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IGOR STRAWINSKY 1913. SCOPPIA IL SACRErivista.consaq.it/online/33_13/MUSIC@_n33_mag2013.pdf · laj...

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33 Conservatorio “Casella” L’Aquila Bimestrale, annoVIII mag.-giu. 2013 Poste Italiane spa sped. abb. post. 70% L’Aquila aut. n. C/AQ/42/2012 Il caso Lissner-Isotta botta e risposta tra Scala e Corriere La musica ‘concentrazionaria’ spiegata da Francesco Lotoro Un Conservatorio chiamato ‘Casella’ storia di un nome Attilio Berni collezionista di sax IGOR STRAWINSKY 1913. SCOPPIA IL ‘SACRE’
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Il caso Lissner-Isotta

botta e risposta tra Scala e Corriere

La musica ‘concentrazionaria’

spiegata da Francesco Lotoro

Un Conservatorio chiamato ‘Casella’

storia di un nome

Attilio Berni collezionista di sax

IGOR STRAWINSKY

1913. SCOPPIA IL ‘SACRE’

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SOMMARIOMaggio-Giugno2013

COPERTINA_____________________________4100 anni fa scoppiò il ‘Sacre’ di Strawinskydi Quirino PrincipeCi sono state battaglie più cruentedi Alberto Savinio

DIBATTITI_______________________________8Un Conservatorio chiamato Caselladi Renzo GiulianiIo c’erodi Fausto Razzi

FOGLI D’ALBUM ______________ _________11Ritratto di Caselladi Giorgio de Chirico

PROGRAMMI______________________ ____12Voglio fare il direttorea cura della redazione

MUSICA & SCIENZE _____________________14Il suono del DNAdi Carlo Ventura

FOGLI D’ALBUM _______________________16Quando i conti non tornano

PIANOFORTI __________________________ 17Liszt: Erard mon amourdi Walter Tortoreto

FOGLI D’ALBUM ________________________20Una modesta proposta per evitareil collasso dello spettacolo

MUSICA A NAPOLI______________________21Ci hanno sfilato la veste turchinadi Antonio Florio

DOCUMENTI___________________________24La cultura in uno Stato liberodi Gabriele d’Annunzio

VITA NEI LAGER _______________________26Musica concentrazionariadi Francesco Lotoro

DVD STORICI __________________________30Celibidache nel 1992 di nuovo con iBerlinerdi Umberto Padroni

FOGLI D’ALBUM _______________________32 Pappano dirige Bachdi Pietro Acquafredda

COLLEZIONI ________________________ 33Attilio Berni collezionista di Saxintervista di Luigina Battisti

MUSICOLOGIA_________________________37Da piccolo volevo fare il musicologodi Dinko Fabris

RITRATTI _____________________________40Salvatore di Gesualdo:Bach e la fisarmonicadi Salvatore Dell’Atti

CD, LIBRI ____________________________44di Umberto Padroni

LETTO SULLA STAMPA ___________________46

CONTROCOPERTINA___________________47Il caso Lissner-Isottaa cura della redazione

ARIA DEL CATALOGO ___________________50Da ‘diversamente giovani’ a ‘emeriti’di Leporello

Conservatorio "Alfredo Casella"Direttore: Bruno CariotiVia Francesco Savini 67100 L'Aquilatel. 0862 22122

Bimestrale di musicaAnno VIII N.33 Maggio - Giugno 2013Direttore Responsabile: Pietro AcquafreddaReg. Trib. dell’Aquila in corso

Progetto graficocurato dagli studenti del corso di Grafica dell'Accademia di Belle Arti dell'AquilaCopertina: Marta Fornari, Alberto MassettiInterno: Caterina SebastianiIllustrazioni: Eleonora Regi, Barbara Santarelli, Alberto Massetti

Impaginazione: Barbara Pre

Consultabile sul sito: www.consaq.itVersione online: Alessio Gabriele

Hanno collaborato a questo numero:Luigina Battisti, Salvatore Dell’Atti, Dinko Fa-bris, Antonio Florio, Renzo Giuliani, FrancescoLotoro, Umberto Padroni, Quirino Principe,Fausto Razzi, Walter Tortoreto, Carlo Ventura

Letto sulla stampaCristiano Chiarot, Davide Zoggia

è una produzione del Laboratorio teorico-pra-tico di "Tecniche della Comunicazione" delConservatorio "Alfredo Casella"

Lettere al direttore. Indirizzare a: [email protected]

Stampa: Fabiani StampatoriZona ind.le Loc. San Lorenzo67020 Fossa (AQ)tel. 0862 755005 / 755096 - fax 0862 755214E-mail: [email protected]

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a violenza di un pugno sferrato non dalla gran-dezza della mano ma dall’energia dei suoi muscoli,dalla giusta direzione del braccio, dalla saldezzadelle nocche e dalla forza interiore di chi dà l’im-pulso al proprio braccio e alla propria mano: in so-stanza, dal fascio di centri nervosi e dalla capacità dicoordinarli. In definitiva, dipende dal cervello, o, sevogliamo invadere il campo del trascendente, dallospirito. Igor Fedorovic Strawinsky, nato a Oranien-baum (dopo il 1917, Lomonosov) il 5 giugno 1882 (secondo il calendario giuliano in uso nella Russia an-teriore al 1918; 17 giugno secondo il calendario gre-goriano in uso in Occidente), morto a New York il 6aprile 1971, fu un compositore che spesso agì comeun pugno energico e concentrato, di piccole dimen-sioni. Ciò avvenne soprattutto nei suoi primi lavori,che provocando il pubblico e la critica vollero nontanto rompere con la tradizione – della tradizioneStrawinsky sa essere superbo interprete – quanto ar-ricchire le possibilità creative con una materia so-nora nuovissima, tale da travolgere e colpire inmaniera penetrante grazi alla novità. Furono, in ge-nere, composizioni ‘ grandi’ per potenza dinamica edovizia di organo orchestrale, ma relativamentebrevi, talora fulminee. ‘Le Sacre du printemps’, il ‘caso’per eccellenza, giganteggia come un’opera ciclo-pica, ma ciò è dovuto all’immane urto della sua so-norità barbarica, dei suoi ritmi e del pensiero

musicale destabilizzante che ci viene incontro. In re-altà, è un balletto che dura non più di 35 minuti. Il ti-tolo originale è in lingua russa: ‘ Vesna Svjascennaja’.Il titolo francese ‘ Le Sacre du printemps’, è dello sce-nografo russo Léon Bakst ( 1867-1924), che avevocurato l’allestimento di un altro balletto strawin-skjano, ‘L’oiseau de feu’ ed avrebbe collaborato adimportanti lavori scenici e coreografici di Debussy(Le martyre de Saint Sébastien), e Ravel ( Daphnis etChloé). Come osserva Strawinsky (Igor Strawinsky eRobert Craft, Expositions and Developments , Dou-bleday, New York 1962 . Tradotto in italiano da Adel-phi) il titolo inglese ‘The Coronation of Spring’ è piùvicino al significato del titolo originale di quantonon sia quello consueto, ‘The Rite of Spring’. Strawin-sky aveva in Russia una casa di campagna a Stilog-Clarens, in Volinia nella parte occidentale delterritorio russo, in direzione della Polonia), e là ritor-nava nei mesi estivi lasciando Parigi e i suoi impegniin Occidente. Là, tra il 1911 e il 1913, fu composto il‘Sacre’. In passato, mentre ancora scriveva le ultimepagine de ‘Loiseau de feu’, a Strawinsky era balenatonella mente un sogno, o una specie di visione.Aveva immaginato “un solenne rito pagano: anzianiseduti in cerchio assistevano alla danza d’una ver-gine finché ella morisse. Un sacrificio per propiziareil dio della primavera”. Strawinsky sceneggiò rapida-mente quest’idea, che egli espose più tardi, con le

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La prova generale, il 28 maggio 1913, alla pre-senza di Debussy e Ravel, non lasciò presagire ilputiferio che si sarebbe scatenato la sera dellaprima, l’indomani al teatro degli Champs Elisées:Il compositore lasciò infuriato la platea e andòdietro le quinte, ove restò per tutto il balletto, accanto a Nizinskij.

La movimentata prima parigina del capolavoro di Strawinsky

Cent’anni fa scoppiò il ‘Sacre’

di Quirino Principe

COPERTINA

Pablo Picasso. Ritratto di Strawinsky

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parole da noi testualmente riferite, in ‘Croniques de ma vie’, e affidò le scene al pittore Niko-laj Roerich, specializzato nell’antica storia russa e so-prattutto in quella dei tempi pagani, al quale lapartitura del ‘Sacre’ fu poi dedicata. Già questo ele-mento, la paganità barbarica della concezione indi-cata anche nel sottotitolo (Quadri della Russiapagana), era fatto apposta per provocare i benpen-santi e gli spiriti timorati di una Francia in cui il catto-licismo tradizionalista ( quello alla Charles Maurras)era più aggressivo che mai. Si aggiungano altri ele-menti di provocazione: l’erotismo associato alla cru-deltà, il sangue ed il larvato sadismo, la totalenegazione della morale cristiana nella rappresenta-zione della arcaica società russa anteriore all’evange-lizzazione. Ma ciò che più era destinato ascandalizzare l’ambiente degli artisti e dei musicisti, ilpubblico e la critica, era la coreografia innovativa eviolenta, e soprattutto la musica traboccante diasprezze armoniche inaudite, di effetti percussivi, di

dissonanze laceranti. La prima esecuzione del ‘Sacre’,a cura dei Ballets Russes parigini, ebbe luogo al Tea-tro degli Champs Elisées di Parigi, giovedì 29 mag-gio 1913. La coreografia fu di Vaslav Nizinskij . Ilruolo della vergine uccisa (la Vittima Designata) fudanzato da Marie Piltz. L’orchestra fu diretta daPierre Monteux . Quella prima esecuzione fu unoscandalo di prim’ordine, quasi senza precedentinella storia del moderno teatro musicale. Eppure, loscandalo era imprevedibile. Il 1° maggio ebbe luogola prima prova sul palcoscenico del teatro: il 26 e 27maggio le due uniche prove con orchestra. La provagenerale della vigilia, 28 maggio, si svolse in asso-luta calma, in presenza di Debussy, di Ravel, di altrimusicisti importanti, e di tutta la stampa parigina.Nulla fece presagire la tempesta. La sera della pre-mière, durante l’introduzione orchestrale già si udi-rono lievi proteste e qualche risatina. Poi il sipario sialzò su un gruppo di fanciulle dalle lunghe trecce,con le gambe incrociate. Nelle ‘Expositions’ del 1962,

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Strawinsky le chiama ‘Lolitas’, con palese riferimentoal romanzo ‘Lolita’ di Vladimir Nabokov (1955) e allasua protagonista, una ragazzina acerba, quasi ancorabambina e irresistibilmente erotica. Quando le fan-ciulle cominciarono a saltare su e giù, scoppiò il fini-mondo. Nelle ‘Expositions’, Strawinsky ricorda di averudito il grido “ta guele!” (chiudi il becco!) dietro a sé,e la voce del compositore Florent Schmitt che urlava,in difesa dello spettacolo: “ Taisez- vous garces du se-zième” ( tacete, puttane della sedicesima fila). Stra-winsky che occupava la poltrona 111 nella quartafila, lasciò infuriato la platea e andò dietro le quinte.Vi rimase per l’intera rappresentazione, accanto a Ni-zinskij. Costui stava in piedi su una sedia e gridava di-speratamente ai danzatori, come un nostromo aimarinai: “sedici, diciassette, diciotto…” ( i balleriniavevano un loro conteggio per battere il tempo). Na-turalmente, i poverini non udivano quasi nulla, acausa del frastuono in sala e dal calpestio prodottoda loro stessi. Nizinskij era rosso di rabbia, e si tenevapronto a balzare in palcoscenico per invitare il pub-blico a venire alle mani con lui. Sergej Diaghilev, di-rettore dei Ballets Russes, cercava invece di sedare iltumulto, e ordinava agli elettricisti ora di spegnere leluci, ora di illuminare la platea. Un memorialista pre-sente alla prima, Carl van Vechten, scrive “ una certaparte dell’uditorio era turbata per quello che consi-derava un tentativo blasfemo di distruggere la mu-sica come arte… Era impossibile udire l’orchestra

tranne che in pochi punti, quando le acque si calma-vano un po’. Il giovane seduto dietro di me nel palcosi alzò durante lo svolgimento del balletto per potervedere meglio. L’intensa eccitazione che lo trava-gliava si tradì quando egli cominciò a battermi ritmi-camente i pugni in testa (ecco che la nostrametafora quella del pugno si avvalora). La mia emo-zione era così grande che per un certo tempo nonsentii i colpi”. Una danzatrice dei Ballets Russes, Ro-mola de Pulski, che più tardi avrebbe sposato Nizin-skij provocando la rottura fra lui e Diaghilev, sitrovava in teatro durante la prima parte del balletto.Ella narra: “Una signora ben vestita in un palco diproscenio si alzò e diede uno schiaffo a un giovaneche stava fischiando nel palco vicino. Il suo accom-pagnatore si levò in piedi e i due si scambiarono i bi-glietti da visita”. Ci piacerebbe sapere se abbia avutoluogo, il giorno dopo, l’immancabile duello, magariall’ultimo sangue. Se così fosse, saremmo lieti dipensare a una morte per cause di gusto musicale edi concezione dell’arte. Sarebbe il motivo più serioper morire: un motivo estetico, quindi infinitamentepiù importante dei motivi etici, o politici, o religiosi,e via frivoleggiando; mentre i due gentiluomini si sfi-davano, forse di malavoglia, Jean Cocteau udì l’at-tempata contessa de Pourtalès gridare, ritta in piedinel palco, rutilante di sdegno, brandendo il venta-glio come un’arma e con il diadema storto: ” Questaè la prima volta in sessant’anni che qualcuno osa

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prendermi in giro!”. Un ultimo episodio della seratamostra come il becerume che infesta i teatri siaeterno. Marie Rambert, allieva di Emile Jacques- Dal-croze e studiosa di euritmica, era stata scritturata daDiaghilev come ausilio a Nizinskij. Verso la fine delballetto, prima della‘Danza sacrificale’, MariePiltz, Vittima Designata,che fino a quel mo-mento non si era an-cora mossa, cominciò atremare, con crescendofrenetico, simulandoterrore come voleva ilsuo ruolo. Era, natural-mente, non un optionalma un elemento inno-vativo nella gestualità,un nuovo movimentocoreografico. La Ram-

bert udì qualcuno in galleria chiamare ad alta voce :”Un dottore… un dentista… due dottori”. Becerume,certo. Ma quale effetto volevano ottenere Strawin-sky, il suo coreografo e il suo impresario? Dopo lospettacolo, alle due di notte, Strawinsky, Diaghilev,

Nizinskij e Cocteau an-davano in carrozza alBois de Boulogne. ScriveStrawinsky con unapunta di autoironia:”Eravamo eccitati, fu-riosi, disgustati e... felici”.E Diaghilev: “ Esatta-mente ciò che volevo”.

(Il presente articolo èapparso sul mensile ‘Applausi’, nn.15-16.

Luglio/ Agosto 1994)

ABBIAMO VIStO BAttAGLIE BEN PIù CRUENtEIn occasione della ‘Sagra della primavera’, rappresentata al Teatro Reale dell’Opera, qualche giornalista piùcolto ha rievocato la ‘battaglia’ che questo balletto di Stravinski accese la sera della prima rappresentazione,avvenuta a Parigi, il 28 marzo ( la data esatta è 29 maggio , ndr.) del 1913, al Teatro dei Campi Elisi. Non biso-gna esagerare. Noi che avemmo la ventura di assistere a quel lontano spettacolo, possiamo assicurare checome battaglie ne abbiamo viste di ben più cruente. Cominciamo col dire che la ‘Sagra della primavera’ non ètra le opere migliori di Stravinski, anzi una delle più retoriche ed estetizzanti. Quella sera la furia degli stravin-skiani superò quella degli antistravinskiani. Tra i primi era anche Gabriele D’Annunzio che, sporto da un pal-chetto di proscenio, applaudiva ostensibilmente, con le mani vestite di candidissimi guanti. Qual valore digiudizio ha il plauso di Gabriele D’Annunzio? Pochi anni prima, e con grande ardore, egli aveva lodato Ric-cardo Strauss, chiamandolo ‘il barbaro temerario e magnifico dagli occhi chiari’; e via via egli lodò AristideSartorio e Claudio Debussy, Ildebrando da Parma e Adolfo De Carolis…”

Alberto Savinio(Documento. Mensile, aprile 1941)

George Balanchine e Strawinsky

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nnazitutto non esiste,nell’archivio del Conser-vatorio, un documentoche ci aiuti a capire le ra-gioni della intitolazionedi un conservatorio adun musicista da pocoscomparso e che conl’Abruzzo non avevaavuto particolari legami.Comunque, se sia statostilato un verbale rela-tivo all’intitolazione, nonse ne è conservata trac-cia. Ancora più interes-sante, perciò, èricostruire fatti e circo-stanze che portarono atale decisione, davveroinsolita nel panoramadei Conservatori italiani ,per lo più intitolati agrandi musicisti del pas-sato. Dalla lettura della auto-biografia e dei numerosiscritti di Alfredo Casella,non si rileva nessun par-ticolare legame del mu-sicista con l’Abruzzo e,più specificamente, conla città dell’Aquila o conla sua provincia; mentre si possono registrare amici-

zie e frequentazioni delCompositore con alcunipersonaggi del mondodella cultura e della mu-sica nati in Abruzzo; sipensi, solo per citarneuno fra i più noti, al pe-scarese Gabriele D’An-nunzio, che Casellafrequentò a lungoquando il “Vate” si eragià ritirato nel “Vitto-riale”.Avendo Casella rappre-sentato senza dubbiouna figura di musicistadi altissimo profilo nelpanorama italiano dellaprima metà del Nove-cento, si potrebbequindi ipotizzare che, apoco più di vent’annidalla sua scomparsa, av-venuta il 5 marzo del1947, il Conservatorioaquilano, oramai auto-nomo, possa aver pen-sato a lui come naturaledestinatario dell’intitola-zione? La storia del Con-servatorio forse, riservaalcune risposte convin-centi.

Primo Direttore del Conservatorio aquilano, dal 1968

I

Quali ragioni spinsero la direzione e gli insegnanti aquilani a tale scelta?

Un Conservatorio chiamato Casella

di Renzo Giuliani

A quasi quarantacinque anni dal provvedimento ministeriale del 27 settembre 1968,che sancì l’autonomia della sezione staccata dell’Aquila dal Conservatorio di Musica‘Santa Cecilia’ di Roma e istituì il Conservatorio di Musica ‘Alfredo Casella’, serve sco-prire le ragioni di tale innovativa intitolazione.

DIBATTITI

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al 1972 (quando andò a dirigere il Conservatorio “G.Rossini” di Pesaro ) fu il pianista romano GherardoMacarini Carmignani, allievo del Corso di Perfeziona-mento di pianoforte che Casella tenne, per diversianni, nel Regio Conservatorio di Musica “S. Cecilia”di Roma e , dopo il Decreto del 22 giugno 1939,nella Regia Accademia “Santa Cecilia”. Con lui, Maca-rini Carmignani, si diplomò nel 1940 con il massimodei voti. Potrebbe, dunque, quell’intitolazione esserestata suggerita al primo direttore dalla devozioneverso il suo illustre maestro?Se è certamente importante, nello sviluppo della

personalità di un giovane, il rapporto con il proprioinsegnante, specie in ambito artistico; e l’incontrocon un personaggio come Casella, che aveva matu-rato un’enorme esperienza compositiva, esecutiva eorganizzativa, ed aveva conosciuto e frequentato al-cuni autentici ‘monumenti’ della storia della musicadel suo tempo ( Debussy, Ravel, Stravinskij, Mahler,per citarne alcuni), non poteva non avere unagrande influenza nell’evoluzione culturale e perso-nale del suo allievo Macarini Carmignani, che ri-marrà legato alla memoria del musicista torinese,anche dopo la sua morte. E se dall’archivio della So-cietà Aquilana dei Concerti, ad esempio, appren-diamo delle sollecitazioni di Macarini Cramignanipresso la Direzione Artistica, in accordo con la ve-dova dello scomparso, per realizzare, a L’Aquila, unaserata dedicata al ricordo del Musicista - tale con-certo-ricordo ebbe luogo nel corso della Stagione1948/49, con un programma interamente dedicatoalla musica di Casella ed affidato al futuro direttoredel Conservatorio aquilano, alla violinista Ida Cop-pola e al violoncellista Giuseppe Selmi; il concertofu introdotto da Emilia Zanetti – ciò non basta a giu-stificare tale intitolazione.Ma se scorriamo l’elenco dei docenti che formavanola prima pattuglia di insegnanti troviamo, forse, unarisposta più soddisfacente. In tale elenco compa-iono anche altri allievi di Casella: il pianista e com-positore Armando Renzi e il pianista Franco Rampini( i quali furono anche compagni di classe dellostesso Macarini Carmignani); ma anche alcuni deipiù originali e significativi compositori d’avanguar-dia, fra gli anni Sessanta e Settanta: Domenico Guac-cero, esponente di spicco nel panoramacompositivo italiano e fondatore, insieme ad altri,dell’associazione “Nuova Consonanza”; Franco Evan-gelisti, docente all’Aquila del Corso di Musica Elet-tronica, il quale porterà nell’Istituto le esperienzematurate nel suo lungo periodo di formazionesvolto in Germania; e Fausto Razzi, allievo di Gof-fredo Petrassi, autore attento alle nuove tecnichecompositive. Qualche anno dopo, dietro suggerimento di Maca-rini Carmignani, Fausto Razzi scrisse Tre pezzi per or-chestra ( Music@ li ha pubblicati qualche mese fa)

destinati agli allievi appena entrati in Conservatorionelle varie classi di studio, per abituarli da subito afamiliarizzare con la musica ‘contemporanea’; e, nel1971/72, sempre Macarini Carmignani, provò a farnascere, all’interno dell’Istituto, anche un CentroStudi dedicato a Casella, organismo alla cui presi-denza voleva il musicologo e ricercatore Guido Mag-giorino Gatti, Presidente della Società Aquilana deiConcerti dal 1969 al 1973. Purtroppo, con il suo tra-sferimento a Pesaro, l’iniziativa non andò in porto néfu ripresa da altri.Il Conservatorio strinse rapporti di collaborazionecon l’Accademia di belle Arti aquilana dove allorainsegnavano Sylvano Bussotti, Carmelo Bene, edanche con la facoltà di Fisica dell’Università, volendoda un lato allargare gli orizzonti della musica allealtre arti ed alla scienza. Anche la biblioteca dell’Istituto assecondò la parti-colare attenzione del Conservatorio aquilano allenuove tendenze musicali con un imponente pianoacquisti di libri e spartiti di musica moderna e con-temporanea, avviato da Michelangelo Zurletti,primo bibliotecario del ‘Casella’. Dai registri d’ingresso del patrimonio librario dellabiblioteca, ciò appare evidente: in meno di dueanni, dal 1 ottobre 1968 a giugno 1970, infatti, rile-viamo oltre 5100 voci in ingresso, comprendentipartiture, libri di musica, testi musicologici, rivistemusicali, discografia, frutto solo in misura ridotta didonazioni (la più consistente, quella Ferraresi, concirca quattrocento testi, o quella Macarini Carmi-gnani, con oltre duecentocinquanta); mentre granparte della sua dotazione fu il frutto di una lungimi-rante strategia di investimento culturale che sembrainsistere molto sul Novecento musicale europeo,senza trascurare approfondimenti musicologici , filo-sofici e semiologici fra i più avanzati.L’Istituzione aquilana, dunque, doveva rappresen-tare, nelle intenzioni dei suoi primi protagonisti, unpresidio della musica d’avanguardia, una sorta diavamposto che, in un periodo di grande innova-zione e sperimentazione, avrebbe alimentato unanotevole effervescenza culturale in tutto il territorio.Non è un caso, quindi, che in quegli stessi anni, laSocietà “Barattelli” abbia proposto molti appunta-menti di musica contemporanea, anche in primaesecuzione assoluta, chiamando a parteciparegruppi e artisti di grande prestigio (dal Gruppo Stru-mentale Romano, con Luigi Dallapiccola nella vestedi pianista e direttore, a Les Solistes des Choeurs del-l’O.R.T.F., all’American Brass Quintett, al Gruppo Rin-novamento Musicale, e così via).L’intitolazione a Casella del Conservatorio aquilanoappare, quindi, non una decisione dettata da scon-tate ragioni di natura storico/ territoriale o dall’ osse-quio alla memoria di un artista, seppur lodevole,bensì una scelta, consapevole e programmatica;

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perchè Alfredo Casella era il musicista italiano chepiù di ogni altro si era prodigato per far conoscere inItalia, in un periodo non certo facile, tutta la musica

del nostro tempo, e che, per questo, lo si prendeva amodello dei musicisti che si sarebbero formati nelConservatorio aquilano.

ALLA NASCItA DEL ‘CASELLA’ IO C’ERO

ll Conservatorio dell’Aquila, nato nel 1967 come Sezione del Conservatorio di S.Cecilia, divenne, inaspettata-mente, autonomo l’anno successivo:, ricordo molto bene che noi tutti - a cominciare da Renato Fasano, diret-tore del Conservatorio romano - restammo sorpresi per la rapidità del provvedimento, dovutaevidentemente alla duplice e impegnata azione di Bruno Boccia e di Nino Carloni che si era impegnato perfar nascere il Conservatorio, e tutte le altre istituzioni musicali dell’Aquila. Si presentò quindi subito la necessità di trovare un nome al nuovo Istituto, e il direttore Gherardo MacariniCarmignani propose ai docenti (in quel secondo anno eravamo ancora non più di una decina) quello di Al-fredo Casella, di cui sia lui che Franco Rampini (docente di pianoforte “complementare”) erano stati allievi.Naturalmente la proposta non nasceva solo dal desiderio di ricordare il maestro, ma da ragioni più profonde:Casella infatti era stato un intellettuale molto aperto e aveva avuto forti legami con i principali esponentidella cultura internazionale (non solo musicale): e questo fatto acquistò particolare importanza nel periodotra le due guerre, quando cioè il regime fascista aveva reso difficili la conoscenza e soprattutto la diffusione diquanto avveniva fuori d’Italia in campo culturale; inoltre era stato un pianista di fama internazionale e inse-gnante di valore, e se come compositore si era mosso entro i limiti di un linguaggio moderatamente avan-zato, si era comunque senza dubbio estremamente interessato alle esperienze dell’avanguardia europea (alui si deve - tra l’altro - la prima esecuzione italiana del ‘Pierrot lunaire’ di Schoenberg): di conseguenza tutticoloro che erano stati suoi allievi avevano avuto grazie a lui la possibilità di conoscere quanto avveniva fuoridei confini italiani, sia in campo musicale sia in altre forme di pensiero. Fummo perciò tutti d’accordo sulla scelta del nome, anche se la proposta aveva suscitato qualche perplessitàin alcuni esponenti della sinistra, a causa delle simpatie di Casella per il regime fascista: ma tali perplessitànon influirono affatto sulla nostra decisione, e benché alcuni di noi - oltre Macarini - manifestassero aperta-mente la loro adesione - non necessariamente formalizzata - al Partito comunista (del Conservatorio del-l’Aquila si diceva addirittura che fosse “rosso”), tale circostanza non impedì di considerare Casellaesclusivamente per la sua figura di intellettuale ed il suo impegno di musicista. @

Fausto Razzi

Felice Casorati. Ritratto di Casella

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Fogli d’Album

RItRAttO DI CASELLAdi Giorgio de Chirico

uando udii per la prima volta il nome di Ca-sella, si presentò nella mia mente l’immagine di unascatola rettangolare ove si mettono schede, poi que-st’immagine sparì per cedere il posto a quella di unpiccolo quadrato tracciato sulla carta e che si usaper scrivere dei numeri e fare dei calcoli. Queste raf-figurazioni, d’aspetto geometrico e che evocanol’idea dell’ordine, sono sempre rimaste nella miamente legate alla persona di Casella ed alla sua arte.Più tardi, conosciuto meglio Casella, ho spesso pen-sato che raramente il nome di una persona corri-sponde così bene alla sua intima essenza, come nelcaso del mio amico, il musico Alfredo Casella. Eranell’anno 1918, durava ancora l’armistizio, quandoconobbi a Roma Alfredo Casella. In quel tempo co-minciavo a preoccuparmi dei problemi tecnici dellapittura (…). Pure in quel tempo ebbi la fortuna di ca-pire che il solo mezzo per un artista di riuscire nellasua arte è di lavorare duramente, di lavorare enor-memente e di parlare e discutere il meno possibile.Infine capii ad un tratto, con grande chiarezza, che lavera pittura, la sola che conti, la sola che sia vera-mente dell’arte, non attinge il suo valore in un sog-getto o in un’idea, ma che tale pittura è unfenomeno molto più complesso, e che riunisce in séil talento, l’ispirazione, l’esecuzione e quel superiorecompimento che è il mistero dell’arte e che sorpassae domina completamente ogni soggetto. Io, chesolo allora avevo realizzato in pieno la serietà in arte,incontrando Casella mi sentii attirato verso di lui,proprio per quel lato serio con cui egli si approssimaall’arte. Tutta la persona di Casella, così come la suamusica, danno un’impressione geometrica ed ordi-nata. Ogni sfumatura, ogni tenerezza in arte hannocome origine la struttura esatta, la costruzione geo-metrica, quel tal modo di vedere parallelepipedica-mente, poliedricamente, dal quale modo nasce poila forma fluida, la divina morbidezza, che sono ilsegno ineluttabile dell’evoluzione artistica, giuntaad un punto elevato, giunta ad un piano di dolcezzaplatonica; è allora che l’artista, cosciente della qua-lità di quello che produce, conosce la divina felicitàdel creatore soddisfatto.(…)Nella musica di AlfredoCasella la linea è sempre chiusa tra due punti, e perquesto il disegno musicale vive. Anche nella musicadi Casella l’ossatura e le fondamenta procedono dabasi geometriche, nell’ordine e nell’equilibrio, per

questo è possibile lo svolgersi ulteriore della tene-rezza e della morbidezza che sono allora di buonaqualità. Preciso, ostinato e sicuro in ogni sua attività,instancabile e regolato, egli sa che poesia e armoniaavanzano sempre in ordine chiuso. La sua mentalitàascetica ed asciutta lo spinge al lavoro quotidiano, allavoro preciso, metodico, sistematico, dal qualenasce la poesia, lo spinge al lavoro creatore di forme.Il suo aspetto inganna, poiché dietro al maestro pre-ciso e severo, dietro al pianista brillante ed impecca-bile, dietro al compositore vario e fecondo, dietroallo scrittore, il conferenziere, lo studioso, l’organiz-zatore, il critico, il dattilografo, il viaggiatore dei duemondi, dietro quell’ingannevole aspetto di artistadel nostro tempo, preso nell’enorme carosello dellavita moderna, agitata e meccanizzata, c’è soprattuttoil poeta dei suoni precisi, il disegnatore di forme mu-sicali, serio e tenero, esatto e fantasioso, e che di làda ogni società e da ogni ambiente, di là da ogniepoca e da ogni luogo, vive la sua solitaria e spiri-tuale vita di musico, vegliato dal caro fantasma dellasua buona mammina.

( Rassegna Musicale 1943)

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Format, gratuito, offerto agli aspiranti direttori del Conservatorio

VOGLIO FARE IL DIREttORENavigando in rete alla ricerca di suggerimenti e stimoli, ci siamo imbattuti in questo det-tagliato programma per aspiranti alla direzione di un Conservatorio. Sembrandoci essodegno di qualche attenzione, ed in previsione delle prossime elezioni per la direzione nelnostro Conservatorio, che avranno luogo in settembre, abbiamo ritenuto opportuno ri-proporlo all’attenzione dei candidati.

na premessa. Abbiamo aggiunto al punto 3 delparagrafo ‘ Strumenti’, alcuni elementi legati al terri-torio ed alla realtà dell’Aquila, dove il nostro Conser-vatorio ha sede. Non si vuole obbligare nessuno adadottarlo, senza condividerlo. Ma almeno a leg-gerlo, sì. Prima gli obiettivi e poi gli strumenti perraggiungerli.

OBIEttIVI

1. Riaffermare la centralità della formazione comescopo primario degli studi di Conservatorio, convo-gliando in essa tutte le forze, anche quelle economi-che. Inseguire parallelamente intensi obiettivi diproduzione musicale è controproducente, speciequando da molte parti - e non sempre a torto - sicontesta al Conservatorio la capacità di saper for-mare musicisti ‘preparati’ all’esercizio della profes-sione.

2. Recuperare la funzione di servizio dell’attività do-cente: l’insegnante deve, in Conservatorio, mettere afrutto le sue capacità professionali verificate sulcampo, e non considerare il Conservatorio comepalcoscenico di rivalsa per l’esercizio di una profes-sione che, preclusagli all’esterno, è fonte di innume-revoli frustrazioni delle cui conseguenze gli allievisono talvolta vittime innocenti.

3. Sostenere ed intensificare l’insegnamento nei set-tori che, data l’attuale situazione del mercato musi-cale italiano, più facilmente possono rappresentareeffettivi sbocchi professionali per gli studenti, unavolta terminati gli studi.

4. Perseguire la formazione totale degli allievi, con-vincendosi che un musicista ignorante e demotivatodifficilmente reggerà la concorrenza europea alla

quale pure occorre guardare non come ad ulteriorepericolo bensì come a stimolo per meglio operare.

5. Superare l’eccessiva burocratizzazione, che in-combe come cappa improduttiva sui Conservatori,perché essa rappresenta la morte sicura per un am-biente di studio e formazione rivolto ai giovani e cheopera in un ambito creativo come quello musicale.

StRUMENtI

1. Offrire a tutti gli studenti , nessuno escluso, imezzi necessari alla loro formazione : dagli stru-menti musicali che tante volte vediamo ‘simbolica-mente’ e ‘tragicamente’ chiusi a chiave; allabiblioteca , che deve essere sempre aperta durante iturni di lezione, con bibliotecario ( o bibliotecari, uti-lizzando qualche insegnante in sovrannumero, doveè possibile; od altri insegnanti la cui presenza in bi-blioteca, può essere utilizzata per effettuare le orenecessarie, ad oggi, per la progressione della car-riera) sempre a disposizione degli studenti ed inse-gnanti; agli strumenti di ascolto e riproduzionemusicali per la necessaria conoscenza esecutivadella musica ( l’era del compact disc non si è ancoraaperta per la discoteca del Conservatorio!).

2. La biblioteca, non è inutile insistervi, deve essererifornita e continuamente aggiornata: una scuolache non tiene alla sua biblioteca non può essereconsiderata tale. Inculcare e favorire nello studentelo studio culturale, storico e stilistico recherà van-taggi anche alla sua formazione strettamente profes-sionale.

3. Avviare forme di collaborazione con la cattedra diStoria della Musica dell’Università de L’Aquila e la So-cietà di concerti ‘ Barattelli’ per iniziative comuni. E’singolare che i seminari di musicologia, da anni pro-

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dotti da Università e Barattelli, avvengano al di fuoridel Conservatorio con conseguente scarsa parteci-pazione dei suoi allievi, quando invece proprio quellidei corsi superiori sarebbero i naturali e logici desti-natari. Li si ospitino in Conservatorio o, intanto primache ciò si possa realizzare, si programmi e disponga,facilitandola e dan-done preventiva in-formazione, lafrequenza di allievi edinsegnanti. Nel casodella ‘Barattelli’, si po-trebbe sfruttareanche l’arrivo digrandi concertisti, perpromuovere qualcheincontro con gli stu-denti dei corsi supe-riori, naturalmenteprogrammando ognicosa in anticipo, ma-gari destinando a talescopo anche qualcherisorsa finanziaria, ovenecessario.

4. Favorire, laddove ri-chiesto da singoli do-centi, la riunionesaltuaria di alcuneclassi per effettuareinsieme specifici pro-grammi di studio complementari, anche per sradi-care dalla mente degli allievi l’idea che la musica siafatta a compartimenti stagni.

5. Disporre, anche attraverso opportune disposizionidegli orari delle lezioni, il potenziamento degli inse-gnamenti di musica d’insieme, dai piccoli gruppi ca-meristici all’orchestra, non foss’altro perché solo taliformazioni costituiscono oggi di fatto degli effettivisbocchi professionali per il musicista.

6. Invitare gli insegnanti ad aprire periodicamente leporte delle loro aule di lezione, per permettere aglistudenti di materie affini un confronto fra le rispet-tive cattedre. Questi sì, sarebbero produttivi per glistudenti e gli stessi insegnanti, molto più dei saggi difine anno che, così come sono attuati, rappresentanoun’inutile, troppo lunga passerella.

7. Alla fine dell’anno si facciano pure due o tre mani-festazioni, ma non di più, riservate ai migliori allievidi tutti i corsi, specie quelli di musica d’insieme.

8. Il fondo destinato dal Ministero per il ‘Progetto diIstituto’ va impiegato altrimenti, mentre oggi si confi-

gura di fatto come ‘elemosina’ aggiuntiva allo stipen-dio. Quel fondo deve servire ad avviare nuove formedi formazione professionale per studenti ed inse-gnanti. Nulla vieta che il Collegio dei docenti destinila gran parte di quei fondi per seminari ‘intensivi’ fi-nalizzati ad una migliore formazione delle varie fa-

miglie strumentali,invitando primeparti di orchestre (per archi, legni ed ot-toni ) o concertisti diriconosciuta compe-tenza didattica,anche in funzionedella costituzionedell’Orchestra delConservatorio. Similiincontri sarebberoutili anche ai rispet-tivi docenti per ri-qualificare edaggiornare le tecni-che di insegna-mento.

9. Per conseguirequesti obiettivi oc-corre instaurare unnuovo clima fra i do-centi, oggi occupatia difendere il loro ‘or-ticello’ e sordi ad

ogni ipotesi di concreta riqualificazione generale delConservatorio; il disamore e la disattenzione, oggiserpeggianti, vanno rimossi ed il Collegio dei do-centi deve assumere nuovamente la sua funzionecentrale nella didattica, individuandone gli obiettivied indicandone i mezzi per il loro effettivo raggiun-gimento.

10. Rapporti fra direzione e docenti. Si teme chel’elettività del capo d’istituto possa costituire impe-dimento alla funzione direttiva, perché esercitabile -si paventa da qualche parte - con maggiore benevo-lenza nei riguardi dei docenti elettori. La funzione dicoordinamento e direzione che, da un lato, non puòprescindere dal rispetto fra i soggetti interessati edall’autonomia della funzione docente, dall’altrodeve fondarsi sull’osservanza scrupolosa dei doverida parte degli insegnanti, la cui verifica non può es-sere demandata del tutto ad un congegno elettro-nico, ma esercitata dal capo d’istituto che agisce inquesto caso, con determinazione ed imparzialità, inforza del prestigio e della stima che i docenti glihanno riconosciuto, eleggendolo.@

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er decenni gli scienziati hanno utilizzato strumentichimici per influenzare il comportamento cellulare.Anche in tempi moderni, la possibilità di governarela funzionalità cellulare a fini terapeutici è stata affi-data principalmente alla chimica. Tuttavia, questopunto di vista, e l’idea che la terapia di molte malat-tie dell’uomo si debba basare essenzialmente su unarmamentario chimico, sono ora profondamente indiscussione. Abbiamo precedentemente dimostratoche le cellule staminali, che hanno la capacità di tra-sformarsi virtualmente in tutti i tipi di cellule di unindividuo adulto, sono state trasformate in cellulemiocardiche, le unità contrattili del cuore, quandoesposte a campi magnetici di frequenza estrema-mente bassa (ELF-MF) (1,2). Più recentemente, ab-biamo dimostrato che l’esposizione a campiradioelettrici, convogliati con un dispositivo innova-tivo chiamato “Radio Electric Asymmetric Conveyer(REAC)”, è in grado di trasformare le cellule staminaliin cellule cardiache, nervose e del muscolo schele-trico (3,4). Inoltre, i campi radioelettrici così convo-gliati hanno agito come una sorta di “macchina deltempo” capace di “riprogrammare” cellule umaneadulte non staminali, come i fibroblasti della pelle, intipi cellulari in cui queste cellule non si sarebbero al-trimenti trasformate, come elementi cardiovascolari,neuronali e muscolari (5). Questi risultati dimostranoche il destino delle cellule staminali può essere no-tevolmente modulato da una energia fisica. In lineacon questa concezione è la nostra scoperta che lecellule sono in grado di produrre vibrazioni acusti-che. Infatti, abbiamo dimostrato e brevettato per laprima volta la capacità delle cellule di esprimere“firme vibrazionali” del loro stato di salute e dellaloro potenzialità differenziativa (6). Con l’aiuto di unmicroscopio a forza atomica (AFM), che è in grado dimisurare le strutture e le proprietà delle cellule vi-venti a livello atomico, abbiamo scoperto che ognicellula vivente produce un pattern di vibrazioni checambia a seconda del compito che la cella sta ese-

Il potere del suono

Il suono del DNAdi Carlo Ventura

Suono e Musica come veicoli di informazioni per la riprogrammazione di cellule staminali . Una nuova prospettiva per la medicina rigenerativa.

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FONèkA – RASSEGNA SULLA VOCE EIL POtERE DEL SUONO

Si è svolta in marzo al Parco della Musica diRoma la prima edizione di ‘Fonèka – Rassegnasulla voce e il potere del suono’ - ideazione e di-rezione artistica di Agata Lombardo, coprodu-zione di Musica per Roma e AssociazioneCerretum. Nel suo significato etimologico, sep-pure il termine sia di invenzione, Fonèka indi-cherebbe il suono non ancora conosciuto. Larassegna è stata innanzitutto un percorso del-l’orecchio nel senso dell’ascolto di quelle vociche riusciamo a sentire, a udire ma anche diquelle voci mute che devono ancora essere di-svelate. Si sono ascoltate le voci di artisti comeMoni Ovadia con il suo “Registro dei peccati”;del biologo molecolare Carlo Ventura e del musi-cista Bruno Oddenino che hanno esposto le lorosperimentazioni sulla riprogrammazione dellecellule staminali attraverso il suono, riconosciutoormai dalla scienza come un eccellente vettoredi informazioni; e di Alex Bertetti che ha illu-strato i paesaggi sonori dell’ambiente. La rasse-gna si è aperta con una tavola rotonda sulmeraviglioso tema della voce insieme a Saba An-glana, Moni Ovadia, Giovanni Ruoppolo e CarloBoschi.

guendo. “Sonocitologia” è il termine che abbiamo in-trodotto per identificare una nuova area di ricercabasata sul fatto che, dopo un accurato processo diamplificazione, le vibrazioni cellulari registrate conAFM possono essere trasformate in suoni udibili, for-nendo una valutazione accurata delle proprietà fun-zionali della cella (6). Sulla base di questi risultati,stiamo lavorando all’ipotesi che l’applicazione di

MUSICA & SCIENZE

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energiasonorapossa go-vernare ilprocessodi diffe-renzia-zionecellulare.In partico-lare, cistiamo fo-caliz-zandosulla pos-sibilità che suoni emessi a livello di organi del corpoumano possano racchiudere informazioni crucialiper regolare la funzionalità cellulare a livello moltosottile, molecolare, submolecolare, o anche quanti-stico. A questo proposito, stiamo collaborando atti-vamente con alcuni artisti tra cui Bruno Oddenino,Professore di Oboe presso il Conservatorio di Torinoe leader nel campo della Musicoterapia , già fonda-tore della Scuola di Alto Perfezionamento Musicaledi Saluzzo e Presidente e Direttore artistico della Fi-larmonica di Torino. Con lui stiamo esplorando l’ef-fetto prodotto dall’esposizione delle cellule staminalialla musica ed alla luce pulsata di frequenza e lun-ghezze d’onda selezionate. Insieme a musicisti e arti-sti, stiamo cercando di comprendere come la musicasia in grado di fornire informazioni alle cellule che gliScienziati possano interpretare come dinamismo disignificati del “mondo” interiore cellulare. Che la mu-sica possa toccare il cuore del nostro essere è unascoperta antica quanto la coscienza umana. Platoneintuì i poteri della musica in “Le leggi” e in altri Dialo-ghi, e non fu certo il primo. Shakespeare in alcunedelle sue opere più toccanti mise in scena l’effettoconsolatorio della musica sulle anime in difficoltà. Iguaritori di molte epoche hanno cercato di sfruttarela musica per scopi terapeutici. Ma potrà mai la mu-sica avere un posto fra la Medicina? Si sta manife-stando la nuova prospettiva di vedere Artisti eScienziati lavorare insieme guardando alle cellulecome “attori” capaci di “parlare” o “gridare”, con laconsapevolezza di come l’ascolto dei suoni emessidalle cellule possa eventualmente modificare ilmodo in cui gli Scienziati pensano alle cellule stesse,come soggetti dinamici, situati nell’ambiente e ca-paci di “esperienza”. Crediamo anche che queste collaborazioni, “unendo”Artisti e Scienziati, potranno ispirare le persone apensare alle Arti ed alla Scienza, come già intercon-nesse e rilevanti per la nostra Società, facendo sbia-dire la linea di demarcazione delle “due culture”(umanistica e scientifica), e contribuendo ad inaugu-rare una Cultura Nuova da tempo attesa - una cul-

tura dipensatoricreatividelmondodelle Artie delleScienze,che siuniscanoper com-binare leloro co-noscenzee compe-

tenze per giungere ad innovazioni, collaborazioni esoprattutto allo sviluppo di nuovi paradigmi. Pen-siamo anche che queste collaborazioni possano of-frire una nuova “visione” per l’integrazione dellaScienza in un “Territorio globale della cultura”, por-tando allo sviluppo di una nuova “Arte Sperimen-tale”, ispirata in modo autonomo dagli strumenti edai percorsi della Scienza.@

*Carlo Ventura è Professore Ordinario di BiologiaMolecolare, Scuola di Medicina, Università di Bolo-

gna. Direttore: VID, Visual Institute of Developmen-tal Sciences, Bologna, Italy; Laboratory of Molecular

Biology and Stem Cell Engineering, National Insti-tute of Biostructures and Biosystems (NIBB), Italy

Bibliografia

1. Ventura C, Maioli M, Asara Y, Santoni D, Mesirca P, Remondini D,Bersani F. (2005) Turning on stem cell cardiogenesis with extremelylow frequency magnetic fields. FASEB J 19:155-1572. Ventura C, Maioli M, Asara Y, Santoni D, Mesirca P, Remondini D,Bersani F. Turning on stem cell cardiogenesis with extremely lowfrequency magnetic fields. FASEB J express article 10.1096/.04-2695e. Published online October 26, 20043. Maioli M, Rinaldi S, Santaniello S, Castagna A, Pigliaru G, GualiniS, Fontani V, and Ventura C. Radio frequency energy loop primescardiac, neuronal, and skeletal muscle differentiation in mouse em-bryonic stem cells: a new tool for improving tissue regeneration.Cell Transplantation 2011, Sep 22. doi: 10.3727/096368911X600966.[Epub ahead of print])4. Maioli M, Rinaldi S, Santaniello S, Castagna A, Pigliaru G, DelitalaA, Bianchi F, Tremolada C, Fontani V, and Ventura C. Radio electricasymmetric conveyed fields and human adipose-derived stem cellsobtained with a non-enzymatic method and device: a novel ap-proach to pluripotency. Cell Transplantation, submitted 20125. Maioli M, Rinaldi S, Santaniello S, Castagna A, Pigliaru G, GualiniS, Cavallini C, Fontani V, and Ventura C. Radio electric conveyedfields directly reprogram human dermal-skin fibroblasts toward car-diac-, neuronal-, and skeletal muscle-like lineages. Cell Transplan-tation 2012, In press.6. Gimzewski JK, Pelling A, and Ventura C. International PublicationNumber WO 2008/105919 A2, International Publication Date 4 Sep-tember 2008. Title: Nanomechanical Characterization of Cellular Ac-tivity

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QUANDO I CONtI NON tORNANO

√ lessandro Petretto illustre cattedratico a Fi-renze, assessore nella giunta Renzi, ad un recenteconvegno fiorentino ha proposto alcuni dati. I nostriteatri producono ogni anno - egli ha detto - circa3000 spettacoli, al costo medio per ciascuno di135.000 Euro, ed impiegano 5.600 addetti. Per pro-durre 3000 spettacoli l’anno dovrebbero ciascunodei 13 teatri fare 230 alzate di sipario l’anno, mentrenon arrivano a tanto , ad esempio i teatri di Roma,Napoli, Genova, Firenze e Bari insieme(Santa cecilia,14.esima fondazione, non sappiamo dove collo-carla). Nel panorama italiano solo la Scala e La Fe-nice hanno una produzione abbastanza ricca, senzacomunque toccare la ragguardevole cifra di 230spettacoli l’anno. Allora? Allora mediamente glispettacoli d’opera dei nostri teatri costano per lomeno il doppio e forse anche il triplo. Questa è la ve-rità. Ma quali voci fanno salire di tanto il costo mediodi ogni alzata di sipario nei nostri massimi teatri,dove tuttavia è una voce importante del bilanciodelle singole fondazioni ( il 70% circa ) il costo fissodei dipendenti che, nel tempo, sono aumentati , tal-volta anche senza bisogno, ad ogni mutamento didirigenza istituzionale e politica?Sempre dai giornali apprendiamo notizie che,

lungi dal chiarirci i dati del problema, aumentano laconfusione. Cominciamo dalle dichiarazioni delcommissario del Petruzzelli di Bari, Carlo Fuortes,che si è vantato di aver portato per la stagione incorso le recite da 39 a 41, nell’intero anno; e perquasi undici mesi, i dipendenti li paga solo, senzache lavorino? Dichiara ancora che lui quest’anno facinque titoli d’opera, tutti nuovi allestimenti, perchéavendo pochi dipendenti, può spendere di più per laproduzione. Recentemente, poi, ha chiamato ungiovane direttore musicale dell’orchestra che sichiama Daniele Rustioni, e l’ha messo a capo dellanuova orchestra fatta in massima parte di giovani.Tutti giovani. Viva la gioventù. Nessuno dei suoi -visto che non lo capisce da solo - gli fa capire checosì le cose non vanno? Rustioni, a sua volta, ha di-chiarato che quando dirige all’estero ( Covent Gar-den, ad esempio) lui prende un terzo di quello chesolitamente prende in Italia. E ciò che dice non ri-guarda solo lui. Gli artisti si giustificano con il fattoche in Italia non si pagano le prove e perciò quei ca-chets che sembrano alti in realtà non lo sono perchèvanno ‘spalmati’ anche sulle giornate di prova. Dun-

que voci importanti dei bilanci dei teatri sarebbero icachets degli artisti ospiti, direttori stabili inclusi ?Oppure lo sarebbero le spese per gli allestimenti, inuna logica che vuole ogni teatro fare nuovi allesti-menti, regie trasgressive purchè costose, le unichein grado di richiamare la critica ? O le une e le altre?Dal Nuovo Carlo Felice di Genova, per bocca del suosovrintendente, Giovanni Pacor, di professione diret-tore d’orchestra, arriva una soluzione miracolosa perridurre sensibilmente il costo degli allestimenti che,a suo parere, sono quelli che incidono maggior-mente sui bilanci. Per il ‘Rigoletto’, titolo primaveriledella stagione genovese, scene, costumi ed attrezzinon sono nuovi , ma provengono dai magazzini edepositi del teatro. Una ritinteggiatura, qualche ag-giustata e via. Così facendo, a Genova risparmianoquasi il 70% del costo dell’allestimento. Cioè a diregli allestimenti vengono a costare davvero poco.Ma se si abbassano sensibilmente i costi degli allesti-menti e dei cachet , non potendosi abbassare ilcosto dei dipendenti, salvo che mandandoli a casain massa, tutti i teatri dovrebbero chiudere quantomeno in pareggio; o no? No, perché allora i sovrin-tendenti mettono mano alle casse del teatro, peraltre spese. Ad esempio, a Bari, Fuortes, forte dei risparmi delsuo esiguo personale dipendente e degli scarsi sti-pendi dei giovani strumentisti, s’è portato da Romauna squadra di suoi fedelissimi, quando avrebbe po-tuto, invece, impiegare forze capaci ed in gambadel luogo. Evidentemente, l’artefice del miracolodell’Auditorium di Roma, non ama la musica a ‘km.Zero’, ed ha trovato il modo di spendere comun-que.@

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Carlo Fuortes e Daniele Rustioni

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I pianoforti amati da Franz Liszt

Erard, mon amourdi Walter tortoreto

In Italia, due strumenti fra quelli particolarmente amati da Liszt, il Bechstein ,conservato alla Chigiana e lo Steinway del Museo della Scala. Dietro ognuno di essi c’è

una sorprendente storia, quasi d’amore. Ma più di ogni altro, Liszt amava l’Erard.

n violino di classe acquista valore con il tempo.Meno redditizio, come investimento durevole, è l’ac-quisto di un buon pianoforte, strumento più fragilee deperibile: telaio, corde, smorzi, feltri, meccanica,cavalletti eccetera, sono parti che subiscono sial’usura fatale del tempo sia gli assalti dei concertistifocosi che mettono a dura prova le parti vitali delpianoforte, a cominciare dalla tastiera. Tuttavia, unpianoforte ap-partenuto a un grande musicista èsempre uno splendido trofeo per qualsiasi museomusicale, benché non sia utilizzabile senza costantie opportuni interventi di restauro. Dire pianoforte si-gnifica dire Liszt e, infatti, al grandissimo musicistadi origini magiare è legata, assieme alla vastissimaletteratura pianistica, anche la storia di vari stru-menti appartenuti a lui o da lui suonati.Nonostante il valore di Liszt nella storia della lettera-tura pianistica e, più in generale, nella storia dellamusica, che egli contribuì ad avviare alle conquistenovecentesche con alcune sue pagine profetiche, la

bibliografia lisztiana non è ricca nella misura chemeriterebbe il compositore. Ed è una letteraturanella quale prima o poi s’inciampa nel capitolo sullaqualità della produzione lisztiana. Eppure baste-rebbe il giudizio che sulla musica di questo insigneartista ha più volte espresso un compositore rivolu-zionario come Arnold Schoenberg, per il qualemolte pagine lisztiane hanno sepolto il Romantici-smo e annunciato la musica del XX secolo. In occa-sione dei bicentenari della nascita di Chopin e diLiszt, la bibliografia sui due musicisti si è infittita esono stati pubblicati diversi libri dedicati anche allepreferenze strumentali dei due grandi pianisti. Piani-sta sommo, per unanime consenso internazionale, èovvio che a Liszt, inarrivabile concertista, fossero in-teressati i maggiori costruttori di pianoforte dell’ Ot-tocento. Le preferenze di Liszt andavano, come si sa,ai pianoforti Erard, non soltanto per le qualità intrin-seche e per la voce degli strumenti (anche Verdicomponeva su un Erard del 1850!), ma anche perchéi rapporti di Liszt con Sébastien Erard, pro-prietario

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Bechstein dell’Accademia Chigiana

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Pianoforti

della celebre fabbrica, si erano felicemente intrec-ciati fin dal 1824, allorché la famiglia Liszt approdò aParigi con il tredicenne fanciullo prodigio per con-quistare artisticamente la metropoli. La relazionecon gli Erard fu suggerita da Czerny, insegnante ementore del piccolo genio, e la cordialità degli Erardper la famigliola Liszt fu assoluta e, con il passaredegli anni, sempre più solida. Si può qui ricordareche all’indomani di questo arrivo a Parigi, Lisztchiese di entrare nel locale Conservatorio, ma il di-rettore, l’italiano Cherubini, non volle ammetterloperché straniero!… Il giovanissimo Liszt, che si sot-toponeva quotidianamente a esercizi molto accortiper conseguire un’assoluta perfezione tecnica, su-però l’avvilimento per il diniego subìto, consultandogli allievi del Conservatorio che si perfezionavanocon il celebre Kalkbrenner.Erard impegnò Liszt come protagonista di una stra-ordinaria intesa artistica che si rivelò commercial-mente assai fruttuosa. Tuttavia, maturando con glianni, il concertista ineguagliabile avvertì il fascinoanche di altri strumenti di pregio. Per esempio, nel1846 tra il pianista e la casa Steingraeber di Bayreuthsi stabilì un legame occasionale che qualche annodopo diventò collaborazione. Nel 1846 EduardSteingraeber, giovane tecnico della casa vienneseStrei-cher, fu incaricato da Erard di assistere Lisztnelle tournées per preparare i pianoforti tra i quali ilmusicista avrebbe scelto lo strumento per il con-certo. Le osservazioni del pianista erano più preziosedi un oracolo per il giovane tecnico sia per prepararegli strumenti sia per la concezione di una sonoritàpianistica sempre meno sontuosa e densa e più cri-stallina. Verso l’inizio del 1870 Liszt tornò a frequen-tare Eduard poiché, in occasione dei Festival diBayreuth, suonò più volte sugli strumenti della dittaSteingraeber, operante a Bayreuth. Conquistatodalla loro sonorità, ordinò per sé un pianoforte delladitta, tra le più impegnate a lavorare sulla tavola ar-monica per modificare la composizione delle armo-niche e per ottenere un suono puro, essenziale,qua-si spirituale, prossimo a quello che Liszt conce-piva in quel periodo. Infatti il suono dello Steingrae-ber, sottile e cristallino, ma continuo e dalleparticolari risonanze armoniche, si affacciava alle so-norità del Novecento e costituì la tavolozza sonoraidea-le per le musiche dell’ultimo Liszt orientate aun decostruttivismo asciutto e antiretorico.Durantele cerimonie del duecentesimo anniversario dellanascita di Liszt, il suo Steingraeber del 1877 è statoesposto per alcune settimane nel ConservatorioVerdi di Torino. Invece a Siena si è potuto ammirare il Bechstein ber-linese acquistato da Liszt nell’estate del 1860 (laditta era nata da poco) e portato da Weimar a Romal’anno seguente. Il fondatore della ditta, che avevalavorato per i berlinesi Perau, in pochi anni conqui-

stò un prestigio internazionale anche grazie alla col-laborazione di Hans von Bülow, uno dei migliori al-lievi di Liszt e, dal 1857, anche suo genero. Bülowaveva suonato su un Bechstein la poderosa ‘Sonatain si minore’ scritta da Liszt nel 1852 e dovette parlarbene a Liszt della ditta e dei suoi strumenti. Dagli ar-chivi della fabbrica risulta che l’8 settembre 1860 fuspedito a Weimar per Liszt un modello par-ticolare, ilKonzertflügel (n.247), diverso dagli altri nella ‘tavola’e nel “mantello”. Alla morte di Liszt, lo strumento fudonato a Giovanni Sgambati, l’allievo italiano piùapprezzato dal Maestro che in lui vedeva il composi-tore idoneo a ridestare in Italia l’interesse per la mu-sica strumentale. Morto Sgambati, il Bechstein n.247fu acquistato da un ingegnere romano, Roberto Al-magià, amico del conte Chigi, fondatore dell’Accade-mia chigiana. Almagià aveva acquistato ilpreziosissimo strumento per sua moglie pianista, manel 1938 lo donò alla Chigiana. Restaurato nel 2011,il Bech-stein fu utilizzato in un concerto senese diMichele Campanella inciso per la Brilliant Classics. Inquell’occasione Campanella presentò anche un suolibro intitolato ‘Il mio Liszt’. Su un’etichetta a stampaapplicata dentro il pianoforte dalla Bechstein, si leg-ge: “Questo pianoforte fu spedito nell’anno 1860 alSignor Dr. Franz Liszt a Weimar e da lì trasferito aRoma, dove fu utilizzato dal Maestro fino alla suamorte. C. Bech-stein”. Benché sia difficile oggi capireesattamente il “problema suono” di questi pianofortiottocenteschi, non mancano elementi per farseneun’idea, non perfetta ma convincente. Così Chopin,che durante gli anni giovanili suonava abitualmenteun pianoforte Bucholz (strumento usato anche aVarsavia il 17 marzo 1830, alla prima del Concerto infa minore, con esiti acusticamente discutibili), prefe-riva i Pleyel per il senso di intimità e la sonorità ele-gante; ed è noto il suo giudizio scritto all’amico TitoWoycie-chowski: «Quando non sono perfettamentein forma, preferisco il pianoforte Érard che mi garan-tisce un suono già fatto; quando sto bene e abba-stanza in forze per cercare il mio suono, mi servo delPleyel». Chopin aveva tenuto il suo primo concertopa-rigino su un Pleyel, suonando tra l’altro il ‘Con-certo in fa minore’, il 26 febbraio 1832; poco dopo,scrisse all’amico Tito di aver visitato la ditta Pleyel edi averci trovato i pianoforti migliori del mondo. Tra iPleyel e gli Erard le caratteristiche sonore erano ov-viamente diverse, ma la differenza più vistosa erache il Pleyel, costruito se-condo le tecniche artigia-nali degli inglesi, non aveva il doppio scappamento.Delle serate parigine con Chopin, Liszt scrisse tra l’al-tro: «Il suo appartamento, invaso di sorpresa, era illu-minato solo da alcune candele, tutte attorno alpianoforte Pleyel, che egli amava particolarmenteper la sua sonorità argentina ma leggermente ve-lata, e il suo tocco facile, che gli permetteva di trarredallo strumento suoni che sembravano provenire da

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una di quelle armoniche di cui la romantica Germa-nia ha preservato il monopolio, e che sono state cosìingegnosamente costruite dai suoi antichi maestri,unendo l’acqua col cristallo». Con la felice metaforadel matrimonio tra cristallo e acqua, Liszt si riferisceai suoni acuti; quelli bassi e tenorili erano invecepieni, quasi tonanti, al punto che nelle copie delleopere mandate agli editori tedeschi Chopin abbon-dava nelle indicazioni di pedale, al contrario moltopiù sobrie nelle copie per l’editore francese. Eranostrumenti già evoluti sotto il profilo tecnico. Nel1824, quando Liszt comincia-va a sbalordire il pub-blico parigino, il ‘Moniteur Universel’ scriveva a pro-posito dell’Erard usato nel concerto: “La tastiera èpiù flessibile di qualunque altra e i suoni hanno unaforza, un’uniformità e una purezza altrettanto ammi-revoli”. Sul ‘Journal des Débats’ si poteva leggere uncommento anche più tecnico: “Questo strumentounisce i vantaggi dei pianoforti a scappamento esenza scappamento; il tasto parla in tutte le posi-zioni in cui si trova, e non è affatto necessario la-sciarlo risalire per trarne suoni nuovi. Questo agio,questa prontezza, sono del massimo valore per laperfezione del trillo e un’infinità di passaggi che ri-chiedono un’esecuzione delicata e leggera. Questascoperta è importante per il pianoforte quantoquella del doppio movimento lo è stato per l’arpa; èun problema che il talento del Signor SébastienErard ha appena risolto, e di cui i pianisti saprannoapprezzare conseguenze e vantaggi”.Liszt possedette anche uno dei primi Steinway, ungran coda (C-227 n.49382), oggi al Museo dellaScala, inviato a Liszt per mostrargli l’eccellente livelloraggiunto dalla ditta. Il giudizio dell’anziano musici-sta fu lusinghiero: “grandioso capolavoro di for-za, disonorità, di qualità di canto e di effetti armonici per-fetti”. La storia di questo Steinway è curiosa. Tenutoinizialmente nella dimora della baronessa Olga vonMeyendorff, fu poi offertoda Liszt come dono di nozzealla sua nipote prediletta,Daniela Senta von Bülow,prima figlia di Cosima, vis-suta però nella casa di Wa-gner. Qualche anno dopo lamorte di Wagner, Danielavisse perlopiù in Italia, nellavilla Cargnacco sul lago diGarda; il marito di Daniela,Henry Thode, l’aveva acqui-stata dagli eredi Wimmer l’8marzo 1910 dopo intermina-bili dibattiti con Daniela,contra-ria all’acquisto eormai sofferente di paranoiae spesso ricoverata in case dicura. Daniela aveva sposato

il 1° luglio 1886 Henry Thode, insigne studioso e cri-tico d’arte, innamorato dell’arte italiana, professoreall’Università di Heidelberg, autore di volumi fonda-mentali su Michelangelo e la fine del Rinascimento.Intorno al 1910 Thode aveva cominciato a frequen-tare la violinista Hertha Tegner, figlia di un magi-strato di Copenaghen. La relazione portò alla rotturacon la famiglia Wagner, al divorzio con Daniela (26giugno 1914) e al matrimonio con la musicista. AVilla Cargnacco, Henry e Daniela avevano portato ar-redi, cimeli, tra i quali spiccava lo Steinway di Liszt, epiù di seimila libri quasi tutti d’arte o di musica (ogginella Sala del Mappamondo e nella Stanza del Ma-scheraio del Vittoriale). Il 24 maggio 1914 l’Italiaentrò in guerra con l’Austria; i coniugi Thode, dichia-rati “persone non gradite”, abbandonarono in tuttafretta la villa lasciandovi un patrimonio di valore ine-stimabile. Gabriele d’Annunzio acquistò la proprietàrequisita dallo Stato italiano il 31 ottobre 1921 e ladonò allo Stato nel dicembre 1923. Thode, HerthaTegner e soprattutto Daniela Senta tentarono piùvolte, sempre inutilmente, di riavere i cimeli più im-portanti, tra i quali il pianoforte sul quale suonavaspesso Luisa Baccara, la pianista che viveva con ilVate. La vicenda si trascinò a lungo; d’Annunziochiese anche l’intervento di Mussolini, poiché il Vit-toriale era diventato patrimonio della Nazione, e lastampa s’impadronì della storia, in particolare allor-ché la Bülow ricorse al tribunale. Dopo la morte did’Annunzio la battaglia legale fu vinta da Daniela, laquale, riavuto lo Steinway C-227 n.49382 del nonno,lo donò al Museo del Teatro alla Scala. Restauratocon un intervento integrale (estetico e tecnico-fun-zionale) in occasione dei festeggiamenti lisztiani, ilpreziosissimo strumento, presentato alla stampa il10 ottobre 2011 nella Sala Eventi, è tornato a suo-nare sotto le dita di Michele Campanella. SecondoCampanella “conoscere i pianoforti di Liszt non è sol-

tanto un esercizio filolo-gico: il lungo percorsomusicale di Franz Liszt èparallelo allo sviluppodel pianoforte cosìcome noi lo intendiamooggi. Il valore della mu-sica di Liszt risiede prin-cipalmente nellacreazione del suono e disuoni. Ben venga dun-que un restauro che re-stituisca alle nostreorecchie la possibilità diascoltare una realtà chedalla storia degli stru-menti musicali passa aquella della musica”.@

Steinway del Museo della Scala

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Fogli d’Album

PER EVItARE IL COLLASSO DELLOSPEttACOLO. UNA MODEStA PROPOStA

sattamente due settimane prima delle elezioni difebbraio, il ministro fantasma Lorenzo Ornaghi, an-nunciava il taglio, ulteriore, al FUS per il 2013, previ-sto in 389 milioni di Euro, 22 in meno rispetto al FUSdel 2012. Mentre restava invariato lo spacchetta-mento delle quote per i vari settori - alle fondazionilirico-sinfoniche sarebbe andato il 47% dell’ammon-tare complessivo che riduceva di 10 milioni circa ladotazione dello scorso anno. E il ministro – in stilePonzio Pilato – si lavava le mani, senza protestare,dicendo che tale ulteriore decurtazione, che metteràa repentaglio lo svolgimento di chissà quante atti-vità nel nostro paese, era conseguenza diretta della‘spending rewiew’ e della sentenza della Consultache dichiarava non potersi ‘toccare’ gli stipendi deidirigenti pubblici. Mentre i finanziamenti ‘produttivi’(quante volte abbiamo riportato, invano, i risultati diindagini sulla redditività del settore della cultura inItalia che vale oltre 70 miliardi di Euro, impiega 1,5milioni di addetti e contribuisce e rappresenta il 4,6% del PIL?) al mondo della cultura e dello spettacolo,quelli sì. Sempre la Consulta aveva espresso ancoraparere sfavorevole alla decurtazione degli stipendidei magistrati, sentenziando che la congruità di talistipendi era garanzia dell’indipendenza della magi-stratura; come a dire che quanti vengono trattaticome figliastri dallo Stato, per esempio gli inse-gnanti, non è necessario che siano indipendenti.Insomma se allo spettacolo – che non è la discoteca,il pub, il piano bar, il night club, serve ricordarlo apolitici analfabeti – bensì l’opera, il concerto, il tea-tro, la danza ma anche il jazz e la musica popolareecc.. si tagliano i finanziamenti, una qualche colpa -ce lo dice anche la Consulta e il Governo - l’hanno ilauti stipendi del palazzo, a cominciare dai suoi reg-gitori, e scendendo man mano ai frequentatori abi-tuali, ai servitori, perchè avere a che fare con lapolitica, vuol dire stipulare una assicurazione sullavita, senza che l’assicurato paghi il corrispondentepremio . Mentre è evidente a chiunque che si trattadi privilegi immeritati, autentici soprusi, che chi ha ilpotere ha compiuto fraudolentemente; la casta ed isuoi difensori, non disinteressati, parlano di ‘diritti

acquisiti’, e dunque intoccabili , anche in situazioni diparticolare difficoltà. No. E’ giunta l’ora di mettere lemani anche nelle loro tasche: riduzione della casta,dei suoi stipendi, dei privilegi (dalle macchine blu,via via a tutti gli altri privilegi e benefit), dei vitalizi.Argomenti dei quali nell’ultimo anno di legislatura siè continuamente parlato, senza giungere mai ad unadecisione. Ora siamo al punto in cui la casta ed i suoiservitori devono dare a quello Stato dal qualehanno sempre preso e preteso, immeritatamente.Non possiamo esser ancora una volta noi tutti a ti-rare fuori i soldi, con l’aumento della benzina e conaltri furti di Stato. Tocca a loro salvare quella cultura,il nostro melodramma innanzitutto, alla quale a pa-role dicono di tenere come teniamo noi, ed al cuimantenimento non hanno contribuito mai neanchecon un Euro, come, invece, abbiamo fatto noi tantevolte. In fondo 200 milioni circa di Euro – a quantoammonta oggi lo scarno finanziamento statale allefondazioni liriche - non sono tanti. Da dove pren-derli? Due soli esempi: l’on. Amato che ha una pen-sione da nababbo, chiamato da Monti perindividuare i settori nei quali operare tagli onde ri-durre la spesa pubblica, cominci a tagliare il suo vita-lizio oltre che il suo stipendio. Lo faccia ancheScalfari, già deputato e, di conseguenza, beneficia-rio di un vitalizio da decenni, come riferiva il setti-manale L’Espresso qualche anno fa. Servono queisoldi al giornalista-imprenditore-filosofo o al ‘dottorsottile’, e a quei settantamila italiani circa che hannopensioni per le quali non hanno mai versato i relativie congrui contributi che, solo, potrebbero giustifi-carle, come si chiede, invece, a milioni di cittadini ?Nessuno dei destinatari di tali trattamenti speciali edi vitalizi ingiustificati finirà a fare il barbone, siamosicuri! Il Governo appena eletto decida di darci untaglio! Lo farà? Non lascia ben sperare il fatto che innessuno dei programmi elettorali del vari schiera-menti compariva anche una sola volta la parola: cul-tura. (P.A.)

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a nostra storia ebbe inizio la sera del 6 maggio1987 nella Chiesa della Pietà dei Turchini di Napoli(detta “Incoronatella”) per la Stagione dell’Associa-zione Polifonica con la prima esecuzione moderna‘La Colomba Ferita Opera Sacra di S. Rosalia’ di Fran-cesco Provenzale. Fin dagli anni di studio al Conser-vatorio di Bari, con Nino Rota e con FrancescoD’Avalos, avevo istintivamente prediletto la musicapreclassica e poi avevo avuto il battesimo nelmondo teatrale collaborando alle fortunate ripresedel capolavoro di Roberto De Simone ‘La gatta cene-rentola’. Avevo a lungo suonato in formazioni came-ristiche tra gli altri con Rinaldo Alessandrini alcembalo e la voce inimitabile di Pino De Vittorio,quest’ultimo rimasto un pilastro della mia attività dadirettore. Il gruppo del 1987 era stato da me costi-tuito con giovanissimi allievi del Conservatorio cheavevo convintoad intrapren-dere lo studiodegli strumentistorici, concorde di bu-dello e prassiadeguata. Ilnome di ‘Tur-chini’ (peraltroall’esordio nellachiesa omo-nima) richia-

mava idealmente il più importante dei quattro con-servatori di musica attivi a Napoli fin dal primo Sei-cento, dove si formarono migliaia di professionistiche distribuirono, fino alle soglie dell’Ottocento, ilfrutto straordinario di quella ‘scuola’ in tutto ilmondo. La veste turchina da cui prendevano il nomegli allievi del Conservatorio non c’era, ma lo spirito dirigore e di entusiasmo erano gli stessi di tre secoliprima. Fino a quel 1987 il nome dell’autore della ‘Co-lomba ferita’ (un vero melodramma napoletano del1670, anche se di argomento spirituale, con tanto dipersonaggi comici che cantano in napoletano), Fran-cesco Provenzale, era noto soltanto per qualche ra-pido cenno nei manuali di storia della musica e nelleenciclopedie. Studiando le sue composizioni super-stiti, conservate nella biblioteca del Conservatorio diNapoli, ritrovai, impegnato ad esaminare le stesseantiche carte il musicologo Dinko Fabris; creammoun progetto di ricerca in comune che non abbiamo

mai più abban-donato. Oggipossiamo direcon orgoglio chequasi tutta lamusica di Pro-venzale è statada noi studiata eincisa dai Tur-chini e il suonome è ricono-sciuto universal-

Musica a Napoli

Il racconto dei primi 25 anni dei turchini di Napoli

Ci hanno sfilato laveste turchina

di Antonio Florio

Fondata nel 1987, la Cappella della Pietà dei Turchini, portata a notorietà internazio-nale con programmi rari, produzioni di opere e oltre 40 incisioni discografiche, è dive-

nuta l’emblema della riscoperta della musica napoletana tra il Quattrocento el’Ottocento. Il suo fondatore ripercorre le tappe principali dei 25 anni del complesso, in

occasione della Mostra dedicatagli, a Napoli, da “’Na Musica” in collaborazione colTeatro di San Carlo.

L

Antonio Florio

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mente come quello del più importante musicista at-tivo a Napoli prima dell’arrivo di Alessandro Scarlatti(nel 1683) e soprattutto maestro diretto o indirettodi tutti i grandi compositori della Napoli settecente-sca. Accanto a Provenzale, ecco venir fuori dagli scaf-fali delle biblioteche del Conservatorio e deiGirolamini di Napoli e poi da tante bibliotechesparse per il mondo, i ‘tesori di Napoli’: cominciano irecuperi di Sabino, Salvatore, Netti, Caresana, Vene-ziano, Leo, Jommelli, Vinci, Latilla, Paisiello. A voltecon incursioni nel passato (villanelle del 500 con Pa-trizia Bovi e gli amici di Micrologus) o nell’età roman-tica (‘Le salon napolitain’). Guardando indietro vedo scorrere come in un filmd’avventura la riscoperta esaltante. Accanto agli stu-denti na-poletaniconvertitialla musicaantica, co-mincianoad arrivarebravissimimusicistida tuttaItalia edall’estero,che arric-chisconol’espe-rienza deiTurchini eaiutano adadeguarciai livelli in-ternazio-nali. Moltidi loro re-sterannostabil-mente inorganico fino ai nostri giorni. Per iniziativa di Vin-cenzo De Gregorio ed Eugenio Ottieri, sempre conDinko Fabris al fianco, nel 1988 è già possibile lacreazione del primo ‘Centro di Musica Antica’ in Ita-lia, sul modello del ‘Centre de Musique Baroque’ diVersailles appena fondato in Francia, nella chiesettadi Santa Maria Ancillarum (che darà il nome al Cen-tro) nel pieno centro storico e con concerti indimen-ticabili nella sbalorditiva cappella di Santa Restitutanel duomo di Napoli, a San Giacomo degli Spagnoli,alla Pietrasanta, a Portici e in tanti altri luoghi di pro-fonda suggestione. Nel 1991 esce il primo CD per laetichetta italiana Symphonia, dedicato alla ricostru-zione di un Vespro napoletano del 1631 per SanGennaro, e contemporaneamente parte un ambi-zioso progetto di ricerca e riesecuzione intitolato ‘In-

torno allo Stabat’, inteso a contestualizzare la celebrepagina di Pergolesi in una antica e solida tradizionedi maestri della ‘scuola napoletana’, progetto checoinvolse una équipe di ricerca diretta da FrancescoDegrada. Gli anni ‘90 sono stati certamente per noi Turchini ilperiodo dell’ affermazione internazionale, dopo labuona fama e i primi premi guadagnati dai primi 7CD prodotti inizialmente da Symphonia (è in corsouna ristampa per Glossa). La svolta avvenne nel 1996quando l’etichetta discografica di nicchia OPUS 111,fondata da poco a Parigi da Yolanta Skura, ci affidòuna collana destinata a un successo planetario chechiamammo ‘Les Trésors de Naples’, con la consu-lenza musicologica di Dinko Fabris. Nello stesso

tempo sigettaronole basi perla crea-zione di unnuovo epiù ambi-zioso ‘Cen-tro diMusica An-tica’ di Na-poli, allorauna utopiaquasi im-pensabileper l’Italia,dove la mu-sica anticaancorastentava adattecchire.Una straor-dinaria per-sonalitàdella cul-tura napo-

letana che ricordo sempre con affetto, GiuseppeCastaldo, nominato Commissario dell’Ente Morale‘Conservatorio della Solitaria’, presso la chiesa diSanta Caterina da Siena nei Quartieri Spagnoli, mipropose di affidarci la chiesa ed una parte dell’an-nesso monastero per crearvi una attività di produ-zione e didattica musicale di livello internazionale.Nacque così il ‘Centro di Musica Antica Pietà dei Tur-chini’ (che, si badi bene, volle accogliere nel nome lapreesistente denominazione del complesso) con unprogetto coordinato da me per la parte artistica, daFabris per quella musicologica e da Federica Ca-staldo per la storia dello spettacolo barocco. Altrepersonalità cominciarono ad essere coinvolte nellaprogettazione delle attività sempre più internazio-nali del neonato Centro, dallo storico del teatro

Cappella della Pietà dei Turchini

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Franco Carmelo Greco al musicologo Francesco De-grada. Più tardi, numerosi altri studiosi e artisti di-vennero ospiti fissi della struttura, che si proponevalo studio comparato della musica e dello spettacoloa Napoli dal punto di vista artistico-esecutivo e sto-rico-filologico: un esperimento mai prima tentato inItalia e ancor oggi molto raro nel mondo. Anche grazie ai successi internazionali dei CD pro-dotti da Opus 111, le attività interdisciplinari deiTurchini nel ‘Centro di Musica Antica’ attirarono l’at-tenzione di critici, televisioni e media di diversipaesi. Nel 1998 fu realizzato un primo film per la retefranco-tedesca ARTE, che vinse anche il premio Une-sco, e i successi a livello planetario si moltiplicarono:invitati da Abbado alla Berliner Philarmonie; ospitiabituali di sale prestigiose a Vienna, Barcellona, Sivi-glia, Bruxelles, o di festival in diversi continenti;mentre il nostro repertorio si ampliavacostantemente con l’inserimento di opere barocchedi autori napoletani, mai eseguite prima o dimenti-cate. Dopo una fortunata serie ‘Provenzale’, a Pa-lermo nei primi anni’90, proprio a partire dal 1996 – annus mirabilis – ab-biamo prodotto per la stagione lirica di Bari primedella ‘Stellidaura’ di Provenzale, della ‘Finta came-riera’ di Latilla, degli ‘Ziti ‘n galera’ di Vinci, tutti capo-lavori assoluti della storia della musica, poi ripresi inautonome produzioni con gli stessi Turchini a Ro-yaumont, Beaune, Cité de la Musique, e cosi via.Questa vocazione particolare per dare nuova vita acapolavori del teatro musicale dimenticati, si è in-tensificata negli anni, contando riprese di titoliormai divenuti celebri, dalla ‘Partenope’ di Vinci ad’Alidoro’ di Leo, passando per ‘Dido and Aeneas’ diPurcell, ‘Ottavia restituita al trono’, prima opera diDomenico Scarlatti, ‘Aci Galatea e Polifemo’ serenata“napoletana” di Händel e altri (alcuni sono diventatiDVD, editi da Dynamic). L’unico rammarico resta lastrana reticenza proprio del Teatro San Carlo di Na-poli ad accettare in car-tellone titoli operisticicosì significativi per lapropria stessa storia, alcontrario di tanti teatridi tutto il mondo. Incompenso il nostrogruppo ha davvero visi-tato ogni angolo delglobo come ambascia-tori della antica musicanapoletana: dalla Cinae Giappone a tutte leAmeriche, Nord Africa eMedio Oriente, oltre airipetuti giri in Europa. Ei dischi, ormai oltre 40,continuano ad uscire

per la coraggiosa casa spagnola Glossa, con cui ini-zieremo presto un nuovo entusiasmante progettomusicologico e artistico dedicato ai viaggi deigrandi cantanti dal Seicento all’Ottocento, a comin-ciare da un libro-CD dedicato a ‘I viaggi di Faustina’(la Bordoni Hasse) nel 2013.Dinko Fabris, nel catalogo della nostra mostra per i25 anni dei Turchini ha scritto:“come molte belle sto-rie d’amore, anche la irripetibile ed entusiasmanteepopea dei Turchini al ‘Centro di Musica Antica’ eradestinata ad affievolirsi e poi consumarsi.” Dopo chelui si dimise dal ruolo di consulente scientifico, dal2010 ho anch’io abbandonato la direzione artisticadel Centro che avevo ricoperto fin dalla fondazionee con me sono fuoriusciti tutti i musicisti che ave-vano intanto formato l’Orchestra Barocca ‘FrancescoProvenzale’, di cui è presidente Rosario Di Meglio,violista dei Turchini e mio collaboratore prezioso findalla creazione del gruppo. Le divergenze su que-stioni delicate legate alla vita amministrativa e allescelte di fondo della struttura, trasformata in Fonda-zione e allontanatasi fortemente dalla linea di puraricerca artistica che avevamo tracciato alle origini,hanno portato a questa scelta sofferta ma necessa-ria. Siamo rimasti stupefatti invece dalla reazionedegli attuali amministratori del Centro Musica An-tica, che continua a chiamarsi “Pietà dei Turchini” puressendo fuoriuscita l’intera orchestra, i quali hannointentato una azione legale per impedirmi di chia-mare ‘Turchini’ il complesso da me fondato 25 annifa e conosciuto con questo nome in tutto il mondo.Nonostante l’amarezza, abbiamo deciso di rifondareil gruppo con apposito statuto e atto costitutivo colnome rinnovato in ‘I Turchini di Antonio Florio’ (pre-sidente è il noto critico musicale spagnolo JuanAngel Vela Del Campo, da sempre un fan dei Tur-chini), proprio per non creare ambiguità con l’at-tuale ‘Centro di Musica Antica’ di Napoli, che tuttavianon vuole desistere dalle azioni legali. La mia rispo-

sta è soltanto una: con-tinuare con i compagnidi sempre a fare umil-mente ricerca, studiaree riscoprire ancora tanti‘tesori di Napoli’ da farconoscere almondo…@

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Biblioteca dei Girolamini

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Art.50. Dell'istruzione pubblicaPer ogni gente di nobile origine la cultura è la piú lu-minosa delle armi lunghe. Per la gente adriatica, disecolo in secolo costretta a una lotta senza treguacontro l'usurpatore incolto, essa è piú che un'arme:è una potenza indomabile come il dirittoe come la fede. Per il popolo di Fiume, nell'atto me-desimo della sua rinascita a libertà, diviene il piú ef-ficace strumento di salute e di fortuna sopra l'insidiaestranea che da secoli la stringe. La cultura è l'aroma

contro le corruzioni. La cultura è la saldezza controle deformazioni. Sul Carnaro di Dante il culto dellalingua di Dante è appunto il rispetto e la custodia diciò che in tutti i tempi fu considerato come il piúprezioso tesoro dei popoli, come la piú alta testimo-nianza della loro nobiltà originaria, come l'indice su-premo del loro sentimento di dominazione morale.La dominazione morale è la necessità guerriera delnuovo Stato. L'esaltazione delle belleidee umane sorge dalla sua volontà di vittoria. Men-

DOCUMENTI

Omaggio al Vate

Disegno di un nuovo ordinamento dello Stato libero. Costituzione di Fiume - Carta del Carnaro 1918

di Gabriele d’Annunzio

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tre compisce la sua unità, mentre conquista la sua li-bertà, mentre instaura la sua giustizia, il nuovo Statodeve sopra tutti i suoi propositi proporsi di difen-dere conservare propugnare la sua unità la sualibertà la sua giustizia nella regione dello spirito.Roma deve qui essere presente nella sua cultura.L'Italia deve qui essere presente nella sua cultura. Ilritmo romano, il ritmo fatale del compimento, devericondurre su le vie consolari l'altra stirpe inquietache s'illude di poter cancellare le grandi vestigia e dipoter falsare la grande storia.Nella terra di specie latina, nella terra smossa dal vo-mere latino, l'altra stirpe sarà foggiata o prima o poidallo spirito creatore della latinità: il quale non è senon una disciplinata armonia di tutte quelle forzeche concorrono alla formazione dell'uomolibero. Qui si forma l'uomo libero. E qui si prepara ilregno dello spirito, pur nellosforzo del lavoro e nel-l'acredine del traffico. Per ciò la Reggenza italianadel Carnaro pone alla sommità delle sue leggi la cul-tura del popolo; fonda sul patrimonio della grandecultura latina il suo patrimonio.

Art. 64. Della musicaNella Reggenza italiana del Carnaro la Musica è unaistituzione religiosa e sociale. Ogni mille anni, ogniduemila anni sorge dalla profondità del popolo uninno e si perpetua. Un grande popolo non è soltantoquello che crea il suo Dio a sua somiglianza maquello che anche crea il suo inno per il suo Dio. Seogni rinascita d' una gente nobile è uno sforzo lirico,se ogni sentimento unanime e creatore è una po-tenza lirica, se ogni ordine nuovo è un ordine liriconel senso vigoroso e impetuoso della parola, la Mu-sica considerata come linguaggio rituale è l'esalta-trice dell'atto di vita, dell'opera di vita. Non sembrache la grande Musica annunzi ogni volta alla molti-tudine intenta e ansiosa il regno dello spirito? Ilregno dello spirito umano non è cominciato ancora."Quando la materia operante su la materia potràtener vece delle braccia dell'uomo, allora lo spiritocomincerà a intravedere l'aurora della sua libertà"disse un uomo adriatico, un uomo dalmatico: ilcieco veggente di Sebenico.Come il grido del gallo eccita l'alba, la musica eccital'aurora, quell'aurora. Intanto negli strumenti del la-voro e del lucro e del gioco, nelle macchine frago-rose che anch' esse obbediscono al ritmo esattocome la poesia, la Musica trova i suoimovimenti e le sue pienezze. Delle sue pause è for-mato il silenzio della decima Corporazione.

Art.65. Sono istituiti in tutti i Comuni della Reggenza corpicorali e corpi istrumentali con sovvenzione delloStato. Nella città di Fiume al collegio degli Edili è

commessa l'edificazione di una Rotonda capace dialmeno diecimila uditori, fornita di gradinatecomode per il popolo e d'una vasta fossa per l'or-chestra e per il coro. Le grandi celebrazioni corali eorchestrali sono totalmente gratuite come dai padridella Chiesa é detto delle grazie di Dio.@

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Neologismi da genocidio

Musica concentrazionariadi Francesco Lotoro

L’attività artistico-musicale nei lager e nei campi di prigionia è da considerarsi fonda-mentale per la cultura e l’arte del Ventesimo secolo, come confermano, ogni giorno,nuovi studi e recenti scoperte. Racconta questa immane tragedia umana ed il suo stra-ordinario lascito artistico il più noto studioso della materia.

iscriminazione, persecuzione, prigionia, depor-tazione e uccisione di musicisti durante la SecondaGuerra Mondiale per ragioni pseudo razziali, politi-che, sociali o connesse allo status bellico furonoeventi drammatici ed epocali anche per la cultura eper l’arte, oltre che per la civiltà; in pochi anni scom-parve una intera generazione di compositori, diret-tori d’orchestra, solisti e virtuosi, jazzisti e ancheuomini di spettacolo. E l’attività artistico-musicalenei lager è da considerarsi pietra angolare della cul-tura e letteratura del Ventesimo secolo: il consessointernazionale ne ha recentemente preso definitivacoscienza.

È uso dire che l’Europa collassò ad Auschwitz (lager)e ripartì da Norimberga (processo). Affermazione ef-ficace ma lacunosa; perché i popoli più paneuropeiche hanno cementato con la loro musica un’ Europaprofondamente diversa da quella che noi cono-sciamo furono quello ebraico e quello Romanès,ossia gli unici ad essere condotti nei Campi di ster-minio.A quei tempi Madrid e Budapest non avevano nullain comune, dalla lingua ai costumi; ma in entrambele città c’era il musicista Rom che suonava sottocasa; sebbene le nazioni slavofone e germanofonefossero divise da remore storiche e rivendicazioniterritoriali, dal Mar Baltico al Mar Nero, passando per

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Prussia, Lituania e Bielorussia, si poteva parlare ecantare in un'unica lingua: lo jiddish.Dal 1940 al 1945 Theresienstadt e lo Zigeunerlagerdi Auschwitz furono baluardi della cultura musicaledi ebrei e Rom; i loro musicisti scrissero, crearono,eseguirono e cantarono nei lager l'ultima paginamusicale di un secolo consumatosi prematura-mente.A Theresienstadt grandi musicisti toccarono verticiassoluti di creatività musicale; e, anche prescin-dendo da quale e quanta musica scrissero, forgia-rono un pensiero musicale, delinearono ineditisentieri e linguaggi che resero Theresienstadt croce-via della musica contemporanea. L’elenco dei musi-cisti e delle loro opere è oggi in parte noto. Qualchecuriosità, emersa da studi recenti, relativa anche amusicisti italiani deportati. A Les Milles, Max Schle-singer scrisse nel 1939 l’inno del Campo sulla co-lonna sonora di ‘Biancaneve e i sette Nani’ di WaltDisney; ‘La Favola di Natale’ per narratore, coro ma-schile e orchestra di Giovannino Guareschi e ArturoCoppola e ‘Cantico delle Creature’ per soli, coro ma-schile e orchestra di Pietro Maggioli furono scrittepresso lo Stalag XB Sandbostel; il ‘Concerto spiri-tuale’ per violoncello e orchestra di Giuseppe Selmifu scritto a Tarnopol; e i ‘Lagerlieder’ per pianoforte a4 mani di Gino Marinuzzi jr. furono scritti a Ludwig-shafen am Rhein. Tutta questa musica si è soliti defi-nire ‘concentrazionaria’, neologismo tragico machiaro. Ma ‘concentrazionaria’ è anche la musicascritta nei penitenziari sottoposti ad autorità occu-pante. Come ‘concentrazionaria’, è anche la musicaobbligata, scritta o eseguita su ordine delle autoritàtedesche. E la musica degli ufficiali della Wermachtnei POW Camps aperti dagli Alleati nel Nord Reno–Westfalia, Renania–Palatinato, Baden–Württemberg,Baviera esul suolofrancese,britannico,statuni-tense, ca-nadese esovietico?Anchequesta vaannove-rata nellamusica‘concentra-zionaria’; ead essa vadato il me-desimo ri-spettointellet-tuale della

restante produzione musicale nei lager: la creativitàmusicale va studiata ed eseguita, a prescindere dallabiografia, dal pensiero e da altri elementi relativiagli autori. La produzione musicale ‘concentraziona-ria’ è fortemente trasversale e capace di coinvolgereuomini, contesti e situazioni geograficamente e sto-ricamente distanti tra loro. In linea generale nessuno costringeva i musicisti de-portati a fare o scrivere musica. Fatte le dovute ecce-zioni, il musicista creava a prescindere dal contestoumano e logistico e la musica era frutto di espres-sione creativa non ostacolata poiché fare musicaproduceva distensione psicologica, stemperava at-triti e tensioni tra deportati e superiori, dava ossi-geno a energie che sarebbero diversamenteimplose nel deportato o sarebbero state indirizzatea tentativi di fuga o ribellione. Riguardo all’attività artistico-musicale della popola-zione ebraica nel Reich, le disposizioni del ministrodella Propaganda Joseph Paul Goebbels relative allelinee generali dell’Arte e della Musica, regolate dallaReichmusikkammer, vietavano ai musicisti ebreiqualsiasi genere di attività artistico–professionale,dalla direzione d’orchestra e artistica di teatri a ruolidi insegnamento pubblico e di strumentisti nelle or-chestre. Al danno si aggiunse la beffa dello JüdischeKulturbund, associazione-fantoccio controllata dallastessa Reichmusikkammer che radunava musicistiebrei allontanati dalla vita musicale del Reich chenel Jüdische Kulturbund avevano possibilità di te-nere concerti riservati all’utenza ebraica (il JüdischeKulturbund si sciolse all’indomani della Kristallnacht,9-10.11.1938, con l’uccisione dei suoi membri o illoro internamento nei campi).Il compositore ebreo nel Reich non aveva alcunapossibilità remota di creazione ed esecuzione pub-

blica delleproprieopere (ledisposi-zioni dellaReichmu-sikkam-mervenneroapplicateretroatti-vamentepersinoalla mu-sica del-l’ebreobattez-zato FelixMendel-ssohn-

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Olivier Messiaen

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Bartholdy) ma uno dei paradossi esistenziali dellager era che in esso il musicista, dilettante o profes-sionista, poteva suonare, aggregarsi ad altri musici-sti, dirigere, organizzare concerti, comporre, faremusica con uno sforzo intellettuale e manuale non-chè una lucidità mentale e tecnica ancora più ammi-revole, dato il contesto logistico; da partedell’autorità occupante, assecondare l’attività musi-cale poteva giocare un ruolo fondamentale nel ma-scheramento della situazione concentrazionaria, incaso di ispezioni della Croce Rossa. Il lager offriva abreve o media durata la possibilità di dare sfogo alletensioni intellettuali dei deportati; a prescindere dal-l’attività musicale e teatrale si potrebbero citare icorsi universitari o di studio talmudico svolti a The-resienstadt, insegnamento scolastico, tornei di pugi-lato e di calcio, attività bibliotecaria e altro ancora.Occorre, perciò, tenere distinte la coercizione fisicasubìta dalla deportazione e la ‘facoltà ricreativa mu-sicale’ consentita nei lager, con tutte le limitazioni evarianti: pochi strumenti a Mauthausen, molta carta-

musica e molti strumenti a Theresienstadt; orchestradi 84 elementi e bande di ottoni ed ensemble coralia Buchenwald, Lichtenburg, Sachsenhausen, un har-monium e 4 violini a Saïda, un flauto e 2 violini aHuyton (per un simile organico Hans Gàl scrisse la‘Huyton Suite’).Ben sei orchestre nell’enorme complesso di Au-schwitz, tra le quali l’orchestra dei polacchi direttada Franciszek Nierychło (in seguito classificato etni-camente tedesco e coscritto nella Wermacht) e suc-cessivamente da Adam Kopyciński ad Auschwitz I,l’orchestra dei Romanès presso lo Zigeunerlager,un’orchestrina jazz (per un breve periodo si esibì ilchitarrista jazz Heinz Coco Schumann che a There-sienstadt aveva fatto parte dei Ghetto–Swingers) eun’orchestra femminile di 54 elementi diretta daAlma Rosé (Rosenblum) figlia di Arnold Josef Rosé(Konzertmeister dei Wiener Philharmoniker) e Ju-stine Mahler (sorella minore di Gustav Mahler); dopo

la morte di Alma Rosé ad Auschwitz nell’aprile 1944,l’intera orchestra venne trasferita a Bergen–Belsen esopravvisse.Oltre la catastrofe storica e umanitaria, la Guerrastrappò alla posterità una ‘intelligentsia’ artistico-musicale che oggi, seppure con difficoltà, è possibilespecificare e quantificare. Si pensi allo ‘Studio für Neue Musik’ aperto a There-sienstadt, vera e propria Darmstadt ante litteramdove si sperimentavano i più avanzati linguaggi mu-sicali; lo ‘Studio per orchestra d’archi’ di Pavel Haasporta alle estreme conseguenze il virtuosismo or-chestrale sperimentato da Béla Bartók nel suo ‘Con-certo per orchestra’. Nello Stalag VIII, a Görlitz, OlivierMessiaen scrisse il celebre ‘Quatuor pour la fin dutemps’ nel quale clarinetto e pianoforte non suo-nano mai alcune note dato che sugli strumenti inuso a Görlitz mancavano le relative chiavette ecorde. I piani di trasferimento verso i Campi di ster-minio aperti dal Reich in territorio polacco furonotali da convogliare la gran parte dei musicisti di The-

resienstadt nel medesimo treno del 16.10.1944; ilgiorno dopo Pavel Haas, Viktor Ullmann, BernardKaff, Hans Kràsa, Viktor Kohn, Egon Ledeč, Carlo Sig-mund Taube e altri morivano per gasazione ad Au-schwitz–Birkenau. In poche ore scomparve unaintera generazione di musicisti, compositori, celebrivirtuosi della tastiera, quinta colonna della élite mu-sicale ebraica dell’Europa centro–orientale. Simile tragico destino ebbero numerosi ‘hazanim’,cantori ebrei officianti o tenori solisti o direttori dicori sinagogali alcuni dei quali vocalmente moltodotati nonché autori di musiche e canti per il cultoebraico. Il linguaggio musicale sarebbe stato profon-damente diverso o avrebbe percorso ulteriori, ine-dite strade se tutti questi musicisti e uomini dispettacolo fossero sopravvissuti? Crediamo di no. La musica ‘concentrazionaria’ che comprende uncorpus musicale vastissimo -sinfonico, teatrale, ora-toriale, cameristico, solistico vocale e strumentale,

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corale; cabaret, jazz, canto religioso, popolare e tra-dizionale, parodia, opere frammentate e incomplete,musica obbligata, opere ricostruite dopo la Guerra,creati nei Campi di prigionia, di transito, di lavori for-zati, di concentramento, di sterminio e nei peniten-ziari militari da musicisti di qualsiasi estrazioneprofessionale e artistica nonché provenienti da qual-siasi contesto nazionale, sociale e religioso che ab-biano in tal periodo subìto discriminazioni,persecuzioni, ingiusta detenzione e che siano statideportati, uccisi o che siano sopravvissuti (ebrei, cri-stiani, Sinti e Rom e altri gruppi appartenenti al po-polo Romanès, Euskaldunak o del popolo basco,sufi, quaccheri, Bibelforscher, comunisti, disabili,omosessuali, prigionieri civili e militari - sebbenecreata in cattività o in condizioni estreme di priva-zione dei diritti fondamentali dell’uomo e sia spiadello status sociale dei deportati, delle loro capacitàcreative nonché della possibilità di utilizzare stru-menti musicali, scrivere, concertare ed eseguireopere proprie e altrui (in base a ciò è altresì possibiledefinire concentrazionario il ‘blues’ afroamericano,dal quale discendono jazz e gospel, creato durante ilperiodo storico del lavoro nelle piantagioni ameri-cane sino al 1865, il repertorio di canzoni napole-tane dei militari italiani prigionieri in Austria durantela I Guerra Mondiale, il repertorio vocale dei dissi-denti politici nei Gulag aperti in Siberia dall’U.R.S.S. eil canto di Victor Jara scritto nello stadio di Santiagodel Cile prima delle fucilazioni nei giorni del golpe diAugusto Pinochet , nel 1973 ) non è diversa. Definita‘concentrazionaria’ unicamente ai fini della ricerca,un giorno dovrà chiamarsi ‘musica’ e basta; medio-cre, buona, eccezionale come la musica di sempre,come la muscia di chiunque altro; non dovrà più ne-cessitare di elementi di specificazione geo-politica odi veicoli storici quali Seconda Guerra Mondiale, de-portazioni civili e militari, Shoah. Fare musica è unaesigenza intellettuale e spirituale dell’uomo; depor-tazione, cattività, condizioni umanitarie, tortura, la-voro coatto e altre forme di costrizione fisica epsicologica, nel nostro caso non ostacolarono ma in-coraggiarono i processi di creazione artistica; tant’èche anche dopo la liberazione l’attività ricreativa piùdiffusa tra ex deportati e truppe alleate in numerosicampi (in attesa del compimento delle procedureper il rimpatrio degli ex deportati civili e militari) fuquella concertistica. Nel luglio 1945 a Bergen-Belsenla violoncellista Anita Lasker-Wallfisch e la cantanteEva Steiner, già musiciste dell’orchestra femminile diAuschwitz e sopravvissute, suonarono in concertocon il cantante Gerardo Gaudioso, il violoncellistaGiuseppe Selmi e il pianista Giorgio Ferrini, già inter-nati militari italiani presso il vicino Stalag 310 Wiet-zendorf; flussi deportatorii di diversa tipologia che siincontrano e fraternizzano sotto il comune denomi-natore della musica.

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Sono stati necessari decenni di ricerca presso musei,archivi, biblioteche, conservatori, librerie antiquarie,collezioni private in Austria, Belgio, Croazia, Dani-marca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Israele, Ita-lia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, RepubblicaSlovacca, Russia, Serbia, Svizzera, Ungheria, U.S.A.per giungere a tali conclusioni.Il materiale attualmente acquisito e catalogatopresso l’Istituto di Letteratura Musicale Concentra-zionaria di Barletta è di oltre 4.000 opere e 13.000documenti comprendenti microfilms, diari di prigio-nia, quaderni musicali, saggistica musicale, registra-zioni su audiocassetta o videocassetta o DVD,interviste ai musicisti sopravvissuti.Nel gennaio 2011 sono usciti i 24 CD-volumi dell’En-ciclopedia discografica KZ Musik (MusikstrasseRoma) che rappresenta uno dei più grandi sforzi sto-riografici e artistici mai compiuti e lo stadio piùavanzato di ricerca e documentazione della musicaconcentrazionaria.Recentemente, poi, ha visto la luce anche il primovolume del ‘Thesaurus Musicae Concentrationariae’,Enciclopedia in quattro lingue che, periodicamente,pubblica in partitura le opere scritte nei lager dal1933 al 1945 e delle quali l’Istituto di Letteratura Mu-sicale Concentrazionaria di Barletta detiene i dirittidi pubblicazione; ogni volume contiene CD con leesecuzioni delle opere contenute nel volume edestratte dall’Enciclopedia discografica KZ Musik, unaintroduzione critico-estetica, le schede dei campidai quali provengono le opere pubblicate nel vo-lume, e quelle biografiche dei compositori, e poi bi-bliografia, discografia e filmografia.Questa enorme lascito musicale ci obbliga a ripa-rare alle sofferenze subite dalla generazione di musi-cisti che questa musica l’ha creata; Viktor Ullmannavvertiva compimenti epocali che avrebbero tragi-camente rivoluzionato il pensiero umano e, riguardoalla propria situazione a Theresienstadt, scriveva cheera servita “a stimolare, non ad impedire le mie atti-vità musicali e che in nessun modo ci siamo sedutisulle sponde dei fiumi di Babilonia a piangere; il no-stro rispetto per l’Arte era parimenti commisuratoalla nostra voglia di vivere. Io sono convinto che tutticoloro, nella vita come nell’arte, che lottano per im-porre un ordine al Caos, saranno d’accordo con me”(‘Goethe und Ghetto’, Theresienstadt 1944).@

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uando si intenda sollecitare la risorsa dei ricordiper identificare, in un arco limitato di tempo, glieventi significativi a memoria d’uomo - nella fatti-specie nel campo della musica - nel secondo Nove-cento, sembra di vedere emergere tre occasioni diassoluto rilievo: il concerto che Arturo Toscanini di-resse sul podio della NBC Symphony Orchestra aconclusione della sua storica carriera (New York, 4Aprile 1954); la prima messinscena di The Rake’s Pro-gress di Igor Stravinsky (Venezia, 11 Settembre 1951)e il ritorno, dopo trentotto anni, di Sergiu Celibida-che sul podio dei Berliner Philharmoniker (31 Marzo1992), forse anche a ricucire il discusso strappo che asuo tempo l’orchestra operò - dopo la prodigiosa, av-venturosa ricostituzione postbellica alla quale il gio-vane direttore romeno dedicò anima e corpo -optando, alla scomparsa di Furtwaengler (1954), perKarajan.Nella primavera del 1945 - le macerie fumavano an-cora - i filarmonici berlinesi sopravvissuti accetta-rono le condizioni del giovane musicista romeno chesi attivò con vigorosa determinazione alla ricostitu-zione del glorioso organico. Due anni dopo per Wil-helm Furtwaengler caddero le pregiudiziali cheostavano al rientro sul podio della sua orchestra, eCelibidache cooperò con l’anziano maestro fino allaimprovvisa morte di quest’ultimo (1954). In questofrangente i Berliner, non confermarono Celibidachesul podio e scelsero come direttore stabile il quaran-taduenne Herbert von Karajan, di quattro anni menogiovane, e che garantiva, provenendo dall’espe-rienza con la londinese Philharmonia Orchestra diWalter Legge, una lucrosa attività discografica: a dif-ferenza di Celibidache, le cui convinzioni non ricono-scevano alla registrazione sonora alcuna dignità nelnovero degli autentici significati musicali.Passarono i decenni; Karajan si arricchì inondando ilmondo di prodotti sonori tecnologici distribuiti conetichette musicali; Celibidache, invece, il mondo lo

percorse in lungo e in largo elargendo musica vitale,con le sue acclamate esecuzioni, e con l’ininterrottoinsegnamento, nell’ottica di una prospettiva feno-menologica mirata a restituire all’opera musicale lavita “fisica”, irripetibile, della realtà sonora: hic etnunc. L’originale, atipico, incontentabile, intransi-gente, carismatico direttore romeno raccolse dovun-que stima e applausi approdando nel 1979 all’unicocontratto della sua vita artistica: con i MünchnerPhilharmoniker, che guidò fino all’ultimo suo giornodi vita, e che portò a livelli qualitativi eccelsi.Nel 1992, dai Berliner Philharmoniker giunse a Ser-giu Celibidache l’inopinato invito alla realizzazionedi un concerto: l’ottantenne direttore accettò senzaentusiasmo, anche per secondare il Presidente dellaRepubblica Federale Tedesca Richard von Weizsäker,che caldeggiava pubblicamente l’iniziativa; Celibida-che impose però all’orchestra una quantità di proveassai superiore del consueto, “perché non sapevanopiù suonare insieme”, e chiese che l’evento fosseospitato, forse non solo per motivi acustici, dalloSchauspielhaus, piuttosto che dall’Auditorium dellaFilarmonica. E così andò: il 31 Marzo 1992 il vecchio direttore salìa fatica il podio che gli fu sottratto, ma ormai da-vanti ai leggii che sostenevano le parti della SettimaSinfonia di Anton Bruckner non sedeva nessuno deigentiluomini che trentotto anni prima optarono perun “meglio” in qualche modo, s’è visto, discutibile. Ci fu chi parlò di Nemesi. Per l’occasione la scelta delprogramma della serata - un simbolo importante -non poteva non cadere su Anton Bruckner, l’adoratomèntore; quasi sette anni avanti, a Monaco, Celiinaugurò il Gasteig di Monaco con la sua Sinfonian.5. Celibidache riconosceva ed onorava in Bruckner- come prima di lui Wilherlm Furtwaengler, in unaconsiderazione convinta, anche se non proclamata -l’erede legittimo e il nobile ultimatore della grandetreadizione sinfonica occidentale.Oggi quell’evento, non riparatore ma straordinaria-

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DVD STORICI

Quel giorno Celibidache tornava sul podio dei Berliner

Era il 31 marzo 1992di Umberto Padroni

In un documento video torna la memorabile serata in cui, dopo 38 anni, il grande di-rettore romeno tornava a dirigere i Berliner. L’orchestra alla cui ricostruzione egli avevalavorato dopo la guerra assieme a Furtwaengler. Ma i Berliner gli preferirono Karajan.

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mente signifi-cativo, è, in ot-time condizionidi immagine edi suono, collo-cato su un im-perdibile DVD,arricchito dauna pacatachiacchierata diCeli alla gio-vane orchestra,e da esemplarisequenze trattedalle prove. Aconclusione fi-gurano intervi-ste allargate acomponentidel vecchio or-ganico, anche atestimonianzache la sceltanon fu univoca. L’evento fu am-piamente com-mentato, e lecronache musi-cali conferma-rono l’autoritàcarismatica delgrande, atipicodirettore, manon andaronomolto oltre gliaspetti più evi-denti, e anchepiù fraintesi,della sua con-cezione. Si sot-tolineò, come troppo spesso, la larghezza dei tempistaccati, la minuziosa raffinatezza della concerta-zione, senza mai sfiorare le ragioni fondanti di ognievocazione alla vita del suono operata dal direttoreromeno.L’esecuzione berlinese della più nota e amata Sinfo-nia di Bruckner - Luchino Visconti ne scelse magi-stralmente alcuni momenti per Senso (1954), forse ilfilm più importante del cinema italiano - potrebbedare luogo a un commento di pagine e pagine; saràprudente accennare all’intensità e alla visione liricadell’inveramento sonoro dell’opera, emersa hic etnunc da un conio armonico definito nel respiro datempi staccati con vissuta partecipazione: Enzo Fan-tin, colto e appassionato teorico della fenomenolo-gia, anche applicata alla musica, sottolinea che “illinguaggio e lo stile bruckneriani che in altre mani

diventano an-simanti, fati-cosi,pericletanti,goffi o vellei-tari, o, all’op-posto, freddi edeterministici,iperrazionali-stici, con ilmaestro ro-meno si artico-lano secondocanoni di puragioia interiore,di beatificantesemplicità, maanche di pla-stica evidenza.”(E.F., Il suonovivente. Fi-renze, Le Cáriti,2007, p.191). Il DVD è dacentellinare: ilmusicofilo ap-prenderà comeal gesto ampioe commossodel maestro ri-sponda un’or-chestraconvinta, e,s’immagina,anche impe-gnata in unasorta di autoa-nalisi: un apo-logo di arte edi vita, su cui

meditare per la somma dei valori proposti e perse-guiti con generosa intenzione. Il successo, con fiori eancora emozioni, è testimoniato senza riserve, e con-ferma la pregnanza artistica, umana e spirituale (nonbisogna evere paura delle parole) dell’evento.

(Bruckner. Sinfonia n. 7 Berliner PhilharmonikerSergiu Celibidache, dir. EuroArts DVD 2011408)

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Celibidache e, sotto, Karajan

DVD STORICI

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PAPPANO DIRIGE, PER LA PRIMAVOLtA, LA PASSIONE SECONDO MAttEO

ha detto tante volte : Bach non l’ho ancora maidiretto in pubblico (Passioni e Messa in si minore,per fermarci alle opere maggiori che impieganoanche la voce) ma fa parte del mio ‘nutrimento’ quo-tidiano. E, ad una precisa domanda proprio sullePassioni, cariche di espressione drammatica e dun-que adattissime alla sua personalità di direttore,Pappano aveva risposto che forse sarebbe arrivataprima la Messa, destando qualche meraviglia. Poi in-vece, l’ordine di presentazione s’è invertito. Que-st’anno la ‘Passione secondo Matteo’, in occasionedella Pasqua, e l’anno prossimo la ‘Messa in si mi-nore’. La Passione è, da cima a fondo, carica di uma-nità, arriva a manifestare una familiarità dei fedelicon Cristo, se rivolgendogli l’estremo saluto, allor-chè è deposto dalla croce, si esprimono con la bella,tenera espressione: ‘Buonanotte, mio Gesù’ ( Questaespressione, manifestazione di una umanità condi-visa nella confessione riformata, sembra il modellodi analoghe espressioni di Papa Francesco che, findal primo incontro con i fedeli dalla loggia di SanPietro, ha salutato tutti, con una espressione abba-stanza irrituale, ma ricca di calore umano: Buona-sera! Le Passioni di Bach o la sua grande Messa, adifferenza di ciò che accade , ad esempio, con la‘Missa solemnis’ di Beethoven, non deludono mai leaspettative. E noi, personalmente, quale che siastato l’esito di una esecuzione bachiana, ne siamostati sempre soddisfatti. Beethoven impegnaquanto Bach, e forse più di Bach in taluni casi, mal’esito non è sempre scontato. L’esempio della ‘Missasolemnis’, in particolare, calza perfettamente: creaancora sconcerto, e soddisfazione poca. Ma la posizione dell’ascoltatore è diversa da quelladel direttore che deve interrogarsi su tutto, primadi dare una sua versione di questo o quel capola-voro. E anche Pappano, quando finalmente ha de-ciso di dirigere Bach, ha dovuto risolvere parecchiproblemi e e sciogliere un dilemma impossibile daeludere, dopo centinaia, migliaia di interpretazionidella ‘Passione secondo Matteo’, alcune delle quali‘tradizionali’ ma ‘storiche’: Bach secondo la ‘mo-derna’ prassi cosiddetta filologica, oppure secondo

tradizione esecutiva, precedente all’esplosione della‘moda’ barocca? Stando ai fatti, si sarà risposto chenessuna delle due faceva per lui. Quella in vogaoggi non gli andava bene, perché l’Orchestra del-l’Accademia - pur avendo al suo interno un ensem-ble ‘barocco’ - non è un complesso ‘barocco’propriamente tale, già per le sue dimensioni ; maforse, più che per ragioni di organico, non ne condi-videva il presupposto. Quella tradizionale neanche,perché riproporre la ‘Passione’ come la si ascolta inpregevolissime ma vecchie edizioni, sarebbe parso ,oggi, davvero anacronistico. Cosa fare allora? Pren-dere dell’una e dell’altra gli elementi più convin-centi e darci il meglio di ambedue le impostazionistilistiche? Potrebbero essere queste le ragioni del-l’attesa di Pappano, che ha alle spalle una ventinad’anni di direzione senza Bach, con i risultati cheandiamo a dirvi. Della tradizione ha conservato l’or-chestra, snellita, e il coro , che però ha diviso in duegruppi – come previsto da Bach – ai quali ha im-presso un incedere solenne e meditativo, senza ab-bondare nel vibrato, anzi quasi abolendolo, espingendola ad una ‘mobilità’ assai interessante; haformato, poi, il coro ad uno stile di canto ‘cameri-stico’, lontano da quello, sinfonico, cui è, solita-mente, più abituato, ma senza togliergli la verve dinumerosi interventi, e, per i corali, imponendogli, intaluni casi, un canto di una impalpabilità sorpren-dente. Dalla moderna prassi ‘barocca’, invece, hapreso alcuni impasti timbrici risultanti dagli stru-menti concertanti di molte arie, ma poi ha, giusta-mente, rifiutato quell’incedere ormai standardizzatosull’ alta velocità, anche quando il repertorio non siastrumentale e virtuosistico, dove forse una qualchegiustificazione l’avrebbe; ed ha evitato quell’ ansi-mare continuo che i barocchisti praticano congrande piacere. E i solisti, li ha guidati con mano si-cura e leggera, come sa fare lui. Se qualcuno ci chie-desse come vorremmo noi la ‘Passione secondoMatteo’ di Bach, risponderemmo convinti: come l’hadiretta Pappano. E, allora, in attesa che arrivi anche la‘Messa in si minore’, diciamo che l’attesa del suo‘primo’ Bach, non è stata né troppo lunga né vana.@

Pietro Acquafredda

L’

Fogli d’Album

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alessio.gabriele
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divenuta la mia collezione. Era il1993; a New York andai per ascol-tare Joe Lovano ed Aldo Romano,al Village Vangard. Terminato ilconcerto, m’intrattenni con Joesui saxofoni vintage e, in partico-lare, sul suo strumento, un ‘ConnChu Berry’ argentato che aveva ifori sulla campana contrapposti,anziché entrambi a destra come

ominciamo dall’inizio. Comee quando è nata la passione peril saxofono ed il collezionismo?

La passione per il saxofono nac-que durante il mio primo viaggionegli USA dove trovai il primostrumento di quella che sarebbe

A colloquio con Attilio Berni, il più grande collezionista di sax

SAx DAy, ASPEttANDO IL 2014 DI ADOLPHE

di Luigina Battisti

Il 23.Gennaio.2013 si è tenuto nel Conservatorio dell’Aquila una giornata interamentededicata al saxofono. Concerti, incontri, conferenze e, in particolare, una ricchissima

esposizione di sax di ogni epoca e forma.

ero abituato a vedere. Verso ledue del mattino, prendemmo iltaxi insieme per recarci in albergo,parlando ancora di saxofoni vin-tage; il taxista, avendoci ascoltato,ci disse di averne uno strano, delquale si voleva disfare. Incuriosito,gli chiesi come fare per poter ve-dere quel suo strano strumentoche, incredibilmente, aveva nel

C

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Collezioni

Attilio Berni con alcuni sax della sua collezione

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più rare ed inusitate; varia assaispesso a causa di frequenti acqui-sti o scambi con altri collezionisti.Si divide in due gruppi, gli stru-menti professionali e quelli da col-lezione, anche se a volte alcunistrumenti appartengono ad en-trambe le categorie.Alcuni di questi saxofoni sonostrumenti solo da collezione; siaper l’accordatura, perché qual-cuno ha un’ intonazione alta (highPitch- A=456), che per i meccani-smi delle chiavi, decisamente sco-modi per gli standard moderni.Poi ci sono gli esemplari rari ofuori dal comune che costitui-scono la parte più interessantedella collezione e che possono es-sere divisi in quelli con particolarimodifiche dei modelli già esi-stenti e quelli invece creati exnovo. Tra i primi si possono elen-care il soprano e l’alto Holton Mo-dello Rudy Wiedoeft, ilBuffett-Powell con quattro fori diottava, il Cmelody Martin HomeModel e l’alto Buescher Academy,il tenore e l’alto Selmer “Padless”,un alto Mark6 discendente al Lagrave ecc... Tra i secondi invece sidistinguono: il Conn “O-Sax” ed ilmezzosoprano in Fa della Conn,l’alto diritto della Buescher, il KingSaxello, il sopranino curvo dellaOrsi, l’alto ed il clarinetto GraftonPlastic, il tenore diritto della L.A.SAX, il soprano in Do “Saxie” pro-dotto dalla Cuesnon nel 1920, ilsaxtromba, il clarosax della Conn,i saxofoni a culisse della Swanee-Sax ed il Mellosax, il baritono di-ritto di Piter Nixon, il soprillo, iltubax, il sub-contrabasso JElle &Stainer, ecc...

tra gli strumenti della sua colle-zione, ce n’è uno a cui è partico-larmente affezionato o che hauna storia insolita?

Sono innamorato di tutti gli stru-menti della mia collezione, conloro ho un rapporto quasi fisico.Non passa giorno senza che liprenda; ovviamente, ne ho uno

portabagagli della sua autovet-tura! Appena giunti in albergo, iltaxista aprì il portabagagli e mimostrò un bellissimo sax tenore,Selmer Padless! Uno strumentosperimentale senza cuscinetti, co-struito dalla Buescher, su licenzaSelmer, durante la seconda guerramondiale. All’inizio, il mio approccio al colle-zionismo fu esclusivamente com-merciale: pensavo di rivenderli.Nel giro di poco, ero di ritorno daun secondo viaggio negli Usa, conun container stracolmo di saxo-foni, 600 strumenti circa, se nonricordo male! Dopo qualche annoperò - ed arriviamo al 1996-’97 -qualcosa cominciò a cambiare inme: ogni volta che vendevo unsaxofono provavo una stranissimasensazione, una sorta di distacco.In quel momento mi accorsi chele conoscenze e le competenzeche man mano andavo acqui-sendo sul campo avevano svilup-pato in me una vocazione: quelladel collezionismo.Collezionare per me, oltre chepreservare, è sfidare il tempo e ri-dare vita a momenti e movimentiartistici, sociali e storici che hannoconcepito e prodotto questi stra-ordinari strumenti.Ogni strumento vintage, infatti, è"vittima" della propria evoluzioneed è plasmato dall’alito vitale in-sufflato da chi lo ha posseduto.Collezionando, ricostruisco la sto-ria dello strumento, ne studiol'evoluzione e soprattutto eviden-zio quel particolarissimo rapportofra l' uomo e le sue creazioni, fraevoluzione e conservazione, frastoria e memoria, che è a metà traarcheologia e storia e che è parti-colarità del collezionismo.

Quanti strumenti fanno partedella sua vasta collezione di sa-xofoni?

La collezione comprende circacinquecento strumenti, dai sopra-nini al sub-contrabbasso ed al-cuni strumenti dalle dimensioni

personale con il quale sono in as-soluta simbiosi e dal quale nonriesco mai a separarmi. Si tratta diun tenore Conn Chu Berry ArtistVirtuoso De Luxe costruito da Ju-lius Stemberg: uno strumentounico e testimone assoluto diun’epoca nella quale artigiani, au-tentici artisti riuscivano a riversarela passione per l’arte e la musicanegli strumenti musicali che co-struivano. Gli ‘Artist’ erano modellidi lusso estremamente ricercati ecostruiti su ordinazione. Nello spe-cifico il mio è un Conn Artist ar-gentato, con un’incisione che nericopre quasi interamente il corpo,ha madreperle su tutte le chiavi,anche su quelle laterali e di ri-piego. E’ costruito con la tecnicadella grammatura delle tazze(ogni tazza ha un peso specifico,affinché le vibrazioni prodotte so-stengano l’impressionante ric-chezza degli armonici). Inoltre,sull’interno delle tazze delle chiavidelle note gravi (il Si ed il Sib) c’èincisa una poesia d’amore dedi-cata ad una donna: una sorta di“saxofono innamorato” o “messag-gero d’amore”.

Qual è lo strumento più raro ap-partenente alla sua collezione?

Senza dubbio si tratta del Conn“O-Sax”, un saxofono in Fa. Origi-nariamente il saxofono era statoconcepito da Adolphe Sax in duedistinte famiglie: l’orchestrale (inDo ed in Fa) e la bandistica (in Sibed in Mib). Il primo vero saxofonocostruito da Sax era un basso edera tagliato nella tonalità di Do: lostrumento utilizzato da Berlioz nelsuo ‘Inno sacro’ del 1843.L’uso più famoso dell’alto in Fa ènella ‘Sinfonia Domestica’ diStrauss (1904), nella quale vieneimpiegato un quartetto di saxo-foni (soprano in Do, alto in Fa, te-nore in Do e baritono in Fa).

Dietro ogni collezione c’è ungrande lavoro di ricerca. Come sitrovano saxofoni rari o addirit-

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un’opportunità eccezionale peresplorare ed ampliare costante-mente la comprensione della na-tura dello strumento e della suamusica. Indubbiamente la dimen-sione economica è importante;nel mio caso, non nascondo che avolte ho rischiato la bancarotta, opeggio la lite familiare, pur di en-trare in possesso di uno stru-mento. La ricerca deve essereimprontata al buon senso ed allacompetenza cercando di non ca-dere nella “bramosia del possesso”che può portare alla rovina. Nonmi rammarico di nulla, collezio-nare saxofoni mi ha arricchito dicompetenze, esperienze incredi-bili, contatti umani con numerosepersonalità musicali, dai grandiartisti ai giovani che si avvicinanocon passione a questo strumento.

Nei suoi spettacoli spesso glispettatori sono particolarmentecolpiti da strumenti insoliti,come i saxofoni slide o quelli“giocattolo”, gli opposti sax so-prillo e sax contrabbasso, ma leipossiede anche strumenti appar-tenuti a grandi musicisti classicie jazz che hanno fatto la storiadel saxofono?

Si, possiedo alcuni strumenti ap-partenuti a musicisti famosi comeun tenore Selmer Mark VI, mo-dello Varitone appartenuto aSonny Rollins: una sorta di saxo-fono elettrico con un microfonoElectro-Voice installato nel colloed una piccola unita mixer sullegabbie di protezione che per-mette di regolare volume, eco,sub-ottava, tremolo ed una primi-tiva equalizzazione. Lo strumentoinclude un amplificatore valvolaredi 100W. Un altro strumento chepossiedo è appartenuto al celebreed eccentrico polistrumentistaAdrian Rollini è un saxofono bassoSelmer Cigar Cutter. Lo strumentoè argentato con una campana ta-gliata e poi saldata, l’estensione èdal sib grave al mib acuto. Il nu-mero di matricola del sax indicato

tura unici?

Riuscire a localizzare così tanti raristrumenti in un periodo di temporelativamente breve non è statofacile e sebbene sia vero che la ri-cerca nella storia del saxofonospesso offra utili spunti, moltevolte è stata la fortuna e la perse-veranza nella ricerca che ha fattola differenza. La maggior parte diessi sono stati reperiti negli USAdurante viaggi, o da collezionistisempre americani, oppure in In-ghilterra ed in Francia, mentre po-chissimi gli strumenti localizzati inItalia. Gli strumenti a volte sonocomparsi nelle circostanze più di-sparate ed improbabili. Per esem-pio il tenore Conn costruito edinciso da Julius Stemberg, l’hotrovato su una bancarella, al mer-cato di Portobello a Londra; ilprimo saxofono della collezione, ilsax Selmer Padless acquistato -come le ho già detto - da un taxi-sta di New York, e sopratuttomolti li ha trovati per me Phil Ni-coli, un carissimo amico italo-americano…Oggi, con internet (ed i siti eBay,mercatino musicale, saxforum,ecc…) tutto è molto più semplicee rapido, anche se non c’è più ilgusto della scoperta.E’ comunque fondamentale ungrande lavoro di ricerca e di conti-nua documentazione, alimentatodalle continue sorprese che que-sto tubo misterioso riserva: unmodello particolare porta spessoa conoscerne un altro o a rivalu-tarne un altro e così via. L’espe-rienza tratta dallo studio di unostrumento vintage, caratterizzasempre, e sensibilmente, il pro-prio modo di fare musica.

Passiamo invece all’aspetto pra-tico. Quanto costa mantenereuna collezione tanto vasta?

Il mantenimento di una colle-zione di strumenti musicali non èun diversivo o un hobby, ma

sulla campana differisce da quelloindicato in prossimità della fa-scetta di collegamento della curvainferiore perché molto probabil-mente la Selmer ha utilizzato unfusto prodotto dalla vecchia fab-brica del figlio di Adolphe Sax. EdAncora un sax alto Selmer SuperAction Balanced costruito apposi-tamente dalla Selmer per MarcelMule con la particolarità di avere 3chiavi extra ed il sax tenore SelmerModel 26 di Tex Beneke il tenor sa-xofonista dell’orchestra di GlennMiller che con questo saxofono in-terpretò i soli più famosi del-l’epoca swing: “In The Mood” e“Chattanooga Choo Choo”.

C’è invece un saxofono che vor-rebbe avere ma ancora non ha oun sogno che vorrebbe realiz-zare?

Fino a qualche tempo fa c’era unsupporto vuoto, scaramantica-mente pensavo che fosse di buonauspicio lasciare il posto per il piùraro e mitico dei saxofoni: il ConnO-Sax. Questi è poi arrivato ed ilsupporto è stato utilizzato. Ciònon significa che io possieda tuttigli strumenti più rari del mondo,qualcuno ancora manca… Di sup-porti vuoti non ne lascio ma tutti imiei strumenti, essendo stati suo-nati per moltissimi anni dai piùsvariati musicisti del mondo, sonoben educati alla tolleranza, alla so-lidarietà ed alla multietnicità equindi, all’occorrenza, sanno chebasterà stringersi un po’ facendospazio al nuovo arrivato, comesempre del resto…Il mio sogno sarebbe, invece,quello di realizzare un museo perla mia collezione. Il primo museoal mondo interamente dedicatoad uno strumento ed ai suoi pro-tagonisti ed utilizzatori. Un museoper la creatura di Adolphe Sax chemolti di questi strumenti non li hapotuti vedere ma che, di certo, ar-dimentoso quale era, sarebbe fe-lice dei passi da gigante che il suogeniale pupillo ha fatto in un se-

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liani?

Non nascondo che era la primavolta che mi esibivo in un conser-vatorio e l’esordio non è statoprivo di un certo “timore reveren-ziale”. L’iniziativa, unica nel suo ge-nere, è stata occasione d’incontroe scambio molto importante. Ri-tengo che debba essere ripetutae promossa anche negli altri con-servatori italiani, per far cono-scere a tutti gli studenti le infiniteposibilità del sax. In tal senso sono in procinto dipresentare a tutti i conservatoriitaliani una proposta di progettoitinerante per il 2014, anno in cuiricorre il bicentenario della na-scita di Adolphe Sax. Un’iniziativache contemplerà contempora-neità di esibizioni saxofonisticheclassiche e jazzistiche, confe-renze-stage e l’esposizione deglistrumenti più rari della mia colle-zione unitamente al prossimo in-serimento di un pezzo unico almondo: il saxofono sub-contra-basso in Bb della J’Elle & Stainer.Un saxofono gigantesco di oltre 3

colo e mezzo di vita.

Il suo spettacolo “Saxophobia”,un viaggio con cui immergersitotalmente nel saxofono trasuoni e curiosità, è stato portatoin tutta Italia ed anche per l’Eu-ropa. Come è arrivato a L’Aquila,all’interno del nostro conserva-torio?

L’iniziativa è stata fortemente so-stenuta da Giuseppe Berardini,docente di saxofono nel vostroConservatorio ma, ovviamente,anche dal Direttore, Bruno Carioti,e si è giovata dell’aiuto tecnico eorganizzativo di Giancarlo Giu-liani, della Consulta degli Studentie dell’intera classe di jazz che haaccompagnato la mia esecuzionee degli allievi delle classi di saxo-fono, che l’hanno introdotta.

Da saxofonista jazz oltre che col-lezionista, ha trovato l’incontrocon il mondo classico interes-sante? Pensa che analoghi ‘SaxDay’ possano essere ospitatianche in altri conservatori ita-

metri solo ipotizzato da AdolpheSax e mai costruito prima.

Infine, come visitare la sua colle-zione e dove i suoi prossimi con-certi con annessa esposizione?

Al momento la stagione concerti-stica estiva non è stata program-mata, quanti desiderino assisteread un mio concerto o stage pos-sono scrivermi all’[email protected], ri-chiedendomi di essere inseritinella “mailing-list eventi”. Gli strumenti musicali, unitamenteagli altri oggetti della collezione(fotografie, imboccature, giocat-toli ed accessori) sono ospitati nelCentro Studi Musicali “Torre in Pie-tra”, via Aurelia, 2871 – 00054 Tor-rimpietra (RM). E’ possibile visitaregli strumenti su appuntamento,contattando la segreteria, : tel.06.61697862 – 06.61698035(fax) –[email protected] –www.centrostudimusicali.it.@

SAx IN FA Dal 1915 al 1926 si era sviluppata in America una sorta di “sax mania” che aveva dato una popolarità incredibileallo strumento. Si ritiene che oltre un milione di saxofoni siano stati venduti in questo periodo, il che è assolu-tamente straordinario se si pensa alla popolazione ed alle condizioni economiche del tempo. Moltissimi posse-devano un saxofono e questo era utilizzato in tutte le orchestre e bande militari.Le fabbriche di strumenti musicali non riuscivano a soddisfare le richieste di acquisto di saxofoni e ciò contri-buì ad acuire la rivalità tra le varie case costruttrici le quali lottarono per mantenere alto il livello di ricerca e diperfezionamento del design, della meccanica e dell’innovazione.Tuttavia verso il 1927 si comincia a prospettare un’inversione di tendenza: ancorché molto popolare il saxo-fono non riusciva più a vendere come negli anni precedenti. Il colpo di grazia lo diede il crack della borsa del 1929 e dalla conseguente grande depressione. In questo con-testo la Conn e la Buescher decidono di sviluppare nuovi progetti e sperimentazioni nel tentativo di recupe-rare i volumi di vendite precedenti al 1927. La Buescher presenta l’alto diritto ed il soprano Tipped Bell mentrela Conn, più ambiziosa, produce due modelli totalmente nuovi: il mezzosoprano ed il Conn-O-Sax, senza dub-bio il saxofono più straordinario mai costruito e con un’estensione dal la grave al sol acuto.La Conn si aspettava di venderne molti ma sfortunatamente le vendite non furono all’altezza delle previsioni egli esemplari venduti non più di una decina: un vero fallimento commerciale! Già nel 1930 il Conn-O-Sax nonviene più menzionato nei cataloghi Conn.Cosa invece sia successo agli strumenti invenduti è purtroppo una triste storia: nelle scuole Conn (dove s’inse-gnava a costruire e riparare gli strumenti) i Conn-O-Sax invenduti vennero utilizzati come materiale sul qualelavorare. Questi strumenti venivano volutamente danneggiati e lasciati agli allievi per l’apprendistato di ripara-zione con il risultato di far scomparire gli ultimi esemplari rimasti. Attualmente si è a conoscenza di soli treesemplari superstiti, uno è quello che fa parte della mia collezione, un altro è in vendita, alla bella cifra di1.000.000 di euro.

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MUSICOLOGIA

Primo italiano eletto presidente della società mondiale dei musicologi

Da piccolo volevo fare ilmusicologodi Dinko Fabris

Il più giovane presidente nella storia quasi centenaria della IMS, per i prossimi cinqueanni, Dinko fabris racconta la sua esperienza personale e la sua visione della musicolo-gia italiana nel contesto internazionale.

o scoperto la parola ‘musicologia’ - e anche lamia vocazione - al liceo, partecipando a metà anni’70, alle due edizioni del Concorso di musicologiaistituito dal ‘Coretto’ di Bari (una delle straordinarieintuizioni del fondatore, il compositore non vedenteSilvestro Sasso) e destinato agli studenti degli ultimidue anni delle scuole medie superiori: vinsi en-trambe le edizioni e da quel momento il mio destinoera segnato, anche se ancora non lo sapevo. Fui invi-tato a tenere rubriche radiofoniche alla Rai di Bari(non avevo ancora 18 anni, allora era possibile) e di-venni ‘vice’ critico musicale della ‘Gazzetta del Mez-zogiorno’. Continuavo a frequentare il Conservatorioe l’Università di Bari, ma qualcosa mi diceva che do-vevo partire, andare oltre. Scelsi di studiare uno stru-mento raro, il liuto, e cominciai a frequentare corsi aBasilea e ovunque in Europa, e parallelamente ilCorso diperfeziona-mento inmusicologiadell’Univer-sità di Bolo-gna, unicotitolo po-stlaurea esi-stente aquel tempoin Italia. Gliinizi deglianni ’80erano unaspecie di

sogno per noi ragazzi, tutto il contrario dei tristitempi odierni: ovunque vi erano stimoli, occasioni,possibilità. Sembra incredibile ma accanto allaesplosione di corsi e festival di musica di ogni tipo, vierano corsi estivi ed incontri di musicologia ovun-que. Fui accolto nel consiglio direttivo della ‘Societàitaliana di musicologia’ come in una festosa famiglianumerosa e vi restai per due trienni. C’erano tantiposti nei conservatori italiani per giovani laureati inmaterie musicologiche e ancora nessuna lite per iposti nelle università, ai quali avevano avuto accessoda poco quei rappresentanti della ‘giovane musico-logia italiana’ che avevano contribuito a guadagnarealla nostra nazione per la prima volta una positivareputazione internazionale, provata dal numero spe-ciale della rivista ‘Acta Musicologica’ dedicato nel1982 a ‘Vent’anni di musicologia in Italia’. Fu così chesi arrivò al convegno di Bologna 1987, il primo mai

organizzato in Ita-lia dalla Societàinternazionale dimusicologia (IMS),che sancì appuntoil riconoscimentodella produzionescientifica italiana:eravamo del restoterzi per numerodi soci IMS dopoStati Uniti e Ger-mania. Negli anni succes-sivi questa euforiacollettiva pian

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Dinko Fabris , secondo da sinistra

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piano svanì e in pochi anni si arrivò alle tristi vicendeche portarono alla fuoriuscita dalla ‘Società italianadi musicologia’ di gran parte dei docenti universitari,compresi gli organizzatori di Bologna 1987: ne sca-turì una tensione fratricida tra musicologi di conser-vatorio e universitari, che solo in tempi recentisembra finalmente scemata. Intanto i soci italianidell’IMS scesero da 130 a 30, declassando numerica-mente l’Italia nella tabella dei paesi membri. Ho do-vuto ricordare queste vicende sia per capire qual erala situazione al tempo dell’esordio del mio percorsoprofessionale, sia per riflettere sulla scarsa presenzadell’Italia nel contesto internazionale degli ultimivent’anni. Deluso dalla situazione italiana, dopo glientusiasmi giovanili, ho continuato a lavorare in unasituazione decisamente periferica (insegno tuttorain ruolo al Conservatorio di Bari e come professore acontratto annuale, dal 2001, all’Università della Basi-licata a Potenza) e, contemporaneamente, ho inten-sificato i contatti con i centri di ricerca e le universitàdi diverse parti del mondo con viaggi continui, quasisempre autofinanziati. Per trent’anni ho dovuto rin-novare l’iscrizione a diverse società straniere di mu-sicologia, per essere sempre aggiornato e ricevere leloro riviste, altrimenti introvabili nelle mie sedi di la-voro - la cifra annuale di tali investimenti è davveroalta. La società per cui ho avvertito subito la mag-giore attrazione era tuttavia quella sovranazionale.Avevo scoperto la ‘Società internazionale di musico-logia’ nel 1982, quando partecipai al convegno diStrasburgo come mascotte del gruppetto di italianipresenti: da allora non ho più mancato nessuno deiconvegni che l’IMS organizza, ogni cinque anni, inuna città diversa del pianeta: Bologna, Madrid, Lon-dra, Leuwen, Zurigo. E intanto dal 2002 cominciai afar parte del ‘Directorium’ IMS, il direttivo compostodai rappresentanti di tutte le musicologie delmondo. Nel primo quinquennio condividevo il ruolocon Pierluigi Petrobelli, essendoci ancora abba-stanza soci italiani per avere due rappresentanti (mi-nimo 60). Poi fui rieletto a Zurigo nel 2007 comeunico rappresentante. Questa esperienza è statafondamentale per capire che esistono tante musico-logie e tante energie straordinarie che è molto diffi-cile percepire dall’osservatorio locale del propriolavoro quotidiano. Non sol-tanto la visione d’insieme diuna certa ‘old musicology’ distampo ottocentesco è tut-tora eurocentrica, ma ogninazione predilige la propriastoria; l’Italia si è ripiegata suse stessa, producendo unagran mole di pubblicazionimusicologiche di buon li-vello, ma che pochi leggonoe citano essendo scritte in

una lingua, l’italiano, tra le meno diffuse del pianeta.Del gap non solo linguistico della musicologia ita-liana mi ero reso conto presto: nel 1994 avevo pas-sato quasi sei mesi al ‘Warburg Institute’ di Londra(dove noi borsisti avevamo la chiave per entrareanche di notte o di domenica in una biblioteca di 5piani tutta dedicata al Rinascimento; ma già a Chi-cago nel 1991, con la mia prima borsa di studio,avevo scoperto che nelle biblioteche americane sipuò studiare fino ad oltre mezzanotte, domenicacompresa) e, nello stesso anno, il mio primo invitocome visiting professor all’Università di Melbourneper un mese, mi fece scoprire internet. In entrambi iposti al mio arrivo ebbi un email, oltre a una posta-zione di studio con computer. Al ritorno a Bari, senzaneppure pensare al conservatorio (che tuttora nonassegna né postazioni né email ai docenti o agli stu-denti) chiesi al preside della facoltà di Lettere, concui mi ero laureato anni prima, di poter usare il loroservizio internet, sentendomi rispondere che nes-suno aveva attivato la posta elettronica in universitàperché non avrebbero saputo a chi scrivere. Per al-cuni anni dovetti pagare una cifra spaventosa perusare l’unico server disponibile, a pagamento, incittà, e tuttora sono uno dei pochi che paga unacifra simbolica per mantenere lo stesso indirizzo diallora, pur potendo disporne di molti gratuiti. Que-sto ritardo tecnologico, allora diffuso in tutta Italia, èstato rapidamente colmato negli anni successivi, macertamente le biblioteche aperte (e soprattutto ag-giornate) restano ancora un sogno. Ho voluto pren-dere tardi, a quarant’anni, un dottorato di ricerca(PhD) all’Università di Londra anche perché stancodi sentirmi rivolgere ad ogni viaggio all’estero la do-manda “dove ha preso il suo dottorato?” (troppo dif-ficile spiegare come era considerato il dottorato inItalia; e spiegare anche che molti docenti importantie bravi non sono ‘dottori’); del resto, una volta hoperso un’importante occasione di lavoro in Franciaperché non avevo ancora questo titolo e la lezionemi è servita. Non intendo, ovviamente, minimizzarel’alto livello di professionalità che gli studenti ap-prendono nei corsi universitari italiani e che con-traddistingue anche la maggior parte dei docenti dimaterie musicologiche nei conservatori: del resto

l’incredibile quantità di “cer-velli musicologici in fuga” ita-liani, che ha trovato postiprestigiosi nelle università ditutto il mondo, non fa che at-testare questa preparazioneeccellente. E’ però evidenteche negli ultimi vent’anni lamusicologia italiana non sisia più imposta all’attenzioneinternazionale come era av-venuto fino a Bologna 1987 e

Dinko Fabris

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i casi che ho riferito possono almeno dare alcune in-dicazioni sui tanti motivi di questa involuzione. Amaggior ragione, dopo quanto detto sulla scarsaconsiderazione internazionale dell’Italia, mi ha sba-lordito, e certamente deve aver sorpreso molti, lamia inattesa elezione a presidente dell’IMS per iprossimi cinque anni fino al 2017, sancita nel luglioscorso a Roma. Alcuni colleghi molto affettuosa-mente mi hanno fatto notare che, oltre ad essere ilpiù giovane, sono il primo musicologo italiano apresiedere questa Società, nata a Basilea nel 1927per iniziativa di personalità come Adler, Prunières,Dent, ma che raccoglieva a sua volta l’eredità dellaprima ‘Società Internazionale di Musica’, sorta in Ger-mania nel 1899. Eppure ben altri italiani nell’ultimomezzo secolo avrebbero meritato di essere presi-denti dell’associazione che raggruppa i musicologidi tutto il mondo: penso per primo a Nino Pirrotta,poi alla generazione che negli anni ’80 del Nove-cento ha fatto conoscere al mondo la via italiana allamusicologia (pur essendo tale via ignorata nel pro-vocatorio libro di Kerman ‘Musicology’, dove proprionessun italiano è citato ) e in particolare a PierluigiPetrobelli, il più internazionale di tutti i musicologiitaliani, come prova la sua rara nomina, ottenuta nel2009, a ‘honorary member’ dell’IMS. Probabilmentela scelta del mio nome era associata al 19° congressoIMS tenutosi a Roma dal 1 al 7 luglio 2012 (per la se-conda volta in Italia, 25 anni dopo Bologna), per ilquale mi sono impegnato fin dal 2008 con l’appog-gio dello stesso Petrobelli, di Philip Gossett, Ago-stino Ziino e Annalisa Bini, tra gli altri. Presidente delcongresso era un altro italiano di prestigio, FabrizioDella Seta, che ha proposto il tema: ‘Musiche, Cul-ture, identità’, guidando con grande impegno e se-rietà il comitato scientifico in un lavoro molto duroper scegliere le oltre 600 relazioni ammesse su oltre1000 domande di partecipazione. E hanno superatoil migliaio i partecipanti di tutto il mondo presenti alParco della Musica, in questa kermesse che ha con-tribuito in maniera decisiva al rilancio della musico-logia italiana a livello internazionale. Se pensiamoche pochi giorni prima del congresso il nostro orga-nologo di punta, Renato Meucci, ha ottenuto il ‘CurtSachs Award’ dalla ‘American Musical Instrument So-ciety’, anche in questo caso primo italiano nei tren-t’anni del prestigioso premio, e che sempre unitaliano, Federico Celestini (ex allievo di Petrobelli,oggi professore ordinario a Innsbruck) è direttoredella rivista ‘Acta Musicologica’, organo dell’IMS, cirendiamo conto che l’Italia sta attraversando unanuova fase di forte credibilità internazionale. E sem-bra che, per fortuna, si possano cogliere, anche a li-vello interno, segnali di inversione di tendenzapositivi, soprattutto per disinnescare la lunga ten-sione tra università e conservatori: il Ministero dellaricerca e università ha avviato un confronto tra CUN

(università) e CNAM (alta formazione di accademie econservatori) e dal gennaio 2012 ha affiancato aquesto tavolo tecnico per la musicologia un ulte-riore gruppo di tre esperti, presieduto da Franco Pi-perno (Università Sapienza di Roma), con LorenzoBianconi (Università di Bologna) e me stesso. Questogruppo intende stabilire la possibilità di una equipa-razione reale dei titoli tra università e conservatori, apartire dai settori in cui esiste la musicologia. Dun-que una prospettiva molto concreta. Un ulteriorepasso avanti si è avuto con la recente giornata distudi dedicata allo stesso argomento, nell’ambito di‘Cremona Mondo Musica’, lo scorso 29 settembre;ma in quella occasione ho dovuto avvertire che nonè più possibile pensare di risolvere problemi legatiall’istruzione musicale superiore soltanto con losguardo nazionale, per non dire locale, rispetto allapiù ampia realtà globale. Viviamo una occasione sto-rica per verificare l’importanza dei saperi musicali(campo di studio della musicologia) rispetto allanuova società del nostro tempo, ben diversa ovvia-mente da quando furono create le prime societàmusicologiche oltre un secolo fa. Queste tematichesono rimbalzate nel Congresso di Roma del luglioscorso, per il titolo che si riferiva a ‘identità’ e ‘musi-che’ (al plurale), ma anche per la partecipazione, maicosì autenticamente planetaria, con colleghi giuntiin massa anche da quelle che erano considerate “pe-riferie” del mondo musicologico; dai paesi dell’esteuropeo, centro e sud America, alle molte presenzedall’Asia (ma ancora pochi dall’Africa e MedioOriente). L’allargamento a queste aree è stato unageniale intuizione del mio illustre predecessore allapresidenza IMS, Tilman Seebass, e sarà anche il mioimpegno per i prossimi anni, soprattutto per le partidel mondo finora assenti o poco rappresentate, perrendere davvero “internazionale” la società dei musi-cologi. La scelta di Tokyo come prossima città per ilCongresso quinquennale IMS nel 2017 (che coinci-derà con la fine del mio mandato) è emblematicadello spostamento di orizzonti in funzione non piùeurocentrica; così come lo è stata l’ elezione dei duevicepresidenti IMS: la argentina, residente negli StatiUniti, Malena Kuss, animatrice della ‘Regional Asso-ciation’ di tutti i musicologici dell’America latina, e ilgiapponese Ryuichi Higuchi. E i prossimi incontripreparatori della ‘Società Internazionale di Musicolo-gia’ saranno altrettanto simbolici: a Taiwan e Vilniusnel 2013, a Cuba nel 2014, New York 2015, in Brasilee Norvegia nel 2016. La musicologia italiana, anzi lemusicologie europee, dovranno fare i conti con que-sto scenario internazionale mutato e con lo sposta-mento dal centro alle periferie, che in musicaavviene come per tutti gli aspetti della vita. @

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n principio fu una piccola fisarmonica rossa PaoloSoprani con ottanta bassi: quasi un premio o ricom-pensa per essere diventato già all’età di cinque anni– a livello locale – un fenomeno con la chitarra e peraver dimostrato grande interesse e talento per lamusica. In realtà il dono di una fisarmonica – erededi quell’organetto tipico di quella cultura semplice,contadina e del “dopo lavoro” che richiama sia al suopaese di origine che agli stessi suoi nonni – sembraquasi un marchio indelebile che lo voleva rendereDOC, oltre a legare Salvatore di Gesualdo, nato aFossa (L’AQ), alla sua terra d’origine, l’Abruzzo. Al pic-colo e irrequieto enfant terrible, autore di innumere-

voli bravate, si sostituirà l’étudiant illustre: «lo stu-dio, o l’incontro, con la Kunst der Fuge ha incorag-giato una mutazione nella mia vita di musicista».Pur vivendo un’infanzia priva di grandi stimoli cultu-rali, quella sorta di «Hausmusik» che organizzava ilpadre Lorenzo la sera dopo il lavoro di segretariocomunale nella propria casa a Cansano, sembraabbia inciso molto favorevolmente nel suo rap-porto con la musica.Salvatore inizia a coltivare un particolare interesseper la musica, grazie soprattutto all’ascolto di con-certi d’organo, con una piccola Phonola, e così da lìa poco inizia a dedicarsi alla realizzazione del suogrande sogno: riprodurre sulla sua “scatola sonora”

Viaggio intorno alla figura di Salvatore di Gesualdo

Bach il mio dio, la fisarmonica la sua vocedi Salvatore Dell’Atti

Nel corso della sua vita, aveva spesso raccomandato ai giovani musicisti di investiresulla buona formazione invece di passare attraverso …le ‘italiche raccomandazioni’.

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Salvatore di Gesualdo

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(la fisarmonica) quei suoni arcaici che sentiva du-rante il concerto delle dieci della Domenica a ReteAzzurra. Quel concerto, ci riferirà lo stesso di Ge-sualdo, diventa una sorta di rito domenicale che, inseguito, assumerà le caratteristiche di un granelloche porterà molti frutti. Così Vignanelli, Germani, epochi altri organisti diventeranno suoi punti di riferi-mento e suoi idoli. Inizia così, a partire dai 10 anni, una prima fase distudi da autodidatta sulla fisarmonica, spargendosuoni nel suo paese, quasi a rafforzare con il suono imuri, come lui stesso annota.Ben presto il giovane si renderà conto che per rag-giungere i suoi obiettivi artistici ha bisogno di unirelo studio della fisarmonica con uno studio più ampiodella musica. Dopo le prime lezioni di Luigi Lanaroproseguirà con lo studio della Composizione sotto laguida di Rosolino Toscano; presso il Conservatorio“G. Rossini” di Pesaro conseguirà il Diploma nel 1967in Musica corale e Direzione di Coro, e nel 1970 –con Boris Porena – il Diploma di Composizione conla seguente commissione: Marcello Abbado, MarioBertoncini, Aldo Clementi, Domenico Guaccero e lostesso Porena.Il giovane musicista inaugura, così, una fase di stu-dio intenso e proficuo, isolandosi spesso. Lo studiodello strumento durante tutta la giornata lasciavapoi spazio dalle ore 23 allo studio “silenzioso” di par-titure di vario genere, mentre il canto del primogallo in lontananza lo avvisava che si faceva jòurn ebisognava smettere. L’esigenza di una reale concen-trazione e un certo studio “silenzioso” lo accompa-gnerà per tutta la vita. In particolare, d’estate, diGesualdo trovava questa dimensione ideale di stu-dio nella sua casa a Talla, paesino in provincia diArezzo, nel Casentino, che sembra aver dato i natalia Guido d’Arezzo.L’esperienza di studio della composizione per il no-stro musicista inizierà a dare i suoi primi frutti sia sulpiano dell’interpretazione che per la sua attività dicompositore e trascrittore, ribadendo in tutte le oc-casioni l’orgoglio di essere stato un allievo quasi ati-pico della scuola di composizione di Boris Porena.In uno dei suoi scritti egli (Kunst & Fuga, PrimoLibro) ricorderà Porena come maestro mai abba-stanza gratificato della sua inquieta coscienza di au-todidatta, anche se dal suo maestro erediterà lapassione e l’interesse per la didattica della composi-zione che metterà in pratica nelle sue interessantis-sime e coinvolgenti lezioni di 'Elementi diComposizione' all’interno della scuola di Didatticadella Musica presso il Conservatorio “L. Cherubini“di Firenze (sua città adottiva ed elettiva) ove inse-gnerà dal 1973 fino alla conclusione dell’attività di-dattica. Il decennio 1960/70 rappresenta un periodo moltoimportante per di Gesualdo. Dopo i primi risultati in

alcuni concorsi nazionali, nel 1962 – grazie ad unostrumento prestato per l’occasione da Alberto eLelio Picchetti della Victoria e che, a seguito della vit-toria, gli verrà poi regalato – si aggiudica il XII Trofeomondiale a Salisburgo. Il concerto per la CamerataMusicale Sulmonese del 18 Novembre 1962 in qual-che modo rappresenta il suo debutto. Ha inizio ilproiettarsi verso la professione – come scriverà eglistesso – di “solista inventore”, aprendo nuove pro-spettive al suo strumento. In sostanza, di Gesualdo, indagando su una serie dielaborazioni di nuove tecniche di esecuzione sulla fi-sarmonica, – in particolare per la polifonia e perl’esplorazione di nuove possibilità timbrico- dinami-che – inaugura l’inizio di una nuova stagione delconcertismo per quello strumento. Si avvia così ilpassaggio della fisarmonica – usata finora quasiesclusivamente per la musica popolare – a stru-mento classico, il cui repertorio, partendo dalla let-teratura antica da tasto, si proietteràsuccessivamente anche verso la musica contempo-ranea. Per la realizzazione dell’ambizioso progetto per il“nuovo strumento” egli incontrerà molti ostacoli eproblemi. Sempre nel ‘Kunst & Fuga, Primo Libro’,scrive che il suo compito è stato quello di un “musi-cista–contro” che ha dovuto inventarsi arti e parti(ovvero tutto, non essendoci ancora sia il repertorioche lo stesso ”nuovo strumento”) per aver diritto adesprimersi. Oltre a ciò, per realizzare il suo sogno ècostretto, suo malgrado e con vari sensi di colpa, adabbandonare Cansano, diventando un ‘Wanderer’. «Ho lasciato il paese senza il mio suono, forse ho of-feso i muri… ma il mio suono di Paese ha mossol’aria…». Ormai la fama è tale che si susseguono, purfra i vari “calvari” e resistenze, diversi concerti per im-portanti istituzioni concertistiche italiane: Firenze,Napoli, Siena, Brescia, Parma, Messina, etc. Soltanto l’8 Gennaio del 1969 ottiene il primo con-

certo Rai (ore 15:15 sul secondo canale, eseguendo,fra l’altro, la sua trascrizione realizzata a vent’annidella Toccata e Fuga in re minore di J. S. Bach), dopoaver superato audizioni con commissioni formateda: Giorgio Vidusso, Francesco Siciliani, Wolfgang Sa-wallisch, etc., in quanto le domande di audizioneche presentava per “Musica da Camera” venivano di-rottate per “Musica leggera”. Questa è una data im-portante nella storia dei programmi Rai poiché lafisarmonica entra nei palinsesti come strumentoclassico per la prima volta e da allora seguirannomolti altri concerti per i canali Rai video e audio. Latournée del 1969 negli Stati Uniti è l’occasione perpresentare al pubblico – attraverso sue trascrizioni –programmi con musiche da tasto di autori comeMerulo, Byrd, Frescobaldi e Bach, ricreando sonoritàparticolari che rimandano a strumenti dell’epoca, inparticolare all’organo positivo. Inoltre resta fonda-

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mentale l’esecuzione a New York dei suoi Momentid’improvvisazione che segna l’inizio di un newsound della fisarmonica. Finalmente di Gesualdo ini-zia a realizzare il suo sogno: riprodurre attraverso ilsuo strumento quel misterioso suono dell’organoascoltato per radio da bambino e l’inizio di nuove in-dagini sul suono. Nel 1964 nella Sebaldus-Kirche di Nürnberg per laprima volta ascoltaL’Arte della fuga. Aquest’opera monu-mentale di J. S. Bachegli dedicherà moltianni della sua vita;porterà a termine nel1984 la realizzazione(trascrizione) per ilsuo strumento del-l’opera e, successiva-mente, a partire dal2000, la collabora-zione con la casaeditrice PHYSA e lasuccessiva pubblica-zione dei quattrovolumi Kunst & Fuga.In particolare, il la-voro di trascrizionedell’Arte della fuga, oltre ad impegnarlo molto, harappresentato: «… il punto finale dell’acquisizionedella polifonia elaborata. Idealmente ho pensato aun esproprio di cultura!... Mancando il riferimentostrumentale specifico…Sembra un paradosso, mal’articolazione espressiva della fisarmonica suggeri-sce quasi una sintesi tra gli strumenti polimelodicicon fissità dinamica (organo, cembalo) e gli stru-menti monodici con variabilità sempre dinamica ». La realizzazione dell’Arte della fuga ebbe una lungagestazione e si concretizzò in numerosi concerti. Siricorda, a mo’ d’esempio, una selezione dell’operaalla XXXI Estate Fiesolana nel 1979; il concerto a RaiUno il 22 marzo 1985, in occasione del terzo cente-nario della nascita di J. S. Bach e poi lo storico con-certo al Teatro Comunale di Firenze del 20 Febbraio1986, dove l’esecuzione e l’interpretazione era sem-pre preceduta da una sapiente introduzione di ogniparte dell’opera. Quel concerto si concluse con l’im-provvisazione di una fuga con la sua fisarmonica daun soggetto ricavato da alcune note suggerite dalpubblico in sala. Da un quaderno di appunti “… de-ciso a studiare l’Arte della fuga di Bach… da anni ac-compagno il pensiero di questa 'impresa'…”; “ nelleripercussioni al basso potrei raddoppiare con l’8º in-feriore come un pedale d’organo o un contrabbassoin un quintetto d’archi… forza e presto…”; “…quest’Arte della fuga non mi dà pace, non dormo lanotte… Devo.” “… non so cosa accade al mio essere

fisico musicale al solo pensiero di eseguire questenote… mi sconvolge il sangue alla testa, tutti i bri-vidi in corpo, il pianto accenna a dirompere i mu-scoli tesi, totalmente coinvolto, le mani ferme, ilcuore mi scoppia come nel romano Dirumpi do-lore!...”. Nel frattempo, nel pieno della sua attivitàconcertistica, insegna presso il Conservatorio di Pe-saro, scrive recensioni per il Resto del Carlino; segue

un corso di Dire-zione d’Orchestra aRoma con FrancoFerrara, iniziano iprimi lavori da “pit-tore autodidatta”che - solo per farequalche esempio -saranno presentatiin quelle varie “per-sonali”(Anni Ot-tanta), presentandolavori di china e gra-fite su carta, tecnicamista su carta-co-tone. Ai visitatoridella mostra si rac-comanda:”… all’os-servatore chiedo di‘ascoltare’ questi

quadri da vicino e da lontano e poi con una messa -a - fuoco sghemba o imperfetta…annebbiarsi lavista vuol dire estraniarsi slontanare porre un dia-framma tra sé e il mondo o semplicemente ridurretutto a sé come un bimbo 'attraverso' lacrimoni a ca-priccio… “. Curioso verso ogni campo del sapere, univa, attra-verso un sottile fil rouge, la musica e molte altreespressioni artistiche. “Ho inseguito 'curiosità'… ho curiosato migliaia dilibri…quante cose so, di musica e di arti!… E quantecose non so?... Un milione di volte di più delle coseche so…”. Nel suo Primo Libro ‘Kunst & Fug’a, lostesso maestro, quasi con vis polemica a propositodei musicisti e dei pittori contemporanei, allude uto-picamente alla eliminazione di «quei clan che deci-dono a tavolino il destino degli artisti con criteri dimercato» in quanto «l’intermediazione lucra e noneduca», esortando: ”…ogni artista torni alla sua bot-tega aperta agli amici sostenitori e ai nemici detrat-tori…Allora il rapporto diretto tra artista e il suopopolo, tra il pittore e i suoi ‘collezionisti’, etc.,…siperfeziona in un “rapporto di conoscenza”, unica ga-ranzia di un gusto duraturo , selettivo di qualità…”.La critica e la stampa internazionale lo definiscono‘innovatore’; lo chiamano ‘il Segovia della fisarmo-nica’; in Italia non mancano altrettante critiche lusin-ghiere. Leonardo Pinzauti, in occasione di un suoconcerto, lo definisce ‘Fisarmonica sbalorditiva’.

J.S. Bach

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Saranno in particolare, già dalla fine degli anni ‘60,numerosi incontri collaborazioni ed attestazioni distima a segnare – come ricorda lui stesso – la sua‘epifania’. Nel 1966 Goffredo Petrassi: ” … un contri-buto molto importante nello sviluppo del suo stru-mento…”; 1967, G. Malipiero: “… lei aggiunge lustroa un nome già tanto illustre, quello di Gesualdo….”;1968, Pierre Boulez : “l’artiste de l’accordèon” e LuigiNono: ”… ha fatto una vera rivoluzione nel campodella fisarmonica…”; 1973 Luigi Dallapiccola: “Paga-nini della fisarmonica”; 1975, Bruno Bartolozzi“…porta uno straordinario contributo alla cono-scenza di questo strumento, mettendone in luce lereali possibilità…con effetti di grande nobiltàespressiva e di insospettate risorse sonore…”; Syl-vano Bussotti: “…straordinario musicista… egli ri-vela quella proprietà (forse l’essenziale) ditrasfigurazione del reale che la Musica, sopra tutte leumane ricchezze, con ogni mezzo ed ingegno cidona”; György Ligeti: “You are Wonderful artist!”;1976, Franco Donatoni, nel piacere e stupore nel-l’ascoltarlo, alludendo sia al coraggio che alle ra-gioni di far musica con la fisarmonica: “… Unodovrebbe poter trovare la tua coerenza, e allora unlumicino piccolo ma fermamente acceso illumine-rebbe la sua esistenza”.Per comprendere l’originalità e la genialità del no-stro musicista non si può non accennare anche allasua produzione compositiva, particolarmente indi-rizzata per il suo strumento. “… Non sono un “com-positore” dal punto di vista sindacale… compositore“malgré moi”… senza alcun motivo di inorgoglirmi,davvero!...”. Ecco la sua autodefinizione di vista com-positore (I Libro Kunst & Fuga). Alla già menzionataattività di trascrittore (J.S. Bach, Arte della Fuga, oltre

a vari autori tratti dalla letteratura da tasto come adesempio: F. Landino, G. Frescobaldi, C. Merulo; B. Pa-squini, o W. Byrd), nascono e si aggiungono diversecomposizioni originali per la fisarmonica da con-certo raccolte in un CD edito da EMA Records nel1996. Le intenzioni e i “sogni” di Salvatore per rag-giungere nuove sonorità sulla fisarmonica si concre-tizzeranno nella realizzazione di un nuovostrumento. Grazie alla Victoria di Castelfidardo potràcosi realizzare il modello V SdG, uno strumento chesi caratterizza soprattutto per ampie e nuove possi-bilità espressive. Le sue composizioni così risultano“nuove”, originalissime e aprono a nuove prospet-tive. Se in Epitaffio (Anni Settanta), composto in me-moria del padre, cerca una certa intesa e interazionedi timbri tra lo strumento e un nastro preordinato,nelle Improvvisazioni (1-3) egli stesso ci informa che:«ho spinto la mobilità dinamica fino all’esaspera-zione tramite quel “polmone esterno” che è il man-tice». Agli anni ’80 risalgono i Moduli, composizioniper fisarmonica e computer realizzate attraverso lacollaborazione tecnica di Pietro Grossi; Musica ProGuido (anni ’90), composta in occasione del Millena-rio dalla nascita di Guido Monaco sviluppa ulterior-mente il linguaggio utilizzato in Moduli e nasce unacomposizione per fisarmonica, nastro e suoni con-creti. Nel corso della non facile vita e professioneaveva fatto suo il motto “non senza fatiga si giungeal fin” di frescobaldiana memoria; ed aveva racco-mandato di investire sulla buona formazione invecedi passare attraverso “…le italiche 'raccomanda-zioni'”, sono sue parole. A lui si deve, infine, anche laredazione dei Nuovi Programmi della Fisarmonicanei Conservatori, a seguito dell’incarico del Ministeronegli anni ’90. @

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dischi

decennio le fronde del velleitario, astrattamenteutopistico albero dell’emancipazione dalla tonalità,e proprio spariti i germogli della disperata asfitticaindefinita vegetazione cresciuta alla sua infecondaombra.Tra le sempre impegnative realizzazioni discografi-che di questa che, si ripete, è da assumere senza in-certezze come la capitale opera sinfonica (e forsenon solo) novecentesca, la presente, pilotata e scan-dita da Ivan Fischer, a Budapest nel Dicembre 2010 è- a quanto è dato da cogliere dal vorticoso girare deldischetto metallico - fuor di dubbio la più lodevole:per la indagatoria ma rispettosa indagine cromaticadel tessuto sinfonico, per la solidità e la sicurezzanell’interazione delle sezioni della magnifica orche-stra, e, non ultima, la rivelatrice attenzione - un mira-colo - prestata al rililevo delle voci interne dellaformidabile partitura. Ivan Fischer, direttore dotatodi superba sensibilità e di lucide idee, è da apprez-zare sempre più come una garanzia di intelligenzamusicale e di probità artistica: con la sua straordina-ria orchestra offre in questo raccomandabilissimoCD stravinskyano, le esecuzioni, anch’esse esemplari,della Suite 1919 da L’uccello di fuoco, lo Scherzo à laRusse, e - una rarità - la versione orchestrale di FelixGuenther, di Tango (1940, 1953), approvata dall’au-tore, che ebbe protagonista il clarinettista BennyGoodman, a suo tempo solista anche nella realizza-zione di Contrasti di Béla Bartók, con l’autore al pia-noforte e il violinista Joseph Szigety in trio (reg.1940): non solo jazz.

Umberto Padroni

(Stravinsky The Rite of Spring Budapest Fest.Orch.Ivan Fischer, dir.

Channel Classics CCS SA 32112)

IL ‘SACRE’ SEMPRE VERDE

Nella primavera del 1913, Alfredo Casella e GianFrancesco Malipiero si aggiornavano a Parigi; eranoentrambi sui trent’anni, e - altri tempi - si davano illei; Malipiero era in procinto di rimpatriare, mal’amico volle trattenerlo: “Non parta. In maggioavremo la rappresentazione del nuovo balletto diIgor Strawinsky: Le sacre du printemps che segneràcertamente un altro passo avanti in quella direzioneche tutti dobbiamo seguire per la salute dell’artemusicale”. È Malipiero che ricorda, nel suo Strawinsky(Venezia, Il Cavallino, 1945) come Casella gli abbiasuggerita l’opportunità di assistere all’evento che inseguito si sarebbe confermato di maggiore pre-gnanza del Novecento musicale. Infatti, il 29 (maStravinsky e Malipiero sostengono il 28) Maggio, alThéatre des Champs-Elysées, sotto la (temeraria) di-rezione del trentottenne Pierre Monteux, eroica-mente devoto al compositore russo, va in scena ilballetto commissionato da Serge de Diaghilew, lon-tano parente di Stravinsky (1882-1971), per i suoi“Ballets Russes”. L’accoglienza è burrascosa, il pub-blico reagisce scompostamente all’inaudito impattouditivo con la tellurica e graffiante partitura, e difronte alla forte coreografia di Vaslav Nijinskij, chenell’evocazione di ancestrali riti terragni, non la-sciava spazio alcuno alla categoria del grazioso, anzi.Sulla storica coreografia è in seguito intervenutoLeonid Massine che dal 1920 ripropose il ballettonella sua versione, per molti decenni, in tutto ilmondo, senza peraltro giungere a una vera assimila-zione da parte dei pubblici. Dopo questi notissimidati molto sommari, occorre precisare che La sagradella primavera è soprattutto nota nella sua forteidentità sinfonica, sempre presente nelle program-mazioni concertistiche e fissata in mille realizzazionidiscografiche. Oggi l’esecuzione delle centocinquan-tatre pagine d’oro della partitura che evoca il fremitoe il vigoroso pulsare della natura al suo risveglio, nonè (quasi) più un problema, e non è più accolta dalputiferio d’allora - anche perché la cultura e la sensi-bilità del popolo della musica sono sottoposte, neldelirante dilagare della “comunicazione”, a un evi-dente ottundimento - e la grande opera che compieun secolo di vita, può anzi porsi come colonna por-tante del Novecento. Essa - nella sua sfrontata com-plessità, nelle ardue strutture ritmiche e strumentaliche animano con insolente dinamismo e con crudoparossismo la grande, sgargiante orchestra - si poneradicalmente nella non discutibile, magistrale collo-cazione riassuntiva, e naturalmente di promozione,di tutte le istanze valide di un processo che, ai suoigiorni, era ancora inteso come evolutivo. Tanto piùoggi, ovviamente, cadute e rinsecchite in qualche

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Nota al testo di Lorenzo Bianconi - dal meritorio edi-tore. Si tratta di testi che nel loro insieme si arricchi-scono, addirittura si illuminano aggregandosi in unareciproca integrazione, di quella compenetrazioneche fa rimpiangere l’assenza di un’opera storica ar-chitettata organicamente a corona della sua biblio-grafia. I due ricchissimi volumi sono insomma un decisivocontributo alla conoscenza e alla valutazione delteatro musicale del Sette, Otto e Novecento: la sceltaha messo a fuoco ben oltre settanta opere con unagolosa appendice di tredici balletti. Fortunato peressere stato forse solo sfiorato dalla sciagura delleoscene, lesive messinscene odierne - scenografie eregie - d’Amico colloca nei suoi programmi, conmano colta e sicura, sintetica ma mai reticente,acuta e rivelatrice, e talvolta opportunamente pole-mica, il disegno eloquente della complessa crea-zione e realizzazione teatrale: fino al momento in cuiegli “conquistatosi il lettore, se lo porta a teatro consé”, come dice Giorgio Pestelli.Il sipario si alza sui più significativi lavori di C.W.Gluck, W.A. Mozart, L. van Beethoven, G. Spontini, G.Rossini, V. Bellini, G. Donizetti, G. Verdi, H. Berlioz, R.Wagner, M. Musorgskij, J. Strauss, G. Bizet, P.I. Čaj-kovskij, J. Offenbach J. Massenet, N. Rimskij-Korsa-kov, G. Puccini, R. Strauss, B. Bartók, G.F. Malipiero, S.Prokof’ev, A. Schönberg, L. Janáček, M. Ravel, A.Berg, I. Stravinskij, D. Šostakovič, K. Weill, A. Casella,G.C. Menotti, P. Hindemith, M. Peragallo, G. Petrassi,V. Bucchi, S. Barber, B. Britten, G. Turchi, H.W. Henze,F. Testi, N. Rota, L. Berio, e sui balletti di A. Adam, P.I.Čajkovskij, F. Chopin-M. Fokine, M. de Falla, A. Ca-sella, e P. Hindemith: una composita storia del teatromusicale implicante amore anche per la polvere, e ilprofumo, delle tavole del palcoscenico. Provviden-ziali sono l’Indice dei nomi e l’Indice delle opere edei balletti in un lavoro di tale profondità e am-piezza - pregnante anche per la forte valenza meto-dologica - quale si offre all’appassionato e allostudioso nella veste di agile, esaustiva, impareggia-bile Biblioteca. (U.P.)

(Fedele d’Amico Forma divina. Saggi sull’opera lirica e sul balletto. Firenze,

Leo S.Olschki Editore, 2012; pp.xiii, 578, 2 voll. € 54.)

PASSIONE E RAGIONE DI FEDELE

Fino al 1990 al nome di Fedele d’Amico rispondevaun signore non alto, vivacissimo, onnipresente suiluoghi della musica. Era dovunque. Dall’anno della sua scomparsa, a settantotto anni,questo illustre nome viene attribuito al maggiore cri-tico e storico della musica attivo nella penisola nelsecondo '900. Nato “bene” - figlio di Silvio, il mag-giore critico e storico teatrale del suo tempo - e diottima formazione - fu allievo di Alfredo Casella - adiciannnove anni Lele già scriveva di musica, nel1941 era funzionario alla EIAR (poi RAI) dove si fa-ceva musica con vero impegno, e per tutta la vita, in-stancabilmente, ascoltò musica e assistette a eventiteatrali, partecipò con saggezza, generosità e ironia,a dibattiti: sempre riflettendovi e scrivendone, anchedopo avere lasciato l’attività accademica alla Sa-pienza di Roma, nel 1988.Lele d’Amico fu un vero protagonista; oggi, al suo la-scito i giovani soprattutto possono riferirsi con fidu-cia per verificare il valore fondante della cultura,appetto al disvalore e alla futilità delle mode. A unuomo di vigoroso carattere, determinato, di spec-chiata probità e di inconsueta autonomia intellet-tuale come d’Amico - i numerosi volumi cheraccolgono variamente una parte del suo lavoroquotidiano, sono lì a testimoniarne la passione e laragione - si riconosce inoltre un solidissimo spessorestorico e culturale, e un gusto a tutta prova: unasumma di doti che gli hanno impedito di inzacche-rarsi, negli anni più tetri della nuova musica, in cedi-menti, e in difese di cause storicamente perse, in cuialtri, di orecchio ottuso e di miope occhio, sono in-vece inciampati. Sono trascorsi decenni, e qualchesomma si può tirare.Passione e ragione: virtù rare che nell’opera di Fe-dele d’Amico danno tensione e risalto all’impegnostorico che il grande critico esibisce nella preziosa,autorevole scelta di programmi di sala, ormai irrepe-ribili, riuniti - con Prefazione di Giorgio Pestelli e una

Fedele d’Amico

libri

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LETTO SULLA STAMPA

Caro Sovrintendente,la situazione in cui versa l'attenzione del nostroPaese alla Cultura è decisamente non degna di unpaese civile. Vi è un problema di insostenibilitagli, ma vi è anche un problema di considerazione,di valorizzazione che ormai ha raggiunto livelli in-sopportabili. L'Italia non ha bisogno di direal mondo cosa rappresenta dal punto di vista cultu-rale, per storia e per presente. Inoltre non si com-prende che le attività culturali nel nostropaese, in modo particolare quelle delle FondazioniLiriche, sono vere e proprie linee economiche su cuipoggiano moltissime attività, anche diindotto.Inoltre i tagli indiscriminati, che non ten-gono conto di chi ha già atto in proprio importantirazionalizzazioni, sembrano premiare più chi non'ha badato a spese' rispetto a chi ha lavorato te-nendo conto della situazione del Paese. Garantisco ilmio totale impegno e anche quello delmio partito per ribaltare questa assurda situazione.La situazione del Paese la conosciamo tutti, le diffi-coltà pure, ma sappiamo che se non valorizziamoquanto di buono abbiamo, probabilmente non ci ri-prenderemo mai. Noi vogliamo la dignità delle per-sone, dei lavoratori e un forte riconoscimento a chinel nostro Paese produce cultura e ne mantienesalde le fondamenta. Tutto l’impegno per La Fenice ele altre Fondazioni Liriche.

Davide ZoggiaPartito Democratico

Lettera aperta ai candidati al Parlamento

Ancora una volta viene assestato un duro colpo allaCultura del nostro Paese. Il FUS, Fondo Unico delloSpettacolo, viene decurtato di 20 milioni di euro nel2013, un taglio che per le Fondazioni Liriche sarà di10 milioni di euro.Questo avviene dopo l’approvazione di un provvedi-mento, il 22 dicembre scorso, il cui risultato saràquello di provocare la chiusura di molte, se non ditutte, le Fondazioni liriche italiane.Tutto questo avviene di fronte a una totale disatten-zione per la Cultura e lo Spettacolo dal vivo da partedi chi dovrebbe difendere questo patrimonio cultu-rale fondante del nostro Paese, una ricchezza sullaquale si basa una parte importante dell’economia dialcune città.Ancora una volta, dunque, sul settore dello Spetta-colo dal vivo, delle Fondazioni Liriche, si abbatte unaterribile minaccia, un taglio inutile e dannoso che ar-riva a bilanci già approvati, attività programmate,impegni contrattuali già presi, investimenti pianifi-cati. Un taglio che, colpendo in maniera indiscrimi-nata tutte le Fondazioni, andrà a penalizzare ancor dipiù quelle virtuose, quelle con i bilanci in pari.Se a questo comparto si chiede efficienza e produtti-vità deve anche essere oggetto di grande rispetto eattenzione per la portata nazionale ed internazio-nale della sua produzione e dell’immagine legata alSistema Paese. Ai candidati alla Camera e al Senato chiediamo di farconoscere le loro posizioni su questa emergenza e leloro intenzioni per il futuro a favore della Cultura edel Teatro La Fenice.

Cristiano ChiarotSovrintendente Teatro La Fenice

Cristiano Chiarot saluta il Presidente Napolitano e, accanto, la contessa Valmarana

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CONTROCOPERTINA

on un duro cor-sivo del direttore delCorriere della Sera, il2 febbrario 2013,quello che poteva re-stare uno spiacevoleepisodio di insoffe-renza e censura, avve-nuto fra via deiFilodramatici e viaSolferino, diviene dipubblico dominio.Scrive de Bortoli:"Paolo Isotta, criticomusicale del Corrieredella Sera, è statobandito dalla Scala.Decisione del sovrin-tendente dopo un articolo non proprio benevolo neiconfronti di Daniel Harding e, indirettamente, diClaudio Abbado. Chi scrive, al contrario del suo cri-tico, ama entrambi i direttori d'orchestra, l'allievo e ilmaestro, ma ha sempre ritenuto e ritiene che la li-bertà di critica sia sacra purché non scada mai neitoni e nei contenuti.Isotta non è alieno dagli eccessi (il direttore è ancheun calmante naturale) ma è uno straordinario, intelli-gente e imprevedibile critico che conosce la musicameglio dei suoi detrattori scaligeri per i quali ognilode è dovuta, ogni appunto sospetto, ogni richiesta- anche la più bizzarra di un artista - legittima. Con lalettera a chi scrive del 18 ottobre 2011 il sovrinten-dente Stéphane Lissner- che mai si sarebbe peritato[sic] di rivolgersi allo stesso modo agli organi di in-

formazione del suoPaese (ma forse ciconsidera una colo-nia) - chiese con arro-ganza la testa diIsotta. Non più gra-dito. Non la ebbe enon l'avrà neanchequesta volta.". ( f.d.b).)L’indomani, Lissner,sovrintendente dellaScala, risponde, dallepagine del Corriere, aldurissimo attacco dide Bortoli: “Caro Diret-tore, rispondo al tuocorsivo di ieri perchiarire soprattuttoall’opinione pubblica

di che cosa si parli realmente nel caso che intitoli ‘laporta chiusa della Scala al critico del Corriere’. Primo,la Scala non ‘chiede la testa di Isotta’, né l’ha maichiesta. Ha solo preso una decisione, dopo una seriedi articoli che hanno ampiamente superato i limiti diquella che tu stesso definisci una ‘critica che nonscada mai nei toni e nei contenuti’: non concedere itradizionali due posti stampa gratuiti ( e pretesi adomicilio) per entrare alla Scala. Dici che Isotta non è‘ alieno da eccessi’, ma questo è noto a tutti, colleghi,teatri e spettatori da anni. Lo ricorda bene anche laScala prima di me, lo ricordano i musicisti e gli uo-mini di cultura a proposito di un offensivo ‘necrolo-gio’ di Luigi Nono; lo ricordano alcuni colleghi anchepiù anziani che sono stati schiaffeggiati pubblica-mente, uno anche alla Scala, il decano dei critici ita-

Storia di una inammissibile censura

ALLA SCALA PORtE CHIUSE ALCRItICO DEL CORRIERE

a cura della redazione

E’ accaduto a Milano, in occasione delle recite del ‘Nabucco’: la Scala ha rifiutato i bi-glietti al critico del Corriere, Paolo Isotta. Tale rifiuto è la conseguenza diretta di un arti-

colo di Isotta sul ‘Falstaff ‘diretto da Harding. Si tratta di uno dei tanti casi di censuranei confronti della critica.

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Stéphane Lissner

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liani; lo ricorda una direttrice d’orchestra cui venivaconsigliato uno uso alternativo della bacchetta, lo ri-corda un direttore svillaneggiato perché non portavail frac. E così via. Se Paolo Isotta è uno ‘straordinario,intelligentissimo e imprevedibile critico’, ciò rendeancora più imbarazzante il suo sconfinare negli ec-cessi di cui ‘ il direttore è anche un calmante natu-rale’. In realtà ancora non siamo al cuore delproblema. La Scala ha deciso di prendere le distanzeda Paolo Isotta, non perché egli esprima ed abbiaespresso opinioni difformi e scomode nei confrontidel teatro, ma perché troppe volte ha deciso di tra-dire lo spirito del ‘krinein’ greco da cui la p0rofesionedi critico trae la logica e l’etica della sua funzione:pensare, riflettere, porsi fra l’opera d’arte e il pub-blico per far capire. Isotta ha deciso di condurre cam-pagne personali di natura diversa da quella dellacritica musicale,e di usare i suoiarticoli noncome momentidi riflessione,ma come stru-menti di potere,come armi ‘con-tro’ qualcosa equalcuno, isti-tuzioni e artisti.E in questo laScala non ha al-cuna inten-zione diassecondarlo,pur restandoben aperte leporte del teatroal Corriere dellaSera. E’ com-prensibile egiusto che tudifenda i tuoigiornalisti e una testata carica di storia e di rispetto.Per questo non ti sarà difficile comprendere perchè,di fronte ad attacchi intrisi di secondi fini, che ogget-tivamente hanno violato i odici di comunicazioneche tu stesso ritieni non aggirabili, come sovrinten-dente della Scala abbia deciso di difendere l’istitu-zione, i suoi artisti, i suoi lavoratori. Lo farò, da uomolibero, fino alla fine del mio mandato. Con immutatastima. Stéphane Lissner”.Sulla medesima pagina, a seguire, la risposta deldirettore del Corriere: “ Pubblico la sua lettera, gen-tile sovrintendente, ormai a metà mi risulta fra laScala e l’Opéra, per cortesia e rispetto verso l’istitu-zione che noi milanesi veramente amiamo. Isotta hasbagliato nel richiederle in quel modo i biglietti. Mala decisione di dichiararlo persona non gradita, e io

di conseguenza con lui, non sarebbe mai stata presada nessuno dei suoi predecessori. Gli eccessi del miocritico mi sono ben noti, purtroppo, e me ne scuso.Ora mi aspetto da lei che con coerenza bandisca dalteatro tutti gli artisti dal carattere difficile e dal com-portamento bizzoso e indisciplinato, a cominciare daalcuni celebri direttori d’orchestra. L’ordine sarà assi-curato. La noia pure”. ( f.d.b.)Interviene il diretto interessato, Paolo Isotta, conuna dichiarazione all’Adnkronos:: "Non replico alleinnumerevoli affermazioni diffamatorie intorno almio lavoro e alla mia carriera che Lissner mi attribui-sce. Mi preme pero' precisare che ove Lissner parla diun attentato che avrei effettuato alla Scala ai dannidel decano della critica musicale, il mio carissimoamico Rubens Tedeschi, che la storia ando' in questitermini: nel foyer della Scala lo apostrofai affettuosa-

mente, chia-mandolo'amore mio',come si usapresso noi meri-dionali, inten-dendo'carissimoamico'. E Ru-bens, altret-tantoscherzosa-mente, mi ri-spose fingendodi darmi unoschiaffo. Ando'cosi', come sievince anchedai giornali del-l'epoca”.Infine, inter-viene l'Associa-zioneNazionale dei

Critici Musicali, solitamente in sonno in simili circo-stanze, salvo rarissimi casi, stando attenta tuttavia anon ‘svegliare il can che dorme’, come si dice, peresprimere “apprensione per una scelta che, di fatto,mette in pericolo il libero esercizio della critica impe-dendo il lavoro regolare di uno dei suoi professioni-sti. Senza entrare nel merito delle motivazioni erispettando il diritto-dovere delle istituzione di tute-lare il proprio nome, l'Associazione ritiene che spettial direttore del giornale e alla comunità dei lettorivalutare la correttezza professionale del giornalista.Discriminazioni di questo genere screditano la fun-zione culturale e di servizio di tutta la critica musi-cale italiana, oltre a offendere il ruolo di chi leassume”.Fin qui il caso Isotta, o Lissner, se si vuole. A seguire

Luciano Berio

CONTROCOPERTINA

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due altri casi che hanno riguardato inpassato il direttore di Music@. Si ci-tano, semplicemente, perché rivelanosituazioni analoghe. Dieci anni fa o poco più, l’ AdnKronos,

riferiva di un grave episodio occorso aldirettore di questa rivista: “Un criticomusicale ha scritto una lettera apertaal maestro Luciano Berio, presidentedell'Accademia Nazionale di Santa Ce-cilia, per protestare contro un ''graveatto di censura'' di cui sarebbe statovittima. Pietro Acquafredda, ex diret-tore di 'Piano time' e 'Applausi', ha denunciato di nonaver ricevuto l'invito per prendere parte alla confe-renza stampa di presentazione della stagione: i fun-zionari dell'Accademia avrebbero avuto l'ordine dinon mandare al critico l'invito. ''La decisione derivadal fatto che negli ultimi mesi Acquafredda avevaespresso giudizi negativi sull'operato del maestroBerio, in qualita' di commissario''. L’accaduto venneriferito all’Associazione Critici Musicali, con la richie-sta di un intervento. Il suo presidente di allora - che èlo stesso di ora - disse che l’Associazione stava mo-nitorando il fenomeno; ma non ritenne di intervenireufficialmente; come invece ha ritenuto di fare di re-cente per protestare con il Sovrintendente di Firenze,per il licenziamento di Susanna Colombo ( ufficiostampa del teatro, all’epoca non critico musicale); epoi per il dimissionamento del sovrintendente Co-gnata a Palermo (Cognata è anche critico musicale?No, ma è stato dimissionato da un ex critico musi-cale. O, più semplicemente, perchè Palermo è sem-pre stata ‘terra adorata’ per le carovane dei critici).E di recente, un analogo episodio si è verificato alTeatro dell’Opera di Roma, un teatro che Isotta ri-tiene il massimo in Italia. Sarà, sicuramente non infatto di rispetto del diritto di critica. L’episodio segna-lato proprio su questa rivista, non ha ottenuto nes-suna presa di posizione da parte dell’Associazionedei critici musicali’. Sul numero 26 ( gennaio-febbraio2012) di Music@, si denunciava il sopruso: “ Nel pre-cedemte numero di Music@, il direttore di questa ri-vista aveva espresso, in base a dati oggettivi e a suepersonali valutazioni, una opinione sulla situazionedei due maggiori nostri teatri, Scala di Milano eOpera di Roma. E, per Roma, aveva ipotizzato che se,in futuro, Lissner sbarcasse a Roma e Muti vi restasse,i due insieme potrebbero davvero far rinascere il tea-tro in maniera duratura. Mentre attualmente la pre-senza di Muti, ‘direttore onorario a vita’, pur salutare,sul podio è assai limitata. Al contrario, come si sentedire in tutte le occasioni, ogni scelta che si fa in tea-tro ha l’avallo di Muti, a partire dalla nomina dei suoidirigenti, sui quali sarà pure consentito, con tutto ilrispetto e la stima che si ha per il noto direttore,esser di diverso parere. Quell’articolo del direttore di

Music@ non deve essere piaciuto all’attuale diri-genza dell’Opera di Roma che, con gesto intimidato-rio e volgare, gli ha negato il biglietto per la primadel ‘Macbeth’ di Verdi. Il maestro Muti, quando verràa conoscenza di tale fatto, non mancherà di ripren-dere i vertici del suo teatro, obbligandoli a scusarsi.Glielo impone il suo alto profilo morale e professio-nale”. Inutile dire che a tutt’oggi quelle scuse nonsono ancora arrivate.

UNO, DIECI, CENtO LISSNER La storia, come si vede, si ripete e, purtroppo,nulla assicura che non si ripeterà ancora. E al-lora? Bene ha fatto Ferruccio de Bortoli a rispon-dere pubblicamente a Lissner, che ha senz’altrosbagliato, quand’anche avesse avuto tutte le ra-gioni del mondo, a ‘censurare’ Isotta. Per unavolta, il caso Isotta ha fatto il miracolo di resusci-tare l’Associazione dei Critici Musicali, da tempomorta e sepolta, sebbene nel sito della stessanon vi sia traccia di questa presa di posizioneche, si deve presumere, assai timida. Il fatto piùgrave, che non può sfuggire a nessuno, è che,sull’altra sponda, quella critica musicale italianache si ritiene ‘corretta’, scrive quotidianamentedietro suggerimento: per lo meno ogni qualvoltauna istituzione paga il giornale per quelle cosid-dette pagine ‘eventi’, o quando questo o quel cri-tico è a libro paga di questa o quella istituzione,per scrivere programmi di sala o guidare incontrie tavole rotonde, come la cronaca quotidiana-mente informa. Si può credere al critico quandoscrive di ciò che accade in quelle stesse istitu-zioni? Crediamo fermamente, invece, che i re-sponsabili di grandi istituzioni culturali,finanziate con soldi pubblici, non possono maiassumere atteggiamenti come quello di Lissner(e non è il solo: è bene ribadirlo!). Cioè a dire dapadroni che provano ad intimidire i critici che,considerano, alla stregua di loro dipendenti.Come, in molti casi, lo sono. ( P.A.)

Teatro dell’Opera di Roma

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ARIA DEL CATALOGO

uando è andato alla pagina del suo catalogo, intito-lata ‘ Musici diversamente giovani’ per cancellarvi il nomedi Ratzinger, musicista ad honorem, dimessosi per so-praggiunti e superati limiti di età, perfino ad uno comeLeporello, uomo di mondo, che ne ha viste di cotte e dicrude, prima e dopo il servizio a Don Giovanni, per poconon gli veniva un colpo. Quella pagina, dalla quale stavacassando il nome di Ratzinger, per trasferirlo nella pa-gina dei ‘Musici emeriti’, giacchè continuerà ad esercitarecomunque, lontano dagli occhi di tutti, era ancora zeppadi nomi di musici che non si decidono a schiodare, nono-stante l’età avanzata. Perché - si è allora detto - ancheloro non seguono l’esempio del papa re che ha rinun-ciato al trono più importante del mondo, senza che nes-suno glielo abbia chiesto? E, pensa e ripensa, gli èvenuta un’idea. E se proponessi ad ognuno di essi di tra-sferirli alla pagina ‘Musici emeriti’ del catalogo, mettendonuovamente il loro nome accanto a quello di Ratzinger,rinuncerebbero alle poltrone dalle quali tuttora, percolpa dell’età e degli acciacchi, fanno fatica a staccarsi?Leporello non sa quale sarà la loro risposta; ma siccomedi speranza si vive, confidando anche nella loro sensibi-lità, offesa al semplice pensiero di lasciar solo Ratzingernel suo nuovo status di ‘emerito’, si è ripromesso di in-viare loro questa lettera di invito con la proposta discambio: “Illustre maestro, dopo le clamorose dimissionidel suo compagno di musica, Ratzinger, che ha deciso digodersi una serena pensione, sapendola occupata al li-mite della resistenza, volevo invitarla a dimettersi, pro-mettendole, in cambio, che trasferirò il suo nome,all’interno del mio catalogo, dalla pagina ‘Musici diver-samente giovani’ a quella di ‘Musici emeriti’. Conto sullasua sensibilità ma soprattutto sul suo evidente affanno.Mi faccia sapere”. Firmato Leporello. Ha preso carta e penna, ha ricopiato la lettera e l’ ha in-viata ai destinatari, nelle rispettive sedi di lavoro. Fra iprimi, a Francesco Canessa, di anni 86 : ‘consulente cultu-rale per la musica’ del Senato della Repubblica; , a Gioac-

chino Lanza Tomasi di anni 79 : professore all’Universitàdi Palermo ( sempre che sia ancora attivo, come abbiamoletto a proposito di un recente convegno napoletano); aMario Messinis di anni 81, direttore Bologna Festival e cri-tico musicale; a Piero Rattalino di anni 82: membro delladirezione artistica e culturale del CIDIM di Roma e Mem-bro Commissione Musica del MIBAC; a Cesare Mazzonisdi anni 77 ( un pischello, tanto è vero che il suo nomenon è ancora presente neppure nel DEUMM aggiornato):direttore artistico dell’Orchestra nazionale Rai e della Fi-larmonica romana.A Domenico Bartolucci di anni 96, non ha scritto, perché

dalla Cappella Sistina è passato a fare il cardinale, e dun-que, d’ufficio, passa dall’una all’altra pagina del catalogo.E intanto sta tuttora continuando ad inviare lettere a tuttii musici ‘diversamente giovani’.Ad essere sinceri nella stessa pagina del catalogo figu-rano anche altri nomi, che ha deliberatamente espuntodall’elenco dei destinatari della lettera, tra cui i composi-tori Sylvano Bussotti, Giacomo Manzoni, Fausto Razzi,Ennio Morricone, Paolo Castaldi ed altri… tutti liberi pro-fessionisti, che non hanno incarichi pubblici - sta qui ladifferenza: i quali, dunque, possono continuare ad eser-citare, finchè qualcuno li richiede. Nella pagina seguente,‘prossimi musicisti emeriti’, legge i nomi di MichelangeloZurletti di anni 76: direttore Teatro sperimentale di Spo-leto; Bruno Cagli di anni 71, sovrintendente ‘a vita’ Acca-demia di santa Cecilia; a loro, se non schiodano prima ,Leporello, scriverà prossimamente.Una confessione, anzi due, per finire. Leporello, con

quelle lettere, ha voluto dare una mano alla rottamazionee liberare qualche posto per darlo a musicisti ‘veramentegiovani’, valorosi ma disoccupati; ma, avendo egli dapoco superato i 65, ha scritto ai matusalemme della mu-sica italiana, per illudersi di essere, per un po’ ancora,giovane.@

Leporello

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DA ‘DIVERSAMENtE GIOVANI’ A ‘EMERItI’

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