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I G I E N E I N G E L A T E R I A
I Parte – Igiene generale e prevenzione
INTRODUZIONE
Lo scopo prioritario dell’Igiene é quello di “conservare la salute pubblica” intesa come stato di
benessere fisico, mentale e sociale e non solo come lotta contro le malattie infettive.
È opinione diffusa concepire come malattie infettive solo quelle più conosciute, che normalmente
colpiscono i bambini nell’età infantile (varicella, morbillo, rosolia etc.), senza considerare che ve ne
sono altre certamente meno note, ma altrettanto pericolose, che potrebbero essere debellate,
usando nei vari momenti della quotidianità alcuni semplici accorgimenti igienici.
L’ambiente di lavoro e, più di ogni altro, quello in campo alimentare offre un esempio chiarissimo
di come la mancanza di norme igieniche possa provocare danni alla salute.
Ma attraverso quali vie si può ovviare alla diffusione di certe patologie? Che cosa le scatena?
Quali regole bisogna seguire?
L’Igiene è riuscita a rispondere a gran parte di questi problemi:
1. studiando l’epidemiologia, cioè le cause e gli agenti che provocano tali malattie infettive;
2. cercando di evitare la loro insorgenza attraverso la prevenzione primaria;
3. bloccando la loro propagazione con la prevenzione secondaria o profilassi, che tende ad
interrompere il dilagarsi di tali morbi.
Una malattia infettiva può manifestarsi e diffondersi con modi e pericolosità molto diversi, a questo
proposito si deve fare una distinzione tra:
• SPORADICITÀ: si definisce sporadica una forma morbosa che si presenta con casi singoli, rari,
senza tendenza alla diffusione.
• ENDEMIA: si riferisce ad una malattia che è sempre presente in un determinato territorio
(per esempio morbillo o rosolia).
• EPIDEMIA: è il manifestarsi, ristretto nel luogo e nel tempo, di un numero più o meno grande di
casi di una malattia infettiva provocata dallo stesso agente (per esempio colera, tifo).
• PANDEMIA: è la diffusione eccezionale di una malattia ad interi continenti (per esempio
l’influenza, l’aviaria).
Prima di addentrarci nella trattazione vera e propria degli agenti che provocano le malattie
infettive e, in particolare a quegli agenti che sono responsabili dell’insorgenza di tossinfezioni
alimentari, è bene chiarire il significato di cellula in generale.
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LA CELLULA
La cellula è la più piccola “unità fondamentale e funzionale” esistente in natura, che può essere
messa in evidenza solo con l’ausilio di un microscopio, preferibilmente elettronico, a causa delle
sue dimensioni estremamente ridotte. Essa è in grado di compiere determinate funzioni, quali la
respirazione, l’accrescimento, la riproduzione, l’assorbimento di sostanze, tali da permetterne la
vita.
Tutto il mondo animato è composto da queste unità, siano esse disposte singolarmente a formare
individui isolati e molto semplici, come batteri, protozoi e alghe blu, o raggruppate tra di loro a
formare organismi assai complessi nei quali ogni cellula si differenzia dalle altre per le sue particolari
funzioni, come le cellule muscolari, nervose, epiteliali e scheletriche dell’uomo e degli animali.
La cellula, in realtà, esiste in due versioni con grado di complessità molto diverse tra di loro.
La più semplice per struttura, funzione e dimensione è quella Procariota, cosiddetta perché priva di
un vero nucleo che racchiude il DNA.
Sono detti Procarioti gli esseri che posseggono un basso livello di organizzazione, quali ad esempio i
batteri e i protozoi, che sono incapaci di unirsi tra loro per formare dei veri e propri tessuti.
Un tipo di cellula strutturalmente e funzionalmente più complessa è detta Eucariota perché
possiede un vero nucleo, compartimento in cui è situato il DNA.
Strutturalmente una cellula tipo è composta da:
1. Parete cellulare: riveste la sottostante membrana cellulare, conferisce rigidità e forma alla
cellula. La sua composizione è data, in percentuali diverse, a seconda del tipo di cellula, da
mucopolisaccaridi e lipidi.
2. Membrana citoplasmatica: si trova al di sotto della parete, regola selettivamente gli scambi tra
l’interno e l’esterno della cellula, ha funzione di barriera ed in essa si trovano gli enzimi
respiratori.
3. Citoplasma: è il settore in cui viene svolto quasi tutto il lavoro della cellula. È composto per la
maggior parte da acqua in cui sono sciolti lipidi, proteine, enzimi, vitamine etc.
4. DNA (acido desossiribonulcleico): è un lungo filamento sul quale sono trascritte tutte le
informazioni sulla struttura della cellula. È indispensabile per la riproduzione, per questo viene
anche definito “filamento della vita”. Nella cellula procariota il DNA si muove liberamente nel
citoplasma, mentre in quella eucariota è racchiuso nel nucleo.
5. RNA (acido ribonucleico): è un filamento più o meno lungo, situato nel citoplasma, nel quale
sono presenti tutte le informazioni necessarie per la sintesi delle proteine.
6. Nucleo: è un compartimento, più o meno grande, a seconda del tipo di cellula, racchiuso da
una membrana nucleare, in cui è situato il DNA.
7. Flagelli e ciglia: sono delle appendici filiformi, presenti solo nelle cellule mobili e rappresentano
il mezzo di locomozione.
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A seconda del numero di flagelli, la cellula che li possiede (normalmente si tratta di batteri), viene
classificata in:
• Monotrica: dotata di un unico flagello • Anfitrica: dotata di un flagello ad ogni estremità • Peritrica: dotata di flagelli attorno a tutto il corpo • Lofotrica: dotata di flagelli da uno o entrambi i lati.
I BATTERI
Gli agenti responsabili della diffusione delle malattie infettive sono molti e appartengono a
raggruppamenti assai diversi del regno animale e vegetale. Essi possono essere così classificati:
1. Virus 2. Rickettsie 3. Clamidie 4. Batteri 5. Miceti o funghi 6. Protozoi Per quanto riguarda, però, la trasmissione di tossinfezioni alimentari, possiamo con certezza
affermare che i batteri, data la loro numerosa presenza negli alimenti, sono i principali responsabili
di tali affezioni.
I batteri sono microrganismi unicellulari, cioè composti da una unica cellula in grado di svolgere
tutte le funzioni che consetono la vita. Data la loro assai elevata velocità di riproduzione (che
normalmente avviene per divisione della cellula madre in due cellule figlie, attraverso l’apposizione
di un setto divisorio), questi microrganismi sono diffusi, in numero molto grande, un po’ dappertutto;
ne traviamo nel suolo, nelle acque, nell’aria, sugli animali, sulle piante, negli alimenti e nel corpo
umano stesso. In alcune parti del corpo umano i batteri sono essenziali per mantenere determinate
condizioni di benessere: ad esempio la presenza del batterio Escherichia Coli nell’intestino è
indispensabile per conservare l’acidità dello stomaco a livelli normali. Principalmente i
microrganismi delle malattie in campo alimentare possono avere le seguenti forme:
1. a bastoncino 2. a vibrione, cioè simile ad una virgola 3. a cocco, cioè rotondeggiante Come è già stato ricordato, le dimensioni dei batteri sono molto ridotte, aggirandosi attorno alla
milionesima parte di un millimetro (micron). Per quanto riguarda la struttura, questi microrganismi
sono composti da:
• parete cellulare • membrana citoplasmatica • citoplasma • DNA • RNA • flagelli (non sono sempre presenti) • capsula.
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In alcuni batteri, all’esterno della parete cellulare, è presente un rivestimento mucopolisaccarido
che esplica funzioni di difesa per la cellula contro gli agenti estranei (come ad esempio i
batteriofagi che tendono a divorare i batteri).
Tutti i batteri che interessano la batteriologia degli alimenti, sono in grado di sfruttare il substrato
organico con cui vengono in contatto, possono cioè utilizzare per la loro crescita i lipidi, le
proteine, le vitamine, l’acqua e i Sali minerali che trovano negli alimenti. Questo fenomeno si
chiama eterotrofismo.
Alcuni altri batteri, per noi di interesse assai minore, sono in grado di svilupparsi in modo
indipendente nei substrati organici. Questo fenomeno si chiama autotrofismo. Quando le
condizioni esterne sono favorevoli per il metabolismo del batterio, quando cioè sussiste una certa
umidità, la temperatura è a livello ottimale, l’acidità non è troppo elevata, vi sono sostanze
nutritizie a sufficienza, i batteri si riproducono a velocità impressionanti. Basti pensare a questo
proposito che il corpo umano, in condizioni normali, elimina ogni giorno con le feci più di cento
miliardi di batteri. Quando vengono a mancare i valori ottimali, menzionati prima, alcuni
microrganismi tendono a trasformarsi in spora, cioè in uno stato vegetativo in cui il batterio non
muore, ma riduce al minimo tutte le sue reazioni, attendendo che le condizioni ritornino a lui
favorevoli. Le spore sono molto resistenti agli agenti disinfettanti.
Per quanto concerne il rapporto tra batteri ed ossigeno atmosferico essi possono essere suddivisi in:
• ANAEROBI STRETTI: possono vivere e riprodursi solo in assenza di ossigeno e quindi di aria
• ANAEROBI FACOLTATIVI: crescono sia in assenza di ossigeno (per fermentazione) che in
presenza di ossigeno (respirazione)
• ANAEROBI OSSIGENO TOLLERANTI: non usano l’ossigeno ma lo tollerano perché producono
alcuni enzimi in grado di detossificare le ROS (es. fermenti lattici)
• AEROBI FACOLTATIVI: la presenza di ossigeno non è indispensabile per la loro sopravvivenza
• AEROBI STRETTI: possono vivere e riprodursi solo in presenza di ossigeno.
ENTEROBATTERI, STAFILOCOCCHI E TOSSINFEZIONI ALIMENTARI
Come é già stato ricordato in precedenza, possiamo asserire con assoluta certezza che, per
quanto riguarda la trasmissione di infezioni alimentari, i principali responsabili sono i batteri e in
particolar modo quelli appartenenti alle famiglie Enterobetteri e Stafilococchi.
ENTEROBATTERI: appartengono alla famiglia dei batteri a forma bastoncellare, mobili e immobili,
caratterizzati da gram negativi (cioè non reagiscono ad un determinato tipo di terreno su cui
vengono fatti crescere), saprofiti e parassiti, a seconda del genere.
I tre generi che maggiormente interessano il campo alimentare sono:
• Escherichia Coli • Enterobacter • Salmonella
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Escherichia Coli ed Enterobacter. Per quanto riguarda la pericolosità di tali batteri è bene precisare
che Escherichia Coli ed Enterobacter non sono di per sé patogeni, anzi essi albergano
normalmente nell’apparato digerente animale ed umano, senza arrecare alcun danno,
mantenendo una certa acidità e le condizioni ideali per i processi digestivi.
Solo quando la loro crescita diviene esagerata, possono creare lievi affezioni facilmente risolvibili,
ma di regola la loro importanza deriva dal fatto che vengono usati come indicatori della presenza
di Salmonelle. Un aumento sproporzionato del loro numero, nella maggior parte dei casi, segnala
presenza di batteri patogeni di altro genere.
Per calcolare la quantità di tali microrganismi, vengono eseguiti sulle feci due esami clinici
denominati: Ricerca dei Coliformi totali (per il controllo numerico di Escherichia Coli ed
Enterobacter) e Ricerca dei Coliformi fecali (per il solo controllo di Escherichia Coli).
Questi due tipi di batteri sono termolabili, cioè resistono al calore e possono essere facilmente
eliminati con trattamenti a temperature relativamente basse (pastorizzazione bassa e alta).
Non producono tossine.
Salmonella. Al contrario di quanto detto per i microrganismi precedenti, la Salmonella che si
presenta in più di mille sierotipi diversi, con altrettanti gradi di patogenicità, è responsabile di gravi
tossinfezioni alimentari. La causa principale di esse è la liberazione da parte del batterio di una
endotossina.
ENDOTOSSINA: parte costituente della cellula batterica e più precisamente della parete cellulare
dei batteri gram negativi, è termostabile, resiste cioè anche a temperatura di 110°C, non viene
uccisa dal formolo, si libera per scoppio della cellula e quindi ne provoca la morte.
STAFILOCOCCHI: appartengono a questa famiglia i microbi sferici, gram positivi, di dimensioni
molto ridotte (circa 0,8 micron), che normalmente si dispongono in grappolo. Non possiedono
flagelli, quindi sono immobili.
Si riscontrano tre diverse varietà cromatiche di Stafilococco, quindi si suole fare una divisione in tre
categorie:
1. STAFILOCOCCO AUREUS 2. STAFILOCOCCO CITREUS 3. STAFILOCOCCO ALBUS Si ritiene però che solo lo Stafilococco Aureus sia responsabile di tossinfezioni alimentari.
Esso esplica la sua azione tossica attraverso una esotossina che, ad eccezione delle altre, è
termostabile.
ESOTOSSINA: veleno di natura proteica, altamente tossico, prodotto da batteri gram positivi, la sua
liberazione non provoca morte per la cellula ed, essendo normalmente termolabile, può essere
inattivata con trattamenti a basse temperature.
Tossinfezione alimentare: con tale termine si suole definire un fenomeno tossico, cioè una malattia
provocata dall’ingestione di cibo inquinato da batteri patogeni che rilasciano tossine e sfruttano
l’ospite per la loro sopravvivenza e riproduzione.
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Tossinfezione da Salmonella: insorge normalmente dopo dieci o dodici ore dall’ingestione di cibo
contaminato. Sintomi caratteristici sono:
• nausea • diarrea • febbre (di regola 38-39°C) Nei bambini, negli anziani e nelle persone debilitate possono sopraggiungere complicazioni, ci può
essere per esempio disidratazione e, in alcuni casi, si può arrivare al decesso.
La nazione europea più colpita da Salmonellosi è la Germania; la causa di ciò pare sia da
ricercare nel tipo di impiego diagnostico adottato, nel trattamento e nella conservazione degli
alimenti.
Tossinfezione da Stafilococco: insorge di regola dopo tre o cinque ore dall’assunzione di cibo
contaminato. È caratterizzata da:
• nausea • diarrea Non si riscontra febbre. Nonostante il quadro dei disturbi appaia a volte grave, in generale il
decorso della malattia si risolve facilmente e senza particolari complicazioni.
Tossinfezione botulinica: in genere non riguarda la produzione di gelato artigianale, ma
ugualmente degna di essere menzionata è la tossinfezione provocata dal Cluastridium Botulinum,
microbo a forma bastoncellare, in grado di trasformarsi in spora, che libera una esotossina
termolabile molto pericolosa.
La malattia insorge normalmente dopo ventiquattro ore dall’ingestione di cibo (scatolame e cibo
conservato in assenza di ossigeno).
I sintomi principali sono a carico del sistema nervoso, cioè paralisi, strabismo, dolori muscolari;
raramente si riscontrano dolori addominali e vomito.
TRASMISSIONE DELLE INFEZIONI Dopo aver chiarito da quali sorgenti si deve cautelare l’artigiano gelatiere e quali malattie deve
prevenire per la salvaguardia del prodotto e del consumatore, è doveroso precisare attraverso
quali mezzi le suddette patologie possono essere trasmesse ai cibi e di conseguenza alle persone.
A questo proposito, normalmente, si usa fare una distinzione tra veicoli e vettori, per individuare i
responsabili del passaggio da un posto all’altro o da una persona all’altra dei batteri portatori di
malattie.
VETTORE: con questo termine si definisce un essere animato in grado di trasmettere l’infezione.
Generalmente si tratta di insetti (mosche, zanzare, pidocchi, acari etc.), animali, persone
ammalate oppure persone che, pur avendo dentro di loro il batterio, non hanno contratto la
malattia, ma possono trasmetterla ad altri individui senza saperlo. Questi soggetti vengono
chiamati portatori sani e sono particolarmente controllati dalle autorità competenti in campo
sanitario a causa della loro estrema facilità a trasmettere le malattie.
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VEICOLO: con questo termine si definiscono tutti i mezzi inanimati che possono immettere
nell’ambiente agenti infettanti. I più comuni sono senz’altro l’acqua, il suolo, l’aria e gli escrementi,
ma ve ne sono altri di importanza non certo minore per la produzione del gelato, che vale la pena
di citare: spatole, coltelli, contenitori, cioè tutti gli attrezzi da lavoro, indumenti, capelli etc.
Particolare riguardo meritano le materie prime come uova, latte, panna, zucchero etc., che
verranno in seguito ampiamente trattate.
VIE DI CONTAMINAZIONE MICROBICA DEL GELATO PRODOTTO ARTIGIANALMENTE Le vie attraverso le quali il gelato prodotto artigianalmente può entrare in contatto con
microrganismi , che potrebbero essere portatori di malattie o semplicemente indicatori di cattive
qualità igieniche del prodotto, sono fondamentalmente tre:
1. MATERIE PRIME 2. UTENSILI, MACCHINARI, ATTREZZATURE, LOCALI 3. PERSONALE ADDETTO ALLA LAVORAZIONE Inquinamento microbico dovuto a materie prime
Purtroppo, quasi tutte le materie prime, che vengono usate in una gelateria artigianale, devono
essere considerate potenzialmente pericolose dal punto di vista batterico. Il grado di tale
pericolosità è determinato dalla composizione dell’ingrediente e dal suo contenuto in acqua,
fattori sui quali non si può esercitare nessun controllo, ma anche dalla sua qualità di partenza, da
come viene conservato e da come viene utilizzato. Su questi fattori si può e si deve intervenire per
garantire sé stessi e i clienti sul grado di qualità igienica del proprio prodotto. Bisogna tenere
presente il fatto che l’industria del gelato considera proprio l’aspetto igienico come uno dei punti
forti a proprio vantaggio nelle concorrenza con il gelato artigianale.
Trattando la pericolosità dei vari ingredienti di un gelato, è ovvio pensare subito al latte che,
assieme ai suoi derivati, costituisce uno dei maggiori potenziali pericolosi.
I batteri normalmente residenti nei condotti escretori della mammella della mucca, passano infatti
nel latte al momento della mungitura. A questa già enorme fonte batterica va aggiunta la
possibilità di contaminazione determinata dalla pelle dell’Animale, dalle mani della persona che
opera la mungitura, dalle macchine che effettuano la mungitura meccanica, dai recipienti nei
quali il latte viene raccolto, dall’ambiente in cui si effettua la mungitura.
Il numero dei batteri, che contaminano il latte, è quindi tanto maggiore quanto meno è curata la
pulizia degli utensili e delle persone che effettuano la mungitura, anche se non è possibile evitare
una massiccia presenza batterica anche nel latte munto, raccolto, conservato in maniera
razionale. I batteri normalmente presenti sono perlopiù lo Streptococcus Lactis che si moltiplica
anche a basse temperature e fermenta il lattosio, aumentando l’acidità e i Colonbatteri tipo
Escherichia Coli, Enterobacter e Klebsielle che, se sono presenti in numero eccessivo, possono
provocare alterazioni del latte poiché attaccano le proteine e i grassi.
Inoltre nel latte possono essere presenti anche batteri patogeni provenienti dall’animale stesso
(es. mucche affette da mastite) o dal personale addetto. In questo caso la contaminazione può
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interessare una gamma enorme di microrganismi, compresi i virus dell’epatite, le Salmonella, e i
bacilli difterici.
Con una controllata pulizia degli animali, dei locali e degli attrezzi utilizzati nel corso della
mungitura, si può diminuire il numero di batteri non patogeni, aumentando quindi la conservabilità
del latte (dato che i batteri non patogeni non portano malattie, ma alterano il latte,
fermentandone i vari componenti). Per essere sicuri, invece, dell’assenza di microrganismi
patogeni, bisogna assolutamente evitare l’infezione degli animali e degli operatori ed eseguire
quindi frequenti ed accurati controlli. È ovvio che queste operazioni non sono eseguite dai gelatieri
artigiani, ma dai produttori: diventa quindi estremamente importante servirsi di produttori affidabili,
la cui professionalità sia accertabile.
Una volta contaminato, è naturale che il latte rimanga in questa condizione dato che offre un
ottimo supporto alla vita e alla riproduzione batterica a meno che non si intervenga in maniera
mirata.
Lo stesso problema si ripropone per le uova e i prodotti dell’uovo, dato che anch’essi sono
ingredienti insostituibili, ma facilmente attaccabili da microrganismi che in essi trovano poi un
ambiente ideale di sviluppo.
Il momento più pericoloso è quello in cui viene rotto il guscio, infatti, le uova sporche di materia
fecale sono contaminate da Enterobatteri che, tramite le mani della persona, passano facilmente
all’interno e inoltre la persona stessa, con mani non perfettamente pulite, può contribuire alla
contaminazione del guscio. È quindi consigliabile lavare accuratamente le uova, prima di
adoperarle, con acqua calda e possibilmente disinfettarle con prodotti appropriati. Inoltre ogni
miscela, che contenga uova o suoi derivati, subirà la pastorizzazione.
Anche per le uova, come abbiamo già visto per il latte, diventa assolutamente importante
l’affidabilità dei fornitori ai quali ci si rivolge: il gelatiere può esigere dal fornitore dei certificati di
analisi microbiologica che attestino il valore igienico dei suoi prodotti.
Altri ingredienti pericolosi sono la frutta fresca e i suoi derivati, i preparati del gelato e l’acqua.
L’acqua, elemento vitale per i microrganismi, è garantita dal punto di vista batteriologico, se
proveniente dagli acquedotti pubblici, mentre va assolutamente bollita, prima dell’uso, se
proveniente da qualsiasi altra fonte. Anche i preparati per gelato sono, in genere, garantiti dai
produttori, mentre per la frutta, contrariamente a quanto si pensa, il discorso è più complesso.
È vero che normalmente i germi patogeni non vivono in ambienti acidi, com’è quello offerto dalla
frutta o dai suoi derivati, ma è anche vero che, quando la frutta viene sbucciata e lavorata, viene
contaminata da un enorme quantità di batteri, tra i quali potrebbero essercene anche di
patogeni. Ecco perché non si deve assolutamente adoperare frutta troppo matura, nella quale la
buccia presenta delle lacerazioni o frutta sbucciata in precedenza.
In genere si evita di fare la pastorizzazione della frutta, perché ha effetti negativi sulla sua
fragranza, ma può essere evitata solo se si utilizza frutta di prima qualità, selezionata, lavata e
consumata il più rapidamente possibile.
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Metodi di bonifica del latte
I metodi più comunemente usati per il risanamento e la conservazione del latte sono:
• Bollitura • Pastorizzazione • Stassanizzazione • Sterilizzazione • Uperizzazione • Omogeinizzazione Bollitura
Si ricorre alla bollitura quando non è possibile controllare il latte dal punto di vista batteriologico. La
bollitura, così come viene normalmente eseguita in casa, non garantisce l’uccisione di tutti i germi
patogeni, in quanto possono rimanere dei batteri vivi nella “tela” che si forma sulla superficie del
latte (per coagulazione della lattoalbumina). Per essere sicuri che avvenga una totale uccisione
dei microrganismi patogeni, si deve ricorrere all’uso di recipienti che, con le loro adeguate
dimensioni, consentano una bollitura prolungata di almeno dieci minuti, oppure si deve mescolare
con un cucchiaio il latte in modo da rompere la cotenna responsabile dell’annidamento
batterico.
Pastorizzazione e Stassanizzazione
Il trattamento termico più usato per la bonifica del latte è senz’altro la pastorizzazione (questo
nome deriva da suo scopritore Pasteur che per primo adottò tale metodo per la conservazione dei
mosti), che consiste nel riscaldamento a temperature inferiori ai 100°C per un periodo di tempo e in
condizioni tali da permettere l’uccisione del Bacillo Tubercolare. Si presume che, se a tali condizioni
e temperature viene annientato questo batterio, a maggior ragione resteranno uccisi gli altri germi
patogeni, che di norma sono meno resistenti al calore (Salmonelle, Stafilococchi etc.).
Nei tempi passati era molto usata la pastorizzazione bassa, che prevede un riscaldamento in
vasche termostatate a circa 63°C per 30’. In seguito il latte viene rapidamente portato a 4-5°C,
provocando nei batteri patogeni un violento shock termico. Con tale trattamento, come è già
stato ricordato, dovrebbe scomparire il Bacillo Tubercolare e con esso la maggior parte
dei microrganismi, riducendo la carica batterica del 99%. I Coliformi dovrebbero scomparire
completamente. La carica microbica complessiva nel latte pastorizzato non deve essere superiore
ai 20 - 30.000 germi viventi per ml.
Oggi, per la maggior rapidità di produzione e per una più alta sicurezza, si preferisce ricorrere
alla pastorizzazione alta, che consiste nel trattare il latte con temperature di circa 75° - 85°C per
almeno 15’’.
Quando questo tipo di pastorizzazione viene fatto in tubicini di rame molto sottili, il trattamento
viene chiamato stassanizzazione (da Stassano che inventò questo sistema di bonifica). In questo
modo vengono perfettamente conservate le caratteristiche organolettiche del prodotto e anche
in contenuto in vitamina rimane inalterato. Il risultato dal punto di vista microbiologico si può poi
definire ottimo.
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In ogni caso, non va scordato che il latte pastorizzato è di breve conservazione perché la flora
microbica, sopravvissuta in minima parte, ne provoca l’acidificazione o, in casi estremi, si può
arrivare a putrefazione per opera di batteri sporigeni sfuggiti al trattamento con calore.
Sterilizzazione e Omogeneizzazione
Attualmente si possono trovare in commercio dei tipi di latte omogeneizzato e poi sterilizzato che
possono essere conservati fino a sei mesi.
L’omogeneizzazione consiste nella frantumazione meccanica dei globuli di grasso allo scopo di
aumentare la digeribilità del latte.
La sterilizzazione poi, si ottiene riscaldando la miscela a temperature che oscillano tra i 120 e 130°C
per periodi di tempo diversi. Con questo tipo di trattamento si ottiene una sicurezza dal punto di
vista microbiologico del 100%, ma le caratteristiche organolettiche del latte sono inferiori a quelle
del latte bollito o pastorizzato e anche il potere nutritivo è minore.
Qualora il processo di sterilizzazione avvenga attraverso iniezione di vapore surriscaldato nel latte
ad una temperatore di 150°C per una frazione di secondo, viene denominato uperizzazione.
Anche questo metodo porta ad una distruzione totale della flora batterica, ma diminuisce la
genuinità del prodotto.
Inquinamento microbico dovuto ad attrezzature, macchinari, locali o altro
Gli utensili e le attrezzature adoperate durante la preparazione del gelato possono contaminare la
massa, devono pertanto essere perfettamente lavate, disinfettate e risciacquate dopo ogni
utilizzo, al fine di evitare la presenza di microbi che, approfittando dei residui delle lavorazioni
precedenti, si stabilirebbero moltiplicandosi vertiginosamente. Lo stesso pericolo riguarda le
superfici, i pavimenti, le pareti, tutto l’ambiente insomma nel quale si lavora.
L’aria, pur non rappresentando un mezzo idoneo di crescita per i microrganismi, è da considerarsi
un veicolo in quanto questi piccoli organismi possono aderire a particelle liquide in sospensione
(goccioline espulse attraverso le vie respiratorie, particelle provenienti da pavimenti sporchi o da
indumenti etc.).
La presenza di zone umide in un laboratorio di produzione può favorire lo sviluppo di muffe e,
infine, non si devono dimenticare gli imballaggi degli ingredienti che possono costituire fonti di
contaminazione (cassette per la frutta, casse del latte, cartoni etc.).
La prevenzione di questo tipo di inquinamento microbico si effettua attuando sempre molto
scrupolosamente la sanificazione dell’ambiente, degli apparecchi e delle attrezzature, oltre che
controllando l’aspetto igienico e la freschezza di tutti i materiali e i prodotti che entrano nel
laboratorio.
Inquinamento microbico dovuto alla persona
L’uomo è generalmente il vettore principale di inquinamenti patogeni in quanto molto spesso è
portatore sano. Succede che l’operatore è ad esempio un portatore di germi già all’inizio di una
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malattia, però non attribuendo spesso la dovuta importanza ai primi sintomi del malessere, il
pericolo di inquinamento maggiore si manifesta durante la fase iniziale della malattia.
Anche un errato comportamento può diventare motivo di contaminazione microbica del
prodotto: ciascuno deve osservare scrupolosamente le norme igieniche personali più ovvie (mani
sempre lavate e disinfettate, copricapo, camici e abbigliamento in genere perfettamente puliti) e
tenere controllato il proprio stato di salute.
Autocontrollo igienico
Una volta conosciuti i vari fattori, che possono determinare una contaminazione microbica del
gelato, è facile capire che il controllo microbiologico finale delle sostanze è completamente
inefficace per la prevenzione dei problemi.
Le autorità sanitarie competenti, che possono in qualsiasi momento operare dei controlli
microbiologici sulla produzione, non devono essere considerati dei nemici da evitare o da
accettare con rassegnazione, ma vanno accolti con rispetto e soprattutto con la sicurezza di
operare in regola con le norme igieniche e sanitarie.
Il controllo da essi operato diventa quindi un’utile verifica ufficiale delle proprie qualità igieniche di
produzione e quindi della propria ottima professionalità. Senza dubbio, per ottenere dei risultati
positivi, è necessario controllare continuamente e molto scrupolosamente quanto segue:
• gli approvvigionamenti di materie prime
• la competenza e il comportamento del personale
• la distribuzione e la vendita del gelato
• le modalità di lavorazione e la tecnologia impiegata nella produzione
• lo stato di salute, mediante gli opportuni accertamenti sanitari (anche se non sono obbligatori)
di tutte le persone coinvolte nella produzione e nella vendita
• il contenuto batterico del prodotto finale e delle fasi intermedie di lavorazione (autocontrollo)
mediante l’uso di cartine batteriologiche o servendosi di laboratori specializzata.
II Parte - Metodologia
PULIZIA E SANIFICAZIONE
Gli utensili e le attrezzature usate in gelateria possono essere fonti pericolose di inquinamento
batterico.
Residui, anche molto piccoli, di lavorazione precedenti possono diventare veri e propri focolai di
microrganismi, in certi casi patogeni, che sono in grado di contaminare tutta la massa con cui
vengono a contatto.
Se le attrezzature e i recipienti non sono del tutto esenti da contaminazione microbica, diventano
purtroppo inutili anche le operazioni di risanamento batterico svolte in precedenza sulle materie
prime o su miscele intermedie bollite o pastorizzate.
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Diventa quindi molto importante per il gelatiere artigiano poter svolgere in modo assolutamente
corretto e sicuro il risanamento igienico di attrezzi e utensili.
Ma vediamo che cosa si intende precisamente, quando si parla di risanamento igienico,
espressione usata spesso impropriamente. L’operazione di risanamento igienico indicata con il
termine sanificazione è l’insieme dei processi atti a rendere igienicamente idonei alla produzione
degli alimenti gli impianti, le attrezzature e i locali interessati da tale produzione.
La sanificazione si articola quindi in due fasi principali:
Eliminazione dei residui e della sporcizia
SANIFICAZIONE = RISANAMENTO IGIENICO Eliminazione dei microrganismi
È evidente che queste due operazioni, il cui insieme costituisce il risanamento igienico ovvero la
sanificazione, sono due azioni completamente diverse per scopi e quindi per metodologia.
ELIMINAZIONE DEI RESIDUI E DELLA SPORCIZIA = DETERGENZA
Eliminazione preventiva del sudiciume, dei residui, della polvere, di particelle di unto, grasso etc.
dalle superfici solide.
ELIMINAZIONE DEI MICRORGANISMI = DISINFEZIONE
Azione mirata a distruggere i microrganismi patogeni. Qualora si distrugga completamente ogni
forma di vita microbica, quindi non solo i microrganismi patogeni ma anche quelli indifferenti e
quelli utili, si parla di sterilizzazione. Quindi, riassumendo:
DETERGENZA: eliminazione sporco e residui
SANIFICAZIONE = + DISINFEZIONE o STERLIZZAZIONE: eliminazione dei microrganismi patogeni o di tutte le forme di vita microbiche
La detergenza ha in realtà un duplice scopo perché, oltre ad eliminare il sudiciume e tutte le
sostanze che possiamo genericamente definire “indesiderabili” dalle superfici solide, è l’operazione
“preparatoria” alla successiva eliminazione dei microrganismi dalle superfici. È evidente, infatti, che
la polvere, le particelle di sporcizia e i residui alimentari sono dei rifugi assolutamente ottimali per la
flora batterica che qui si insinua e difficilmente viene snidata dai prodotti antimicrobici proprio a
causa della protezione offerta dallo sporco e dalle particelle varie. Si capisce pertanto che l’ordine
con cui si parla di detergenza e disinfezione non è assolutamente casuale né è possibile invertire le
due operazioni nel tempo, dato che la loro efficacia è direttamente legata alla loro corretta
successione. Un’altra evidente conseguenza di questi fatti è che le due operazioni, perseguendo
scopi diversi e necessitando di una ben precisa successione temporale, non possono nemmeno
essere fatte contemporaneamente poiché si é visto come la detergenza debba assolutamente
precedere la disinfezione, che senza di essa non potrebbe esplicarsi in maniera adeguata. C’é
un‘altra ragione che impedisce la contemporaneità della detergenza e dell’eliminazione dei
batteri ed è il fatto che le metodologie, che si applicano nell’uno e nell’altro caso, sono del tutto
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diverse dato che sono direttamente finalizzate al raggiungimento di scopi diversi. Questo concetto
risulterà comunque più chiaro dopo aver esaminato più dettagliatamente le due operazioni.
DETERGENZA
Abbiamo detto che il primo stadio della sanificazione è il procedimento che elimina le particelle di
sudiciume e i residui dalle superfici solide, preparandole per la successiva eliminazione dei
microrganismi.
La detergenza viene effettuata con l’aiuto di sostanze apposite, i cosiddetti “detergenti” che
vengono applicati in soluzioni acquose, manualmente o mediante apparecchiature idonee.
Le sostanze detergenti, che si usano per attrezzature, utensili e locali in una gelateria artigiana,
sono i comuni detersivi.
Possiamo definire quindi detersivo un prodotto particolarmente studiato nella sua formulazione per
promuovere la detergenza. Generalmente i detersivi sono costituiti dalla associazione di una o più
sostante tensioattive e una serie di ridotti complementari.
Sostanza tensioattiva DETERSIVO = sostanza che promuove la detergenza + Prodotti complementari
Le sostanze tensioattive, che sono i componenti principali dei detersivi, sono sostanze che, come
dice la parola stessa, sono in grado di agire sulla tensione superficiale dell’acqua. L’esperienza
comune ci dice che l’acqua ha scarsa capacità di bagnare le superfici (pensiamo alla “strisciata”
di gocce che lasciamo sul pavimento, se lo passiamo solo con una straccio bagnato) e non
scioglie assolutamente le particelle di grasso e unto che sono poi in gran parte quel sudiciume e
quei residui, dei quali si parlava prima. Entrambe queste caratteristiche, negative dal punto di vista
della pulizia, sono conseguenze dell’esistenza della tensione superficiale dell’acqua, cioè della
proprietà sulla quale in qualche modo agiscono le sostanze tensioattive presenti nei detersivi.
Questa proprietà (caratteristica di tutti i liquidi, ma variabile in funzione delle caratteristiche
chimiche) può essere immaginata come conseguenza della particolare coesione che lega fra di
loro tutte le molecole d’acqua contenute in un certo recipiente o comunque a contatto fra loro.
Effettivamente le molecole d’acqua, essendo molto piccole ed essendo elettricamente
asimmetriche, stabiliscono delle interazioni molto attive fra l’una e l’altra, che sono direttamente
responsabili di numerose proprietà quali la già ricordata alta tensione superficiale, ma anche l’alto
punto di ebollizione, la bassa tensione di vapore etc., caratteristiche che confermano la tendenza
delle molecole a stare attaccate fra loro, piuttosto che disperdersi o unirsi ad altre sostanze.
Questa tendenza generale ad attirarsi delle varie molecole dà un risultato globale nullo per tutte le
molecole, che sono circondate in ogni direzione da altre molecole uguali, ma fa sentire il suo
effetto dove le molecole superficiali di una massa contenuta in un recipiente incontrano l’aria.
Fra acqua e aria si verifica una tensione superficiale cioè si fa sentire la forza attrattiva delle
molecole interne su quelle superficiali, dato che non vi sono altre molecole esternamente alla
massa contenta nel recipiente in grado di controbilanciare e le particelle d’aria non sono in grado
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di farlo. Le molecole della superficie perciò non sono in equilibrio come quelle interne ma sono
“tirate” verso l’interno. Possiamo immaginare l’effetto della tensione superficiale come la presenza
di una sottilissima membrana sulla superficie dell’acqua che permette, per esempio, a uno spillo di
galleggiare. Lo spillo non è in grado, a causa dello scarso peso, cioè della scarsa forza che
esercita sulle molecole d’acqua, di vincere le forze attrattive fra le molecole della superficie e per
questa ragione galleggia.
Le sostanze tensioattive agiscono sulla tensione superficiale dell’acqua, diminuendola e quindi
rendendo meno vistose le sue conseguenze. Ancora una volta è l’esperienza comune a suggerirci
che l’acqua, nella quale sia stato sciolto un detersivo, “bagna” molto meglio le superfici e riesce a
sciogliere facilmente anche quelle particelle tipo grasso o unto assolutamente insolubili nell’acqua
pura. Le proprietà dei detersivi, che poi sono le proprietà delle sostanze tensioattive, sono quindi:
• aumento del potere “bagnante” dell’acqua
• distacco, solubilizzazione e sospensione del sudiciume
Questo effetto è dovuto alle caratteristiche chimiche delle molecole tensioattive, dato che è
proprio l’abbassamento della tensione superficiale dell’acqua che lo determina. Un tensioattivo è
chimicamente costituito da una catena lipofila (= affine alle sostanze grasse) e da un terminale
idrofilo (= affine all’acqua).
Una volta sciolte nell’acqua le molecole tensioattive si dispongono spontaneamente nel modo
consentito dalla loro duplice struttura chimica: la parte idrofila delle molecole tenderà a stare a
contatto con acqua mentre la parte lipofila (o idrofoba) tenderà a stare a contatto con lipidi
(grassi), se disponibili o comunque con qualcosa di diverso dall’acqua e quindi a livello di
superficie con l’aria, interrompendo i legami delle molecole superficiali e ostacolando la tensione
superficiale. Ecco che lo spontaneo posizionamento in acqua delle molecole tensioattive (a sua
volta determinato dalla loro particolare struttura chimica) provoca direttamente la diminuzione
della tensione superficiale e l’inglobamento di particelle non solubili in acqua. Le molecole
tensioattive avvolgono le particele di sporco, formando delle strutture micellari che lo solubilizzano.
La successiva e definitiva asportazione per risciacquo è un processo principalmente meccanico.
Ogni tensioattivo ha quindi la proprietà di:
• emulsionare • inibire • detergere • solubilizzare e disperdere Queste proprietà sono possedute in grado differente dalle diverse sostanze e quindi, in ragione
della prevalenza di una o dell’altra, si possono definire gli impieghi più adatti di ogni tensioattivo.
I detersivi di moderna concezione sono costituiti, oltre che da una a più sostanze tensioattive,
anche da altri ingredienti comunemente detti prodotti complementari. Essi assolvono funzioni molto
importanti e sono presenti in quantità tali da essere considerati ingredienti essenziali.
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Essi possono essere classificati in:
1. Coadiuvanti: quelli di impiego più comune sono i Polifosfati. Ad essi spetta il compito di
attenuare la durezza delle acque di lavaggio, mantenere un certo grado di alcalinità, favorire
la dispersione delle particelle di sporco.
2. Complessati: prevengono la rideposizione dei cationi metallici contenuti nell’acqua, evitando
per esempio la formazione di macchie di ferro.
3. Silicati sodici: stabilizzano il pH a valori di 9,5 - 10, inibiscono la corrosione dei metalli ed evitano
la rideposizione dello sporco.
4. Sospendenti: integrano l’azione disperdente sulle particelle di sporco.
5. Ossidanti: completano l’azione lavante, degradando lo sporco difficilmente asportabile
mediante azione fisica per ossidazione.
6. Eccipienti: sostanze inerti (prive di effetti) che si trovano nei detersivi perché vengono prodotte
nei processi di produzione dei tensioattivi.
7. Deodoranti: prodotti di natura complessa usati per la loro azione antagonista nei confronti di
sostanze maleodoranti.
Non sono stati inclusi in questa classificazione altri prodotti come gli azzurranti ottici o i profumi
perché non vengono normalmente utilizzati nei detersivi impiegati nelle operazioni della
produzione alimentare.
SANITIZZAZIONE
La sanitizzazione è il secondo stadio del processo di sanificazione, ovvero è l’operazione che
elimina i batteri dalle superfici precedentemente deterse. Può trattarsi di una disinfezione cioè
della eliminazione dei batteri patogeni, oppure di una sterilizzazione cioè l’eliminazione totale di
ogni forma batterica. Per l’impiego dei prodotti sanitizzanti è assolutamente necessario considerare
alcuni aspetti e cioè:
1. le caratteristiche dei microrganismi che si desidera eliminare
2. l’entità della carica microbica possibile delle parti da trattare e il grado di distruzione microbica
che si vuole ottenere
3. le caratteristiche delle sostanze microbicide e la loro compatibilità di impiego nel settore
alimentare (tossicità dei residui, aggressività verso i materiali etc.)
4. le modalità di impiego
5. le caratteristiche dei materiali da trattare.
DISINFEZIONE: è un trattamento che ha come scopo prioritario la distruzione di microrganismi
patogeni che sono presenti o che potrebbero essere presenti in un determinato substrato.
L’agente disinfettante più adatto sarà quindi scelto in rapporto alla resistenza dei microbi che si
vogliono distruggere e soprattutto tenendo conto dei fattori ambientali e della natura del substrato
che li ospita.
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La resistenza dei microrganismi è una caratteristica assai variabile da una specie all’altra. Alcuni
batteri, per esempio, sono così poco resistenti che vengono inattivati rapidamente dagli agenti
naturali di disinfezione. La maggior parte dei batteri, però, lo è molto di più anche se essi non
raggiungono mai il grado di resistenza dei virus. La resistenza maggiore è comunque dimostrata
dalle spore, che sopportano l’azione degli agenti disinfettanti chimici e fisici più a lungo e in dosi
più elevate rispetto a tutte le altre forme microbiche grazie alla particolare struttura e
composizione dei loro involucri.
Gli agenti disinfettanti si possono dividere in due gruppi principali e poi ogni gruppo in numerosi
categorie:
1. NATURALI: essiccamento radiazione solare
AGENTI DISINFETTANTI:
2. ARTIFICIALI: mezzi fisici (calore, raggi ultravioletti, rad. ionizzanti, ultrasuoni) mezzi chimici (alcoli, fenoli etc.)
Disinfezione con mezzi fisici: le radiazioni ultraviolette emanate da speciali lampade ai vapori di
mercurio esercitano una notevole azione disinfettante danneggiando il DNA batterico, ma sono
poco penetranti; le radiazioni ionizzanti emanate da sorgenti al cobalto agiscono nello stesso
modo, mentre gli ultrasuoni, finora utilizzati solo nella produzione di vaccini, sono in corso di
sperimentazione per la stabilizzazione dell’Acqua e la pastorizzazione del latte.
L’agente fisico disinfettante più comune è il calore che rappresenta il modo più semplice di
disinfettare oggetti vari anche in ambito domestico. Stoviglie e biancheria possono essere
disinfettati, immergendoli in acqua bollente per almeno cinque minuti: così si ha garanzia
dell’uccisione dei batteri patogeni in forma vegetativa e dei virus, con esclusione del virus
dell’epatite che richiede, per essere distrutto, almeno dieci minuti di bollitura.
Disinfezione con mezzi chimici: numerose sostanze sono i grado di inattivare i batteri patogeni.
Tuttavia ad una buon disinfettante non si richiede soltanto di posseder l’azione microbicida, ma
anche una serie di altre caratteristiche che ne consentano l’impiego pratico. Queste sono:
• sicurezza • costanza d’azione • facilità di impiego • assenza di pericolosità per chi le usa e di danno per il mezzo con cui vengono a contatto • mancanza di odore, sapore, residui etc. • costo non troppo elevato L’azione del disinfettante chimico è di diverso tipo: alcuni attaccano la membrana cellulare, altri
denaturano le proteine costituenti il microrganismo o inattivano enzimi essenziali alla sua vita. In
ogni caso, comunque, va tenuto presente che l’attività battericida o batteriostatica (= arresto
della crescita della cellula battericida) del disinfettante è sempre in rapporto a:
• concentrazione con cui viene impiegato • temperatura e pH dell’ambiente • presenza di sostanze inibitrici o capaci di proteggere i microbi come per esempio la polvere o
le particelle di sporco.
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I disinfettanti chimici più usati appartengono a diversi gruppi di sostanze:
ALOGENI: l’azione battericida dello iodio e del cloro, per esempio, si fa sentire a concentrazioni
molto basse. L’ipoclorito di sodio si usa per la disinfezione di stoviglie, biancheria, superfici per il suo
basso costo, la facilità di impiego e l’efficacia. Esso è contenuto nelle normali candeggine e
varechine. Il meccanismo d’azione di questo disinfettante si basa essenzialmente sul potere
ossidante che il cloro esercita sulle sostanze proteiche. Appartengono a questo gruppo anche i
composti a base di iodio, chiamati iodoformi che agiscono in ambiente acido e richiedono perciò
sciacquo e attenzione nell’uso.
ALCOLI: l’alcol etilico e l’alcol isopropilico vengono correntemente usati, dato che esplicano un
intenso e rapido effetto battericida grazie all’azione denaturante sulle proteine. Non hanno però
alcun effetto sulle spore e l’azione sulla maggior parte dei virus è lenta e molto scarsa. L’attività
disinfettante è massima per diluizioni in acqua del 50–60%. Per potenziarne la capacità
disinfettante gli alcoli possono essere mescolati ai composti quaternari dell’ammonio.
ALDEIDI: la sostanza più usata di questo gruppo è l’aldeide formica, che agisce rapidamente su
tutti i microbi ed è in grado di inattivare anche le spore in tempi più lunghi e con temperature
superiori ai 40°. Sotto forma gassosa viene usata per disinfettare ambienti chiusi oppure oggetti
delicati in apposite camere di disinfezione. Per questi scopi si usa la formalina, sostanza dalla quale
viene fatta sviluppare la formaldeide (soluzione acquosa al 40%) in appositi apparecchi assieme a
vapore d’acqua per aumentarne la capacità di penetrazione.
FENOLI: il fenolo puro o acido fenico è stato il primo disinfettante introdotto in chirurgia e per questo
è stato assunto come termine di paragone per stabilire il grado di attività antibatterica degli altri
disinfettanti successivamente scoperti e introdotti.
SAPONI: come si è visto, le sostanze detergenti esplicano un’azione di eliminazione delle particelle
di sporco e aumentano il potere “bagnante” dell’acqua, grazie alla loro capacità di diminuire la
tensione superficiale dell’acqua stessa. Essi manifestano anche una debole azione antibatterica e
sono in grado, quando formaldeidi e fenoli vengono sciolti in soluzioni saponose, di aumentarne il
potere disinfettante. I saponi sono costituiti da mescolanze di sali degli acidi oleico, palmitico e
stearico, che si ottengono trattando i grassi animali o vegetali.
Esistono anche i detergenti sintetici che sono sostanze di sintesi, che possiedono anch’esse un
gruppo idrofilo e uno idrofobo per cui agiscono come i detergenti naturali. I detergenti sintetici
vengono divisi in quattro gruppi:
1. NON IONICI: hanno scarso potere disinfettante ma spiccato potere schiumogeno,
emulsionante e detersivo.
2. ANIONICI: i detergenti anionici, in particolare, sono usati nella formulazione dei comuni detersivi
per uso domestico.
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3. CATIONICI: sono rappresentati soprattutto dai composti quaternari dell’ammonio. Essi mostrano
un effetto detergente limitato mentre, grazie alla loro struttura ionica, manifestano un elevato
potere disinfettante, soprattutto contro i batteri Gram +. A basse concentrazioni l’effetto, che si
ottiene con queste sostanze, è solo batteriostatico, ma alle concentrazioni d’uso l’effetto è
battericida. Poiché si tratta di prodotti non tossici, privi di azione irritante, inodori e insapori, essi
vengono largamente impiegati in campo alimentare per la disinfezione di stoviglie, attrezzi e
macchinari.
4. ANFOTERI: i composti anfoteri esplicano sia azione detergente che disinfettante contro i batteri
Gram + e Gram – ma non contro le spore e i virus. Anch’essi sono privi di tossicità, odore e
sapore per cui diversi composti commerciali, a base di detergenti sintetici anfoteri, vengono
usati per la disinfezione di macchinari, pavimenti etc.
ESSENZE VEGETALI: alcune essenze vegetali, come quelle derivate dagli agrumi, possiedono
caratteristiche antibatteriche che sono state sfruttate combinandole a soluzioni saponose.
COEFFICIENTE FENOLICO
Abbiamo visto che:
• il FENOLO fu il primo disinfettante introdotto nelle sale operatorie;
• il potere disinfettante di qualsiasi sostanza varia in funzione della temperatura, del pH, della
presenza di specifiche sostanze inibitrici e, in particolare, a seconda della concentrazione.
Per questo si è stabilito che il potere disinfettante di una sostanza X va misurato, confrontando la
concentrazione minima alla quale essa sterilizza con quella alla quale sterilizza il fenolo, che è il
termine di paragone.
In questo modo, per ogni disinfettante, si può determinare il COEFFICIENTE FENOLICO detto
anche C. F.
= concentrazione minima alla quale il fenolo sterilizza in condizioni standard
= concentrazione minima alla quale X sterilizza alle stesse condizioni standard
I risultati possibili sono infiniti, ma le possibilità significative, trattandosi di una scala di valori non
assoluta ma riferita a un termine di paragone, sono tre:
1. C. F. = 1 significa che il potere disinfettante di X è identico al potere disinfettante del fenolo.
2. 0 < C. F. < 1 significa che la concentrazione minima alla quale X sterilizza è maggiore di quella
alla quale sterilizza il fenolo e perciò che il potere disinfettante di X è minore di quello del
fenolo.
3. C. F. > 1 significa che la concentrazione minima alla quale il detergente X sterilizza è più
piccola di quella alla quale sterilizza il fenolo e perciò che il potere disinfettante di X è più forte
di quello del fenolo.
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ALCUNE APPLICAZIONI DEI DISINFETTANTI STOVIGLIE E POSATE. La pulizia in lavastoviglie con temperatura dell’acqua superiore ad 80°C è
sufficiente all’allontanamento e all’inattivazione di eventuali microbi patogeni. In mancanza di ciò
si può procedere alla bollitura per 30 minuti o all’immersione prolungata in soluzioni di ipocloriti e di
iodofori (disinfettanti chimici del gruppo ALOGENI) o di composti quaternari dell’ammonio, dopo
lavaggio.
BIANCHERIA. Anche per la biancheria la procedura più semplice è il lavaggio in lavabiancheria,
raggiungendo la temperatura di 85 – 90°C per almeno 15 minuti. Altrimenti, se l’esposizione a dette
temperature dura un tempo inferiore, ci si può affidare anche ai disinfettanti chimici, ad esempio
prodotti che liberano il cloro. Questo vale soprattutto per i tessuti di fibre sintetiche, che non
sopportano temperature elevate. Alla disinfezione si fa seguire il normale lavaggio con procedure
adatte ai vari tipi di tessuto.
AMBIENTI E SUPERFICI. Per la disinfezione continua dei pavimenti si può effettuare il lavaggio con
soluzioni di ipocloriti o con soluzioni saponose di formaldeide o di fenoli. Si possono usare anche
formulazioni detersive che contengano sostanze battericide. Per la disinfezione di pavimenti, pareti
e altre superfici lavabili, si possono usare anche soluzioni di iodoformi o di composti quaternari
dell’ammonio.
CONCLUSIONI
Come si è visto, esistono in commercio prodotti formulati in modo da garantire ottimi risultati.
Chi opera la sanificazione di ambienti e attrezzature impiegate in campo alimentare, non deve
tuttavia dimenticare che un risultato sicuro dal punto di vista igienico non dipende solo dalla
qualità dei prodotti impiegati, ma anche da come la persona ne imposta l’utilizzo. Non va
dimenticato che:
• I prodotti che garantiscono un buon risultato, sia di detergenza che di disinfezione, sono pochi
ed è quindi preferibile attuare queste due operazioni separatamente per essere assolutamente
sicuri di avere per entrambe un risultato ottimo.
• La disinfezione deve avvenire dopo la pulizia e richiede un certo tempo perché è un
procedimento chimico e non meccanico.
• Il risciacquo deve essere molto abbondante e curato, soprattutto nel caso di superfici rugose.
• Anche l’asciugatura è molto importante, infatti sulle superfici umide i germi presenti nell’aria
aderiscono molto più facilmente.
• Le superfici e gli oggetti sanificati vanno protetti da ricontaminazione.
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STERLIZZAZIONE La disinfezione non è l’unico trattamento che ha lo scopo di eliminare da una certo materiale,
ambiente o prodotto i batteri eventualmente presenti. Quando infatti si voglia eliminare
completamente ogni forma microscopica (batteri, virus, spore etc., patogeni e non patogeni) non
ci si affida più alla disinfezione che elimina solo i microrganismi patogeni, ma si ricorre alla
sterilizzazione, trattamento molto più drastico che elimina, appunto, tutti i microrganismi compresi
quelli indifferenti o addirittura utili.
Mentre la disinfezione viene in gran parte attuata, come si è visto, con l’impiego di prodotti chimici,
queste sostanze sono meno utili per la sterilizzazione per una serie di inconvenienti cui possono dare
luogo: no sempre le sostanze chimiche possono garantire la distribuzione delle spore, spesso
alterano il materiale con cui vengono a contatto, nel materiale trattato possono restare residui
tossici o irritanti etc. L’unica sostanza chimica che oggi viene usata per sterilizzare è l’ossido di
etilene. Molto più adatti allo scopo sono i metodi fisici, il più usato dei quali è il calore.
METODI DI STERILIZZAZIONE:
• CALORE: agisce alterando le sostanze chimiche che costituiscono i microrganismi. La resistenza
al calore delle varie specie microbiche è ovviamente diversa ed è massima per le specie
termofile e le spore. Il calore che si utilizza può essere secco (es. fiamma) oppure umido.
• ARIA CALDA • RAGGI INFRAROSSI • RAGGI ULTRAVIOLETTI • RAGGI GAMMA • OSSIDO DI ETILENE
DISINFESTAZIONE
Un risanamento igienico degli ambienti di lavoro tiene conto principalmente dei microrganismi
perché essi, essendo invisibili, sono particolarmente insidiosi e difficili da eliminare, ma non deve
sottovalutare la possibile presenza anche di infestanti ovvero di tutti quegli organismi di forma non
più microscopica ma macroscopica e quindi visibili ad occhio nudo, che spesso compromettono
la qualità igienica faticosamente raggiunta mediante la pulizia e la disinfezione o la sterilizzazione.
La disinfestazione è perciò un’ulteriore operazione che si effettua generalmente sui locali di
produzione e che ha lo scopo di eliminare le forme macroscopiche di organismi indesiderati.
Gli infestanti importanti dal punto di vista igienico sono soprattutto: mosche, blatte e ratti.
Le mosche sono insetti che facilmente si introducono in qualsiasi ambiente e, soprattutto, vengono
attratti dai liquidi zuccherini e dal latte. Le condizioni ottimali per il loro sviluppo sono una
temperatura di circa 24 – 25°C e un’umidità relativa del materiale su cui crescono le larve del 60 –
70%. Le generazioni si ripetono ogni circa 20 giorni e ogni volta una mosca può deporre anche
1000 – 2000 uova, che consentono uno sviluppo rapido e molto ingente anche se, per fortuna,
spesso la carenza di un substrato adatto per lo sviluppo delle larve funziona da controllo naturale
delle nascite. L’apparato boccale delle mosche è tale per cui, senza addentrarci in particolari,
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esse si nutrono di liquidi zuccherini oppure di sostanze sempre zuccherine ma più solide, che
devono essere prima sciolte tramite un rigurgito di saliva. Questo fenomeno del rigurgito e la
sporcizia veicolata dalle zampe sono le cause principali dell’inquinamento microbico delle
sostanze alimentari frequentate dalle mosche. Esse, infatti, passano facilmente da sostanze putride,
escrementi, sporcizia varia a sostanze alimentari destinate all’uomo e trasportano facilmente
microrganismi patogeni e quindi malattie. Per queste ragioni la lotta contro le mosche è
assolutamente obbligatoria e si articola in due fasi:
1. Lotta contro le larve: le larve vengono deposte dalla mosca adulta nelle sostanze organiche in
putrefazione e quindi facilmente nei contenitori dei rifiuti. Il periodo di incubazione delle uova
varia da 8 a 48 ore a seconda delle condizioni ambientali e in particolar modo della
temperatura. Le larve diventano mature, e quindi in grado di allontanarsi dalla zona umida dei
rifiuti, in circa 5-6 giorni. La prevenzione principale, che si deve attuare, è quindi un assoluto
controllo che impedisca qualsiasi contatto con rifiuti di qualunque genere e un asporto dei
rifiuti stessi operato correttamente e frequentemente.
2. Lotta contro gli adulti: per attuare una prevenzione è necessario effettuare accuratamente la
pulizia degli ambienti in modo che non vi siano residui di nessun tipo, che possano funzionare
da attrattivi, porre delle reti alle finestre e delle “porte-barriera” fatte con fogli di plastica che
consentano il passaggio all’uomo ma non agli insetti. Quando la prevenzione non è sufficiente
si ricorre all’uso di insetticidi chimici (i più usati sono quelli a base di PIRETRO o PIRETROIDI) o di
lampade UV che però non sono perfettamente selettive e quindi, a volte, risultano inutili.
Gli insetticidi, che si usano, vanno alternati nel corso dell’anno perché, durante il rapido
susseguirsi delle generazioni, si possono creare dei ceppi di mosche resistenti a particolari
sostanze. La lotta contro gli adulti deve svolgersi anche all’esterno dato che le mosche, prima
di entrare, spesso si fermano sugli infissi o sui muri.
Altri insetti, che possono infestare il laboratorio di produzione del gelato, sono le vespe e le api,
soprattutto nel periodo estivo. Anch’esse vengono attirate dai liquidi zuccherini ma non sono
altrettanto pericolose delle mosche perché non portano, in genere, malattie. L’inconveniente
maggiore è che possano cadere nella massa con il rischio di finire nel prodotto finito, oltre che il
fastidio per chi sta lavorando. La lotta consiste quindi essenzialmente nella prevenzione, come per
le mosche, con reti alle finestre e porte-barriera.
Blatte (scarafaggi): si tratta di animali che prediligono il buio e li si vede alla luce solo quando il
grado di colonizzazione è molto elevato. Essi depongono in qualsiasi angolo le uova, che sono
estremamente resistenti sia alle basse temperature che alle sollecitazioni meccaniche e che
possono quindi sopravvivere facilmente, per inverni interi, in magazzini freddi o durante i trasporti.
Quando la temperatura è ottimale (temperatura ambiente) le uova si schiudono e inizia
l’infestazione.
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Gli scarafaggi sono tra i maggiori trasportatori di malattie dato che passano da qualsiasi ambiente
sporco e infetto agli alimenti. Dalle feci e dalle zampe di scarafaggi sono stati isolati praticamente
tutti i microbi patogeni per l’uomo, quali Salmonelle, Stafilococchi e molti altri. La prima e
indispensabile lotta contro gli scarafaggi deve consistere, come si è già detto per le mosche, nelle
accurate pulizie e nel controllo dei macchinari, che devono essere facilmente ispezionabili.
L’eventuale azione antiparassitaria, diretta con appositi prodotti che vanno localizzati nei punti di
annodamento, non ha alcun effetto sulle uova e la disinfezione, eventualmente eseguita, va
quindi sempre ripetuta a distanza di circa un mese per essere sicuri di eliminare tutti gli organismi
presenti nel laboratorio.
Due trattamenti all’anno con questi prodotti (uno in primavera e uno in autunno) sono consigliabili
come azione preventiva, ricordando di ripetere ognuno di essi a distanza di circa 20 – 30 giorni.
Altri infestanti talora presenti sono quelli che giungono già nelle materie prime: in questo caso
l’azione antiparassitaria deve ovviamente iniziare con il controllo accurato delle materie prime,
che devono risultare assolutamente ineccepibili. Qualora si rendesse necessario il trattamento
disinfettante in particolari locali adibiti a magazzino, si useranno trappole di segnalazione e
prodotti a tossicità controllabile.
GLOSSARIO AFFEZIONE = Infezione, malattia
BATTERICIDA = Si definisce battericida un qualsiasi elemento in grado di uccidere i batteri, possono
essere citati come esempio il calore, i disinfettanti, gli antibiotici etc.
BATTERSIOSTATICO = Si definisce batteriostatico un qualsiasi elemento in grado di bloccare la
riproduzione batterica, ma incapace di uccidere tali microrganismi. Possiamo citare le basse
temperature, l’alcol etilico in concentrazioni diverse dal 70/100.
CARTINA BATTERIOLOGICA = Speciale cartina al desossicolato che, immersa con una speciale
procedura nel gelato o in un altro alimento, si copre di puntini con densità proporzionale alla
carica batterica presente.
COLIFORMI = Termine generico per individuare batteri riscontrabili a livello del colon.
DENATURARE = Rompere nei suoi costituenti fondamentali una molecola complessa. Ad esempio
denaturare le proteine = romperle negli aminoacidi che le costituiscono.
DETERGENZA = Eliminazione dei residui e delle particelle di sudiciume dalle superfici solide.
DISINFESTAZIONE = Eliminazione da un ambiente degli organismi di dimensione tale da essere visibili
anche ad occhio nudo.
DISINFEZIONE = Eliminazione dei microrganismi patogeni.
ENZIMA = Catalizzatore biologico, cioè sostanza presente nel corpo umano, ma anche negli
animali, batteri etc., in grado di velocizzare reazioni che altrimenti avverrebbero assai lentamente
e con difficoltà.
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IDROFILO = Affine all’acqua.
IDROFOBO = Privo di qualsiasi affinità all’acqua.
LIPOFILO = Affine alle sostanze grasse, ovvero i lipidi.
MICOROGANISMI = Appartengono a questa categoria organismi di dimensioni assai ridotte,
dell’ordine del micron che è la millesima parte del millimetro, quali batteri, virus etc.
MORBO = Malattia.
PARASSITA = Organismo che sfrutta l’essere, che lo ospita, a suo vantaggio, solo per la propria
sopravvivenza.
PATOGENO = Si definisce patogeno qualsiasi batterio, virus e parassita, capace di provocare una
malattia nell’ospite con cui viene in contatto.
SANIFICAZIONE = Insieme dei processi atti a rendere igienicamente idonei alla produzione
alimentare gli impianti, le attrezzature e i locali.
SAPROFITA = Batterio che dalla convivenza con l’ospite trae, ma anche arreca, vantaggio per la
sopravvivenza di entrambi.
SPORA = Forma di vita latente in cui si trasformano alcuni batteri, quando le condizioni di vita
diventano a loro sfavorevoli. La spora non si riproduce e riduce a livelli minimi tutte le funzioni vitali.
Può rimanere in tali condizioni per lunghi periodi, affinché le condizioni di vita non ritornano a livelli
normali (temperatura, acidità, umidità).
STERILIZZAZIONE = Eliminazione di tutti i microrganismi patogeni e non, utili e indifferenti.
SUBSTRATO = Rappresenta il “luogo” sul quale si riproduce e sopravvive il batterio. Può essere
rappresentato da molti tipi di “terreni”, quali alimenti, parti del corpo umano
TENSIOATTIVA (sostanza) = Sostanza in grado di abbassare la tensione superficiale dell’acqua
aumentandone il potere bagnante.
TOSSINFEZIONE = Fenomeno tossico provocato dall’Azione di tossine prodotte da alcuni batteri.
VIRULENZA = Grado di patogenicità cioè la potenza con cui si può manifestare una malattia
provocata da microrganismi.
VIRUS = Microrganismi subcellulari di dimensioni assai ridotte, costituiti da una molecola di acido
nucleico, racchiusa in un involucro proteico. Non sono in grado di riprodursi autonomamente al di
fuori delle cellule viventi.
Gennaio 2011 A cura di Uniteis e.V. (Giorgio Cendron)