease Control and Prevention, Overweight and Obesity: Economic Consequences,http://www.cdc.gov/nccdphp/dnpa/obesity/economic_consequences.htm (last visited October 2, 2008) (“According to a study of nation-al costs attributed to both overweight (BMI 25–29.9) and obesity (BMI greater than 30), medical expenses accounted for 9.1 percent oftotal U.S. medical expenditures in 1998 and may have reached as high as $78.5 billion ($92.6 billion in 2002 dollars)’ This is only anestimate of national expenditures for medical care and does not include state expenditures for health care or other economic conse-quences. When those numbers are added, the total costs are staggering.”).(8) See msnbc.com, Obese Workers Face Harsh Climate in the Workplace, (2007) http://www.msnbc.msn.com/id/16755130/.(9) See Elizabeth Kristen, Addressing the Problem of Weight Discrimination in Employment, 90 CAL. L. REV. 57, 71 (2002). (Arguing thatanti-discrimination laws should be made to protect the obese).

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and regarded as less productive people.10 Ultimately, fewpeople disagree that obesity is one of the greatest prevent-able causes of death in the U.S. As such, it presents amajor public health problem.What are the reasons for this epidemic of obesity in theU.S.? Several factors may play a role. First, Americansdon’t get enough physical exercise. They don’t walkenough; they are too dependent on their cars, and, exceptin larger cities, public transportation, which a person wouldwalk to and from, is limited. Second, Americans are notori-ous for their poor diet and eating habits. Nutrition educationis limited and American culture has glorified the “snack,”and eating meals “on the go.” Finally, some obesity is relat-ed to one’s family history. If there is a genetic predisposi-tion to obesity, it can be difficult to overcome.11

Many of these causes could be addressed by better nutri-tion education and changes in behavior. However, somehave claimed that the food industry bears partial responsi-bility for this obesity epidemic. It is argued that deceptiveadvertising is common, as are efforts to market unhealthyfoods to children. Further, these critics assert that the foodindustry has failed to substitute healthy substances forunhealthy ones, and that the use of “trans fats” and highfructose corn syrup has made a substantial contribution toobesity.12 Finally, the labeling of ingredients is unhelpful andmisleading, and the food industry has effectively lobbied theUnited States Congress to prevent sweeping and compre-hensive labeling requirements.13

The need for a thorough study of the health problems relat-ed to obesity is one that lends itself to legislative authorities,and this indeed is occurring. However, in the past few yearsthere have been many court actions filed against variouselements of the food industry seeking to recover moneydamages. Consumers have turned to the judiciary in an

effort to have courts place financial responsibility on theproducers of food for the health problems allegedly causedby the food they produce. Courts are usually regarded as less prone to political pres-sure and more likely to help consumers than legislatures orelected executive officials; therefore, it is not surprising thatmany consumers have sought redress through the courtsystem. One of the fascinating mysteries of governance inthe U.S. is the respect that courts have developed from thecitizenry. While citizens often mistrust the operation of thepolitical and electoral process, they have faith that the judi-cial process is fairer and more open. Even when theSupreme Court of the United States intervened in the pres-idential election of 2000 and effectively declared George W.Bush the president, there was little damage to the stature ofthe Court.14 In fact, the Supreme Court may have been theonly institution that could have put the dispute to rest in away that was acceptable to a large segment of the country.15

This faith in the judicial process has been a characteristic ofU.S. legal culture since the early years of the Republic, forgood or for ill. Consequently, it is not at all unusual that con-sumers have sought this type of social change through thecourts.

2.- Actions brought against food producers

Lawsuits against the food industry are not especially novel.Over the last 20 or so years, consumers have brought courtactions against food producers in at least four settings.These are: claims of mislabeling; food ingredient chal-lenges; public school sales of certain drinks and food, andclaims against fast food sellers based on the so-called“tobacco model.”

(10) See Ron Barrett, How Obese People are Responsible for Everything Bad, N.Y. TIMES, October 29, 2006, at 414, available athttp://www.nytimes.com/2006/10/29/weekinreview/29kolata.html (a cartoon satirizing the inclination to blame obese people for a varietyof social problems); See also Deborah Carr & Michael Friedman, Is Obesity Stigmatizing? Body Weight, Perceived Discrimination, andPsychological Well-Being in the United States, 46 JOURNAL OF HEALTH AND SOCIAL BEHAVIOR 244 (2005) (concluding that obese personsare more likely to report institutional and day-to-day interpersonal discrimination than the non-obese).(11) See U.S. Dept. of Health and Human Services, The Surgeon General’s Call to Action to Prevent and Decrease Overweight andObesity, http://www.surgeongeneral.gov/topics/obesity/calltoaction/fact_adolescents.htm (last visited October 2, 2008).(12) See Barbara L. Atwell, Obesity, Public Health, and the Food Supply, 4 IND. HEALTH L. REV. 3, 13 (2007). (“Developed in the early ‘70s. . . high-fructose corn syrup instantly became a hit among food industry CEOs because . . . it can be six times as sweet as cane sugarand is cheaper to produce in part because it’s made from corn, which is heavily subsidized by our taxes.”; “Studies suggest that wemetabolize high fructose corn syrup differently than ordinary sugar, and consumption of high fructose corn syrup is a major factor inweight gain.”).(13) See Forrest Lee Andrews, Small Bites: Obesity Lawsuits Prepare to Take on the Fast Food Industry, 15 ALB. L. J. SCI. & TECH. 153,167 (2004) (“The food industry, in general, is an extremely powerful special interest group in government; it exercises its power prima-rily through lobbying and contributions. The role of ‘[f]ood lobbyists . . . [is to influence] government officials’ in forming laws and policywhich ‘benefit their client’s companies, whether or not they benefit anyone else.’”).(14) See generally Bush v. Gore, 531 U.S. 98, 111, 121 (2001); See also Jeff Yates and Andrew B. Whitford, The Presidency and theSupreme Court After Bush v. Gore: Implications for Institutional Legitimacy and Effectiveness, 13 STAN. L & POL’Y REV. 101, (concludingthat the decision may have had important short-term effects for both the Court and the President, but that these institutions’ long-termcredibility remained intact).(15) See Bush v. Gore, 531 U.S. 98, 111, 121 (2001). “None are more conscious of the vital limits on judicial authority than are theMembers of this Court, and none stand more in admiration of the Constitution’s design to leave the selection of the President to the peo-ple, through their legislatures, and to the political sphere. When contending parties invoke the process of the courts, however, it becomesour unsought responsibility to resolve the federal and constitutional issues the judicial system has been forced to confront.”

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In the first category, consumers have commonly broughtsuccessful claims against food producers when a food itemwas mislabeled in some material way. For example, a classaction was brought against the maker of ice cream whichsubstantially misrepresented its ice cream as being low infat when in fact it contained at three times that amount of fatrepresented. 16 Second, there have been court actions thatsought to force food producers or fast food restaurants likeMcDonald’s to reduce or eliminate certain substances fromthe food they sold or served.17 The food manufacturer Kraftwas sued for using trans-fats in a popular cookie consumedby children, Oreos. It very quickly made a change to theuse of other types of oils in its products and the suit wasdropped.18 Likewise, consumers sued McDonald’s forannouncing a plan to eliminate trans-fats from its foods andthen not following through with that action. A settlementwas soon reached where McDonald’s agreed to pay over$7 million to the American Heart Association, and to pay toadvertise its failure to make the change.19 In both instances,it is unclear how much effect the legal actions may have hadon the action by the food merchant. Some argue that thesechanges were going to be made anyway and that the courtactions did little more than enrich the attorneys who broughtthe legal claims.20 Others maintain that these court actions,and the publicity surrounding them, forced the industry totake heart-healthy steps in substituting cooking oils and for-saking trans-fats, actions the industry otherwise would haveresisted or delayed.21 In either case, however, these claimsillustrate how consumers turn to the courts to effect socialchange.Another type of court action has targeted the food and drinkserved at public schools in the United States. In an agree-ment reached in May 2006 between beverage distributorsand anti-obesity advocates, tens of millions of studentswould no longer be able to buy non-diet sodas in publicschools.22 Before this agreement was reached, changes in

student diets were made largely by individual school dis-tricts and state and local governments.23 The agreement,however, extended to all public schools with contracts withthe participating distributors, Cadbury Schweppes, Coca-Cola, PepsiCo., and the American Beverage Association.24

The American Beverage Association represents the majori-ty of school vending bottlers. Once again, there is disagree-ment as to whether litigation was necessary to bring aboutthese sweeping changes. Critics claim that the lawsuitsand threats of lawsuits “may well have been superfluous,”since many school districts had already decided unilateral-ly to ban so-called “junk food” from sale in public schools.25

The leading lawyer advancing these court actions on behalfof consumers, Professor David Banzhaf, had a much differ-ent perspective, saying that “the industry’s capitulation alsoshows how legal action can be a powerful force in fightingobesity, pressuring companies to take steps they havesteadfastly refused even to consider.”26 It is likely that a fearof bad publicity was a substantial motivating factor inactions taken by corporate food producers and local schoolofficials. The actual and threatened law suits certainly haveplayed a role in accelerating change. At the very leastthese court actions can raise public awareness and alterpublic opinion in subtle ways.But the court actions described above are not fundamental-ly different than many other legal efforts to address per-ceived public health issues. On the other hand, anothertype of food-related court action is modeled on the historictobacco litigation in the United States.27 These claims aredesigned to bring about sweeping change in the food indus-try and to require food companies to pay damages for obe-sity-related harm to consumers. In 1998 four tobacco com-panies and the Attorneys General of forty-six statesreached an agreement that put restrictions on the market-ing of tobacco products, and, more significantly, requiredthe companies to pay almost $300 billion to states to com-

(16) See DeCo(16) See DeConna Settles Big Daddy Suits, 16 ICE CREAM REP. 3 (2003), available at http://findarticles.com/p/articles/mi_hb6424/is_/ai_n25638778.(17) E.g. Thomas J. Lueck & Kim Severson, New York Bans Most Trans Fats in Restaurants, N.Y. TIMES, Dec. 5, 2006, at A1 (“chemi-cally modified food ingredients that raise levels of a particularly unhealthy form of cholesterol and have been squarely linked to heartdisease.”).(18) See Kim Severson, San Francisco. Lawyer Plans to Drop Oreo Suit, THE SAN FRANCISCO CHRONICLE, May 15, 2003, at A3.(19) See Press Release, Settlement of McDonald’s Trans Fat Litigation (February 11, 2005), available athttp://www.bantransfat.com/mcdonalds.html (last visited September 12, 2008).(20) See Theodore H. Frank, The Taxonomy of Obesity Litigation, 28 U. ARK. LITTLE ROCK L. REV. 427, 432 (2006)(hereinafter Frank).(21) See, www.Banzhaf.net, David Banzhaf, http://www.banzhaf.net/suefat.html (last visited September 12, 2008) (web site of one of themost prominent attorneys representing consumers against food producers; hereinafter Banzhaf).(22) Maria Newman, Soda Distributors to End Most School Sales, N.Y. TIMES, May 3, 2006, at A1, available athttp://www.nytimes.com/2006/05/04/health/04soda.html (The market for soft drinks in the United States is massive and a substantial partof that market is soft drinks that contain artificial sweeteners and no sugar).(23) See e.g. Philadelphia Bans Sale of Carbonated Soft Drinks in Public Schools, FOOD & DRINK WEEKLY, Feb. 16, 2004, available athttp://goliath.ecnext.com/coms2/gi_0199-716011/Philadelphia-bans-sale-of-carbonated.html (last visited Oct. 5, 2008).(24) See Newman, supra note 22.(25) See Frank, supra note 20 at 432.(26) See Banzhaf, supra note 21.(27) See generally Brooke Courtney, Is Obesity Really the Next Tobacco? Lessons Learned From Tobacco for Obesity Litigation 15ANNALS HEALTH L. 61 (2006).

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pensate them for the costs of providing medical treatment topersons with tobacco-related illnesses and diseases. Inexchange for this combination of yearly payments to thestates and voluntary restrictions on advertising and market-ing of tobacco, the settlement exempted the companiesfrom tort liability.28 A similar initiative aimed at requiring foodproducers to underwrite the health costs related to obesityis the target of these more recent court actions.The obesity case along these lines drawing the most atten-tion was brought in New York against McDonald’s on behalfof several young children.29 The procedural history of thecase is complicated, and a variety of motions have beenfiled and ruled upon. As the case stands now, three claimshave been asserted. The first alleges that the combinedeffect of McDonald’s various promotional representationswas to create the false impression that its food productswere nutritionally beneficial and part of a healthy lifestyle ifconsumed daily.30 Secondly, the plaintiffs alleged thatMcDonald’s failed to adequately disclose that its use of cer-tain additives and the manner of its food processing ren-dered certain of its foods substantially less healthy than rep-resented.31 Finally, the plaintiffs claimed that McDonald’sdeceptively represented that it would provide nutritionalinformation to its New York customers when in reality suchinformation was not readily available at a significant numberof McDonald’s outlets in New York.32 This case was broughtas a class action on behalf of many children, and seeksrelief that would prohibit certain marketing practices, as wellas imposing substantial financial responsibility on food pro-ducers for obesity-related health problems. Its similarity tothe tobacco litigation is apparent. Most recently, a federalcourt in New York ruled that the plaintiffs’ case could pro-ceed on consumer protection grounds.33

The consumer fraud claim is one that may be used by otherplaintiffs in the future. It is based on laws many states in theU.S. have to protect consumers from certain fraudulentactions by sellers of goods. But questions remain about thesimilarity between the tobacco cases and those based onfood-related obesity. With the smoking of cigarettes, thecausal link between the inhalation of the cigarette smoke

and the resulting diseases is clear.34 This is not the casewith obesity. As indicated earlier, obesity has numerouscauses: genetic, environmental, behavioral, cultural, andmetabolic, and this may not even be an exhaustive list.Similar problems exist when the focus of the law suit is onsoft drink companies like Coca-Cola. Some have proposedthat the best way to curb the sale of sugared, unhealthfulsoft drinks to children is by claiming that the manufacturersare contributing to excess consumption and obesity by theaggressive marketing of these drinks to children.35 So far,no formal court action has been initiated.The reaction to the obesity-related litigation has not beenpositive. In fact, it is fair to say that it has been quite scorn-ful. According to polls taken of people in the United States,89% of the people polled opposed court actions againstfast-food companies blaming them for obesity.36 In theUnited States Congress, numerous bills have been pro-posed over the past few years that would forbid suchactions. They typically are called “Personal Responsibilityin Food Consumption” laws. Such a law would disallow theuse of the class action mechanism to sue food producersfor obesity-related disease.37 As of 2008, these proposalshave died in the legislative process and no law has beenpassed by the United States Congress.The same cannot be said about the states. Perhaps themost remarkable characteristic of the United States’ legalsystem is the paradoxical concept of federalism. Under thatsystem, each state retains considerable authority over mat-ters not expressly delegated to the federal government bythe United States Constitution. This includes laws andcourt actions that would be brought by consumers againstfood producers. Looking at the U.S. from the outside, onemight be puzzled by the use of a patchwork approach toaddress matters of national import, such as the responsi-bility of food producers for obesity. In a nation whose econ-omy is based on strong capitalistic assumptions about theefficient operation of the marketplace, having fifty statesvariously regulate and legislate on such a vital issue ofpublic health is certainly not “efficient,” but such is thenature of federalism, U.S. style.

(28) National Conference of State Legislators, Frequently Asked Questions about the Tobacco Settlement, (March 1999)http://www.ncsl.org/statefed/hlthfaqs.htm (last visited October 3, 2008) (The states incurred medical expenses as part of the Medicaidprogram. Medicaid is the largest source of funding for medical and health-related services for people with limited income in the UnitedStates It is an entitlement program that is jointly funded by the states and federal government, and is managed by the states).(29) See Perlman v. McDonald’s Corp. 452 F. Supp. 2d 320 (S.D.N.Y. 2006).(30) Id. at 322.(31) Id.(32) Id.(33) Id.(34) National Cancer Institute, Cigarette Smoking and Cancer: Questions and Answers, http://www.cancer.gov/cancertopics/factsheet/tobacco/cancer (last visited Oct. 2, 2008).(35) Alderman, supra note 4 at 97-100.(36) Gallup, Public Balks at Obesity Lawsuits, http://www.gallup.com/poll/8869/Public-Balks-Obesity-Lawsuits.aspx (last visited Oct. 2,2008).(37) In each of the last few sessions of Congress there have been proposals along these lines. See, e.g., H.R. 554, 109th Cong. (2005),H.R. 339, 108th Cong. (2003) S. 908, 109th Cong. (2005), S. 1428, 108th Cong. (2003).

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In any event, at least twenty states have passed laws thatprohibit court actions against food producers for obesity-related court actions.38 In Colorado, for example, a law waspassed stating that a food producer “shall not be subject tocivil liability for any claim arising from weight gain, obesity,a health condition associated with weight gain or obesity, orother injury caused . . . from the long-term consumption ofthe food.”39 The Colorado law also expressly permits a con-sumer claim for damages in cases where state or federallabeling laws have been violated by the food producer andsuch violation was a cause of injury to the consumer.40

These so-called “cheeseburger laws”41 have been passed ina relatively short period of time and indicate the astoundingsuccess of food producers in casting the problem as one of“commonsense consumption.” In light of the fact that somany states have acted legislatively to try to foreclose useof their courts for such claims, it is unlikely that federal leg-islation will be forthcoming from the United StatesCongress.The future for the “cheeseburger lawsuit” may not be apromising one. Yet the problem of obesity in the U.S.remains. Numerous proposals are suggested as being thebest way to combat this public health menace. Is it simplya matter of educating consumers and encouraging industryto take voluntary action to prevent over-consumption ofunhealthy foods? Or is it the role of government, state orfederal, to pass laws requiring additional labeling on food,labeling that meaningfully conveys to consumers the con-tent and nutritional information they need to make informeddecisions about what they eat? Some consumer advocatesargue that without the fear that they could be held account-able for their action or inaction in a court suit, the foodindustry lacks sufficient incentive to take any steps to edu-cate consumers. Likewise, they note that the food industryhas responded to these law suits with a massive lobbyingcampaign whereby legislators considering legislation bar-ring these cases receive “campaign contributions” from thefood industry. These are difficult hurdles for consumers toovercome in an effort to demonstrate that the court actionsplay an important role in addressing the public health crisis

of obesity.42

But it may be too early for the food industry to declarevictory and to feel confident that the obesity lawsuits areover. As noted earlier, the egalitarian instinct in the U.S. isoften expressed through the courts. Closing the courthouseto a consumer and depriving him from “his day in court” runscounter to the populist spirit that is an important part of theAmerican legal system. Consumer advocates will likelycontinue to petition the courts to differentiate between themeritorious claim and the frivolous.43 Those attorneysdrawing parallels of the obesity litigation to the tobaccolawsuits also make one other important argument. Theyacknowledge that public opinion currently does not supportthe obesity litigation. However, they also observe that thevery same negative sentiment existed for tobacco litigationwhen the first cases against tobacco producers were filed.They are willing to be patient, they say, “because . . . publicsentiment will shift when people learn the elaborate ways inwhich companies market products they may know to beunhealthy, especially products aimed at children.”44 In thetobacco cases, people began to alter their views whendocuments surfaced that demonstrated the tobaccocompanies were misleading them about the dangers ofcigarettes and the alleged lesser dangers of “low tar”cigarettes. There will be a similar popular response whenconsumers learn the truth about the way food producersand sellers conceal and misrepresent the contents of thefood they sell, it is argued45 Once this information becomespublic knowledge, attitudes about using the courts to holdthe food producers accountable for the products thatcontribute to obesity will resemble the shift that took placein the tobacco cases. As Professor Daynard predicts, atthat point “people will start to realize that Ronald McDonaldis not their friend.”46 If the obesity litigation does run thesame course as the tobacco cases, it could have a profoundeffect on the way food is marketed and sold in the U.S. Itremains to be seen whether use of the courts in this way willevolve into a powerful weapon against the scourge ofobesity.

(38) E.g. Ariz. Rev. Stat. § 12-681 (2006); Fla. Stat. Ann. § 768.37, 768.72 (2005); GA. Code Ann. § 26-2-430 - 435 (2005); Idaho CodeAnn. § 39-8702 - 8704 (2006); 745 Ill. Comp. Stat. Ann. 43/5, 10, 15 (2005) (A total of twenty-one states have passed laws prohibitingcourt actions in these situations.).(39) Colorado Rev. Stat. § 13-21-1104 (1)(2007).(40) Colorado Rev. Stat. § 13-21-1104 (2)(2007).(41) See CNN.com, ‘Cheeseburger bill’ puts bite on lawsuits (Oct. 12, 2005), http://www.cnn.com/2005/POLITICS/10/20/cheeseburger.bill/index.html (last visited October 4, 2008).(42) Melanie Warner, Obesity Inc.: The Legal Battle—The Food Industry Empire Strikes Back, N.Y. TIMES, July 7, 2005, at C1, availableat http://www.nytimes.com/2005/07/07/business/07food.html (“[I]n the 2002 and 2004 election cycles, the food and restaurant industrygave a total of $5.5 million to politicians in the 20 states that have passed laws shielding companies from obesity liability.”).(43) Id. (“If someone is saying that a 64 ounce [Coca Cola] . . . contributed to obesity, that person should have his day in court. . . . If it’sfrivolous, the courts are accustomed to throwing those out.” Quoting Michael Jacobson, executive director of the Center for Science inthe Public Interest, a consumer advocacy group).(44) Id. (quoting Professor David Banzhaf, one of the most prominent attorneys in both the tobacco and obesity litigation).(45) Id. (quoting Professor Richard Daynard, another prominent attorney in the tobacco and obesity cases).(46) Id.

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L’impact de la réforme de l’OCMvitivinicole dans les échangesavec les pays-tiers: l’exemplejaponais

Kensuke Ebihara

1. - Introduction

Jusqu’à présent, mis à part des règles relatives à l’étique-tage et à la politique de qualité, l’organisation commune dumarché vitivinicole dans la Communauté Européenne n’aqu’un impact mineur sur les producteurs et les consomma-teurs au Japon. Depuis longtemps, les vins élaborés dansce pays ne sont destinés qu’au marché intérieur. Il est vraique les producteurs n’effectuaient aucune exportation versle marché européen sauf en de faible quantité1.Or, ces dernières années sont marquées par une améliora-tion remarquable de la qualité des vins japonais. Avec le «boom » de la cuisine japonaise à l’étranger, les produc-teurs ont commencé à réfléchir à l’exportation de ces vinsvers les pays membres de la Communauté. Ainsi, en janvier2008, les premières caisses de vins japonais ont été auto-risées à entrer sur le marché européen2.Il est évident que l’exportation des vins vers l’Europe exige quesoient respectées des règles européennes, notamment cellesrelatives aux pratiques œnologiques et à l’étiquetage. Bien quele Japon ne soit pas un Etat membre de l’UE ni de l’OIV, lesopérateurs dans ce secteur s’intéressent à la réforme de l’or-ganisation commune du marché vitivinicole en Europe.Il convient donc d’examiner la situation actuelle de la filièrevitivinicole japonaise, avant d’analyser l’impact de laréforme communautaire sur les opérateurs et les consom-mateurs au Japon.

2.- La production intérieure et l’exportation vers laCommunauté européenne

Depuis plus d’un siècle, le Japon produit du vin issu descépages traditionnels ou des variétés classiques européen-nes et américaines. La viticulture au Japon doit faire face àde nombreuses contraintes climatiques et géographiques :

les typhons, les fortes pluies en été, l’humidité, l’acidité dessols et le caractère limité des surfaces. En effet, la majoritédes vins élaborée au Japon est réalisée à partir de vins envrac ou de moût de raisins importés.Le cépage propre au Japon le plus représentatif est leKoshu, un des cépages Vitis vinifera qui se marie bien avecla cuisine japonaise mais qui, traditionnellement, estconsommé comme raisin de table. C’est le cépage le mieuxadapté aux conditions climatiques et géologiques du Japon.Il offre un vin blanc acide présentant des arômes de pam-plemousse, de pomme et de citron, rappelant le sauvignonblanc. On ne le trouve guère qu’au Japon.En 2007, la superficie totale du vignoble au Japon s’élève à18.600 hectares avec une production d’environ 209.000tonnes, tandis que près de 90% des raisins récoltés ont étévendus comme raisins de table. Le raisin est consomméessentiellement tel quel au Japon. La superficie du vignobleainsi que la production nationale de raisins a connu un replià cause de l’urbanisation et surtout du vieillissement de lapopulation agricole3.Comme il est impossible de satisfaire la demande desconsommateurs avec les seuls raisins récoltés dans lesvignobles de notre pays, l’importation de vin en vrac ou demoût de raisin représente un élément essentiel de la pro-duction du vin au Japon. Les principaux fournisseurs de vinen vrac sont les États-Unis, l’Argentine et le Chili.Selon les statistiques de l’OIV, la production globale du vinau Japon était d’environ 900.000 hectolitres en 2005.Depuis octobre 2007, un institut de recherche japonais «leNRIB: National Research Institute of Brewing» est habilité àétablir des documents destinés à être importés dans laCommunauté4. Après avoir obtenu une attestation et un bul-letin d’analyse délivrés par l’institut, un opérateur japonaisa exporté en Angleterre 480 bouteilles de vin vinifié par lasociété Chuo Budoshu (Grace Winery). Également, un viti-culteur français, Bernard Magrez, a commercialisé enFrance et en Belgique un vin blanc de cépage Koshu ens’associant à la société Katsunuma-Jozo. Tout récemment,le NRIB a délivré une attestation et un bulletin d’analysepour exporter vers la Communauté un vin blanc élaboré parla société Chuo Budoshu: «Misawa Kayagatake Blanc»,«Grace Koshu Hishiyama» et «Cuvée Misawa Koshu».

3. - L’importation et la consommation intérieure

De manière générale, le marché japonais a connu une

(1) Selon l’article 22 du règlement n. 883/2001, «sont exemptés de la présentation de l’attestation et du bulletin d’analyse les produitsoriginaires et en provenance des pays tiers présentés en récipients de 5 litres ou moins, étiquetés et munis d’un dispositif de fermeturenon récupérable, lorsque la quantité totale transportée, même si elle est composée de plusieurs lots particuliers, n’excède pas 100litres».(2) Ce vin blanc à base de Koshu, un cépage japonais, produit sur les conseils de l’oenologue bordelais M. Dubourdieu, est commercia-lisé sous le nom de Shizen, Cuvée Denis Dubourdieu.(3) En 1998, la superficie du vignoble s’étendait sur 20.900 hectares avec une production d’environ 213.000 tonnes.(4) Joue 9.10.2007, 2007/C 237/p.1.

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croissance constante de la consommation. A partir desannées 70, la libéralisation de l’importation des alcools, labanalisation des voyages à l’étranger ainsi que l’occidenta-lisation des habitudes alimentaires ont entraîné un dévelop-pement du marché du vin et l’augmentation de la consom-mation des produits viticoles. Il est assez étonnant deconstater qu’en 30 ans la consommation de vin chez lesjaponais est devenue 40 fois plus importante.En 2005, le Japon a importé 1,592 Miohl de vins étrangers.En 1998, l’importation s’est élevée à 2,270 Miohl, consé-quence directe du phénomène du «french paradox».Malgré cette croissance, la consommation par habitant estrelativement faible par rapport à la plupart des Etats mem-bres de la Communauté, soit 2,2 litres par an5. Il est intéres-sant de remarquer que le consommateur japonais demeureessentiellement féminin.Le premier exportateur de vin au Japon est la France avec39,3% (640Mhl) en 2003, suivie de l’Italie (19,0%), desÉtats-Unis (11,8%), du Chili (7,2%) et de l’Espagne (6,0%).Ces cinq premiers exportateurs représentent à eux seuls83,3% de l’importation de vin au Japon. Le volume de l’im-portation en provenance de la France et de l’Italie a légère-ment reculé, sauf en ce qui concerne les vins mousseux,tandis que l’on a assisté à une augmentation de l’importa-tion de vin en provenance du «nouveau monde». Relevonsque le volume des importations de vin allemand a chuté defaçon spectaculaire, passant de 153Mhl (en 1999) à 76Mhl(en 2003). L’Allemagne s’est laissée distancer pendant leboom du vin rouge de 1998, et depuis lors, ce pays n’estconnu par les japonais que pour son vin blanc doux. Il n’adonc pas bénéficié du «wine boom» accéléré par le phéno-mène du «french paradox»6.Malgré la baisse de l’importation des vins en provenance dela Communauté, il est certain que les échanges avec lespays membres de l’UE restent extrêmement importants.

4. - L’impact de la réforme sur les producteurs japonais

Bien que l’exportation de vins japonais vers le marché euro-péen soit très limitée, la conséquence de la réforme euro-péenne de l’Organisation commune du marché vitivinicolesur les producteurs japonais n’est pas négligeable.Il est étonnant de remarquer qu’il n’existe aucune disposi-tion législative japonaise qui définit le vin. Seule la loi fiscalea introduit une catégorie de boissons alcoolisées obtenuesà partir de fruits dans laquelle se trouve le vin, le cidre, lesboissons alcoolisées issues de la fermentation d’orange, deprune ou d’autres fruits. La loi japonaise autorise mêmel’utilisation de l’eau et de l’alcool, alors que cette pratiqueoenologique est interdite dans les pays européens.

Les producteurs japonais préparent l’exportation de vinsissus du cépage Koshu parce que c’est un cépage propreau Japon qui appartient, selon une étude aux Etats-Unis, àl’espèce Vitis vinifera. Cependant, à partir du moment où leJapon exporte son propre vin, il doit se soumettre auxcontraintes établies par les normes communautaires.Premièrement, à cause du faible ensoleillement en périodede véraison, les producteurs enrichissent très fréquemmentleurs produits par ajout de sucre pour élever le titre alcoo-métrique, surtout celui des vins issus du cépage Koshu.Bien que l’interdiction totale de chaptalisation proposée parla Commission Européenne ait été retirée, le niveau maxi-mal de l’enrichissement sera réduit: de 3,5 % à 3 % pour lecépage Koshu. Il est à noter que certains producteurs com-mercialisent le vin du cépage Koshu sans aucune chaptali-sation mais avec une concentration par le froid.Deuxièmement, la contrainte la plus sérieuse pour les pro-ducteurs japonais consiste dans la réglementation relativeà l’utilisation du nom d’une ou plusieurs variétés de vigne.L’article 37 du règlement n. 753/2002 de la Commissionprécise que «l’étiquetage des vins originaires des pays tiers[...] peut être complété par les indications suivantes: le nomd’une ou plusieurs variétés de vigne ; les variétés en ques-tion sont utilisées pour autant que: i) les conditions d’utilisa-tion soient réglementées par le pays tiers concerné; ii) lesnoms et synonymes de variétés soient conformes à l’article20, paragraphe 3, points a), b) et c), du règlement n.1227/2000 de la Commission». Selon l’article 20, paragra-phe 3 du règlement, «les noms et synonymes des variétésclassées sont conformes à ceux qui sont établis par l’un desorganismes suivants: a) l’OIV; b) l’Union internationale pourla protection des obtentions végétales et/ou c) le Conseilinternational des ressources phytogénétiques»7.Jusqu’à aujourd’hui, aucun vin japonais ne porte le nomd’une indication géographique au sens de l’Accord ADPIC.En tant que pays membre de l’OMC, la disposition de l’arti-cle 23, §1 de l’Accord est reproduite aux termes d’unemesure ministérielle au Japon. Selon la loi relative auxassociations de marchands de spiritueux et les mesures degarantie des taxes, le Directeur des impôts et des taxes fixedes réglementations sur l’étiquetage des boissons alcooli-sées en vue de protéger les intérêts des consommateurs etle bon fonctionnement du marché (l’article 86-6). Il a établiune liste d’indications géographiques de spiritueux qui peu-vent être utilisés pour des produits japonais d’origine,comme le «Saké de Hakusan», le «Shochu (liqueur distil-lée) d’Iki», le «Shochu de Kuma», le « Shochu (Awamori)de Ryukyu» et le «Shochu de Satsuma», mais cette listen’énumère aucune indication géographique pour le vinjaponais.Étant classifié systématiquement comme un produit sans

(5) Voir National Tax Agency, Sake no Shiori 2008, in http://www.nta.go.jp/shiraberu/senmonjoho/sake/shiori-gaikyo/shiori/2008/siori.htm(6) Jetro, Marketing Guidebook for Major Imported Products: Alcoholic Beverages, 2004.(7) Toutefois, le règlement n. 1227/2000 de la Commission a été abrogé par le nouveau règlement OCM vitivinicole.

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indication géographique, le vin japonais n’a donc pas ledroit de mentionner le nom d’une variété de vigne sur lemarché européen. De la même manière, l’article 37 durèglement n. 753/2002 de la Commission n’autorise qu’auxproduits avec indication géographique, des mentions relati-ves à l’année de récolte, à une distinction, une médaille ouun concours, des indications relatives au mode d’obtentionou à la méthode d’élaboration du produit, mentions tradi-tionnelles complémentaires, ainsi qu’une mention indiquantla mise en bouteille.Depuis 2003, le département de Yamanashi, l’Institut d’oe-nologie et de viticulture à l’Université de Yamanashi, dessyndicats régionaux (Yamanashi, Yamagata, Nagano etHokkaido) et l’association «Japan Wineries Association»organisent le « Japan Wine Competition » en vue d’amé-liorer la qualité et d’établir la notoriété des vins japonais, dedévelopper l’image des terroirs et l’originalité du produit. Al’issue de ce concours devenu assez connu, sont délivréesdes médailles qui encouragent les meilleurs producteurs.Les ambassades japonaises, à l’étranger, ont proposé desproduits récompensés à l’occasion de dîners officiels, etc.En ce qui concerne la mention traditionnelle complémen-taire, depuis les années 80, les producteurs utilisent lamention «sur lie» pour un produit issu du cépage Koshu.Cette mention est souvent utilisée, surtout par les viticul-teurs du département de Yamanashi.Troisièmement, il s’agit du seuil de 85%. Pour que les éti-quettes des vins puissent porter la mention du cépage et del’année de récolte, la règle des 85 % doit être respectée surle marché communautaire8. En revanche, selon la règleconcernant l’étiquetage des vins vinifiés au Japon, adoptéepar des syndicats régionaux (Yamanashi, Yamagata,Nagano et Hokkaido) et la «Japan Wineries Association»,l’année de récolte peut figurer sur l’étiquette à conditionqu’au moins 75 % des raisins utilisés soient récoltés aucours de l’année en question et que 100% des raisinssoient récoltés au Japon. En cas d’emploi du nom d’uneseule variété de vigne, le produit concerné doit être issu à75 % au moins de la variété mentionnée. Il est nécessaireque cette règle des 75% soit modifiée afin d’être conformeaux exigences communautaires.Quatrièmement, la réglementation relative aux quantitésnominales des produits en préemballages peut être un obs-tacle pour les producteurs japonais. Traditionnellement, ilsvendent des produits préemballés dans des quantités nomi-nales qui ne sont pas conformes à la directive n.2007/45/CE du Parlement européen et du Conseil. Il s’agitde bouteilles de 720ml et de 360ml. Cette directive euro-péenne n’autorise pour le vin tranquille, dans l’intervalle de100ml à 1500ml, que les 8 quantités nominales suivantes:100ml, 187ml, 250ml, 375ml, 500ml, 750ml, 1000ml et

1500ml. Bien que la bouteille de 750ml soit plus ou moinsacceptée par les producteurs japonais, il est très rare qu’ilsvendent des vins tranquilles en bouteille de 375ml.

5. - L’impact de la réforme sur les importateurs et lesconsommateurs

Au Japon, l’impact sur les importateurs et les consomma-teurs sera peut-être positif et moins sérieux. Comme laCommunication de la Commission intitulée «Vers un sec-teur vitivinicole européen durable» l’a souligné, «lesconsommateurs sont désorientés par les étiquettes desvins, qui procèdent d’un système juridique complexe fondésur divers instruments qui traitent des catégories de vins demanière différente et de certaines mentions en fonction duproduit», et «certaines règles d’étiquetage rigides entraventla commercialisation des vins européens. L’interdiction d’in-diquer l’année de récolte et la variété de vigne pour les vinsde table sans indication géographique constitue à cet égardun inconvénient majeur»9. L’importation de vins du nouveaumonde dotés un étiquetage libéral et simplifié augmente audétriment des produits communautaires auxquels onimpose un étiquetage fortement réglementé. Il semble queles importateurs et les consommateurs sont assez favora-bles à la simplification et à la libéralisation des règles d’éti-quetage. Grâce à la réforme relative à l’étiquetage et à lapolitique de qualité, les produits communautaires recon-querront des parts de marchés et en gagneront de nouvel-les au Japon.Bien évidemment, la promotion des produits communautai-res ne peuvent que contribuer à développer le marché duvin au Japon. Selon l’article 10 du règlement n. 479/2008 duConseil, «L’aide accordée au titre du présent article portesur des mesures d’information ou de promotion menéesdans les pays tiers en faveur des vins de la Communautéafin d’améliorer leur compétitivité dans les pays concernés».Le paragraphe 3 de l’article 10 énumère les mesures suivan-tes: «a) des actions de relations publiques, de promotion oude publicité, visant en particulier à souligner les avantagesdes produits communautaires, sous l’angle, notamment, dela qualité, de la sécurité alimentaire ou du respect de l’envi-ronnement; b) la participation à des manifestations, foires ouexpositions d’envergure internationale; c) des campagnesd’information, notamment sur les régimes communautairesrelatifs aux appellations d’origine, aux indications géographi-ques et à la production biologique; d) des études de mar-chés nouveaux, nécessaires à l’élargissement des débou-chés; e) des études d’évaluation des résultats des actionsde promotion et d’information».À titre d’exemple, malgré des publicités et des manifesta-

(8) Article 37 paragraphe 2 du règlement n. 753/2002 de la Commission.(9) COM(2006)319 final, Vers un secteur vitivinicole européen durable, p. 6.

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tions organisées par la SOPEXA Japon, l’importation totalede vins français a baissé d’environ 4,9 % en 2008. Cette ten-dance touche particulièrement les vins du sud, comme le vindu pays d’Oc (-11,1%), le vin de la vallée du Rhône (-18,1%)et le vin du Beaujolais (-14,1%)10. Bien que les causes prin-cipales de la chute de l’importation soient issues de lahausse de la valeur de l’Euro et de la montée du prix dupétrole, avec l’aide communautaire, les interprofessionsconcernées pourront améliorer leur compétitivité en organi-sant des manifestations plus efficaces et plus larges qui sontouvertes aux consommateurs japonais.Il semble que, même aujourd’hui, le vin est loin d’être uneboisson quotidienne au Japon mais le marché japonais offreun potentiel considérable11. Pour la majorité des japonais, levin est un objet de luxe et est consommé essentiellementpour une occasion spéciale comme Noël, un anniversaire oul’arrivée de Beaujolais nouveau12. La réforme peut être uneoccasion pour inciter au développement du marché etréceptionner des règles communautaires et internationalesplus favorables à la protection des consommateurs.

ABSTRACT

Despite the difficult climate, Japan produced wine for morethan a century and has become a small exporter of wine.This article describes the current situation of the internalproduction of wine, the export to the European Union’smember states, the import and the consumption of wine andanalyses the impact of the European wine sector reform onproducers, importers and consumers in Japan. The biggestlegal obstacles to the export of wine consist essentially ofthe lower limits for the addition of sucrose and of the rulesapplicable to imported products on indication of vine variety.However, the reform should have positive effects onimporters and consumers in Japan through the simplifiedlabeling rules and the promotion measures concerningCommunity wines in third countries.

(10) Voir Wands, n.285, 2008.(11) Au Japon, la consommation de vin représente seulement 2,5% de la consommation totale des boissons alcoolisées.(12) Il faut noter que le Japon est le premier importateur de Beaujolais nouveau, qui est devenu un véritable phénomène de société. En2006, près de 11 millions de bouteilles de Beaujolais nouveau ont été vendues au Japon. Cependant, en 2007, la vente totale deBeaujolais nouveau au Japon est marquée par un fort recul, soit de -28%.

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Etichettatura, presentazione, pubblicità dei prodotti alimentarinel decreto leg.vo 109/92 Il trinomio deve essere applicatoin funzione univoca

Antonio Neri

1.- Introduzione

La materia oggi sbrigativamente compresa nel termine “eti-chettatura” assume in realtà connotati più variegati se con-siderata, come deve essere, nel complesso terminologicodi cui all’enunciato del D.L.vo 27 gennaio 1992 n. 109 ecioè corredata dei termini “presentazione” e “pubblicità”.Trinomio che le Direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE delConsiglio del 14 giugno 1989 hanno preconizzato inscindi-bile. Ciò in ossequio ai principi ispiratori delle direttive stes-se tendenti a rendere non equivocabili le dichiarazioni sullanatura, identità, qualità, composizione, quantità, conserva-zione, origine, provenienza, modo di fabbricazione, modo diottenimento del prodotto. Il tutto a privilegiare il consumato-re al quale massima é dovuta la completezza dell’informa-zione. Sebbene le numerose modifiche e integrazioni, subi-te e apportate nel corso degli anni, non abbiano inciso sul-l’efficacia giuridica dei principi, tuttavia è necessario regi-strare che questi sono oggi interpretati da parte dei produt-tori in modo decisamente surrettizio. Da qui lo scopo delpresente lavoro il cui titolo è ispirato al filo logico-tecnico-giuridico che lega le norme del D.L.vo 109/92, riconducen-dole ad un unicum coordinato, e quindi funzionale,all’enunciato. Da qui il significato di “funzione univoca” che,in modo semantico, attribuisco a tutto ciò che costituisceattuazione di studiato meccanismo psicologico atto allamigliore “presentazione” del prodotto attraverso la confe-zione (dimensione, forma, colore, grandezza dei caratteri,colori e posizione delle scritte) e di quanto, per il tramite discritte e indicazioni, si vuol comunicare sulle caratteristichedello stesso. Insomma affinché il tutto (etichettatura, pre-sentazione e pubblicità), conduca a un senso solo e defini-to, senza possibilità di equivoci. Per “scritte” e “indicazioni” non intendo i claims (dei qualidirò in prosieguo riferendomi a quelli salutistici e nutriziona-li di cui al Reg. 1924/2006) ma tutte quelle espressioni into-nate più alla suggestione che all’informazione, quelle che lapsicolinguistica indica influenti sui processi comportamen-tali dell’uomo. Il che induce alla conclusione che non tantoha valore il significato delle parole quanto piuttosto il conte-sto in cui sono riportate. Corollario di quel che ha lasciatoscritto Marshall McLuhan (il maggior studioso delle comuni-

cazioni di massa) secondo il quale il modo con il quale lepersone comunicano è più importante di quel che essevogliono comunicare. Dal che deriva il suo slogan il“medium è messaggio”, che può sembrare superficiale ecinico, ma che contiene una verità assai importante. Infatti,nel contesto che ci interessa, l’etichettatura è un “mezzo”.A chiusura di questa introduzione dirò che nella stesura diqueste note mi sono regolato avendo a riguardo la profes-sionalità dei lettori e perciò riducendo al minimo le citazio-ni normative. Per cui la mancata citazione di quelle altre cheun occhiuto censore dovesse considerare una lacuna, sisappia che è voluta. Infatti ho ritenuto più utile e producen-te dare spazio alle mie considerazioni sulla materia che tito-la l’articolo, nell’auspicio che esse, passate attraverso il fil-tro di un esame critico, possano rappresentare occasione didibattito oggi più che mai necessario in un contesto anco-ra ben lontano da accettabili soluzioni.

2.- L’etichettatura formale

Definirò così quella concentrata nelle norme di cui all’art. 3del D.L.vo 109/92 (“Elenco delle indicazioni dei prodotti pre-confezionati”), nell’art. 4 (“Denominazione di vendita”) enell’art. 5 (“Ingredienti”).Complessivamente considerate, le disposizioni appaionochiare e facilmente applicabili. Al punto che ad esse debbo-no la loro fama consulenti delle più diverse estrazioni pro-fessionali, autoreferenziatisi in questa nuova branca delsapere, giocosamente definita “etichettologia”. Tanto piùfacilitati quando si tratti di alimenti e bevande dotati di auto-noma disciplina sulla “denominazione di vendita”, distinta,ove ricorre il caso, per tipologie. Ma in tanto maggior diffi-coltà, proprio a causa della “denominazione di vendita”,quando pretendono di sostituirla con marchi di fabbrica o dicommercio o con denominazioni di fantasia oppure ricor-rendo a perifrasi descrittive (si fa per dire) pur in vigenza didisposizioni specifiche già previste in sede comunitaria odall’ordinamento italiano (anche con disposizioni ammini-strative).Le difficoltà aumentano quando si tratti di coordinare la“denominazione di vendita” con l’ingredientistica (additivicompresi ope legis) cui consegue un’ interessata renitenzaalla collocazione di certi ingredienti (in specie l’acqua, la“grande vitamina” dell’industria) al giusto posto nell’ordinedi quantità decrescente. Il che è causa di traumatizzantibrain storming per la ricerca di lambiccate soluzioni quali,esemplificando, quelle per l’individuazione dell’ingredientecaratterizzante o per l’ingrediente ancora presente in formamodificata e ancora, quando ricorra il caso, della correttaindicazione del QUID. La “designazione degli aromi” (art. 6del D.L.vo 109/92) è tranquillamente osservata con lagenerica dicitura “aromi” preferendo sottrarsi all’impegno diun’indicazione più specifica sulla natura degli stessi secon-do le previsioni del D.L.vo 25 febbraio 1992 n. 102. Lo stes-so dicasi per gli amidi modificati che passano tutti sotto la

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voce “amido” nella sicurezza che nessuno andrà mai adindagare se la modifica è realizzata per via chimica.Sono queste, citazioni di casi scelti in modo sporadico marappresentativi di una più vasta realtà quale ci è fornita daltortuoso percorso fra gli affollati scaffali di un supermerca-to. Rappresentativi altresì di una navigazione senza la bus-sola di un tecnico che disponga almeno delle basi dellascienza chimica. In difetto delle quali, ancora esemplifican-do, l’addetto ai lavori, non conoscendo il meccanismod’azione di un certo additivo non sarà in grado di classificar-lo in relazione al campo d’impiego e neppure decidere sepiù utilmente considerarlo coadiuvante tecnologico (che loesenterebbe dall’ indicazione). Oppure farà spicciativoricorso all’allegato IX al D.M. 27 febbraio 1996 n. 209,(conosciuto come quello degli additivi “generalmenteammessi” per di più con il criterio di utilizzo del “quantobasta”), senza porsi il problema delle eccezioni previste dal-l’art. 15 comma 3 dello stesso D.M. 209/96. Infine, ma non per ultima, la dimensione dei caratteri distampa. Che non esaurisce certo questo capitolo ma che èquestione nient’affatto banale dato che la CommissioneCe se ne è fatta carico nella sua proposta di regolamentodel 30 gennaio 2008 al Parlamento europeo, avente adoggetto proprio i provvedimenti sull’informazione dei consu-matori. In questa proposta si rileva che i consumatori chie-dono ancora maggiori ragguagli sull’etichetta il che può rea-lizzarsi attraverso una chiara, semplice, comprensiva infor-mazione uniformata d’imperio. E qui cade acconcia la presad’atto della Commissione della quantità dei testi normativicosì dispersi da incidere sulla chiarezza e sulla coerenzadelle leggi. Per cui, riportando nella lingua di prima stesura:

“The main changes with respect to general labellingissues are:a) - To improve the legibility of the information provided onthe labelling a minimum print size for the mandatory infor-mation is introduced;b)- The clarification of the responsibilities regarding foodlabelling for the different food business operators along thesupply chain”;Sul punto di cui alla lettera b) torneremo nel capitolo dedi-cato appunto alle responsabilità.

3.- L’etichettatura nutrizionale

L’”etichettatura nutrizionale” (D.L.vo 16 febbraio 1993 n. 77,attuazione della direttiva 90/496/CEE) segue di un annocirca l’entrata in vigore del D. L.vo 27 gennaio 1992 n. 111(attuazione della Direttiva 89/398/CEE concernente i pro-dotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare).In termini di tempi di formazione legislativa si può parlare dicontemporaneità, una circostanza epocale che segnò l’ini-zio dell’età dell’oro per l’industria alimentare. Che colse l’oc-casione per ipervalutare i suoi prodotti ricorrendo alla “infor-mazione nutrizionale” e di conseguenza alla “tabella nutri-zionale” tanto ricca di simboli e numeri quanto povera di

significato per il consumatore. Sicché oggi vediamo latabella nutrizionale persino sui funghi secchi, alimento diinesistente valore nutritivo. Si diede così inizio ad una stra-na catena logico-sistematica, tuttora operante che, parten-do dal vanto di particolari caratteristiche (in piena contrad-dizione ai divieti contenuti nell’art. 2 comma 1. lettere a), b),c) e comma 2. del D.L.vo 109/92 ) conduce surrettiziamen-te all’attribuzione di un valore aggiunto che non esiste per-ché si vantano caratteristiche che sono in re ipsa e del tuttoidentiche ai prodotti analoghi.Si interpretano le norme (o meglio l’intreccio di norme) con-tenute nei due decreti ricorrendo ad una diabolica commi-stione concettuale. Partendo dal presupposto che l’art. 1del D.L.vo 77/93 disciplina l’etichettatura nutrizionale deiprodotti alimentari “comuni” e quella dei prodotti “destinatiad una alimentazione particolare”, si forza la derivata chequalunque enfatizzazione del prodotto in toto o di uno deisuoi ingredienti (sia o no caratterizzante) sia ammessaavendo solo cura di gabellarla come informazione nutrizio-nale. Si dimentica che le disposizioni sono comuni alle soleformalità dell’etichettatura nutrizionale che l’art. 4 comma 1dello stesso D.L.vo 77/93 limita strettamente al valore ener-getico e ai nutrienti elencati nell’art. 3.Cosicché avviene che i prodotti sono volta a volta fonte diproteine, ricchi di fibre vegetali, di alta qualità, senza cole-sterolo, senza zuccheri, leggeri, con grassi omega 3, ricchidi calcio, di vitamine, e via enfatizzando quanto più l’”arric-chimento” è praticato con poca spesa grazie alla “quantitàsignificativa”, flebilmente identificata, ope legis, in quel 15%delle R.D.A. (razioni giornaliere raccomandate) di cui all’al-legato al D.L.vo 77/93. Cosicché nei casi di contestazione di una o più delle infra-zioni alle previsioni di cui all’art. 2 D.L.vo 109/92, si argo-menta (negli scritti difensivi previsti dall’art. 18, Legge 24novembre 1981 n. 689 – depenalizzazione – per i quali nonè ancora certa né l’autorità competente a riceverli né ildestino anche dopo lustri di attesa) qualificando il prodottocome destinato ad una alimentazione particolare.Lasciando tutti indifferenti di fronte alla circostanza che l’art.7 del D.L.vo 111/92 (commercializzazione dei prodotti) pre-vede l’informazione al Ministero della salute mediante tra-smissione di modello di etichetta. L’approvazione esplicitadella quale non costituisce conditio sine qua non in virtùdella formula del silenzio assenso (Decr. Minisalute 7 mag-gio 2004). L’approvazione è pacifica per i prodotti prove-nienti da altro Stato membro (o da uno Stato terzo) dovesiano già posti in commercio. Unica condizione, la comuni-cazione al Ministero dell’”autorità destinataria della primacomunicazione” che resta sempre sconosciuta perché ilproduttore comunitario (tanto meno quello del Paese terzo)non ha a chi rivolgersi per il semplice motivo che non esistel’autorità preposta, malgrado la Direttiva 89/398/CEEespressamente la preveda in tutte le lingue della Comunità.Tutto ciò a comprova che, in generalità, non è solo alnostro Paese che bisogna imputare la mancanza di zelo neirecepimenti e/o l’inosservanza delle disposizioni comunita-

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rie. Ben altro è il campo di applicazione del D.L.vo 111/92vista la materia complessivamente disciplinata dall’art. 1 edifferenziata nei tre commi che lo compongono .In questo capitolo non può mancare un cenno a quella chesi delinea come un nuovo genere di etichettatura, questa subase volontaria. Mi riferisco all’etichettatura nutrizionale cheva sotto l’acronimo GDA (“Guideline Daily Amount”) chenella nostra lingua suona “Quantità Giornaliere Indicative”.Per definizione le GDA rappresentano la quantità approssi-mata di calorie e nutrienti per una persona adulta media,calcolate sulla base di una dieta giornaliera di 2000 kcal. Ifabbisogni individuali ovviamente variano in funzione delsesso, dell’età, dell’attività fisica e di altri fattori, fra i qualibisogna annoverare quelli genetici. Secondo le intenzioni, ilconsumatore potrà scegliere con maggiore consapevolezzasenza sacrificare le sue preferenze valutando i “rischi” peril suo benessere sulla base delle quantità dell’alimento cheintende introdurre nella sua dieta. Aspettiamo con ansia.

4.- Il Reg. n. 1924/2006 sulle indicazioni nutrizionali e sullasalute

Come l’etichettatura nutrizionale segnò l’età dell’oro per glialimenti dalle qualità più vantate che dimostrate, cosi ilRegolamento 1924/06 (“Indicazioni nutrizionali e sulla salu-te fornite sui prodotti alimentari”) provocò l’assalto alla dili-genza. Si trattava di legittimare claims nutrizionali “nonconformi” all’allegato al regolamento stesso (in pratica al difuori di qualsiasi contesto normativo in materia di etichetta-tura) approfittando della possibilità offerta dall’art. 28(recante le misure transitorie) di commercializzare i prodot-ti così etichettati anteriormente al 1 luglio 2007 (data diapplicazione del regolamento) fino alla data di scadenzama non oltre il 31 luglio 2009. Non solo ma vi fu anche chipensò di bruciare i tempi uscendo sul mercato, con grandebattage pubblicitario, con una serie di prodotti di comuneconsumo (pani, biscotti, snack, fiocchi e barrette di cereali,bevande a base di frutta e vegetali) ma integrati di ingre-dienti avveniristici e caratterizzati da claims salutistici enutrizionali sebbene privi di specifica valutazione da partedell’EFSA (European Food Safety Autorithy). Il produttoreevidentemente reputò sufficiente il ricorso alla collaudataprocedura di notifica di cui all’art .7 del D.L.vo 111/92,tenendo in non cale gli avvertimenti del Ministero dellaSalute, Direzione Generale della Sicurezza degli Alimenti edella Nutrizione, versati nella sua circolare del 15 marzo2008 per porre un argine al dilagare di “abusi in termini dietichettatura e pubblicità” in assenza di validazione deiclaims. Concludeva la circolare che in caso di inottempe-ranza si sarebbe proceduto alla segnalazione all’Autoritàgarante per la Concorrenza e del Mercato. Il che puntual-mente si materializzò in un provvedimento della stessaAutorità che giudicava scorretta detta “pratica commerciale”ai sensi degli articoli 20 e 21 del Codice del Consumo e nevietava l’ulteriore diffusione.

Dunque, concludendo sul punto, l’EFSA, cui è demandato ilcompito di verificare se l’indicazione sulla salute sia confor-tata da prove scientifiche, ha bocciate ad oggi il 90% diquelle ricevute per essere validate. Vedremo quante neresteranno al termine della falcidia.Ma assieme ai claims salutistici e nutrizionali non validati,occorre citare un caso che rientra nel contesto delle soleindicazioni nutrizionali quali sono quelle normate nell’alle-gato al regolamento 1924/2006 in esame. Riguarda unrecente provvedimento dell’Autorità Garante che giudicafattispecie di pubblicità ingannevole il claim “senza zucche-ri aggiunti” riferito ad omogeneizzati di diversi tipi di fruttacontenenti una certa quantità di mela, pur dichiarata fra gliingredienti. Il focus dell’inganno, individuato nell’ingredien-te-mela (naturalmente caratterizzato da considerevole con-tenuto zuccherino), non è stato condiviso dal TAR del Lazioche, accogliendo il ricorso del produttore, ha annullato ilProvvedimento dell’Autorità. A mio giudizio, da entrambi glielaborati, pur fondati su dotti anche se opposti pareri tecni-ci, non emerge una semplice circostanza che, di per sérende inoppugnabile la responsabilità del produttore. E cioèche l’allegato al Regolamento 1924/2006 prevede il caso inquestione. Infatti se l’alimento contiene naturalmente zuc-cheri allora si rende obbligatoria l’indicazione “contienenaturalmente zuccheri”. Ma questa, evidentemente nongarbava al responsabile del marketing. La discussione delcaso potrebbe non esaurirsi qui a seconda che si considerila seconda indicazione (“contiene naturalmente zuccheri”)aggiuntiva o non piuttosto sostitutiva della prima (“non con-tiene zuccheri aggiunti”). La mia opinione è che debba con-siderarsi “aggiuntiva”, opinione dettata da ragioni d’ordinelogico-sistematico. Basti pensare che nell’allegato, costitui-to da un elenco di ben 24 indicazioni nutrizionali provvisteognuna di titolo specifico ad un testo che reca una disposi-zione autonoma, solo quella di cui al titolo “non contienezuccheri aggiunti” non è autonoma in quanto condizionatadall’obbligo dell’indicazione della seconda, nel caso in cui,l’alimento contenga appunto naturalmente zuccheri.E’ un esempio di come il tema “etichettatura”, inscindibiledal tema la “pubblicità”, come detto nell’introduzione di que-sto articolo, costituisca materia assai impegnativa sotto ilduplice profilo tecnico e culturale.

5.- Presentazione e pubblicità

Dire che la presentazione di un prodotto, a qualunquegenere appartenga, gioca un ruolo fondamentale nell’in-fluenzare la scelta dell’acquirente, è dire cosa ovvia. Nelcaso dei prodotti alimentari il contributo di grafici e designer(i creativi in senso lato) a realizzare forme e dimensionidella confezione, scegliere colori, studiare immagini, utiliz-zare materiali (tutto quel che con brutto neologismo si defi-nisce “abbigliaggio”), nonché a “posizionare” indicazioni(denominazione di vendita, modalità d’uso, di conservazio-ne, di shelf life, di ingredienti) e inventare claims suggestivi,

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tutto questo concorre in modo speciale per un prodotto ali-mentare a creare il bisogno (o il desiderio come si vuole) equindi decidere all’acquisto. Solo uno specialista conoscel’importanza di concentrare sulla faccia principale della con-fezione, in fantasmagorica evidenza, tutti gli artifici grafici elessicali possibili ad illustrazione di qualità e caratteristicheche solo un attento e smagato censore è in grado di dimo-strare in netta contraddizione con quanto riportato in ridot-tissima evidenza sul retro e/o sulle fasce laterali. L’inganno così costruito è ancor più patito nel caso di pro-dotti composti, elaborati o trasformati in cui la caratteristicavantata si basa sulla presenza fra gli ingredienti di un pro-dotto DOP. Tali prodotti composti sono legittimati dal D. L.vo19 novembre 2004 n. 297 purché in ottemperanza alla sem-plice disposizione che gli stessi risultino inseriti in appositoregistro attivato, tenuto e aggiornato dal Consorzio che haconcesso l’utilizzo della DOP. In assenza di apposita dispo-sizione disciplinatrice della etichettatura di prodotti siffatti,sembra chiaro che debbano essere osservate le norme dicui al D.Lvo 109/92. Ma così non é.Vale il presente caso per annotare la straordinarietà rappre-sentata dai Consorzi di Tutela di DOP e IGP che si conside-rano legibus soluti dalle disposizioni generali per il fatto diritenersi obbligati, in via esclusiva, al rispetto del disciplina-re di cui si sono autonomamente dotati. Rispetto tanto piùagevole quanto più gli stessi disciplinari sono soggetti amodifiche su richiesta degli stessi Consorzi, richieste pun-tualmente accolte e modifiche acriticamente poste subitosotto protezione transitoria dal dicastero competente(Mipaaf). Una sorta di limbo sul quale i Consorzi fannoconto perché agevola modifiche a catena in coincidenzacon le contingenti necessità di bottega. Niente di più defini-tivo del transitorio dunque, grazie al patto non scritto fraproduttori e amministrazioni (comunitarie comprese). Hoaperto questo inciso perché illumina la scena sulla qualesono esibiti taluni prodotti contenenti DOP anch’essi dimo-strativi della disinvoltura che regola il modo di condursi deiConsorzi anche in tema di etichettatura, presentazione epubblicità. Due casi al proposito mi sembrano emblematici.Il primo riguarda un formaggio fuso confezionato invaschetta del quale viene taciuta la qualità di “fuso”.L’appetibile consistenza cremosa non è ottenuta con unaparticolare tecnologia (esempio omogeneizzazione) masemplicemente con un sale di fusione (ammesso fra gliadditivi e del resto dichiarato fra gli ingredienti). Non solo.Ma con vistosa grafica e colorita immagine riportate (secon-do la collaudata prassi) sulla faccia principale della vaschet-ta, gli si attribuisce la denominazione “crema di….” raffor-zandone la qualifica e identificandone la natura come origi-nata da quella pregiatissima DOP. Ma non in toto, comelasciano intendere denominazione e figura, bensì nellacontenuta proporzione (dichiarata fra gli ingredienti) del50%, con ciò a un tempo consumando l’inganno e contrav-venendo alla disposizione dell’art. 7 della Convenzione diStresa (recepita con D.P.R. 18 novembre 1953, n. 1099),

che pretende l’impiego in fusione al minimo del 75% delformaggio protetto da denominazione d’origine.Il secondo caso riguarda marche diverse di formaggio fusoa spicchi, dove il formaggio pregiato della DOP é contenu-to in ragione del 25%. La circostanza è anch’essa enfatiz-zata sulla faccia principale della scatola, con denominazio-ne e raffigurazione studiate, con la differenza che alcunemarche collocano tale ingrediente (caratterizzante quant’al-tri mai) al primo posto in ordine di quantità decrescentementre altre lo collocano al secondo. Sotto il profilo pubbli-citario l’inganno è evidente, come è evidente il vantaggiosul profitto che ne trae il produttore che mette al primoposto un altro ingrediente di minor pregio e costo.Stanti così le cose e dato che interviene apposita conven-zione tra il produttore che utilizza la DOP ed il Consorzioche la concede, tanto più che più i prodotti derivati devonoessere, come già richiamato, iscritti in apposito registrotenuto dal Consorzio, ne consegue che questi avalla la rela-tiva “etichettatura” con tutto quel si comprende in questotermine. La domanda allora è: può il Consorzio ritenersiesente da responsabilità per quanto attinente l’etichettatu-ra? Domanda retorica cui consegue risposta retorica seaffermo che si, il Consorzio è responsabilmente coinvoltocon il produttore utilizzatore.

6.- Responsabilità del produttore e del distributore. Artt. 13,12 e 19 Legge 283/62. Art. 515 c.p.

Riprendiamo le mosse dal secondo obiettivo di cui alla pro-posta di regolamento della Commissione Ce citato e cioè:

“b) the clarification of the responsabilities regarding foodlabelling for different food business operators along thesuppling chain”.Pacifica la responsabilità in capo al produttore (o dei titola-ri del brand name o private label che sia) non fu altrettantopacifica l’individuazione delle norme punitive. Il focus deldibattito consisteva nell’applicazione dell’art. 2 del D.L.vo109/92 in luogo dell’art. 13 della Legge 30 aprile 1962 n.283 (escluso dalla depenalizzazione, Legge 24 novembre1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale”) a ragione delfatto che entrambi riguardano fattispecie sostanzialmenteidentiche. Il contrasto interpretativo trovò soluzione nel cri-terio di cui all’art. 9 (“Principio di specialità”) della stessaLegge 689/81 che fece prevalere la sanzione amministrati-va a norma dell’art. 18 dello stesso D.L.vo 109/92. Da quil’ordinanza ingiunzione di cui all’art. 18 della Legge 689/81e la conseguente facoltà per l’interessato di presentare i giàcriticati “scritti difensivi”. Permane irrisolta - da qui ritengo la proposta dellaCommissione - l’individuazione delle responsabilità dei sog-getti operanti lungo la catena distributiva. Per questo, non acaso, ho collocato vicini nel titolo di questo capitolo gli artt.12 e 19 della Legge 283/62. Il primo riguarda il divieto diintrodurre nel territorio della Repubblica sostanze destinateall’alimentazione non rispondenti ai requisiti della Legge

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(sanzione amministrativa pecuniaria) e sanzione penale(art. 6 stessa legge) nel caso di sostanze destinate al com-mercio. La seconda fattispecie è quella che interessa nelcontesto “etichettatura” che necessita di essere considera-ta coordinatamente all’art. 19, che vale il caso di riportaretestualmente: “Le sanzioni previste dalla presente leggenon si applicano al commerciante che vende, pone in ven-dita o comunque distribuisce per il consumo prodotti in con-fezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescri-zioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinseci o lacomposizione dei prodotti o le condizioni interne di recipien-ti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza dellaviolazione o la confezione originale non presenti segni dialterazione”.Di questo dettato ci interessano la nozione di “commercian-te” e la nozione di “requisiti intrinseci” in contrapposto aquella di “requisiti estrinseci”:Sulla nozione di “commerciante”. E’ da ritenere che il legi-slatore dell’ormai lontano 1962 si riferisse al commercianteal dettaglio, attribuendogli la sola responsabilità dell’offertain vendita di prodotti in confezioni originali che presentasse-ro segni di alterazione (requisiti estrinseci ). Non si potevainfatti presumerlo dotato di una professionalità che lo met-tesse in condizione di valutare la corrispondenza degli stes-si alle complesse norme regolatrici l’etichettatura. Anche sel’etichettatura, di per se stessa, è da considerarsi fra i requi-siti estrinseci (anche qui nel senso di ciò che è “esterno”). Ma da allora, sia pure con lenta progressione, si è consoli-data una giurisprudenza che configura la responsabilitàanche in capo al distributore. Sia esso importatore-distribu-tore, così definito per comodità lessicale il soggetto operan-te in ambito comunitario sia il grossista-distributore cheopera in ambito nazionale come la GDO (GrandeDistribuzione Organizzata). Ed ecco che quel che fino adoggi ha riguardato, in modo pressoché esclusivo, la respon-sabilità sulla rispondenza alle condizioni igienico-sanitarieoltre che all’idoneità merceologica (sia delle derrate, sia deiprodotti finiti confezionati) si deve estendere al complessonormativo compreso nel trinomio etichettatura-presentazio-ne-pubblicità. Per ora è solo un auspicio perché sussistonodubbi interpretativi che generano resistenze applicative daparte degli organi istituzionalmente incaricati della vigilan-za. Sebbene appaia di tutta evidenza che la nozione di“operatore del settore alimentare” compresa nell’art. 3comma 1. del Reg. CE 178/2002 (“la persona fisica o giuri-dica responsabile di garantire il rispetto delle disposizionidella legislazione alimentare nell’impresa alimentare sotto ilsuo controllo”) coordinata con la nozione di “impresa ali-mentare” compresa nel comma 2 dello stesso art. 3 (“ognisoggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, chesvolge una qualsiasi attività connessa ad una delle fasi diproduzione, trasformazione e distribuzione di alimenti”)conduca a concludere sul coinvolgimento del distributore-rivenditore specie quando trovasi al livello imprenditorialedella Grande Distribuzione. La quale, proprio per dimensio-ne e complessità di attività deve ritenersi dotata di quella

professionalità capace di valutare anche l’idoneità legaledel contesto normativo oggetto della presente disanima. Ma in questo contesto bisogna registrare con favore - alme-no questa è la mia convinzione - il ritorno dell’art. 515 c. p.(“Frode nell’esercizio del commercio”), che vedrei corrobo-rato dall’art. 517 c.p. (“Vendita di prodotti industriali consegni mendaci”). E’ il caso dei prodotti composti contenentiuna DOP e coinvolgimento dei Consorzi di tutela.Due recenti sentenze di Cassazione aprono il nuovo scena-rio che, a ben vedere, è un ritorno al passato.La prima riguarda il caso del sequestro di una partita di con-fezioni di prodotto denominato “Cocktail reale” costituito dauna miscela di miele, pappa reale, propoli, che sulla confe-zione recava la dicitura “miscela di preziosi doni dell’alvea-re”, sequestro confermato dal primo giudice. Il ricorso perCassazione, tendente all’annullamento del provvedimentodi sequestro, è stato respinto disattendendo l’assunto difen-sivo secondo il quale alla fattispecie andava applicata ladisciplina di cui all’art. 2, comma 1 del D.L.vo 109/92 conconseguente irrogazione della sanzione amministrativa exart. 18 dello stesso decreto legge. Al riguardo, si legge insentenza, va ribadito che tra la previsione di cui all’art. 2D.L.vo 109/92 e l’art. 515 c.p., che tutela il corretto svolgi-mento dell’attività commerciale, non sussiste alcun rappor-to di specialità ex art. 9 Legge 689/81 stante il diverso ambi-to di operatività delle due disposizioni.La seconda sentenza riguarda il caso di carni inscatolatepubblicizzate a mezzo di inserzioni su quotidiani come otte-nute da bovini allevati in Italia e risultate invece carni prove-nienti da Paese comunitario. Essa conclude per l’annulla-mento con rinvio sulla base del presupposto che nell’art.515 c.p. il termine “dichiarato” prevale, in tema di prodotticonfezionati la cui vendita al consumatore finale non ècaratterizzata da un momento contrattuale, sul termine“pattuito”. Tale interpretazione della fattispecie criminosadell’art. 515 c.p. – conclude la Corte - non appare in contra-sto, per il principio di specialità, con la normativa di pubbli-cità ingannevole dettata dal D.L.vo 25 gennaio 1992 n.74.

7.- Considerazioni finali

Il contenuto del presente lavoro è certamente da conside-rarsi limitato. Ciò nel senso che la materia trattata, perquanto oggetto di attento esame critico, meriterebbe benpiù diffuse citazioni di casi che hanno trovato conclusione inuna giurisprudenza a volte condivisa a volte necessitante diulteriori approfondimenti. A questi casi si aggiungono gli altriche il mercato ci offre in tumultuosa apparizione a dimostra-zione dell’intraprendenza dell’industria in coincidenza conl’inadeguatezza dei controlli. Parlo di inadeguatezza cultu-rale di cui si deve fare addebito, è bene precisarlo, ai soliorgani periferici ai quali, tuttavia, non si può chiedere dientrare in competizione dialettica con i mostri sacri delleagenzie di pubblicità. Il livello culturale del confronto è invecepareggiato nei casi d’interventi d’autorità sia diretti sia per

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sollecitazioni della concorrenza. Fra le autorità istituzionaliz-zate prevalenti sono i contributi della Direzione Generaledella Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione del MinisteroSalute, la collaborazione della quale è di sovente richiestadall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.Quest’ultima vanta un palmares di provvedimenti di alto valo-re tecnico e giuridico. In questo favorita dal diritto, di cui godeper legge, di corrispondere con le pubbliche amministrazionied enti di diritto pubblico per avere notizie, informazioni eassistenza per l’adempimento delle sue funzioni. E’ dunque su queste istituzioni che possiamo confidarequando si tratti della tutela di interessi diffusi come di quellisoggettivi a salvaguardia della leale competizione commer-ciale. Perché è in queste sedi che il confronto diventa aureovedendo coinvolti i diretti soggetti interessati: operatori eco-nomici e operatori pubblicitari.Infine il “consumatore medio”. Allergizzante espressioneche non trova un suo significato neppure attraverso le con-torsioni tautologiche riportate in giurisprudenza e in testinormativi. Riprenderli tutti comporterebbe una ricognizionetroppo minuziosa. Ci basti sapere che il Codice delConsumo cita più volte questa figura ectoplasmatica senzatuttavia (giudiziosamente) dettarne la nozione. L’ultima,che è anche la più articolata e complessa, è contenuta nel16° considerando del Reg. 1924/2006 che, riferendosi allesentenze della Corte di Giustizia Ce in materia di pubblicitàingannevole e comparativa, avverte che “il presente regola-mento prende come parametro il consumatore medio, nor-malmente informato e ragionevolmente attento ed avvedu-to, e tenuti presenti i fattori sociali, culturali e linguistici” conla cautela che “il criterio del consumatore medio non è uncriterio statistico”. (E meno male!).Un marketing research saprebbe offrire del consumatoremodelli a decine (ma non necessariamente utili al giurista)perché la scuola dell’economia dei consumi gli ha insegna-to a sezionare l’universo antropologico in fasce di individuidistinti per età, sesso, condizione socioeconomica, gusti,tradizioni. Il che gli consente di modulare “modelli” applica-

bili di volta in volta alle collaudate tecniche di offerta del pro-dotto che gli viene commissionato di promuovere. La realtà è che si esige dai cittadini (utenti, consumatori)una universalità di conoscenze che faticano a trovar postonella nostra anima prima ancora che nella nostra mente. E’questo il conto che ci presenta la civiltà dei consumi (osocietà del benessere come ad alcuni piace chiamarla) checi garantisce su tutto attraverso la pubblicità salvo poi gra-tificarci di ignoranti se ne siamo ingannati.Per cui è da concordare con la definizione di L. L. Levinsonnel suo “The left handed dictionary”: consumatore, uno checrede nella pubblicità.

Fonte normativa ALIMENTALEX – Raccolta su CD dellalegislazione alimentare nazionale e comunitaria, consultabi-le on line su www.scienzaediritto.com

ABSTRACT

The labelling of foods packaged for the final consumer is avery important medium for advertising promotion. Thereforein the complex contest of labelling, the packaging (form,dimension, colour) and the information written on the frontof it (that are often in contradiction with the information writ-ten on back or on lateral sides) are of great importance. Theauthor cites several cases of deceptive labelling with partic-ular reference to nutritional labelling and claims ruled byReg. Ce n. 1924/06 that hasn’t practically found application.Referring to regulation proposal 30 January 2008 ofCommission, the author develops one of the most impor-tant aspects of this proposal, that refers to clarification ofthe responsibilities regarding food labelling for the differentfood business operators along the supply chain.

Disciplina doganale dei prodotti alimentari

Walter Sbandi*

1.- Unione doganale e PAC

Nell’ambito della istituzione dell’Unione europea una dellepietre miliari è stata l’Unione doganale che, tra l’altro, haprevisto l’abolizione dei dazi doganali alle frontiere interne,creando un sistema uniforme di imposizione sulle importa-zioni. Negli scambi con i paesi non appartenenti ad essa èstata fissata una tariffa doganale comune (TDC), sostitutivadelle preesistenti tariffe nazionali e applicata a tutte le mercioggetto di interscambio tra la Comunità e il resto delmondo. L’unione doganale costituisce, dunque, l’elementoportante dell’intero mercato comune e la chiave di volta diun modello economico che, grazie all’allargamento progres-sivo del mercato interno ai diversi settori, realizza l’integra-zione economica del continente europeo.L’agricoltura è senza dubbio il settore economico in cui ilprocesso di integrazione ha avuto luogo in profondità. Nel1962 i sei Stati membri della Comunità economica europea,allora in disavanzo per la maggior parte delle rispettive pro-duzioni agricole, decisero di sviluppare una politica agrico-la comune (PAC), i cui obiettivi erano già stati fissati dalTrattato di Roma: l’aumento della produttività; un adeguatotenore di vita delle comunità rurali; la stabilizzazione deimercati di settore; la sicurezza delle forniture, la garanzia diprezzi accessibili per i consumatori. I prodotti alimentari sono stati oggetto di una regolamenta-zione doganale armonizzata che, se da un lato ha sottrattoalla sovranità nazionale dei paesi membri le decisioni sulleproduzioni alimentari “sensibili”, dall’altro ha permessoall’Unione europea di realizzare il surplus alimentare ediventare uno dei maggiori competitori a livello mondialenegli scambi dei prodotti agricoli di base. Il successo delmercato comune è stato raggiunto con meccanismi di rego-lamentazione dei prezzi e dei mercati che si basano sulleorganizzazioni comuni di mercato (OCM) per i singoli pro-dotti alimentari. Ogni prodotto o gruppo di prodotti è ogget-to di una regolamentazione di mercato per orientare la pro-duzione, favorire la stabilizzazione dei prezzi e garantire lasicurezza degli approvvigionamenti. Le OCM sono stateistituite nel 1967 per i cereali, frutta e verdure, carni suine,uova e pollame; nel 1968 per i prodotti lattiero-caseari, carnibovine e prodotti ortofrutticoli; nel 1970 per il vino, il lino ela canapa; dal 1971 per i mercati del luppolo, sementi, coto-

ne, tabacco. Il finanziamento è assicurato dal FondoEuropeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA), lecui risorse sono costituite dai prelievi obbligatori, i dazidoganali riscossi alle frontiere esterne, una percentualedell’IVA di ciascuno Stato membro (dal 1971) e una risorsacomplementare basata sul PNL (dal 1994). Il FEOGAsostiene i prezzi agricoli attraverso la solidarietà finanziaria(risorse per le spese comuni e non sulla base di contributidegli Stati membri), l’installazione di giovani agricoltori, ladiversificazione delle attività nelle zone rurali.Nel corso di una generazione, la PAC ha fornito ai consu-matori prodotti alimentari di qualità a prezzi accessibilidurante tutto il corso dell’anno, ha permesso all’agricolturaeuropea di modernizzare i mezzi di produzione e di aumen-tare la produttività nei diversi settori, impiegando sempremeno manodopera. La Comunità, originariamente in disa-vanzo, è riuscita a garantire quasi interamente il suoapprovvigionamento per tutti i prodotti agricoli e a produrre,a partire dagli anni ‘70 e ’80, eccedenze in diversi settori(latte, vino, cereali, carni bovine) che il mercato non è riu-scito più ad assorbire se non al prezzo di costi di smaltimen-to sempre più gravosi.

2.- Riforma della PAC

Il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura dell’Unione Europeaha perciò approvato, nel corso della riunione del 26 giugno2003 a Lussemburgo, la riforma della Politica agricolacomune – “riforma Fischler”, dal nome dell’alloraCommissario all’agricoltura dell’Ue – resa concreta daiRegolamenti (CE) nn. 1782/03 e 1783/03 del Consiglio.Fino all’inizio degli anni novanta, la PAC era basata su unapolitica di sostegno dei prezzi. Lo schema utilizzato per i piùimportanti prodotti alimentari consisteva nella possibilità divenderli alla Comunità europea ad un prezzo prefissato(“prezzo di intervento”). Il quadro di misure era completatoda una protezione tariffaria, finalizzata a limitare le importa-zioni, e da un sistema di aiuti alle esportazioni, inteso adagevolare il collocamento delle eccedenze sui mercati terzi.Essendo il modello entrato in crisi per la crescita eccessivadella produzione alimentare stimolata dalla fissazione diprezzi d’intervento elevati, il sostegno indiretto é stato pro-gressivamente integrato, ed in parte sostituito, da una poli-tica di aiuti diretti al reddito degli agricoltori, introdotti sularga scala per i cereali e le carni bovine. Per alcuni prodot-ti alimentari i prezzi di intervento sono stati eliminati e l’am-montare delle restituzioni ridotto sensibilmente. Per descri-vere sinteticamente questa evoluzione della PAC, si puòdire che l’onere di sostenere gli agricoltori é stato trasferitodal consumatore al contribuente. Di riflesso, il reddito dei

(*) L’autore è dirigente nell’Ufficio applicazione tributi della Direzione generale dell’Agenzia delle Dogane. Le opinioni espresse nel pre-sente lavoro sono esclusivamente personali e non sono riconducibili all’Agenzia, né rappresentano la posizione di alcuna delle sue strut-ture od uffici.

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produttori, che prima era assicurato essenzialmente dalprezzo incamerato per i prodotti venduti, é sempre piùdipendente dagli aiuti, secondo uno schema oggettivamen-te assistenziale.Complessivamente, dal 2004 le misure adottate hannomodificato le modalità di finanziamento dei settori agricolicomunitari e garantito la protezione dell’ambiente e dei con-sumatori attraverso svariati meccanismi: il cosiddetto“pagamento unico per azienda”, indipendente dalla produ-zione (anche se il legame tra gli aiuti e la produzione è con-servato in alcuni casi); l’istituzione di un meccanismo didisciplina finanziaria per rispettare il bilancio agricolo fino al2013; la subordinazione del pagamento al rispetto dell’am-biente; il rafforzamento dello sviluppo rurale; la riduzionedei pagamenti diretti (“modulazione”) per le grandi aziendeagricole; la revisione della politica di mercato. Con i mecca-nismi della riforma la PAC può contare su un quadro finan-ziario certo fino al 2013 che consente di affrontare con con-vinzione la via del rinnovamento, in coerenza con gli obiet-tivi sopraindicati.

3.- Disciplina doganale dei diversi settori alimentari nell’UE

La disciplina doganale e tariffaria dei più importanti prodot-ti alimentari che circolano in ambito UE varia a seconda deltipo di prodotti considerati. Per i cereali, l’OCM determina un regime di sostegno dei“seminativi” che comprende, oltre alle categorie dei cereali,anche quelle dei semi oleosi, delle piante proteiche e dellepiante tessili. In questo ambito, l’ aiuto viene erogato inbase alla superficie coltivata e varia in funzione della resadella regione. Le superfici ammissibili all’aiuto sono contin-gentate e ripartite tra tutti gli Stati membri. Se il tetto dellesuperfici del territorio per cui si chiede l’ aiuto vengonosuperate, l’aiuto è ridotto proporzionalmente. La protezionetariffaria è basata su dazi variabili, mentre le restituzionisono calcolate settimanalmente sulla base del differenzialedei prezzi tra mercato interno e mercato mondiale. LaFrancia, maggior produttore europeo, è il principale benefi-ciario delle restituzioni per i cereali.Nel settore dello zucchero la produzione è regolamentatadall’OCM con un sistema di quote (A, B, C), ripartite tra gliStati membri. La produzione ottenuta nel quadro dei contin-genti A e B può essere commercializzata sul mercato inter-no o, se esportata, beneficiare di restituzioni all’ esportazio-ne. Lo zucchero del contingente C può essere vendutoesclusivamente sul mercato mondiale, senza restituzione. Ilsistema inoltre prevede un autofinanziamento, basato su unmeccanismo di prelievi alla produzione. L’offerta di zucche-ro sul mercato comunitario risulta in ogni caso eccedenta-ria. Ciò comporta la necessità di consistenti sostegniall’esportazione, dato il forte differenziale di prezzo tra mer-cato interno e mercato mondiale. La situazione di ecceden-za è anche determinata dalle importazioni di zucchero pre-ferenziale, effettuate nel quadro di protocolli preferenziali

con i paesi ACP, dai contingenti a dazio speciale e dallaclausola della nazione più favorita.L’OCM della frutta e degli ortaggi è stata riformata nel ‘96quando sono stati eliminati quasi totalmente gli strumenti dimercato che si sostanziavano, fino ad allora, nei ritiri delleeccedenze a “prezzo di intervento” e conseguente distru-zione del prodotto. Con il nuovo regime si è voluto migliora-re l’ equilibrio tra offerta e domanda, concentrare l’offerta eridurre il problema delle eccedenze. A tal fine è stato raffor-zato il ruolo delle Organizzazioni di Produttori (OP), chegestiscono i fondi comunitari con cui si sovvenzionano ifondi di esercizio. La protezione tariffaria varia da prodottoa prodotto ma generalmente è molto più bassa di altre cate-gorie. Molti degli accordi bilaterali, in particolare con i Paesidel bacino mediterraneo, hanno di fatto annullato i dazicomunitari all’importazione. Resta in vigore il “prezzo dientrata” che definisce un prezzo minimo di importazione, aldi sotto del quale viene applicato un dazio compensativo.Le esportazioni possono beneficiare di restituzioni all’espor-tazione, nei limiti quantitativi e monetari definiti dagli accor-di stipulati in sede di WTO.Per quanto riguarda l’OCM del vino, di rilevanza fondamen-tale anche per l’economia italiana, lo strumento di gestionedel mercato è la distillazione, che consente di eliminare leeventuali eccedenze produttive. Dal punto di vista dellemisure strutturali sono previsti aiuti alla riconversione ed allaristrutturazione del territorio, per migliorare la qualità deivigneti destinati alla produzione di vini di qualità. Circa ilregime tariffario, come per tutti gli altri prodotti, i dazi doga-nali sono stati ridotti a seguito dei negoziati dell’UruguayRound. Solo alcuni prodotti possono beneficiare di restitu-zioni all’esportazione. Secondo gli accordi di Marrakech, leesportazioni con restituzione di vini da tavola sono soggettea restrizioni, anche di carattere economico. Il problema prin-cipale negli scambi con i Paesi terzi è quello del riconosci-mento reciproco dei marchi e delle denominazione di origi-ne. In proposito il negoziato con gli USA è in corso da unventennio e non sembra ancora avviato ad una conclusione.Gli strumenti di mercato dell’OCM del latte prevedono ilpubblico stoccaggio di burro e latte scremato in polvere(LSP), aiuti allo stoccaggio privato di burro e formaggi eaiuti stagionali in presenza di squilibri di mercato. Aiuti allaproduzione sono erogati per lo smaltimento di eccedenze diLS ed un aiuto speciale è previsto per il LS destinato all’ali-mentazione animale. Le quote latte in vigore dal 1984 costi-tuiscono uno strumento di contingentamento della produ-zione, sulla base di quote nazionali assegnate individual-mente ai produttori, deciso per frenare le eccedenze di pro-duzione createsi soprattutto nel nord Europa come conse-guenza di un regime molto favorevole. La protezione tariffa-ria è relativamente poco importante per il latte, difficilmentetrasportabile su lunghe distanze. Le restituzioni all’esporta-zione sono invece importanti per sostenere le vendite deiprodotti comunitari sui mercati dei Paesi terzi (USA, in par-ticolare).Il regime di sostegno delle carni prevede un aiuto per ogni

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capo allevato, a condizione di rispettare determinati coeffi-cienti di densità, e sempre nel limite di contingenti naziona-li. In Italia la conformazione del territorio non favorisce lapresenza di aziende estensive, e questo è il motivo per cui,di fatto, i produttori italiani ricevono minore sostegno rispet-to ad altri allevatori. La protezione tariffaria è ancora moltoelevata, rispetto ad altri prodotti, ed in tutti gli accordi com-merciali la carne bovina è stata esclusa dalle concessionitariffarie in quanto considerata prodotto “sensibile”. Gli unicicontingenti tariffari sono limitati a qualità particolari. Al difuori di questi contingenti i dazi rendono di fatto proibitive leesportazioni verso l’UE.In ultimo, è necessario ricordare la disciplina dell’OCM del-l’olio di oliva, la quale (fino alla riforma introdotta con il rego-lamento CE n. 864/2004) prevedeva la concessione di unaiuto finanziario per ogni chilogrammo di olio prodotto. È fis-sata una Quantità Massima Garantita (QMG) di prodottoche può beneficiare dell’aiuto, ripartita, a seconda delle sin-gole peculiarità, tra gli Stati membri in Quantità NazionaliGarantite (QNG). In caso di superamento della QNG l’aiutounitario viene ridotto in proporzione. È previsto un regime diaiuto per lo stoccaggio privato, in presenza di prezzi parti-colarmente bassi. Esistono inoltre misure di etichettatura,che garantiscono in modo rigido l’origine del prodotto, misu-re di miglioramento della qualità e misure di promozione delprodotto, sia all’ interno dell’UE che nei Paesi terzi. La pro-

tezione tariffaria si situa a 1.22 €/kg. Un contingente tariffa-rio a dazio zero è previsto per i prodotti provenienti da alcu-ni paesi come la Tunisia e il Libano. Le restituzioni all’espor-tazione sono previste, ma di fatto sono fissate a zero da varianni a causa dei bassi prezzi interni.

4.- Disciplina dei prodotti alimentari a livello multilaterale

Al livello multilaterale, il programma dei lavori del Consigliodell’Unione Europea ha tenuto conto, in via prioritaria, delseguito da dare alla riforma della PAC, in particolare, perquanto riguarda il completamento del processo di riformaper le OCM dei prodotti mediterranei. Sono infatti numero-se le organizzazioni comuni di mercato che non facevanoparte della proposta generale di riforma presentata nel gen-naio 2003 dalla Commissione europea. Si tratta dell’olio dioliva, del cotone e del tabacco, nonché dello zucchero, dellino e della canapa, del luppolo, dell’ortofrutta e del vino.Non è possibile giustificare una politica agricola comuneche non presti la dovuta attenzione al diritto di tutti i produt-tori di ottenere certezza sul proprio futuro. È stato pertantonecessario estendere anche alle ricordate OCM gli obiettividella riforma della PAC miranti a dare prospettive economi-che di lungo termine per un’agricoltura comunitaria sosteni-bile.Essenziale allo sviluppo dell’agricoltura comunitaria è poi laripresa del nuovo negoziato multilaterale del World TradeOrganization (WTO). Alla luce delle conclusioni del DohaRound, il nuovo negoziato multilaterale in corso dovrebbe

progredire sulle tematiche commerciali e tariffarie relative alcapitolo agricolo. Purtroppo, sette anni dopo l’inizio dell’at-tuale round negoziale sul commercio internazionale, le trat-tative hanno registrato un ennesimo stallo ancora una voltaal tavolo dell’agricoltura e, in particolare, davanti alle diffe-renze di posizione tra India e Cina da un lato e Stati Unitidall’altro rispetto alle nuove proposte di regolamentazionee, in particolare, alle misure speciali di salvaguardia (SSM)dei prodotti agricoli. In particolare, tali misure consentono aipaesi di proteggere i propri settori agricoli da sostanzialiincrementi delle importazioni attraverso l’imposizione dispeciali ed elevate barriere doganali. In ogni caso, le proposte discusse a Ginevra non avrebbe-ro di fatto generato alcun beneficio per la maggior parte deipaesi in via di sviluppo, compreso il gruppo dei paesi menosviluppati (Least Developed Countries), che sarebberodovuti essere i veri beneficiari dell’attuale round negoziale,chiamato proprio round dello “Sviluppo”. Le richieste deipaesi più poveri sono state ufficialmente messe da partequando si è cercato di trovare una soluzione allo stallonegoziale, restringendo le discussioni ai sette principalipaesi (comprendenti solo i maggiori paesi in via di sviluppoquali Brasile, India e Cina).In questo contesto, il ruolo negoziale dell’Unione europea ela sua capacità economica e politica di costruire alleanzedovrebbero essere utilizzati per rafforzare il sistema multila-terale che vincola i paesi al rispetto di un insieme di regolechiare in favore del commercio internazionale. In tema dinegoziato multilaterale sui prodotti agricoli, in cambio del-l’accesso preferenziale al mercato interno, l’UnioneEuropea potrebbe dare risalto ai temi dell’agricoltura sicura,della coesistenza tra l’agricoltura tradizionale e quella modi-ficata, della tutela dell’alimentazione. Dovrebbe inoltre inse-rire a titolo prioritario il fondamentale tema della qualità. Latutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni diorigine rappresenta un obiettivo irrinunciabile per assicura-re un vero accesso al mercato senza ostacoli agli scambi,contraffazioni ed usurpazioni, al contempo garantendo futu-ro e sviluppo alle produzioni comunitarie.Si apre dunque una nuova fase nella storia della disciplinacomunitaria dei prodotti agricoli, che nei prossimi anni assu-merà sempre più la fisionomia di una politica diretta a soste-nere un modello di agricoltura orientato verso la qualità erispettoso dell’ambiente. In linea con gli obiettivi di crescitafissati dalla strategia di Lisbona, la nuova PAC dovrà esse-re capace, pertanto, di garantire sia il miglioramento tecno-logico delle produzioni che la creazione di posti di lavoro nelsettore agricolo e delle zone rurali.

ABSTRACT:

New developments of the Common Agricultural Policy(CAP), an overview of the main rules governing the interna-tional trade of food in EU, a complex law between localinterests, protection of rural areas and global stabilisation of

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Strategie per i mercati dei produttori:alcuni elementi di riflessione

Gianluca Brunori, Adanella Rossi, Francesca Guidi

1.- Introduzione

I mercati dei produttori sono un fenomeno di forte interesseper le politiche pubbliche, in quanto le loro caratteristichehanno in sé aspetti che consentono potenzialmente diaffrontare diversi problemi oggi evidenti nell’assetto e nelletendenze evolutive del sistema agro-alimentare.Una politica di sostegno ai mercati dei produttori può, infatti,all’interno di una più vasta strategia di politiche alimentari:

a) contribuire a rispondere alla necessità di creare fidu-cia da parte dei consumatori nei confronti del sistemaagro-alimentare, oggi considerata una delle chiavidelle politiche alimentari, migliorando la comunica-zione con i produttori;

b) migliorare l’accesso dei consumatori, anche dellefasce più deboli, ad alimenti di adeguato valore nutri-zionale, di elevata qualità e varietà;

c) contribuire a dare un accesso al mercato a produtto-ri ai margini del sistema agro-alimentare e contribui-re a rispondere alla necessità di garantire un’equadistribuzione dei costi e benefici per tutti i soggetticoinvolti nella filiera e in primo luogo garantire ai pro-duttori una remunerazione equa del proprio lavoro;

d) ridurre l’incidenza del peso dei consumi alimentarisui redditi delle famiglie e sull’ ambiente.

Purtroppo, non è affatto garantito che qualsiasi soluzioneorganizzativa o qualsiasi politica di sostegno nei confrontidei mercati dei produttori siano in grado di soddisfare ineguale misura tutti gli obiettivi sopra elencati. Il presentearticolo illustra in breve alcuni degli elementi necessari adare sostanza a queste linee strategiche.

2.- Farmers’ markets e divisione sociale del lavoro

Uno dei punti centrali del ragionamento sui mercati dei pro-duttori, come peraltro su tutte le forme di ‘filiera corta’,riguarda la divisione sociale del lavoro tra produttori, distri-butori e trasformatori, consumatori. Diverse teorie, a partireda Weber, hanno infatti dimostrato come la storia dellasocietà sia caratterizzata da una progressiva individualizza-zione – la conquista di autonomia dell’individuo nei confron-ti del sistema sociale in cui vive – ma al tempo stesso dallaprogressiva dipendenza degli stessi da sistemi esterni dota-ti di logica autonoma, come l’economia, la sfera statale, latecnologia. In particolare, essa mostra come tante delle

operazioni prima svolte all’interno di ambiti informali comela famiglia e la comunità vengano progressivamente ‘ester-nalizzati’ e collocati nella sfera di mercato1. Questo è verotanto per l’agricoltura, che progressivamente si è specializ-zata nella produzione di materia prima per l’industria, cheper l’organizzazione del consumo - ovvero gli aspetti legatialla scelta, l’acquisto, la preparazione, le modalità di fruizio-ne dei pasti – per la quale l’individualizzazione comporta lariduzione dei tempi di preparazione, la destrutturazione deipasti, la crescita dei pasti fuori casa, lo sviluppo di nuovilegami tra cibo e medicina, a patto di disporre di un ade-guato potere di acquisto.Per le teorie economiche convenzionali questo processonon fa che aumentare la soddisfazione dei produttori e deiconsumatori, in quanto attraverso la specializzazione cia-scun individuo si può concentrare sulle attività maggior-mente remunerative e acquistare prodotti e servizi generatiin modo più efficiente da altri. Lo sviluppo dei mercati dei produttori parte dalla consape-volezza diffusa che questo progressivo allargamento dellasfera del mercato ha distribuito in modo non equo vantaggie svantaggi. Gli agricoltori ad esempio rappresentano l’ultimo anello diuna catena di relazioni commerciali all’interno della quale illoro potere negoziale è estremamente limitato. Senza con-siderare inefficienze e speculazioni – peraltro largamentedocumentate in molti comparti –, la condizione strutturaledell’agricoltore è di dipendenza da un mercato degli input(sementi, fertilizzanti, antiparassitari, macchine) e da unmercato degli output (trasformatori, distributori, esportatori).La dipendenza non riguarda solo oggetti fisici ma ancheaspetti immateriali, e prima di tutto la conoscenza.Acquistando il seme dalle imprese produttrici, l’agricoltoredipende dalla conoscenza incorporata nel seme prodottada soggetti esterni e alla quale non ha accesso. Vendendoil prodotto al grossista o alla grande distribuzione, l’agricol-tore viene tagliato fuori dal contatto diretto con i consuma-tori che, in ultima analisi, determinano le tendenze di evolu-zione del settore.Anche i consumatori sono danneggiati da questa evoluzio-ne, anche se l’evidenza empirica e la giustificazione teoricasono al momento meno sviluppati. La teoria economicaconvenzionale si basa infatti sul concetto di sovranità delconsumatore, che implica la competizione tra imprese nel-l’anticipare e adeguarsi tempestivamente alle variazioni neigusti, negli atteggiamenti, nelle scelte. Quello che la teoriaeconomica non mette in evidenza è che i gusti, gli atteggia-menti e le scelte dei consumatori espresse attraverso ilmercato possono entrare in contraddizione con bisognialtrettanto importanti ma di carattere più complesso, comequello di una nutrizione adeguata sotto il profilo qualitativoe quantitativo. Le preoccupanti statistiche sull’obesità esulle malattie legate alla nutrizione, così come la crescenteinsoddisfazione per la qualità media di alcuni prodotti dispo-nibili nei canali distributivi convenzionali, stanno a dimo-strare che il mercato non è in grado di risolvere tutti i pro-

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blemi (Hitchman et al. 2002). Queste preoccupazioni, fino a poco tempo fa, erano tempe-rate da un livello di prezzi del cibo così basso da contrap-porre la quantità alla qualità, la facilità di uso agli alti margi-ni commerciali, la compensazione di deficit conoscitivi enell’organizzazione dei pasti con appropriati supporti comei dietologi, le palestre, i medici specializzati. Inoltre, il pro-blema della qualità sembrava avviato a soluzione per lascoperta delle strategie di differenziazione e la rivalutazio-ne del concetto di nicchia, che implica la soddisfazione dispecifici segmenti di mercato con prodotti di qualità superio-re e prezzo proporzionale alla qualità. Con le recenti crisidei prezzi che hanno influenzato tanto il Sud che il Nord delmondo, unificando a livello problematiche che si ritenevanodel tutto separate tra loro, il problema dei fallimenti del mer-cato si è improvvisamente legato al problema dell’accessoal cibo, della totale perdita di autonomia del consumatore –e in particolare delle fasce più deboli che in tempi di crisieconomica si vanno allargando notevolmente - a favore deisoggetti più forti del sistema.

3.- Gli elementi per una strategia

Quali sono i parametri attraverso cui giudicare il successodei mercati dei produttori? Se è valido quanto affermatosopra, essi dovrebbero:

i. Favorire una diversificazione della struttura distribu-tiva per evitare la formazione di monopoli e la con-seguente dominanza da parte degli attori più forti sulpiano delle scelte di localizzazione dei negozi, difonti di approvvigionamento, di standard qualitativi,di gamma produttiva. Favorire un’evoluzione dell’at-tuale sistema distributivo: la presenza dei mercatidei produttori, ancorché non sempre rilevante sotto ilprofilo quantitativo, stimolano il sistema distributivoad adeguarsi per venire incontro ai bisogni dei con-sumatori che trovano finalmente, attraverso l’intera-zione con i produttori, espressione;

ii. Stimolare processi evolutivi in grado di riportareall’interno della sfera delle relazioni tra produttori econsumatori (e nell’organizzazione interna dellefamiglie) la gestione di alcuni segmenti del processodi produzione-distribuzione di cui oggi sono titolariimprese specializzate che, operando sul mercato,contribuiscono ad allargare il gap tra prezzo alla pro-duzione e al consumo;

iii. Garantire un maggior livello di soddisfazione e dibenessere per i consumatori e per i produttori.

D’altra parte, questi risultati possono essere misurati solo inun medio-lungo periodo. Nel breve-medio periodo, i fattoridi successo sono legati alla crescita numerica e alla soste-nibilità economica di ciascuno di essi. D’altra parte gli sfor-zi e le difficoltà di raggiungere gli obiettivi di breve periodopossono compromettere quelli di lungo periodo, per cui è

necessario improntare il sostegno pubblico e le iniziativeprivate al massimo del rigore metodologico, inquadrandolein un adeguato quadro strategico.Il punto di partenza dovrebbe essere un’adeguata ricogni-zione degli interessi in gioco e delle potenziali aree di con-flitto/contraddizione. Per i produttori e i consumatori, lepotenziali aree di contraddizione risiedono nella sfera deirapporti tra principi e vincoli economici. I mercati dei produt-tori sono basati sul presupposto che entrambi i soggettidello scambio commerciale non siano animati soltanto daegoismo, come nel caso degli operatori teorici dell’econo-mia convenzionale, ma che esista invece una forte compo-nente etica che accomuna entrambi i soggetti. Questa com-ponente etica è la leva che può creare, attraverso un ambi-to di valori condivisi, una adeguata struttura di comunicazio-ne per quello che riguarda gli aspetti più propriamente com-merciali, e in particolare la qualità e il prezzo.Il presupposto fondamentale per la definizione di un proget-to di mercato dei produttori è dunque una chiara caratteriz-zazione, che lo differenzi da altre forme distributive e chepossa generare, attraverso l’identità, un legame solido ecostante anche sotto il profilo commerciale. Ad esempio,alimentare aspettative eccessive nei confronti dei prezzi,oppure nelle potenzialità di crescita numerica dei mercatipuò essere controproducente perché può generare delusio-ne seguita a disaffezione.A differenza delle imprese puramente commerciali, infatti, ilmercato dei produttori deve essere in grado di generare neisoggetti partecipanti la consapevolezza di essere parte diun progetto comune, in cui i problemi vengono discussi,negoziati e se possibile risolti attraverso un adeguamentodei rispettivi atteggiamenti e azioni. Così se da una parte iproduttori devono essere in grado di perseguire una mag-giore efficienza nelle proprie modalità di organizzazione infunzione del mercato, anche i consumatori devono poterrimettere in discussione le proprie abitudini e le proprie con-vinzioni.Da queste considerazioni consegue che i mercati dei pro-duttori devono poter concentrarsi su caratteristiche bendefinite di consumatori e produttori per poter calibraremeglio la strategia di comunicazione. Per quello che riguar-da i consumatori, possiamo classificarli in funzione dell’im-portanza relativa dell’utilità e dei valori sulle scelte di consu-mo (Figura 1). Per quello che riguarda l’utilità la definiamocome grado di importanza attribuita al cibo sotto il profiloeconomico, funzionale e sociale. Un alto livello di utilità èanche un indicatore della disponibilità a dedicare tempo edenergia nel cambiamento delle normali routines. Per quelloche riguarda i valori, questi riguardano l’interesse del con-sumatore alle trasformazioni sociali in relazione all’ambien-te, alla giustizia sociale, al benessere collettivo.

a) nel primo quadrante abbiamo i distratti, ovvero quelliche non passano molto tempo a riflettere sui propri con-sumi alimentari o che dipendono da altri (ad es. lamamma) per il proprio nutrimento;b) nel secondo quadrante abbiamo i curiosi, per i quali

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l’aspetto dei valori può rappresentare un fattore di attra-zione ma che, essendo poco interessati in generale alcibo, possono rappresentare dei consumatori occasio-nali; c) nel terzo quadrante abbiamo i convenzionali, tuttiorientati all’utilità individuale o familiare e relativamenteindifferenti ai valori;d) nel quarto quadrante abbiamo infine gli alternativi,ovvero quelli che attribuiscono grande importanza aivalori ma che al tempo stesso, attenti alle ripercussionidelle modalità di acquisto e di consumo del cibo sulbenessere individuale e familiare, sono disposti a inve-stire tempo e risorse nella costruzione di queste inizia-tive.

Figura 1 – Classificazione dei consumatori in funzione delpeso di utilità e valori

Gli organizzatori dei mercati dei produttori devono averchiaro quali sono gli interlocutori principali e quali messag-gi comunicare a ciascuno dei gruppi considerati (Figura 2).Ad esempio, un mercato dei produttori potrebbe porre con-sumatori convenzionali di fronte a temi fino a quel momen-to non conosciuti e dunque porli di fronte a ‘shock cognitivi’.Nel caso dei distratti, la presenza di valori forti e chiaramen-te comunicati possono contribuire alla cattura dell’attenzio-ne. Nel caso dei curiosi, la possibilità di accesso al merca-to può favorire un ripensamento delle vecchie routines diacquisto e l’instaurarsi di nuove. Gli alternativi, infine, pos-sono diventare il nocciolo duro dei mercati dei produttori, labase di consumatori più costanti e più motivati a dare uncontributo al successo dell’iniziativa.

Figura 2 – Strategie dei mercati dei produttori nei confrontidei diversi gruppi di consumatori

Anche i produttori possono essere distinti in gruppi basatisugli stessi parametri, tenendo presente che il fattore utilitàè in questo caso largamente legato alla remunerazioneeconomica dell’attività agricola (Figura 3). Da questo puntodi vista, se consideriamo agricoltori convenzionali quelli chenon vedono particolari legami tra attività economica e valo-ri e comunque non sono interessati a renderli coerenti, pos-siamo distinguere i pionieri, agricoltori fortemente indirizza-ti da ideali di trasformazione sociale che perseguono attra-verso l’attività agricola anche a costo di sacrifici personalied economici, dagli alternativi, per i quali gli ideali sonostrettamente collegati ad un’attività economica che remune-ri adeguatamente il lavoro. Nel coinvolgimento dei produtto-ri nelle iniziative di mercati di produttori, un’eterogeneitàeccessiva in mancanza di una chiara leadership potrebbeportare a conflitti nelle scelte organizzative e nelle relazionicon i consumatori.

Figura 3 – Classificazione dei produttori

4.- Conclusioni

Dalle riflessioni ora brevemente tratteggiate consegue chel’attivazione e il consolidamento dei mercati dei produttorinon possono essere considerate lo strumento per la risolu-zione di tutti i problemi del sistema agro-alimentare, comeanche che non ci sono soluzioni organizzative pronte e ingrado di stimolare la pronta reazione del sistema produttivoanche in un quadro di forte sostegno finanziario e legislati-vo. Perché non venga disperso il forte interesse intorno aqueste iniziative, è fondamentale che gli obiettivi degli inter-venti siano chiaramente esplicitati e che ad essi venganoassegnate chiare priorità. Inoltre, i mercati dei produttoridovranno essere inquadrati all’interno di strategie gradualie in grado di generare il massimo della partecipazione e delconsenso. Infine, le politiche di sostegno devono poteressere; a) inquadrate all’interno di una chiara strategia; b)basate su attività costanti come l’acquisizione di conoscen-ze, il monitoraggio e la previsione.Per quello che riguarda gli strumenti di intervento, bisognaessere consapevoli che una fase preliminare come quellaattuale richiede strumenti diversificati, legati prima di tuttoall’animazione, alla formazione, al supporto alla progetta-zione, alla ricerca applicata, e i finanziamenti ai privati deb-

Valori

Utilità + ++

+ Distratti Curiosi

++ Convenzionali Alternativi

Valori

Uilità + ++

+ Agricoltoriper caso

Pionieri

++ Convenzionali Alternativi

Distratti Cattura dell’attenzione

Curiosi Differenziazione

Alternativi Mantenimento/rafforzamentodei valori

Convenzionali Accostamenti valori/differenticoncezioni di utilità

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bono poter avere caratteristica di “capitale di rischio”, con loscopo di facilitare attraverso risorse finanziarie adeguatiprocessi di apprendimento e lo stimolo all’azione collettiva.Iniziative non adeguatamente valutate sotto questi criteripotrebbero rivelarsi persino controproducenti in quantodeluderebbero le aspettative e danneggerebbero i delicatiequilibri delle iniziative attualmente già in piedi.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Hitchman C., Christie I., Lang T. (2002), InconvenienceFood: The Struggle to Eat Well on a Low Income. London:Demos;Ploeg JD van der (1990), Labor, Markets, and AgriculturalProduction. Westview Press;Weber, M. (1978), Economy and Society: An Outline ofInterpretive Sociology. University of California Press.

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare:controllo giurisdizionale da parte delle Corti comunitarie

Simone Gabbi*

1.- Introduzione: il quadro sottostante alla creazione diun’agenzia comunitaria di regolazione per la sicurezza ali-mentare

Lo scopo del presente lavoro è di fornire al lettore alcuneriflessioni riguardo all’intensità dei controlli giurisdizionaliche esercita la giurisdizione comunitaria sulle attività e sugliatti dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (d’orainnanzi AESA, in inglese EFSA)1.In particolare, vorremmo qui concentrarci su alcuni aspettiproblematici di sicuro rilievo giuridico che caratterizzanol’attività di AESA.Come noto, il legislatore europeo creò l’Autorità europea

per la sicurezza alimentare nel febbraio del 20022. Le ragio-ni che portarono all’istituzione di AESA sono diverse: cer-cheremo pertanto di richiamarle in modo del tutto schema-tico.AESA fu costituita come pietra angolare di una complessarisposta3 alle carenze identificate nel quadro normativo edistituzionale vigente a livello comunitario sino alla fine deglianni ‘90 del XX secolo4.In quel periodo le crisi alimentari (ricordiamo per tutte quel-la della c.d. “mucca pazza”) turbavano non poco le opinionipubbliche dei Paesi membri dell’Unione europea, alloracomposta ancora di soli 15 membri, tutti appartenentiall’area geopolitica definita come Europa occidentale. Inquel particolare contesto, caratterizzato da un’estrema sen-sibilità della pubblica opinione per tutto quanto riguardavala sicurezza alimentare, si ritenne prioritario riguadagnarela fiducia dei consumatori europei nei confronti dei prodottiche circolavano nel mercato interno con la creazione diun’istituzione indipendente che si occupasse della valuta-zione del rischio in tali campi a prescindere da qualunquecontemperazione di interessi che esulassero dai profilipuramente scientifici.La posta in palio era il funzionamento del mercato interno (eforse la sua stessa esistenza) a pochi anni dalla sua crea-

(*) L’autore lavora come giurista nell’unità affari legali dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Le opinioni espresse nel presen-te lavoro sono esclusivamente personali e non sono riconducibili all’Autorità, né rappresentano la posizione di alcuna delle sue struttu-re o di altra Istituzione europea.(1) Per un approfondimento sull’Autorità europea sia consentito rinviare a Gabbi S., L’Autorità europea per la sicurezza alimentare.Genesi, aspetti problematici e prospettive di riforma, Milano (in corso di pubblicazione).(2) Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisitigenerali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicu-rezza alimentare, GUUE 2002 31/1.(3) Commissione della Comunità Europea, Libro bianco sulla sicurezza alimentare, COM (99) 719.(4) Questo è uno dei pochi punti sul quale paiono concordare pressoché tutti gli autori che hanno scritto sull’AESA. A titolo esemplifica-tivo: Benozzo M. 2003, I principi generali della legislazione alimentare e la nuova Autorità (Regolamento CE n. 178/2002), inNationalization, or Centralization?, CIS Working Paper 3-2004; Blanquet M., De Grove-Valdeyron N. 2005 (Études coordonnées par),La création de l’Autorité européenne de sécurité des aliments. Enjeux et perspectives, Presses de l’Université des sciences sociales deToulouse, Études de l’IREDE, IV; Buonanno L., Zabloteney S., Keefer R. 2001, Politics versus science in the making of a new regulato-ry regime for food in Europe, in EIoP, vol. 5, n. 12; IDAIC 2004 (a cura di), Commentario al Reg. (EC) N. 178/2002, La sicurezza ali-mentare nell’Unione europea, Le nuove leggi civili commentate, N. 1-2 2003, 114 ss.; O’Rourke R. 2005, European Food Law, Sweet &Maxwell, 3Rev Ed edition (23 Nov 2005); Vos E., Wendler F. (a cura di) 2006, Food Safety Regulation in Europe, a comparative institu-tional analysis, Oxford. Per una completa rassegna della bibliografia sull’Autorità europea sia consentito rinviare a Gabbi S., L’Autoritàeuropea per la sicurezza alimentare, cit.

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zione formale5. La prima ragione che ha portato alla crea-zione di AESA può dunque essere individuata in una sortadi “marketing istituzionale”, che dimostrasse la volontà dellaComunità europea di occuparsi anche del consumatoreeuropeo e del corretto funzionamento del mercato interno,e non solamente del suo conseguimento. Per realizzaretale progetto il legislatore aveva a disposizione anche altrepossibilità, quale un aumento delle risorse dedicate ai comi-tati scientifici già operativi all’interno della CommissioneEuropea6, o la creazione di un’agenzia esecutiva. Tuttavia,sin dall’inizio degli anni ‘90 la Comunità europea aveva ini-ziato a delegare alcuni poteri esecutivi e determinate man-sioni regolatrici dei mercati a una seconda ondata di agen-zie europee “di regolazione”7 caratterizzate da poteri benpiù incisivi rispetto alle prime agenzie create negli anni ‘70e ‘808. Una scelta in tal senso era del resto confortata dalsuccesso conseguito a livello europeo dall’Agenzia europeaper la valutazione dei medicinali in un settore non così dis-simile da quello alimentare9, e a livello nazionale (per rima-nere nel campo alimentare) dalla creazione dell’agenziafrancese per la sicurezza degli alimenti e dalla sua omolo-ga irlandese e britannica.Contestualmente, occorre ricordare come si moltiplicasseroviepiù gli opponenti di nuovi aumenti dei poteri e delle risor-se attribuite all’esecutivo europeo, in ciò confortati dallacrisi della Commissione Santer e dall’espansione apparen-temente senza fine che aveva caratterizzato tale Istituzioneper tutti gli anni ‘80 e la prima metà degli anni ‘90. La stra-da dell’agenzia di regolazione era perciò in linea con la rifor-ma posta in atto all’interno della Commissione per incre-

mentare l’efficacia della governance europea10.Come terza concausa che portò alla decisione di creareun’agenzia indipendente non si può, infine, ignorare l’espe-rienza della Comunità europea (e della Commissione) nel-l’allora ancora recente caso della carne agli ormoni dinanzial Panel dell’Organizzazione Mondiale del Commercio(OMC)11. In tale sede la Comunità era stata “sconfitta” poi-ché (tra l’altro) non era stata in grado di dimostrare che ladecisione riguardante il divieto di allevare, importare e com-mercializzare animali o carne sottoposti a cure ormonalifosse stato assunto in conformità a una valutazione delrischio ai sensi dell’art. 2.2 Accordo SPS12. In seguito aquell’esperienza la Comunità europea si rese conto dellanecessità di un’istituzione specializzata nella valutazionedel rischio che potesse contribuire a rafforzare i fondamen-ti scientifici delle politiche europee del settore.Per tutte le ragioni sommariamente ricordate la creazione diun’autorità di sicurezza alimentare sembrò la scelta piùopportuna, e possiamo dire pressoché obbligata. Più discu-tibile, ovviamente, può apparire la scelta di separare strut-turalmente le funzioni di gestione e di valutazione delrischio effettuata dal regolamento istitutivo di AESA13.Mentre le prime sono attribuite alla Commissione europea,al Consiglio dei Ministri e ai Paesi membri; le funzioni divalutazione sono assegnate in linea di principio all’AESA.Secondo alcuni critici, invero, tale separazione, se merite-vole di garantire un’assoluta libertà di pensiero agli scien-ziati coinvolti nel processo di valutazione, comporta costieconomici e di funzionalità complessiva superiori al prece-dente sistema dei comitati interni alla Commissione. Inoltre,

(5) In altre parole, la creazione di un’agenzia europea per la sicurezza alimentare era (anche) determinata dalla volontà di minare la basescientifica delle giustificazioni riguardanti le misure discriminatorie sollevate dai Paesi membri dell’UE ex art. 30 TCE (e quindi anchedegli artt. 95 (4) e (5) TCE): in proposito appaiono particolarmente illuminanti il considerando n. 34 del Regolamento istitutivo di EFSA.In tal senso v. Everson M., Good governance and European agencies: the balance, in Geradin D., Munoz R., Petit N. (a cura di) 2005,Regulation through agencies in the EU. A new paradigm of European governance, 143 e ss.(6) Nella versione introdotta dalla riforma del ‘97, attuata dalla Decisione della Commissione 97/404/EC del 10 Giugno 1997, GUUE 1997L 169 e dalla Decisione della Commissione 97/579/EC del 23 Luglio 1997, GUUE 1997 L 237/18. (7) Sulle agenzie europee la bibliografia è quanto mai vasta. Senza pretesa alcuna di esaustività si veda Chiti E. 2002, Decentralisedintegration as a new model of joint exercise of Community functions: a legal analysis of European Agencies, in ERLP/REDP, vol. 14, no.3, 1267 ss.; Chiti E. 2002, Le agenzie europee, unità e decentramento nelle amministrazioni comunitarie, Padova; Chiti E. 2001,European Agencies: A Legal form for Network Management?, in George A., Machado P., Ziller J. 2001, Law and Public Management:Network Management, EUI Working Paper Law No. 13, 23 ss.; Geradin D., Petit N. 2005, The Development of Agencies at EU andNational Levels: Conceptual Analysis and Proposals for Reform, in Yearbook of European Law:2004, v. 23, p. 137-197; Gradine D., Thedevelopment of European regulatory agencies: what the EU should learn from the American experience, paper; Majone G. 2002,Delegation of Regulatory Powers in a Mixed Polity, in ELJ, 319–339; Majone G. 1997, The new European Agencies: Regulation by infor-mation, in Journal of European Public Policy, 42 ss.; Majone G. 1996, Regulating Europe, London; Majone G. 1994, The Rise of theRegulatory State in Europe, in West European Politics, 17 (3): 77-101. Per una rassegna più esaustiva della bibliografia sul punto siveda Gabbi S., L’Autorità europea per la sicurezza alimentar, cit.(8) Secondo alcuni autori, AESA fa parte della terza ondata di agenzie di regolazione europee.(9) Per un’analisi del ruolo del modello EMEA per la creazione di AESA sia consentito rinviare a Gabbi S., L’Autorità europea per la sicu-rezza alimentare, cit.(10) Commissione europea, La Governance europea, un Libro bianco, COM(2001) 428 def 2 del 5 agosto 2001.(11) Mi riferisco al caso EC — Hormones: vedi Appellate Body Report, European Communities - Measures concerning meat and meatproducts (WT/DS26/AB/R; WT/DS48/AB/R), disponibile sul sito www.wto.org.(12) Sul punto ex multis Alemanno A. 2004, Judicial enforcement of the WTO “hormones” ruling within the European Community: towardsEC liability for the non implementation of WTO settlement decision?, in Harvard Intern. Law Journal, v. 45, n. 2, 547 ss. del quale nonsi condividono tuttavia alcune conclusioni.(13) Art. 22, reg. (CE) No 178/2002, cit.

è indubbio che la creazione di un’agenzia specializzatacomporti alcune complicazioni sul fronte dell’interazione tral’AESA e la Commissione. Come evidenziato da numerosistudi14, la separazione istituzionale di gestione e di valuta-zione del rischio aumenta invero la possibilità dei disaccor-di fra le due “istituzioni” alle quali sono attribuite le suddet-te funzioni15.In effetti, come giustamente ricordato da molti studiosi che sisono accinti ad analizzare il processo di creazione dell’AESA16, l’idea iniziale era di creare un’unica agenzia di regolazioneche coprisse il settore “salute pubblica” occupandosi di tuttele competenze affidate al livello comunitario17.Ciononostante, la c.d. “dottrina Meroni”18, nonostante i suoinumerosi critici19, continuava a costituire il parametro di rife-rimento20 per le competenze da attribuire alle agenziecomunitarie di regolazione. Secondo la giurisprudenza su cui si basa tale “dottrina”, leistituzioni comunitarie possono delegare i poteri conferitiloro dal Trattato a un’entità separata quale un’agenzia, acondizione che tale delega sia limitata a poteri esecutivichiaramente definiti e limitati, il cui esercizio possa esseresoggetto a un riesame alla luce di criteri oggettivi ben deter-minati dal delegante21. Ad ogni modo, tale delega nondovrebbe comprendere poteri di natura discrezionale il cui

esercizio richieda la contemperazione di politiche differenti,poiché ciò potrebbe alterare l’equilibrio istituzionale previstodal Trattato. Per AESA il ragionamento di cui sopra è raffor-zato dal fatto che la delega di reali poteri di regolazione deimercati all’Autorità comporterebbe la fusione delle funzionidi valutazione e di gestione del rischio che sono state sepa-rate solamente nel 2002, con ciò stravolgendo uno dei prin-cipali portati di tale riforma.Anche per questo motivo22 il legislatore europeo propeseper l’opzione della separazione istituzionale della valutazio-ne del rischio dalla gestione dei rischi, mantenendo dunquein capo alla Commissione i predetti poteri23.

2.- Il controllo giurisdizionale

Abbiamo detto di come AESA, in quanto agenzia europea“di regolazione”, non disponga di poteri di regolazione deimercati strictu sensu.Ciononostante, ai sensi dell’art. 46, Reg. (CE) No 178/2002AESA è dotata di personalità giuridica, almeno dal punto divista dell’ordinamento giuridico europeo24. Tale disposizioneafferma in capo all’Autorità la più ampia capacità ricono-sciuta alle persone giuridiche dagli ordinamenti dei Paesi

(14) Sul punto sia consentito rinviare a Gabbi S. 2007, The interaction between risk assessors and risk managers The case of theEuropean Commission and of the European Food Safety Authority, in Eur. Food and Feed Law Review, n. 3, 126 e ss. ed alla bibliogra-fia colà citata.(15) AESA non è un’Istituzione europea strictu sensu, dato che non è inclusa nell’elenco di cui all’ art. 7(1), TCE. In questa sede peraltroutilizzeremo il termine istituzione in senso atecnico.(16) Ex plurimis v. da ultimo Alemanno A. 2007, L’Autorité européenne de sécurité des aliments souffle ses cinq premières bougies, inRevue du Droit de l’Union Européenne, 3/2007, 585 e ss.(17) Ad eccezione dell’autorizzazione dei medicamenti.(18) Causa C-9/56 Impresa Meroni and co., Industrie Metallurgiche s.a.s. contro High Authority of the European Coal and SteelCommunity, Racc., 1958, 133.(19) Diversi autori, in effetti, hanno espresso convincenti motivazioni in favore del superamento della dottrina Meroni: a titolo esemplifi-cativo v. Buonanno L., Zabloteney S., Keefer R. 2001, Politics versus science in the making of a new regulatory regime for food inEurope, cit.(20) Il principio in questione è stato richiamato da ultimo nel settore alimentare nella pronuncia Corte di Giustizia, grande sezione, sen-tenza 12 luglio 2005, cause riunite C-154/04 e C-155/05, The Queen, ex parte: Alliance for Natural Health e Nutri-Link Ltd controSecretary of State for Health (C-154/04) e The Queen, ex parte: National Association of Health Stores e Health Food Manufacturers Ltdcontro Secretary of State for Health e National Assembly for Wales (C-155/04), Racc., 2005, I-6451, punto 90.(21) Secondo Majone ai sensi della dottrina Meroni “delegation is subject to strict constraints: delegation can only relate to powers whichthe Commission itself possesses; such assignment must relate to the preparation and performance of executive acts alone; as a con-sequence of this, independent bodies must not be given any discretionary powers; hence the Commission must retain oversight overthe delegated competence and will be held responsible for the manner in which it is performed; finally, such a delegation must not dis-turb the balance of power among Community institutions.”(22) La comunicazione della Commissione europea, Libro bianco sulla sicurezza alimentare, COM (99) 719, 17 elenca tre ragioni per giu-stificare la decisione di non attribuire le funzioni regolamentari ad AESA: innanzitutto la preoccupazione che un trasferimento di poterinormativi ad un’Autorità indipendente possa portare ad una diluizione indebita della responsabilità democratica; secondariamente il fattoche la funzione di controllo deve essere al centro del processo di gestione del rischio della Commissione se si vuole che essa agisca inmodo efficace nell’interesse dei consumatori; in terzo luogo, poiché un’Autorità con poteri di regolamentazione non potrebbe esserecostituita in virtù dell’equilibrio istituzionale derivante dai Trattati e richiederebbe quindi per lo meno una modifica del Trattato CE.(23) Come noto, quel genere di separazione non è condiviso da molti sistemi legislativi e certamente non lo era prima della creazionedell’AESA, con la rilevante eccezione dell’Autorité française de sécurité sanitaire des aliments (AFSSA): Clergeau C. 1998, Le proces-sus de création de l’Agence française de sécurité sanitaire des aliments, généalogie, genèse et adoption d’une proposition de loi, rap-port d’étape, cit.; Hirsh M. 2001, La fonction de l’AFSSA, in Études et documents du Conseil d’État, p. 427.(24) Certamente più contestata è invero la personalità giuridica di diritto internazionale delle agenzie di regolazione comunitarie, sul puntov. Schusterschitz G. 2004, European agencies as subjects of international law, in International Organisations Law Review 1: 163-188.

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membri dell’Unione europea, ivi compresa la legittimazioneattiva e passiva dinanzi alle rispettive giurisdizioni25. Dalquel punto di vista le agenzie di regolazione comunitarie sidistinguono da altri organi, come l’European PersonnelSelection Office, che non hanno questa caratteristica.AESA non è un’eccezione alla regola di cui sopra, e inverol’art. 46 contestualmente afferma la capacità di AESA distare in giudizio dinanzi ad una Corte europea, acquistarele proprie sedi ed in generale godere “dei più ampi poteriattribuiti dalla legge alle persone giuridiche”.Ne consegue, quindi, che le decisioni e i comportamenti (edomissioni) di AESA possono causare la responsabilità con-trattuale o extracontrattuale dell’Autorità. Parimenti ricono-sciuta è la responsabilità dell’agenzia per gli atti ed i dannicausati dai propri dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni. Un terzo aspetto, indubbiamente più problematico, è invecequello della contestazione della legittimità degli atti ammini-strativi di AESA, ed in particolar modo dei suoi pareri scien-tifici. Nei prossimi paragrafi cercheremo di analizzare bre-vemente gli aspetti or ora delineati.

2.A.1 La responsabilità contrattuale ed extracontrattua-le di AESA

È noto come la responsabilità contrattuale ed extracontrat-tuale delle Istituzioni europee sia riconosciuta dal Trattatoche istituisce la Comunità europea26. È tuttavia altrettantorisaputo come persino la Corte di Giustizia riesce difficil-mente a giustificare l’estensione per via pretoria dei legitti-mati passivi previsti dal Trattato riguardo all’esercizio dellepoche azioni dirette colà contemplate.Al fine di evitare qualunque disquisizione sulla legittimazio-ne passiva delle agenzie di regolazione per le cause aven-ti ad oggetto la loro responsabilità, il Legislatore europeo haadottato l’encomiabile prassi di prevedere in ogni testo isti-tutivo di un’agenzia delle disposizioni ad hoc che enuncinoespressamente la soggezione dell’istituzione in parola aiprincipi già enucleati nel Trattato, sullo stile degli artt. 46 e47 del regolamento istitutivo di AESA.Più in dettaglio, ai sensi dell’art. 47(1), Reg. (CE) No178/2002, “La responsabilità contrattuale dell’Autorità èdisciplinata dalla legge applicabile al contratto in questione.La Corte di giustizia delle Comunità europee è competentea giudicare in virtù di una clausola compromissoria conte-nuta nei contratti stipulati dall’Autorità”. Per quanto riguar-da, invece, la responsabilità extracontrattuale, questa èregolata dal secondo paragrafo, secondo il quale “in mate-ria di responsabilità extracontrattuale, l’Autorità deve risar-

cire, conformemente ai principi generali comuni ai dirittidegli Stati membri, i danni cagionati dall’Autorità ... La Cortedi giustizia è competente a conoscere delle controversierelative al risarcimento dei danni”. L’evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria relativa allaresponsabilità contrattuale ed extracontrattuale delleIstituzioni e agenzie europee esula dall’oggetto del presentearticolo. Ci limiteremo piuttosto a evidenziare alcuni casi neiquali tale responsabilità possa insorgere nel contesto delleattività di AESA.La responsabilità contrattuale di AESA potrà verificarsi nel-l’ambito di uno dei numerosi rapporti di tale natura che l’agen-zia intrattiene con liberi professionisti e persone giuridiche divario tipo, sovente vincitori di procedure a evidenza pubblicaorganizzate dalla stessa Autorità. In tal caso, fatta salva l’intro-duzione di una clausola che riservi la giurisdizione ai soli orga-ni giurisdizionali comunitari, il diritto sostanziale e processua-le applicabile è in linea di massima quello italiano.La responsabilità extracontrattuale di AESA pone invecequalche problema in più, giacché l’art. 288 TCE ne riservala giurisdizione alla Corte di Giustizia con un semplice rin-vio ai principi generali degli ordinamenti giuridici dei paesimembri27. In questo caso, dunque, in carenza di norme didiritto positivo che ne stabiliscano i requisiti, i principi daapplicare saranno quelli di diritto pretorio sviluppati nelcorso del tempo dalla giurisdizione comunitaria.Come per il caso della responsabilità contrattuale, quellaextracontrattuale si potrà verificare in tutta una serie dieventualità in tutto e per tutto simile a quella ipotizzabile perqualunque pubblica amministrazione di diritto italiano. Dal punto di vista probatorio secondo la costante giurispru-denza delle Corti comunitarie i requisiti fondamentali perstabilire la responsabilità della Comunità e delle sue istitu-zioni sono i seguenti: (i) l’illegittimità del comportamento odell’omissione dell’istituzione; (ii) l’esistenza del danno cau-sato; (iii) il nesso causale tra la violazione ed il danno. Per quanto riguarda, invece, l’attività caratterizzante l’ope-rato di AESA, ossia la valutazione del rischio nel settore ali-mentare latamente inteso, la responsabilità extracontrattua-le dell’agenzia potrebbe essere chiamata in causa in rela-zione a comportamenti, atti o omissioni da essa tenuta nel-l’ambito delle procedure di valutazione di sostanze e pro-dotti alimentari o eventualmente posti alla base di misure digestione del rischio adottate dalle autorità competenti.Una tale responsabilità potrebbe verificarsi nel momento incui (i) la decisione della competente autorità di gestione delrischio si basi esclusivamente sul contributo scientifico diAESA e (ii) il parere scientifico di AESA sia colposamente odolosamente errato28.

(25) Ex art. 46, Reg. (CE) No 178/2002, “L’Autorità è dotata di personalità giuridica. In ciascuno degli Stati membri essa gode della piùampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dalle rispettive legislazioni.”(26) Art. 288(1) e (2) TCE.(27) Rinvio tutto sommato più comprensibile se si pone mente al fatto che i paesi fondatori della Comunità economica europea eranosolamente sei e condividevano gran parte dei principi giuridici fondamentali. (28) Così Kànska K. 2004, Wolves in the clothing of sheep? The case of the European Food Safety Authority, 29 E.L.Rev., 725.

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In tal senso si è espressa anche la Corte di Giustizia, chenel salvare da una perniciosa dichiarazione d’illegittimità laDirettiva 2002/46/CE29, ha lanciato un indicativo monito adAESA, affermando che “benché simili elementi possano,all’occorrenza, essere invocati a sostegno di un ricorso diannullamento proposto contro una decisione definitiva cherespinga una domanda di modifica del contenuto degli elen-chi dei componenti consentiti, o di un’azione di responsabi-lità diretta contro l’Autorità europea per la sicurezza alimen-tare sulla base dell’art. 47, n. 2, del regolamento n.178/2002, essi non sono, di per sé, tali da infirmare la legit-timità della procedura di modifica del contenuto degli elen-chi dei componenti consentiti, …”30.I medesimi principi sono stati richiamati fugacemente anchein tre recenti ordinanze del Tribunale di primo grado, nellequali la Corte ha dichiarato inammissibili le relative azioniportate contro AESA31.Anche per assicurare il rispetto dei principi fondamentaliche caratterizzano la buona amministrazione, AESA haadottato un codice interno di buona condotta32. Il documen-to in parola specifica in dettaglio i principi che devono esse-re applicati e rispettati dal personale di AESA nell’eserciziodelle sue funzioni. Ci riferiamo all’obbligo di indicare alleparti interessate da un dato procedimento il responsabiledello stesso e i tempi entro i quali l’Autorità dovrebbe forni-re una risposta concreta sul merito di quella data questione;al diritto di ogni persona interessata da un procedimento a

inviare le proprie osservazioni sullo stesso33; all’obbligo diconcludere un procedimento entro un lasso di tempo ragio-nevole e comunque non superiore a 60 giorni34; al fonda-mentale obbligo di motivazione dei provvedimenti35; nonchéa quello di notificare all’interessato il contenuto della deci-sione o del provvedimento, la sua motivazione e le possibi-lità di ricorso avverso la stessa36. Un altro importante dirittoconnesso ai procedimenti interni a essere previsto dalCodice di condotta è quello di accesso ai documenti ammi-nistrativi detenuti da AESA37, che riflette in larga misuraquello contemplato nell’ordinamento comunitario dal Reg.(CE) No 1049 del 200138, al quale è soggetta la stessaAESA ai sensi del novellato art. 41, Reg. (CE) No178/200239.Sempre nell’ottica della correttezza dei procedimentidell’Autorità è difficile non evidenziare l’assenza all’internodella struttura organizzativa di AESA di un organo di ricorsoche fornisca un primo rimedio di carattere amministrativo achi dovesse ritenere di essere stato inopinatamente o ingiu-stamente danneggiato da un atto, un comportamento oun’omissione di AESA. Quanto sopra appare ancor più rile-vante se solamente si considera che questo tipo di organointerno era già previsto all’interno della Comunicazionedella Commissione sulle agenzie di regolazione40, dell’ac-cordo interistituzionale relativo all’inquadramento delleagenzie di regolazione41 e che esso è una caratteristicastandard in almeno un’altra agenzia di regolazione compe-

(29) Auspicata nelle caustiche conclusioni dell’Avvocato generale Geelhoed, del 5 aprile 2005, cause riunite C-154/04 e C-155/05, TheQueen, ex parte: Alliance for Natural Health e Nutri-Link Ltd contro Secretary of State for Health, cit.(30) Corte di Giustizia, grande sezione, sentenza 12 luglio 2005, cause riunite C-154/04 e C-155/05, The Queen, ex parte: Alliance forNatural Health e Nutri-Link Ltd contro Secretary of State for Health, cit., punto 88. Il corsivo è di chi scrive. (31) Ordinanza del presidente del Tribunale di primo grado, 17 giugno 2008, T-311/06, FMC Chemical SPRL e Arysta Lifesciences SASc. Autorità europea per la sicurezza alimentare; T-312/06, FMC Chemical SPRL c. Autorità europea per la sicurezza alimentare e T-397/06, Dow AgroSciences Ltd c. Autorità europea per la sicurezza alimentare non ancora pubblicati e Ordinanza del presidente delTribunale di primo grado, 1 marzo 2007, FMC Chemical SPRL, Arysta Lifesciences SAS e Otsuka Chemical Co. Ltd contro Autorité euro-péenne de sécurité des aliments (EFSA), Cause T-311/06 R I, T-311/06 R II, T-312/06 R e T-313/06 R, Racc., 2007 pagina II-0002.(32) EFSA Code of Good administrative behaviour, EFSA, MB 16.09.2003.(33) In realtà tale diritto è addirittura esteso per certi versi a chiunque (si presume residente in uno dei Paesi membri dell’UE), purché siaindividuabile un interesse c.d. diffuso: ex art. 16, cit. “Every member of the public shall have the right, in cases where a decision affect-ing his rights or interests has to be taken, to submit written comments and, when needed, to present oral observations before the deci-sion is taken”.(34) V. art. 17, EFSA Code of Good administrative behaviour cit., secondo il quale “If a request or a complaint to the Authority cannot,because of the complexity of the matters which it raises, be decided upon within the above-mentioned time-limit, the agents or other ser-vants shall inform the author thereof as soon as possible. In that case, a definitive decision should be notified to the author in the short-est time”.(35) Tale obbligo ai sensi dell’art. 18, EFSA Code of Good administrative behaviour cit. si specifica addirittura al punto di richiedere che“The agents or other servants shall avoid making decisions which are based on brief or vague grounds or which do not contain individ-ual reasoning”; e se è vero che “it is not possible, because of the large number of persons concerned by similar decisions, to commu-nicate in detail the grounds of the decision”, la norma in questione precisa che “the agents or other servants shall guarantee that he sub-sequently provides the citizen who expressly requests it with an individual reasoning”.(36) Mi riferisco agli artt. 19 e 20, EFSA Code of Good administrative behaviour cit.(37) Sul punto v. anche la decisione di AESA sul diritto di accesso ai documenti amministrativi: EFSA’s Decision concerning access todocuments, MB 16.09.2003 – adopted.(38) Art. 23, EFSA Code of Good administrative behaviour cit.(39) Emendato dal reg. (CE) No 1642/2003, GUUE L245/4 del 29.9.2003.(40) Anche se in quella sede la Commissione preventivava un potere assoluto sulla loro regolamentazione: COM (2002) 718, cit., 11 ovesi legge che “La disciplina specifica relativa alla composizione di queste commissioni di ricorso e alla procedura ad esse applicabilidovrebbe essere definita dal legislatore ed eventualmente integrata da misure di esecuzione adottate dalla Commissione”.(41) COM(2005) 59 punto 14.3, pag. 17.

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tente per prodotti e procedure paragonabili a quelle attribui-te ad AESA42.Un tale organo potrebbe diminuire i potenziali casi di con-tenzioso giurisdizionale intervenendo in una fase anteriore,con sostanziali economie sia per gli organi giurisdizionalieuropei che per la stessa AESA. Occorre peraltro osserva-re che sempre in base alla dottrina Meroni la creazione diun tale organo non può avvenire per mezzo di una decisio-ne interna dell’Autorità, ma esclusivamente in seguitoall’approvazione di un testo legislativo comunitario che attri-buisca esplicitamente ad AESA il potere di creare un orga-no di risoluzione delle controversie e di applicazione deldiritto a casi specifici43. D’altra parte, a quanto sopra sipotrebbe fondatamente obiettare che un tale tipo di approc-cio non sarebbe efficiente, giacché i costi fissi derivantidalla creazione e dalla gestione di una struttura del tipo diquella adottata per ECHA non sarebbero giustificati dall’esi-guo numero di casi potenzialmente rilevanti. Questo sareb-be un argomento cruciale se solamente si considera chesino alla pubblicazione del presente scritto AESA era stataportata in giudizio solo sei volte. Questa è anche probabil-mente la ragione per la quale sino ad ora il legislatore euro-peo ha preferito una soluzione differente, vale a dire l’inse-rimento di una “clausola di riesame amministrativo” in diver-si testi normativi adottati dal 2003. Le disposizioni in com-mento permettono a qualunque parte direttamente e indivi-dualmente interessata da una decisione o omissione diAESA di richiedere alla Commissione europea di riesamina-re un dato atto o omissione. Può essere interessante nota-re che la procedura in parola può essere iniziata anche sudomanda di parte o della Commissione. Può darsi che lasoluzione di cui sopra, che vede l’inserimento delle clauso-le di riesame amministrativo, risulti conforme alla giurispru-denza della Corte di giustizia, ma a nostro sommesso pare-re non risulta particolarmente rispettosa del principio di indi-pendenza amministrativa che dovrebbe caratterizzare l’in-quadramento istituzionale dell’Agenzia di Parma e quello ditutte le agenzie comunitarie di regolazione. Considerato quanto sopra non possiamo quindi che concor-

dare con quegli Autori che hanno evidenziato come la crea-zione di camere interne specializzate nel riesame ammini-strativo sarebbe (per lo meno a livello accademico) preferi-bile alle c.d. clausole di riesame44.

2.A.2 La responsabilità di AESA per i danni causati daisuoi dipendenti

Abbiamo già detto di come il diritto comunitario riconoscaespressamente il principio della responsabilità delle istitu-zioni europee per il fatto dei propri dipendenti, purché cau-sato nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali45.Più in dettaglio, ai sensi dell’art. 288 TCE “In materia diresponsabilità extracontrattuale, la Comunità deve risarcire,conformemente ai principi generali comuni ai diritti degliStati membri, i danni cagionati … dai suoi agenti nell’eser-cizio delle loro funzioni”.Abbiamo già visto che le agenzie comunitarie di regolazionenon sono espressamente menzionate nell’Articolo 288 TCE.Ciononostante, il principio generale di responsabilità dellaComunità per gli atti dei suoi dipendenti cagionati nell’eserci-zio delle loro funzioni è applicabile anche ad AESA ai sensidell’articolo 47 (2) del suo regolamento istitutivo.La Corte di giustizia ha con il tempo elaborato una specificagiurisprudenza in proposito, giungendo a tracciare sulla basedelle esperienze nazionali un quadro pressoché completo,che ha contribuito a fugare le incertezze dovute alle generi-che indicazioni della norma primaria sopra richiamata.Giova peraltro rilevare come rispetto alle discipline presen-ti in molti Paesi membri i principi delineati nel tempo dallaCorte di giustizia delle Comunità europee si caratterizzinoper un’interpretazione alquanto rigida del requisito delnesso funzionale che deve esistere tra il danno cagionatodal dipendente e l’attività istituzionale dello stesso46.Per dovere di completezza si noti che i funzionari delleIstituzioni comunitarie hanno l’immunità nei confronti dellegiurisdizioni dei Paesi membri per gli atti compiuti nell’eser-cizio delle loro funzioni47. Tali disposizioni si applicano

(42) Il riferimento è all’agenzia per la valutazione dei prodotti chimici, istituita con il regolamento (Rettifica del) (CE) n. 1907/2006 delParlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizio-ne delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CEe che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE, GUUE L 396 del 30dicembre 2006.(43) Vedi Regolamento istitutivo dell’Agenzia europea per I prodotti chimici, Reg. (CE) No 1907/2006, GUUE L 396/1 del 30 dicembre2006.(44) In tali termini si esprimono Geradin D., Petit N., The Development of Agencies at EU and National Levels: Conceptual Analysis andProposals for Reform, cit., 188.(45) Articoli 235 e 288 TCE.(46) Così, ad esempio, è stato ritenuto come non rispondente a tale requisito il caso del funzionario che partendo in missione con la pro-pria auto personale, pur con l’autorizzazione della sua istituzione, ha causato danni a un terzo trasportato in occasione di un banale inci-dente stradale. Questo perché secondo la Corte il funzionario avrebbe potuto scegliere un mezzo di trasporto diverso dall’automobile,e mancava quindi quel carattere di causalità necessaria ritenuto indispensabile per ravvisare il nesso funzionale di cui sopra: Corte diGiustizia, Claude Sayag e S.A. Zürich contro Jean-Pierre Leduc, Denise Thonnon e S.A. La Concorde, Racc. 1969, 329.(47) Art. 291 TCE e art. 12(a), Protocollo sui Privilegi e sulle Immunità delle Comunità europee; in caso di entrata in vigore del TFUE art.11(a), Protocollo sui Privilegi e sulle Immunità dell’Unione europea annesso al nuovo TFUE.

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anche ai dipendenti di AESA in forza dell’art. 46 (2) del reg.(CE) No 178/2002, a sua volta implementato e specificatodall’Accordo di sede intercorso tra AESA e la RepubblicaItaliana. AESA, come le altre istituzioni e agenzie europee,può rinunciare all’immunità del proprio personale permet-tendo all’autorità giudiziaria di intraprendere il procedimen-to nei confronti del funzionario interessato. Di conseguen-za, nel caso di una causa che volesse far valere la respon-sabilità di un dipendente di AESA per un atto compiuto nel-l’esercizio delle sue funzioni, l’attore dovrebbe innanzituttopresentare apposita istanza al Direttore esecutivo di AESAal fine di ottenere la rinuncia all’immunità del dipendente inquestione.Di fatto, dunque, ogniqualvolta AESA non rinuncia all’immu-nità del proprio dipendente riconoscerebbe implicitamenteche gli atti posti in essere dal funzionario ed al centro dellacontesa giuridica sono ascrivibili all’Autorità. Al fine di evita-re facili abusi da parte delle istituzioni europee a tutto svan-taggio dei propri dipendenti, la Corte di Giustizia ha tuttaviaevidenziato che la decisione dell’istituzione sull’immunitàdei propri dipendenti non può in ogni caso escludere la suaresponsabilità dinanzi alla giurisdizione comunitaria48. LaCorte potrà dunque condannare l’istituzione di riferimentoper fatto di un dipendente anche quando l’istituzione abbiapreferito rinunciare all’immunità del dipendente, proprio perevitare tale responsabilità.

2.B La possibilità di impugnare gli atti ed i provvedimen-ti di AESA

Come noto, l’art. 230 TCE nella versione previgente alTrattato di Lisbona (corrispondente all’art. 263 TFUE, chetuttavia come vedremo prevede importanti modifiche rispet-to al testo tuttora vigente) contempla la possibilità per iricorrenti non privilegiati49 di contestare la legittimità delledecisioni prese nei loro confronti e delle decisioni che, purapparendo come un regolamento o una decisione presa neiconfronti di altre persone, le riguardano direttamente e indi-vidualmente purché adottate congiuntamente dalParlamento europeo e dal Consiglio, o dal Consiglio, dallaCommissione e dalla BCE e non siano raccomandazioni opareri, nonché gli atti del Parlamento europeo destinati aprodurre effetti giuridici nei confronti di terzi50.

La giurisprudenza europea prevede i seguenti requisiti: sideve trattare di un atto esistente; deve essere un atto adot-tato da un’Istituzione; e deve trattarsi di un atto che deter-mini un mutamento sostanziale nella posizione giuridica delricorrente. Come noto, inoltre, il ricorrente non privilegiatoche contesti una decisione o un regolamento del quale nonè un destinatario deve altresì dimostrare di essere indivi-dualmente e direttamente interessato dal provvedimento inquestione.Ai nostri fini appare particolarmente rilevante la prima seriedi requisiti di cui sopra, che risulta essere anche la più pro-blematica per chiunque abbia intenzione di contestare unatto adottato da AESA.Abbiamo visto come la disposizione di cui sopra non con-templi le agenzie della Comunità europea nel novero deisoggetti i cui atti possano essere direttamente impugnatidai terzi51. È quindi palese come la creazione di una trentina di agen-zie europee avrebbe inevitabilmente portato la questionedell’ammissibilità di azioni dirette dinanzi alla giurisdizioneeuropea. Storicamente, la giurisdizione comunitaria hasempre visto con favore un approccio pragmatico alla que-stione dell’ammissibilità di questo tipo di azioni, e in partico-lare alla possibilità di interpretare l’Articolo 230 TCE in unsenso favorevole ai ricorrenti che impugnassero atti adotta-ti da istituzioni non previste in detta disposizione.Il ragionamento della Corte in casi di questo tipo era sem-plice e cristallino: in un sistema giuridico basato sul diritto ilricorso avverso atti adottati dalle istituzioni doveva essereammissibile, anche nei confronti di enti non compresi all’in-terno dell’articolo 230 TCE52. In un caso a tutt’oggi fonda-mentale, nel quale era stata contestata la legittimità di unatto del Parlamento europeo, la Corte ritenne che fosse, ineffetti, possibile contestare la legittimità di un’azione dell’as-semblea di Strasburgo purché alcune condizioni fondamen-tali fossero rispettate. In particolare, la Corte ritenne che“The European Parliament is not expressly mentionedamong the institutions whose measures may be contestedbecause, in its original version, the EEC Treaty merelygranted it powers of consultations and political controlrather than power to adopt measures intended to have legaleffect vis-à-vis third parties”53. Dalla massima di cui sopra sipuò dedurre che una volta che l’ordinamento giuridicodell’UE prevede una delega che preveda l’adozione da

(48) Corte di Giustizia, Claude Moïse Sayag e S.A. Zürich contro Jean-Pierre Leduc, Denise Thonnon, in Leduc, e S.A. La Concorde,Racc. 1968, 402.(49) Ossia qualunque persona fisica o giuridica che sia direttamente e individualmente interessata da una determinata decisione chemodifica la sua posizione giuridica soggettiva.(50) Articolo 230, primo capolinea TCE.(51) Il Trattato che stabilisce una Costituzione per l’unione europea all’art. III-365(1) stabiliva espressamente la possibilità di rivedere lalegittimità degli atti delle agenzie e degli altri organi dell’UE; tale disposizione è stata ripresa dall’art. 269 del TFUE “creato” dal Trattatodi Lisbona.(52) Corte di Giustizia, C-57/95, Repubblica francese c. Commissione (Re Pension Fund Communication), Racc., 1997 I-1627; C-294/83,Parti ecologiste “les Verts” c. Parlamento europeo, Racc., 1986 1339, e Corte di Giustizia, Cause riunite C-193/87 e 194/87, Maurissenc. Corte dei Conti, Racc., 1989 1045.(53) Caso Les Verts, supra, punto 24.

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parte di un organo non menzionato dai Trattati di atti aven-ti effetto giuridico nei confronti dei terzi, allora tale delegadeve altresì permettere alla giurisdizione europea di riesa-minare tali atti in conformità al brocardo ubi ius, ibi reme-dium.Tale approccio non è stato seguito dalla Corte sulle agenziedell’Unione europea nel caso Eurojust, anche se occorreprecisare che Eurojust era un’agenzia creata “sotto” il terzopilastro della CE54. AESA per contro rientra nel novero delleagenzie comunitarie e non in quello delle agenzie UE. Ineffetti, per quanto riguarda il pilastro comunitario, la Corteha sempre dimostrato un approccio più aperto alla possibi-lità di verificare la legittimità di “tutte le disposizioni adotta-te dal Consiglio e destinate a produrre un effetto giuridiconei confronti dei terzi”55.Dalle considerazioni di cui sopra si può dedurre che il prin-cipio di diritto enunciato in Les Verts sia valido anche per leagenzie comunitarie, e quindi anche per AESA56. Quantoqui anticipato è stato confermato dal Tribunale di Primaistanza in una recentissima sentenza formulata nei confron-ti dell’agenzia europea per la ricostruzione57. Esso dovrànaturalmente essere confermato dalla Corte di Giustizia,ma a parere di chi scrive una decisione in tal senso nondovrebbe sorprendere alcuno, in quanto i principi di cuisopra paiono essere un’altra applicazione di massimeappartenenti alla giurisprudenza tradizionale della giurisdi-zione comunitaria.Chiaramente, la possibilità teorica di impugnare un atto diun’agenzia comunitaria dovrà essere verificata caso percaso, al fine di valutare se anche gli altri requisiti dell’artico-lo 230 TCE siano ravvisabili. Mi riferisco in particolare alrequisito che richiede che l’atto impugnato abbia modificatola situazione giuridica soggettiva del ricorrente.Almeno da un punto di vista meramente teorico e fatte salveeventuali novelle legislative, invero, AESA non è stata dele-gata a esercitare poteri di regolazione dei mercati aventinatura decisoria e direttamente incidenti su persone fisicheo giuridiche. In linea di principio l’Autorità è invero solamen-te il punto di riferimento per l’analisi del rischio nei settoridella sicurezza alimentare e dei mangimi, latamente intesi.Per tale ragione gli atti più rilevanti di AESA, ossia i pareri

scientifici, e più in generale tutti i suoi output scientifici, nonessendo indirizzati ai privati ma esclusivamente allaCommissione europea o alle autorità competenti dei Paesimembri, non possono incidere direttamente sulla sfera diterzi eventualmente interessati da tali atti.Spetterà esclusivamente ai gestori del rischio di volta in voltacompetenti (e quindi nella maggior parte dei casi allaCommissione europea) adottare le misure di gestione delrischio che si riveleranno più appropriate alla luce del parerescientifico di AESA e eventualmente di altri fattori legittimi58. La giurisdizione comunitaria ha riconosciuto da qualchetempo l’obbligo della Commissione di riesaminare e control-lare la qualità dei pareri scientifici adottati dai comitati com-petenti in relazione ai principi generali di indipendenza,eccellenza scientifica e valore probatorio59. Ad esempio, la Commissione potrebbe decidere di daremaggior peso alla posizione scientifica espressa in un pare-re scientifico di minoranza di un organo di AESA, purché neldiscostarsi dalla posizione ufficiale espressa dal competen-te comitato scientifico l’esecutivo europeo motivi scientifica-mente la propria scelta. È quindi palese come in conformi-tà a una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia,gli atti scientifici adottati da AESA siano solamente docu-menti preparatori redatti per permettere all’esecutivo euro-peo di adottare una decisione vincolante per i terzi coinvol-ti in piena cognizione di causa. La conseguenza è che gliatti scientifici adottati da AESA non possono modificaredirettamente la posizione giuridica soggettiva di alcuno.Quanto sopra tuttavia non impedisce ai soggetti interessatidi impugnare la misura di gestione del rischio adottata dal-l’organo competente sulla base dell’atto scientifico di AESA.In pratica questo sarà invero l’unico modo per contestareindirettamente la legittimità o la qualità di un atto scientificodi AESA60.A ciò si deve aggiungere che la giurisdizione comunitaria hada sempre riconosciuto un’ampia discrezionalità alle istitu-zioni comunitarie che si occupano di valutazioni complessecome quelle attinenti alla valutazione del rischio nel settoredella sicurezza alimentare e dei mangimi. Un tale approccioevita una situazione che è stata definita “paralisi come con-seguenza dell’analisi”, ove i destinatari di una misura di

(54) Corte di Giustizia, 15 marzo 2005, C-160/03, Regno di Spagna c. Eurojust, Racc., 2005 I-2077.(55) Corte di giustizia, 27 febbraio 2007, C-354/04 P, Gestoras Pro Amnistia, Olano and Errasti c. Consiglio, Racc., 2007 I-01579, punto53.(56) In conformità ad una risalente giurisprudenza della Corte di Giustizia: v. ad esempio C-15/2000, Commissione europea c. Bancaeuropea degli investimenti, Racc., 2003 I-07281, punto 75.(57) Tribunale di prima istanza, 8 ottobre 2008, SOGELMA c. Agenzia europea per la ricostruzione, non ancora pubblicata, 36 e 37, ovesi applica espressamente la giurisprudenza Les Verts alle agenzie comunitarie.(58) Sul concetto di “altri fattori legittimi” si rinvia a Bossis G. 2003, Gestion des risques alimentaires et droit international: la prise encompte de facteurs non-scientifiques, RGDIP -3, 693; Poli S. 2004, Adopting international food standards: Euro-American conflicts withinthe Codex Alimentarius Commission, in Snyder F. (ed.), International Food Security and global legal pluralism – Sécurité alimentaire etpluralisme juridique internationale, Bruxelles; Fisher E. 2007, Risk Regulation and administrative constitutionalism, Oxford.(59) Tribunale di primo grado, 11 settembre 2002, Pfitzer Animal Health SA c. Consiglio dell’Unione europea, T-13/99, Racc. 1999, p. II-3305, punti 198 e 199.(60) Tribunale di primo grado, 18 dicembre 2003, T-326/99, Nancy Fern Olivieri c. Commissione europea ed EMEA, Racc., 2003, II-06053,punto 55.

regolamentazione del mercato (o ad essa paragonabile)cercano di utilizzare le Corti per bloccarne l’esecuzionesulla base di lagnanze relative ad asserite mancanze del-l’agenzia di turno nell’analizzare le informazioni fornite. Difatto, i pareri scientifici di AESA possono essere contestatisolo indirettamente, nel momento in cui la Commissioneprende delle decisioni basate su di essi, ma anche in quelcaso il sindacato della Corte si risolve con un’analisi limita-ta alla verifica sullo sviamento di potere e sull’errore mani-festo61. Questo principio, sebbene affermato dalla giurispru-denza comunitaria riguardo all’EMEA62, si ritiene comune-mente applicabile anche ad AESA, in quanto basato suprincipi generali di diritto amministrativo europeo non con-futati dalla normativa concernente espressamentel’Autorità.Dunque, anche, nell’ipotesi in cui sia contestata la legittimitàdi una decisione della Commissione basata su un parerescientifico di AESA il sindacato giurisdizionale della giurisdi-zione europea in presenza di pareri scientifici adottati da unorgano comunitario in un contesto di elevata complessità (equindi discrezionalità) quale quello della valutazione delrischio in ambito alimentare sarà di fatto alquanto limitato,come da ultimo evidenziato dalla Corte stessa in un’importan-te decisione relativa agli organismi geneticamente modificati63.Le condizioni richieste per impugnare una decisione diAESA occorrerebbero dunque solamente nella casisticatipica di qualunque istituzione europea, come nel caso inl’autorità di Parma prenda una decisione definitiva in mate-ria di accesso ai documenti64 o di appalti pubblici, o quandoessa decide sulla riservatezza di determinati dati.Ad ogni modo, AESA è tenuta al rispetto dei principi di buonaamministrazione di cui all’art. 41, Carta dei diritti fondamenta-li dell’Unione europea65 nonché a quelli di cui al Code of GoodAdministrative Behaviour del Mediatore europeo anche quan-do non emette decisioni giuridicamente vincolanti. Abbiamovisto come ciò sia stato confermato anche dalla Corte diGiustizia: in tale occasione la Corte ha statuito espressamen-te che “un provvedimento che, …, comporta il divieto di com-mercializzare prodotti …, deve essere corredato di una proce-dura …, che sia conforme ai principi generali del diritto comu-nitario e, in particolare, ai principi di buon andamento dell’am-ministrazione e di certezza del diritto”66.

In ambito comunitario sarebbe quindi al momento (e fortuna-tamente) da escludersi un pericolo di second-guessing deipareri di AESA da parte delle Corti europee. Chi scrive pro-pende per un’applicazione particolarmente rigida di tale limiteper un motivo semplice ma al tempo stesso fondamentale: leCorti non saranno mai in grado di decidere in senso ottimalela correttezza o completezza di atti scientifici che prendonoposizione su argomenti complessi, se non per aspetti formalidel tutto marginali rispetto alla questione principale. Non si potrebbe del resto comprendere la logica di asse-gnare ad un organo atecnico come una corte il compito divalutare la correttezza di un parere redatto dagli espertiscientifici di AESA. Le Corti si troverebbero nella scomodaposizione di dover chiedere l’intervento di esperti esterni,divenendo quindi esse stesse ostaggi di quella expertisescientifica la cui legittimità, coerenza e completezza sareb-bero chiamate a valutare. In più (melius, in meno) gli esper-ti esterni scelti dalle Corti non beneficerebbero di quellegaranzie normative che sono state previste nel regolamen-to istitutivo di AESA proprio al fine di assicurare la redazio-ne di atti scientifici indipendenti e di alta qualità.Riteniamo pertanto che anche un “esame” giurisdizionalelimitato alla legittimità degli atti scientifici adottati dalleagenzie comunitarie paragonabili ad AESA dovrebbe esse-re molto circospetto. Il rischio sarebbe pertanto di annullareo sospendere atti scientifici perfettamente rispondenti airequisiti di eccellenza e indipendenza scientifica per privile-giare principi giuridici che sovente hanno scarsa rilevanzain ambito scientifico67. Considerate le difficoltà connesse all’impugnazione di attiadottati da AESA nelle sue attività principali, possiamo con-cludere che l’azione diretta prevista dall’articolo 230 TCEsarà disponibile solamente avverso le decisioni per cosìdire “ordinarie” adottate da AESA come da ogni altraIstituzione o agenzia della Comunità (Unione) europea Miriferisco in questa sede alle decisioni amministrative adotta-te da AESA nel contesto del pubblico accesso ai documen-ti68, di protezione dei dati detenuti dall’Autorità, di procedu-re ad evidenza pubblica, et cetera. In tutti questi casi trove-rà applicazione il solito quadro normativo e giurisprudenzia-le applicabile a tutti gli atti comunitari. Per questa ragionenon ci soffermeremo oltre su questo punto.

(61) Corte di Giustizia, sentenza della Corte del 9 settembre 2003, C-236/2001, Monsanto Agricoltura Italia SpA e altri contro Presidenzadel Consiglio dei Ministri e altri, Racc., 2003, I-08105.(62) Tribunale di primo grado, T-326/99, cit., punto 55.(63) Corte di Giustizia, Monsanto Agricoltura Italia spa, cit.(64) Art. 41 del regolamento (CE) No 178/2002, cit.(65) Pubblicata su GUCE C364/1 del 18.12.2000.(66) Corte di Giustizia, cause riunite C-154/04 e C-155/05, The Queen, ex parte: Alliance for Natural Health e Nutri-Link Ltd controSecretary of State for Health cit., punto 72, cit. Per un’interessante analisi delle problematiche esaminate dalla predetta sentenza sirimanda a Capelli F., Klaus B. 2006, I problemi ancora aperti dopo la sentenza della Corte di Giustizia che conferma la validità delladirettiva sugli integratori alimentari, Milano.(67) Per un esempio di quello che intendiamo, si rinvia alla recente pronuncia del Tribunale di primo grado, 11 luglio 2007, T-229/04,Regno di Svezia c. Commissione europea, punto 70, ove la Corte valuta la completezza dell’analisi del rischio effettuata dalle autoritàcompetenti e interpreta alcuni studi.(68) Articolo 41 del regolamento (CE) No 178/2002, cit.

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3.- Osservazioni conclusive

Nei paragrafi precedenti abbiamo cercato di richiamare leragioni alla base della creazione di AESA e di ragionare sualcuni aspetti che sono propri di quest’agenzia comunitariadi regolazione soffermandoci su alcuni rimedi giurisdiziona-li che sono a disposizione dei soggetti interessati dalle sueattività.Sulla base delle considerazioni svolte nei paragrafi prece-denti, risulta chiaramente come il legislatore europeo abbiavoluto che AESA si concentrasse esclusivamente sullavalutazione del rischio o comunque su questioni scientificherelative al suo mandato. Di certo non le ha delegato realipoteri di regolazione dei mercati, né pare abbia desideratoche essa, come altre agenzie che forniscono consulenzascientifica, fosse “tediata” da questioni secondarie qualiazioni dirette avverso i suoi atti scientifici. È chiaro che inquesto senso egli è riuscito nel suo intento, agevolato alme-no per il momento dall’equilibrio istituzionale e dalla conso-lidata giurisprudenza delle corti comunitarie. È altrettantopalese che, come si è affermato, l’impossibilità di contesta-re direttamente (ed esclusivamente) i pareri scientifici diAESA, prima ancora che questi diventino la base scientificadi una decisione della Commissione, limita sostanzialmen-te le opzioni a disposizione dei privati per difendere i lorointeressi69. Questo profilo appare ancor più rilevante se solosi considera che sebbene da un punto di vista squisitamen-te formale la Commissione europea non sia obbligata aseguire i pareri scientifici di AESA70, di fatto essa è costret-ta a farlo dalla mancanza di risorse e spesso di fonti alter-native altrettanto qualificate: i pareri scientifici di AESAsarebbero dunque delle vere e proprie fonti di soft law71.Ciononostante, possiamo a questo punto citare quantoaffermato dalla Corte di giustizia in relazione ad un’altra (e,in effetti, ben più grave) mancanza che caratterizza l’ordina-mento giuridico dell’Unione europea con un’asserzione cheha chiuso la porta a qualunque disquisizione sul punto:“spetta agli Stati membri prevedere un sistema di rimedigiurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il rispettodel diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva”72.

Per terminare, vorremmo ricordare che l’entrata in vigoredel Trattato di Lisbona modificherà in modo sostanziale gliarticoli 230, 232 e 234 del TCE (che diventeranno rispetti-vamente articoli 263, 265 e 267 TFUE) inter alia inserendole agenzie dell’Unione tra le istituzioni legittimate passiva-mente a subire un’azione diretta.A parere di chi scrive pare che questa seppur notevolemodifica non muterà la situazione attuale, giacché perquanto qui rileva si dovrebbe limitare a confermare quellacorrente giurisprudenziale e dottrinaria che vuole l’articolo230 TCE già da ora disponibile per il riesame degli atti edelle decisioni delle agenzie comunitarie. Tuttavia, ilTrattato di Lisbona non cancellerà quel requisito sviluppatodalla giurisprudenza comunitaria sulla base dell’articolo 230TCE secondo il quale un atto è impugnabile solamente sedefinitivo e se modifica la posizione giuridica soggettiva diuna persona fisica o giuridica. Possiamo quindi affermareche le conseguenze pratiche per AESA non dovrebberoessere particolarmente rilevanti, giacché non dovrebberocomportare l’impugnabilità dei suoi atti scientifici.

ABSTRACT

The purpose of the present work is to provide the readerwith some reflections concerning the intensity of judicialreview applied by the European judicature on operationsand outputs of the European Food Safety Authority (EFSA).The paper starts from an outline of the reasons and ration-ale behind the creation of EFSA. It then analyses from thestandpoint of a potential claimant the institutional peculiari-ties characterizing the category of EC regulatory agencies,highlighting the main hurdles to be overcome. The articlefocuses on the possibility of challenging EFSA’s scientificoutputs, and it also touches upon the Authority’s contractu-al and non-contractual liability. The work concludes with ashort reflection about the institutional balance and possibil-ity for judicial review of acts adopted by EFSA, in the viewof the entry into force of the Lisbon Treaty.

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(69) Gadbin D. 2004, Les nouvelles articulations entre expertise scientifique et décision politique, in La création de l’Autorité Européennede Sécurité des Aliments : Enjeux et Perspectives, Toulouse, 49.(70) L’esecutivo europeo è di gran lunga il principale destinatario degli output scientifici di AESA.(71) Wendler F. 2005, The European Food Safety Authority as a source of Soft Law. Towards more effective and legitimate EU food safe-ty governance?, paper presentato al Seminario CONNEX “Soft Governance and the private sector: the EU and global experience,Darmstadt 1-3 November 2005”, p. 5.(72) Corte di giustizia, 25 luglio 2002, ., 2002 I-6677, punto 41.

L’esperienza dei Farmers’ marketsnegli USAtra food security e food safety

Domenico Viti

1.- L’agricultural policy tra intervento pubblico e spinte almercato

Il recente scontro istituzionale che ha visto contrapposti ilPresidente Bush e il Congress dimostra ancora una voltaquanto importante sia per l’equilibrio del sistema americanola somma di incentivi e sussidi contenuta nel Farm Bill. Ilnuovo Farm Bill conferma un impianto di aiuti basato suipagamenti diretti, con in aggiunta un nuovo sistema di reve-nue assurance1. Il Congress, con un atto insolito, ha over-ruled , grazie ad un voto bi-partisan, la decisione dellaCasa Bianca, in nome dell’intoccabilità di posizioni garanti-te ai farmers da lungo tempo. Nuove ed ingenti risorsefinanziare sono riservate alla fornitura di buoni alimentarialle famiglie povere ed alla produzione di etanolo e bio-car-buranti.2. I timidi accenni ad una agricoltura market orien-ted contenuto nel “Freedom to Farm Act” del 1996 sonostati in parte riassorbiti dalla forte attività della lobby agrico-la3. D’altra parte, a margine della grande organizzazioneproduttiva del mercato delle commodities, si sta sviluppan-do un filone interessante basato su nuove figure di impren-ditori agricoli con originali tecniche di commercializzazione.In particolare, anche sulla spinta di importanti organizzazio-ni del non profit, emerge un movimento di farmers marketsche tendono a valorizzare la vendita diretta del prodotto,per altri versi, visto il contesto demografico ed urbanisticostatunitense, impossibile da realizzarsi in altra maniera.

2.- Family farms e corporate agriculture

Gli Stati Uniti sono i più grandi produttori di agricultural com-modities del mondo. Il family farmer o il corporate farmer

statunitense è inserito in una ben strutturata rete di com-mercializzazione del prodotto, in un contesto di mercato ingran parte supply-oriented. Il farmer4, d’altra parte, ha avutoverso i landowners un bargaining power abbastanza rile-vante, dovuto al fatto che è lui di solito il proprietario delletecnologie necessarie per mettere a coltura grandi appez-zamenti di terra.E’ relativamente poco sviluppato il contoterzismo come lo siintende nella nostra esperienza, cioè del piccolo agricoltoreche ha una eccesso di meccanizzazione rispetto all’utilizzoche ne può fare nella sua azienda. E’ presente un contoter-zismo invece capital intensive, soprattutto riguardanti lecombines utili per la raccolta, negli ultimi anni, a prova di unforte processo di globalizzazione, gestite da maestranzeaustraliane, neo-zelandesi o afrikaans sud-africani. Ilmodello impostato a suo tempo dal New Deal contenevauna preferenza di filiera, mai dichiarata, perché la foodchain veramente privilegiata è stata quella della meat indu-stry. Le basic commodities americane hanno creato un con-testo culturale che ha portato a sviluppare una grande indu-stria dei mangimi: soia e mais sono le colture agricole piùdiffuse nel Mid. West, mentre il frumento viene visto comeun prodotto agricolo in parte correlato al consumo di carne(in particolare per la panificazione). Le arachidi, ad esem-pio, da cui si estrae la gran parte dell’olio utilizzato negliUSA, sono un prodotto fortemente influenzato dall’industriadella carne (in particolare per le grandi catene di fast food).Lo stesso modello del capitalismo americano, d’altra parte,è stato fortemente influenzato dall’industria della carne. Iflussi di merci e le aree di commercializzazione sono staticondizionate dalla presenza di grandi mercati di carne:snodi di mercato essenziali, come Kansas City nel Missourio Chicago nell’Illinois non possono essere compresi fuorida un contesto di “grande linea della carne”. Il Packers andStockyard Act del 1921 si è inserito, a livello legislativo, neldelineare i confini giuridici in cui si è disegnato la linea diconfine tra il corporate power ed il political power, a testimo-nianza di una risalente preoccupazione per la creazione diposizioni dominanti nell’ambito della meat industry.Il consumo di proteine animali ha determinato l’intero siste-ma agricolo mentre i comparti residuali, come l’ortofrutta,sono stati trascurati dalla normativa di favore.Gli Stati agricoli legati alla meat industry hanno sin daitempi del New Deal rappresentato una potente lobby, a pre-

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(1) Il famoso storico Victor Hanson Davis, voce autorevole della destra Repubblicana, nel suo Please Not Another Farm Bill (Column delnovembre 2007 in http://www.realclearpolitics.com/articles/2007/11/please_not_another_farm_bill.html) ha espresso il disappunto per unulteriore intervento a favore dei farmers nelle modalità stabilite dal Farm Bill. Questo autorevole studioso, professore universitario maanche agricoltore, considera l’attuale sistema di subsidies un forma di lenta condanna a morte della family farm, tradizionale modellosociale di agricoltura su cui si fonda non solo l’agricoltura ma la stessa radice profonda della democrazia americana.(2) Quasi trecento miliardi di dollari saranno riversati sul più grande sistema agricolo del mondo, confermando una risalente tendenza aprivilegiare i farmers.(3) Sulla situazione giuridica dal 2002 al 2006 v. Pittman, Direct Payments and Counter-Cyclical Payments under the 2002 Farm Bill,paper del The National Agricultural Law Center, Fayetteville Ar., 2003.(4) Il processo di allargamento delle aziende agricole e la “spiritualizzazione dell’impresa” dall’altro sono un altro fenomeno del-l’evoluzione dell’organizzazione dell’offerta dei prodotti agricoli. Le farms si allargano ma con un minore utilizzo dell’ownership. Si è tesopiuttosto ad usare contratti di lease o sharecropping, grazie anche al fatto che le agricultural tenancies sono praticamente deregulated.

scindere che siano governati dal Democratic o dalRepublican Party.L’industria sementiera e l’industria dei mangimi, a monte eda valle della filiere, hanno determinato la strutturazione delmercato, molto più di quanto abbiano fatto le imprese di tra-sformazione. Il concetto di agri-business, così come formu-lato dagli anni cinquanta presso l’Harvard University5, haper certi versi creato quella che potremmo definire la misti-ca degli opposti. Da un lato il family farmer è stato conside-rato la base dell’agricoltura di quel grande Paese, dall’altrola struttura economica si andata a saldare intorno ad unacorporate agricolture dominata dalla meat industry.In verità le due realtà non sono state contraddittorie. Lafamily farm tipica del MidWest si è integrata in modo effi-ciente nel sistema complessivo di organizzazione dei mer-cati agricoli, anche perché comunque le superfici aziendalihanno consentito forme di integrazione non immaginabili inaltri sistemi agricoli. Dal New Deal in poi l’agricoltura ame-ricana, pur vedendo ancora una presenza maggioritaria deifamily farmer, è stata un interessante esempio di mercatostrutturato, in cui ben poca parte è stato lasciato ad un libe-ro mercato. Le grandi cooperative rappresentano ancoraadesso l’anello di congiunzione tra gli agricoltori ed leimprese di trasformazione e commercializzazione dei pro-dotti. I flussi informativi sono costantemente assicurati dallegrandi borse merci, che, oltre alla funzione di hedging, rap-presentano l’anello di congiunzione tra il farming ed il l’agri-cultural business tout court.Una caratteristica rilevante dell’agricoltura nord-americanaè stata la distanza tra le aree di produzione ed i centri diconsumo. Sono nel mito americano le piste che servivanoper l’approvvigionamento di carne delle metropoli del Nord.Il Mid West vede crescere città, Oklahoma City, St. Louis,Minneapolis, negli snodi commerciali, ma la gran parte deiconsumatori è concentrata sulle coste dei due oceani o deiGrandi Laghi.L’agribusiness si è quindi strutturata con uno stretto legamecon i problemi della logistica e della conservazione degli ali-menti. La logistica dei prodotti alimentari è diventata para-digmatica anche per il trasporto di altri beni, con un utilizzorazionale delle vie naturali, come i grandi fiumi, in particola-re il Missisipi-Missouri, ed i grandi laghi. La filiera lunga hacaratterizzato la strutturazione del mercato agricolo sinodalla integrazione tra un farming dominato da agricoltori diorigine anglo-sassone e nord-europea e il crogiolo dellevarie etnie che compongono il melting pot americano. Lagrande borsa di Chicago ha rappresentato l’emblema di un

mercato fortemente regolato da reti contrattuali ed associa-tive e gestito da una visibile hand con pugno di ferro.

3. - Il Farm Bill ed il modello di welfare americano

I prezzi eccezionalmente contenuti dei prodotti alimentari,d’altra parte, sono stati resi possibili anche da questo mer-cato così ben organizzato ed hanno rappresentato unaforma di stabilizzazione sociale in una realtà per sua natu-ra aperta a continui nuovi flussi di immigrazione. La percen-tuale di reddito della middle class da destinare all’alimenta-zione è stata, in particolare dopo la grande crescita econo-mica del secondo dopoguerra, estremamente bassa. Ciboa buon mercato (e costo delle abitazioni molto più bassorispetto ai valori immobiliari europei od asiatici) ha consen-tito alla famiglia media americana di poter destinare granparte del proprio reddito a coprire costi che in altri modellisocietari sono coperti dal welfare. Il Farm Bill è, insieme allespese militari, una forma di determinazione delle sceltemacro-economiche e di indirizzo del risparmio privato,sostenuto dalla leva fiscale. I prezzi bassi dei prodotti ali-mentari sono stati determinati anche dal fatto che negli USAnon vi è mai stata una politica di chiusura dei mercati equi-valente a quella provocata dai prelievi alle importazioni odalle restituzioni alle esportazione della Comunità Europeae da un risalente sistema di aiuto al reddito basato sui defi-ciency payments6. L’utilizzo dei food stamps7 per aiutare lefamiglie con basso reddito va a completare il quadro in cuila produzione di qualità di massa è aliena non solo almodello agricolo ma ad un intero assetto sociale. La middleclass può quindi riservare la parte più rilevante del redditoper le assicurazioni per la salute (costosissime) e l’educa-zione universitaria dei figli solo in presenza di una compen-sazione economica nei consumi alimentari. I ceti più pove-ri, attraverso invece i food stamps possono coprire ampia-mente i bisogni alimentari, così facilmente accessibili dadeterminare proprio nelle classi meno agiate grandi proble-mi di obesità. Per certi versi il recente altalenante andamen-to dei prezzi delle commodities ha incrinato il sistema, macomplessivamente l’accessibilità di food a buon mercatorimane un fattore determinate nell’assetto sociale nord-americano8.L’accesso agli alimenti non a caso è gestito da politichefederali e non statali. La Commerce Clause dellaCostituzione americana ha coperto un interventismo fede-rale che indubbiamente è venuto a rappresentare, dopo la

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(5) Davis, A concept of Agribusiness; pubblicazione della Harvard Graduate School of Business Administration, Boston Mass., 1957.(6) Per una dettagliata illustrazione delle farm policies nei vari periodi storici v. Liption and Pollack, Major Agricultural and TradeLegislation, 1933.96, Economic Reserch Service/USDA, Provision of the Federal Agricolture Improvement and Reform Act del 1996, p.128 ss.(7) Introdotti con il Food Stamp Act del 1964 (P-L- 88-525).(8) V., per una ricognizione generale, Harl, Price and Income Policy, paper presentato all’American Society of Farm Managers and RuralAppraise, Louisville, Kn., 7 december 2002; Gardner, U.S. Agricultural Policies Since 1996. With a Focus on Market Effects in Grainsand Oilseeds, Department of Agricultural and Resource Economics, University of Maryland, WP 03-14, 2003.

grande crisi del 1929, il nuovo fondamento del patto socia-le americano. La stessa superiorità delle politiche delCongress rispetto alla giurisprudenza della Supreme Courtnon a caso è stata affermata, politicamente ancor più chegiuridicamente, nella delineazione di questo modello a par-tire dal New Deal9.Il modello negli ultimi tempi, d’altra parte, è stato scalfitodalla stessa ridefinizione dei goals del Farm Bill. Avere uti-lizzato la fiscalità generale per favorire l’utilizzo delle basiccommodities come bio-fuel rappresenta indubbiamente unallontanarsi dal patto consolidato che ha permesso allamiddle class americana con una redistrbuzione del redditocompletamente differente dagli equivalenti settori socialieuropei10. L’agri-business è in un momento di svolta. Lacapacità produttiva dell’agricoltura americana ha caratteriz-zato la più grande economia del mondo; adesso, d’altraparte, le scelte politiche e gli indirizzi del mercato stannofacendo emergere l’importanza di fenomeni minoritari e percerti versi marginali11.

4.- La modifica dei paradigmi alla luce dei nuovi orienta-menti di agricultural policy

Il “buy fresh, buy local”, efficace slogan di un progetto delDrake University Agricultural Law Center per la valorizza-zione della filiera corta, si può dire, quindi, che è un feno-meno relativamente recente12. La filiera corta negli USA vacontro una modalità risalente di organizzazione della distri-buzione degli alimenti ed è andata incontro agli agricoltorinon coperti da production programmes. Attualmente, tutta-via, hanno trovato nuovo vigore proprio dall’indebolimentocomplessivo della legittimazione dell’agribusiness. I farmers’ markets rappresentano una e vera e propria rivo-luzione concettuale nella stessa idea di commercializzazio-ne degli alimenti. E’ interessante, d’altra parte, che l’espe-rienza USA, così caratterizzata dalla filiera lunga, abbiaprodotto un così vasta presenza di farmers’ markets. Inparte lo si può comprendere con l’entusiasmo di un movi-mento giovane, con l’evoluzione del melting pot e con lanuova mistica del farming. L’esperienza americana di que-sta nuova (ma nello stesso tempo antica) modalità di mar-

keting ha avuto un impatto vasto a livello internazionale,tanto da essere importato in Europa, dove, d’altra parte, unmercato di prossimità non è mai venuto meno. I farmers’ markets americani vanno intanto compresi anchenella logica dello sviluppo urbanistico USA. La città statuni-tense vede presente una cosiddetta “downtown” ed enormiaree residenziali ora intervallate da gigantesche shoppingmalls. Da tempo i centri delle città hanno perso gran partedella loro importanza commerciale per diventare aree finan-ziarie o per uffici. Le zone urbane a ridosso del centrohanno visto un lungo periodo di abbandono e degrado, conuna altissima concentrazione di minoranze etniche di nuovaimmigrazione, in particolare asiatici e ispanici. La middleclass si è trasferita nei più lontani quartieri residenziali,favorita nel commuting anche dai costi eccezionalmentebassi dei carburanti e dalle nuove tecnologie.Le minoranze asiatiche sono state in parte le prime prota-goniste della vendita diretta dei prodotti agricoli in piccolimercati. Il commercio di prodotti agricoli su piccola scala daparte di immigrati di origine vietnamita o coreana ha rispo-sta a necessità proprie delle comunità neo-immigrate: vive-vano in aree dove la grande distribuzione non si stava svi-luppando; le abitudini alimentari, in particolari degli asiaticierano abbastanza incompatibili con gli standard della meatindustry13; la coltivazione di piccoli lotti di terreno e la vendi-ta diretta del prodotto era funzionale a modelli di piccolaimprenditorialità estraneo all’agri-business, con una fortecomponente familiare e relativa assenza di barriere lingui-stiche. Il quasi monopolio da parte degli asiatici del piccolocommercio di prodotti agricoli ha notoriamente provocatoscontri, anche estremamente violenti, con la antica mino-ranza afro-americana14.La riscoperta della vendita diretta delle grocery stores daparte delle nuove ed estremamente laboriose minoranzeasiatiche viene a saldarsi con nuovi farmers, in prevalenzadi origine anglo-sassone, diversi dall’ordinario, appartenen-ti ad una nuova fase del cosiddetto back to farm move-ment15. Il “Movimento di ritorno all’agricoltura” è fenomenorisalente negli Stati Uniti. E’ stato un rivolo carsico, certa-mente minoritario rispetto al mainstream dell’agricolturaamericana ma certamente di grande rilevanza sociologicaed ideologica. In particolare dallo shock della Grande

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(9) Memorabile lo scontro tra la Presidenza Roosevelt e la Supreme Court.(10) Il disagio di forme di intervento a sostegno degli agricoltori in un periodo di prezzi alti viene espresso anche dalla grande stampaindipendente. V. Herszenhorn, Farm Income Up, but Subsidies Stay, New York Times, 24 aprile 2008.(11) Parafrasando Paul Krugman, il grande columnist del New York Times, ora Premio Nobel, che osservò che le abitudini alimentari bri-tanniche sono state determinate dall’industrializzazione precoce dell’economia inglese e dal conseguente inurbamento, senza più con-tatto con il countryside (in presenza di rozze tecniche di conservazione e di trasformazione del prodotto) a maggior ragione questa con-siderazione può essere fatta per la strutturazione dei mercati agro-alimentari negli USA.(12) Non a caso N. Hamilton nel suo saggio Future Issues in Agricultural Law and Rural Practice, in This Is Not Your Grandpa’s FarmLaw, Cutting Edge Legal Issues in Agriculture Today, St. Paul, Mn., 2006, p. 4 ss., pone il trend verso l’acquisto sul luogo tra le novitàcaratterizzanti il futuro dell’agricoltura americana.(13) V. Lah, More Like it Hot, in The Nation, Maggio 2007, http://www.thenation.com/doc/20070611/lam.(14) Per un’ analisi dei problemi abitativi delle minoranze nelle arerr rurali v. in generale Whitener, Housing Poverty in Rural Areas Greaterfor Racial and Ethnic Minorities, in Rural America, 15, 2000, p. 2 ss. V. anche il rapporto Minorities in Rural America, di Probst, Samuels,Jespersen, Willert, Swann, Mc Duffe, University of Carolina, 2002.

Depressione c’è stata una tendenza in parte della enormemiddle class americana a forme di modern homesteading,basato sulle city farms e sulla capacità manuale di svolge-re lavori agricoli. L’affermazione culturale della importanzadel lavoro agricolo ha permesso a professionisti con eleva-ta educazione di conservare un contatto stretto con la colti-vazione di frutta e verdura e l’allevamento di piccoli anima-li, diventato, negli anni sessanta, anche protagonista dellacontro-cultura. Il capolavoro di Aldo Leopold “A SandCounty Almanac” aveva dato nel 1948 l’avvio alla fase piùmatura del movimento conservationist americano, cheindubbiamente rafforzò la propensione di una parte piccolama significativa della borghesia urbana ad un nuovoapproccio agli stili di vita. Il caso editoriale del celeberrimocatalogo di Stewart Brand16, dedicato proprio alle famigliestatunitensi che accettavano il cosiddetto ritorno alla terra,dette una idea della consistenza numerica del fenomeno. La ideologia del back-to-farm movement non poteva cheportare, nei nostri tempi, al grande fenomeno dei farmers’markets. In verità una parte consistente del farmers’ mar-kets nell’esperienza nord-americana è data dalla relativaomogeneità sociale e culturale dei suoi protagonisti. I farmers’ markets rappresentano indubbiamente una sortadi risposta ideologica al sistema delineato nei Farm Bills.Possiamo dire che l’agricoltore che vende direttamente nel-l’ambito del farmers markets rappresenta l’opposto rispettoal farmer integrato nelle politiche nate dalla permanent legi-slation.I farmers’ markets sono dominati da uno spirito di autono-mia rispetto ad interventi di favore che possano distorcerelo spirito del movimento.

5.- Autonomia organizzativa e farmers’ markets

Gran parte della regolamentazione dell’attività è basata sul-l’autonomia privata. I farmers markets giuridicamente sono

delle libere associazioni di produttori, con numerosi rappor-ti istituzionali in particolare con le Municipalities17. In alcuniStati vi è stata un minimo di regolamentazione giuridica,come la California18, ma usualmente il mercato è stabilito inbase ad un accordo tra privati basato su un “statement ofmarker purpose”, una dichiarazione di intenti utile a crearela base sociale comune. Usualmente all’accordo partecipaanche l’ente che mette a disposizione gli spazi per il merca-to. Interessante è ad esempio la presenza di importantiUniversità private.19

L’accordo comune stabilisce chi può partecipare al mercatoe cosa può essere venduto. Usualmente il venditore deveidentificarsi col produttore, per cui non sono ammessi tra-ders. Essenzialmente il farmers’ market è auto-organizzatosu base democratica,20 L’application per partecipare al mar-ket deve contenere una dettagliata descrizione dei prodottie del luogo di produzione, per cui non si possono venderebeni non provenienti dalle località indicate. La venditaanche parziale di prodotti altrui è proibita ed usualmentenon sono ammessi farmers che già in altro modo hannopunti di vendita al dettaglio, così come non sono ammessecorporate farms21. L’accordo viene accompagnato da unaclausola per cui l’ufficio di coordinamento del mercato puòdecidere con ampia discrezionalità sulle controversie ine-renti la partecipazione al mercato22. Se la legislazione statale nella definizione delle regole deifarmers’ markets ha portato a sparsi interventi normativi23, lepolicy dello USDA24, sia pur molto attente a non intervenirein profili regolamentari, ha posto in essere alcune forme diaiuto alla diffusione del fenomeno. Il governo federale haavuto un ruolo nello sviluppo dei farmers’ markets attraver-so l’autorizzazione all’uso di nutrition coupons ed attraver-so i Farmers Market Promotion Program. D’altra parte altriprogrammi dell’USDA possono fornire ulteriori risorseall’espansione si questa nicchia di mercato. Un ruolo maggiore da parte del governo federale è vistocon sospetto dagli stessi teorici del farmers’ market move-

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(15) La base culturale del movimento fu dato, d’altra parte, da un celebre libro auto-biografico di Helen e Scott Nearing, dove venivadescritto il ritorno alla campagna di una tipica famiglia americana desiderosa di raggiungere l’autosufficienza alimentare (“Living theGood Life”, del 1954, preceduto a livello di cultura popolare un famoso romanzo nell’immediato dopo-guerra di Betty MacDonald, TheEgg and I, che rappresentò, anche a livello di percezione dei media il riconoscimento di un nuovo tipo di farmer).(16) The Whole Earth Catalogs, del 1968.(17) Per una ricognizione dei vari modelli di farmers markets v. Hamilton, Farmers Market Policy, An Inventory of Federal, State and LocalExamples, Des Moines, 2005; Hamilton, Farmers’ Markets. Rules, Regulations and Opportunities, paper del National Center forAgricultural Law Research and Information, Fayetteville Ar., 2002.(18) In particolare in California i Farmers’ Markets operano ai sensi del Calfornia Administrative Code, Title 3, Charter 3, Artiche 6.5,Section 1392.(19) La Loyola University, per esempio, una delle più grandi Università cattoliche americane ospita un importante farmers’ market.(20) La North American Farmers’ Direct Marketing Association ha potuto sviluppare le sue attività promozionali sui farmers’ markets congrants di grandi fondazioni private. C’è una tradizione negli USA del ruolo pionieristico delle grandi fondazioni, molte delle quali fonda-te dalle famiglie dell’old money, di individuare trends in controtendenza rispetto alla cultura scientifica od economica dominante. L’averindividuato i farmers’ markets come oggetto di notevoli sforzi di ricerca dimostra quanto il fenomeno, sia pure ancora fortemente margi-nale, sia paradigmatico della modifica degli schemi di lettura dell’agribusiness.(21) Le regole vengono fissate anche nell’ambito delle associazione dei farmers’ markets, v. ad esempio Le rules and Regulations dellaCalifornia Farmers’ Markets Association.(22) In uno dei rari casi di contestazione della decisione dell’amministrazione di un Farmers’ Market, Bowen v. Dane County Farmers’Market, 555 N.W. 2d 409 WL 515234 (Wis. App. 1996) l’azione di un commerciante che non vendeva il proprio prodotto all’interno delmercato venne giudicata dalla Corte come temeraria.

ment. In effetti i farmers markers hanno avuto origineessenzialmente nell’orto-frutta, cioè il comparto più trascu-rato dai programmi federali. Un maggiore coinvolgimentodei farmers markets all’interno della filosofia complessivadel Farm Bill potrebbe portare ad una “omologazione” allacultura della rendita. Piuttosto l’intervento federale viene preso in considerazionesu altri profili rispetto a quello dei sussidi all’agricoltura. Gliamericani, ad esempio, sono modesti consumatori di fruttafresca e quindi i farmers’ markets ben potrebbero inserirsinelle politiche dell’Health Department per promuovere stilidi vita meno vincolati al consumo di proteine animali25. Il ruolo statale è invece stato essenzialmente legato allacertificazione. La California, il maggiore Stato agricoloriguardo all’orto-frutta, ha operato una politica di certifica-zione dei mercati. In alcuni Stati invece si arrivati ad unadefinizione normativa di farmers’ markets, per evitare l’usoda parte di soggetti non rientranti nella tradizionale defini-zione.

6.- Farmers’ markets e regole sulla food safety

I maggiori Stati agricoli hanno incoraggiato la formazione difarmers’ markets. In particolare per quanto riguarda la foodsafety la vendita diretta dei prodotti agricoli rientra tra leregole generali standardizzate. Infatti riguardo la sicurezzaalimentare la maggior parte degli Stati adotta le guidelinesdelle Food and Drug Administration, in particolare per i pro-dotti trasformati. Tuttavia, poiché l’applicazione delle normedipende da Autorità locali, in generale l’approccio è indiriz-zato al problem solving. L’atto formale più rilevante è di soli-to il permesso sanitario che deve essere rilasciato al singo-lo agricoltore, previa ispezione da parte delle autorità sani-tarie, che applicano sia le norme statali che federali. Il ven-dor usualmente acquista la qualifica di “temporary foodestablishment”, legati ad eventi particolari e che necessita-no dell’accettazione dell’organizzatore dell’evento stesso.Per alcuni prodotti considerati “potentially hazardousfoods”, come la carne, sottoposte alle regole della Food andDrug Administration, che è una agenzia federale, il permes-so è condizionato a particolari tecniche di conservazione. I funzionari tendono ad aiutare i piccoli produttori ad indivi-duare i punti critici di rischio presenti nella filiera corta ed arisolverli. D’altra parte gli stessi aderenti ai farmers’ marketshanno una educazione alla prevenzione del rischio elevata.Le regole sostanziali di igiene sono generalmente rispetta-te ed in questo molto influisce la logica del club. La sanzio-ne più rilevante per tali piccole attività è perdere il diritto a

far parte del gruppo dei produttori e quindi coesione cultu-rale e controllo reciproco fanno sì che usualmente ci sia unadeguato rispetto delle regole sanitarie. La cultura base delmovimento che ha condotto alla diffusione dei farmers’ mar-kets è basato sul superamento della tutela formale e soloigienica della salute. In un ambiente economico strutturatosulla grande distribuzione e quindi sulla attenta applicazio-ne formale delle regole igienico sanitarie i farmers’ markets,essenzialmente deregolati, hanno come asset principale lareputation. Pertanto l’osservanza delle regole formali richie-ste dalle guidelines vengono accompagnate da regolevolontarie per raggiungere forme di qualità sostanziale delprodotto. Per cui, ad esempio, le regole del mercato posso-no richiedere che il prodotto provenga da agricoltura biolo-gica.

7.- Food safety ed il sistema di University extension service

Fondamentale nel successo dei farmers’ markets è statauna sorta di integrazione istituzionale con uno degli stru-mento più importante di governance dell’agricoltura ameri-cana, le strutture di extension service delle Università.Come è noto, infatti, nell’atto di adesione alla Federazionedi molti Stati del MidWest e del West è stata prevista l’isti-tuzione di Università statali finanziate con risorse federali.In cambio queste Università hanno dovuto mantenere deicentri di assistenza per agricoltori, che sono diventati veico-li essenziali per lo sviluppo delle politiche agricole USA. Il sistema dell’ extension service ha finito per dare un effet-tivo supporto tecnico e culturale, in particolare per quantoriguarda l’applicazione delle regole sulla food safety. Di fattogran parte delle regole per la sicurezza igienica dei farmers’markets è stata gestita da regole scritte dall’extension ser-vice e fatte proprie dagli enti non profit che raccolgono i pro-duttori26. Pur essendo solo delle raccomandazioni di buonepratiche igieniche i vendors devono rispettare questenorme di dettaglio qualora siano accettate dall’associazio-ne. Questo ha rappresentato comunque un elemento dichiarezza ed uniformità, diventando un efficace sistema perevitare perdita di reputation da parte dei farmers’ markets.Le Università, oltre a stabilire le regole igieniche da segui-re, svolgono una intensa attività di formazione degli agricol-tori, al fine di assicurare pratiche igienico-sanitarie adegua-te alle particolari condizioni in cui la vendita avviene all’in-terno dei farmers’ markets.Il fenomeno dei farmers’ markets negli USA ha mutuatoanche una serie regole dalle organizzazioni di gestionedella Community Supported Agricolture. In questo caso

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(23) Interventi normativi che riguardano anche altre forme di Local Food Networks, come i community gardens e la Community SupportedAgricolture.(24) Sulle posizione dello USDA v. USDA Agricultural Marketing Services, Farmers Market Growth, 2006, http://www.ams.usda.gov/farmersmarkets/farmersmarketgrowth.htm.(25) V. N. Hamilton, The Legal Guide for Direct Farming Marketing, Des Moines, 1999, p. 158 e ss. (26) Vanno ricordate, tra le altre, la Purdue University, la Kansas State University, la Colorado State.

sono le stesse organizzazioni dei consumatori a stabilireregole di accettabilità igienica che vengono fatte propriedagli agricoltori.

8.- Conclusioni

La normativa sui farmers’ markets si sta sviluppando inparallelo con la crescita del movimento. L’autonomia priva-ta mantiene, tuttavia, nella maggior parte degli Stati unaprevalenza sulle forme regolamentare in via amministrativa.La contrapposizione quasi ideologica alle politiche dei“Farm Bills” fa sì che gran parte del movimento non richie-da forme di tutela pubblica. In un contesto di rispetto gene-ralizzato per le regole i farmers’ markets hanno potuto svi-lupparsi anche senza particolari interventi statali o federali.La crisi di legittimazione dei Farm Bills consente di leggerequesto fenomeno come paradigmatico di un cambio epoca-le di percezione dell’intervento pubblico in agricoltura. Percui il modello farmers’ markets appare come alternativo almodello Farm Bill. Il mercato delle commodities ed i merca-ti del prodotto fresco, sviluppando due food chains differen-ziate, hanno prodotto anche modelli giuridici alternativi. Leintuizioni scientifiche della scuola della Drake Universityhanno consentito di approfondire questa analisi di frame-works differenziati, con in più l’originalità di uno studioscientifico che per certi versi si è fatto esso stesso protago-nista dell’oggetto della ricerca.

ABSTRACT

The roaring spreading of farmers’ markets all over the USAhas its roots in a deeply felt new kind of relationshipbetween the huge American middle class and the farming.Farmers’ markets are mainly self-regulated institutions, butwith strong links with informal frameworks of governance.Worth to note is the liaison with the University system. Onone side important private Universities are providing facili-ties to organize such events and on the other side StateUniversities are providing a system of rules, through theextension service (the singular and famed network of coun-seling for farmers). Also regarding the respect of food safe-ty regulations the extension service offers detailed set ofadvice useful to eliminate uncertainties regarding the appli-cation of the law. In some way such expression of the civil society is alterna-tive to the agri-business system centered on the Farm Billsand the industrial food chain. Not for chance the farmerswho participate to the farmers’ market movement are theleast assisted by subsidies. In presence of a very integrat-ed apparatus like the US agri-food system, the enormoussuccess of the farmers markets are also the evidence of thevitality of an agriculture which is trying to shape its future.

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Il principio di precauzionenella legislazione regionale

Bruno Nobile

1.- Premessa

Al principio di precauzione (better safe than sorry), con spe-cifico riguardo ai prodotti alimentari, si fa significativo riferi-mento, a livello comunitario, già nel “Libro bianco sulla sicu-rezza alimentare” (COM (1999) 719 def.).Così, in sede comunitaria, nel porre il problema della rin-tracciabilità dei prodotti lungo tutta la catena alimentare, siè affermato che l’uso di pareri scientifici soccorre per corro-borare la politica della sicurezza alimentare, ricorrendo – sedel caso – al principio di precauzione.I redattori del Libro bianco hanno formulato una serie di pro-poste atte a trasformare la politica alimentare dell’Unione inuno “strumento proattivo, dinamico, coerente e completoper assicurare un elevato livello di salute umana e di tuteladei consumatori”, asserendo nello specifico che “ove appro-priato si applicherà il principio di precauzione nelle decisio-ni di gestione del rischio”.Nello stesso documento il capitolo dedicato alla dimensioneinternazionale della sicurezza alimentare è ispirato al prin-cipio, secondo il quale alimenti e mangimi importati devonosoddisfare requisiti sanitari almeno equivalenti a quelli fis-sati dalla Comunità europea. La quale, peraltro, si prefigge-va, contestualmente e coerentemente, l’obiettivo di chiariree rafforzare l’esistente quadro nell’ambito dell’OMC perl’uso del principio di precauzione, “alla ricerca di una meto-dologia concordata quanto al raggio di azione in virtù di taleprincipio”.Successivamente, la Commissione delle Comunità europeeinterveniva sull’argomento con una propria Comunicazione(Bruxelles, 2 febbraio 2000 – COM (2000) 1), nella quale, inprimo luogo, pur riconoscendosi che il principio di precau-zione non è giuridicamente definito dal Trattato, che neparla esplicitamente solo in riferimento alla protezione del-l’ambiente, tuttavia si concludeva che in pratica, la sua por-tata risulta molto più ampia ed esso trova applicazione intutti i casi in cui una preliminare valutazione scientificaobiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere chei possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degliesseri umani, degli animali e delle piante, possano essereincompatibili con l’elevato livello di protezione presceltodalla Comunità.Nel Documento si afferma che il ricorso al principio di pre-cauzione interviene unicamente in un’ipotesi di rischiopotenziale, anche se questo rischio non può essere intera-mente dimostrato, o la sua portata quantificata o i suoi effet-

ti determinati per l’insufficienza o il carattere non concluden-te dei dati scientifici, presupponendosi:– l’’identificazione di effetti potenzialmente negativi deri-vanti da un fenomeno, da un prodotto o da un procedimen-to;– una valutazione scientifica del rischio che, per l’insuffi-cienza dei dati, il loro carattere non concludente o la loroimprecisione, non consente di determinare con sufficientecertezza il rischio in questione.Va, inoltre, citata la Risoluzione del Parlamento europeosull’ESB e la sicurezza dei mangimi animali, approvata il 12dicembre 2000. Vi legge, tra l’altro: “Tutte le decisioni rela-tive all’immissione sul mercato e alla continuazione dellacommercializzazione di generi alimentari e mangimi devo-no essere basate sul principio di precauzione e su provescientifiche”.Nei fatti l’Unione europea ha applicato il principio di precau-zione in materia di OGM (peraltro quasi esclusivamenteoggetto della legislazione regionale del nostro Paese) nelmomento in cui ritenne di adottare una moratoria per la lorocommercializzazione tra il 1999 e il 2004.

2.- Rassegna di legislazione regionale sul principio di pre-cauzione

2.A.- Il principio di precauzione rileva nelle leggi regio-nali che intervengono in tema di organismi geneticamentemodificati; provvedimenti finalizzati essenzialmente a pre-servare i prodotti tipici, biologici e tradizionali.

Regione Abruzzo - legge regionale n. 6 del 16 marzo 2001:“Norme in materia di coltivazione, allevamento, sperimenta-zione e commercializzazione di organismi geneticamentemodificati (OGM) e prodotti da loro derivati”.La legge n. 6 del 2001 ha definito, all’articolo 1, i propriobiettivi. Successivamente la legge regionale n. 26 del2007 (v. infra) ha sostituito integralmente tale articolo. Al primo degli articoli della legge n. 6/2001 ne fanno segui-to altri, volti a dettare disposizioni per:– vietare coltivazione e allevamento, sui terreni di proprie-tà pubblica, collettiva e nelle aree, a qualunque titolo, pro-tette (articolo 2). [Sostituito dall’articolo 2 della legge regio-nale n. 26 del 20 luglio 2007: v. infra];– individuare l’Autorità regionale e i siti per la ricerca diOGM (articolo 2-bis: introdotto dalla legge regionale n. 26del 20 luglio 2007: v. infra);– escludere dalla protezione dei marchi di qualità e daifinanziamenti erogati dalla Regione (articolo 3). [Sostituitodall’articolo 4 della legge regionale n. 26 del 20 luglio 2007:v. infra];– vietare la somministrazione, nella ristorazione collettiva,la somministrazione di prodotti contenenti OGM (articolo 4);– obbligare tutti i gestori di esercizi commerciali operantisul territorio regionale di verificare che i prodotti messi invendita siano dotati di adeguata etichettatura indicante

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l’eventuale presenza di organismi geneticamente modifica-ti o di prodotti derivati (articolo 5). [Modificato dall’articolo 5della legge regionale n. 26 del 20 luglio 2007: v. infra];– escludere dall’erogazione di finanziamenti regionali lericerche che utilizzano tecniche di manipolazione geneticafinalizzate alla creazione varietale e/o alla selezione anima-le (articolo 6);– comunicare il consenso informato (articolo7);– promuovere campagne di informazione e di educazionealimentare sugli OGM (articolo 8);– istituire apposita Commissione di vigilanza per la corret-ta attuazione della legge (articolo 9). [Sostituito dall’articolo6 della legge regionale n. 26 del 20 luglio 2007: v. infra];– fissare le sanzioni per violazioni alle disposizioni di cuiagli articoli 2, 4, 5 e 6 (articolo 10). [Modificato dall’articolo7della legge regionale n. 26 del 20 luglio 2007: v. infra].

Regione Abruzzo - legge regionale n. 26 del 20 luglio 2007:“Modifiche alla L. R. 16 marzo 2001, n. 6 recante Norme inmateria di coltivazione, allevamento, sperimentazione ecommercializzazione di organismi geneticamente modifica-ti (OGM) e prodotti da loro derivati”.Questa legge regionale ha introdotto modifiche alla prece-dente n. 6 del 2001. Segnatamente è stato sostituito l’arti-colo 1 (“Oggetto e finalità”), che risulta ora del seguentetenore:“1. La Regione, in applicazione del principio di precauzionee dell’azione preventiva di cui all’art. 174 del Trattato dellaComunità Europea e dell’art. 26 bis della Direttiva2001/18/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 12marzo 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e delConsiglio sull’emissione deliberata nell’ambiente di organi-smi geneticamente modificati e che abroga la direttiva90/220/CEE del Consiglio), con la presente legge tutela lerisorse genetiche del territorio regionale nonché la qualitàed originalità della propria produzione agricola. Promuove,altresì, le azioni utili a prevenire i possibili danni per il siste-ma agricolo, per la salute umana e l’ambiente, derivanti dacoltivazione ed allevamento di organismi geneticamentemodificati, di seguito denominati “OGM”. Detta, inoltre, ulte-riori disposizioni per la commercializzazione, il consumo,l’informazione pubblica e la ricerca in materia di OGM.2. La Regione Abruzzo promuove e sostiene la ricerca e lasperimentazione nel settore agricolo con l’obiettivo di man-tenere e sviluppare la biodiversità e l’alto valore del paesag-gio agrario regionale.3. Il riferimento al termine OGM comprende gli OGM utiliz-zati come tali ed i beni prodotti a partire da OGM o conte-nenti OGM”.Il richiamato articolo 174 del Trattato CE stabilisce che lapolitica dell’Unione in materia ambientale è fondata sui prin-cipi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principiodella correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni cau-sati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.La Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e delConsiglio, del 12 marzo 2001, detta disposizioni sull’emis-

sione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamentemodificati e abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio.

Regione Umbria - legge regionale n. 21 del 20 agosto 2001:“Disposizioni in materia di coltivazione, allevamento, speri-mentazione, commercializzazione e consumo di organismigeneticamente modificati e per la promozione di prodottibiologici e tipici”.Le finalità del provvedimento sono enunciate all’articolo 1:“1. La Regione a tutela della salute umana, delle risorsegenetiche del territorio e della qualità, specificità, originalitàe territorialità della produzione agroalimentare con la pre-sente legge:a) disciplina la coltivazione, l’allevamento, la sperimentazio-

ne e la commercializzazione di organismi geneticamen-te modificati;

b) favorisce il consumo di prodotti agricoli biologici e di qua-lità;

c) promuove iniziative di comunicazione e di educazionealimentare sui prodotti agricoli biologici e di qualità, non-ché sui rischi derivanti dall’uso di prodotti contenentiorganismi geneticamente modificati”.

In relazione agli OGM “la Regione applica il principio di pre-cauzione nelle decisioni che riguardano l’uso, per qualun-que fine, di organismi geneticamente modificati e di prodot-ti da essi derivati, al fine di prevenire eventuali rischi per lasalute umana e per l’ambiente”.Ne consegue, fra l’altro:- il divieto di coltivazione di piante transgeniche;- l’esclusione dai finanziamenti per le strutture produttiveche utilizzano OGM;- l’etichettatura dei prodotti alimentari indicante la presen-za di OGM;- l’esclusione dai finanziamenti regionali delle ricercheche utilizzano tecniche di manipolazione genetica;- il divieto di somministrazione di alimenti contenenti OGMnella ristorazione collettiva pubblica.

Regione Basilicata - legge regionale n. 18 del 20 maggio2002: “Disposizioni per la precauzione in materia alimenta-re e per la coltivazione, l’allevamento, la sperimentazione ela commercializzazione di organismi modificati e di prodottida essi derivati. Norme per la produzione dei prodotti biolo-gici, tipici e tradizionali nelle mense pubbliche”.Il principio di precauzione è espressamente richiamato indue dei 18 articoli di cui si compone la legge: l’art. 1(Obiettivi – Principio di precauzione) e l’art. 14(Informazione ed educazione alimentare).L’art.1 recita:“1. La Regione Basilicata tutela le risorse genetiche del pro-prio territorio e la qualità, specificità, originalità e territoriali-tà della propria produzione agro-alimentare.2. La Regione Basilicata informa la propria azione e le pro-prie iniziative in materia alimentare al rispetto del principiodi precauzione ed in base ad esso adotta ogni opportunacautela e si attiene a prudenza nell’adozione di ogni prov-

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vedimento, allorquando non siano individuati elementiscientifici dotati di attendibilità che escludano la produzionedi eventi dannosi per la salute umana, anche solo potenzia-li, come conseguenza dell’impiego, dell’utilizzo ovvero del-l’assunzione di prodotti alimentari.3. La Regione, per la garanzia della sicurezza alimentaredei propri cittadini, applica il principio di precauzione nelledecisioni che riguardino in particolare l’uso per qualunquefine di organismi geneticamente modificati o di prodotti daessi derivati.4. Per organismi geneticamente modificati si intendonoquelli previsti dall’art. 1 del Decreto Legislativo 12 aprile2001, n.206 [“Attuazione della direttiva 98/81/CE che modi-fica la direttiva 90/219/CE, concernente l’impiego confinatodi microrganismi geneticamente modificati”].5. La Regione realizza ogni azione utile a prevenire possi-bili rischi sulla salute umana e sull’ambiente derivanti dallacoltivazione, dall’allevamento e dall’uso a scopi alimentaridegli organismi geneticamente modificati o di prodotti daessi derivati.6. La Regione promuove e sostiene la ricerca e la speri-mentazione nel settore agricolo con i seguenti obiettivi:a) mantenere la biodiversità;b) ricostituire sistemi agricoli diversificati, nella direzione diuno sviluppo durevole e del mantenimento dell’alto valoredel paesaggio agrario”.In base a quanto previsto all’art. 14 (Informazione ed edu-cazione alimentare) la Regione, in osservanza al richiama-to principio di precauzione, di cui all’art. 1, “organizza, pro-muove, sostiene e realizza campagne di informazione ededucazione dei cittadini, dirette in particolare agli agricolto-ri, agli operatori scolastici e sanitari, e ai consumatori suirischi eventuali per la salute e per l’ambiente derivanti dal-l’uso di prodotti contenenti organismi geneticamente modi-ficati”.Per contrastare i prodotti OGM e per valorizzare i prodottibiologici, tipici o tradizionali propri della Regione viene fattodivieto di coltivazione e di allevamento di piante e animaligeneticamente modificati o di altro tipo di organismi geneti-camente modificati sui terreni di proprietà del demanioregionale, sui terreni di proprietà collettiva ricadenti nel ter-ritorio regionale e nelle aree limitrofe a questi, nel raggio dialmeno due chilometri (art. 2).Si segnalano inoltre le norme concernenti:il divieto di coltivazione in pieno campo di piante transgeni-che;l’esclusione dalla possibilità di accedere ai marchi o a qua-lunque denominazione o specificazione di qualità per i loroprodotti le aziende agricole che, per le produzioni oggetto ditali marchi, utilizzino organismi geneticamente modificati,comunque presenti nel ciclo produttivo come materia prima,coadiuvanti, additivi o ingredienti;il divieto nell’ambito della ristorazione collettiva di sommini-strare prodotti contenenti OGM;la verifica di adeguata etichettatura dei prodotti contenentiOGM destinati all’alimentazione umana ed animale;

il riconoscimento di titolo preferenziale per le ricerche fina-lizzate alla verifica dei rischi connessi alla coltivazione diOGM.

Regione Emilia Romagna - legge regionale n. 25 del 22novembre 2004: “Norme in materia di organismi genetica-mente modificati”.Anche la Regione Emilia Romagna è intervenuta a difesadelle produzioni agricole del proprio territorio. A tale fine laRegione, sulla base del principio di precauzione contempla-to dall’articolo 174 del Trattato CE, nell’ambito delle propriecompetenze, ha disciplinato l’utilizzo di organismi genetica-mente modificati, avendo cura di preservare le risorsegenetiche del territorio e di tutelare efficacemente le produ-zioni agricole ed alimentari, che fanno dell’identità, origina-lità, naturalità un valore culturale, economico e commercia-le non compromettibile.Tutte le misure previste dal provvedimento (divieti, ricerca esperimentazione, elenchi, marchi di qualità, informazione,vigilanza) sono funzionali a:a) favorire l’incremento della vendita di prodotti agricoli di

origine regionale da parte della distribuzione;b) assicurare un’adeguata informazione ai consumatori sul-

l’origine e le specificità dei prodotti agricoli regionali;c) vietare la somministrazione di alimenti contenenti orga-

nismi geneticamente modificati da parte dei gestori deiservizi di ristorazione collettiva pubblica, nel rispetto delprincipio di precauzione di cui all’articolo 7 del Reg. (CE)178/2002;

d) sostenere l’acquisto di prodotti agricoli regionali da partedelle imprese esercenti attività di ristorazione o ospitali-tà nell’ambito del territorio regionale;

e) favorire l’incremento della vendita diretta di prodotti agri-coli regionali da parte degli imprenditori agricoli;

f) garantire il rispetto della normativa in materia di presen-tazione ed etichettatura dei prodotti agricoli freschi e tra-sformati attraverso idonea attività di controllo anche conl’utilizzo di strumenti tecnologici a tutela del consumato-re;

g) incentivare l’impiego da parte dei gestori dei servizi diristorazione collettiva pubblica di prodotti agricoli di ori-gine regionale nella preparazione dei pasti.

Regione Marche - legge regionale n. 5 del 4 marzo 2004:“Disposizioni in materia di salvaguardia delle produzioniagricole tipiche, di qualità e biologiche”.La Regione, per valorizzare le risorse genetiche e la speci-ficità ed originalità delle produzioni agricole e agroalimenta-ri del proprio territorio e per assicurare un elevato livello ditutela della salute umana, animale e dell’ambiente, nonchédella qualità dei prodotti e degli interessi dei consumatori:a) disciplina la produzione e la commercializzazione degli

organismi geneticamente modificati (OGM), promuoven-do tutte le azioni necessarie a prevenire i possibili rischiper la salute umana e per l’ambiente in applicazione delprincipio di precauzione;

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b) favorisce la produzione e il consumo di prodotti tipici, diqualità e biologici;

c) promuove iniziative di comunicazione e di educazionealimentare sui prodotti tipici di qualità e biologici.

Ai sopra descritti fini la Regione sostiene le iniziative deiComuni che dichiarino il proprio territorio antitransgenico.

Regione Lazio – legge regionale n. 2 del 27 febbraio 2004:“Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2004”.L’articolo 79 detta norme in materia di coltivazione ed alleva-mento di organismi geneticamente modificati, disponendo:“1. La Regione, in applicazione del principio di precauzioneespressamente sancito nell’articolo 174 del Trattato diAmsterdam ed in coerenza con la legge regionale 1 marzo2000, n. 15 (Tutela delle risorse genetiche autoctone di inte-resse agrario), tutela le risorse genetiche del proprio territo-rio con particolare riferimento alla qualità ed originalità dellapropria produzione agro-alimentare e promuove azioni utilia prevenire i possibili rischi per la salute umana e per l’am-biente derivanti da coltivazione ed allevamento degli orga-nismi geneticamente modificati (OGM).2. Ai fini di cui al comma 1, nelle more della definizione di pro-tocolli e normative per la valutazione dell’impatto degli OGMsul sistema agricolo, sono vietate sul territorio regionale lacoltivazione e l’allevamento a qualsiasi titolo di tali OGM.3. In deroga a quanto previsto al comma 2, nel territorioregionale possono essere effettuate emissioni deliberatenell’ambiente di OGM o di una combinazione di OGM alsolo scopo di ricerca, sulla base del provvedimento diassenso del Ministero della Salute in ambiente confinato,purché al di fuori:a) delle aree di proprietà del demanio regionale, di proprie-

tà collettiva ricadenti nel territorio regionale e di quelleindividuate all’articolo 7, comma 1 della l.r. 15/2000;

b) delle aree in cui si realizzano prodotti garantiti da marchidi qualità riconosciuti dalla CE;

c) delle aree dove insistono aziende che praticano l’agricol-tura biologica o che a qualunque titolo ricevono contribu-ti per l’applicazione di misure agroambientali;

d) di zone limitrofe alle aree di cui alle lettere a), b), c), peruna distanza di almeno 20 chilometri.

4. L’uso di mangimi contenenti OGM per l’alimentazione delbestiame è condizione ostativa alla concessione di contri-buti regionali. 5. L’attività di vigilanza sul rispetto degli obblighi derivantidal presente articolo viene svolta dall’Agenzia Regionaleper lo Sviluppo e l’Innovazione dell’agricoltura del Lazio(ARSIAL), fermi restando gli eventuali controlli di competen-za di altre autorità previsti da leggi statali e regionali inmateria di OGM, ambiente e sicurezza alimentari”.

Regione Lazio - legge regionale n. 15 del 6 novembre 2006:“Disposizioni urgenti in materia di organismi geneticamentemodificati”.Con provvedimento analogo ai precedenti, la Regione siprefigge lo scopo di tutelare le risorse genetiche del territo-

rio nonché la qualità ed originalità della propria produzioneagricola, promovendo le azioni utili a prevenire i possibilidanni per il sistema agricolo, per la salute umana e l’am-biente, derivanti da coltivazione e allevamento di organismigeneticamente modificati, e dettando ulteriori disposizioniper la commercializzazione, il consumo, l’informazione pub-blica e la ricerca in materia di OGM.Si specifica, in particolare, che il riferimento al termine OGMcomprende gli OGM utilizzati come tali ed i beni prodotti apartire da OGM o contenenti OGM.Anche queste misure sono esplicitamente ispirate al princi-pio di precauzione.

Regione Valle d’Aosta - legge regionale n. 29 del 18novembre 2005: ”Disposizioni in materia di coesistenza tracolture transgeniche, convenzionali e biologiche”.Il provvedimento definisce il quadro normativo per realizza-re la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali ebiologiche sul territorio regionale.I principi ispiratori della legge sono enunciati all’articolo 1:“1. Le misure per la gestione della coesistenza sono assun-te in coerenza con le informazioni scientifiche disponibiliriguardo ai possibili rischi di commistione derivanti dall’intro-duzione delle coltivazioni transgeniche, comunque semprenel rispetto del principio di precauzione, sia per le coltureconvenzionali e biologiche, sia per la flora spontanea, la cuipresenza caratterizza le peculiarità, anche produttive, deidiversi agro-ecosistemi della Regione.2. Le misure adottate ai fini della coesistenza sono rispon-denti al criterio della proporzionalità ed ispirate all’adozionedi comportamenti efficienti ed efficaci, volti prioritariamentead assicurare la separazione delle filiere, evitando l’imposi-zione di oneri non necessari a carico degli agricoltori e deglialtri operatori delle filiere interessate.3. Le misure per la gestione della coesistenza sono rivoltealle singole aziende agricole ed agli operatori della filiera, ilcui ruolo è ritenuto rilevante ai fini della commistione tra lecolture transgeniche, convenzionali e biologiche ed i pro-dotti delle stesse, limitatamente ai processi produttivi che sisvolgono sul territorio regionale.4. L’adozione di misure di portata regionale è limitata allespecie vegetali la cui coltivazione è incompatibile con larealizzazione di forme di coesistenza che, in base alle infor-mazioni scientifiche disponibili, nel rispetto del principio diprecauzione, possano essere considerate non pregiudizie-voli del grado di biodiversità dell’ambiente naturale e, più ingenere, degli agro-ecosistemi della Regione, nonché deilivelli di qualità e di tipicità delle produzioni agroalimentariregionali”La più organica legge regionale in materia di coesistenzadetermina, nell’ambito dei principi sopra richiamati:- il livello di coesistenza;- le misure da osservare:- gli adempimenti a carico degli operatori;- il monitoraggio e la coesistenza;- il piano di coesistenza;

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- le attività di informazione e divulgazione;- il controllo sull’applicazione della legge e le sanzioniamministrative per il mancato rispetto delle disposizionirecanti le misure previste per la coesistenza.

Regione Piemonte - legge regionale n. 27 del 2 agosto2006: “Disposizioni urgenti a salvaguardia delle risorsegenetiche e delle produzioni agricole di qualità”.La Regione persegue la salvaguardia delle coltivazioni, conparticolare riferimento alle forme di agricoltura convenzio-nale, integrata e biologica, nel rispetto del principio di pre-cauzione, al fine di evitare inquinamenti da parte di piantegeneticamente modificate.Tale salvaguardia è svolta con particolare riferimento ai pro-dotti a denominazione d’origine e ai prodotti tradizionaliagricoli, alla flora spontanea ed alla biodiversità, tenutoconto delle peculiarità territoriali ed economiche regionali.Per raggiungere tali obiettivi, la Regione individua specificiinterventi e detta regole volte a prevenire l’inquinamentogenico e la commistione tra colture geneticamente modifi-cate (GM) e non GM.A tutela della libera scelta del consumatore, l’attuazionedelle regole di coesistenza garantisce la possibilità di distin-guere i prodotti transgenici da quelli derivanti da agricolturaconvenzionale e biologica. A tale fine le coltivazioni transge-niche sono realizzate all’interno di filiere separate da quelleconvenzionali e biologiche.

Regione Calabria - legge regionale n. 29 del 14 marzo2008: “Norme per orientare e sostenere il consumo dei pro-dotti agricoli regionali”.Ai sensi di questa legge:La Regione promuove la valorizzazione delle produzioniagricole regionali, favorendo il consumo e la commercializ-zazione dei prodotti provenienti dalle aziende agricole ubi-cate nel territorio regionale e assicurando un’adeguatainformazione ai consumatori sull’origine e le specificità ditali prodotti.A tal fine, la Regione con la presente legge disciplina inter-venti volti, fra al’altro, a vietare la somministrazione di ali-menti contenenti organismi geneticamente modificati daparte dei gestori dei servizi di ristorazione collettiva pubbli-ca, nel rispetto del principio di precauzione di cui all’artico-lo 7 del Reg. (CE) 178/2002 del 28 gennaio del 2002[Regolamento che stabilisce i principi e i requisiti generalidella legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europeaper la sicurezza e fissa procedure nel campo della sicurez-za alimentare].

2.B.- Il principio di precauzione fuori dell’ambito alimentare

Regione Marche - legge regionale n. 26 del 13 novembre2001: “Sospensione della terapia elettroconvulsivante, dellalobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interven-ti di psicochirurgia”.La terapia e le pratiche indicate nel titolo della legge sono

sospese, su tutto il territorio della regione, fino a che ilMinistero della salute non definisca in modo certo e circo-stanziato le situazioni cliniche per le quali terapia e pratichesono sperimentalmente dimostrate efficaci e risolutive enon sono causa di danni temporanei o permanenti alla salu-te del paziente.

Regione Umbria legge regionale n. 9 del 14 giugno 2002:“Tutela sanitaria e ambientale dall’esposizione ai campielettrici, magnetici ed elettromagnetici”.La Regione Umbria, nel rispetto del principio di precauzio-ne sancito dall’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CEE edei principi fondamentali della legge 22 febbraio 2001, n.36, detta norme a tutela della salute della popolazione daglieffetti dell’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elet-tromagnetici e a salvaguardia dell’ambiente.

Regione Abruzzo - legge regionale n. 45 del 13 dicembre2004: “Norme per la tutela della salute e la salvaguardiadell’ambiente dall’inquinamento elettromagnetico”.La Regione Abruzzo detta norme a tutela della salute dellapopolazione dagli effetti dell’esposizione ai campi elettrici,magnetici ed elettromagnetici e a salvaguardia dell’ambien-te dall’inquinamento elettromagnetico, coordinandole con lescelte della pianificazione territoriale ed urbanistica, nelrispetto del principio di precauzione sancito dall’art. 174,paragrafo 2, del Trattato CEE, dei principi dettati dall’artico-lo 8 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 - Legge quadro sullaprotezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici edelettromagnetici, e della legge 6 agosto 1990, n. 223 -Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, delDM. 10 settembre 1998, n. 381 e del DPCM 8 luglio 2003relativo a campi magnetici ad alta frequenza.

Regione Emilia Romagna - legge regionale n. 13 del 31marzo 2005: “Statuto della Regione Emilia Romagna”.Nello statuto adottato dalla Regione, l’articolo 3 è dedicatoal tema delle politiche ambientali. “La Regione al fine diassicurare le migliori condizioni di vita, la salute delle per-sone e la tutela dell’ecosistema, anche alle generazionifuture, promuove:… c) la riduzione e il riciclaggio dei rifiuti, il contenimento dei

rumori e delle emissioni inquinanti, in applicazione delprincipio di precauzione, dei protocolli internazionali edelle direttive europee.

Regione Puglia - legge regionale n. 26 del 9 agosto 2006:“Interventi in materia sanitaria”.Al fine di predisporre interventi straordinari per la tuteladella salute nei luoghi di lavoro, in considerazione degliinfortuni sul lavoro che ogni anno colpiscono i lavoratoridella Regione Puglia, si individuano una serie di aree diintervento, tra le quali l’estensione del principio di precau-zione ai lavoratori a contatto con sostanze cancerogene opresunte tali.

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Regione Abruzzo - legge regionale n. 2 del 10 marzo 2008:“Provvedimenti urgenti a tutela della Costa Teatina”.La Regione Abruzzo, nel rispetto dell’art. 32 dellaCostituzione Italiana, del principio di precauzione sancitodall’art. 174, paragrafo 2 del Trattato Istitutivo dell’UnioneEuropea, e del principio di tutela della salute pubblica san-cito dall’art. 152 del trattato di Amsterdam, nell’ambito dellaprogrammazione territoriale, socio-economica ed ambien-tale rivolta al perseguimento di uno sviluppo sostenibile,garantisce che le decisioni amministrative relative ai proget-ti ed agli interventi di cui alle direttive 85/337 CEE, 97/11CE, 96/61 CE e 42/2001 CE relative alla Valutazione diImpatto Ambientale ed alla Valutazione AmbientaleStrategica (VAS) sono prese nel rispetto delle esigenze disalvaguardia e tutela:a) della salute umana, della conservazione delle risorse,

nonché del miglioramento della qualità umana della vita;b) della protezione e conservazione delle risorse naturali;c) della sicurezza del territorio.

ABSTRACT

The precautionary principle in Italian regional law

The Author, in the introduction, refers to EU literature andlegislation concerning the precautionary principle (bettersafe than sorry), with respect to food products: the WhiteBook of the European Commission on Food Safety of 1999(February 2000) states that the precautionary principle isnot judicially defined in the Treaty that deals with it referringonly to environment protection, even if its scope is wider. Itis finally made mention of the Resolution adopted by theEuropean Parliament in December 2000 concerning BSEand safety of animal feeding stuffs.The European Union has applied this precautionary princi-ple in the area of genetically modified organisms (GMOs)(in Italy, as far as food legislation is concerned, exclusivelydisciplined by regional law), with the adoption of a morato-rium on their commercialisation between 1999 and 2004.In regional law the precautionary principle is used in provi-sions concerning GMOs, fundamentally in order to protecttypical, organic and traditional products or, in fields that donot concern food, for environment conservation.

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Il tappetino, l’uva e la Cassazione

Gaetano Forte

1.- L’evoluzione del mercato e le problematiche connesse

L’evoluzione delle metodologie commerciali globali hannoportato anche il mondo ortofrutticolo a ricercare e trovaresoluzioni per la fornitura di prodotti migliori, più freschi equindi più appetibili al consumatore finale. Da qualche annotra queste nuove metodologie campeggia l’annosa questio-ne del c.d. tappetino di protezione per l’uva. Gli operatoridel settore ben conoscono la problematica: l’uva da tavolafresca viene imballata sovrapponendovi un tappetino dicarta impregnato di metabisolfito di sodio con funzione di“filtro protettivo” della merce dal momento della produzionefino al termine della filiera: il tappetino viene infatti rimossopoco prima dell’esposizione del prodotto alla vendita al con-sumatore finale.La stessa Corte di Cassazione si è pronunciata in meritocon la sentenza n. 883 del 18 maggio 2006 (depositata il 4luglio 2006).La vicenda portata al vaglio della Suprema Corte traeva ori-gine da una contestazione mossa dall’ASL di Trento, laquale aveva proceduto a prelievo ufficiale dell’uva di prove-nienza extra comunitaria “trattata” con questo particolaretappetino in funzione antimicrobica o conservante. Secondo l’ipotesi accusatoria, “l’apposizione di un foglio dicarta trapuntato con metabisolfito di sodio all’interno delsacco di plastica chiuso contenente l’uva ... integra ...un’aggiunta di additivo conservante anidride solforosa nonconsentito dal DM 27.02.1996 n. 209 e successive modifi-cazioni ed integrazioni”1.Il problema nasceva dal fatto che il laboratorio non avevarinvenuto sulla frutta campionata ed analizzata residui dianidride solforosa, bensì aveva semplicemente rilevato ilmateriale utilizzo del tappetino contenente metabisolfito conspecifica funzione di generare anidride solforosa. In altri ter-mini, la presenza del tappetino di carta era stata considera-ta sufficiente per configurare ex se un trattamento post-rac-colta con additivo conservante non consentito dalla legge.Il Tribunale di primo grado aveva condiviso ed accolto laricostruzione così come formulata dalla Procura, emettendosentenza di condanna.

L’azienda aveva proposto ricorso per Cassazione2, richia-mando anzitutto altre pronunce provenienti dal medesimoTribunale di Trento, di segno assolutamente opposto rispet-to alla sentenza impugnata. Le altre contestazioni si eranoinfatti concluse con decreti di archiviazione, nei quali si rile-vava il difetto dell’elemento oggettivo del reato (e pertantola mancanza della violazione della legge speciale sugliadditivi, sanzionata dalla norma penale in bianco costituitadagli artt. 5 e 6 L. 283/62), visto che l’analisi effettuata evi-denziava che non erano stati superati i limiti di legge, non-ché dell’aspetto soggettivo, poiché per quanto atteneva allemodalità di conservazione dell’uva …la circostanza eracontroversa (aspetto questo avvalorato dal fatto che le pro-nunce riportate provenivano dallo stesso Tribunale ed ave-vano impulso dalla stessa Procura della Repubblica diTrento!) e non si poteva far pagare il prezzo dell’interpreta-zione all’imputato… farebbe difetto il requisito legale tipicodella colpa. Nelle accennate ipotesi, pertanto, il Giudice per le indaginipreliminari sosteneva la tesi della difesa ricordando che ilcorretto presupposto del reato in esame era soltanto la rile-vazione effettiva della presenza dell’additivo sul prodottoalimentare: ritenere sussistente il reato per la mera conti-guità del tappetino con la frutta quando era stato dimostra-to analiticamente che la stessa non presentava residuoalcuno significava stravolgere la norma ed impedirne unacorretta lettura.

2.- La norma speciale di riferimento: il decreto additivi e lasua rilevanza nella fattispecie penale

D’altra parte il D.M. 209/1996, rubricato “Regolamento con-cernente la disciplina degli additivi alimentari consentitinella preparazione e per la conservazione delle sostanzealimentari in attuazione delle direttive n. 94/34/CE, n.94/35/CE, n. 94/36/CE, n. 95/2/CE e n. 95/31/CE”, defini-sce additivo alimentare “qualsiasi sostanza, … che si possaragionevolmente presumere diventi … un componente ditali alimenti direttamente o indirettamente”.Dal campo di applicazione del decreto, inoltre, sono esclu-si gli additivi alimentari non presenti sul prodotto perché maiesistiti o perché non più esistenti nel momento attuale (art.2). La necessità che l’additivo sia ancora presente sul pro-dotto finito viene confermata anche dal successivo art. 15,comma 7, il quale recita “salvo diversa indicazione le dosimassime d’impiego indicate negli allegati X, XI, XII e XIII si

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Anno II, numero 4 • Ottobre-Dicembre 200855

(1) La fattispecie contestata era quella p. e p. dall’art. 5 lett. g) l. 283/62, che prevede il divieto di “ impiegare nella preparazione di ali-menti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il con-sumo sostanze alimentari: ….g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sani-tà o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sonosoggetti a revisioni annuali”. La relativa sanzione, prevista dall’art. 6, consiste nella pena alternativa dell’arresto fino a un anno o del-l’ammenda da € 309 a € 30.987.(2) Si ricordi che l’art. 593 c.p.p. non consente l’appello avverso sentenze di condanna con le quali sia stata applicata la sola pena del-l’ammenda. Nel caso de quo, pertanto, si è presentato direttamente il ricorso alla Corte di Cassazione.

riferiscono ai prodotti alimentari pronti per il consumo, pre-parati secondo le istruzioni per l’uso”. Nel caso oggetto di esame, era certo che l’additivo nonfosse diventato parte integrante dell’alimento, con la conse-guenza dell’incomprensibile contestazione del reato di cuiall’art. 5 lett. g) l. 283/62, ove il legislatore vieta la vendita dialimenti “…con aggiunta di additivi chimici …non autorizza-ti”: in esito ad inconfutabili accertamenti tecnici, l’uva incri-minata era risultata priva di ogni genere di additivo. Questoaspetto era certamente fondamentale, dal momento chenon si trattava di rilevazione quantitativa inferiore o superio-re alla soglia di tolleranza, bensì di completa assenza dellasostanza presuntivamente additivante.In ogni caso, la difesa era supportata anche da argomenta-zioni scientifiche: appositi studi universitari avevano rileva-to che “considerando la tipologia di confezionamento delprodotto, si può constatare come il tappetino di carta, cheracchiude in appositi alveoli metabisolfito in polvere comepotenziale generatore di SO2 … si trovi sopra altri fogli diseparazione quindi isolato e non a contatto diretto con l’ali-mento (uva) che è autonomamente avvolto da altri fogli. Sipuò ritenere pertanto che il tappetino sia inserito al fine dicreare una barriera fisica e potenzialmente antiossidanteper contrastare le infiltrazioni d’aria e di microrganismi con-taminanti… la presenza del tappetino non si configuracome trattamento dell’uva, ma bensì, a tutela dei consuma-tori e in riferimento alle norme HACCP, un modo per limita-re, in un punto critico quale può essere l’apertura non erme-tica della confezione, l’ingresso di ossigeno e/o di aria con-taminata da microrganismi patogeni e tossigeni che avreb-bero potuto nuocere alla sicurezza alimentare del prodottocon conseguenti problematiche igienico – sanitarie sicura-mente più gravi per la salute dei consumatori”.A ciò si aggiunga che il metabilsolfito in polvere è generato-re solamente potenziale di anidride solforosa, ossia non viè certezza assoluta che il tappetino generi autonomamenteed incondizionatamente anidride solforosa. La Corte di Cassazione non ha potuto che condividere l’ar-gomentazione della difesa.La stessa Corte aveva affermato in precedenza che additi-vi chimici sono solo quelli che: “…3) diventino per ragione-vole presunzione componenti della sostanza alimentare”3, enella sentenza oggetto di esame ribadisce che “ai sensi del-l’art. 2, condizione indispensabile per l’applicazione del DM209/96 è che la presenza di additivi sia comunque effettiva-mente riscontrata sul prodotto alimentare, eventualmenteanche in forma modificata”.La Corte ha pertanto cassato la sentenza del Tribunale diTrento, rimettendo gli atti al medesimo Giudice per ulteriorevalutazione.

3.- Il reato di pericolo ed il pericolo del pericolo

La vicenda finora descritta mette in luce un ulteriore proble-ma di carattere più squisitamente giuridico: la fattispecie dicui all’art. 5 lett. g) L. 283/62 ha quale bene giuridico tutela-to la salute del consumatore: esso è un reato commissivodi pericolo presunto. Il nostro sistema penale deve rispetta-re, tra i valori di fondamento costituzionale, il c.d. principiodi offensività (che costituisce una sfumatura del più notoprincipio di legalità): in altri termini, una fattispecie penaleper poter essere costituzionalmente conforme deve esserestrutturata in modo tale che la sua violazione vada ad atten-tare o ledere un bene costituzionalmente protetto come, nelcaso della l. 283/62, la salute dei consumatori. Orbene, aldi là dell’aspetto astratto appartenente alla teoria del diritto,in sede di concreta applicazione accade talvolta che l’ec-cessivo zelo degli operatori porti ad arretrare in modo inde-bito la soglia della rilevanza penale del fatto. Applicandoquanto detto al caso rappresentato non vi è chi non vedache il Giudice di prime cure, sanzionando penalmente lamera presenza del tappetino senza che vi fosse alcun addi-tivo residuo concretamente rilevato sul prodotto, ha “dettotroppo”: la pena è stata irrogata per il mero pericolo orischio che vi fosse un pericolo per la salute in dipendenzadel tappetino, il quale semplicemente avrebbe potuto(senza certezza) rilasciare la sostanza vietata. In realtà lagiurisprudenza è ferma nel ritenere che soltanto “con la cer-tezza della presenza dell’additivo non autorizzato la provache la condotta incriminata è stata posta in essere è, infat-ti, raggiunta” 4.Per la sussistenza del reato non è necessario pertantodimostrare la concreta tossicità del prodotto (c.d. reato didanno), ma, quantomeno, è necessario dimostrare la pre-senza dell’additivo (c.d. reato di pericolo). In caso contrario, ossia in assenza di riscontro analitico, siverrebbe a punire un comportamento sulla sola base delpericolo del pericolo o pericolo remoto.In definitiva, la mancanza del rischio pur solamente astrattoper la salute del consumatore (interesse protetto dallanorma), porterebbe a punire l’agente sulla base del solorischio astratto o pericolo remoto (non solo non occorrerebbela concreta nocività, ma non sarebbe nemmeno richiesto unoggettivo riscontro analitico!), con un eccessivo arretramentodella tutela penale della salute, in palese contrasto con il prin-cipio di legalità e, quindi, col dettato costituzionale.

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Anno II, numero 4 • Ottobre-Dicembre 200856

(3) Cass. pen., sez. III, n.1936/97.(4) Cass. 14 ottobre 1999, Meroni, FI, 2000, II, 556.

La disciplina fiscale della birra

Alice Artom

1.- Premessa

La birra, sotto forma di prodotto finito, è sottoposta ad acci-sa con aliquota riferita ad ettolitro, alla temperatura di 20°Celsius ed a grado-Plato di prodotto finito. Il volume di ciascuna partita di birra, da sottoporre a tassa-zione, è calcolato in base alla somma dei volumi nominalidegli imballaggi preconfezionati e dei volumi nominalidichiarati degli altri contenitori utilizzati per il condiziona-mento: il volume così ottenuto, espresso in ettolitri, vienearrotondato al litro, computando per intero le frazioni supe-riori al mezzo litro.Per grado-Plato si intende la quantità in grammi di estrattosecco contenuto in 100 grammi del mosto da cui la birra èderivata; la ricchezza così ottenuta viene arrotondata ad undecimo di grado, trascurando le frazioni di grado pari o infe-riori a 5 centesimi e computando per un decimo di gradoquelle superiori.Per il controllo della produzione sono installati misuratoridelle materie prime, della birra immediatamente a montedel condizionamento ed, eventualmente, dei semilavorati,nonché contatori per la determinazione del numero degliimballaggi preconfezionati e delle confezioni. Una volta ulti-mate le operazioni di condizionamento, il prodotto è custo-dito in apposito magazzino, preso in carico dal depositarioed accertato dall’ufficio tecnico di finanza/ Agenzia delleDogane. Sono ammesse le seguenti tolleranze:a) due decimi di grado, rispetto al valore dichiarato, per lagradazione saccarometrica media effettiva del prodotto fini-to, rilevata nel corso di riscontri effettuati su lotti condiziona-ti in singole specie di imballaggi e contenitori;b) quelle previste dalla normativa metrica vigente, per ilvolume degli imballaggi preconfezionati; c) il 2 per cento, rispetto al valore nominale dichiarato, peril volume medio effettivo di lotti di contenitori diversi dagliimballaggi preconfezionati.A partire dal 1 gennaio 2006 l’aliquota di accisa per la birraè pari ad € 2,35 per ettolitro e per grado Plato.

2.- Riferimenti normativi relativi alla misurazione del grado- Plato

Con riferimento alla misurazione del grado saccarometricoPlato, sopracitato, è importante richiamare il D.M. 21 settem-bre 1970, che disciplina i metodi ufficiali di analisi della birra.

Tale Decreto prevede le seguenti modalità di analisi dellabirra: 1) preparazione del campione;2) esame organolettico;3) limpidità: determinazione del grado di torbidità;4) determinazione del peso specifico;5) determinazione del grado alcoolico;6) determinazione dell’estratto;7) determinazione del grado saccarometrico;8) determinazione dell’acidità totale;9) determinazione dell’acidità volatile;10) determinazione delle ceneri e dell’alcalinità delle cene-ri;11) determinazione dell’anidride carbonica;12) determinazione dell’anidride solforosa;13) determinazione dell’acido L. ascorbico.

L’articolo 5 del citato Decreto, delinea il principio base dimisurazione del grado alcolico, ai sensi del quale: “Un volu-me misurato di birra viene sottoposto a distillazione, conmodalità atte ad assicurare il passaggio quantitativo dell’al-cole nel distillato. Si determina il grado alcoolico (alcole% involume a 20°C) di quest’ultima per via densimetrica,mediante il picnometro o la bilancia idrostatica, e dal pesospecifico trovato si risale al grado alcoolico mediante appo-site tavole”.

3.- La vicenda giudiziaria tributaria

La complessa ed articolata vicenda giudiziaria in commento,evidenzia un “acceso” contrasto tra la Società Castello diUdine (ora Birra Castello S.p.A.), l’Agenzia delle Dogane diUdine – Circoscrizione Doganale – Dogana di Porto Nogaroe l’Ufficio Tecnico di Finanza di Udine, specificamente inrelazione ai metodi di determinazione del grado saccarome-trico Plato della birra per l’applicazione dell’accisa dovuta.Nel caso di specie, la Castello di Udine ricorreva avanti laCommissione Tributaria Provinciale di Udine contro i verba-li di verifica semestrali obbligatori effettuati dall’Ufficio tecni-co di Finanza di Udine, ora Dogana di Udine, relativi all’an-no 2002 ed al primo semestre del 2003, avverso gli avvisidi accertamento rettificati e contro la Decisione del DirettoreRegionale dell’Agenzia delle Dogane per il Friuli VeneziaGiulia, che confermava la validità degli avvisi di accerta-mento stessi1.La Castello ricorreva, altresì, contro il verbale di accerta-mento dei quantitativi di birra prodotti e immessi in magaz-zino, rettificati dall’Ufficio Tecnico di Finanza di Udine, sullabase dei verbali emessi dalla Dogana di Porto Nogaro, cheaveva proceduto al controllo di otto spedizioni di birra. Infine, la Castello impugnava anche i verbali redatti dallaDogana di Porto Nogaro2.

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Anno II, numero 4 • Ottobre-Dicembre 200857

(1) Procedimento R.G.R. n. 818/04.(2) Procedimenti RG.R. n.807/04 e n.808/04.

In relazione alla verifica obbligatoria semestrale e alle ottospedizioni di birra, la Castello evidenziava che, l’UfficioTecnico di Finanza e la Dogana di Porto Nogaro avevanoeffettuato dei prelievi di campioni di birra prodotta e li ave-vano, successivamente, inviati presso il LaboratorioChimico delle Dogane di Trieste, al fine di compiere delleanalisi sul contenuto del grado saccarometrico Plato dellabirra. Per questo tipo di analisi il Laboratorio aveva utilizza-to, come strumento di misurazione, la “bilancia idrostatica”,con la quale aveva rilevato delle differenze di grado-Platorispetto a quanto riscontrato dalla Castello all’esito delleproprie analisi. A seguito di tale verifica, l’Ufficio emettevagli avvisi di accertamento per il recupero delle maggioriaccise dovute.A fronte di tali avvisi, la Castello avviava, per ciascuno diessi, il procedimento amministrativo per la risoluzione dellacontroversia3, sottolineando che le analisi effettuate dallastessa con il metodo “Anton Paar” e con il “picnometro”ribadivano la correttezza del grado-Plato dichiarato, a suotempo, dalla ricorrente. Il procedimento si concludeva conla decisione del Direttore Regionale delle Dogane per ilFriuli Venezia Giulia, notificata alla Castello in data3.8.2004, che rigettava le istanze di quest’ultima.La Castello, con due ricorsi4, contestava avanti laCommissione Tributaria Provinciale di Udine gli accerta-menti suppletivi e di rettifica emessi dalla Dogana di PortoNogaro, resi definitivi dalla Decisione del DirettoreRegionale delle Dogane per il Friuli Venezia Giulia di Triestedel 15.7.2004, per i seguenti motivi:

a) contestazione sulla “bilancia idrostatica”, comestrumento di analisi utilizzato dall’Ufficio Tecnico di Finanzadi Udine:la Castello contestava l’ utilizzo, da parte dell’Ufficio, dellasola “bilancia idrostatica”, atteso che, il D.M 21.9.1970 pre-vede due sistemi di misurazione diversi e alternativi tra loro:il “picnometro” e la “bilancia Idrostatica”, entrambi legal-mente riconosciuti, lasciando al dichiarante la libertà discelta del sistema di misurazione.Nel caso di specie, l’Ufficio, al fine di verificare l’esattezzadella dichiarazione del produttore e dovendo accertare ilgrado saccarometrico Plato, utilizzava il solo metodo della“bilancia idrostatica”, basato sul principio di Archimede enon lo strumento di misurazione legale scelto dal dichiaran-te, che era il “picnometro”, basato, invece, sul principio delladensità;

b) mancata applicazione, da parte dell’UfficioTecnico di Finanza, delle tolleranze di legge:in base al Testo Unico delle disposizioni legislative concer-nenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative

sanzioni penali e amministrative (D.Lgs. 26/10/1995,n.504), in caso di imballaggi preconfezionati di birra (lattinee bottiglie), il Legislatore ha previsto una tolleranza di duedecimi di grado saccarometrico Plato rispetto al valoredichiarato. L’Ufficio, tuttavia, ometteva, nel caso di specie,di considerare che la tolleranza prevista dal comma 6 del-l’art. 35 del D.Lgs. 504/95, è a favore del produttore ed uti-lizzava a suo vantaggio la tolleranza ex lege dello 0,2%.Quindi, la Castello utilizzava la tolleranza dello 0,2%, pro-ducendo birra con grado Plato pari a 10,7 e dichiarando talebirra con grado Plato 10,5. Il tutto in osservanza dell’ art.2,comma 3, L. 1354/62 e successive modifiche5.Inoltre, lo scarto dello 0,2%, rilevato dal LaboratorioChimico delle Dogane di Trieste effettuato con la “bilanciaidrostatica”, era unicamente ascrivibile alla differenza di talemetodo rispetto a quello ufficiale del Picnometro. Infatti, imetodi del “picnometro” e dell’Anton Paar6 esprimevanorisultati differenti da quelli ottenuti col metodo della “bilanciaidrostatica”;

c) contestazione sulla tardività della decisioneemessa dal Direttore Regionale Dogane:in base all’articolo 68, comma 1, del TULD la decisione delDirettore Regionale deve essere emessa entro quattro mesidalla data di presentazione della formale istanza di attiva-zione del procedimento amministrativo. Nel caso di specie,tutte le istanze della Castello erano state presentate nellaprima metà del 2003, mentre la decisione del DirettoreRegionale era stata emessa il 15.7.2004. Pertanto, taledecisione era stata formulata ben oltre il limite previsto dal-l’art. 68 TULD e la mancata osservanza del termine, produ-ceva, secondo la Castello, effetti decadenziali, a prescinde-re da un’espressa qualificazione di tale termine comeperentorio;

d) irritualità e illegittimità dell’accertamento suiquantitativi di birra:la Dogana, per prassi consolidata, aveva sempre tassatosolo il contenuto riferito alle bolle doganali dei campioniaccertati, mentre nel caso in esame quest’ultima avevaimposto la tassazione sull’intera produzione giornaliera enon sulla singola spedizione doganale. Inoltre, la Doganaaveva rideterminato la somma con un secondo accerta-mento, effettuato dopo la chiusura di tutti gli accertamenti edopo la Decisione del Direttore Regionale che li rendevadefinitivi, contravvenendo quindi, ai principi di correttezza,buona fede e chiarezza degli atti.Infine, non era presumibile che le singole spedizioni doga-nali, da cui erano stati prelevati i campioni accertati, fosse-ro state omogeneamente comparabili a tutte le altre partiteprodotte nella stessa giornata.

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(3) Articolo 66 DPR. 23.1.1973 n. 43 TULD – Provvedimento amministrativo di prima istanza per la risoluzione delle controversie.(4) Nel primo ricorso R.G.R. N. 807/04: ricorrenti la Castello di Udine S.p.A. e il sig. Marco Peruzzi, in qualità di spedizioniere doganale;nel secondo ricorso R.G.R N. 808/04: ricorrente solo Birra Castello S.p.A.(5) Vedi art.2, L. 16 agosto 1962, n.1354, intitolata: “ disciplina igienico-sanitaria della produzione e del commercio della birra”, sostitui-to con art. 2 DPR. 30 giugno 1998, n.272.(6) Sistema elettronico di misurazione del grado Plato utilizzato in tutta la UE e denominato BEER ANALYZER ANTON PAAR.

I ricorrenti chiedevano alla Commissione TributariaProvinciale di Udine di disporre la riunione dei procedimen-ti R.G.R. N. 807 e N. 808 del 2004 già pendenti.Successivamente, la Castello presentava un terzo ricorso7

alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Udine,avverso i verbali di verifica obbligatoria semestrale nel set-tore della birra effettuati dall’UTF di Udine per l’anno2002/2003 e contro gli avvisi di accertamento rettificati, residefinitivi dalla citata Decisione del Direttore Regionale delleDogane per il Friuli Venezia Giulia di Trieste del 15.7.04.Pertanto, la Castello chiedeva alla CTP di Udine di dispor-re la riunione anche di questo ricorso con gli altri procedi-menti già pendenti.L’Agenzia delle Dogane di Porto Nogaro, avverso i ricorsisopracitati controdeduceva che:- in punto di modalità e strumenti con i quali l’Ufficio provve-deva ad accertare il grado saccarometrico Plato nei cam-pioni prelevati: i metodi di analisi erano alternativi tra lorosoltanto per gli organi ufficiali preposti ad effettuare le ana-lisi e non per le singole fabbriche produttrici di birra.Pertanto, l’Ufficio aveva utilizzato lo strumento in dotazione,in questo caso la “bilancia idrostatica”, per compiere talianalisi. Peraltro, il buon funzionamento dello strumentosopracitato, veniva certificato dalla Ditta Libertini elettronicaS.r.l, accreditata dal SIT (servizio di taratura in Italia), chel’aveva fornito. L’Ufficio precisava, inoltre, che il Laboratorio chimico delleDogane di Trieste partecipava ad un Ring Test mensile8,organizzato dal BIPEA9, riconosciuto idoneo dal SINAL10 ,che effettuava le analisi solo con uno dei seguenti metodi:aerometria, picnometria, densimetria e con l’uso dellaBilancia idrostatica.L’Ufficio inoltre, sottolineava che i differenti principi fisici sucui si fondavano le diverse misurazioni non giustificavanorisultati così difformi da superare le normali tolleranze con-sentite dalla legge.Le Dogane contestavano, altresì, l’utilizzo del sistemaAnton Paar11, in quanto ritenuto non ufficiale ai sensi delD.M. della Sanità 21 settembre 1970;- in punto di tardività della Decisione emessa dal DirettoreRegionale, l’Ufficio affermava che la Circolare dell’Agenziadelle Dogane n.41/D12, citata da controparte, nulla dichiara-va circa la natura perentoria del termine di quattro mesi pre-visto dall’art. 68, comma 1 del TULD. Pertanto, tale termine,come specificato dalla Suprema Corte13, doveva intendersidi natura meramente ordinatoria con funzione acceleratoria. L’Agenzia delle Dogane concludeva chiedendo il rigetto del

ricorso poiché infondato in fatto e diritto e chiedeva, altresì,che venisse dichiarata la legittimità del provvedimentoimpugnato.La Castello, nella sua memoria illustrativa, replicava allemotivazioni addotte dall’Agenzia delle Dogane per leseguenti ragioni: - in punto di scelta dello strumento per l’effettuazione delleanalisi, la Castello riteneva che la tesi difensiva elaboratadall’Agenzia delle Dogane secondo cui: “solo gli organi uffi-ciali preposti ad effettuare le analisi sul grado-Plato dellabirra potevano scegliere quale metodologia di analisi adot-tare e non le singole fabbriche produttrici”, fosse radical-mente erronea e priva di valida motivazione, in quanto con-trastante con il dettato normativo di cui all’art. 5, D.M.Ministero Sanità 21 settembre 1970, che prevede la possi-bilità di effettuare le misurazioni, in via alternativa, con il“picnometro” o con la “bilancia idrostatica”. Pertanto, nonessendovi nel citato D.M. alcuna disposizione che riservi,espressamente, all’Ufficio la scelta del metodo da utilizzare,la tesi delle Dogane di Udine era da considerarsi infondata. La Castello precisava, altresì, la necessità da parte dellaDogana di uniformarsi al metodo di analisi per l’accerta-mento adottato dalla ricorrente e ciò per due motivi:1) i risultati ottenuti mediante l’utilizzo di due strumentidiversi basati su principi fisici differenti sono sensibilmentedifformi;2) perché è principio consolidato dalla giurisprudenza tribu-taria che l’onere di dimostrare che i dati risultanti dall’accer-tamento siano corretti ed incontrovertibili incombeall’Ufficio. Peraltro, la Castello sottolineava la contraddizio-ne in cui era incorsa controparte, giudicando non ufficiale ilmetodo dell’Anton Paar e nel contempo dichiarando che, ilLaboratorio Chimico delle Dogane di Trieste, aveva parteci-pato ad un Ring Test, durante il quale venivano posti a con-fronto i dati della “bilancia idrostatica” proprio con quellidell’Anton Paar, metodo, peraltro, utilizzato dalla maggio-ranza dei produttori di birra europei. Pertanto, la ricorrentesi chiedeva per quale motivo l’Ufficio potesse fornire dati dicomparazione tra un metodo ufficiale e un altro non ufficia-le e che tale diritto fosse, tuttavia, precluso ai medesimiricorrenti. Inoltre, la Castello eccepiva l’irrilevanza della dichiarazionedella Dogana sull’utilizzo, di una “bilancia idrostatica” acqui-stata e certificata nel 2004 dalla ditta Libertini ElettronicaS.r.l, poiché le analisi risalivano al 2003;- per quanto riguarda la richiesta di ripetizione delle analisisui campioni di birra ancora giacenti presso la Dogana e

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(7) R.G.R. n. 818/04.(8) Ring Test: test scientifico realizzato congiuntamente da più laboratori doganali.(9) BIPEA: bureaux inerprofessionel d’etudes analitiques.(10) Sistema nazionale per l’accreditamento dei laboratori.(11) Vedi nota 6.(12) Circolare Agenzia delle Dogane n. 41/D del 17 giugno 2002 relativa alla riforma disposta dall’art. 12, comma 2 della L. 28 dicembre2001, n. 448.(13) Cass. civ. Sez. I, 18 gennaio 1993, n. 598.

avanzata dalla Castello in sede di controversia doganaleavanti il Direttore Regionale delle Dogane, quest’ultima sot-tolineava che sul punto era stata giudicata non ricevibile,poiché il processo di degradazione della birra poteva avve-nire in maniera diversa per ogni singola confezione, ovverocampioni prelevati a suo tempo dall’Ufficio e, di conseguen-za, i risultati non sarebbero stati più attendibili. Peraltro, laripetizione delle analisi, sarebbe stata totalmente inutile,perché la Dogana di Porto Nogaro avrebbe fatto ripetere leanalisi con la sola “bilancia idrostatica”, unico strumento indotazione alla stessa.

4.- La decisione della Commissione tributaria provinciale

Il giudizio sui ricorsi riuniti della Castello si concludeva conla decisione pronunciata dalla Commissione TributariaProvinciale di Udine14, la quale:preliminarmente: disponeva la riunione dei ricorsi di cuisopra, per connessione oggettiva e soggettiva;nel merito: a) la CTP, in punto tardività della decisione emessa dalDirettore Regionale delle Dogane, respingeva il primo moti-vo di doglianza del ricorso, relativo alla tardività della deci-sione emessa dal Direttore Regionale delle Dogane, inquanto infondato, poiché il termine previsto dall’art. 68TULD, non è qualificato espressamente o implicitamentecome perentorio, ma, soltanto, come acceleratorio e ordina-torio. Inoltre, non sono previste sanzioni specifiche per il suomancato rispetto. Peraltro, tale decisione, anche se emessain ritardo, non ha valenza di un provvedimento impositivo,ma soltanto di una decisione di carattere amministrativo perottenere tutela contro i provvedimenti impositivi;b) relativamente alla ripetizione delle analisi sui campioni dibirra e sugli strumenti di analisi utilizzati, la CTP sottolinea-va l’inutilità della ripetizione delle analisi chimiche sui cam-pioni ancora giacenti presso la Dogana di Porto Nogaro,atteso il lungo tempo trascorso dalla data delle analisi, percause non imputabili alla società ricorrente. Tale assunto era stato, peraltro, stigmatizzato nella decisio-ne del Direttore Regionale del 15.7.2004. La CTP, inoltre, evidenziava l’impossibilità di ripetere le ana-lisi utilizzando in contraddittorio i due metodi del “picnome-tro” e della “bilancia idrostatica” per confrontarne i risultati.Pertanto, la Commissione riteneva che, per evitare il con-tenzioso, basato sostanzialmente sulle diverse taraturedegli strumenti o su metodologie procedurali diverse,l’Agenzia delle Dogane avrebbe dovuto, una volta prelevatii campioni omogenei di birra, sottoporli, in contraddittorio

con la Castello, all’analisi sia con il “picnometro”, sia con la“bilancia idrostatica”. La Commissione, quindi, trovandosi di fronte ad un nettocontrasto tra i risultati forniti dall’Agenzia delle Dogane equanto dichiarato dalla ricorrente, non avendo alcuna pos-sibilità di verificare quali dati fossero scientificamente piùattendibili e trovandosi, peraltro, nella necessità di risolverela lite applicando rigorosamente le norme inerenti l’oneredella prova, si appellava ad un noto principio generale delnostro ordinamento in base al quale: “L’ente impositore hal’onere di provare il fatto posto a fondamento della pretesaimpositiva o comunque dell’accertamento effettuato (nelcaso di specie: il grado Plato della birra difforme o superio-re rispetto a quello dichiarato dalla società produttrice dibirra).Pertanto, la CTP riteneva opportuno, mancando un con-fronto di analisi in contraddittorio tra le parti, accogliere ilricorso della Castello, annullando tutti gli atti impositiviimpugnati. Avverso la sentenza di I° l’Agenzia delle Dogane interpone-va appello avanti la Commissione Tributaria Regionale diTrieste, impugnando il solo capo della sentenza relativo allaritenuta inattendibilità dei risultati delle analisi, ritenendocondivisibile quanto affermato dalla CTP di Udine, in meritoalla non perentorietà del termine previsto dall’art. 68 TULD.L’Agenzia delle Dogane motivava il proprio appello, ritenen-do la sentenza viziata per carenza di motivazione ed errataripartizione dell’onere probatorio circa il contrasto tra i risul-tati forniti dal Laboratorio Chimico di Trieste e i dati dichia-rati dalla Castello sul grado-Plato.La Castello, costituendosi in giudizio, eccepiva la violazionedel divieto di ius novorum15 in quanto le Dogane, per laprima volta, in sede di appello, richiedevano la ripetizionedelle analisi, entro trenta giorni dalla notificazione del risul-tato delle stesse e insisteva, quindi, per il rigetto dell’appel-lo e la conferma della decisione di primo grado.La Commissione Tributaria Regionale di Trieste (CTR), indata 23 aprile 2008, così decideva16: - preliminarmente accertava la violazione del divieto di iusnovorum , accogliendo il motivo dedotto dall’appellata, poi-ché la richiesta di ripetizione delle analisi era stata avanza-ta per la prima volta nel giudizio d’appello dalla Dogana.Pertanto il motivo introdotto dalla Dogana risultava inam-missibile e non trattabile nel presente grado di giudizio;- nel merito, in punto onere della prova, sottolineava chel’ente impositore effettuando le analisi sulla birra con la“bilancia idrostatica”, strumento in sua dotazione, il cui esitoaccertava un’eccedenza del grado-Plato rispetto alla sogliadi tolleranza, assolveva al proprio onere probatorio.

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(14) Sentenza CTP di Udine, Sez. I, n.14/1/05, depositata il 9 settembre 2005.(15) Vedi art. 57, D.Lgs. 31.12.1992 n. 546 sul contenzioso tributario, in analogia con l’art. 345 c.p.c. (Domande ed eccezioni nuove).L’art. 57, I comma, intitolato: “Domande ed eccezioni nuove” stabilisce che: “Nel giudizio d’appello non possono proporsi domandenuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio…”.(16) Sentenza Commissione Tributaria Regionale di Trieste, Sez. XI, n. 27/11/08 de 23 aprile 2008, depositata il 27 maggio 2008.

Sarebbe stato, quindi, onere della Castello fornire la provacontraria per confutare le analisi effettuate dall’Ufficio impo-sitore, chiedendo il contraddittorio tra le parti. Ma, la CTR,rilevava che la mancanza di prova dell’avvenuta notificadelle analisi da parte delle Dogane alla Castello, avevacostituito, di fatto, una violazione del diritto alla difesa delcontribuente, che invalidava l’intero procedimento di accer-tamento. L’Ufficio non aveva posto in grado la parte verifi-cata di chiedere l’effettuazione, in contraddittorio, di tempe-stiva analisi di verifica, con ciò compromettendo irrimedia-bilmente il diritto di difesa del contribuente.In conclusione, la CTR di Trieste, respingeva l’appello inter-posto dall’Agenzia delle Dogane e confermava in toto ladecisione del Giudice di prime cure.

5.- Conclusioni

Le decisioni in commento evidenziano che anche nel giudi-zio tributario, in analogia al processo civile, l’onere dellaprova incombe all’attore sostanziale, nel caso di specieall’Ufficio accertatore.La vigente struttura del processo tributario (D.Lgs. 31dicembre 1992, n. 546), realizza, infatti, un’inversionedelle posizioni processuali delle parti, rimettendo al contri-buente l’impulso processuale per l’accertamento delladisciplina legale del fatto, ma non influenza la posizionesostanziale delle parti, che resta pur sempre disciplinata

dalle regole comuni.Questo riconoscimento di un’incombenza dell’onere proba-torio in capo anche all’Amministrazione finanziaria segnaun definitivo superamento di quelle posizioni dottrinali e giu-risprudenziali del passato, che avevano ritenuto di esclude-re la sussistenza di un vero e proprio onere della prova acarico dell’Amministrazione stessa, invocando il pretesocarattere inquisitorio del processo e soprattutto la presun-zione di legittimità dell’atto amministrativo.Infine, nel punto specifico dei metodi di analisi del grado-Plato, la CTP di Udine ha confermato l’alternatività dei duemetodi ex lege, stabilendo, quindi, la necessità dell’analisiin contraddittorio con il contribuente con entrambi i metodistabiliti dal D.M. 21.9.1970.

ABSTRACTTax treatment of beer in Italy

The burden of proof in the tax trial, is incumbent on the TaxAuthority defendent in a trial promoted, before the TaxCourt, by tax payer against tax assessment notified by thesame Tax Authority.The methods to determine the alcohol degree on beer prod-uct, are fixed by Ministry of Health Decree, as of September21th 1970, on alternatives ways: “bilancia idrostatica” or “pic-nometro”.

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Alimentare & Globale

a cura di Paolo Borghi e Susanna Visser

Olio di oliva: U.E.- Messico (DS341)

Il 4 settembre 2008 è stato pubblicato il rapporto deI Paneldell’Organizzazione mondiale del commercio nella disputatra Comunità europea e Messico concernente le misurecompensative imposte dal Messico all’olio di oliva europeo(DS341).Il 31 marzo 2006 la Comunità europea aveva chiestoall’OMC consultazioni nei confronti del Messico, in relazio-ne all’imposizione da parte di quest’ultimo di misure com-pensative sulle importazioni di olio di oliva dalla Comunità.La CE sosteneva che l’apertura e lo svolgimento dell’inchie-sta per determinare l’esistenza, il grado e l’effetto delle sov-venzioni adottate nel caso di specie, come pure l’imposizio-ne di misure compensative, fossero – per via delle concre-te modalità con cui tutto ciò era stato attuato – in contrastocon le obbligazioni a cui era tenuto il Messico in virtù del-l’art. VI del GATT1994, degli artt. 1, 10, 11, 12, 13, 14, 15,16, 19, 22 e 32 dell’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misu-re compensative (SCM), e degli art. 13 e 21 dell’Accordosull’agricoltura.Nel testo definitivo, circolato il 4 settembre scorso (conampio ritardo sulla previsione dello stesso Panel), è stabili-to tra l’altro che il Messico ha effettivamente agito in manie-ra incompatibile con l’art. 11.11. dell’accordo SCM a causadella durata eccessiva della fase di inchiesta, nonché inmaniera incompatibile con l’art. 12.4.1. in relazione allagestione delle informazioni riservate. Da ultimo il Messicoha violato l’art. 15.1. dell’accordo SCM per quanto concer-ne la determinazione del danno ai fini dell’art. VI delGATT1994.Si deve tuttavia evidenziare che – secondo quanto sostenu-to dal Panel – la Comunità europea non ha dimostrato laviolazione da parte del Messico di altre numerose disposi-zioni dalla stessa richiamate.L’organo di risoluzione delle controversie ha adottato il rap-porto del Panel nella riunione del 21 ottobre 2008, nel corsodella quale il Messico ha informato tale organo di volerprontamente ottemperare alle raccomandazioni dallo stes-so formulate.

Ormoni: Stati Uniti e Canada - Comunità europea (DS320-DS321)

Il 16 ottobre 2008 è stato pubblicato il nuovo rapportodell’Organo d’Appello dell’Organizzazione mondiale delcommercio relativo alla disputa “ormoni”, che ha visto anco-ra una volta contrapposti, da un lato, Stati Uniti e Canada,e dall’altro la Comunità europea (DS320 - DS321). La questione, come noto, ebbe origine nel lontano novem-

bre 2004 quando la Comunità europea presentava richie-sta di consultazioni nei confronti di Stati uniti e Canadaaffinché questi rimuovessero le misure di ritorsione a suotempo autorizzate dall’OMC con decisione del Panel con-fermata dall’Organo d’Appello, a esito della controversiaprincipale sugli ormoni.Per meglio comprendere la fase più recente della vertenza,si ricorda qui che il rapporto del Panel (WT/DS26/R/USA eWT/DS48/R/CAN, 18 agosto 1997) aveva stabilito che ildivieto imposto dalla Comunità sulle importazioni di carne edi prodotti a base di carne provenienti da bovini trattati conormoni per stimolare la crescita violava varie disposizionidell’accordo SPS. L’Organo d’Appello, con rapporto del 16gennaio 1998 (WT/DS26/AB/R e WT/DS48/AB/R), modifi-cava, con riferimento ad alcuni punti, il rapporto del Panel;ma confermava, nella sostanza, il giudizio di violazione, daparte della Comunità, degli artt. 3.3., e 5.1., dell’accordoSPS, a causa della mancanza di un’analisi scientifica suffi-cientemente specifica dei rischi per la salute associatiall’uso di determinati ormoni in quanto stimolatori della cre-scita. Conseguentemente l’Organo d’Appello raccomanda-va all’Organo di risoluzione delle controversie di invitare laComunità europea a rendere le misure ritenute incompatibi-li con l’accordo SPS conformi agli obblighi che essa ha sot-toscritto nell’ambito di detto accordo.A sostegno della propria richiesta, nel 2004 la Comunitàaffermava di aver eliminato le misure a suo tempo ritenutein contrasto con le norme OMC. Il Panel, nel proprio rap-porto del marzo del 2008, stabiliva che le misure incompa-tibili con le norme OMC non erano state rimosse dallaComunità e che, d’altra parte, Stati Uniti e Canada aveva-no però violato le procedure concernenti l’adozione dellemisure di ritorsione. Il Panel imponeva, quindi, all’Organodi risoluzione delle controversie di richiedere a questi ulti-mi di adeguarsi alle regole previste dall’Intesa sulle normee sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle con-troversie.Il 29 maggio 2008 la Comunità proponeva, dunque, ricorsoall’Appellate Body per valutare le questioni considerate dalPanel e l’interpretazione dallo stesso adottata delle normedegli accordi considerati. Col rapporto dello scorso ottobre,l’Organo d’Appello – sostanzialmente confermando la deci-sione di primo grado – ha stabilito che la posizione delPanel non è per molti aspetti condivisibile, e che tuttavia,considerata anche la natura molto controversa della que-stione, non ritiene di essere in grado di completare l’anali-si per verificare se con la nuova direttiva 2003/74/CE, con-cernente il divieto di utilizzazione di talune sostanze adazione ormonica, tireostatica e delle sostanze �-agonistenelle produzioni animali, possa dirsi che la Comunità si siacompiutamente adeguata a quanto stabilito dall’art. 22.8.dell’intesa. Alla luce delle suddette valutazioni, la racco-mandazione del Panel nella fase 2004-2008 della vertenzaC.E. - Ormoni deve rimanere operativa.L’Organo d’Appello, sulla base di quanto stabilito dall’artico-lo 22.8. dell’Intesa, raccomanda all’Organo di risoluzione

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delle controversie di richiedere a Stati Uniti, Canada e allaComunità europea di avviare, senza ritardo, la proceduraex articolo 21.5. (facendo ricorso al meccanismo di risolu-zione delle controversie). Questa dovrebbe garantire ilsuperamento del disaccordo relativo alla rimozione, omeno, da parte della Comunità delle misure ritenute in con-trasto nella originaria controversia C.E. – Ormoni, e permet-tere di stabilire se l’applicazione della sospensione delleconcessioni degli Stati Uniti e Canada rimanga regolarmen-te valida.

Banane: Ecuador, Guatemala, Honduras, Messico e StatiUniti - Comunità europea (DS27)

Il 26 novembre scorso è stato reso noto il nuovo rapportodell’Organo d’Appello dell’OMC relativo alla disputa con-cernente il regime europeo di importazione, vendita edistribuzione delle banane, che vede principalmente con-trapposti da un lato Ecuador, Guatemala, Honduras,Messico e Stati Uniti e dall’altro la Comunità europea(DS27). Come noto, la questione ebbe origine oltre 10anni fa, quando i suddetti Stati si erano rivolti all’OMCaffinché fosse valutata la compatibilità fra l’allora vigentedisciplina comunitaria di importazione, vendita e distribu-zione delle banane (in particolare, il regime degli scambicoi paesi terzi previsto dal reg. (CEE) n. 404 del 13 feb-braio 1993, che prevedeva regolamentazioni diverse inbase alla provenienza delle banane importate) e alcunedisposizioni degli accordi WTO.La normativa europea doveva essere valutata alla lucedegli artt. I, III, X, XIII GATT, degli artt. II e XVII GATS, del-l’art. 1.3 dell’Accordo relativo alle procedure sulle licenzeall’importazione, nonché degli obblighi assunti in virtùdella Convenzione di Lomè. All’esito di tale prima contro-versia, sia il Panel che l’Organo d’Appello, con i rispettivireports, avevano invitato la Comunità a modificare ledisposizioni esaminate.Le conseguenti novità introdotte dalla Comunità con il reg.(CE) n. 1964 del 29 novembre 2005, tuttavia, da subitonon convinsero i ricorrenti, i quali hanno poi applicato allaCE notevoli contromisure. Nonostante gli accordi intercor-si tra le parti e le continue modifiche normative gli origina-ri ricorrenti, insoddisfatti, all’inizio del 2007 si rivolgevanodi nuovo al Panel, sulla base di quanto stabilito dall’art.21.5 dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie, affin-ché valutasse se il nuovo regime comunitario, entrato invigore il 1 gennaio 2006, potesse dirsi compatibile con lenorme OMC.I rapporti dei Panels (quello del 7 aprile 2008, relativo allarichiesta dell’Ecuador, e quello del 19 maggio 2008, rela-tivo al ricorso degli Stati Uniti) hanno entrambi stabilitoche la Comunità, nonostante il nuovo regime di importa-zione (con particolare riferimento al contingente tariffarioesente da dazio per le banane che provengono dai paesi

ACP e la tariffa di NPF attualmente fissata a € 176/mt, in

relazione al caso Ecuador), non ha correttamente ottem-perato alle precedenti raccomandazioni dell’Organo dirisoluzione delle controversie. La questione è stata suc-cessivamente sottoposta all’Organo d’Appello il quale,con rapporto del 26 novembre scorso – dopo aver prelimi-narmente valutato alcune questioni procedurali, e sottoli-neando che dal 1° gennaio 2006 (data di entrata in vigoredella nuova disciplina comunitaria) è scaduta la “deroga diDoha” (l’art. XIII, parr.1-2, GATT 1994 sono derogati conriguardo al contingente tariffario separato di 750.000 ton-nellate di banane di provenienza ACP) – ha sostanzial-mente confermato quanto stabilito nei suddetti rapporti,peraltro ponendo particolare accento sulla violazione,imputabile alla CE, di svariate norme del GATT mediantecomportamenti che costituiscono “nullification or impair-ment” di vantaggi.

News dal Comitato SPS

L’8 e 9 ottobre 2008 nella riunione del comitato SPS èstato affrontato il tema di come rendere più efficace lacapacità dei Paesi in via di sviluppo di affrontare e garan-tire la sicurezza alimentare e gli standard minimi di salutedi animali e piante.Si è discusso delle buone pratiche nell’assistenza tecnicaper aiutare i Paesi a sviluppare la loro capacità di occupar-si delle misure sanitarie e fitosanitarie con particolare rife-rimento ai noti casi di limitazioni commerciali concernentila “mucca pazza” e l’influenza aviaria, ma anche di rego-lamenti sui “novel food” e del recentissimo scandalo dellamelamina nei prodotti lattiero-caseari cinesi.Il comitato, in quest’occasione, ha deciso inoltre di comin-ciare una nuova fase nell’esame degli standard del setto-re privato, ed ha concordato una procedura per avviareuna revisione dell’implementazione dell’accordo SPS.Infine, ha intrapreso l’esame relativo alla rassegna annua-le di come la Cina stia applicando gli obblighi derivanti dalsuddetto accordo, contratti con l’accordo di adesione.Come noto una delle funzioni più importanti del comitatoSPS è quella di offrire un’occasione ai membri per solle-vare questioni circa l’applicazione delle misure sanitarie efitosanitarie da parte degli altri Paesi.Più in particolare, per quanto concerne il punto di vistadella Cina sul latte contaminato, il Paese ha riconosciutola gravità delle preoccupazioni che riguardano la recentescoperta di melamina nel latte in polvere ed in altri prodot-ti. Ha descritto la contaminazione come “accidentale” edha comunicato che anche il governo cinese è preoccupa-to e sta facendo enormi sforzi per gestire il problema. LaCina sostiene di aver fornito informazioni direttamente aiconsumatori attraverso il sito web dell’OrganizzazioneMondiale della Sanità (OMS) e per via diplomatica. Dal 10settembre 2008 sono stati effettuati controlli più rigorosiper il latte e nessuna contaminazione è stata scoperta; unrisultato analogo è stato ottenuto anche per i prodotti lat-

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tiero-caseari dopo un rafforzamento dei controlli effettuatodal 20 settembre.Il Paese ha fatto poi osservare che molti membri hannoimposto divieti d’importazione sui suddetti prodotti e conse-guentemente ha chiesto a questi di fondare le proprie misu-re sulla scienza, sulla valutazione del rischio, sulle informa-zioni che derivano dall’OMS e di notificare le loro misure alfine di evitare l’intensificazione delle limitazioni.Con riguardo ad uno degli altri temi in discussione piùimportanti per il diritto alimentare – quello concernentel’Encefalopatia spongiforme bovina (ESB o “malattia dellamucca pazza”), le cui contromisure sono da lungo tempo

oggetto dell’attività del comitato SPS – il Canada lamentaora che le limitazioni all’importazione della carne di manzopreviste dalla legislazione coreana potrebbero rappresenta-re una violazione dell’accordo SPS. La Repubblica di Coreaha risposto di conformarsi all’accordo SPS e di basare lemisure sulla scienza. L’Unione europea, sostenuta da Canada, Uruguay,Svizzera e Organizzazione Mondiale della sanità animale(OIE), ha ribadito la propria preoccupazione riguardo alfatto che un certo numero di Paesi attuino limitazioni alleimportazioni troppo rigorose e non in linea con le raccoman-dazioni dell’OIE.

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