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I SISTEMI SIMBIOTICI IN NATURA - Gruppo Telecom Italia · I sistemi simbiotici in Natura 1 Chi non...

Date post: 25-Sep-2019
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I SISTEMI SIMBIOTICI IN NATURA
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I SISTEMI SIMBIOTICI IN NATURA

I sistemi simbiotici in Natura

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Chi non ha mai visto una foto del pesciolino che nuota tra i tentacoli velenosi di un’attinia o dell’uccellino che mangia gli insetti che si posano sulla spessa pelle del rinoceronte?Specie diverse convivono strettamente, collaborando per ottenere un beneficio reciproco. Un fenomeno che gli etologi chiamano simbiosi.Di esempi ve ne sono molti e molti di più di quanto si pensi. Osservando la Na-tura è possibile iniziare a scoprire sistemi di collaborazione che in qualche modo l’uomo, magari inconsciamente, ha imitato per migliorare la sua esistenza. Esplorando alcuni di questi, anche grazie alle conoscenze che oggi abbiamo (e che continuando a crescere allargano i nostri orizzonti), vedremo emergere al-cuni principi che ritroveremo poi nel mondo della produzione, dell’economia e della Società.

Integrazione di sistemi viventi

Abbiamo un modo di dire: prendendosi sottobraccio lo zoppo aiuta il cieco. Eb-bene, questo capita anche in natura, ad esempio nella convivenza tra zebre e struzzi.

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Figura 1Anemone di mare e pesce pagliaccio

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Le zebre dispongono di un ottimo olfatto e udito ma hanno una vista molto scarsa. Per contro, lo struzzo ha un olfatto addirittura peggiore del nostro (che non è affatto buono) e un udito deficitario a cui contrappone una vista acuta spe-cialmente per oggetti in lontananza. Un branco di zebre si mescola quindi con un gruppo di struzzi e ciascuno mette a disposizione dell’altro la sensorialità in cui eccelle, consentendo quindi all’insieme di essere molto più reattivo rispetto a potenziali pericoli.Attenzione, in questo esempio, come in quelli che seguiranno, non abbiamo una negoziazione tra struzzi e zebre con la sottoscrizione di un contratto di mutuo soccorso. Semplicemente, nei secoli, quei gruppi di zebre e struzzi che si sono integrati hanno avuto maggiore probabilità di sopravvivere e questa tendenza a stare insieme ha rafforzato tramite la selezione naturale questa caratteristica per cui gli struzzi che nascono oggi hanno “scritto” nel loro DNA la predisposi-zione a stare tra le zebre e viceversa. Uno struzzo che si trovasse nel DNA una predilezione ad accompagnarsi ad un gruppo di leoni non farebbe in tempo a trasmettere questa sua preferenza ai suoi figli.Una collaborazione ancora più articolata è quella che troviamo in Africa tra un uccellino che è molto bravo a trovare i nidi di api, e proprio per questo chiamato Honeyguide (guida per il miele), ma che non osa avvicinarsi in quanto sarebbe punto dalle api con conseguenze fatali. Cosa fare? L’uccellino indica il nido al ratel, un animale simile al ghiro, che ha una pelliccia molto spessa in cui le api

Figura 2Struzzi e zebre si aggregano

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non riescono a penetrare ed è quindi immune alle loro rimostranze quando gli distrugge il nido e prende il miele di cui anche lui è ghiotto.L’uccellino dopo averlo guidato al nido resta in zona e quando questo fa scor-pacciate di miele si imbratta anche le zampe e il muso. Quando si è sufficiente-mente allontanato dal nido, e quindi dalle api inviperite, l’uccellino si posa sulla sua pelliccia e provvede a mangiarsi il miele che gli è rimasto appiccicato sopra.Notate che anche altri uccellini provano a servirsi del miele rimasto ma il ratel li caccia mentre lascia che l’honeyguide si prenda la meritata ricompensa.Anche qui non abbiamo un contratto opportunamente steso da un ufficio legale e controfirmato ma si tratta di una vera e propria transazione economica in cui ciascuno riconosce il diritto dell’altro. Questo richiede già delle funzioni cogniti-ve sviluppate in quanto ciascuno deve riconoscere l’altro e “chiudere” il contrat-to con questo e solo con questo.Un altro esempio di simbiosi lo troviamo tra le foreste dell’America del sud dove un picchio cerca la collaborazione di un tipo di formiche che fa il nido sugli al-beri.Questi nidi sono oggetto di interesse di vari animali, altri uccelli in particolare che vorrebbero mangiarsi le formiche, e il picchio monta la guardia scacciandoli (ricordiamo che il becco di un picchio è come un trapano che fora senza problemi un albero). In cambio le formiche accettano di ospitare le uova del picchio nel

Figura 3Honeyguide e ratel vanno a caccia di miele

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loro nido proteggendole. Questo è stupefacente in quanto questo tipo di formi-che va a caccia di piccoli animali e di uova!Non è chiaro come questo meccanismo di cooperazione funzioni, come facciano le formiche che ovviamente singolarmente hanno una capacità intellettiva bas-sissima, in grado solo di reagire in modo prefissato a degli stimoli, a non attac-care quelle uova e a mangiarsi quelle di altri uccelli, ne come dal punto di vista evolutivo si sia venuta a creare questa simbiosi.Certamente le uova di questa specie di picchio hanno delle molecole che bloc-cano l’attacco da parte delle formiche, quali siano al momento non lo sappiamo.Questo esempio è interessante in quanto evidenzia come possano esistere rela-zioni complesse, in quanto contrarie ad un comportamento abituale, anche in presenza di attori con delle capacità cognitive bassissime.La collaborazione tra specie può essere di vantaggio ad entrambi i partecipanti anche se in alcuni casi uno dei due gioca ... “sporco”. È il caso della relazione che si è stabilita tra zebra e oxpecker (letteralmente il becca bue).La zebra apprezza la presenza dell’oxpecker sul suo dorso in quanto questo la spulcia, togliendole i parassiti e, inoltre, con la sua vista acuta avverte la pre-senza di pericoli che segnala con un fischio acuto. Il vantaggio per l’oxpecker è quello di mangiare i parassiti della zebra che fanno parte della sua dieta. Fin

Figura 4Picchio e formiche insieme per una protezione incrociata

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qui tutto bene. Siamo in linea con alcuni esempi visti precedentemente. Quello che non va, almeno sotto la nostra concezione etica, è che l’oxpecker ha scoperto che se becca con maggior forza la zebra le crea delle lacerazioni che sanguinano leggermente e queste attirano ulteriori parassiti che si moltiplicano nella ferita aumentando il suo pranzo. Sistematicamente l’oxpecker non mangia i parassiti che crescono nella ferita fino a che questi non si sono moltiplicati e “ingrassati”. In linguaggio economico spesso si definisce questo comportamento una “poiso-ned pill”, caramella avvelenata. Viene fatta un’offerta allettante alla controparte che la accetta proprio in quanto allettante ma in essa si cela un inganno che va a svantaggio della controparte e a solo vantaggio di chi offre.La garzetta, come l’oxpecker, spulcia il dorso e fornisce un avviso sonoro in caso di pericolo. Ma a differenza dell’oxpecker non stabilisce una relazione con una singola specie (la zebra nel caso dell’oxpecker) ma offre il suo contributo ad una varietà di animali della savana e questi a loro volta apprezzano il suo contributo.Siamo in una situazione che rapportata al contesto delle imprese caratterizza un rapporto in cui un fornitore, la garzetta, ha una molteplicità di clienti (vari mam-miferi). Questi ricevono un servizio e “pagano” fornendo il cibo (che in questo caso è parte integrante del servizio).

Figura 5Zebra e Oxpecker: una relazione ingannevole

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Siamo quindi in un meccanismo molto comune, tipico delle catene di valore, pur mancando l’elemento di competizione (non vi è competizione tra garzette per “vendere” il loro servizio al bufalo piuttosto che alla zebra). Questo è assente in quanto vi è molta più domanda (animali che vogliono farsi spulciare) piuttosto che offerta (garzette). Molto diversa è la situazione al parco in cui se buttiamo pezzetti di pane (offerta) vediamo decine di passeri (domanda) che si contendo-no ogni pezzetto.Completamente diversa, ed evidenza un rapporto-specie specifico, è la relazione simbiotica tra coccodrillo e piviere.Il coccodrillo mangerebbe qualunque altro tipo di uccello, cosa ben risaputa da questi che si tengono alla larga. Invece, nel caso del piviere, può stare tra le fauci del coccodrillo che si fa rimuovere i parassiti, cibo appunto del piviere. Una rela-zione “pericolosa” che però non sembra aver mai provocato vittime.Gli esempi che abbiamo visto finora rappresentano rapporti consolidati ma ... occasionali. Se è vero, infatti, che il piviere da tempo immemorabile ha stretto una alleanza con il coccodrillo, è altrettanto vero che il coccodrillo non ha alcun mezzo per “obbligare” il piviere a svolgere le mansioni di suo interesse e nep-pure il piviere può convincere un coccodrillo ad aprire la bocca. Semplicemente,

Figura 6La garzetta è un “service provider” verso molti clienti

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nel tempo accade che un piviere interessato e un coccodrillo altrettanto interes-sato si incontrino e avvenga lo scambio di favori.Diverso è il caso dell’anemone e del paguro.Il paguro e l’anemone hanno un rapporto simbiotico in cui l’anemone difende il paguro dalle brame dei polpi e il paguro difende l’anemone dalla voracità delle stelle di mare, oltre a lasciargli mangiare i suoi avanzi. Il paguro, a differenza di quanto visto in precedenza, va a cercarsi gli anemoni sugli scogli e li “convince” a trasferirsi sul suo guscio pizzicando i tentacoli dell’anemone con le sue chele fino a che questo non si stacca dallo scoglio. A questo punto lo cattura e se lo mette sul guscio.Abbiamo quindi un esempio di collaborazione “forzata” che ha comunque suc-cesso in quanto entrambi ci guadagnano ma è stato uno dei due, il paguro, a for-zare l’altro. Un qualcosa di simile capita anche nel caso della simbiosi tra goby, un pesciolino che vive sui fondali, e il gambero. Quest’ultimo si costruisce il riparo scavando un tunnel nella sabbia. Mentre è affaccendato nella costruzione (e questo capita ogni giorno in quanto le onde tendono a distruggere il riparo che deve quindi essere ricostruito di continuo) non riesce a prestare la dovuta attenzione ai dintorni e all’eventuale arrivo di soggetti pericolosi pronti a farne un boccone. Ecco che interviene il goby che continua a nuotare sopra il rifugio e

Figura 7Un piviere al lavoro nelle fauci di un coccodrillo

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sopra il gamberetto, pronto a toccargli con la coda le antenne per segnalargli un possibile pericolo. Avvertito, il gamberetto si precipita nel rifugio sotto la sabbia e non si muove fino a quando il goby non gli segnala che può uscire.

Figura 8Il paguro si porta a spasso gli anemomi che si è messo sul guscio

Figura 9Il goby diventa coinquilino del gambero

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Da parte sua il gamberetto accetta di condividere il rifugio, durante la notte, con il goby in modo che questo possa dormire tranquillo al sicuro. Il rifugio che il gamberetto si costruisce è adatto alle sue dimensioni ma la presenza del goby lo obbliga ad un significativo ampliamento e questo gli viene imposto dal goby stesso che man mano che il gamberetto scava per farsi lo spazio entra nel rifugio occupandolo e quindi indicando al gamberetto che se questo vuole utilizzarlo per se stesso deve allargarlo...Anche qui, quindi, vediamo che uno dei due partner che entrano in relazione simbiotica forza l’altro a fare una cosa che normalmente non farebbe. Notate che dal punto di vista del gamberetto non è chiaro se questo capisca che il suo lavoro aumenta perché il goby si mette ad occupare i “locali”. È abbastanza probabile che il gamberetto scavi e trovandosi nello scavo effettuato il goby lo consideri semplicemente come un elemento della parete e quindi proceda ad allargare ulteriormente il buco. Infatti si vede che il suo comportamento è identico se gli si pone un altro oggetto nel rifugio scavato. Scopre che lo spazio restante non è sufficiente per starci e quindi procede ad allargare ulteriormente il rifugio.Questa assenza di comprensione che non è il buco ad essere piccolo ma piuttosto il fatto che nel buco appena scavato ci si sia messo un altro che, quindi, lo restrin-ge non è strana (anche se a noi può sembrarlo). Moltissimi animali, la maggio-ranza in effetti, non possiedono un modello concettuale di cosa stanno facendo e neppure di cosa capita. Se ad un ragno che sta tessendo la tela la rompiamo questo si accorge che occorre ripararla e continuerà a farlo fino a che noi conti-nueremo a romperla. Non si porrà mai la domanda del perché la tela continui ad aver bisogno di essere riparata.Questo è quanto accade anche con le macchine che utilizziamo nei sistemi pro-duttivi. La loro reazione è locale, interagiscono con il loro contesto e non hanno una comprensione complessiva, come vedremo. In prospettiva, i sistemi produt-tivi del futuro saranno sempre più in grado di raggiungere una comprensione del contesto e comportarsi di conseguenza.Se vogliamo però osservare dei sistemi simbiotici in cui vi sia una vera e pro-pria organizzazione, dobbiamo osservare le formiche. Queste, in diversi modi a seconda delle specie, hanno sviluppato dei sistemi produttivi che hanno molti paragoni con la nostra agricoltura, con l’allevamento e persino con l’industria chimica. Qui faremo solo tre esempi ma il mondo delle formiche è un mondo che meriterebbe moltissimi commenti. È un mondo basato sul concetto di società in cui dalla collaborazione di tutti deriva un sistema che assume una vita propria.

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Quindi, se da un lato una colonia di formiche nei suoi comportamenti fornisce spunti e riflessioni su quelli che sono i rapporti in un ecosistema economico, dall’altro fornisce anche spunti di riflessione al funzionamento dell’impresa in quanto somma di comportamenti individuali più o meno strutturati e organiz-zati.Anche qui troviamo comportamenti che a prima vista sono in contrapposizione con quelli usuali della specie. Un tipo di formiche particolarmente aggressivo, tanto da essere chiamate “meat ant”, formiche della carne, fa un’eccezione alla voracità che le contraddistingue quando si tratta dei leafhopper. Questi insetti sarebbero buoni da mangiare (per una formica s’intende) ma siccome emetto-no un liquido zuccherino le formiche decidono di non mangiarseli ma di usarli per bersi il liquido prodotto. E per assicurarsi che non vengano loro a mancare queste “mucche”, li proteggono da possibili predatori formando delle vere e proprie squadre di sorveglianza.Un altro tipo di formiche, comuni anche in Italia nei nostri giardini, si può dire che allevino gli afidi. Questi si nutrono di piante (prediligono le rose) ed emetto-no uno sciroppo che piace molto alle formiche. Queste fanno come gli allevatori. Portano gli afidi a “pascolare”, li sorvegliano in modo che non se ne vadano o che vengano attaccati da potenziali predatori e quando viene sera li riportano

Figura 10Le formiche e le loro industrie

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nel formicaio per la notte per poi riportarli al pascolo il mattino dopo. Ma fanno anche di più. Quando si avvicina l’inverno gli afidi depongono le uova e muo-iono. Le formiche prendono le uova e le mettono in apposite “stanze” nel loro formicaio ad una temperatura particolare in modo da proteggerle dall’inverno e garantirne la schiusa in primavera. Difficile non collegare questi comportamenti a quelli degli allevatori...Un altro tipo di formiche ancora utilizza dei funghi per convertire la cellulosa in sostanze digeribili (solo le termiti sono in grado di digerire la cellulosa, grazie a dei batteri che ospitano nell’apparato digerente: un altro esempio di simbiosi).Questi funghi sono messi all’interno del formicaio in speciali ambienti a tempe-ratura regolata e opportunamente aerati, sono accuditi per evitare che vengano attaccati da muffe e vengono nutriti con pezzetti di foglie e legno. I funghi assi-milano e convertono la cellulosa in zuccheri che vanno ad aumentare le loro di-mensioni. Le formiche di tanto in tanto si mangiano pezzi dei funghi, ottenendo quindi gli zuccheri che questi hanno sintetizzato.Quando una nuova regina lascia il formicaio per andare a crearne un altro, parte con in bocca una spora del fungo che verrà usata per iniziare una nuova colti-vazione.

Figura 11L’industria chimica delle formiche

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Anche qui il paragone con gli agricoltori è immediato: si semina, si cura il cam-po, si fa il raccolto e così via.Finora abbiamo visto dei rapporti simbiotici, via via sempre più sofisticati ed impegnativi tra specie di animali (e anche animali e funghi), che nel corso dell’e-voluzione hanno trovato una mutua soddisfacente relazione. In tutti questi casi, però, se per un qualunque motivo si interrompesse il rapporto di simbiosi, il piviere non va più a pulire i denti al coccodrillo piuttosto che un formicaio non riesce più a crescere il suo campo di funghi, le due specie coinvolte continuereb-bero a vivere, magari un po’ peggio, ma non succederebbe nulla di grave.In altri casi, invece, il rapporto simbiotico è diventato talmente forte che se si interrompe questo porta alla scomparsa di una delle due specie (o di entrambe). In questi casi, infatti, una specie è diventata talmente dipendente dall’altra da non poterne più fare a meno.Questo è il caso, ad esempio, del corallo e delle alghe che formano le barriere coralline. Le alghe convertono la luce solare in zuccheri attraverso la fotosinte-si prelevando l’anidride carbonica presente nel mare. Per vivere utilizzano, ov-viamente, questi zuccheri ma, dato che la produzione eccede le loro esigenze, espellono lo zucchero in sovrabbondanza che viene prontamente catturato dal corallo. A sua volta questo, utilizzando l’energia contenuta nello zucchero, lo

Figura 12La barriera corallina

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decompone in acqua e anidride carbonica che viene poi riusata dall’alga mante-nendo il ciclo.In questi ultimi anni, con il riscaldamento ambientale, abbiamo visto quali pos-sono essere i risultati per questo perfetto meccanismo di simbiosi. L’aumento della temperatura dell’acqua porta alla scomparsa delle alghe, i coralli assumo-no un aspetto sbiancato, come se fossero stati immersi nella candeggina non avendo più le alghe che li ricoprono e, non avendo più lo zucchero che queste producono, muoiono. La simbiosi in questo caso è fondamentale alla sopravvi-venza del corallo.Non è il solo caso in cui un rapporto simbiotico è diventato talmente stretto da risultare indispensabile. Molte piante hanno specializzato i loro fiori, e il sistema riproduttivo, sulla presenza di specifici insetti. Questo rapporto, in cui una spe-cie di insetto si posa soltanto su di un certo tipo di fiore, moltiplica le probabilità di successo dell’impollinazione in quanto dopo essere stato su un fiore di quella specie quell’insetto visiterà solamente altri fiori di quella stessa specie, per cui il polline non andrà perso. Questo aumento di efficienza nel processo porta però con sé il pericolo di totale insuccesso se, per un qualunque motivo, la specie che esegue l’impollinazione smettesse di farlo.Un esempio lo troviamo nella simbiosi tra una specie di api e una specie di orchi-dee. Le prime sono attratte dalle seconde a causa di una sostanza, un ferormone, che sembra permetta alle api di scambiare certi tipi di messaggi. Le seconde

Figura 13Api e orchidee

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usano le api per l’impollinazione. Quando queste si posano sul fiore iniziano a fregare le zampe contro la parte del fiore che produce il ferormone e al tempo stesso si caricano di polline che rimane appiccicato al loro corpo. Quando si po-seranno su un altro fiore parte del polline che portano con sé andrà ad impolli-nare il pistillo. L’inquinamento atmosferico in alcune aree sta decimando le api e vi sono forti preoccupazioni per l’impatto che questo potrebbe avere sull’eco-sistema complessivo.La simbiosi non è una proprietà associata ai soli animali. La troviamo anche tra le piante, pur se queste non possono spostarsi e quindi sembrerebbe più difficile stabilire un rapporto con un’altra specie.Si è notato che spesso si hanno delle associazioni tra piante diverse, associazioni abbastanza stabili, non casuali. Questo ha portato a studiare il fenomeno e si è vi-sto che è dovuto alla simbiosi. Ad esempio, nei deserti americani si trovano spesso cespugli di margherite in inframmezzati nei cactus. Questo porta un vantaggio ad entrambe le specie. Le margherite hanno nelle spine dei cactus un ottimo sistema di difesa da animali che cercano qualcosa da brucare in un ambiente in cui ovvia-mente c’è ben poco. Per contro, la presenza delle margherite crea un ambiente in cui l’umidità della notte può condensarsi rendendo più facile la vita ai cactus.Tuttavia, anche se esistono esempi, come quello riportato, in cui si può parlare di simbiosi nelle piante (non di parassitismo o di saprofitismo, fenomeni questi molto diffusi...) in generale per trovare esempi interessanti di simbiosi occorre osservare il rapporto tra piante e batteri. E questo ci è anche utile perché per-mette di introdurre il tema che costituisce la conclusione di questa prima parte.

Figura 14La simbiosi esiste anche tra le piante

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Un esempio importante, anche per il risvolto che ha nell’agricoltura, è quello tra le piante di legumi e i batteri del tipo rhizobia. Da moltissimo tempo, prima ancora che si potesse parlare di scienza (l’agricoltura nasce 10 mila anni fa) i contadini sapevano che per migliorare il raccolto era bene alternare ad un tipo di raccolto uno di piante leguminose. Era come se la coltivazione di legumi rige-nerasse la terra aumentandone la fertilità. Ovviamente il motivo lo si è scoperto solo in anni relativamente recenti, nel XX secolo. Le piante leguminose sviluppa-no nelle loro radici dei noduli ricchi di nitrati, un cibo fondamentale per le piante e ragione dell’aumento di fertilità del terreno. Oggi si usano nitrati, prodotti arti-ficialmente, proprio come fertilizzanti, consentendo quindi monocolture (facen-do a meno della rotazione delle colture).In tempi ancora più vicini, però, si è scoperto a cosa sono dovuti questi noduli sulle radici: alla presenza di batteri, appunto della specie rhizobia, in grado di fissare i nitrati. Il processo oggi è abbastanza chiaro e spiega anche come mai questi noduli si creino solo nelle leguminacee. Ed è il meccanismo di questo pro-cesso che ci porta a caratterizzare il fenomeno come simbiosi (e non come una semplice, anche se utile, invasione batterica).I batteri sono presenti nel terreno ed entrano in contatto con tutti i tipi di radici. Quelle dei legumi hanno imparato a emettere un composto, la flavina, che sti-mola il batterio a produrre un enzima che a sua volta provoca la formazione da parte della pianta del nodulo che va ad incapsulare il batterio. Questo si riprodu-ce e in quell’ambiente si trasforma iniziando a produrre nitrati.

Figura 15Piante e batteri. In simbiosi da centinaia di milioni di anni

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Come si vede, quindi, abbiamo una comunicazione a due vie, anche complessa, che porta ad una trasformazione in cui da un lato il batterio trova un ambiente protetto, il nodulo, e dall’altro la pianta si impadronisce dei nitrati che questo produce a seguito di un cambiamento imposto dalla pianta stessa.Ovviamente, alla morte della pianta, i noduli restano sottoterra e liberano i nitra-ti nel terreno rendendolo fertile per altre specie di piante.

La cooperazione e la competizione

In questa panoramica sulla simbiosi abbiamo incontrato varie modalità di cui alcune sono tipicamente di aiuto reciproco (io ti faccio la guardia e tu mi dai da mangiare), altre in cui all’aiuto reciproco si aggiunge un certo livello di parassi-tismo (mi faccio accettare da te ma poi io sono quello che non solo ci guadagna ma per guadagnare di più non esito a far danni) come nel caso dell’oxpecker che provoca delle ferite alla zebra per avere più parassiti da mangiare, fino ad arri-vare ad alcuni casi in cui uno dei due obbliga l’altro, tipo il paguro e l’anemone. Ovviamente le relazioni tra esseri viventi sono ancora più complesse e se osser-vassimo altri casi di interazione noteremmo quelli in cui una specie ci guadagna e l’altra ci perde.

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Figura 16Piante e Funghi.Un mondo variegato di relazioni

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Possiamo provare a mettere su di un diagramma questo insieme di relazioni e osservare come al variare dei rapporti cambi la relazione tra le specie.Un’area importante che ci consente di apprezzare questa varietà è nel rapporto tra le piante e i funghi. Possiamo mettere su un asse i funghi, ad esempio su quello verticale, indicando verso l’alto le situazioni in cui il fungo ci guadagna e verso il basso quelle in cui ci perde mentre sull’altro asse, orizzontale, indi-chiamo a destra le situazioni in cui la pianta trae un beneficio dalla relazione e a sinistra quando la pianta ne soffre. In questo modo si vengono a formare quattro quadranti, uno (a dx in alto) in cui entrambi ci guadagnano (simbiosi), uno in cui ci guadagna la pianta ma non il fungo (in basso a dx) che potremmo definire di sfruttamento, uno in cui il fungo ci guadagna ma la pianta ci perde (in alto a sx) che definiamo come parassitismo e, infine, uno in cui entrambi ci rimettono (antagonismo o incompatibilità). In questi quadranti possiamo posizionare un punto che ci fornisce un’indicazione della quantità di beneficio (o meno) di cia-scuno dei due partecipanti alla relazione.Questo schema è utile dal punto di vista di un osservatore ma chiaramente è dif-ficile dire in effetti quanto sia il guadagno o la perdita in una relazione. Lo stesso vale nelle relazioni tra persone e anche tra aziende. Vi sono casi in cui entrambe le aziende ci perdono (ad esempio, nel caso di una competizione sui prezzi che va a ridurre i margini senza incrementare i guadagni) e che, nonostante questo, accadono in quanto forzate dall’ambiente. È il caso noto come “tragedy of the commons” in cui un’apparente percezione di guadagno da parte di un singolo porta alla rovina del tutto.

Figura 16Convoluta roscoffensis

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Simbionti: NOI

Quando la simbiosi trasforma due organismi in unoFinora abbiamo visto svariati esempi in cui due organismi si mettono, più o meno volontariamente e consapevolmente, insieme. Vi sono dei casi in cui il risultato di questo mettersi insieme porta a quello che potremmo definire un nuovo organismo.Un primo esempio lo troviamo osservando alcune alghe presenti sulla battigia, specie nelle spiagge della Bretagna (ma si trovano anche nel Mediterraneo).Se le osserviamo con una lente di ingrandimento scopriamo che queste non sono affatto alghe, bensì dei piccoli vermi che hanno una colorazione verde tale da farli sembrare delle alghe e, in fondo, lo sono!

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