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il coyote liberò le stelle (completo)

Date post: 28-Mar-2016
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Il coyote – povera bestia – gode di cattiva fama. Chissà perché.Anche i politici godono di cattiva fama. Chissà perché.
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RIMMEL

narrativa italiana

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Laurana Editore è un marchio Novecento media s.r.l.Copyright © 2013 Novecento media s.r.l.via Carlo Tenca, 7 - 20124 Milanowww.laurana.it - [email protected]

ISBN 978-88-96999-45-5

direzione editoriale: Calogero Garlisi

redazione e comunicazione: Gabriele Dadati

grafica e interni:Daniele Ceccherini

utili consigli:Giulio Mozzi

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Daniela Brancati

il coyote liberò le stelle

Le passioni di una donna nel labirinto della politica italiana

EDITORELAURANA

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Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. La storiae i personaggi sono inventati. Se qualcuno si riconosce... è unproblema suo.

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Dedico questo libro a mio padre

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Elenco dei personaggi principali

Luisa Alunni: giovane dirigente di Sinistra UnitaMarco Segranti: amico del cuore di Luisa AlunniLorenzo Pippoli: concorrente di Luisa AlunniEugenio Rispoli: segretario della Sinistra Unita Giuseppina Sforzi: segretaria di Eugenio RispoliMara Bonamici: moglie di Eugenio RispoliAlfonso Corradi: dirigente di Sinistra UnitaGiustina Simoni: responsabile femminile di Sinistra UnitaAdelmo Pieri: sindaco di PratoAnna Laura Proietti: giornalistaGiovanni Mustacchi: giornalista

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Il coyote – povera bestia – gode di cattiva fama. Chissà perché.

Anche i politici godono di cattiva fama. Chissà perché.

Luisa

Lei è bellissima. Biondissima. Giovanissima. Ma ha unapiega amara all’angolo sinistro della bocca.

Tende una mano. Con l’altra regge il solito cartello:VENGO DALA MOLDAVIA. O 4 FRATELI. O FAME. AIUTATEMI

50 CENT. Evidentemente è il suo minimo sindacale. Le do un euro tondo tondo. Mi guarda stupita e conten-

ta. Sorride e fa una smorfia: ha una lacerazione all’angolodella bocca. Non è una piega amara, è vera sofferenza.

“Come ti chiami?” Mi sembra spaventata mentre sussurra un nome incom-

prensibile guardandosi intorno. Qualcuno la sorveglia. Nonvoglio nuocerle, ma sono attratta dalle storie personali.

“Non ho tempo per parla”, e fa cenno a un omone che sista avvicinando.

“Neanche se ti do due euro, se ti aiuto”.“Nessuno può aiutare me”.Inutile insistere. Proseguo. Passa la coppia dei poliziotti

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di quartiere. Camminano su e giù a guardia della nostrafelicità. L’infelicità di quella povera ragazza non li riguar-da. Le passano davanti come se fosse trasparente.

Fino a quando non ruba non è un problema loro.Per me invece è un problema. Mi sento in colpa per tutta

la società occidentale. Per non aver fatto niente per lei equelle come lei. Per avere tutti i vestiti che voglio. Tutti idischi e i libri e i biglietti del teatro e dei concerti. Per poterscegliere gli uomini con cui andare. Per poter dire dei no.

Per non dover portare in giro un cartello bugiardo eun’infinita paura.

Ho cominciato a fare politica che avevo più o meno l’età diquella poveretta. Quindici anni? Avrei accarezzato uno auno tutti i poveri e i derelitti della terra. Volevo cambiare ilmondo.

Sono passati meno di vent’anni, vorrei ancora accarez-zare tutti i poveracci. Però ora il mio sentimento più forte èla nausea.

Mi dà nausea camminare in mezzo allo smog del centrodi Roma e a torme di stranieri coi vestiti estivi anche adicembre, perché tanto qui fa caldo per definizione, siamoin Italia. Fra piccoli uomini vestiti di grisaglia che oscilla-no da un ufficio a un bar e da questo a un ristorante, nellasperanza di chiudere un affare vantaggioso con uno deipalazzi del potere di questa cinica città. Fra signore checamminano a piedi tenendo i cagnolini in braccio: nonsia-mai si sporchino le zampe. Fra ragazzoni che vengono dallaborgata vestiti come i protagonisti di Arancia meccanica oBeautiful, per sentirsi parte della Roma che conta. E ragaz-zette che masticano chewing gum a bocca aperta vestitecome in un cinepanettone. Fra impiegati in pausa caffè e

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commessi che la pausa se la prendono solo quando li licen-ziano. Fra deputati che tramano e trìgano da case da scapo-li a ristoranti, flash di fotografi e tv, in un eterno scadentefilmetto, tanto per tutta la legislatura la pacchia è garantita.Fra giornalisti pettegoli che amano inciuciare con i deputa-ti per il gusto di sentirsi importanti, per avere la loro partenel filmetto, e qualche vantaggio pratico: la casa di un ente,l’anelata promozione. Il consenso di uno che conta.

Più di tutto mi dà la nausea il mio partito. Indigeribilecomplicato e kitsch come una torta nuziale. Sopra, il presi-dente e il segretario, soli uno affianco all’altro come ipupazzetti che raffigurano gli sposi. Subito sotto, in un cer-chio poco più grande, i massimi dirigenti. Sotto ancora,quelli che sgomitano per salire al livello superiore. Infine,alla base, quelli che continuano a credere nell’ideale – maquale? – solo perché le illusioni aiutano a vivere e tutti dob-biamo campare. Tutt’intorno, una massa di ingordi che nonvedono l’ora di agguantare il loro pezzo di torta.

Io sto al terzo strato, i palazzi romani sono il mio regno,vado dall’uno all’altro ogni giorno non so quante volte.

A piedi, perché difficilmente un taxi accetterebbe diaccendere il motore per quel breve tratto: a signo’ magarime fa perde’ ’na corsa all’aeroporto pe’ sei euro!

Di fretta, perché la gente pensa che i politici non fannonulla, ma è pur sempre un nulla accelerato e la nostra vitaè convulsa. Un giorno senza un’assemblea, un’intervista aradio o tv, e ti senti come se ti mancasse qualcosa, come untossico in crisi d’astinenza, come un cane senza padrone,come un occhiale senza gli occhi. Perciò il miglior amicodi un politico spesso è un compiacente giornalista al qualeaffidare almeno una volta al giorno una frase sciocca, chealimenterà polemiche a manovella e lo terrà a galla.

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Non è il mio caso: sono nella direzione di Sinistra Unita,ma nessuno mi conosce.

Oggi è un giorno no. Oggi la mia pigrizia vorrebbe avere ilsopravvento e mi parla in un orecchio dicendomi: Luisalascia perdere tutto. Riposati. Fatti un massaggio ayurvedi-co. Brucia delle erbe aromatiche. Comprati una gonna.Gonna e non pantaloni, perché ho solo quelli nell’armadio.Da anni indosso pantaloni, sportivi, eleganti, a tailleur, maquasi sempre pantaloni. La gonna è un indumento davacanza. Così frivola e poco agevole per alti palchi e sedi-li improvvisati che lascerebbero le mutande a vista.

Sono una pigra mancata. La mia aspirazione profonda èalla pigrizia. All’ozio romano. Quello degli avi che se nestavano sotto un olivo a meditare ed erano filosofi, mentrese lo facciamo noi siamo sfaticati. Penso: faccio tutto ora,mi sbrigo, e domani mi riposo. Magari non sotto all’olivo,ma sulla poltrona che è più comoda, o davanti alla finestrase piove. O a un quadro che mi piace. O al cinema. Cheimporta dove. Ma quel domani non viene mai.

Poi arriva il giorno talmente pieno di impegni che mistanco solo all’idea. In quel momento sento di essere utilealla società. Mi viene anche una fitta allo stomaco, il medi-co dice che dovrei ascoltare di più il mio corpo... e arriva ildown. Avanza il cedimento, cerco il senso della vita, miinterrogo sulla mia. Finalmente prendo il sacrosanto ripo-so, con una tecnica graduale che tiene lontani i sensi dicolpa. Annullo il primo impegno, perché provo dieci diver-si abiti e mi sembra che non sopporterei di tenerne addos-so nessuno più di un minuto. Questo mi stringe in vita.L’altro sul seno. Cambio camicetta e ne metto una larga, madi conseguenza devo cambiare i pantaloni che non stanno

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con quel colore. Non parliamo delle scarpe: quelle sono trop-po accollate, le altre troppo a punta... oggi non se ne parlanemmeno, ma in pantofole non posso uscire. Pensando, pro-vando e tergiversando ho fatto tardi. Annullo anche il secon-do impegno, perché non è giornata, e per parlare con queltale mi ci vuole tutt’altra energia. E via così fino a sera. Dopoaver fatto il vuoto dentro e intorno a me, sono in pace. Maquesto succede al massimo una volta ogni sei mesi.

Oggi sarebbe uno di quei giorni, ma non me lo possopermettere. Così stamattina di malavoglia mi sono vestitacon quello che ho di più comodo, meno femminile e piùpunitivo per il mio fisico.

Io, i miei orribili vestiti e il mio malumore arriviamo allasede di Sinistra Unita.

Marco Segranti è il secchio dei miei pensieri spazzatura,il troppopieno dei miei sentimenti. È paziente, ironico eaffettuoso. Quello che mi ci vuole per sfogarmi: “Vedi que-sto marciapiede? Lo odio. E questo portone: lo detesto. E ilportiere? Che palle”.

“Povero Dino, è sempre gentile... di’ che ti gira storto”.“Molto storto. Non ne posso più. Mi sento in un frulla-

tore sempre più veloce che mi riduce in poltiglia”.“Proprio vero, le donne non sono adatte a fare le dirigen-

ti politiche”. Marco mi stuzzica, ma non reagisco e lui con-tinua: “Se hai da fare ti lamenti. Se non hai incarichi tilamenti lo stesso. Insomma sei una grandissima rottura dicoglioni. Va’ dal parrucchiere e falla finita”.

“Il parrucchiere, come ti viene in mente? Se c’è un postoche non frequento...”

“E fai male. Impacco alle erbe, maschera all’olio balsa-mico, massaggio profondo alla cute, torni tranquilla, sven-

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tagliando i capelli come quella di LiberaeBella, e con unsacco di magnifici pettegolezzi da raccontarmi”.

“Questo pensi di me? Che sono...”, non mi viene laparola. Ma a lui sì: “Un’insoddisfatta cronica. La gente tiinvidia: sei giovane e già ai vertici del principale partito algoverno. Ti lamenti per il gusto di farlo”.

“Capirai. Sono in direzione, un’assemblea di cinquecen-to persone molte delle quali non riusciranno mai a prende-re la parola”.

Marco continua imperterrito senza considerare la mia inter-ruzione: “E senza doverla dare a qualche vecchio babbione”.

“Sarà per questo che il partito di babbioni non si fida di me”.“Fai finta di non disprezzarli. Magari sono più contenti”. “Non giudico nessuno, ma quello che vedo non mi

piace: narcisi vivi solo davanti a una telecamera e a unpubblico anche esiguo. Alla continua ricerca di donneche smuovano i loro genitali altrimenti privi di entusia-smo, mentre predicano il culto della famiglia”.

“Lo dici a ogni incazzatura e poi stai sempre qua”.“E dove vuoi che vada: ho investito anni in questo par-

tito di affaristi nel nome di un interesse superiore, ipocri-ti, conformisti, incapaci di un pensiero che si elevi sopralo stomaco... non li sopporto, però mi sembra di nascon-derlo abbastanza bene, no?”

“Come no. In certi momenti hai nello sguardo purodisgusto”.

“Sei ingiusto”, lo dico ridendo, ma torno subito seria:“Non sono io che li respingo, sono loro, anche se a paro-le: come è brava Luisa, come è seria Luisa, come è affi-dabile Luisa... troppi complimenti per una a cui voglionostroncare la carriera”.

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La politica è una rappresentazione. A volte geniale, altrevolte scadente. Dipende dagli attori e dal copione. I mieigenitori erano protagonisti e pubblico contemporanea-mente.

Ne discutevano in continuo, apparentemente litigan-do. La lettura del giornale era fonte d’eccitazione e dicompetizione. Non ricordo una sola questione su cui fos-sero d’accordo, tranne l’etica. Erano due politici puri, lapolitica produceva in loro adrenalina. Sono quasi certache dopo ogni discussione avessero voglia di fare l’amo-re: lui era su di giri, sembrava più alto. Lei aveva gliocchi lucidi e brillanti e un sorriso intrigante. Da bambi-na non lo capivo e mi spaventavo moltissimo a sentire leloro voci alterate, pensavo che litigassero. Pensavo che sisarebbero separati e avrebbero lasciato sole me e miasorella.

La politica per me, piccola, era come una nube cheincombe e minaccia pioggia anche se poi non piove. Eracome lo strappo di una tenda dal quale puoi guardare fuorie quello che vedi ti attrae e ti spaventa. Oggi per me, adul-ta, la politica è il mare in cui nuoto. Le ragioni della politi-ca sono imperscrutabili, come quelle divine. E come quel-le alle volte è davvero difficile accettarle.

Guardo i magnifici occhi verdi di Marco. Vivaci e placi-di. Tristi e allegri. Sereni. Mi tranquillizzano. Ed è contono meno duro che continuo: “Ogni volta Rispoli miliquida come una petulante ingrata: che problema hai, tioccupi di cose importanti, come se fossi una ragazzettaegocentrica, una che pretende che il mondo ruoti intornoa lei”.

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“Infatti. Devi dare tempo alle persone. La tua carriera èimportante per te. Quello che fa il segretario è importanteper tutti. Lascialo in pace”.

“Se mi desse un incarico lo lascerei definitivamente inpace”.

“Gradi e distintivi non farebbero di te una personamigliore e più stimata”.

“Se la stima si spendesse al supermercato sarei ricca.Così devo aspettare e aspettare. Senza un incarico edovendo inventare il lavoro ogni giorno, se non vogliostare senza fare niente”.

“Stavolta però hai strappato un impegno a Eugenio: lanomina a portavoce della segreteria. Ne parlano tutti, l’hosentito anche in ascensore...”

“I nomi si fanno circolare per bruciarli”.“Ricominci! Ti ha detto di sì, che lo trova un posto

adatto a te. Preferivi che dicesse no o prendesse tempo?” “Hai ragione, ma dopo tanto attendere questa sua

arrendevolezza mi sembra strana”.“Sei paranoica. Si è impegnato. Basta. Falla finita”.Cambio registro: “Secondo te sarò all’altezza di una

responsabilità così grande?” “Tu insicura? Da quando?”“Ho una sensazione... c’è come un’energia negativa

intorno a me. Ci scommetto: non succederà. E io resteròal palo”.

“Butta Riza psicosomatica e le altre robe alternativeche leggi. Non fare la vittima, piuttosto datti un po’ dafare... mettiti in vista. Fai parlare di te. Fai sentire il biso-gno di una come te. Anche per il segretario: non potràessere solo a sostenere la tua candidatura”.

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“Quando vuole non ha bisogno di sostegni... Cosadovrei fare secondo te?”

“Che so, parla con qualche giornalista amico, fa’ uscireun bell’articolo a tuo favore, un’intervista...”

“E come si fa ad avere un giornalista amico, gli regalo icioccolatini a Natale?”

“Regalagli piuttosto una notizia. Magari una succulenta,gustosa, pettegola notizia su un tuo avversario politico, o...concorrente. Su una riunione riservata, su qualcosa che haisentito in corridoio”.

“Gli potrei raccontare del segretario che tiene la manosotto il tavolo a Cecilia Marini durante le riunioni ristret-te. Che tenerezza, se lui non avesse Mara, l’implacabilemoglie”.

“E se questo non fosse l’unico motivo per cui la Marinipartecipa a delle riunioni in cui non ha nulla da dire”.

Marco ride della piega che sta prendendo la conversa-zione: adora i pettegolezzi e le battute sarcastiche, e conLuisa si passa in un istante dal tono serissimo a quello iro-nico. Ci mette il carico da undici: “Lascia perdere, ilpovero Eugenio ha già i suoi guai. Piuttosto il vicesegre-tario: ti ricordi la scorsa settimana che casino! Gli uominidella vigilanza, richiamati dai lamenti, sono entrati dicorsa nella sua stanza, l’hanno trovato piegato in due sullascrivania... si sono avvicinati per soccorrerlo credendoche stesse male, invece stava benissimo e sotto di lui lasegretaria mugolava soddisfatta!”

“I vigilanti, mortificati, balbettavano: credevamo avessebisogno di aiuto. E lui furibondo, e memorabile: in questiaffari non ho mai bisogno di aiuto. Marco, sei terribile, rac-contale tu a un giornalista queste cose, se ci riesci”.

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“Sono le cose che i lettori adorano, e noi pure. Ma segliele dico io, favori a te non ne faranno. La vita, cara mia,è uno scambio”.

“Hai una visione cinica e mercantile”.“Semplicemente realistica. E tu lo sai. Non fare la mam-

mola e non negare a te stessa la possibilità di essere norma-le, oppure non lamentarti mai più”.

“Per una buona causa faccio tutto. Ma per una causa cosìpersonale...”

“La politica cammina sulle gambe degli uomini – edonne, naturalmente – perciò non si può prescindere dalleloro ambizioni. In questo caso dalle tue. Solo che tu non haiil coraggio di ammetterlo e di metterti in gioco”.

“Balle. Se ci sono le condizioni lo faccio eccome”.“Cioè se hai la pappa pronta, il piatto pulito e la tavola

apparecchiata... Dove vivi? Ti regalo un disco e poi neriparleremo”.

“Che c’entra un disco?”“Vedrai”.Ci salutiamo uscendo dal palazzo dove entrambi lavo-

riamo. Marco va a un appuntamento, io alla riunione. Ciabbracciamo e io esito a lasciarlo andare.

Ha la solita espressione irridente. Fa il cinico pernascondere la sua amarezza. La sua difficoltà di vivere. È ilmio unico vero amico, di lui mi fido davvero, ne sento lasensibilità nascosta dietro le frasi al vetriolo, dietro il sorri-setto sarcastico. Lo invidio per la sua capacità di farsi unaragione di tutto ciò che gli capita, e di scherzarci su. Locompatisco per lo stesso motivo: dietro al sarcasmo, dietroall’ironia, si nasconde una rinuncia, quasi una mancanza divolontà di affermarsi davvero. La nostra comune irrequie-

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tezza ci fa sentire un po’ estranei a ogni situazione.Autonomi e critici, non c’è spazio per quelli come noi, nénel mio partito né in nessun partito. Marco ha ragione: miè sempre più difficile nascondere il mio disgusto. A giornialterni mollerei tutto. Ma quando incontro Irina o la sfigadel mondo penso che devo stare lì dove ho la possibilità dibattermi per cambiare le cose: la politica. Avevo la sua età– ma che età avrà sotto quell’espressione sofferente? –quando cominciai a capire che per i politici come per i pretivale il detto “fate quello che dico e non quello che faccio”.

La politica è l’incoerenza di quelli che dai loro scranni– che occupano saldamente a sessanta o ottant’anni – dico-no: largo ai giovani. È lo schiaffo di mio padre quella voltache, nel piccolo salotto di casa, parlava con un amico diattenzione verso i giovani, della necessità di tenere apertoil dialogo perché loro sono il futuro. E io, quindicenneimpertinente, intervenni non richiesta: io e Lalla (mia sorel-la) siamo giovani, perché con noi non parli mai? Un ceffo-ne sulla guancia destra: ancora me lo ricordo. L’unico cef-fone della sua vita. Me ne andai offesa. Ma era offesoanche lui. Con la logica rigorosa dei giovani avevo messoin forse la sua credibilità politica, la sua autorità paterna.Lui si sentiva con la coscienza a posto. Le sue idee eranogiuste. Che poi fossero diverse dai suoi comportamenti,questo non contava.

Vorrei poter pensare alla politica come a una grandemadre. Invece per me è come mia zia Elvira: mi ha nutrito,cullato, accarezzato, anche sgridato, come una madre. E iol’ho amata molto, ma non sono riuscita a odiarla comeun’adolescente odia la madre. Non sono riuscita a entrarein quella profonda intimità, a sentirla veramente mia. Col

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tempo mi ha dato uno stile di vita e un posto nella società,in cambio di tanta solitudine.

Mamma... in certi giorni mi è difficile parlarne. Di papà posso dire che i pochi frammenti di intimità con

lui erano sempre turbati dal dubbio che da un momentoall’altro lo chiamassero per la riunione con i compagni.Che questo me lo portasse via ancora un’altra sera, l’enne-sima sera.

Col tempo però ho smesso di detestare la politica e le hoconsentito di colmare i vuoti della mia vita. Non è stataproprio una scelta, quanto la naturale prosecuzione dellaroutine familiare. Si è insinuata poco alla volta, l’ho assun-ta a dosi. E mi sono mitridatizzata. Il fatto che fosse per mecosa naturale mi doveva far riflettere. Invece solo quandomi ha lasciata all’improvviso ho sentito un vuoto incolma-bile. Dietro ogni situazione, dietro ogni questione piccola ogrande vedevo allungarsi l’ombra della politica. È durosentirsi respinta da un uomo. Molto più duro sentirsi aimargini della politica. Marco è l’unico che mi capisce e mista vicino e condivide i miei pensieri. Vorrei trattenerlo,spiegargli quello che provo, ma anch’io devo andare.

Mi avvio senza voglia verso Montecitorio. Attraverso alcu-ne fra le zone più belle della città, cioè del mondo. Fin dallanascita, quando Romolo uccise Remo, e Bruto ucciseCesare, questa città è fatta per i forti. È una città brutaledentro un’apparenza regale e placida. Qui sono ancora visi-bili i simboli del potere di ogni epoca. I palazzi portano leinsegne di lusso e arroganza, glorie antiche e antiche pre-potenze. Attraverso il selciato dove milioni di personehanno posato i piedi, ma non i nobili, che andavano sulle

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spalle dei poveracci. Guardo le finestre, il segno delle dif-ferenze è anche lì. Al secondo, il piano dei nobili, finestregrandi e balconi. All’ultimo, sotto i tetti, finestre piccoleper la servitù: neanche del sole, che non costava niente aipadroni, i servi potevano avere la stessa quantità. Posol’occhio sui sampietrini, rincalcati lì da poveracci sudati eaffaticati. E poi lo alzo sui passanti, sempre con un librici-no in mano, che senza guida non riescono a trovare nean-che se stessi. Ma anche con la mappa chiedono spiegazio-ni: perché i percorsi di Roma sono contorti come le suestrade, contorti come il potere. Questa città ruffiana – chetutti chiama, a tutti risponde con lusinghe, perché ne haviste e sopportate tante – a tratti è troppo confusa. Ancheper me, che pure il potere lo voglio.

Non me la godo più questa passeggiata. Sarei tentata viafacendo di fermarmi a comprare la gonna e le scarpe di GiosiRomualdi, ma non posso. Alla riunione presenza obbligato-ria. E la puntualità è un favore che faccio al mio stomaco:ogni minuto di ritardo è ansia, dannoso acido gastrico. Primao poi un’ulcera vera e propria. Pazienza, gli abiti aspetteran-no. Ma non molto. Ho bisogno di qualcosa di elegante daindossare quando sarò nominata portavoce. Li avrei volutigià nell’armadio, pronti per l’annuncio ufficiale. Invece,sempre che accada domani, l’affronterò con quel che ho enella pausa pranzo correrò a comprare scarpe e vestito.

In fondo è meglio: mai festeggiare prima, brindareprima, vendere prima la pelle dell’orso e dare per avvenu-ta una nomina che ancora non c’è.

L’umore negativo mi condiziona. Camminando ripensoallo sciagurato giorno di un anno fa quando è iniziata la mia

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disgrazia e la politica mi ha mostrato la sua faccia cinica eopportunista. Io che l’avevo idealizzata non potevo immagi-narla come una puttana. Il colpo è stato violento. Il doloreimmenso, anche se ormai i dettagli perdono nitidezza.Ricordo di sicuro che ero in ufficio, preparavo una riunionecon i segretari di federazione quando è arrivata la notizia.

Al congresso c’era stata gran battaglia sul mio nome.Giovane, laureata bene e in fretta, avevo fatto politica consuccesso all’università, alle spalle una famiglia artigianadalla fede comprovata. Avevo tutte le carte in regola perpiacere ai compagni che contano. Tutte tranne una: pensa-vo che la politica richiedesse autonomia, dedizione e since-rità. Per questo ero stata considerata immatura, inadatta aincarichi nazionali. Ma il segretario di federazione credevain me e nel rinnovamento. Era riuscito a piazzare il miointervento al congresso, tacendomi che ero l’ottantunesima,a rischio di essere cassata per mancanza di tempo. Ricordoancora la cocente umiliazione. Era la fine della seconda epenultima giornata. La noia era l’unica presenza in una salapraticamente vuota. La presidente di turno (una donna peruna sessione che non contava nulla) chiamava al podio unoper uno gli iscritti dicendo: non tutti potranno interveniredomani davanti al segretario, prego compagni presentateviora. Sembrava l’elenco dei caduti dell’ultima guerra: tuttiassenti. Nessuno con un minimo di dignità riteneva giustoparlare in quelle condizioni: un congresso è una vetrina, senessuno ti vede che vetrina è? La compagna aveva un tonomesto e cantilenante, eppure era tenuta a continuare.Arrivata al mio nome, non immaginava che dal fondo dellasala deserta mi alzassi io, avviandomi al podio. Non so per-ché l’ho fatto, forse per spirito di contraddizione, o forse

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perché era la mia prima volta. Lei quasi non credeva ai suoiocchi. Il suo sorriso era più di stupore che di incoraggia-mento nel darmi la parola. Avevo scritto un intervento contutti i crismi. L’ho buttato. Ho parlato a braccio con aggres-sività, con rancore quasi: “Non stupitevi se il partito nonpiace ai giovani: a noi giovani destinate solo sedie vuote”.

Fra quelle sedie vuote si aggirava Tonino Majani cercan-do gli occhiali che aveva dimenticato. Sentendomi accora-ta – incazzata, diciamo pure – è emerso da sotto un sedile.Ha alzato gli occhi miopi, buoni e saggi, e mi ha guardato.Si è seduto, lui solo in tutto il settore destinato ai dirigenti,e mi ha ascoltato fino in fondo. Quando ho finito di parla-re ha applaudito a lungo, convinto. Mentre scendevo dalpodio si è avvicinato e mi ha detto con semplicità: “Noivecchi abbiamo bisogno di un po’ d’indulgenza, di tempoper capire il nuovo. Il compagno Giuliani della federazionel’ha sempre detto che sei in gamba. Ma prima d’ora no, nonti avevo davvero messo a fuoco. Hai ragione sulle sedievuote. È un errore. Mi impegnerò, vedrai”. E si è impegna-to davvero. Grazie a lui sono entrata in direzione e ho ini-ziato a lavorare al partito. Mi ha appoggiato fino in fondo.Al punto da far dire a qualche stupido che si era innamora-to di me. Povero Tonino: un uomo più fedele di lui allamoglie e al partito non esisteva.

Ero stata assegnata alla sezione Organizzazione, unagrande responsabilità in epoca di riflusso. Ho avuto quelledue o tre idee che hanno dato impulso alle tessere. Toninonon perdeva occasione per vantarsi di me come di una suascoperta. Ma il mio capo mi detestava: con il mio lavoroavevo reso evidenti tutti i difetti del suo. Me l’aveva giura-ta e non perdeva occasione per sottolineare le mie stupidag-gini da neofita. Fu la prima amara lezione: in politica se fai

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bene dai molto, molto più fastidio che se non fai proprionulla. Il compagno Genova, il capo, non vedeva l’ora diuccidermi – politicamente, s’intende – e me l’aveva dichia-rato: fa’ che Tonino levi gli occhi da te e sei finita.

Non poteva immaginare, credo, che Tonino ben prestoavrebbe levato gli occhi dal mondo. Una curva maledetta.Un guidatore distratto. Un pranzo pesante con qualchebuon bicchiere. Un viaggio fatale. Gli occhi, i suoi occhibuoni, non si sono più aperti sul mondo che amava tanto,sulla moglie che amava tanto, sul partito che amava tanto.E su di me. La figlia che non aveva avuto.

Con lui è morta una parte di me. Lui era la barriera fra ilmio idealismo e il cinismo degli altri. Era la mia possibili-tà di arrabbiarmi e restare nell’alveo del grande fiume. Eraanche la mia possibilità di fare una veloce carriera.

Distratta dai ricordi ho fatto la strada come i muli, senzarendermene conto. Sono arrivata. Chiedo il passi: che fasti-dio, l’usciere di via degli Uffici del Vicario mi vede moltevolte a settimana, tanto che mi saluta cordialmente, eppureè sempre la stessa solfa: metal detector, documento, nomedel referente interno. Ligio alle procedure che con il rischioterrorismo sono più stupide che mai. Non sopporto che luisorrida mentre chiede: è qui per una riunione? Sono tenta-ta di rispondere: no, per una visita medica. Sarebbe un erro-re: l’ironia è estranea alle burocrazie, la mia battuta si tra-sformerebbe in un’ulteriore perdita di tempo. Sento lapazienza sfuggirmi mentre passo la porta blindata, maattacco il badge VISITATORE alla borsa dove è ben visibile efaccio un gran sorriso. Per le scale mormoro fra me, comeun mantra: fa’ che sia breve, fa’ che sia breve, fa’ che sia

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breve... spero di trovare l’energia per affrontare tre ore dinoia sicura. Tutti diranno che sono d’accordo con la rela-zione. Ma lo faranno con dispendio di leccate di culo tipo:“bene ha detto”, “giustissime le osservazioni del segreta-rio”. Frasi vuote di senso e piene di consenso, immerse inun brodo di parole inutili. Queste riunioni plenarie non ser-vono a decidere, ma solamente a comunicare decisioni aidirigenti di grado intermedio. Alle riunioni in cui si decidepartecipano non più di sei persone, e a quelle di solito ionon vengo invitata.

In corridoio davanti alla sala c’è Lorenzo Pippoli.Belloccio, quarant’anni da poco, gran raccomandato. Ildetto “non importa cadere, l’importante è rialzarsi” l’hannoinventato per lui. Dopo ogni scivolone c’è sempre qualcu-no che lo aiuta a rimettersi in piedi.

“Come sta la più bella della politica italiana?”, chiedecol tono supponente di chi pensa che io non sia minima-mente alla sua altezza. Nel dirlo mi cinge le spalle e poila vita con nonchalance. Mi scanso brusca e lo fulminocon lo sguardo: detesto queste forme di confidenza, quan-to mai inopportune in una sede istituzionale. Se passassequalcuno che non conosce bene Lorenzo e la sua monda-nità da puttaniere, penserebbe chissacché. Ma lui è il tipi-co esemplare del maschio in carriera. Allunga la mano eprende qualunque cosa sia alla portata: potere, denaro,donne.

Io preferisco essere considerata una stronza misantropa,come si dice alle mie spalle, piuttosto che una con cui spen-dere un po’ di tempo in allegria nelle pause. Intendiamoci,l’allegria piace anche a me, però non sopporto i tipi per cuiio o un’altra non fa differenza, purché respiri.

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Lorenzo non si scoraggia, mi segue mentre mi allontanodal gruppo che sosta in ingresso. Entriamo nella sala riu-nioni ancora semivuota. Mi si siede accanto: “Cena con mestasera, voglio parlarti”.

“Ma no, sono stanca e devo prepararmi per domani. C’èuna riunione importante...”, lascio le parole sospese, perprudenza o per scaramanzia.

“Domani, domani, che succederà mai domani...”“Ma le nomine... sai, si parla di me come...”Lui non mi lascia finire: “Sì, come portavoce della

segreteria, ma chi te lo tocca quel posto. Sono solo rogne.Quanti si sono bruciati... se parli troppo e appari troppo,partono i siluri. Se parli poco ti accusano di non sapercomunicare. In caso di smottamento elettorale invece,quando nessun dirigente importante vuol dare il lietoannuncio della catastrofe, ti scaraventano in prima linea. Ilprimo incidente di percorso lo fanno pagare a te.Comunque, se davvero ci tieni, il posto è già tuo. Non risul-tano altri concorrenti. E poi non è l’ultima spiaggia”.

“Per me sì. Non pretendo che tu capisca, tu trovi tutte leporte aperte, ma io non mi chiamo Pippoli e mio padre nonha finanziato il partito, ha lavorato cinquant’anni comeidraulico. Per me quel posto è importante”.

“Quello che fai non è già abbastanza importante?”“Cioè cosa? Mi occupo di tutta la sfiga del mondo. Ma

l’ultima parola spetta a Corradi. Lui è in segreteria e nean-che sa che esisto. Oddio, prima o poi avrò un’altra grandechance: la sezione femminile, ma solo quando Giustinasarà stufa e io alle soglie della pensione. Già me ne fregapoco e alle volte odio le donne, i loro problemi e il loromodo di fare e di atteggiarsi”.

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Lorenzo sospira e con gli occhi che ridono dice: “Ah, ioinvece no. Adoro le donne e le loro complicazioni, senti-mentali e su ogni cosa. I meandri della vostra contortaintelligenza mi affascinano. Vieni a cena con me stasera eparleremo male di tutte le donne che conosciamo”.

“Sei proprio stronzo. Va bene, mi prendi per sfinimento,solo cena, ricordatelo”.

“Ma certo, sono un ragazzo per bene, non farti illusioni”.Lo scambio di battute è interrotto dall’ingresso del

segretario con l’abituale codazzo di gente che fa a gomita-te per salutarlo ed essere salutata. Lo blandiscono, salvodirne peste e corna appena gira la testa. Ma come può sen-tirsi a proprio agio in mezzo a loro? Lorenzo naturalmenteè il primo a scattare.

Rispoli si siede al centro della nomenklatura: di qua ilpresidente del gruppo parlamentare alla Camera. Di làquello del Senato. Al lato, volutamente eccentrico rispettoalla rappresentazione del potere, ecco Corradi. Lui non habisogno di essere al centro per sentirsi importante. Non habisogno neanche di essere visibile. Lui è il potere e tutti losanno. Non riesco a ricordare il suo nome, per forza (migiustifico): nessuno osa chiamarlo per nome. Nessuno hatanta familiarità con lui, a parte la moglie, il segretario epochi altri. Secondo i punti di vista è l’ultimo esemplare diuna razza in via di estinzione. Un pezzo di quello che fu eora non è più il glorioso partito da cui discende l’attualeSinistra Unita. Una sorta di anomalia difficile da inquadra-re. Per altri è un mito: conosce a perfezione e ricorda a per-fezione fatti e protagonisti degli ultimi sessant’anni di sto-ria patria, di storia politica e di storia del partito. Un archi-vio vivente, una memoria di ferro che spesso usa per sbara-

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gliare gli avversari. Un uomo da temere e rispettare, chenessuno può dire di conoscere veramente: parla poco e maidel suo privato. Nessuno pensa che sia amabile, e non cercadi essere simpatico. Ha legato il suo nome a tante leggi e atanti accordi noti, segreti o semplicemente riservati. Per lui lapolitica sembra una sfera totale, la misura di tutte le cose.Dicono che non valuti tanto la morale quanto la capacità,eppure passa per uomo integerrimo e parco, che quasi non habisogno di denaro per vivere. Ministro nella passata legislatu-ra, ha dato il suo nome a una legge che io detesto. Come d’al-tronde detesto Corradi, simbolo del vecchio che non demor-de, che non lascia mai spazio ai giovani, del passato cheincombe. Sta dritto sulla sedia eppure ha un atteggiamentototalmente rilassato: misteriosa postura imparata in anni diallenamento. La leggenda dice che può dormire a occhi aper-ti durante un convegno o una conferenza stampa che lo anno-iano e, se interpellato, rispondere come fosse sempre statosveglio e vigile.

La riunione comincia. Ordine del giorno: una nuova leggesull’immigrazione. D’improvviso è urgente. Il partito ne habisogno e il governo ne ha bisogno, la destra strumentaliz-za i clandestini per fomentare il razzismo nel paese. E noi,spiega il relatore, perdiamo almeno sei punti nei sondaggi.Secondo alcuni siamo troppo tolleranti. Secondo altri trop-po reazionari. Che rabbia, per mesi ho bussato cento porteper ottenere attenzione. E ora riconoscono che ci vuole uncolpo d’ala. Questo chiede il segretario. Se lo aspetta daipresenti, cade male. Già so cosa diranno, saranno le soliteparole, luoghi comuni tipici di chi da un bel po’ ha perso ilcontatto con la realtà. D’altronde lo stesso Rispoli, un

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uomo capace, va in giro con due portaborse, l’autista-guar-dia del corpo e forse da domani anche con me come porta-voce. Quando non è in viaggio o in riunione, la moglie nongli permette di parlare con nessuno, esercita su di lui unapressione terrificante, lo condiziona in ogni scelta privata epubblica e poi... le sfuggono le amanti. O meglio lui sfug-ge al suo controllo per andare con l’amante di turno, maviene sempre scoperto da qualche fotografo, da qualchegiornalista. Qualcuno dice li chiami lui stesso per incre-mentare la fama di sciupafemmine. Tanto lei lo perdonasempre, in cambio dell’ultima parola su nomine e incarichiche coinvolgano donne. Chissà cosa avrà da dire su di me.Non molto, credo: nella complicata geografia del partito,da tempo sono schierata con il marito. Anche se qualcosa inlui mi mette in allarme ogni volta che lo avvicino. Eugenioresta sempre alla superficie delle cose, perfino quandoparla a tu per tu con qualcuno, quasi tema di doversi impe-gnare troppo. Il suo tono è costantemente comiziante,anche nelle riunioni riservate. I suoi occhi guardano manon vedono: galleggiano. Quanto agli altri dirigenti, diffi-cile capire cosa interessi loro veramente. A parte il potere,s’intende.

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II

Il coyote è un canide di media dimensione, con il musostretto e allungato, grandi orecchie e lunghe zampe,

una folta pelliccia grigia e rossa e una macchia sulla punta della coda.

I politici il pelo ce l’hanno prevalentemente sullo stomaco.

Luisa

Mi annoio da morire. Da domani se Dio vuole sarò portavo-ce e farò un falò di tutte le carte accumulate in questi anni.Sto alla riunione con metà cervello e un solo orecchio. Quelche basta per sentire che i miei compagni si accapigliano suinomi. La metà vuole che si parli di chiusura dei famigeraticentri di identificazione ed espulsione. L’altra metà di supe-ramento. Sai che differenza. Spesso penso che per gli uomi-ni la Guerra mondiale o il RisiKo, fa lo stesso. Ci mettonouguale impegno, hanno bisogno di competere per sentirsiqualcuno. Io non partecipo. Non mi va di giocare.

“Luisa, tu non hai niente da dire?”Il segretario mi chiama direttamente in causa. Mi sento

come uno scolaro che non ha seguito la lezione. Come setutti potessero leggermi in faccia i pensieri che Eugenio hainterrotto. Farei bene a dire anch’io, come tutti: sono d’ac-

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cordo con chi mi ha preceduto, ma vorrei precisare che...oggi però davvero non mi va. Sarà il caldo, sarà la stan-chezza. Sarà la tensione della vigilia.

“La mia posizione la conoscete. La conosci tu, segreta-rio, e la conoscono tutti quelli che sono qui. Non si posso-no tenere segregate in un campo di concentramento perso-ne che sono venute illegalmente nel nostro paese ma nonhanno compiuto reati. Questi centri sono solo superlavoroper la polizia, le organizzazioni umanitarie e una vergognaper noi tutti. Quando vedo quelle immagini in tv io mi ver-gogno. Sì, mi vergogno proprio”.

È la prima volta che mi esprimo così in una riunioneufficiale. Che mi è preso? Gli sguardi dei presenti sono tuttirivolti a Corradi – sua è la legge istitutiva dei centri – percapire se si è offeso. Vergogna è una parola davvero fuoridal comune. Una parola che si può usare per gli avversariin un comizio, ma è troppo forte se riferita a un guru dellapolitica del proprio partito. A un’icona come Corradi.Odiato, da criticare ferocemente in privato, ma da rispetta-re in pubblico.

Da lui, come sempre, nulla traspare. Gli altri si guardano interdetti, si scambiano battute sot-

tovoce: pazza o kamikaze? Visto che la frittata è fatta, con-tinuo: “Guardate qua. È estate, e come sempre la situazio-ne si aggrava. Ecco il giornale di oggi: Mohammed, 33anni. Venuto dalla Tunisia per sfuggire alla fame, provve-dere alla famiglia lontana. Carcerato senza che nessunmagistrato abbia emesso sentenza di condanna. Non harubato, non ha rapinato né violentato. Né ucciso. Mentrenoi abbiamo ucciso lui. Quando era entrato nel centroaveva detto di soffrire di cuore. È scritto sulla sua cartella.

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Da quel momento, una settimana senza notizie del medico.Ieri mattina Mohammed si lamentava, i suoi compagnihanno chiesto aiuto agli infermieri. Invano. È morto senzache nessuno gli prestasse soccorso. Fra le braccia impoten-ti dei suoi compagni di sventura, che piangevano e gridava-no Allah akbar, Allah è grande, mentre davano fuoco aimaterassi. E noi? Abbiamo promesso la visita di una dele-gazione di parlamentari. Io sento la responsabilità di questasituazione che disapprovo profondamente. Per discutereseriamente partiamo da qui. I centri vanno chiusi. E poi?”

Un unico, singolo applauso accoglie il mio discorsoaccorato – sicuramente diranno che è poco politico e trop-po viscerale. Alzo la testa e guardo con la coda dell’occhiochi ne ha avuto il coraggio. Resto esterrefatta: è Corradi.Come se non avesse capito che l’attacco era a lui e a quel-la sua terribile legge. Forse mi prende in giro? O forsevuole sottolineare la propria superiorità? È ironico?

Nel dubbio quegli opportunisti dei miei colleghi non miguardano neanche, e restano immobili con gli occhi fissialla presidenza. La riunione va avanti stancamente, tutti sicomportano come chi cammina sulle uova. Molti rinuncia-no a parlare: il mio intervento li costringerebbe a schierar-si e questo per gli opportunisti è quanto di peggio.

A riunione conclusa mi si avvicina Corradi in persona:“Complimenti per la passione, ti pensavo un funzionario,un impiegato di partito come gli altri. È vero, il futuro èdelle donne”.

Il gesto distensivo di Corradi si rivela liberatorio, a quelpunto e solo a quel punto sono in molti a complimentarsicon me. Mi danno la mano, qualcuno mi bacia due voltesulle guance come se non ci vedessimo ogni giorno molte

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volte al giorno. Solo il segretario se ne va palesemente per-plesso. Lo seguo a distanza e quando il solito codazzo si èdisperso mi avvicino: “Ti vedo contrariato Eugenio, cel’hai con me?”

Lui è insolitamente garbato e tranquillo nel rispondere:“Ti pensavo pronta a un incarico più alto, ma vedo che leemozioni dominano te e non viceversa. Come potrai fare ilportavoce se non sai mantenere la freddezza?”

“Vuoi dire che un discorsetto sincero mi ha fatto perde-re il posto?”

“Voglio dire che Corradi ha gran seguito. Forse non erail caso di attaccarlo alla vigilia di una nomina per la qualeil suo parere è determinante”.

Sorrido sollevata: “Ma come, non hai visto? Per laprima volta mi ha notato ed è venuto personalmente acongratularsi”.

“Allora preoccupati davvero. Ora lasciami andare. Maraha organizzato una cena e non posso tardare”.

“Sempre schiavo delle donne!” La battuta m’è uscita così, spontanea e stupida, viste le

circostanze. Ovvero l’eloquente servizio fotografico di unsettimanale: Tutte le donne del segretario, sottotitolo:L’Eugenio conteso non sa decidere fra le amanti e lamoglie tiranna. Venti foto con pose molto intime fra bion-de rosse o brune – il segretario, un vero collezionista, nondiscrimina –, chissà che terremoto in famiglia. Lui peròsembra non farci caso e sorride mentre si allontana.

Non sono bacchettona, ma... come può fare politica seha sempre quella fissazione in testa?

La cattiveria che ho appena pensato non mi procura lasoddisfazione sperata, la mia testa è piena di nulla, confu-sa. Torno indietro a piedi come sempre.

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Al solito angolo spero di incontrare Irina. Ma non c’è.La sua giornata dev’essere finita. Poveretta. Un’altra gior-nata senza speranza.

Alla morte di Tonino sono seguite settimane e mesi senzache nessuno si ricordasse che esistevo. O mi chiedesse dilavorare. Esattamente come i padroni che tanto criticava-mo. Ero un’epurata. All’inizio non pensavo che fosse cosìdura.

Non fare niente ti consuma. Prima dici a te stessa: ho tantotempo, mi occuperò del mio fisico, leggerò, scriverò. Poitrascorri le ore nel vuoto, aspettando che il telefono suoni,che qualcuno si affacci alla tua porta. Dopo un po’ prendiatto che non esisti e non ti buttano fuori perché sarebbe unospreco di fatica. A fronte dello stipendio ti chiedono solo dinon uscire dalla tua stanza.

Un anno è lungo se, mentre cerchi di dimenticare unaperdita tanto grave, galleggi nel nulla. Un anno è troppolungo se passi il tempo a misurare le meschinità dei tuoicompagni. Gli stessi che mi avevano blandita, corteggiata,mi avevano chiesto ogni giorno “ti prego, vieni a lavorarecon me”; morto Tonino non mi rispondevano più al telefo-no. Se possibile non mi avrebbero neanche salutato inascensore. Tonino era il mio nume tutelare: finché era vivoservivo per arrivare a lui. Morto lui, non servivo più a nien-te. Parlavo con la donna delle pulizie, con Dino il portiere.E con Marco, che non mi ha mai tradita. Quando lui erafuori sede ammazzavo il tempo cercando di ammazzareanche il senso di inutilità e la solitudine.

Sì, un anno è lungo se tutto ti crolla intorno e non sai dache parte ricominciare. Nelle mani ti passa solo acqua e

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non stringi nulla. Leggi un giornale. Ne leggi due. La fru-strazione aumenta: i quotidiani riportano mille cose chenon vanno. Sono le mille cose che potresti fare e non te loconsentono. Sono le mille cose che nessuno fa, ma se provia metterci un dito...

L’immigrazione era un tema odioso a tutti. Ho iniziato aoccuparmene per disperazione. Sono diventata un po’ com-petente e non davo fastidio a nessuno. Hanno cominciato aconsultarmi e poi a invitarmi alle riunioni. Non mi appas-sionava, ma mi teneva occupata. Riempiva il vuoto in me eil vuoto politico.

In questo anno ho fatto molto e realizzato poco. Ma hoanalizzato a fondo la mia situazione. Ho imparato a nuota-re senza salvagente. Ho imparato che lavorare per un parti-to non vuol dire lavorare per la stessa causa. Mi sono fattaun po’ più furba. Fino a oggi. Un quarto d’ora di sinceritàpuò mandare tutto all’aria? Non posso credere che Corradivoglia vendicarsi. E se fosse, di sicuro Eugenio glieloimpedirà.

Ho una casa piccola: un salotto con angolo cottura, unacamera da letto e un bagno. Una casa da zitella, parola anti-quata, ma sempre meglio di single. Per me e i miei quattroabiti è sufficiente, ma per tutte le mie carte no davvero.Perciò ogni volta, anche se è tardi, torno al partito e lascioi dossier in ufficio.

Saluto il solito Dino, che a quest’ora forse è l’unica pre-senza nel palazzo. Salgo ed entro nella mia stanza.

Mi guardo intorno per la prima volta con una lucidità daestranea. Spartana è dir poco, non ho mai avuto il coraggiodi personalizzarla. Dall’abbigliamento al comportamento,

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ho sempre fatto di tutto per mimetizzarmi, confondermi inquel club per soli uomini che è la politica.

Anche l’arredo è asettico, quasi non ci vivessi più tempoche a casa. Il resto è un tributo al gusto dell’amministrato-re del partito e alla mia posizione nella scala gerarchica. Lasedia per esempio è imbottita e girevole, lo schienale dimedia altezza. Non basso come quello di una segretaria,non alto come quello di un vero dirigente. I poster dellecampagne pubblicitarie del partito ai muri. Il disordinedelle carte è consentito, perché indica che il lavoro ferve.Qualcosa di personale – a parte le foto dei figli, per chi neha – è tacitamente sconsigliato, quasi che l’effetto volutosia di precarietà: oggi sei qui, bella mia, ma domani se miva ti mando altrove. Il partito non si discute. Neppure ven-t’anni dopo la caduta del muro di Berlino.

Oggi però d’improvviso sento il bisogno di un vaso condei fiori, per rendere quei dieci metri quadri un po’ menoangoscianti.

Abbandono sulla scrivania la cartellina di plastica congli appunti della riunione, nella speranza di archiviarli nellaspazzatura da domani.

Nomina o non nomina, porterò una stampa di quellecoloratissime dell’avanguardia grafica degli anni ’20,ricordo di una vacanza, e l’appenderò. E porterò dei fiori.Critichino pure se vogliono. Non ce la faccio più a viveresenza colori, soffocando le sensazioni per non dare nell’oc-chio: rischio lo sdoppiamento della personalità.

Sfioro con le dita il piano dell’armadietto basso su cuisono ammonticchiate tonnellate di carte. È un gesto quasiaffettuoso verso questi mobili che detesto, grigi di ferro,con la targhetta oramai sbiadita dell’economato.

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Sono soprappensiero. Non mi accorgo che qualcunoentra. D’improvviso la sagoma di Corradi si materializza, egirandomi resto a bocca aperta. Sono sbalordita, non è maisuccesso che mi abbia degnata di attenzione prima d’oggi eadesso è addirittura nella mia stanza, davanti a me, e miguarda con un sorrisetto enigmatico.

“Lo so, sei stupita. Qualcuno ti avrà detto che ti sonoostile, che mi opporrò alla tua nomina. Ma non è da me chedevi guardarti”.

“Veramente io non so...” Sorride solo con gli occhi mentre dice: “Sei confusa?

Giusto. Non è da tutti avere Corradi in visita”.“Forse dovrei scusarmi con te”.“Non farlo. Oggi hai avuto palle, e io apprezzo chi le

dimostra. Sei contro di me, non importa, hai argomentidalla tua. Per me il semaforo è verde, l’ho detto al segreta-rio, spero che te l’abbia riferito. Personalmente detesto itipi demagogici e sinistrorsi come te, e non capivo perchéuna persona come Tonino Majani, sempre così intelligente-mente moderato, ti avesse scelta. Oggi, ascoltandoti, hopensato che fosse per quel fuoco, quella passione che siintuisce sotto la tua scorza barricadera. Questo partitorischia la crescita zero: zero cervelli, zero carattere, zeropersonalità. Punto su di te, se ti aiuto forse un giorno capi-rai che la politica è ben più complicata...”

Lo interrompo: “Guarda che io rispetto molto le tueposizioni. È che oggi è stata una giornata strana, non vole-vo intervenire, il segretario mi ci ha praticamente costretta,non ero preparata e vedi... la solidarietà... i poveri dellaterra... mi hanno preso la mano”.

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“Per carità, i poveri resteranno poveri e sfruttati anche seli leviamo dai Cie e li facciamo sciamare per la penisola incerca di riparo sotto un cavalcavia, con un fazzoletto di cartada vendere o un grammo di roba per alzare qualche euro.Ma non sono qui per discutere di questo. Quando arriveraialla mia età capirai che il tempo è il bene più prezioso, ededicarlo a convincere te che sei molto giovane, e di tempone hai molto, anche per sbagliare... be’, quello è tempo spre-cato. Sono venuto a verificare se il lampo d’intelligenza eautonomia che ho visto oggi è stato un’eccezione”.

Io non rispondo, ma i miei occhi sì. Allora lui prosegue:“Un dirigente deve saper gestire se stesso a prescinderedagli umori”.

“Quando sei entrato stavo pensando il contrario: fin quimi sono sforzata di reprimere le mie emozioni, di adeguar-mi al conformismo imperante. Ora voglio fare politica dapersona intera: carne e sangue, oltre al cervello. Non so”,guardo timidamente Corradi, “se sono disponibile a repri-mermi ancora. Non credi che la politica abbia bisognoanche di emozioni?”

“A patto di tenerle a bada, sì. Questa politica emofiliacaha bisogno di sangue nuovo. Allora d’accordo, fai la porta-voce e guardati bene le spalle”.

“Da chi?”“Dovresti capirlo da sola”.Non fa in tempo a finire che alla porta si affaccia

Lorenzo.“Disturbo? Sono venuto a esigere il mio credito: andia-

mo a cena? O è troppo presto... devi finire con Corradi?”Sfacciato come sempre. Avvampo: come si permette, un

mito come Corradi e lui irrompe con quella vocina insolen-

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te. Ci pensa l’anziano dirigente a rompere l’imbarazzo. “Ma figurati, stavo appunto spiegando a Luisa che i vec-

chi hanno bioritmi totalmente diversi, e per me l’ora ètarda. Divertitevi voi che potete. Addio”. Esce silenziosa-mente come era entrato.

Mi volto come una furia: “Ma che ti è preso, sei impaz-zito, farmi fare una figura così con Corradi. Lo sai che luiè rigoroso, moralista, stessa moglie da cinquant’anni: orache penserà di me?”

“Quello che pensano tutti, che sei troppo carina per pas-sare le tue serate da sola tra queste orride mura o in casacon una tisana e le pantofole. Dai, andiamo”, e così dicen-do mi prende la mano e mi trascina fuori dall’ufficio.

“Ma aspetta, devo prendere la borsa. Le chiavi dicasa...”

“Se dai retta a me le chiavi di casa non ti servono. Nonperdiamo altro tempo”.

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Il coyote è un predatore opportunista. Si può nutrire dicarogne in avanzato stato di decomposizione,

come di conigli, di insetti e di frutta.Anche i politici sono onnivori e predatori,

spesso opportunisti, capaci di non mollare la presa neanche davanti a un cadavere.

Luisa

Intorno a un tavolino quadrato, talmente stretto che sembraquello di un bar, e in un rumore assordante, Lorenzo miguarda negli occhi e sembra la parodia di un latin lover.Rido e lui non capisce: “Perché?”

“Perché non ti rendi conto che sei proprio lo stereotipodel macho. Cinquant’anni di femminismo non ti hannosfiorato. Comunque tranquillo, fra i tanti modi di conqui-stare una donna c’è anche tenerla allegra”.

“Ti preferirei romantica e appassionata. Pazienza. Chevoleva Corradi?”

“Non l’immagineresti mai. Voleva complimentarsi conme. Mi ha notata”.

“Vecchia scuola, incredibilmente astuto: si complimentacon la pischella che gli ha sparato addosso in pubblico.

III

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Dopo aver fatto la figura del vero democratico potrà priva-tamente segarti. Di’ pure addio alla nomina”.

“Lui non è meschino”.“Ha conquistato pure te! Tutto è perduto, non ci resta

che un brindisi”. “A che?” “Al tuo incarico di domani o al nostro amore”.“Il nostro amore non esiste e l’incarico neanche, per ora.

Dunque facciamo un brindisi meno impegnativo. A qualchebuon consiglio che vorrai darmi, per esempio”.

“Uno te lo do: guardati da quelli che credi alleati”.“Sei la seconda persona che me lo dice, oggi”.“Io e chi altro?”“Corradi. Proprio lui, era venuto a dirmi questo”.“Che faccia tosta, ti mette in guardia dagli amici per iso-

larti. Certo i vecchi sono straordinari”.“Io invece penso che fosse sincero. Al suo livello perché

sprecare energie fingendo con me che non conto niente?Piuttosto, mi chiedo chi potrebbe essere il mio falsoamico”.

“Io, e chi se no? Non hai miglior amico di me, perciòsolo io posso tradirti”.

“Veramente non siamo mai stati tanto vicini. Il tuo inte-resse si è scatenato all’improvviso”.

“Sottovaluti il potere dei tuoi occhi”.“Non sono una che si sottovaluta. Ma non pensavo di

piacerti tanto. E dopo più di un anno che ci conosciamo”.“Oggi avevi un non so che di malizioso e lontano che mi

ha acchiappato. Dai, andiamo a ballare”.La serata va avanti a lungo fra le insistenze di Lorenzo,

sempre più pressanti. È di me che parla continuamente. Col

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solito tono da stronzo indaga quasi per strapparmi delleconfidenze e fa il vago se gli chiedo qualcosa. Mi rendoconto benissimo che suona come una moneta falsa, ma nonso se lo scopo è portarmi a letto o carpirmi qualche infor-mazione che gli serve. I bicchieri non sono mai vuoti, edecido di rilassarmi. Mi fa ballare come un damerino diperiferia: girando vorticosamente e poi attirandomi a sé estringendomi e avanzando col bacino al punto che... insom-ma, sento il contatto con una parte di lui molto eloquente.Sono tentata, non è un uomo da buttar via, la mia vita ses-suale è un deserto da troppo tempo, e sono così tesa...potrebbe essere piacevole.

Lo lascio fare e al primo lento mi s’incolla addosso e mibacia. La sua lingua lavora dentro di me come per darmi unassaggio di cosa farebbe con un’altra parte del suo corpo.Non male, ma troppo tecnico per essere sexy. Non che pen-sassi di averlo fatto innamorare, ma così è troppo. Mi stac-co con delicata fermezza, o almeno spero che lui la inter-preti così. Ci resta male e chiede perché con lo sguardo.

“Scusami, sono troppo tesa: ho il pensiero fisso a quellavoro. Lo voglio a tutti i costi e voglio pure prendermi unarivincita, fargliela pagare a quelli che mi hanno boicottata,allontanata, esasperata. Il sesso non vuole pensieri, e stase-ra ne ho troppi”.

Spero che la battuta sdrammatizzi il rifiuto. A giudicaredall’espressione non ci riesco: ha l’aria di uno che ha ricevu-to una bastonata e insiste più per dovere di bandiera che altro.

Non me ne libero presto. Quando finalmente ci riesco ètardissimo e non arrivo a prendere sonno.

Sola nel letto mi giro e mi rigiro. Forse se avessi accet-tato la proposta del collega belloccio a quest’ora sarei più

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rilassata e dormirei già. O forse no, perché non è a lui chepenso, ma all’anziano Corradi. L’ho sempre temuto e dete-stato da lontano, invece mi è piaciuto conoscerlo, è tosto,ha uno strano fascino misterioso, i modi signorili e sicuri,ma non affettati o contorti. Sarà anche astuto come diceLorenzo, ma mi è sembrato sincero, sia quando si è compli-mentato, sia quando mi ha messa in guardia. Verso chi?Lorenzo ha scelto il momento sbagliato per entrare, comese l’avesse fatto apposta. Sono paranoica: lui non è cosìintelligente e neanche così diabolico da spiarmi.

Prenderò la tisana. Così dormirò almeno un paio d’ore:malva, camomilla, alloro, semi di finocchio per rilassarmi,mischiata a liquirizia per un buon sapore. E l’escolzia perdormire di sonno ininterrotto fino al mattino. Alla faccia diLorenzo. Per lenire la mia ansia non c’è di meglio: nonsono tipo da pasticche. Oppure sì? Sì.

Sarà almeno un’ora che la luce filtra dalla persiana. Mi feri-sce gli occhi appena provo ad aprirli e come una lancia arri-va dritta al cervello. Non riesco ad alzarmi. Il corpo nonobbedisce. Maledetta pasticca. È un po’ che cerco di mette-re i piedi fuori dal letto, ma pesano un accidenti, non riesconeanche a intuire l’ora, dev’essere una giornata nuvolosa, diquelle che cielo e asfalto hanno lo stesso colore. Il colore delmio umore: grigio... Accidenti al telefono, e a me che lolascio lontano dal comodino e adesso devo alzarmi perrispondere, ma chi sarà: la sveglia è appena suonata.

“Ti avevo detto di non fidarti. Quando c’è una nomina inballo non si dorme, perché gli altri non dormono, al contra-rio di te”.

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La voce di Corradi è molto severa, eppure il tono nonsembra ostile.

“Che cosa è successo?”, chiedo con un filo di voce roca. “Quello che prevedevo. Non è certo una conversazione

da fare al telefono. Vieni immediatamente, oppure rinuncioad aiutarti, detesto gli incapaci”.

Le sue parole come una doccia fredda mi svegliano defi-nitivamente. Oddio, le dieci... corro in bagno e mi vesto aprecipizio. Prendo il motorino, e alle dieci e quarantacin-que sono al partito, trafelata e ansiosa.

Tutti mi sembrano un po’ sfuggenti, anche Dino a pen-sarci bene, ma non ho tempo per i dubbi esistenziali. Lariunione è finita. Passo da Giuseppina, la fedelissimasegretaria del segretario, l’unica donna che a lui interessiveramente, non come femmina s’intende, ma come essereumano al suo servizio, affidabile e dunque indispensabile.Lei non gli nega mai nulla, dal pagamento di una bollettaal commento sulla cravatta. Sa liberarlo dagli scocciatorie trovare la persona che gli è necessaria in quel momento.Può consentirgli la fuga amorosa all’insaputa della mogliee organizzargli il viaggio di lavoro più complicato. SenzaGiuseppina sarebbe un uomo finito. Lei è molto protetti-va, e al tempo stesso consapevole di avere un ruolo soloperché lui è un uomo importante. Sono reciprocamentegrati, complici, intimi eppure discreti. Una vera coppia,molto più di quanto lo siano Rispoli e la moglie. Mancal’unione carnale, ma forse il rapporto dura proprio perquesto. La fedeltà sessuale non è una caratteristica delsegretario.

D’improvviso provo imbarazzo a stare lì di fronte a lei,quasi le avessi fatto un’ingiustizia. Sono sollevata quando

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alzando gli occhi dice: “Puoi entrare, il segretario ha piùvolte chiesto se eri arrivata”.

“E perché non mi hai chiamato, scusa?”, chiedo piccata,come se fosse colpa della poveretta se non mi sono sveglia-ta nel giorno più importante della mia vita.

Lei non si scompone, mi guarda autorevole ed efficien-te come sempre: “Gliel’ho chiesto, ma lui mi ha detto dinon farlo, che non era necessario, voleva solo sapere sec’eri e dov’eri”. Già, voleva sapere quanto sono stupida einaffidabile. Entro nella sala delle riunioni alla quale siaccede sia dall’ufficio di Rispoli che dal corridoio. A incon-tro finito si sono trattenuti a parlare in quattro, faccio segnoa Eugenio, bisbigliando: mi cercavi? Il segretario si alza,mi assento solo un attimo, dice. Mi prende per il gomitoconfidenzialmente e mi porta nel suo ufficio.

“Ma dov’eri? Io mi batto per te e tu diserti? Sei matta?” “Scusa. In fondo meglio parlare della mia nomina senza

di me, in libertà, no?”“Bel risultato: ora c’è una seconda candidatura”.Mi tiene in sospeso, vuole che sia io a domandare chi è.

Metto l’orgoglio sotto le suole delle scarpe e glielo chiedo. “È Lorenzo”.“Lorenzooo! Non ci posso credere, quel verme. Ecco

perché...”, e divento rossa come la bandiera dei vecchicomunisti.

“Perché che? Lo sapevi allora o lo sospettavi, e non seivenuta anche con due gambe rotte? Ma sei in un partito oall’asilo infantile? Credi che gli altri debbano lottare per tee tu passi all’incasso dopo? Mi deludi. Ora fammi tornaredentro, la coda delle riunioni è più importante delle riunio-ni stesse. E rifletti sul da farsi”.

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“Ma allora... come è finita?”“Non è finita, ti farò sapere”.Si allontana. Io invece resto lì, basita. La botta è troppo

grossa, non riesco a riprendermi. Un verme, sì, è un vermee da oggi in poi questo sarà il suo nome. Purtroppo ci sonocascata: voleva carpirmi informazioni, tenermi impegnatamentre qualcuno lavorava per lui, perciò gli occhi e la pas-sione e tutte quelle stronzate, e il vino e la danza.

È la spiegazione alla frase sibillina di Corradi. Già,Corradi, eccolo spuntare dal corridoio. Cerco di ricompormi.

“Era ora. Dovrai ringraziarmi a lungo. NaturalmenteEugenio ti ha detto... Sono riuscito a ottenere che se neriparli la prossima settimana. Per ora tutto sospeso. Maadesso datti da fare. Dimostra ciò che vali”.

“Ma chi mi ha votato contro? Quali voti ha Lorenzo?”“Eugenio naturalmente, ma non ha bisogno di votarti

contro. Lui tesse una rete e tu ci caschi dentro. Per qualemotivo credi che ieri ti abbia spinto a parlare?”

“...era una trappola!”“Certo, ti conosce bene. Aprendo la riunione oggi ha

avuto la sfacciataggine di ricordare a tutti il tuo interventoimprudente, dicendo che era indignato che una persona gio-vane e inesperta avesse sferrato quell’attacco contro di me,e che si scusava e forse doveva ripensare alle candidatureperché non ci si può fidare di una che non capisce i rappor-ti di forza e non rispetta l’autorevolezza dei compagni.Insomma: ha tentato di incastrarmi, puntando sulla miasuscettibilità, sulla mia vanità. Non sa che per me la cosapeggiore è la sua mediocrità, è semmai il suo appoggio chemi impensierisce”.

“Io... grazie, ma come hai saputo?”

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“Se fai politica da tanti anni come me interpreti anche isegni. Pippoli senior è superattivo in questo periodo.Eugenio non sa e non può dirgli di no”.

“Ma si era impegnato con me!”Sospira, come dire devo spiegarti proprio tutto:

“Eugenio è un mediocre che si atteggia a grand’uomo. Sidà un tono perfino con il libertinaggio, che esercita pubbli-camente, incapace a tutelare la dignità di sua moglie. Tu misembri di un’altra pasta. Ma passerai per stupida, se non tiaiuto. Lascia che lui candidi Lorenzo. Ci divertiremo. Oraandiamo nel mio ufficio”.

Sono troppo sbalordita per articolare bene le frasi: “Maallora perché? Perché sono settimane che mette avanti ilmio nome per quel posto?”

“Il suo primo candidato era destinato a essere bruciato,io non l’avrei fatto passare. Per questo ha proposto te perprima: ti avrei cassata e lui avrebbe fatto il nome diLorenzo per mediare. A quel punto sarei stato obbligato avotarlo. Ti aveva destinata al sacrificio, mentre tu pensaviche fosse il tuo migliore alleato. Ieri ho cercato di fartelocapire, speravo che capissi”.

“Lorenzo non è in grado di fare quel lavoro!”“Ciò che lo rende adatto è il padre: fondatore del partito

in Toscana, grande finanziatore, titolare delle cliniche pri-vate più importanti della sua città e proprietario di grandiimmobili un po’ ovunque. E poi un farfallone mentalmentesemplice come lui è del tutto controllabile... E tu, del resto.Ti senti adatta a fare la dirigente politica? Se non avessilasciato campo libero a Eugenio avresti già la nomina intasca. Ora mettiamoci al lavoro. Ho un amico al Corrieredel Mattino. Troverà interessante tutta questa storia”.

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“Davvero vuoi darla ai giornali? Come ci resteràEugenio? Ancora non posso credere che mi abbia giocatoun tiro di questo genere”.

“Siamo stati anche troppo in corridoio. Seguimi e ascol-ta: hai bisogno di imparare in fretta se non vuoi compro-mettere del tutto la situazione”.

Taci e ascolta. Impara ad ascoltare. Non parlare prima diaver contato fino a cento. Lo diceva mamma, è stata anchel’ultima raccomandazione prima che il male portasse via lasua capacità di occuparsi di noi. “Ascolta il tuo corpo, ascol-ta il rumore dei tuoi pensieri, il suono dei tuoi affetti. Non lisopraffare con la voce e la ragione, altrimenti non riusciraimai a essere felice. Non sono riuscita a insegnarti la felici-tà. Delle mie figlie sei sempre stata la più tormentata”.

Ma io so ascoltare, mamma. Ho sempre saputo ascolta-re. Ascoltavo il rumore della serratura quando rientravitardi dalle riunioni e ascoltavo il rumore dei tuoi passi.Due, tre, quattro, cinque, ti avvicinavi al mio letto perdarmi un bacio al buio e rimboccarmi la coperta.Finalmente potevo dormire.

Ascoltavo quando discutevi con papà per i soldi, chenon bastavano mai, e l’indomani cancellavo il desiderio diun giocattolo nuovo perché avevo capito la difficoltà diarrivare alla fine del mese. Ascoltavo il mio dolore di bam-bina che cresceva sola e rubava i momenti di vita familiarealla politica.

Crescendo ascoltavo la pena del mendicante all’angolo,il dolore del mondo. Ascoltavo il dolore delle madri chevedevano i figli partire in guerra e tornare nelle bare, quan-do li vedevo al telegiornale. O di quelle che uscivano a

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comprare il latte e al ritorno trovavano la casa distrutta daun esercito armato fino ai denti che combatteva un popolodisarmato.

Tutto quello che ascoltavo entrava dentro di me. Parlareè l’unico modo che ho sempre avuto di far uscire da me ildolore del mondo e sopravvivere all’ingiustizia e alla sof-ferenza degli altri. Perciò a tacere non ho mai imparato.Perciò ho deciso di fare politica: volevo che dalle mie paro-le anche altri capissero la sofferenza diffusa. L’ingiustiziadiffusa. Il dolore diffuso. Chi mai poteva pensare che lapolitica fosse questa strana cosa che scopro giorno dopogiorno.

Taci e ascolta: sii prudente. Lo diceva sempre ancheTonino. Me l’aveva detto anche prima di mettersi in quellamaledetta macchina.

Perché dovrei tacere quando la politica è fatta per parla-re, per comunicare agli altri come potrebbe essere il mondoe come non è? Perché se vuoi ottenere il risultato devi esse-re più furba degli altri, mi rispondeva lui. Perché se parlitroppo ti scopri, resti indifesa, diceva mamma. Perché separli troppo gli altri conoscono il tuo gioco e possono con-trastarlo, diceva Tonino. Perché possono ferirti, dicevamamma, e tratteneva il respiro come se mi stessero ferendoveramente. E ora mi trovo in questo ufficio ostile, fra genteostile che credevo amica. E gente amica che credevo osti-le. Non ho la forza di fare chiarezza. Diceva mamma: nonfare l’asino in mezzo ai suoni. Ma io sono stordita comequell’asino. E senza la sua pazienza.L’ufficio di Corradi è una sorpresa. La stanza è piccola, lascrivania del tutto sgombra, come se nessuno ci lavorasse.Un ordine monacale. Nulla ricorda la vita quotidiana di un

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essere umano. Tranne le pareti. Mi avvicino incuriosita avecchie fotografie in bianco e nero ingiallite dal tempo.Foto storiche? In un certo senso. Resto col naso quasiappiccicato al vetro e la bocca aperta. Corradi è giovanissi-mo e irriconoscibile senza la grisaglia e gli occhiali dallamontatura pesante che indossa ora. Stringe la mano a JoanMiró, il grande pittore spagnolo. Riconoscerei i suoi quadrianche al buio. Mi fa pensare agli anonimi graffitari dellemetropolitane. Corradi è molto fiero, accanto al grandevecchio che rifiutò onori e committenze dal regime franchi-sta. Nella foto a fianco è con Pablo Picasso, che tiene inmano un disegno preparatorio di Guernica, un’opera chem’ha sempre turbata, quasi disturbata. Ed eccolo con ItaloCalvino.

Sorride al mio stupore: “Adoro il bello, ammiro la capa-cità di modificare la materia e piegarla alla volontà di espri-mersi. Di trasformare il suono in musica. Vorrei saperlofare anch’io, perché l’arte quando è davvero grande emo-ziona, commuove, penetra nel profondo. Ma non ho in mealtra scintilla che la politica. Che a suo modo richiede crea-tività e talento. Non in tutti: in alcuni è solo mestiere. Madella mia vita parleremo un altro giorno”, e tronca così ognipossibilità di domande.

Si siede e mi indica la sedia di fronte a lui. Compone unnumero di cellulare. “Enrico, sei tu? Ciao. Non crederestiche cosa è successo oggi in direzione... Eugenio volevanominare portavoce Lorenzo Pippoli... come non te loricordi, era caposervizio di turno al Tribuna, il giornale delpartito, due anni fa, all’epoca di quello scandaletto che ciha coperti di ridicolo... arrivò la notizia del pentito cheaccusava Ribonati del sequestro Tulino. Pippoli la mise in

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prima con titolo d’apertura a nove colonne. Dopo un’ora sicapì che era una bufala, ma lui in una giornata così impor-tante aveva abbandonato la postazione nelle mani di unpraticante, con l’ordine di non chiamarlo per nessun moti-vo, era con una donna chissà dove, e così finimmo per pub-blicare la notizia falsa... sì proprio lui. Pensa, un cialtrone,una persona inaffidabile come portavoce... certo, può faretutti gli errori che vuole, ci pensa il padre a coprirlo. E aspingerlo. Sì c’è un’altra candidata... non la mia candidata,ma una persona più presentabile: Luisa Alunni. Però alsegretario non piace. Lui preferisce quelli ricattabili e conun padre potente... anche lei è giovane, ma ha stoffa e nonha un passato da nascondere. Questo partito è su una stra-da scivolosa... finita la mia generazione Dio ci aiuti... sonolaico, ma anche i laici hanno un dio. Ciao caro... no, non èil caso di parlare con lei. La nomina è ancora in ballo.Sostenerla io? Quando mai, il vecchio Corradi non sostie-ne nessuno, sono perfido, ricordi? Non mi far passare perbuono che lo detesto. Solo i cattivi possono fare il benedella nazione. I buoni al più possono offrire caramelle.Comunque, domani pomeriggio c’è quel convegno al qualesarò anch’io, lei è fra i relatori. Non mi stupirei che avesseil coraggio di attaccarmi pubblicamente, come ha già fattoieri in una riunione interna... una donna con le palle, te lodico io. Peccato che politicamente siamo così diversi.Fisicamente? Carina, se ti piace il tipo: bionda, snella,lineamenti delicati, look da suora laica o da ragazzina delcollegio Chateaubriand. È vero che io non ho più l’età pervalutare l’appeal femminile. Ciao caro, ti saluto, ci vediamoal Residence Ripetta domani alle diciasette. Te o qualcunodei tuoi... ricordati, per questa dritta mi devi un favore”.

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Riattacca. Comincio a capire: “Devo fare in pubblico lostesso intervento di ieri e...”, esito, “cambiare look?”

Ride: “Di’ quello che ti pare. E non badare a quello cheho detto: sii sobria come sempre, ma indossa un dettaglioche si noti, che so, una spilla grande sulla giacca, un fioreall’occhiello. Sii autorevole, ma brillante. Attaccami con ilrispetto che mi è dovuto, e con i giornalisti no comment. Tiguiderò alla nomina, ma non ammetto sgarri. Ricorda”,aggiunge ironico, “tu non hai un padre in posizione strate-gica”. Sorrido. Ho capito il gioco. Mi sembra pericoloso,ma non oso fare osservazioni.

“Machiavelli non era nessuno in confronto a te”. “Machiavelli dava consigli a dei principi ignoranti, che

vivevano con un sistema di comunicazioni primitivo erestavano all’oscuro delle novità per settimane o mesi. Noisiamo nell’epoca del sempre connesso e possiamo reagirein tempo reale. Io uso questa possibilità perché la politica ècomunicazione. Azione e reazione devono arrivare subito ebene all’opinione pubblica, altrimenti...”

“Altrimenti?”“Altrimenti fai filosofia, non politica”.“E se il giornalista con cui hai parlato riferisce la tua

conversazione?” “Non gli conviene, non avrebbe più notizie da me. E poi

vorrebbe passare alla Rai come direttore di un tg. Credi chepossa farcela senza o contro di me? Ora vai che ho da fare”.

Non vorrei avere Corradi come nemico. E forse neanchecome amico: gioca sporco, è troppo spregiudicato e mi usa.

Sono allergica alle strategie arzigogolate. E non capiscoperché le donne abbiano fama di essere complicate quandotutti gli uomini che conosco lo sono più di me. Io ho un cer-

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vello lineare. Distinguo il bene e il male. Amici e avversa-ri. Detesto la passione tutta maschile per la guerra. Per lorola politica è come per i bambini giocare a indiani e cowboy,russi e americani, buoni e cattivi, una perenne sfida a voltetragica e spesso poco seria. Per me la politica è avvicinar-mi ai bisogni di chi ha bisogno e risolvere i loro problemi.

Alessandro, lui sì che sarebbe stato a suo agio con Corradi.Quando l’ho incontrato la prima volta ho pensato che eramolto intelligente. Capiva le cose nel profondo. Una frasee aveva già colto tutti i retroscena. Mi sono illusa: ecco unuomo che può capire anche me. Faceva l’avvocato, l’hoconosciuto per caso, in un bar. Non mi piaceva particolar-mente all’inizio, ma mi intrigava. Era – dovrei dire è, infondo è morto solo per me – bello, grigio di capelli e dibaffi. Un gran portamento e delle mani da impazzire. Untocco leggero ed elegante. Sempre asciutte, mai sudate, ditalunghe da pianista. Tutto in lui diceva: guardami e ammira-mi. In effetti lo ammiravo. Non come uomo, ma come unbell’oggetto, che si guarda volentieri. In realtà era unragno: mi ha avvolto in una ragnatela fine e robustissima,dalla quale a un certo punto non ho saputo più uscire. Luiera un costruttore di strategie e di consenso.Un’intelligenza preventiva. Preveniva qualunque mossaaltrui. Ha prevenuto anche la possibilità che potessi rifiu-tarlo. L’ha fatto con sapiente, apparente indifferenza. Mi haletteralmente catturato e ha cercato per tre anni di insegnar-mi l’arte della strategia, ma io ero una cattiva allieva.Rifiutavo l’idea di ridurre tutta la vita, tutte le vite a ungioco di ruolo. Rifiutavo di censurare le mie emozioni ediventare la mummia inespressiva che lui voleva. Ho resi-

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stito e mi sono ribellata per non diventare come lui mi chie-deva di essere. Gli davo affetto, comprensione, compagnia,sesso, a tratti anche entusiasmo. Ma lui voleva di più, sem-pre di più.

Un giorno ha detto: sposami. Mi ha colto di sorpresa,avevo molti dubbi, ma quella pappa fredda durava da trop-po tempo, non sapevo come rifiutare e ho accettato. Daquel momento ho pensato di risarcirlo della sua gentilezza,diventando più arrendevole, più buona con lui: un matrimo-nio non può essere un Campo di Marte. Mi dicevo che infondo la mancanza di vera passione era quasi una garanzia:quel che non c’è non può spegnersi, e nulla sarebbe maimutato. Non avremmo avuto un futuro entusiasmante maneanche brutte sorprese, delusioni e rotture. Non lo amavo,ma ero talmente lusingata che lui così elegante mi avessechiesto in sposa da provare un forte sentimento che volen-do si poteva scambiare per amore coniugale. Vivevo tutta lavicenda come se mi avesse fatto un favore concedendosi emettendomi al riparo da me stessa, dalle forti emozioni chesi sa, ti rovinano la vita. In quell’occasione ho imparato cheanche in una come me una richiesta di matrimonio fa scat-tare ataviche idee, l’orgoglio di pensare: ha scelto me, oradovrò essere all’altezza di ciò che ci si aspetta da unamoglie. Il fatto che accettassi di mettermi i tacchi, di anda-re dal parrucchiere e di incrociare le gambe stando sedutain poltrona gli ha fatto pensare che fossi pronta a tutto. Edè stata la fine. Era troppo logico e intelligente per capireuna come me.

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IV

Il coyote segue la preda a distanza ravvicinata o da lontano,anche per quindici minuti. Il politico ti segue anche per

tutta la vita se ritiene che tu gli possa essere utile, e timolla all’istante appena non gli servi più.

Luisa

La mattina è buona. Il ponentino nella notte ha spostatol’aria. Una bella sorpresa: la brezza a Roma un tempo eradi casa, ma ormai riesce raramente a superare la barrieradei palazzoni di periferia.

Stamattina mi sono alzata bene. Corradi m’inquieta, mami piace e mi fa comodo.

A passi lunghi ma senza fretta affronto il solito percor-so. E al solito posto c’è lei. Bellissima. Biondissima.Giovanissima. Con la solita piega amara all’angolo sinistrodella bocca.

“Siniora oggi me lo dai un iuro?”La guardo: ha occhi limpidi e infelici.“Sì, te lo do, ma dimmi come ti chiami... il nome vero”.“Irina”, dice lei con la voce improvvisamente più pro-

fonda, abbassando lo sguardo. Ne approfitto per guardarlameglio senza apparire indiscreta. All’angolo della bocca ha

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sempre lo stesso segno. Un arrossamento che è quasi unapiaga.

“Irina, voglio aiutarti. Tu hai una malattia della pelle,capita a chi lascia il posto dove è nato e vive un po’ così...in mezzo alla strada. Prima che si allarghi voglio farti vede-re da un dermatologo, un medico adatto”.

“Siniora”, Irina sorride storcendo un po’ la bocca, evi-dentemente la piaghetta le fa male, “non ha malattia miapelle. Non preoccupa. Dammi solo un iuro”.

Nel dirlo tende la mano guardandosi intorno.Spaventata, cerca con gli occhi il suo sorvegliante. Ci stomettendo troppo tempo a darle questo benedetto euro. Persalvare la mia coscienza rischio di combinarle un bel guaio.Glielo do e mi allontano. Mi aspettano i palazzi del potere,dove si danno un gran da fare uomini indifferenti ai dram-mi che si consumano fuori.

Una strana calma occupa tutta la mattina. Il segretario nonmi chiama mai, il vigliacco mi evita. Mangio il solito boc-cone al solito posto senza incontri degni di nota. Oggi nonc’è neanche Marco.

Potrei andare a comprare le famose scarpe di GiosiRomualdi, ma una leggera agitazione mi frena. Oggi il con-vegno. Domani le scarpe. Se Dio vuole, come dice Corradi.Inch’Allah, come dicono i miei amici emigrati.

Se Dio vuole... Dio per me è lontano lontano. È uscitodalla mia vita in quel giorno di maggio quando è morta miamadre. L’avevo implorato tanto nei giorni della sua malat-tia, quando speranza e disperazione si alternavano veloce-mente, giravano e sparivano se mamma sorrideva o se face-va una smorfia di dolore. Quel dolore che neanche la mor-

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fina riusciva più a lenire. Lo chiamavo. Ma non risponde-va. E allora ho imparato a farne a meno, poi a ignorarlo. Poia negarlo. Se Dio vuole è diventato un modo di dire e nullapiù. Quello che Dio vuole per me non è niente di buono. Lecose buone devo procurarmele da sola. Ogni tanto sì, mipiacerebbe affidarmi a Dio. Mi piacerebbe pensare che c’èqualcosa oltre me, oltre noi, oltre la terra. Qualcosa per cuivalga la pena lottare e penare, invece di pensare che tuttoquesto sbattimento finisce con noi. Ma Dio mi ha punitoquando non avevo fatto nulla di male. E non lo ha fattoinvece quando me lo sarei meritato. Adesso per distinguereil bene e il male mi regolo da sola, sulla base del buonsenso e di ciò che mi conviene.

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Il coyote come il lupo è estremamente leale, ed è un genitore mite e premuroso.

I politici, be’... le analogie finiscono qui.

Luisa

Al Residence Ripetta la sala è piena e i giornalisti accre-ditati sono molti. Arrivo in anticipo, non si sa mai.

E meno male. Nonostante sia fra i relatori, alla presi-denza manca il cavaliere con il mio nome. In segreteriami dicono che Rispoli in persona l’ha fatto levare. Quellodi Lorenzo invece è in bella vista. In un altro momentomi sarei scoraggiata. Oggi ho bene in mente le aspettati-ve di Corradi.

Perciò prima che la segreteria dica qualcosa afferro ilcavaliere abbandonato, occupo l’unica sedia vuota altavolo dei relatori e me lo piazzo davanti in bella vista.Corradi presiede, neanche alza gli occhi a salutarmi.Eugenio gli occhi li alza, non ha modo di dirmi niente, népotrebbe davanti a tutti, ma fa una smorfia di disappun-to. Io invece gli sorrido come se niente fosse. E il verme?Non mi guarda, è troppo occupato a leccare il culo alsegretario.

V

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Mentre gli interventi si succedono combatto la noia sfo-gliando il Corriere del Mattino. D’improvviso mi blocco.Che stupida, me ne ero proprio dimenticata. Imperdonabilenon averlo ancora letto. Al centro della seconda pagina, congrande evidenza, c’è un pezzo firmato da GiovanniMustacchi: Sinistra Unita si spacca sul nome del portavo-ce. Il segretario abbandona la Alunni e punta sul giornali-sta della “Tribuna” che falsificò le prove del sequestroTulino. E via così con tutta la storia, esattamente comel’avevo sentita da Corradi. Ecco spiegata la freddezza diEugenio.

Avrei bisogno di sedermi in un angolino nascosto permettere in ordine i pensieri, che sono mille. Invece sono quabene in vista e devo fare la faccia indifferente mentre chiudoil giornale. Eugenio penserà che sono l’ispiratrice del pezzo.No, sa che è opera di Corradi, ma non potendo attaccare luiche è troppo forte se la prende con me: sono il loro terrenodi battaglia. Che penseranno gli altri membri della direzione?Pensino pure ciò che vogliono, se sono così potente da faruscire a mio comodo un articolo sul Corriere del Mattinovuol dire che il posto di portavoce è mio di diritto. Prenderòesempio dal segretario: invece di sentirsi in difetto per averproposto la candidatura di un verme incapace, se la prendecon me che sono la parte lesa. Lo terrò a mente. Io imparopresto. Anche se il sistema mi fa schifo.

Indosso la maschera di quella sicura e strafottente, eppu-re ho l’impressione che tutti mi guardino e commentino.Ho un senso di colpa, e perché poi? Questa guerra non l’hoiniziata io.

L’agitazione mi torna utile: il convegno è di una noiatale che solo l’adrenalina mi tiene sveglia. Guardo il pub-

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blico: distratto, di sicuro resta in sala solo per qualcheincontro utile con il conforto dell’aria condizionata. AncheEugenio e il verme parlano fitto fitto fra loro. Il brusio fraplatea e tavolo dei relatori è intollerabile. Corradi intervie-ne, invitando al rispetto per chi parla. Per un po’ tutti tac-ciono. Anche il segretario e il verme.

Poi tocca a me. E i due vistosamente riprendono a par-lare, come per rendere esplicito il loro disinteresse.

Non sopporto di essere ignorata in modo così aperto,ingiusto e villano. E se penso alla lingua del verme dentrodi me vorrei affondarlo in un blocco di cemento vivo instile mafia Novecento, prima di intossicarmi ingoiando lamia rabbia. Aggiusto il microfono adattandolo alla miaaltezza, e taccio. Non inizierò l’intervento senza il dovutorispetto.

Sono lunghi i secondi quando una persona sta in piedi alpodio pronta a parlare e non lo fa.

La sala si chiede che succede, dapprima con un mormo-rio pieno di domande: sta male? Le è preso il panico dapubblico? La mia espressione sicura, quasi spavalda, losguardo rivolto al segretario, ben presto rendono chiarocosa significhi il mio atteggiamento.

Il pubblico tace a sua volta con un silenzio carico di atte-se e tutti gli sguardi sono rivolti alla presidenza dove anche idue finalmente si rendono conto di quanto accade e tacciono.

Allora dico, con voce calma e decisa e una punta di iro-nia: “Segretario, per carità, se hai delle cose importanti dadire al tuo collaboratore io aspetto. Quando hai finito,fammi un cenno e inizio”.

Eugenio è diventato rosso e gonfio, gli occhi sembranovolergli uscire dalle orbite, una cosa del genere nella storia

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di Sinistra Unita non si è mai vista: un’oscura dirigente cheriprende in pubblico il boss! Lorenzo, da vero verme, vistala mala parata si allontana. Il segretario mormora qualcosacome: prego, inizia pure. E la sala a questo punto è tutta perme, che ho osato sfidare il segretario.

Mi sento come una che ha studiato tutta la vita per que-sto momento, anche se fino a dieci minuti fa quasi nonsapevo cosa dire. Alzo la mano destra stretta a pugno, ungesto che i dirigenti di Sinistra Unita hanno abbandonatoda tanto di quel tempo, la sala mormora ancora: che stranaragazza, un’estremista, evidentemente... Ma ora che tuttigli sguardi sono per me, con l’altra mano indico ciò chetengo nel pugno: una ghianda, che reggo fra pollice e indi-ce per mostrarla a tutti.

Un mormorio interrogativo, e perfino Corradi alza losguardo.

“Vedete, questa ghianda è in tutto simile a quelle che ungiorno John Lennon decise di inviare ai potenti del mondo.Ne raccolse tante insieme a Yoko Ono perché le ghiandehanno una forma che ricorda le vecchie bombe. Ognuna fuadagiata in una scatolina con un biglietto destinato a unCapo di Stato: Give Peace a Chance, proprio come il tito-lo di quella sua magnifica canzone. Una canzone diventatastoria per una generazione importante e qui ben rappresen-tata dal nostro segretario. Una ghianda non è che unaghianda, fino a quando non diventa un simbolo. Ma unaghianda può diventare un modo per dire: date una possibi-lità alla pace. Sì, diamo una possibilità alla pace.Facciamolo anche noi che siamo nati nella parte giusta delglobo, quella in cui una casa, un buon pasto e un reddito siapur piccolo ci sono per tutti. Per mantenere il nostro livel-

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lo di vita e di benessere abbiamo bisogno di quelli che trat-tiamo da ospiti sgraditi. Per mantenere il nostro livello divita e di benessere abbiamo bisogno di mantenere la pace.Ebbene, pensiamo che la pace si mantenga umiliando edemarginando i deboli? Distruggendo le loro economie e poiscacciando quelli che scappano dalla miseria che noi stessiabbiamo procurato loro?

“Ogni tg, ogni notizia pubblicata parla degli immigraticome di un rischio, reale o potenziale. Guardate il giornaledi oggi: Rapina in villa, secondo le vittime non erano alba-nesi, ma italiani. Come dire: strano, stavolta loro non c’en-trano, l’eccezione che conferma la regola.

“Abbiamo un’enorme responsabilità nel modo di parla-re e scrivere di queste persone che girando per il mondo incerca di una vita migliore scelgono noi. Scelgono dicostruire e pulire le nostre case, accudire i nostri vecchi.

“Oggi aspettavo l’autobus e mi sono seduta alla fermatasotto la pensilina, appoggiando sul sedile le mille cose cheavevo in mano. Un giovane marocchino mi si è sedutoaccanto. Fra me e lui c’era la mia borsa, aperta e straboc-cante. Lui la guarda e poi mi guarda con un sorriso rasse-gnato: non chiudi la borsa, non la levi, che io sono sedutoqui? I marocchini rubano, no? Sono sorpresa e gli dico:macché. Lui mi fa un enorme sorriso. Un sorriso indimen-ticabile. Forse erano settimane che qualcuno non si rivolge-va a lui in modo normale, senza paura di essere derubato,senza guardarlo come un diverso, uno da tenere lontano.Uno da isolare e se possibile chiudere in quella specie dilager che sono i Cie. La mia posizione è nota: li considerouna vergogna e un problema. Di certo non una soluzione.Voglio però aggiungere che, se non possiamo tenere reclu-

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se come in un campo di concentramento persone che nonhanno compiuto reati, non possiamo neanche lasciarle inapparenza libere e in realtà schiave della loro miseria e ditrafficanti: di armi, di droga, di sesso. Ecco perché voglioriconoscere pubblicamente al compagno Corradi di averper primo sottolineato i lati oscuri di una libertà solo appa-rente. I problemi di pubblica sicurezza esistono, ma l’im-migrazione ha altri aspetti che devono essere studiati erisolti: la garanzia di serena convivenza per noi e dei dirit-ti fondamentali e della dignità della persona per loro”.

Applausi fortissimi, almeno un minuto, più che a ognialtro oratore. Dopo il mio discorso gli altri sembranomicrofoni spenti. Lo capisco da come mi guardano, dacome parlottano indicandomi. La parola è potere se usatabene. Ne sono consapevole e come un po’ brilla. Sì, capi-sco che un successo possa dare alla testa. Il convegnoripiomba nel grigiore, poi per fortuna si conclude. Non stonella pelle dalla curiosità: vorrei chiedere subito a Corradiche ne pensa. Ma non riesco a raggiungerlo prima che se nevada perché molti del pubblico mi vengono incontro, mistringono la mano, si complimentano con me. Anche i gior-nalisti, con un mucchio di domande: quanti anni ho, cheesperienza ho fatto sinora, perfino cose molto private, deltipo se sono sposata o fidanzata e da chi compro i vestiti.Ora che li ho tutti per me scopro che me ne frega poco delleloro domande stupide e delle loro attenzioni destinate adurare pochi minuti per morire il giorno dopo.

Invece vorrei conoscere Giovanni Mustacchi, il giorna-lista che ha firmato l’articolo sul Corriere del Mattino,quello che il direttore-longa mano di Corradi ha scelto pereseguire i suoi desiderata. Mi ha fatto un piacere natural-

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mente, ma vorrei chiedergli come ci si sente a fare il killerper conto terzi. Come può uno fare il suo mestiere in nomedella libertà di stampa e poi scrivere su commissione. Saràun giornalista complice e consapevole, oppure ignaro e stu-pido? Giovane e arrivista o anziano e rassegnato? Lo capi-rei guardandolo negli occhi, ma non riesco a trovarlo, edunque mi metterò l’animo in pace tenendomi i miei dubbi.E le curiosità sull’etica e la correttezza, di cui non glienefrega niente a nessuno, e veramente non capisco perché nefreghi ancora qualcosa a me. È la lobby, meglio riderci su,sui nostri guai e sulle mie illusioni.

Finalmente fuori, esausta: la tensione è calata lasciandomicome un’ovatta dentro, ed è troppo caldo per rilassarmi.Passerò in ufficio. Ho portato con me un vaso e vogliosistemarlo sul mobile di fronte alla scrivania, così domanicomprerò da Rosalba un bel mazzo di fiori di campo e ilnuovo corso avrà inizio.

Sbircio da Corradi, ma è tutto buio. Delusa, riaccendoil cellulare che è spento da quando sono entrata al conve-gno, non ho molta simpatia verso l’invadente congegno, enon capisco quelli che sviluppano una vera e propriadipendenza.

Il display indica che c’è un nuovo messaggio. “Ho inve-stito bene il mio tempo”. Dunque Corradi è soddisfatto.Anch’io. Al segretario ho dimostrato che ha fatto male anon puntare su di me. Al verme (sono ossessionata dal pen-siero di quella sua linguaccia) che sono in grado di schiac-ciarlo. Al maestro che non sono una marionetta: interpretola parte, la elaboro, la faccio mia. Diventerò una comprima-ria, non farò la spalla come quel poveretto di un giornalista,

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Mustacchi. Corradi non è Dio, deve trattarmi con rispetto.Ma meno male che c’era lui, se no sarei stata fregata.Oggi è una data da segnare a memoria futura. È il giornodell’autostima ritrovata. Il mio pride personale, dopo annidi orgoglio depresso.

Alessandro si era insinuato come un tarlo e aveva rosic-chiato dall’interno la mia sicurezza. Aveva fatto leva sullamia pigrizia esistenziale, che aveva subito intuito – lasciafare a me, riposati, era la sua frase preferita – creando, gior-no dopo giorno, delle abitudini, quasi delle dipendenze.

A me, che per tradizione familiare di abitudini non neavevo mai avute. Mai una volta che si cenasse alla stessaora, a casa mia. O non c’era papà o non c’era ancoramamma. O non c’era niente di pronto da mangiare. Ognigiorno era diverso. Ogni sera un’improvvisata. Per quantisi apparecchia oggi? Chissà.

Invece Alessandro era come Kant (o almeno come dico-no che fosse): ci potevi regolare gli orologi, e non sopporta-va il mio disordine. Viveva per i simboli e le convenzioni. Ilcaos è creativo, dicevo io. Il caos è solo disordine mentale,ribatteva lui, dapprima con ironia, poi con aperta disapprova-zione. Poco alla volta avevo iniziato ad affidarmi alle suescelte, espresse con una certezza così adamantina.

Poco alla volta mi ha drogato con la sua incredibile,rassicurante ripetitività. Quasi non sentivo più la noia.Aveva intaccato il mio carattere. Il mio modo di stare almondo stava cambiando senza volerlo. A furia di dirmiche non potevo vivere in quel modo sregolato mi avevacondizionata. Risultato: stavo male con me stessa e me nefacevo una colpa. Non ripiegare l’asciugamano dopo

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averlo usato? Segno d’imprevidenza: lo troverai bagnatoe puzzolente di umido. Non lavare i piatti subito dopoaver mangiato? Sporcizia dell’anima. Fare l’orlo con loscotch? Devi essere pazza. E via così. Sulle prime glirispondevo per le rime e lo accusavo di essere un mania-co. Lui si faceva una risata, non mi affrontava di petto,non mi rispondeva male. Mi portava dolcemente dovevoleva. Ma c’era un che di fortemente coercitivo nella suadolce, noiosa fermezza. Era come se si fosse assunto ilcompito di riportarmi sui binari. Come un educatore dicollegio dell’Ottocento non cedeva di un millimetro, e lamia pigrizia mi suggeriva: se vuole fare lui, che te neimporta. Così, un po’ alla volta, impercettibilmente hocominciato a cambiare: d’altronde se intere generazioni didonne si erano comportate come lui riteneva giusto, unmotivo doveva pur esserci. I miei genitori mi avevano inse-gnato a vivere la sostanza della vita e non pensare al resto.Lui al contrario esigeva da me una forma che rasentasse laperfezione. Sballottata fra i due poli non sapevo più chidovevo essere, la mia insicurezza aumentava ogni giorno.Cercavo di imparare da lui. All’inizio giustificavo i mieicedimenti: voglio imparare anch’io a costruire ragnatele,voglio raggiungere il suo livello di intelligenza strategica.Mi dicevo che imitarlo sarebbe servito per entrare nellaparte, mi avrebbe aiutato ad assumere il suo punto di vista,il suo sguardo sul mondo. Ma in sua presenza mi sentivosempre più inadeguata e questo mi impediva di vederedove mi stava portando e dove stava andando lui.

Sentivo che gli appigli mi sfuggivano, che la mia dipen-denza psicologica era grave. Un giorno ha fatto il gesto diun ceffone. Poi mi ha dato un ceffone e un altro ancora. E

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io che avevo sempre detto: il primo uomo che mi tocca vain galera. Io l’ho guardato e non ho reagito.

Mi ha mollato con semplicità. Il giorno prima mi avevachiesto: lasceresti il tuo lavoro per me? Ho risposto: sì, manon chiedermelo per favore. Ha aggiunto: c’è qualche cosache non faresti per me? Ho risposto d’istinto: nulla. Puoichiedermi tutto quello che vuoi. Avrei dovuto capire:diventata la bambina modello che lui voleva non lo interes-savo più. Ci ha pensato lui a spiegarmelo. Il giorno dopo ilfioraio mi ha recapitato un enorme mazzo di rose, gialle,non rosse, per lui la simbologia è importante. È arrivato conun biglietto: l’amore è conquista e sfida. Non posso viverecon una della quale non ho più niente da scoprire. Unaschiava sottomessa non m’interessa. Neanche picchiarti midà soddisfazione. È finita.

Nel suo stile: non si manda un biglietto a una signorasenza accompagnarlo a un mazzo di rose. Stronzo sì, mamolto elegante.

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VI

Dice una leggenda Pueblos che i Gemelli della Guerra,capostipiti della razza umana, risalirono il fusto di un

alto albero, portando con sé gli animali sacri: il ragno, il falco, il coyote, la rondine e la locusta.

Giunti in superficie il coyote liberò le stelle. Erano altri tempi, anche per i coyote, chiamati a imprese

più gloriose delle attuali.

Luisa

Ancora il telefono. È insopportabile cominciare così ognigiornata. Numero privato. Bisogna rispondere.

“Complimenti, i giornali parlano molto di te, particolar-mente il Corriere del Mattino. Godi di buona stampa”, misembra di sentire una risatina da Corradi, “ma questo non ticonsente di stare a letto a sognare come una quindicenne. Ilnemico non sta fermo. Che pensi di fare. Che strategia haiin mente. Che ci fai ancora lì”.

Il crescendo mi spiazza e la mancanza di caffè mi pungeil cervello. Non riesco a dire niente di intelligente: “Cosami suggerisci?”

“Tanto per cominciare telefona ai giornalisti che hannoscritto di te. Ringrazia senza esagerare o protesta.

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Garbatamente, mi raccomando. Falli sentire importanti esempre al centro della tua attenzione, e butta lì che saraidisponibile per loro. Da’ il tuo numero di cellulare comefacessi una concessione, ma dallo a tutti”.

“Lo troveranno spento: io lo uso poco e malvolentieri”.“Non importa. Le manie personali, i capricci dimentica-

li se vuoi fare carriera. Noi politici”, è una mia impressio-ne il tono ironico?, “siamo al servizio dei cittadini, del-l’opinione pubblica e naturalmente delle nostre ambizioni.A proposito di ambiziosi, Eugenio ha chiesto di incontrar-mi, ci vedremo al Caffè Greco in via Condotti alle dician-nove. Speriamo che non ci siano giornalisti in giro. Sonotanto indiscreti, non lo pensi anche tu? A proposito, allastessa ora ti aspetta al partito Massimo Bruni”.

“Bruni? Per fare che?”“Sai come la pensa, è un tradizionalista: nel nostro par-

tito non c’è mai stato bisogno di professionisti della comu-nicazione, bastano i dirigenti. Devi convincerlo che un par-tito moderno non può fare a meno di un portavoce profes-sionale. E naturalmente che la persona giusta sei tu”.

“Come dover convincere un pilota a servirsi del radar”.“Esatto. Questo pilota ha sempre navigato a vista, sta a

te convincerlo a cambiare. Non essere saccente o non ciriuscirai. In riunione Bruni – ma tu non c’eri, non puoisaperlo – è stato chiaro: per quel posto serve un membrodella segreteria”.

“Un altro candidato oltre a Lorenzo?”“Qualcosa di più: un’opposizione di principio, la sacra-

lità della politica che non si può ridurre a mestiere.Eccetera. Menate, di cui ci riempiamo la testa da sessan-t’anni. Perciò presentati da Bruni alle diciannove in punto”.

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“Oggi speravo di uscire un po’ prima, devo compraredelle scarpe da una settimana, fra un po’ non sarò più pre-sentabile”.

“Credimi, al momento a nessuno interessa se hai le scar-pe bucate. C’è una parte del partito che ti detesta con osenza tacchi nuovi. Un’altra che ha bisogno di conoscertimeglio. L’appuntamento con Bruni l’ho chiesto io, noncredo tu voglia farmi fare cattiva figura. Vai e cerca di con-quistarli. Il suo gruppo non ha la forza di proporre un pro-prio candidato, ma ha diritto di veto. Insieme all’opposizio-ne di Eugenio fanno un vero e proprio muro. Divide etimpera. In questo caso i tuoi avversari sono talmente diver-si che non è neanche difficile. L’ora è tassativa”.

Farò come dice. Il vecchio è astuto e pratico. Non insi-sterebbe così senza una buona ragione. Bruni, un dinosau-ro sopravvissuto alla morte di tutti gli altri dinosauri, nonmi faceva paura quando pensavo di essere protetta dalsegretario. Ma ora...

Mara Bonamici, la moglie del segretario, mi viene incontrocon aria cordiale e nasconde la sua cattiveria sotto l’accen-to emiliano, leggermente strascicato e fintamente pacioso.Mi prende sottobraccio e mi fa fare dietrofront: “Carissima,cercavo appunto un’amica con cui prendere un caffè.Accompagnami. Entrerai al partito dieci minuti dopo. O haifretta?”

“Fretta no. Ma la mattina ho bisogno di tempo... perriorganizzare le idee”.

“Ti capisco. E mi preoccupo per te. Essere portavocerichiede prontezza in ogni momento, e bella presenza.Sembri tanto trascurata, i capelli a coda di cavallo, eterni

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jeans, come se non avessi tempo di comprare vestiti decen-ti. E hai così poco da fare. Al seguito di mio marito, supe-roccupata, temo che diventerai addirittura impresentabile.Peccato per te che sei giovane e devi ancora farti una vita,trovare un compagno... è un bel problema per il partito, chedeve mantenere una certa immagine. Guarda Eugenio.Grazie a me nonostante la vita che fa è sempre impeccabi-le. E, ti assicuro, è una vita frenetica, per intere giornate hodifficoltà a parlargli perfino io. Poiché tu non puoi avereuna moglie perfetta come me, fa’ qualcosa che aiuti il tuobioritmo. Perché non disponi la tua casa secondo il FengShui? Aiuta tanto”.

La guardo sbigottita: il marito mi vuole segare e lei fafinta di nulla e parla di sciocchezze? Falsa e giuda.

“Hai ragione, ci vorrebbe una brava moglie anche a me,ma finora non ne ho trovata una adatta. Il Feng Shui... lamia casa è tanto piccola che funziona a incastro, tocco unacosa e devo muovere tutto. Sembra il gioco del quindici,quello che facevamo da ragazzini, o forse dovrei dire face-vi tu, io sono di un’altra generazione... ma mi occuperòugualmente del mio bioritmo, te l’assicuro. Mi aiuta moltosapere che fai il tifo per me e ti preoccupi del mio aspetto,perché ho proprio bisogno del tuo aiuto. Sembra cheEugenio non mi voglia più. Potresti sondarlo, capire il per-ché: credevo di essere io la persona di sua fiducia”.

“Cara... non so nulla di preciso, lui non parla mai conme di nomine e altre faccende delicate, ma ho sentito dire...ahimè questo partito a parole è paritario e nei fatti è anco-ra così maschilista – Eugenio no, anzi –, ma qualcunopensa che una donna giovane non sia adatta a quel ruolo.Girare sempre col segretario. Giorno e notte. Senza tregua

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né privacy. Darebbe fiato a tremendi pettegolezzi e poi,anche per te... quando potresti farti una famiglia?”

Siamo arrivate al bar, lo storico baretto di Vezio al cen-tro di Roma. È talmente frequentato da funzionari e diri-genti di Sinistra Unita che a ogni tornata elettorale i giorna-listi ci vanno per raccogliere i pensieri del proprietariocome se fosse un opinionista. Qui dovrei stare attenta acome parlo, perché c’è sempre un orecchio pronto ad ascol-tare. Vorrei essere cauta, invece scatto come una molla.

“Questi sono affari miei. Se voglio un uomo so comefare. Quanto all’intimità col segretario, figurati, ha quasil’età di mio padre, non mi permetterei di toccarlo con undito. Se non temessi di fare una scortesia a te che me ne haiparlato in gran segreto, sarei tentata di farne un caso e diandare diritta da Giustina. La responsabile femminile nonpuò consentire che si discrimini una donna perché giovane.E con insinuazioni volgari”.

La voce di Mara è quasi un sibilo: “Questo, cara, sarebbela fine delle tue aspirazioni. Se metti gli affari tuoi in piazzae non riesci a sbrogliarteli da sola, credimi, sei finita”.

Lo sguardo di Mara si è fatto cattivo, il tono mondano esvagato è svanito. Batto in ritirata.

“Hai ragione. Come sempre da te buoni consigli. ELorenzo ti pare adatto?”

“A me figurati, cosa conto io. Da quando Eugenio èsegretario ho dovuto praticamente rinunciare alle mieambizioni – e tu sai a quale carriera brillante ero avviata –,ma l’amore e la solidarietà verso di lui sono più forti. Cosìsono relegata a occuparmi solamente di piccole cose, detta-gli: secondo lui nessuno deve ipotizzare una mia ingerenzanegli affari del partito. Ogni tanto penso che sia molto

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ingiusto: marito e moglie in carriera nello stesso partito?Che male c’è: abbiamo fatto la stessa scelta e siamo in tota-le sintonia. Lorenzo... certo è un bel ragazzo, molto curatoanche quando veste casual, e un portavoce deve fare bellafigura in tv. Opinioni sue meglio non ne abbia. Come intutti i lavori, di geni ne basta uno e noi per fortuna abbia-mo Eugenio. Due sarebbero di troppo”.

Fortunatamente il caffè è finito e la conversazioneanche. Altri due minuti e le saltavo alla gola. Ecco dunqueda dove viene la recente avversità del segretario. Dallamogliettina adorata, che lui cornifica ogni due giorni,facendone poi pagare il prezzo al partito intero.

La guardo mentre si allontana: cammina lenta e maesto-sa, ha ancora un gran bel viso, sembra un cammeo antico,ma con gli anni il sedere ha preso il sopravvento e le tiraindietro il baricentro. La chiamano “la zarina” non percaso: il legame più forte fra lei ed Eugenio è il potere. Luile lascia campo libero fino a che gli fa comodo. La com-pensa così dei tradimenti frequenti. Lei lo ricatta facendoleva sulle sue debolezze, servendosi di una corte di dame dicompagnia e servizievoli spioni.

Giustina Simoni, è a lei che devo rivolgermi. Nel pome-riggio busserò alla sua porta: la responsabile femminile nonpotrà dirmi che preferisce Lorenzo, un uomo.

La giornata passa fra le solite minuscole difficoltà e uninsolito intimo combattimento. Inutile nasconderlo: leparole di Mara hanno aperto un varco nel mio sistema diautodifesa. Mi sento inadeguata, disordinata, sciatta. Lamia vita senza un uomo d’improvviso non mi sembra piùuna scelta ma un disastro. Un baratro destinato ad allargar-

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si e a inghiottirmi. Davvero vale la pena vivere alla miamaniera, sempre di corsa, sempre in affanno? Sempre sola.Una vita senza vuoti, solo pieni. E pieni di che? Di inutilidifficoltà, di barriere erette da chi dovrebbe stare dalla miaparte e non sa o non vuole starci. Ho più nemici fra i mieicompagni che fra gli avversari politici.

Forse dovrei adeguarmi, come fanno tutte. Vestirmi,truccarmi e impormi con l’aiuto di una generosa scollaturae delle scarpe tacco dodici di Giosi Romualdi, accessorioindispensabile per una dirigente di peso. Questo è ciò chevogliono, questo potrei dare loro. E smettere di nuotarecontrocorrente. Non una donna pensante e autorevole, mauna figurina di classe e ben curata, politicamente pocoingombrante, che sa stare al suo posto e dice sempre sì.

D’improvviso il ricordo della lingua del verme interrom-pe i miei pensieri. La sua lingua grossa e umida che mi pene-tra la bocca, l’idea che per un momento ho pensato di lasciar-lo fare... mi dà una scarica di adrenalina. Non posso esserecome le altre. Non sono come le altre. D’altronde, per avereMara dalla mia dovrei solo invecchiare vistosamente, e ren-derle omaggio a ore alterne. Inutile anche tentare.

Dopo Alessandro, un lungo, lungo periodo di vuoto. E unlungo, lunghissimo percorso per il recupero dell’autostima.Per giustificarmi ho pensato di tutto: che mi avesse ipnotiz-zata, che mi avesse plagiata.

Ora che ho recuperato me stessa so qual è la verità:avevo sentito la sirena della normalità, che non c’era maistata prima nella mia vita. Mi ero fatta affascinare dai gior-ni, dai gesti, dalle parole sempre uguali, che prima mi eranosembrati noiosi, poi rassicuranti, poi indispensabili. Ho

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giurato che la normalità non dovrà mai più entrare dallamia porta, visto che, non per mia volontà, ne è uscita. Hobuttato gli abiti femminili, le scarpe con i tacchi. I milleoggetti di cui lui aveva riempito la mia casa e il numero ditelefono del parrucchiere che mi faceva quella testa tuttaordinata.

Sono stati anni rabbiosi, poi dolorosi, poi solo amari,spesi a ricreare il disordine intorno a me, cancellare le abi-tudini, dimenticare di essere una donna, affermarmi comedirigente politica, punto e basta. Ero determinata a trasfor-mare la mia delusione in nuova ragione di vita, la miadisponibilità verso gli altri in indifferenza, a imparare l’ar-te del sospetto. Avevo gran voglia di una rivincita profes-sionale, dopo la sconfitta nel privato.

Tonino mi ha aiutato, valorizzando tutto ciò che facevo.Mi sono appoggiata a lui come un glicine al muro. No, ilglicine è forte, io non lo ero. Mi sono appoggiata come unache scivola e acchiappa il primo appiglio, una ginestra inmontagna, un arbusto elastico con radici profonde che è ingrado di reggerti fino a quando ritrovi l’equilibrio. Comeun naufrago acchiappa un pezzo di legno solo perché gal-leggia, fino a quando non arriva vicino alla riva. Mi eroillusa di essere in salvo, grazie al suo aiuto e alle mie capa-cità. Invece, insieme alla sua morte, la nuova batosta: chimi elogiava lo faceva per avere il suo consenso, non perchémi credesse in gamba.

Ci ho messo qualche mese a capirlo. La mente rifiuta ciòche non vuole sapere.

Senza amore e senza un vero lavoro. Ho resistito, tiran-do con i denti per non lasciarmi andare. Mi sono ricavatauna nicchia e lì ho aspettato che passasse la tempesta.

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Qualcuno mormorava alle mie spalle: bisogna essere pro-prio disperati o eroici per occuparsi dell’immigrazione. Sedevo essere sincera fino in fondo non l’ho fatto per calco-lo, ma perché era terra di nessuno e perché il contatto contutta la sfiga del mondo mi faceva sentire utile. E soprattut-to mi impediva paragoni poco lusinghieri: in confronto aquei poveri cristi la mia vita era una passeggiata sui petalidi rosa.

E ora, vicina alla meta, mi sento di nuovo vulnerabile.Perfino le parole di Mara mi feriscono. Ne sento l’ingiu-

stizia e il fondo di verità al tempo stesso. Ambiziosa com’è,rinfaccia a me di esserlo. Poco impegnata – tranne che aindividuare e combattere le concorrenti – mi rinfaccia l’ec-cessivo impegno. Se avessi un marito come il suo sareidisperata e lei pensa che la mia principale ragione di vitadebba essere trovarne uno il più possibile simile a lui!

Vero: di vita privata ne ho troppo poca. Amici, cono-scenti, Marco soprattutto, mi aiutano a superare il vuoto deigiorni di festa. Ma rinunciare alla lotta, mettersi l’animo inpace, trovare un fidanzato o un compagno, fare con lui unfiglio e dedicare loro la mia vita e le mie energie... va beneche il tempo passa, ma ogni volta che ci penso una voce dalfondo del cervello mi dice “poi, non ora”.

Adesso devo ottenere quel posto.Guardo l’orologio. Si sono fatte le sei del pomeriggio,

devo sbrigarmi, Giustina è una che va via presto.

L’amore di Giustina

La Simoni si sente vittima di un ruolo che non le piace, male sta comodo. Lavora poco, teorizzando che bisogna dare

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il buon esempio, prendersi cura dei figli e non allungare itempi di lavoro come fanno gli uomini, con l’alibi dell’eter-na riunione per essere esonerati da ogni pratica domestica.Marco in privato aggiunge altri dettagli, meno politicallycorrect, ma più gustosi. Giustina era innamorata di Eugeniofin da ragazzina. Lui era bassino, ma proporzionato e assaiaffascinante, con una massa di capelli lisci e fini che glicadevano sugli occhi dandogli un look da intellettuale crea-tivo. Lei era bruttina anche allora, afflitta da una discretascucchia, capelli color topo che ora sono diventati platino,e il sedere tendente a dilagare. Aveva solo quella che sidefinisce comunemente la bellezza dell’asino: la freschez-za dell’età. Eugenio aveva ormoni esuberanti ed era moltolusingato dalla sua adorazione incondizionata. Una seraaveva avuto successo con un discorso davanti ai massimidirigenti del partito. Nulla eccita un uomo più della propriavanità soddisfatta. In privato lei aggiunse lodi ad applausi.Adorante come sempre, aveva in più qualcosa negli occhiche lo attrasse in modo speciale. E indossava una camicet-ta bianca che le tirava un po’ sul seno. Nel dirgli “come seistato bravo!” il bottone cedette concedendo una visionepanoramica sull’ampio seno di lei, a malapena trattenuto daun austero ma leggerissimo reggiseno di lycra. Fu così chelui finalmente l’accontentò, e per la verità non gli dispiac-que affatto: la dedizione totale di lei suppliva bene allacarenza di attrattive fisiche.

Nulla era stato detto fra loro, né in un senso né nell’al-tro. Giustina era libera di interpretare l’accaduto come laprima puntata di una love story. Ed Eugenio come un epi-sodio senza seguito e senza importanza. Era indeciso – fer-marsi o continuare con lei –, ma nulla lo costringeva a deci-

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dere, la situazione in assoluto preferita dagli uomini deicinque continenti.

I giorni passavano e il colpo definitivo alle oscillantiintenzioni del giovane aspirante segretario avvenne al bar.Era il classico dopo riunione quando gli uomini, conclusi igiochi di potere, diluiscono le tensioni nel cazzeggio e nellamalignità. Giustina sperava che Eugenio la raggiungesse incamera. Si alzò e salutò garbatamente, sperando che luicapisse il tacito invito mentre gli altri, ignari della loro sto-ria, erano contenti di rimanere fra maschi, con le loro con-venzioni, le battute pesanti, le allusioni. Uno di loro, inge-nerosamente, mentre se ne andava aveva commentato:“Brava ragazza ma poverina, ha un culo che fa provincia”.Un giudizio drastico e definitivo. Una frase che Eugenionon avrebbe più dimenticato.

Era già ambiziosissimo all’epoca, e non poteva nean-che ipotizzare di avere al suo fianco una donna poco rap-presentativa ed esposta al ridicolo. Dopo qualche giornoscelse Mara, all’epoca un vero tipo: occhi di taglio quasiorientale. Espressione dolce ma enigmatica e decisa.Bassina come lui, ma armoniosa. E dotata di un tale carat-tere che nessuno avrebbe mai detto nulla di sconvenientesu di lei.

In memoria del momento di debolezza in cui avevaceduto il suo corpo e, a quanto lei sostiene (ma lui non loricorda), qualche promessa mai mantenuta, la carriera diGiustina avrebbe ricevuto in seguito grandi benefici.Eugenio ha sempre amato sentirsi generoso con le donne,soprattutto se a pagare non è lui, e Giustina ha potuto per-ciò ritagliarsi un ruolo senza eccessiva fatica, senza entu-siasmi e senza fantasia, oscillando fra atteggiamenti massi-

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malisti e altri del tutto rinunciatari. Una politica ciclotimi-ca, che non disturba troppo né gli uomini né i potenti. Bastadarle un contentino in pubblico ogni tanto, e in cambioassolve ai propri compiti con noiosa diligenza, più al servi-zio del capo ex amante che al servizio delle donne. Tanto dilì nessuno la leva. Non fino a quando sarà segretarioEugenio. Per consolarsi e circondare il suo intimo lutto conuna facciata di normalità si è sposata con un uomo qualun-que dal quale ha avuto un figlio.

Il fatto più notevole – e più suscettibile di pettegolezzi –è lo strano rapporto di Giustina e Mara, la moglie mancatae la moglie vera.

Temendo che si lamenti del suo rapporto privilegiatocon Eugenio, Giustina si mostra affezionata e leale versochi le ha sottratto l’amore della sua vita. Mara, a sua volta,normalmente aggressiva e competitiva nei confronti del-l’universo mondo, si sente molto generosa nel trattare cosìla concorrente, esempio vivente della sua profonda umani-tà nei confronti di chi non le fa ombra.

Col tempo l’intera storia e i dettagli sono diventati didominio pubblico, e non diverte più nessuno parlarne amezza bocca. Tranne quando – e succede ancora spesso –Giustina piange le sue lacrime perché Eugenio, distratto daisuoi doveri o dai suoi piaceri, si rivolge a lei in modo fret-toloso o scortese.

Luisa

Sono alla porta di Giustina. Busso ed entro, come sempre:tranne che dal segretario e da pochissimi altri non si usaaspettare, il partito non ha segreti.

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La responsabile femminile è al telefono e io faccio persedermi davanti a lei. Che invece mi fa cenno con l’indicedella mano destra alzato: un minuto, ti dispiace aspettarmifuori un minuto che finisco la telefonata? Arretro sorpresatornando dietro la porta. Forse parlava di me con qualcuno.Ma no, più probabile che le stiano leggendo i risultati delpap test al telefono. La conversazione è praticamente uni-laterale: qualcuno parla e lei reagisce con poche calmeparole. Finalmente ecco il rumore della cornetta posata sultelefono e Giustina che si affaccia al corridoio. È cordiale,quasi allegra.

“Carissima, vieni dentro, stavo giusto per chiamarti. Mihai anticipato. Un sesto senso”.

Non ho voglia di convenevoli e vado dritta al punto:“Sono in difficoltà e credo che tu possa aiutarmi”.

“Dimmi pure”.“Lo sai, come tutti nel palazzo: sono in pista per diventa-

re portavoce, e un gruppo di uomini vuole farmi le scarpe”.“Uomini? Sbagli. Me ne stava parlando Mara quando

hai bussato. Lei ritiene che tu non sia matura per accompa-gnare il marito in frangenti complessi. Io le ho detto che seiirruente e per questo a volte sembri immatura, ma non losei veramente”.

“Credo che Mara voglia dire che non ho abbastanzarughe e cellulite per accompagnare il marito, ma spiega-glielo tu che potrebbe essere l’ultimo uomo sulla terra enon mi indurrebbe in tentazione: è più basso di me e piùvecchio di me. Ha lo stomaco prominente e un gran biso-gno di ginnastica. Ma ti pare”, m’interrompo bruscamente:sto descrivendo come un mostro l’uomo che Giustina amadi eterno e incondizionato amore.

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Non me la lascia passare: “Il fascino, cara, non è legatoal fisico da atleta, altrimenti metà della gente del pianetastarebbe sola. Torniamo a te. Hai un’avversaria temibile,non mi hai mai degnato di fiducia, sembrerà un po’ stranoche sia proprio io a sponsorizzarti. Tuttavia ci proverò.Magari mentre faccio la calza a casa”.

Arrossisco. Qualcuno le ha riportato le mie battutacce.Da lei nessun aiuto.

Torno in ufficio con uno scoraggiamento globale. Una spe-cie di down, dopo l’euforia del giorno prima. Credevo diaver acchiappato il successo per la coda, invece oggi il tele-fono tace in modo preoccupante mentre aleggiano solo vociostili. Dopo gli articoli di ieri mi sarei aspettata altra atten-zione, aver conquistato uno scalino, un passo sia pur picco-lo verso la vetta, e invece è proprio vero che i giornali ilgiorno dopo non servono più a niente. Se bisogna ricomin-ciare daccapo ogni giorno non ce la posso fare. Guardol’oggetto muto sulla scrivania e, come se reagisse, quelloinizia a suonare. Non ho voglia di rompiscatole. Numeroprivato, tocca rispondere.

“Sono io. Come va la mia candidata? Ormai sei tal-mente lanciata che non merito neanche una breve consul-tazione?”

La voce di Corradi mi sottrae alle elucubrazioni, cosìindirizzo il mio intimo malumore sulla sua mania di nondire il nome al telefono: lo fa per supponenza o perchénon si sa mai chi è all’ascolto? Opto per la prima: tuttisanno che qualunque ragazzino smanettone può spiartisenza problemi. Pensieri che certo non posso riversare sului. Ma una punta di acido mi resta nella voce: “Non pren-

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dermi in giro. Sono autorizzata a romperti le scatole con imiei problemi?”

“Dal momento che mi sono schierato, il tuo successo èil mio obiettivo, e come ottenerlo il mio problema. Non neposso uscire sconfitto”.

“Nessuno sa che mi stai aiutando. Io non l’ho racconta-to e tu neanche, di sicuro”.

“In politica le cose non dette, i gesti contano. Non c’èbisogno di alzarsi e dire voto per lei. Sono sul finale dellamia carriera. Voglio una prestigiosa carica istituzionale:credi che mi serva puntare sul cavallo sbagliato? La mialegge, quella che tu detesti tanto, mi ha procurato unacerta benevolenza nell’opinione pubblica moderata. Oradevo rendermi gradito a quella di sinistra. E poi, forse, èfatta. Tornando a te, guarda che ti stanno preparando unbel piattino. Qualcuno ha commissionato un attacco alCorriere del Mattino. Datti da fare. Ci sentiamo più tardi.Ora devo rispondere a un altro telefono. Non perderetempo”.

“Dammi almeno un indizio”.“Chi vuoi che scriva di te? Mustacchi, no? Solo che que-

sta volta ha un altro mandato. Ciao. E ricorda, la riunionedelle 19, puntuale”.

Già, che scocciatura. Compongo il numero di Bruni peravvertirlo che sto arrivando.

Darsi da fare, dice il maestro, e come. Chiamo un gior-nalista sconosciuto e gli dico: scusa, è vero che stai perdarmi una pugnalata senza neanche sapere chi sono?Oppure: scusa sei tu il killer che ha accettato di ammazzar-mi per quattro spiccioli di carriera? Come approccio è unpo’ aggressivo. E poi quale sarà di tutte quelle facce che ieri

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pendevano dalle mie labbra, e volevano a tutti i costi unadichiarazione sul colore delle mie mutande?

Chiamerò e mi farò guidare dall’ispirazione del momen-to. Tanto, peggio di quel che si prepara...

Opto per l’approccio diretto.“Buongiorno, vorrei parlare con Giovanni Mustacchi”.“Sono io, chi è al telefono?”“Non so se ci siamo conosciuti ieri, al Ripetta... con tutta

quella folla, sono Luisa Alunni”.Mi interrompe: “Ah, sì. Certo. Come va? Mi fa piacere

che tu mi abbia chiamato, ero in dubbio se farlo io stesso”,registro il tono mondano e il tu senza preamboli, “prima diucciderti devo almeno concederti l’ultimo desiderio”.

“Condannata a morte da chi?”, chiedo, e aggiungo men-talmente: meno male che questo è un cinico, non servonotroppi giri di parole.

“Amici del direttore, persone che ti conoscono beneanche nel privato”.

“Persone così non ce ne sono, a parte mio padre”.“Ah, dunque sei una misantropa. Una che non ama la

compagnia?”“Ma no, frequentare e conoscere sono due concetti

diversi. Non inventarti nulla per favore...”“...guarda, ho già in mente l’attacco del pezzo: bella e inat-

taccabile da qualunque sentimento. L’unica cosa al mondoalla quale tiene molto è il suo motorino, un vespino d’epoca,almeno questo dicono di lei. Non ha amici, non ha affetti”.

“Sciocchezze. Se vuoi conoscere i miei veri difetti vienia parlarmi di persona. Dopo avrai ampia scelta e potrai par-larne a ragion veduta. Ti aspetto in ufficio domani pomerig-gio. Va bene alle diciotto?”

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“Benissimo incontrarci, anche se... vediamoci alle quin-dici, altrimenti non faccio in tempo a scrivere neanchedomani. E da dopodomani devo lavorare a un’inchiesta acui tengo moltissimo”.

Meno male, penso, la pena è rinviata e forse ho un pic-colo margine di manovra: “No, guarda, prima è impossibi-le. D’altronde l’ultimo desiderio della condannata è parlar-ti di persona”.

“Quando è così devo accontentarti. Ci vediamo domanialle diciotto. Nel tuo ufficio?”

“Certo non a casa mia”.“Peccato”, dice lui con una punta di malizia, “nel tuo habi-

tat ti avrei inquadrata meglio. A domani, mi suona un altrotelefono: in questo mestiere si chiacchiera da morire, ma nonpuoi mai chiacchierare con qualcuno se ti fa piacere”.

Parlare con Mustacchi è stato meno difficile di quantopensassi. Devo prepararmi bene per domani. Lo accoglieròseduta o dovrò alzarmi in piedi al suo arrivo? Una signoralo fa? Meglio: mi farò trovare già in piedi.

Mi do un’occhiata intorno e cerco di guardare il mioufficio con gli occhi di un estraneo. Terribile. Scrivania elibreria dozzinali. Tutto, pareti comprese, in colore can chefugge. Meno male quel vaso da fiori che ho portato ieri dacasa. Me l’aveva regalato un’amica con dentro un tronchet-to della felicità. Nelle mie mani la pianta è morta presto(forse era un segnale), ma mi è rimasto il vaso.

Troppe carte alla rinfusa sulla scrivania, se Mustacchi sisiede di fronte a me rischio di vederlo solo dagli occhi insu. Le ammucchio sul purgatorio, cioè sul classificatore, unmobile che dall’avvento dei computer non serve più a nien-te, dove io appoggio quello che non ho il coraggio di but-

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tare subito. Una specie di purgatorio delle carte, la tappaprima del cestino.

Se avessi l’ego di un maschio conserverei tracce del miolavoro. Invece nulla, non ho conservato nulla di quello cheho scritto o che dirigenti importanti hanno scritto a me.Vorrei essere capace come quelli che vanno nei salotti asfoggiare intimità con i potenti: Osvaldo mi ha mandato unbiglietto, oppure ieri Claudio mi ha telefonato. Tutto unchiamarsi per nome, montagne di confidenza esibita pergente che confidenza vera non te ne dà. Già solamente iltono mi irrita al punto da sfiorare l’ulcera.

Io non vengo dal loro ambiente, chic, chiuso e demago-gico. La mia famiglia non è mai stata ricca, ma moltoappassionata. Mai ambìto ai circoli esclusivi. Mai statainteressata ai giochi di ruolo e di società. Ma per salire piùin alto nella gerarchia del partito, ora lo vedo bene, questicircoli sono indispensabili. Ed è bastato affacciarsi appenaa questo mondo per esserne subito respinta: attacchi latera-li o dietro le spalle, pericoli da cui difendersi in continua-zione, tradimenti senza un vero perché. Gente che sembrati appoggi e invece ti affonda. Assenza completa di ideali,presenza consistente di interessi.

È ora di salire da Bruni. Mi do uno sguardo involontarioallo specchio dell’orrendo ascensore di alluminio. Una sortadi bara verticale, piena di graffi e graffiti, segni evidenti deidisturbi dei passeggeri. L’immagine che lo specchio rimandaè di un volto stranamente rilassato. Incredibile rispetto allatensione e all’incertezza della situazione.

Busso ed entro.Bruni non è solo. C’era da aspettarselo. Da quando un

suo amico è stato accusato di molestie sessuali senza colpe

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e senza prove, lui non riceve più una donna se non ha deitestimoni. D’altronde è quello che Corradi voleva. Dunque,benissimo.

“Caro Bruni”, esordisco con euforia che suona fintaanche alle mie orecchie, “sarò franca con te”.

Mi guarda dritto negli occhi e risponde senza alcunasimpatia: “A quanto pare è il tuo nuovo corso. Franchezzaper franchezza, se sei venuta per farmi cambiare idea perditempo”.

“Sono venuta per questo, ma spero di non perderetempo. Non la pensiamo allo stesso modo, ma siamo dallastessa parte. Sinistra Unita si chiama il partito, e io tidichiaro che se non riesco a convincerti, in nome dell’uni-tà mi ritirerò”.

Sono parole adatte a suscitare il suo interesse, Bruni siaccende come una lampadina: “Ti ascolto, per quel che miè possibile, senza pregiudizi”.

“Bene. Ti ringrazio. Il portavoce è un mezzo, uno stru-mento, esattamente come un microfono, un computer,internet o il televisore. Però è un mezzo intelligente. Nondeve creare la voce, ma solo portarla. Non deve partecipa-re alle riunioni di segreteria, ma solo assistervi per cono-scere i fatti e le sfumature. Per prevenire i pericoli e crea-re consenso. Capisco la tua obiezione: il portavoce deveessere un dirigente. Infatti io sono in direzione. In ognicaso, se mi farete portavoce, il mio sarà solo un ruolo tec-nico, che implica conoscenza della politica, ma anchedella comunicazione. Se pensi che questo mi attribuiscaun potere eccessivo considera un altro punto di vista. Saròil parafulmine quando le cose si faranno scomode.Quando sarà brutto per un dirigente uscire e affrontare

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impietose telecamere. E tutti sapranno che la voce espri-merà una linea definita da altri”.

Bruni resta qualche secondo assorto e in silenzio. Poi:“Chi ci garantisce che non manovrerai i giornalisti per diri-gere i loro favori verso alcuni e le stilettate verso altri?”

“Nessuno. Tantomeno siete garantiti ora. Credi che idirigenti non parlino con i giornali? E tu stesso non lo faimai? Se il portavoce sarò io, saprete a chi attribuire laresponsabilità e la maternità di certe strumentalizzazioni.Ora potete solamente guardarvi in cagnesco l’un l’altro esospettarvi reciprocamente”.

“Non è sbagliato. Ci penserò. Prima della riunione per lenomine mi farò vivo con te”.

Si alza e mi tende la mano. Altrettanto fanno i due testi-moni muti. Guardo l’orologio: fra una schermaglia e l’altraè passata una quindicina di minuti. Posso andare forse,Corradi mi ha dato indicazioni sull’ora di inizio e non suquella della conclusione. Pazienza, spero di non sbagliare.

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L’ unità sociale del coyote è la coppia. In genere fannoparte del gruppo anche dei giovani aiutanti.

Questo vale anche per i politici, che però, sulla coppia, siconcedono molte distrazioni.

Eugenio e Alfonso e uno scomodo testimone

Ore 19. Al Caffè Greco si sta svolgendo una conversazionemolto animata fra il segretario e Corradi. Che a un certopunto sbotta: “Eugenio, io non ti capisco. Ma che interessehai per Lorenzo Pippoli? Lo ritieni un’intelligenza brillan-te? Hai debiti con lui o la sua famiglia?”

In un altro momento il segretario avrebbe reagito inmalo modo alla provocazione del vecchio dirigente. Ma colcongresso alle porte meglio stare calmi. Gli risponde senzaalzare la voce, ma con una nota stridula che denuncia l’in-cazzatura.

“Caro Alfonso, che Pippoli non è un genio lo so anch’io.Ma il padre controlla molti voti e molti contributi inToscana. E di quei voti avrò bisogno al prossimo congres-so. Lorenzo mi ha chiesto espressamente di fare il portavo-ce, già si vede fra i lampi dei fotografi o davanti a una tele-camera. Se lo nomineremo, dovrà parlare meno possibile,

VII

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altrimenti si capirà presto che è stupido. Già avrò i mieiproblemi con Bruni e la sinistra interna, che non lo dige-rirà facilmente. Sono dei tali rompicoglioni... ma credi-mi, è il male minore. All’inizio il padre voleva che lomandassi alla Rai come caporedattore del Tg1, un postoper il quale ho altri progetti”.

Corradi fa un gesto di fastidio, come per scacciare lavisione di intrallazzi e relative rogne, e chiede brusco: “ELuisa?”

“Quella!”, il segretario ride sotto i baffi come unragazzino che l’ha fatta grossa a una povera demente. “Èun’ingenua, pericolosamente fiduciosa nel partito. Nonha nessuno alle spalle. Se la scontento al massimo reste-rà delusa lei. Il padre è un anziano idraulico. Credi chemi possa servire? Il mio cesso non si rompe mai!”

Corradi risponde durissimo: “Qui non parliamo di cessi,ma di persone e delle loro legittime aspettative. E del benedel partito. Ti saluto, sono vecchio e mi stanco facilmente:noccioline, aperitivi e parole in libertà mi fanno male.Devo andare a casa. Tina mi aspetta per cena”.

Si allontana e dopo poco anche la persona seduta altavolino accanto al loro se ne va. Ha un viso familiare, maEugenio non lo associa a un nome, una situazione, a nessu-no in particolare. Magari è un vicino di casa, o qualcunoche gli ha chiesto un autografo, qualcuno che incontra spes-so in pubblico o in uno studio televisivo. Peccato si sia giàalzato, altrimenti gli avrebbe fatto un sorriso, un piccoloinvestimento per un voto in più alle prossime elezioni.

Ora che il vecchio, con tutto il suo moralismo e lepippe mentali sui compagni di base se n’è andato, sirilassa.

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Sarà l’atmosfera primi del Novecento dello storico bar, untempo meta di artisti, oggi prevalentemente di turisti o poten-tati. Sarà l’ambiente chic con i tavolini tondi piccolissimi e idivanetti in velluto rosso un po’ rétro. Sarà il prosecco che habevuto. Sarà la gran quantità di stranieri che sembra garanti-re l’anonimato, sarà che il lusso a lui piace molto. Nel lussosta bene, ritrova un calore uterino, un richiamo atavico, ungran benessere. Figlio di un imprenditore, ricorda ancora larabbia del padre quando gli disse che entrava nel PartitoComunista.

“Invece l’attuale Sinistra Unita gli piacerebbe, se fosseancora vivo”, pensa Eugenio: “piace a quasi tutti gli impren-ditori, a quelli che contano, a quelli del salotto buono. Graziea me il mondo della finanza ci accoglie ci ascolta. Grazie ame Sinistra Unita è un partito duttile e moderno, al passo coitempi, senza ingombranti ideologie. A me che nel lusso sononato e cresciuto. E ora, dopo anni di micragna, finalmentel’ho ritrovato. Brindo silenziosamente al popolo italiano perlo stipendio da deputato, e ai miei compagni di partito per lavita praticamente gratis, sempre in giro fra pranzi, cene eauto blu. Brindo anche al mio dio per la mancanza di impe-gni, di figli, di genitori anziani da mantenere”.

Pacificato e agganciato dall’atmosfera, abbassa il bic-chiere e si guarda intorno distratto.

Si concentra sulla turista bionda due tavoli più in là.Le sorride e lei lo ricambia. Questo basta a rassicurarlo:la sua presa sulle donne è intatta.

Luisa, il giorno dopo

Mi sveglio di buon’ora, carica di energia e fermi propositi:

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oggi comprerò le scarpe di Giosi Romualdi. Mara è sgrade-vole, ma ha ragione. Non ho più l’età per fare la ragazzina.E non ho bisogno di dimostrare niente a me stessa:Alessandro ormai è un capitolo chiuso. Sto bene adesso, laprova è finita. Sono adulta e vaccinata. E devo recuperareun aspetto da signora. Lo farò per me e per nessun altro. Perrispetto verso me stessa e non per assomigliare a un model-lo. Lo farò perché è giusto essere presentabile. Lo farò ebasta. Me lo ripeto per aumentare la determinazione.Cresci. Cresci. Cresci, dico come un mantra, ma incazzatanon so perché. Mi guardo allo specchio ovale che tengo inun angolo. Forse dovrei iniziare il restyling dai capelli, conun taglio non proprio corto, ma di certo più corto. Vorrei unlook spettinato ma ordinato. Levo l’elastico e i capelli mipiovono davanti. Abbracciano il mio viso, sembrano chie-dermi: perché? Ok, rispondo alla massa leggera e volumi-nosa, non lo so perché. Forse aspetto e per ora non vi taglio.Intanto leverò le cioce che ho ai piedi. Afferro la borsaquasi con ferocia. Guardo che dentro ci siano il telefoninoe il portafoglio. Esco.

Al solito angolo incontro Irina.“Ciao, come va oggi?”, le dico, giusto per attaccare

discorso. Giusto per rallentare la mia corsa forsennataverso gli acquisti. Per distrarmi da quella rabbia che sentodentro e non so perché. La ragazza, tanto bionda, tanto cari-na e tanto giovane tende subito la mano e si guarda intor-no, come sempre, con aria intimorita.

“Sto bene. Mi dai un iuro? Io oggi fa dieci iuro per lescarpe”, e mostra quelle che un tempo erano state dellescarpe da ginnastica. Ora sono sformate, ma anche tagliatesul davanti, per piedi più grandi. La rabbia svanisce

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all’istante. Pena e senso di colpa mi assalgono al pensieroche mi stavo avviando a spendere più di duecento euro perun solo paio di scarpe alla moda.

“Di quanto hai bisogno? Anzi, guarda, vieni con me, tele compro io le scarpe”.

La ragazza reagisce con vero terrore, alzando il bracciocol gesto istintivo di una che si prepara a parare dei colpi.

“No, questo non possibile, io non può muovere da qui”.“Irina, posso aiutarti, ma non ti darò denaro che va a

finire nelle mani di un altro... nelle mani sbagliate”.“Tu che sai di me... tu non può aiutare. Può solo dare iuro

e poi va via veloce... io non può parlare per strada”.“In Italia tutti possono. Non siamo schiavi. Nessuno

può costringerti, ricordalo. Nessuno. Se no mi chiami e ioti difendo”.

“Tu non uomo, tu non può difende me. Lui forte e grosso”.“Io sono forte anche se non sono grossa e non sono un

uomo. Conosco gente che ti aiuta, se lo vuoi. Posso por-tarti in un posto dove lui non ti troverà”.

Irina scuote la testa e fa cenno di allontanarsi. Allora ledo un euro, le ho fatto perdere troppo tempo, se non le doniente il suo guardiano la picchierà. Ma chi sarà e dovesarà. Vieni fuori, mascalzone... Cerco con gli occhi unafaccia che possa essere quella del violento, dell’aggresso-re, dello sfruttatore.

Non ho più voglia di scarpe. Indossandole penserei aIrina con senso di colpa, ansia e tristezza. Piuttosto andròdal parrucchiere.

Meglio, andrò subito al lavoro. La vita di tutti i giorni,i problemi, l’ambizione, sono un anestetico per lacoscienza.

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Nel punto in cui la ferita si rimargina la pelle diventa piùspessa, più resistente. La cicatrice ti difende dalla possibi-lità di ferirti nello stesso punto un’altra volta. La rotturacon Alessandro mi ha procurato una cicatrice proprio lì: no,non sul cuore. Sull’orgoglio. Essere lasciata da uno cheall’inizio neanche mi piaceva. Essere lasciata per posta amano, da uno che quasi mi infastidiva e mi opprimeva.Essere lasciata da uno che voleva essere il mio maestro divita oltre che un fidanzato, un amante, un marito. Esserelasciata da uno col quale mi ero messa con sufficienza,quasi per fargli un favore. Essere lasciata da Alessandro miha procurato una profondissima instabilità, un taglio pro-fondo da coltello zigrinato all’amor proprio. Sono tornatanel mondo con la sensazione di non reggermi più sullegambe da sola. Di non poter parlare senza lui come sugge-ritore. Di aver perso la guida mentre camminavo in un sen-tiero sconosciuto. Pensavo che non ce l’avrei fatta.

Quando mi sono resa conto che respiravo meglio, moltomeglio senza di lui, mi è venuto un desiderio selvaggio dirivalsa. Ho giurato che non avrei permesso più a nessuno dicondizionarmi come aveva fatto lui. Di alzare le mani su dime. Di rendermi schiava. Ho giurato che avrei schiacciatochiunque si frapponesse fra me e l’obiettivo. E l’ho fatto.

Marco spesso mi rimprovera: secondo lui voglio tutto enon mi batto a sufficienza per nulla. Secondo lui il mio latorazionale mi porterà al disastro. L’altro giorno, che erainfuriato con me, mi vedeva infelice e voleva scuotermi, miha urlato dietro: hai deciso di scadenzare gli affetti come lecambiali o le rate della tv? Be’, cara, non è possibile. Lavita è sangue e merda. La politica è sangue e merda. Sepensi di governarle con la forza del ragionamento non farai

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bene né l’una né l’altra. Aveva perso il suo tradizionale iro-nico distacco, forse parlava con me per parlare a se stesso.Ma lui non sa che questo concetto del sangue e merda iol’ho capito a fondo. E l’ho sperimentato, anche.

E tanto quella volta ho giurato: mai più.

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VIII

Coyote per molte tribù indiane del Pacifico è un eroe, untrasformista, un viaggiatore, valoroso e potente.

Molti politici sono trasformisti, tutti viaggiano moltissi-mo, molti sono potenti. Qualcuno forse valoroso.

Eroi non ce n’è più.

Luisa

Nel palazzo c’è una strana agitazione, l’ho sentita già nel-l’atrio. Sono sicura: parlano di me. Mi indicano alle spalle.Si danno di gomito. Perché? Non sono paranoica, qualcosanon va come ogni giorno. Mi guardo allo specchio del-l’ascensore: nulla di strano o di diverso. Mi tocco gli abiti:sono a posto.

La mia stanza mi restituisce alla routine. Sto per sfoglia-re i giornali, quando vedo la spia rossa del telefono: ci sonodei messaggi in segreteria.

“Complimenti. Eri al posto giusto, al momento giusto”,Corradi, come sempre, non si presenta.

Poi Lorenzo, faccia di culo: “Cara mia, siamo stati presiin giro tutti e due. Ma gliela farò pagare. Dobbiamo allear-ci, tu e io”. A cosa si riferisce il verme?

E ancora: “Luisa, sono Giacomo Bruni. Ho riflettuto, e

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dopo quello che ho letto sul giornale, ho deciso. Per me vabene: fai la portavoce”.

Ma che hanno tutti? Il giornale? Questi maledetti giornalidovrei leggerli prima. Come ogni giorno inizio dal Corrieredel Mattino. Nulla che giustifichi l’agitazione. Niente di inte-ressante. Apro il Giornale dell’Urbe e resto folgorata.Occhiello: “Esclusivo scoop del nostro giornale: conversa-zione segreta fra due massimi dirigenti di Sinistra Unita”.Titolo: Toni da osteria al bar più elegante della capitale. Enel sommario il carico: “Il segretario confessa: al mio fiancovoglio un cretino. La sinistra interna è rompicoglioni e allaRai mando chi voglio io”. Oddio, fa’ che non sia vero. Il par-tito da una figuraccia così non si rimetterà facilmente. Chisia il secondo personaggio l’articolo non lo dice, Corradi noncompare mai, prova evidente che ne è l’ispiratore. Perchél’ha fatto? È davvero perfido come si dice, e cinico. Ogniparola è stata registrata e il dischetto è in possesso del diret-tore. Impossibile smentire.

Continuo a leggere e il sangue mi sale al cervello: comepuò Eugenio essere al tempo stesso così stupido, ingenuo,infido, opportunista e inarrivabile mascalzone? E perchénon l’avevo capito? Quelle frasi su mio padre! Lorenzo èun libro aperto, un furbetto da quattro soldi, ma il segreta-rio... Ecco il senso dei loro sguardi e ammiccamenti.

Ecco perché Corradi mi aveva imposto la riunione conBruni proprio a quell’ora: tutto il partito può testimoniareche io ero impegnata in tutt’altro. Ma lui... lui è... pazzesco.A tal punto che non riesco nemmeno a essergli grata.Venderebbe la madre centenaria, se l’avesse ancora e nonavesse cent’anni lui stesso. Che schifo. Cosa ho a che fareio con questa gente.

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Il telefono suona e interrompe i miei pensieri: “Ciao. Iltuo avversario è morto, me lo dai ancora l’appuntamen-to?” Anche Mustacchi adesso prende il vizio di non salu-tare e non dire chi è. Ma davvero questi uomini sono cosìegocentrici da pensare che una stia lì ad aspettare la lorotelefonata?

“Ma che morto e morto. Abbiamo letto che invece èpotentissimo. Piuttosto ora con questa aria da scoop, faròbene a incontrarti?”

“Penso proprio di sì. Se esce un articolo negativo tu eLorenzo sarete alla pari”, e nel dirlo ride. “Ricorda, alle sei,non più tardi”.

“Va bene, tanto sono qui. E chi si muove”.Ancora il telefono, numero privato, sarà Corradi:

sono combattuta fra la voglia di chiedergli dettagli eretroscena e quella di vomitargli addosso la mia disap-provazione. Tanto già so che non succederà né l’una nél’altra cosa: lui dirà quello che gli sembra opportuno contono che non ammette domande e io, vigliacca, tacerò.Ma non è lui.

“Luisa, sono Eugenio. Quando puoi vieni un attimo dame”. Mi chiama personalmente? Un evento. E che facciatosta, il piglio leggermente autoritario come se nientefosse. Come se io e altre quattrocentomila persone nonavessimo letto.

“Arrivo”.“Non c’è fretta, più tardi, verso fine pomeriggio”.Come glielo dico che non posso? Sia pur sputtanato, è

pur sempre il capo. Mi faccio coraggio: “Scusa, ma avevopreso un impegno per le sei, non immaginavo che tu aves-si bisogno... se vuoi disdico”.

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Sarebbe una sciagura disdire, Mustacchi non capirebbe.Per fortuna lui non se la prende: “Non importa. Come

dici tu: sono abituato alla tirannia delle donne. Vieni versole cinque e mezzo”.

Ha voluto restituire al mittente la battuta. Ciononostanteil suo tono era più formale del solito, più pesato. Ha abban-donato la confidenza, la naturalezza che mi aveva illuso dipotermi fidare di lui. Forse ha solo paura di inciampare inCorradi.

Ricomincio a leggere i giornali, oggi le cattive notizienon finiscono mai: quattrocento immigrati in un barconeche affonda al largo della costa siciliana. Quasi tutti salvitranne dieci dispersi in mare. Giro pagina: per quindici euroal giorno adolescenti schiavi nella raccolta dei pomodori. Eancora: nel Cie di Lampedusa per protesta dieci tunisini sisono cuciti le bocche con ago e filo.

Ne ho abbastanza. Il mal di stomaco è tornato e non honeppure mangiato supplì! Abbandono il quotidiano e chia-mo Marco. “Perché non ti fai più sentire?”

“Mi sembra che tu abbia parecchio da fare e da pensare”.“Perciò ho bisogno di una voce amica. Mi sento soffo-

care, impigliata in una rete. E il mio migliore amico mi tra-disce non so con chi”.

“Finiscila, sono stato molto impegnato a raccogliereinformazioni per te”.

“Ma non a riferirmele”.“Lo farò al momento giusto. Sentiamoci più tardi”.“Ciao traditore”.“Ciao malfidata”.“Pensami”.“Sempre”.

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La schermaglia tanto familiare mi rimette in sesto. Si èfatta l’ora di andare. Nell’anticamera del segretarioGiuseppina mi accoglie con aria misteriosa: “Eugenio tiprega di aspettare un po’, ha una riunione ancora incorso”.

“Ma gli avevo detto che alle sei ho un impegno”, dicosconcertata. Non posso andarmene senza aspettare che luisi liberi. Di sicuro lo ha fatto apposta per scombinare i mieipiani.

“Che posso farci. Dentro ci sono Corradi e LorenzoPippoli. Come faccio a interromperli?”

Mi guarda con la chiara intenzione di dire: bella mia, haiperso il treno. D’altronde lei trasferisce esattamente gliumori del suo capo. Che, pubblicamente, si è dichiarato.Dunque l’articolo non ha spostato nulla: m’ha fatta venire aquest’ora apposta perché voleva che sapessi della riunione.Non mi resta che attendere, assalita da pensieri tutt’altro chepositivi: di fronte al pericolo che Corradi come Pietro mi stiatradendo, prima ancora che sorga il nuovo giorno, dimenticole mie remore morali. Se lui mi molla posso dire addio a qua-lunque progetto. Il vecchio è capace di mille tranelli, è capa-ce di tutto. Ma, decido, è leale con me.

Cerco di cogliere le voci di là dalla porta e qualche altrainformazione dagli umori di Giuseppina. Da dentro sembradi sentire grande cordialità, un clima da pacche sulle spal-le. Questo mi tranquillizza. Corradi non affronterebbe maiuna discussione seria con quel tono. Quello è il tono riser-vato agli scemi.

Allora mi rivolgo a Giuseppina: “Dura la vita, eh?Povero Eugenio, pensava che la mia candidatura a portavo-ce fosse una passeggiata, e invece...”

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L’altra alza gli occhi appena, visibilmente imbarazzata.“Lorenzo gli ha ricordato che lui e suo padre erano

insieme all’università”, lascia che la frase dondoli in aria epoi cada fra noi. Non raccolgo: “Tempi eroici, perché lorohanno fatto Giurisprudenza a Roma negli anni Settanta,vero? Piena di fascisti da non poterci entrare. Mi hanno rac-contato di quando Eugenio sollevò un banco di legno e lolanciò dalla finestra contro un gruppetto di destri che cer-cavano di entrare armati di coltelli. A vederlo ora, cosìcompassato...”

“E con pochi capelli e un po’ di pancia da commendato-re. Se me lo avessero detto allora che quel bel ragazzosarebbe diventato questo signore che conosciamo...”, sonogli unici argomenti che strappano un sorriso a Giuseppina.Ne approfitto: “È una riunione preparata da tempo, o unincontro improvviso?”

“Non dovresti farmi queste domande. Comunque no,niente di predefinito. Sai oggi, dopo quell’articolo, è statotutto un viavai”.

“Già, l’articolo, come l’ha presa?”“Alle prime credevo che gli prendesse un infarto. È

diventato tutto rosso e ha iniziato a bestemmiare come nonl’avevo mai sentito. Urlava: quel giuda, chi è quel giudache aveva una faccia così perbene. Sai il giornalista: luiaveva capito che era qualcuno che conosceva, ma nonl’aveva individuato subito... e come c’era capitato propriolì in quel momento?”

“Anche lui però, dire...”“Ma è tutta una montatura. Non ci crederai, spero. Poi

figurati, le cose che si dicono davanti a un bicchiere nonhanno valore. Certo se le ritrovi sul giornale sembrano

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diverse. Comunque, dopo mezzora che urlava ha ricevutoalcune telefonate e si è calmato. Ha convocato te pensandoche ci fosse la tua mano. Ma Bruni ti ha difeso strenuamen-te: gli ha detto che era impossibile, che eri a colloquio conlui e che sei una persona molto perbene e in gamba.Insomma, è schierato con te. È entrato Lorenzo e gli ha par-lato di qualcosa. Poi ha chiamato Corradi e gli ha chiesto discendere. Un happening direi. Ma ora fammi finire questalettera, sto convocando la direzione. Riguarda anche te”.

Mi risiedo. Guardo l’orologio insistentemente.Sono ormai quasi le sei, Mustacchi starà per arrivare, io

non ho neanche avvertito la portineria.“Senti Giuseppina, fammi un favore, ho una cosa urgen-

tissima. Vado giù nel mio ufficio. Quando hanno finitochiamami. Vengo in un minuto”.

Luisa

“C’è un signore per te”, mi avverte Dino dalla portineria.“Fallo salire”, rispondo senza neanche chiedergli chi è.Sospiro. Appena in tempo per evitare a Mustacchi un’atte-sa che l’avrebbe di sicuro indispettito. Ma troppo tardi perincipriarmi il naso, pettinarmi e, insomma, rendermi piùgradevole per un incontro che inciderà sul mio futuro. Unaspetto curato dà sicurezza e fa buona impressione. Comedice Mara.

Nell’attesa mi dedico alla scrivania: prendo tutte le cartealla rinfusa e le ammucchio da un lato, almeno c’è spazioper un taccuino. Quando alzo gli occhi vedo stagliarsi nelvano della porta un tipo alto e atletico, bruno, con dei ricciscuri morbidi che gli incorniciano la faccia. Il giornalista –

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non può che essere lui – indossa una t-shirt nera a manichelunghe con la scritta: YOU BASTARD! Ha un sorriso dolce eironico al tempo stesso. Un gran figo dalla bellezzamaschia e tenera. Com’è che non l’ho notato l’altro giorno?Forse non c’era?

Interpreta male il mio sguardo fisso sui suoi pettorali:“Mi scuserai ma non ho avuto tempo di cambiarmi, sonovenuto vestito com’ero, forse non ho il look giusto per pre-sentarmi a una donna così importante”.

Mi concentro sui suoi occhi, è davvero un bel tipo manon posso fare la parte dell’ipnotizzata, e sul suo tono: èdefinitivamente una presa in giro o lui pensa davvero cheio sia una che conta? Gli faccio il gesto che in tutto ilmondo significa prego siediti. Lui si accomoda e intantoprosegue: “Vedo che neanche tu ti sei messa in ghingheriper me”, e nel dirlo annota qualche cosa su un pezzo dicarta che sembra se lo sia mangiato il gatto.

“Hai bisogno di scrivere che non sono andata dal parruc-chiere per il nostro incontro fatale? Non te lo ricordi senzaannotarlo?”

Dico a me stessa che il tono acido è sbagliato e tento dicorreggerlo con uno sguardo giocoso.

“Adoro le donne semplici e senza trucco, longilineeeppure formose, bionde e non lattiginose, e annoto tuttoquello che mi serve per capire il carattere, quello che le per-sone non dicono”.

Ignoro la descrizione, penserò dopo se voleva essereun’offesa, una provocazione o un semplice complimento:“Ma io te lo dico volentieri: non penso si debba venire inufficio come a una sfilata di alta moda. Né con gonne cor-tissime o scollature dove gli occhi cascano per legge di gra-

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vità. Ogni ruolo richiede un abbigliamento e un comporta-mento. Non sono moralista, la minigonna mi piace nelposto giusto e nel posto giusto la indosso. Ma in ufficiobisogna andare col dovuto rispetto per sé e per gli altri. Ilmio primo capo era solito dire che al lavoro si va come inchiesa: secondo la religione devi avere il cappello in manooppure in testa, le scarpe ai piedi o entrare scalzo. Avevaragione. Quanto a me, anche volendo interpretare la donnafatale, e non lo voglio, ho talmente da fare che tutto ciò cheriguarda la mia persona è confinato a qualche ora nei saba-ti che non lavoro, cioè davvero pochi”.

“E non si stufa una donna giovane e carina come te diquesta vita grama?”

“Grama perché? Ho scelto io di fare un lavoro che mipiace e continua a piacermi nonostante...”

“Nonostante che?”“Nonostante a volte sogni un prato e uno scorcio di

mare”.“O volevi dire nonostante sia pieno di insidie che non

sai mai da dove verranno. Nonostante i giornali e i giorna-listi e gli attacchi a ogni angolo di corridoio?”

“Già, andiamo dritto al cuore della questione: chi ti hacommissionato un pezzo contro di me e perché?”

In un attimo ho buttato a mare la prudenza e gli insegna-menti di Corradi. Per fortuna Mustacchi ride, gettando latesta un po’ indietro, un gesto che ripete spesso come quel-lo di mettersi di tre quarti per guardarmi.

“Accidenti, questo si chiama parlar chiaro. Dicono chesei una donna scomoda, ingombrante, con la mania di dareuna spiegazione a tutto. Una che mette la ragione davanti aisentimenti. Ma non mi avevano detto che sei un carrarma-

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to”, cambia tono e aggiunge serio: “Il direttore mi ha chia-mato dopo aver letto tutti quei pezzi sui giornali di ieri e miha detto: ho delle curiosità su questa ragazza. Ma chi crededi essere, l’unica che ce l’ha – scusa, te lo riferisco comel’ha detto, i giornali non sono posti per educande – e haaggiunto: degli amici mi hanno detto che è una vera stron-za. Una che si atteggia a dura e pura. Una che non sa cam-pare. Facciamole un ritrattone e diamole una lezioncina.Capirà che deve fare i conti anche con noi. Che se poi ce laritroviamo a fare la portavoce, non credo, ma se succedes-se, chissà che palle. Questo mi ha detto e nulla di più. Ioposso intuire, ma non voglio perdere un posto che ho con-quistato da poco e a gran fatica. Dopo quattro anni di pre-cariato. Perciò, mettiamoci al lavoro e raccontami tutto dite. A cominciare dalla tua candidatura. Chi l’ha proposta?”

Ho il viso in fiamme: vorrei alzare il telefono, chiamareil noto direttore che crede di poter manovrare le personecome marionette in un teatrino e fargli una parte. Ma devocontrollarmi, per me e per questo poveretto che ci rimette-rebbe non solo il posto ma anche qualsiasi altro posto peressersi lasciato andare a dirmi cose di tale riservatezza. Oforse non è vero nulla e mi sta solo provocando?

Nel dubbio sorrido con tutto il self-control di cui sonocapace e ho la voce appena un po’ incrinata, se ne accorge-rebbero solo i miei intimi, mentre gli rispondo: “Come sail’ha proposta il segretario, ed è giusto visto che diventereila sua più stretta collaboratrice. A proposito, se mi chiama,e dovrebbe farlo da un momento all’altro, dovrò lasciartiper qualche minuto. Ti dispiace?”

“Ti aspetterò, ma prima mettiamoci d’accordo: io ti hodetto la verità e tu farai altrettanto con me. Quello che non

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vuoi che io scriva, me lo dici lo stesso con questa clausola”.Allora questo mi crede proprio scema, glielo dico e poi

mi ritrovo sul giornale: “La Alunni ha detto, ma ha chiestodi non scriverlo”. Nascondo i miei pensieri dietro una cor-tesia formale: “Ovviamente. Infatti le cose stanno propriocome ti ho detto. Se ti riferisci al rinvio della nomina, credosia una richiesta di Corradi, vuole pensarci meglio”.

“Questo spiegherebbe qualcosa, visto che Corradi èmolto amico del direttore. Non spiega però l’uscita dellaseconda candidatura. Anzi, cerchiamo di essere franchi,non spiega l’uscita del Giornale dell’Urbe di oggi. O forsetu non credi a quello che hai letto?”

Mi tremano le gambe al pensiero che Corradi m’abbiatradita: ha fatto uscire un attacco a Lorenzo e poi commis-sionato un attacco a me facendo finta di difendermi. Micontrollo e con la voce più neutra che trovo dico: “È figliodi un compagno di università del segretario. Persona dicui lui si fida quanto si fida di me. Se non dovesse passa-re la mia nomina, ce ne sarebbe almeno un’altra di suafiducia”.

“Prudente, anzi prudentissima. Una vera donna di ghiac-cio. Ma quanti anni hai? Novanta? Ti provoco e tu niente”.

“Si vede che non mi conosci. Ho passioni vere io”.“Dimmene qualcuna: assaporare il sangue dell’avver-

sario...”“Preferisco il cuore... Sciocchezze. Per esempio amo la

natura e l’arte contemporanea”.“E gli uomini? Bella e sola, vorrà pur dire qualcosa”.“Gli uomini mi piacciono. Non sono lesbica, se è questo

che vuoi sapere. Te l’ho già detto, non ho tempo per la vitaprivata. Esco quasi sempre tardi da questo palazzo e rifiuto

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per principio di mischiare lavoro e amore. Tutti quelli checontravvengono la regola si mettono nei guai, prima o poi”.

“Allora il segretario è nei guai”.“Non tentare di incastrarmi. C’è chi come lui è in grado

di gestire tutto, ma generalmente parlando, i casi sono due.Se le cose vanno avanti, la storia personale si mischia conquella del partito e il tutto rischia di somigliare a quellaserie tv, Dinasty. Se invece le cose finiscono male, veti per-sonali e veti politici s’incrociano, con le complicazioni chepuoi immaginare. Perciò: dal momento che questo lavoronon lascia spazi, non intendo avere un compagno, fidanza-to o marito con il quale spostare le discussioni dalla lorosede naturale alla camera da letto o al salotto. In questecondizioni è un po’ complesso fidanzarsi”.

“Suona come una rinuncia”.“Diciamo che per il momento ho altre priorità. Penso alla

carriera. Poi, quando sarò troppo vicina ai quaranta e l’orolo-gio biologico mi dirà se vuoi un figlio sbrigati, allora mi guar-derò intorno. Adesso sto meglio così, senza complicazioni”.

“Molto saggio, inizio a capire cosa intendi quando dici chesei passionale. Vuoi fare la guerra al gruppo dirigente attuale,figlio... come l’hai chiamata?... della politica nelle camere daletto. Chissà che impressione farà a Rispoli leggerlo”.

“Mi vuoi rovinare: io non ho detto questo”, rispondoridendo con un fondo di preoccupazione.

“Come no, l’ho segnato qui sul taccuino, sono esatta-mente le tue parole”.

“Il senso era un altro. Io faccio parte di questo gruppodirigente. Non ci starei se pensassi che non li stimo”.

“Non ti preoccupare, troverò un modo carino di scriver-lo. Andiamo avanti con i lati oscuri della tua personalità.

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Dunque per te passionale vuol dire che sei determinata.Che hai un progetto in testa. Tipico della tua generazione”.

“Perché tu di che generazione sei?”“Leggo che sei del 1978, perciò hai trentaquattro anni.

Io quattro di più. Ma è inutile che tenti di sviare il discor-so. È di te che dobbiamo parlare. È vero che sei una mania-ca delle due ruote, e addirittura una volta sei andata alQuirinale in motorino scortata dall’autista?”

“Qui dovrei essere io a intervistare te: perché questasciocchezza ha fatto il giro del mondo e le cose serie nes-suno se le ricorda? È successo una volta sola: dovevoaccompagnare il segretario a una cerimonia al Quirinale,sai di quelle che devi entrare dall’ingresso principale e fartivedere mentre scendi da un’auto blu e il corazziere fa ilsaluto militare. Eugenio mi ha imposto di lasciare il moto-rino a un uomo della scorta perché secondo lui non eradignitoso scendere da un cinquantino nel cortile delQuirinale con i fotografi, le troupe e il resto”.

“E lo era? Dignitoso, intendo”.“Bisogna accordarci sul termine. Dignitoso sì, inconsue-

to anche. Sarebbe stato anticonvenzionale, non sconvenien-te. Per me, io ci sarei andata”.

“E gli avresti rubato la scena, avrebbero parlato solo di te”.In quel momento, mentre Giovanni accenna a un sorriso

larghissimo, squilla il telefono. È Giuseppina.“Eugenio ha detto che fra qualche minuto finisce, fatti

trovare su”. E riattacca senza darmi il tempo di reagire: èun ordine, non un invito. E ora?

“È arrivata la chiamata dal segretario. Se vuoi resta qui.Non credo sia una cosa lunga. Se invece tardassi vai pure,ci sentiamo più tardi, tanto ormai so che faccia hai”.

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Gli scocco un gran sorriso, ma sono preoccupatissima.Sul più bello mi tocca salire. Lo guardo dritto negli occhi,poi guardo le sue mani dalle dita lunghe ed eleganti chetamburellano con la penna sul block notes. Mi sento strana-mente rassicurata dalla sua bellezza: uno tanto bello nonpuò essere troppo cattivo.

“Ti aspetto, vai tranquilla. Dopo avrai qualcosa in più dadirmi”, e sorride di tre quarti. Ha un sorriso che scalda.

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Oltre al linguaggio corporale, per comunicare tra loro icoyote utilizzano anche un vasto repertorio vocale,

ululano come i lupi. Abbaiano come i cani.Anche i politici hanno un vasto repertorio vocale, ma le

cose più temibili sono quelle che non dicono.

Luisa

“Eccomi, Giuseppina. È solo?”“No, ma mi ha detto di avvertirlo subito del tuo arrivo”.

Pochi minuti dopo esce Corradi e mi guarda con espres-sione indecifrabile. Esce anche Lorenzo, con un sorrisovincente. Mille ipotesi mi passano per la mente in un atti-mo. Corradi ha detto sì a Lorenzo? Sono spacciata?

Coraggio. Indosso la faccia da guerriero e affronto lasituazione.

“Ciao Luisa, devo comunicarti un po’ di cose, siediti. Tiavrei fatto partecipare alla riunione precedente. Ma mi èsembrato che Corradi, quando l’ho accennato, non fossefavorevole”.

Ci risiamo con i messaggi trasversali. Sto per reagiredicendo qualcosa del tipo “non importa, figurati”, quandosento vibrare il telefono a cui ho messo il silenziatore. Un

IX

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messaggio: “Non cambio cavallo in corsa”. Corradi è conme.

È con altro spirito che rispondo al segretario: “Dimmipure Eugenio, scusa se ti metto fretta, ma ho una personache mi aspetta di sotto”.

Freme dalla curiosità di sapere chi è, ma non può chie-dere quello che palesemente non ho intenzione di dire. Losento oltremodo indispettito. Decide di ricambiarmi con lastessa moneta: logorarmi i nervi. Io ho fretta e lui la pren-de calma e alla lontana.

“Dopo la riunione dell’altro giorno mi aspettavo che tutirassi fuori qualche buona idea. La destra ha realizzatouna campagna ambigua sul voto agli immigrati, mobili-tando l’opinione pubblica moderata, e ci ha spiazzati.Dobbiamo studiare qualcosa di forte, che non tradisca lanostra anima solidale con i più sfortunati, ma rassicuril’elettorato di centro e insomma, hai capito. Qualcosa diinconsueto e molto, molto equilibrato. Che parli a tutti. Enon solo ai nostri elettori. Potresti lavorare intornoall’idea de: la lobby degli ultimi”, mi guarda palesementefiero di sé. “Che te ne pare?”

La tentazione di rispondergli “fa cagare” è fortissima.Ma ovviamente non posso esprimermi così. Lui tiene moltoalle forme, in questo è un uomo all’antica.

“Eugenio, credo che la parola lobby sia maldigerita dalnostro elettorato. Evoca oscuri gruppi di pressione, interes-si poco leciti. Ultimi poi perché? Quelli che partono dailoro paesi non sono gli ultimi, ma spesso i più intrapren-denti, i più istruiti. Gli ultimi semmai restano lì a morire difame. Per carità, gli ultimi mai”.

“Ma lo diceva anche Gesù: gli ultimi saranno i primi”.

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“Era un altro millennio. Se Gesù facesse politica oggitroverebbe molto scorretta questa parola riferita agli immi-grati. Il problema non è come chiamarli, ma come dare lorouna rappresentanza che conti. Il voto, insomma. Ma perquesto non siamo ancora pronti, immagino. Comunque,vuoi chiamarla lobby, se sta bene a te... D’altra parte ormaile lobby impazzano nella politica italiana. Ma ultimi, que-sto davvero no”.

“Me l’ha proposta Lorenzo e a me sembrava una buonaidea”, si difende lui.

Ecco cosa ci faceva il verme nel suo ufficio, incurantedell’articolo e di come è stato sbeffeggiato, si arruffianavail capo portandogli una pessima idea orecchiata chissàdove. Devo pensare in fretta e reagire decisa: se il segreta-rio riconosce che l’idea non è sua vuol dire che non ne ècosì sicuro. Meglio tirare un affondo: “Ah, i buoni consiglidi Lorenzo, l’hai già nominato portavoce? A proposito, nonero io la tua candidata? Devo venire a sapere dai giornaliche hai cambiato cavallo?”

Oddio, parlo come Corradi. Ma quando mai, Corradinon si scoprirebbe così. Imbarazzo e minuto di riflessionedel segretario. Quando riprende a parlare ha il tono condi-scendente che si usa con una bambina deficiente.

“Per favore, non parlarmi dei giornali, oggi non è pro-prio il giorno giusto. Un essere immondo ha colto una con-versazione privatissima, l’ha travisata completamente –chiedi conferma a Corradi – e l’ha pubblicata privandoladel suo contesto, facendo del male a me, al povero Lorenzoe alla sua famiglia... e sì, anche a te, naturalmente”.

Tipico di Eugenio preoccuparsi del disagio che è venutoa lui, dispiacersi per Lorenzo e, bontà sua, in extremis

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anche per me. Lo guardo negli occhi, quasi ammirata per lasua capacità di simulazione.

Il segretario continua: “Quanto a te, vedi, sei troppoirruente. E sempre oltremodo critica. Possibile che io nonpensi nulla di buono senza il tuo aiuto?”

Non so da dove mi venga la forza, ma reagisco comemai prima: “Dipende, in certi campi è possibile, sì. Io nonpretendo di elaborare strategie politiche. Tu non metterti afare strategie di comunicazione, perché non è il tuo forte. Ioho studiato molto per questo, ho la preparazione giusta,capisco di politica e conosco questo partito. Lorenzo, dici?Se preferisci uno yes man, è l’uomo per te. Ma non so chefavore fai a te stesso prendendolo, a parte i favori che ilpadre può fare a te. Comunque. Decidi presto e ti prego,voglio saperlo prima degli altri. Da te e non dalla stampa.Chiamami anche la notte, ma dimmelo. Chiamami anche seti si rompe il cesso, naturalmente”.

La sfuriata ha il suo effetto. Eugenio mi guarda cometutti gli umani avevano guardato la Gorgone prima chePerseo le tagliasse la testa. Con stupore e orrore, mentrediventavano di marmo. E con faccia di marmo e voce dimarmo replica: “Stai drammatizzando, come al solito.Non ho mai detto quelle frasi su tuo padre, e non c’ènulla di deciso sulla nomina. Quanto alla campagna,Lorenzo era venuto a trovarmi quando è entrato Corradiper la riunione e ho pensato di trattenerlo. Che c’è dimale?”

“Nulla, ma non mi hai ancora detto cosa ne pensa Corradi,né chi o cosa ti ha fatto cambiare idea sul portavoce”.

“Alfonso non è tipo da scoprirsi. Quanto a te, non ho cam-biato idea. Però parlandone ho trovato opposizione, cosa che

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non mi aspettavo. Incredibile quanto le donne siano pocosolidali fra loro”.

“Chi, Mara? È gelosa perché staresti più vicino a meche a lei”.

“Ma no, le donne del partito. Lascia stare mia moglie,tutti se la prendono con lei. È logico che io l’ascolti: è intel-ligente e acuta, e oltretutto ha sacrificato la sua carrierapolitica per me...”

“Sacrificato cosa?”, rispondo abbandonando definitiva-mente la prudenza. “La imponi come candidata a ogni cam-pagna elettorale, salvo che non la vuole nessuno”.

“Perché la temono, in quanto mia moglie. Ma insomma,lo vedi che non siete mai solidali fra donne?”

“Eugenio, tua moglie non ha bisogno di solidarietà fem-minile perché gliene dai molta tu. Non ti accorgi che unsacco di gente ti critica per questo?”

“Le critiche ai capi non mancano mai”.“A maggior ragione quelle di familismo potresti rispar-

miartele. Forse nessuno ha il coraggio di dirtelo, ma questosi dice alle tue spalle. Che le tue decisioni vengono piùinfluenzate dalla zarina che dalla direzione del partito. Sì,lo sai anche tu che la chiamano così. Proprio lei, la tua zari-na, mi sta scatenando contro le donne a cominciare daGiustina, e tu mi vieni a parlare di solidarietà? Ma dai”, inquella vibra un’altra volta il telefonino per un messaggio.Guardo il display del telefono. Oddio, è passata più di mez-zora e Mustacchi tutto solo nel mio ufficio mi avrà fatto laradiografia completa grazie alle carte lasciate sul tavolo.

“Hai altro da dirmi?”“No, volevo consultarti. Ma ora devo ricominciare tutto

daccapo. Un pomeriggio perso”.

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“Se mi avessi chiamato subito... Comunque, se quellacampagna ti piace, chi sono io per impedirtelo? Sono solola voce della tua coscienza, non ancora la tua portavoce”, egli scocco un sorrisone sdrammatizzante. Mentre mi alzo loguardo: ha accusato il colpo.

“Ti saluto segretario. E comportati bene con me, nonstare a sentire la tua signora”.

Leggo il messaggio: “Questo è il mio numero di cellula-re. Devo scappare al giornale. Dovrò affrontare le urla delcaporedattore centrale e il biasimo del direttore per nonavere ancora scritto il pezzo su di te. Se non glielo facciotrovare sul desktop almeno domani mattina, quando arriva-no sono guai. Alle 21 e 30 finisco. Vieni a cena con mealtrimenti sarai responsabile del mio licenziamento.Chiamami. Giovanni Mustacchi”.

Forse è meglio così, forse alla fine dovrò ringraziareEugenio: a cena avrò più tempo per farmi capire e render-mi interessante.

“Pronto, sono Luisa Alunni, vorrei Mustacchi”.“Sono io, chi vuoi che risponda al mio cellulare?”“Che ne so, un collega. Qualcuno di passaggio. Eccomi

qua. Reduce da un colloquio difficile, ma tutta intera”.“Difficile perché?”“Ma fai il giornalista a tempo pieno, tu. Rilassati. Non

mi hai invitato a cena? Te lo racconto dopo”.“Visto che mi hai lasciato a fare lo stoccafisso in un uffi-

cio non propriamente ridente, devo recuperare il tempo per-duto: ho tre pagine da chiudere con relativi pezzi da passa-re, titoli e notizie da scrivere. Dunque, non posso rilassar-mi ora. Va bene se ci vediamo alle dieci e mezza daCesarone?”

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“Chi è Cesarone?”“Una trattoria verso piazza Fiume. A quell’ora non c’è

neanche bisogno di prenotare, i primi avranno finito e noisaremo gli ultimi. Beati noi, così l’oste non avrà fretta dipassare ad altri il nostro tavolo e potremo chiacchierare concalma. Ma non farti illusioni. Io sono un ragazzo serio.Niente dopocena, intesi?”

“Spero che tu stia scherzando, perché ho avuto una gior-nata complessa e non sono in grado di capirlo”.

“Ci mancava anche questa: a cena con una donna chenon capisce se scherzi o no. Sarà una serata orrenda e dovròfarmi pagare gli straordinari dal giornale. Ma per la carrie-ra questo e altro. A dopo. Mi chiamano”, e attacca.

Rientrata a casa spero di sentire Corradi. Poi rompo gli indu-gi: lo chiamo io. Una volta potrò pur prendere l’iniziativa.

“Pronto, maestro?”, ho preso l’abitudine di non dire ilsuo nome: compagno Corradi suona malissimo, Alfonsotroppo confidenziale. Maestro mi pare la definizione piùappropriata.

“Ciao, stavo aspettando la tua telefonata. Com’è andata?”“Con Mustacchi o con Eugenio?”“Con entrambi. Eugenio poverino era molto provato

dal deplorevole incidente. Ma anche lui, non rendersiconto che aveva un giornalista alle spalle, e parlare adalta voce in un locale pubblico, davvero inopportuno.Alle sette e mezza stamattina mi aveva già chiamato pen-sando di trovare solidarietà e voleva preparare una smen-tita. Ma io l’ho sconsigliato, una smentita è una notiziadata due volte, gli ho ricordato, e così ha ripiegato su unaversione da vittima del cattivo giornalismo. Patetico e

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banale. Il politico stretto all’angolo se la prende semprecon i giornalisti che non hanno capito. Tu invece avraicapito che Mustacchi è un’occasione che ti ho creato io.Comparire nella sua rubrica è il massimo. Ma stai atten-ta a non farti massacrare. Quel ragazzo ha un’aria cosìperbene, ma è una iena. Un moderato attacco dalla stam-pa suscita attenzione e crea il personaggio. Un attaccoradicale e violento ti distrugge. Immagino che il risultatolo leggerò domani”.

“No, dopodomani, ho conquistato un giorno per conqui-stare lui, ma come ci si procura un moderato attacco?”

“Puoi chiederlo ai tuoi amici dei salotti romani. Per loroil Corriere del Mattino è come la Bibbia”.

“Io non ho amici nei salotti, e non frequento quasi nes-suno”.

“Questo è un problema, perché il direttore di quel gior-nale ne fa parte, li anima, li stuzzica, li aizza. È gente chicche diventa crudele con chi è fuori dal giro. Predicano lanon violenza ma sono di una ferocia inaudita. È bene chenon abbiano pregiudizi su di te. Male che tu sia fuori dalclan: almeno lascia immaginare che faresti carte false perentrarvi. Sono tanto cari al tuo segretario, che è il re deisalotti, sia quando è accompagnato dalla sua signora, siaquando è accompagnato dalla signora di qualcun altro.Allora, come è andata con lui?”

Gli racconto tutto. Corradi sembra moderatamente sod-disfatto.

“Lorenzo è un cretino e come tale piace molto al segre-tario. È importante demolire le idee che lui propone perchéEugenio si senta insicuro quando segue i suoi consigli.Come abbiamo letto, gli piacciono i lacchè, ma essendo un

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insicuro a sua volta, insicuro e arrogante, non vuole sba-gliare. Deve pensare che Lorenzo può indurlo a gravi erro-ri quando meno se lo aspetta.

“Veniamo al giovanotto Mustacchi. Mi raccomando, unacena è la prova del nove: non lasciarti andare a confidenze.Lui cercherà di carpirle. Un contesto rilassante, le lucibasse, le difese calano... Non dico che sia una trappola per-ché non poteva prevederla. Ma può diventarlo. Nel dubbioprudenza, prudenza, prudenza. Ricorda: a costruire un buonnome ci vuole una vita. A distruggerlo pochi minuti. E quelgiornale è uno specialista”.

“Dal momento che mi hai dato in pasto alla belva fidatidi me, e aiutami dicendomi qualcosa di più di Mustacchi”.

“È un giovane brillante, determinato a emergere. Ildirettore si rivolge a lui quando vuole un pezzo ben scritto,a metà tra cronaca e commento. Che, del resto, lui mischiasempre molto volentieri, ed è il segreto del suo successo.Per avere uno dei suoi ritratti ci sono persone che fanno lafila. Per i servizi sporchi di solito il direttore si rivolge aPietro Vannucchi. Non questa volta: la cronaca del conve-gno l’ha firmata Mustacchi, sarebbe stato scorretto levargliil servizio. E così ero abbastanza tranquillo quando gli hoparlato, suggerendo che sei una da tenere d’occhio, spoc-chiosa ma interessante. Una che gioca in proprio.Ambiziosa. Una che io affosserei volentieri. Ed Enrico, chemi giudica diabolico come se stesso e un uomo di potereproprio come lui, un pezzo piccante su una donna in carrie-ra non se lo fa sfuggire. E neanche l’opportunità di fare unpiacere a me. In ogni modo oggi ti ho lanciata nel firma-mento dei notiziabili, quelli di cui vale la pena parlare”.

“Ha ragione il direttore, hai una mente diabolica”.

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Si schernisce al mio complimento. “Se solo il diavoloha cervello...”, poi prosegue con evidente entusiasmo: “Iosono un giocatore di scacchi. La partita a volte si vinceprima di iniziare a giocare, cogliendo la psicologia e ledebolezze dell’avversario. Inutile muovere se non hai unastrategia, se non intuisci quali aperture, difensive o diattacco, ti porteranno a controllare i quattro quadrati fon-damentali della scacchiera, due bianchi e due neri, chestanno esattamente al centro. Il controllo di quelle caselleti permetterà di bloccare il gioco degli altri e sviluppare iltuo, proprio come nelle battaglie tradizionali se occupi lacollina vedi e anticipi le mosse dell’avversario. Lì sta ilcuore della partita. Ma per arrivarci bisogna prevenire lemosse dell’avversario o neutralizzarle. Anche per farebene la politica bisogna avere in testa un progetto e lepossibili conseguenze di ogni azione. Certo, chi non vedeche se stesso non può far bene la politica, né fare del benealla politica, cioè al paese. Per questo in una partita ascacchi gli attuali dirigenti possono, al più, reggere per tremosse. Poi subiscono lo scacco del barbiere, quello cheun esperto dà ai principianti. Te l’immagini il poveroEugenio controllare la scacchiera, quando non riesce acontrollare neanche il suo basso ventre? Morto io, dellamia generazione non c’è più nessuno che faccia politicacon passione e lucidità. Sto puntando su di te perché misembra che impari presto. Vedremo se sarà davvero così.Chiamami anche a mezzanotte, per informarmi sulla cena.E ricorda, Mustacchi è perbene, ma ambizioso. Come te,che vuoi fare la portavoce e non hai contatti con la stam-pa. Roba da matti. Dagli qualcosa che gli faccia fare bellafigura, altrimenti te lo farai nemico, ma non ti scoprire.

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Ricorda: l’apertura può determinare la vittoria. Se sbagliquella... A dopo”.

Duro e paterno al tempo stesso, Corradi mi ha garantito unappoggio talmente esplicito da lasciarmi a bocca aperta. Devocredere alla sua fama o al mio istinto? Decido per l’istinto.

Dunque ora tocca a me. Non so giocare a scacchi, maimparerò. Innanzitutto devo cambiarmi. Mustacchi, comeMara, mi ha fatto notare che il mio look non è abbastanzacurato. Meglio essere più autorevole o più femminile?Femminile, è pur sempre una cena, siamo entrambi giova-ni e lui è un bel tipo, mi piacerebbe fargli buona impressio-ne. Elegante no, che locale sarà questo Cesarone?

Opto per un pantalone nero di raso e una maglietta neradi cotone molto grezzo, con lo scollo a barchetta, che facontrasto e valorizza il collo. Mi guardo allo specchio incerca di rassicurazioni, è lungo e ancora senza l’ombra diuna ruga, fino a quando posso permettermelo... Poso ivestiti sul letto, pronti a essere indossati. Raccoglierò icapelli a chignon, invece della solita coda di cavallo.Indosserò gli orecchini di corallo: sono i miei preferiti,mamma diceva che il corallo porta fortuna.

Ho il tempo di vedere il telegiornale e poi di vestirmi etruccarmi. Oggi è la politica estera a tenere banco. Dopo ilMedio Oriente la seconda notizia è lo sbarco di altri trecentoimmigrati a Lampedusa. Purtroppo venti sono morti prima diriuscire a toccare terra e fra loro sette bambini, che pena,poveretti. L’Italia ha chiesto aiuto alla Commissione Europea.E i soliti cretini dicono che è un problema di polizia.

Che bello per una volta prendersela con calma. Allungole gambe e chiudo un momento gli occhi per riposarli, pec-cato non avere in casa un cetriolo, la zia diceva sempre che

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due fette di cetriolo levano le occhiaie e l’espressione stan-ca allo sguardo. Come è comoda la mia poltrona.“Pronto, Luisa?”, un breve silenzio carico di tempesta dàalle parole di Mustacchi un’enorme aggressività. “Sonoqua da trenta minuti e sto per morire di fame: sei andata acena con qualcun altro?”

Sono stordita, ma riesco a realizzare che sono le dieci emezza passate, il giornalista è fuori dalla grazia di Dio e mista maltrattando al telefono. Maledetta stanchezza chem’ha tradita facendomi addormentare e scombussolando imiei piani.

“Scusa Giovanni. Arrivo subito. Poi ti spiego”, e attaccoprima di dover dare spiegazioni per le quali non sono abba-stanza pronta: penserò qualcosa di credibile per strada. Eadesso? Non c’è tempo per i preparativi, niente trucco eparrucco, devo fare più in fretta che posso per recuperareun ritardo ingiustificabile. Mentre infilo gli abiti chiamo untaxi, non avrei tempo per parcheggiare, né posso usare ilmotorino coi tacchi alti. Il nastro del radiotaxi dà l’arrivo intre minuti. Infilo le scarpe, acchiappo gli orecchini, li met-terò mentre vado. Le Chanel mi impediscono di correre giùper le scale come dovrei. E i capelli sfuggono da tutte leparti, tanto vale scioglierli. Mi sento estremamente inade-guata e insicura proprio quando avrei voluto dare di mel’immagine migliore e vincente.

Finalmente arrivo. Trafelata, vorrei fare ampi passi ma nonposso: non sono abituata alle scarpe con tacchi da signora.Per non cadere ai piedi di Giovanni devo rallentare.L’andatura lenta e un po’ oscillante a cui sono costretta miirrita e rassicura al tempo stesso. Mio malgrado sembrerò

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una donna di classe. Non faccio in tempo ad aprire boccaper scusarmi con le frasi preparate durante il tragitto che luimi aggredisce sarcastico: “Preziosa ok, le signore si fannoaspettare. Un po’. Non tutta la sera. Ho lavorato tutto ilgiorno. Ho subito una cazziata pubblica per colpa tua e stoper morire dalla fame. Non ti dispiace se mangio pane eolive mentre aspetto da, vediamo... quasi un’ora?Comunque, benarrivata”, mi dice indicandomi la sedia difronte a lui, senza neanche alzarsi.

Uno sgarbo che mi sgretola, mi mortifica, non so più chedire, provo a riprendere in mano la situazione, ma il labbrosuperiore trema e mi esce una vocetta simile a un miagolioche mi innervosisce più della sua aggressività.

“Non te lo dico neanche cosa mi è successo, è un ritar-do imperdonabile, lo so. Credimi, non sono quel genere disignore: è la prima volta in vita mia...”

Non mi lascia finire: “Ci conosciamo da poche ore efarmi aspettare è già diventato un vizio. Mi hai tenuto inostaggio mezzo pomeriggio nel tuo orrendo ufficio. Oraqui. Sei fortunata che devo tornare a casa con il pezzo intesta e detesto cenare da solo. Se no ti avrei mollata”.

Mi vuole mollare. Ma come si permette di parlarmicosì? Sarà anche un bell’uomo, fa un mestiere importan-te, io sono in torto, ma c’è un limite che non gli consen-to di oltrepassare. Ora l’offesa sono io e quasi quasi l’in-tervista non gliela concedo più. Se mi vuole mollare, lomollo prima io. Non ho il coraggio di dirgli quello chepenso. Gli sorrido con aria da regina oltraggiata e con-trattacco: “Sì, sono davvero fortunata ad averti conosciu-to: brillante, simpatico, bello, e talmente gentiluomo danon rinfacciarmi nulla. Per farmi perdonare, la cena la

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offro io. Perciò non mangiare troppo”, gli sibilo comeuno schiaffo.

Si controlla e riporta la conversazione su un tono piùaccettabile: “Sarebbe giusto che offrissi tu. Ma sono unuomo all’antica e non farei mai pagare una signora”, poi miguarda come un animale esotico allo zoo. “Mai visto primadi stasera una che si presenta all’appuntamento con unuomo che praticamente non conosce senza un filo di truccoe senza essersi pettinata”.

Colpita e affondata. Mi viene in mente solo una frasestupida: “Ma tu non sei un uomo, sei un giornalista!”

“Grazie a nome della categoria. Pensi di farti perdonarecosì?”

“Intendo dire che l’appuntamento è con il giornalista,non con l’uomo Giovanni Mustacchi. Invitami di nuovosenza dover scrivere di me e vedrai che look da pantera”.

Quei tre segni di espressione, che Giovanni ha propriosopra il naso (invecchiando diventeranno rughe, ma ora glidanno fascino) si stanno distendendo. Mi guarda di trequarti come nel pomeriggio, curioso e irridente. Bene, lasua indole ha preso il sopravvento. Il clima migliora.

Ottenuta la tregua, per la prima volta da quando sonoentrata mi guardo intorno: c’è un camino proprio in mezzoalla sala, d’inverno ci saranno delle belle braci pronte perbistecche e bruschette. L’ambiente è accogliente, rusticoma non trascurato. Nessun altro avventore.

“Hai riservato tutto il ristorante per noi”, scherzo io.“Se tardavi ancora un po’ avrei dovuto servire a tavola

personalmente, i lavoratori a un certo punto smontano ehanno diritto di riposare. O i dirigenti di Sinistra Unita sonoschiavisti?”

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Fa un cenno e chiama l’unico rimasto.“Cesarone, la nostra gran dama è pronta per ordinare,

ma tu hai ancora qualcuno in cucina?”In realtà non è il cameriere, ma il proprietario, che

risponde con cordialità e un largo sorriso quasi contrito:“Per un primo sì, ma il secondo non so se facciamo intempo, il cuoco alle undici e mezzo se ne va, ha lasciatoacceso un fornello solo, peccato me dispiace, ma tu lo saiGiova’ non è come ’na vorta, adesso me fanno ’na multache me lecco le ferite per sei anni...”

Ricambio il sorriso e scelgo in meno di un secondo: “Iomangerei volentieri una carbonara, è una vita che non lamangio, e per dopo qualsiasi verdura già pronta. Va bene?”

“Benissimo, e per te dotto’?”“Mi associo, non possiamo chiedere due cose diverse

a quest’ora. Se poi starò sveglio per il pasto pesante chia-merò la signora e le farò scontare la mia insonnia al tele-fono”.

“Giova’, ma tu ce lo sai che come fa la carbonara ilnostro Mohammed digeriscono anche i malati”, e dondolavia portandosi il peso di un notevole addome.

Quando torna a rivolgersi a me Giovanni è di nuovo bru-sco: “Come hai iniziato a fare politica? Cosa ti ha spinto asceglierlo come mestiere?”

“Non è facile risponderti. La politica mi è sempre pia-ciuta, ma non pensavo che potesse diventare un’occupazio-ne stabile. Ho cominciato all’università, come tanti. Eraun’epoca di grandi illusioni, c’era la coda del movimentodella Pantera... io volevo combattere le ingiustizie delmondo, e non pensavo al lavoro”.

“Dunque eri una leader del movimento”.

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“Leader è una parola che non mi piace. Ero me stessa, edero convincente, evidentemente. Gli altri mi seguivano,avevo una discreta presa. Ma il movimento non aveva unsolo capo. Un giorno era in corso un’assemblea. Entronell’Aula magna del Rettorato occupato. E un ragazzo del-l’ultimo anno ad alta voce fa: oh, è arrivata la ragazza-pan-taloni-acqua e sapone che gliele canta a tutti. Ha fatto la miafortuna. Da quel momento è diventato il mio secondo nome,quello con cui tutti mi riconoscevano. Di Luisa ce n’è tante.Ma di ragazza-pantaloni-acqua e sapone c’ero solo io”.

“Sei diventata popolare, interviste in tv e così via”.“Lo sai meglio di me, ai mass media basta poco per

creare un personaggio”.“Certo, è il nostro potere. Ma tu a quel punto avevi un

obiettivo no?”“Non proprio. Seguivo l’istinto, la mia principale risor-

sa in quel momento: non avevo esperienza né cultura poli-tica. La popolarità mi pesava. Fino a quel giorno. Avevamoorganizzato un’interfacoltà. Eravamo più di mille. Unacosa esaltante. Si era presentato Livio Capezzi, il capo delpotentissimo sindacato di sinistra, con l’intenzione dichia-rata di normalizzare il movimento. Alcuni di noi avevanocercato di convincerlo che non era tanto sicuro per lui veni-re lì. Ma l’arroganza gli impediva di considerare seriamen-te le nostre parole”.

“Me lo ricordo. La sinistra ufficiale tuonava contro divoi: a lui che rappresentava i lavoratori italiani, una storiadi cinquant’anni, proprio a lui impedivate di parlare all’uni-versità?”

“Ne discutemmo tanto. Sapevamo che sarebbe stato undisastro. Ma non ci fu verso. Venne comunque alla nostra

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assemblea e disse più o meno: avete giocato abbastanza,adesso tornate a casa. La contestazione iniziò in sordina,dal fondo della sala. Come un temporale che si prepara inlontananza. I compagni più irruenti si avvicinavano minac-ciosi e incalzanti e come una valanga il gruppo si ingrossa-va via facendo. Non tolleravano che Capezzi e il suo codaz-zo invece di fare gli ospiti rispettosi pretendessero di darcilezioni a casa nostra. Seguirono momenti drammatici, ditensione incredibile. Non so se Capezzi se ne rendesseconto: continuava a parlare nello stesso tono, coraggioso asuo modo, ma oltraggioso. Un compagno interpretò il sen-tire comune lanciando una bottiglia di plastica vuota ecome se avesse dato un ordine preparato in precedenza, mati giuro che non era così, tanti seguirono il suo esempio. Misentivo male pensando alle conseguenze. In quel momentofeci la cosa più azzardata della mia vita. Presi il microfonodavanti al tumulto e come per miracolo riuscii a sedarlo”.

“Avrai detto qualche frase memorabile”.“Macché. Non ricordo neanche di preciso cosa dissi. So

che iniziai a parlare con voce molto alta e molto perentoria,ma calma. E stranamente, un po’ alla volta, tutti mi ascol-tarono. Per Capezzi fu una via d’uscita onorevole e ancheper il movimento: prendere a bottigliate il capo del sinda-cato rosso non era come accanirsi con i fascisti. All’uscita,quando tutto il caos si era sciolto e restavano solo piccoligruppi, mi si avvicinò un dirigente della Sinistra Unitachiedendomi se volevo collaborare con lui”.

“E così hai scalato la montagna”.“Mi avevano comprato per tenermi in panchina.

All’inizio il partito spense le luci su di me. Invece di sfrut-tare la mia popolarità la smorzò. Mi impegnavano in infini-

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te riunioni interne abbastanza prive di senso. Non lo face-vano apposta, penso, era il loro modo di essere. Il pesodella loro storia li spingeva avanti e li tirava giù al tempostesso. Ogni giorno mi dicevo: che diavolo c’entra tuttoquesto con me? Eppure restavo. Volevo dimostrare a mestessa e ai compagni che mi avevano criticato e avvertitoTe ne pentirai!, che invece avevo ragione io. Bastava insi-stere e resistere. Ma non ce l’avrei fatta senza ToninoMajani, una persona straordinaria. Un napoletano saggio,ironico, assolutamente leale. Da lui ho imparato quasitutto quello che so”. Vorrei aggiungere il resto lo stoimparando in questi giorni da Corradi, ma non lo dico:“Tranne la saggezza, per quella forse non sono portata.Tonino, l’hai conosciuto o ne hai sentito parlare”, abbas-so il tono di voce per celare quella piccola incrinatura chemi viene sempre quando parlo dell’amico scomparso, “eraun uomo talmente eccezionale... Quando mi vedeva alte-rata o mi sentiva sopra le righe mi sorrideva con i suoiocchi buoni e mi diceva: Luisa o munno ’cca sta e ’ccaresta. Nun o puo’ cagna’ tu... e nun o puo’ portà tutton’goppa a e spalle tue. E se io gli obiettavo che facciopolitica proprio perché le cose le voglio cambiare, midiceva che sì, è vero, ma per ogni cosa c’è il suo modo eil suo tempo. Mio padre aveva troppo da fare per inse-gnarmi a vivere. Tonino è stato il padre che avrei voluto,pur senza nulla togliere al mio. È morto per un incidented’auto mentre lo stavano portando a una riunione a VicoEquense. Ho scritto una lettera a sua moglie. Spero che imiei figli possano un giorno avere un amico così intelli-gente e sensibile e buono come lui”.

“Ma se non hai figli”.

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“Quando li avrò vorrò per loro il meglio, e il meglioera Tonino”.

“Che tipo sei, auguri un futuro a dei figli che per oranon hai neanche in mente di concepire. Lui era un mode-rato, che c’entra con te?”

“Che vuol dire moderato? La differenza è fra chi allapolitica crede, e chi la fa per opportunismo. Il resto è solometodo, da scegliere secondo l’obiettivo. Ma il cinismo no,è una malattia gravissima della politica. Col cinismo io nonso convivere”.

“E allora che ci fai in quel partito di cinici?”“Questo lo dici tu, non io di certo. Oh, ecco la carbona-

ra, direi che arriva al momento giusto, no?”“Troppo tardi, se penso al mio stomaco, troppo presto,

se penso alla conversazione che ha interrotto”.Affronto la carbonara con entusiasmo, Giovanni osserva e

commenta: “Sei magra ma non inappetente. Sai cucinare?”“Fammi pensare: pane e prosciutto lo consideri cucina-

re?” Rido e aggiungo: “Guarda che ti sto prendendo in giro.Certo che so cucinare, o credi che la famiglia di un idrauli-co possa permettersi un cuoco?”

“Ah, già, quello che il tuo segretario chiama quando glisi rompe il cesso. Che volgarità, non ti pare?”

“Infatti Eugenio non può averla detta. Lui non è unuomo volgare. Come d’altra parte non può avere un giudi-zio così terribile di Lorenzo e volerlo come portavoce. Vedibene che di voi giornalisti non ci si può fidare”.

“Tuo padre ti ha chiamato dopo aver letto l’articolo dioggi?”

“No, e facciamo in modo che non mi chiami dopo averletto il tuo”, accidenti a me, non riesco a smorzare i toni.

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Riprendo il discorso cercando di non far trapelare la miaansia. “Come pensi di impostarlo? Che idea ti sei fatto di me?So che non dovrei domandartelo, ma la curiosità è forte”.

“È presto per dirlo. Sto accumulando informazioni esensazioni. Poi la scrittura mi verrà quasi naturalmente.Offro al lettore un ritratto, una foto d’autore non una foto-tessera. Credo che sia più onesto”.

“Non parlarmi di onestà, di oggettività. Voi giornalistiscrivete solo il vostro punto di vista. E va già bene se nonc’è dietro un suggeritore”.

“Faccio finta di non aver sentito. Dovrei offendermi: ilmegaritardo e ora questa insinuazione. Di’ pure che detestii giornalisti. Anche questo farà parte del ritratto”.

“La battuta non era riferita a te, né a qualcuno in parti-colare. Voglio dire che non puoi dividere il mondo in poli-tici cattivi e giornalisti buoni. Perdonami e vai avanti. Staviparlando del tuo metodo”.

“Il mio metodo, sì: racconto l’idea che ho di te, descri-vo la tua personalità e non i dettagli della tua persona.Questo è il mio modo di lavorare. La realtà d’altra partepuò essere molto ingannevole. La sensazione lo è moltomeno”.

“Davvero?”, il ragazzo per rendersi interessante le sparagrosse.

Ma lui non si fa bloccare dalla mia incredulità: “Pensase pubblicassero la nostra foto ora: un uomo e una donna,seduti da soli al tavolo di un ristorante. Il lettore potrebbepensare che siamo fidanzati, innamorati, che ti corteggio,che è un preliminare per portarti a letto. L’immagine è vera,ma non dice la verità: che io voglio fare un articolo su di te,che ho fame e che tu non avevi altro tempo disponibile per

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consentirmi di svolgere al meglio il mio lavoro. E ora lacarbonara si è freddata, e anche questo dovrò metterti inconto”.

“Interessante. La foto mostra la realtà, ma non la spiega.Sta al giornalista farlo. Questo rende il vostro lavoro tantoimportante e delicato. Vedi? Imparo volentieri”. Giovannisorride soddisfatto e io decido di approfittare del piccolovantaggio: “Parlami di te, come hai cominciato, perché haifatto quattro anni di precariato?”

“Perché anche io sono figlio di un idraulico. No, è unabattutaccia. In realtà non ho voluto che mio padre interve-nisse per me”.

“Tuo padre è uno potente?”“Questa è una faccenda complicata. Mio padre è il pro-

prietario del Quotidiano di Pavia, un editore. Ma io nonporto il suo cognome. Trent’anni fa, quando ha saputo chemia madre era incinta, nonostante stessero insieme da anniè letteralmente fuggito”.

“Ne conosco che di fronte alla paternità hanno attacchidi panico”.

“Mia madre avrebbe potuto pretendere alimenti e agi,ma non l’ha fatto. Mi ha cresciuto da sola, con gran fatica:lui era ricco, lei viveva del suo lavoro di segretaria allaredazione romana del Quotidiano. Mi ha dato il suo cogno-me e ha cercato un altro posto. Come puoi immaginare, nonaveva molta scelta: non sono tanti i datori di lavoro cheassumono una donna già visibilmente incinta. Le sonomolto grato, ha lavorato giorno e notte, letteralmente, salvole ore che dedicava alla nostra vita insieme, a parlare conme e a giocare con me. È stata una donna straordinaria: maiun lamento, mai una recriminazione”.

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“E lui, si è mai fatto vivo?”“Sono cresciuto senza conoscerlo, fino a che ho compiu-

to diciotto anni. A quel punto è piombato nella mia vita:pranzi, cene, regali. Voleva a tutti i costi riconoscermi. Gliho detto chiaramente che per nessun motivo avrei preso ilsuo nome. Che preferivo mille volte quello di mia madre,del quale sono orgoglioso. Più lo rifiutavo, più diventavainsistente. Ha anche messo in mezzo un avvocato per riven-dicare i suoi diritti paterni, ma ha rinunciato quando hominacciato di non parlargli mai più. Ha continuato a blan-dirmi in ogni modo, senza successo”.

“E tua madre?”“Mamma mi ha sempre consigliato di non avere ranco-

re. Ma a me basta guardarla, invecchiata per la fatica e l’an-sia, per il provare un astio terribile verso di lui. Avremmopotuto avere tutti e tre una vita migliore. Anche lui, che oraè solo”.

Lo guardo. È un po’ triste e un po’ incazzato, sembramolto giovane in questo momento. Continua: “Una sera luiera a cena dal mio direttore – al giornale nessuno sapevache fosse mio padre – gli ha chiesto di me, ha detto chesono suo figlio, tecnicamente non mi ha raccomandato, mafra gente di potere non serve chiedere. Ecco come sonostato assunto. Sono forse l’unico della mia generazione. Unpo’ me ne vergogno, e lì per lì mi sono molto arrabbiato, mapoi ho riflettuto con calma. Per una volta mio padre mi èstato utile, me ne farò una ragione e andrà a parziale com-pensazione di tutto il male precedente. Ma perché raccontotutto questo a una che vedo per la prima volta?”

“Perché sai che non lo userò contro di te. Per pareggia-re i conti con l’idraulico”.

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“Già, l’idraulico, che tipo è?”“Un padre meraviglioso, ma molto assente. Un esempio

per me. E per mia sorella Lalla, che ora lavora in Canada.Anche mia madre era meravigliosa, ed è morta troppo pre-sto. Noi siamo cresciute sole col senso del dovere e dellaresponsabilità. Una vita come tante. Forse la necessità dicavarcela ha spinto me e mia sorella ad applicarci al lavo-ro in modo calvinista. Qualcuno dice eccessivo”.

“Amori?”“Sono zitella e questo lo sai, mi piacciono gli uomini,

ma via via che passano gli anni divento più difficile e dif-fidente”.

“Perché?”, chiede con tono leggero. “Qualcuno ti haferito, bambina?”

Gli perdono l’appellativo stupido e proseguo: “Cometutti, anch’io sono rimasta scottata. Fino a qualche anno facercavo l’uomo perfetto. Poi l’ho trovato: era l’ideale, fisica-mente e moralmente. Ma era più grande di me e forse perquesto voleva un altro genere di donna, una che gli si affidas-se completamente. Una che vivesse in adorazione della suaintelligenza e capacità. L’avevo avvertito, non mi ha credu-to. Immaginava che, andando avanti la nostra relazione, perlui avrei messo in secondo piano la carriera, il lavoro, le ami-cizie. Quando si è reso conto che non sarebbe mai stato cosìil rapporto si è fatto difficile. Mi accusava di essere arida epoco femminile, di mettere gli affetti in secondo piano. Inaltre parole, era egocentrico e possessivo. A un certo punto siè stancato e ha optato per la perfetta mogliettina”. Diventorossa per le bugie su Alessandro, ma per nessun motivo direila verità. Voglio apparire a Mustacchi come una vincente,non una povera sfigata sedotta e mollata. Per fortuna non c’è

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abbastanza luce, non può accorgersene. Continuo: “Ci sonorimasta molto male, ma non intendo rinunciare al mio lavo-ro e alla vita che ho scelto”.

“Neanche per il principe azzurro?”“Chi mi chiede di rinunciare al mio lavoro non lo è”.“E dunque qualche storia qua e là in attesa di invec-

chiare?”“Qualche storia qua e là per non perdere l’abitudine, in

attesa di trovare la persona giusta. Magari non quella che tifa perdere la testa e aggrovigliare lo stomaco, visto cheormai ho passato i trenta. Un uomo con cui avere un buonoscambio intellettuale, un grande affetto, condividere l’amo-re per il bello, la buona musica, il cinema...”

“Un amicone, insomma. Stai per rassegnarti e diventareuna monaca”.

“Niente affatto. Penso che da un certo punto in poil’amore sia altrettanto importante, ma non altrettanto pas-sionale. Non credi?”

“Assolutamente no. Ma qui non si parla di me.Francamente ti compatisco. Perdi molto pur di non met-tere in discussione il tuo arrivismo”. È una vera cattive-ria. Arrossisco ancora, ricordando le parole di Corradi.

“Questo non me lo merito. Detesto le persone cini-che e tutte calcoli, quanto detesto le persone ingenue evelleitarie. Non sono né l’una né l’altra. Ma al miolavoro tengo enormemente. È il lavoro più bello delmondo”, aggiungo enfatica, per reazione alle accuse dicarrierismo, “lo farei anche se non mi pagassero, nonc’è nulla di più importante che governare una comuni-tà, indirizzare l’economia e la società, curare l’interes-se generale”.

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“No: il lavoro più bello del mondo è il mio. Il giornali-sta è il cane da guardia del potere, per conto dell’opinionepubblica. Un ruolo centrale. Senza la libera stampa voipolitici diventereste dittatori”.

“Fosse vero. La politica per te è il mondo dei cattivi e ilgiornalismo dei buoni, nel tuo ambiente non ci sono com-promessi, nessuno vi manovra. Se vuoi dico di sì per com-piacerti”, penso a Corradi e alle sue relazioni intricate eintense con giornali e giornalisti.

Giovanni è calmo e deciso: “Non te lo chiedo. Anzi,ammetto: ogni volta che affronto un tema o un personaggioimportante, ogni volta che il direttore mi chiama sento chec’è dietro qualcosa. Ma ciò che conta è quanta chiarezza sifa per il pubblico. Il resto non importa”.

“Eppure dietro ogni scoop c’è l’interesse di un avversario”.“L’importante non è chi fa la soffiata, ma chi è in grado

di pubblicare per primo la scomoda notizia perché ha lefonti e la credibilità per farlo. Chi detta l’agenda”.

“Come il tuo direttore”.“Sì, proprio come lui: può vantarsi di aver fatto cadere

tre governi, di aver distrutto o sostenuto politici. Di avergovernato più di tanti ministri. Lui è capace di creare dauna banale notizia un caso nazionale. Molti fatti senza ilsuo intervento sarebbero rimasti fuori dal cono di luce”.

“Lo fa nell’interesse del paese, per la propria fama o pergli interessi dell’editore?”

“Per tutti questi motivi. È la democrazia, così imperfet-ta e così insostituibile”.

“Su questo siamo d’accordo. Sul resto meno, ma nediscutiamo un’altra volta. Domani non è vacanza”, aggiun-go un sospiro e un purtroppo.

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“Hai detto purtroppo?”“Anche le rocce crollano. Paghiamo e andiamo”.“Piano, piano. Come corri, una signora invitata da me

non può pagare. Ne va della mia immagine”.“Ok, grazie, la prossima volta ti invito io e andiamo in

pari. Cesarone mi chiamerà un taxi?”“Se vuoi che ti accompagni a casa dillo. O le donne del

tuo stampo non chiedono mai?”“Giusto per chiarire, se metto i tacchi o sono stanca non

prendo il motorino. Così non restano che due alternative: omi fai chiamare il taxi o mi accompagni a casa. Scegli”.

“Dipende da dove abiti. Anch’io sono molto stanco”.“In via delle Marmotte undici”.“Mi sei di strada. E poi a quest’ora trovare un taxi

richiede più tempo che portarti. Andiamo. Ciao Cesarone”.“Arrivederci Giova’. Signorina torni presto, magari

entro le dieci così assaggerà qualche altra specialità delnostro Mohammed”.

“Volentieri, è un posto davvero simpatico il suo”. Erivolta a Giovanni aggiungo: “Senza gli immigrati nonmangeremmo più neanche la carbonara”.

“Hai ragione, se tutti assaggiassero questa carbonaranessuno più sarebbe contro gli stranieri”. Ridendo ci allon-taniamo.

Forse il peggio è passato: finalmente Giovanni si è fattouna risata.

Luisa e Giovanni

“Un quartiere popolare. I tuoi compagni di partito in gene-re preferiscono costosissimi palazzi del centro storico”.

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“Non discuto le scelte degli altri. Io sono come sono emi trovo molto bene qui. Era l’appartamentino di mianonna, la mamma dell’idraulico. A pochi passi da casa c’èancora il mercatino rionale. La mattina scendo e anche senon devo comprare nulla faccio quattro chiacchiere con lasignora Assunta che vende le uova. O con Rosalba dei fiori.O con Mario del pesce. Mi aiutano a restare con i piedi perterra. Col nostro lavoro rischi sempre di perdere il contattocon la realtà. Anche col tuo, no?”

“Sì. Spesso finisci per vedere solo gli intrighi di palaz-zo. Ma io ho vissuto troppo tempo con due lire per poterperdere il buon senso. Siamo arrivati. Lasciami dire che èstato un piacere”.

“Anche per me. Ci sentiamo, e grazie per la cena e lacompagnia”.

“Figurati, aspetta a ringraziare quando avrai letto...”,scherza, ma ha una luce maliziosa negli occhi scuri e pro-fondi, che non promette niente di buono.

Inch Allah penso, mentre i miei di occhi si chiudono perl’effetto combinato di vino, carbonara e stanchezza.

Eppure non posso ancora dormire, devo chiamareCorradi, che me l’ha chiesto esplicitamente.

“Pronto, maestro? Scusa l’ora ma sono tornata soltantoadesso. Non so valutare come sia andata, ma non mi sem-bra di aver detto nulla di sconveniente”.

“Ti ha chiesto qualcosa dei tuoi rapporti con gli altridirigenti, col segretario?”

“Battute. Nulla di specifico mi sembra. Però, devo con-fessarti, sono talmente stanca...”

“Vai a letto allora, e domattina, appena arrivi al partito,sali da me. Io sarò già lì”.

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X

Nei miti della creazione dei Nativi americani Coyote compare nelle vesti del creatore stesso.

Alcuni politici a volte si sentono Dio, ma non hanno la sua clemenza.

Luisa

Maledico Mohammed e la sua carbonara. E me stessa pertutto il casino che ho combinato: ritardo, senso di colpa,scelta di un piatto sbagliato... La mattina arriva con un cari-co di mal di stomaco e mal di testa, e il pensiero di ciò chem’aspetta aumenta il macigno sullo stomaco.

Mi guardo allo specchio. Faccio la smorfia che millevolte ho visto fare a mamma: tiro fuori la lingua per vede-re se ha la patina biancastra da cattiva digestione e fegatostressato. Infatti. Una tazza di acqua calda con una bucciadi limone è l’unica cosa che sopporto quando mi alzo inqueste condizioni. Mi sento uno straccio e mi vedo comeuno straccio strizzato da poco: colorito grigiastro e aspettostropicciato. Mi ucciderò andando avanti così. Come inquei film francesi, ma quelli almeno morivano da gour-mand, io morirei di carbonara, non è neanche fine. Forse haragione Mara, è il momento di dare ordine alla mia vita,

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farmi una famiglia e stare a casa la sera a mangiare mine-strine coi figli.

Scuotendo la testa sciolgo i capelli che il mollettone nonriesce a trattenere: “Prima la nomina, poi si vedrà”.

Il telefonino vibra. È un sms: dice che è stato mandatoall’una e quarantacinque. Incredibile, il gestore telefonicol’ha recapitato sei ore dopo: “Buona notte. Sono statobenissimo. Peccato non mi hai detto nulla di sconveniente!Giovanni”.

Carino il ragazzo, ha del garbo. Oppure è un sadico chem’illude per poi darmi una mazzata con l’articolo? Anchecol dubbio il messaggio migliora il mio umore.

Arrivo al partito. Un’occhiata ai giornali prima di andare arapporto da Corradi, e poi chiamerò Lorenzo che m’ha cerca-ta a raffica. Acque agitate, evidentemente. Fidarsi del vermemai più, ma sapere cosa vuole può essere utile. Attacco i quo-tidiani di malavoglia: da quando so che qualcuno potrebbescrivere di me ho una certa resistenza alla lettura.

Non ci posso credere, ululo sola nella stanza. Come ighetti ebrei dell’antichità, come a Berlino dopo la guerra,come in Palestina con Sharon: a Prato il comune ha alzatoun muro. Pannelli d’acciaio su un basamento di cemento.La barriera è alta tre metri e lunga ottantaquattro intorno adue caseggiati in via Soriano, il quartiere degli immigrati.Me lo sentivo che lì sarebbe successo qualcosa: ci sonostata due mesi fa. Sono tornata sconvolta, dicendo al segre-tario: occupatene in prima persona, lì c’è una bomba a oro-logeria. Inutilmente.

Eugenio aveva fatto spallucce e nascondendo il cinismosotto quella che secondo lui è saggezza politica: “Ti preoc-

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cupi troppo. Abbiamo dei capaci amministratori, lascia chese la sbroglino loro”. Aggiungendo: “Quella degli immigratiè una faccenda molto delicata: se va bene non porta voti, seva male te ne leva a quintali. È un pannolino intriso di merda,come lo tocchi ti sporchi le mani e ne schizzi ovunque”.

Una risposta chiara, di quelle che lui normalmente evita.Dunque ecco perché mi ha lasciato scorrazzare: se le

mani me le sporco io, a lui che gliene frega. In quelmomento ho deciso di cambiare settore. Non sono il pariadi Sinistra Unita, trovino qualcun altro per il gioco del pan-nolino.

Ma la mobilità nel partito è a incastri. È veloce solo sefai molto male o pesti piedi molto influenti. In tutti gli altricasi è lentissima e comporta il movimento di un’interacatena: quelli che avranno vantaggi e quelli che resterannofregati. Così, nonostante le sue dichiarazioni e le mie inten-zioni, ho continuato a occuparmi della sfiga del mondo, delpannolino merdoso.

Sono stata stupida: avrei dovuto capire allora che tipo èEugenio e quanto scarsa fosse la sua considerazione perme. Un uomo sleale, degno compare del verme.

In coscienza forse io non potrei parlare di coerenza e dilealtà. La mia coerenza non ha retto alla prima prova.

Io e Marco eravamo studenti, pieni di speranze, pieni dientusiasmo e di illusioni. Un po’ gradassi, molto generosi.Sempre insieme. Il partito ci guardava con interesse. Io nonero convinta di uscire dal movimento. Ma il segretario dellafederazione ci lusingava. Ci diceva: non importa se nonavete la tessera, venite a vederci da vicino, magari ci piac-ciamo a vicenda.

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La prima volta che l’ho tradito l’ho fatto quasi senzaaccorgermene, con naturalezza. Ero sola quel giorno,Marco non c’era non so come mai, eravamo inseparabili. Ilsegretario provinciale mi dice: “Uno di voi due può rappre-sentarci in una grande convention internazionale. Ci saran-no i segretari dei partiti di tutta l’Europa, un buon modo perconoscere e farvi conoscere. Chiedi a Marco, parlatene.Decidete voi chi partirà”.

“Che gliene parlo a fare”, gli dico di botto. “Scegli me.Sono già stata all’estero, mia sorella vive a Bruxelles finoal mese prossimo, mi faccio ospitare da lei e il partitorisparmierà l’albergo. E poi”, aggiungo subdola, “Marconon ha neanche il passaporto, non parla le lingue, inutilechiederglielo”.

Il segretario mi guarda e commenta: “Sì, sei il tipo giu-sto per competere. Lasciamo stare Marco, ha troppo buoncarattere”.

Lo amo come un fratello, ma fra lui e la carriera non hoesitato: non si può ottenere qualcosa di grande senza sacri-ficare qualcuno. Sono andata. Tornando gli ho portato unorribile oggetto: l’Atomium formato 10 per 10, come unaturista qualunque.

Via Soriano entra a pieno titolo nella categoria pannolinisporchi, ed è un luogo indimenticabile per chiunque.

Non c’era ancora il muro quel giorno. Ma c’era già tantasofferenza.

Ero entrata nel quartiere con Alì, un giovane egiziano,tipo sveglio, ragioniere al suo paese, pizzaiolo da noi, chefa politica e si batte come un leone per i diritti degli immi-grati e perché la gente capisca la loro condizione.

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Alì m’aveva avvertita: “Ti porto a vedere l’inferno dal-l’interno. Non ti piacerà”.

Si era fermato davanti a un portoncino stretto cercandocon gli occhi il mio consenso. Scesi pochi scalini, due o treal massimo – il tempo di abituare gli occhi alla semioscuri-tà, e il naso a un odore insopportabile – quello che si era pre-sentato davanti a noi era uno spettacolo orrendo e difficile dadescrivere. In un unico locale di cento metri circa, un granmucchio di persone aveva diviso gli spazi in un tentativo diconvivenza. I ricchi che potevano permettersi il séparé ave-vano appeso un qualunque pezzo di stoffa lurida a un filosteso tra un pilastro e l’altro. I più non avevano nulla perdelimitare lo spazio di un metro tutto intorno al letto: il lorospazio. Moltissimi i letti: il colpo d’occhio non bastava acontarli. Un unico lavandino di acqua fredda per le puliziepersonali e delle stoviglie. Accanto a ogni letto o gruppo diletti, sacchi e sacchetti di plastica, residui alimentari e un for-nellino acceso per più e più ore al giorno. Infatti ogni lettoserviva due turni di sonno. Giovani adulti, perlopiù dellastessa etnia, dividevano il giaciglio ma non la spesa. Perchéil proprietario del locale, un italiano senza coscienza, affitta-va il letto a turni. Ogni turno gli fruttava trecento euro almese. Il gabinetto era uno solo, come il lavandino. Ogni reli-gione ha le sue esigenze alimentari, e ogni etnia le sue abitu-dini. Ecco perché tanti fornelli. Il risultato era una puzzastantia e mista di aglio, zenzero, curry, spezie fortissime, cherestava pesante in sospensione nella poca aria di quel postosenza finestre e con una sola porta, impregnando gli abiti, lelenzuola e ogni altra cosa.

Lo stesso proprietario del locale era anche il fornitore diombrelli, fazzoletti, accendini, insomma la merce che i

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poveretti erano costretti ad acquistare da lui che così lucra-va ugualmente sul loro lavoro e sul loro riposo. Finito ilturno di sonno gli inquilini-venditori sciamavano per lestrade con la mercanzia. Mentre il padrone di quella casaindecente stava comodo ad aspettare di riscuotere.

Appena uscita avevo cominciato a respirare a pieni pol-moni per ributtare indietro il senso di nausea che mi avevastretto lo stomaco.

“Sono contento che tu abbia visto con i tuoi occhi”, midice Alì portandomi via.

“Come possono accettare questa vita?”“Qui stanno meglio che a casa loro, e comunque hanno

impegnato risparmi e i prossimi tre anni di lavoro per ivisti, il viaggio. Tutti s’illudono di fare fortuna, come gliamici e parenti tornati indietro con i soldi per comprarecasa e mantenere tutta la famiglia. Ognuno racconta il pro-prio successo, nessuno racconta cosa gli è costato. E poil’Italia è lontana, molti guardando la tv di là dal mare pen-sano che la gente viva come negli spot, o nelle trasmissio-ni tutte lustrini, belle donne, premi facili. Non ridere, pur-troppo è così. Ti ho mostrato una situazione, ma non è lapeggiore. La peggiore vieni con me e la vedrai”.

Pochi metri e arriviamo a uno dei ponti sul Bisenzio, quasinella periferia cittadina. Ci affacciamo. C’è un incredibilenumero di persone, tutti giovani uomini, nascosti agli occhidei passanti. Stanno accalcati a contendersi un posto sottol’arcata, che li ripari un minimo dall’umidità, tutti nellostesso verso come le barche allineate dalla corrente nelporto, come le bare quando i soldati morti tornano a casa.Sono di età indefinibile, fra i venti e i quaranta, circondati

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da stracci e sacchetti di plastica. La povertà, la miseria, lamancanza di pulizia quotidiana e di pasti caldi regolari ren-dono difficile individuarne l’età precisa: sembrano tuttivecchi. Ma non lo sono, non possono esserlo: se non si ègiovani e forti e determinati non si può resistere a certecondizioni.

Eppure, cercano di mantenere una qualche dignità.Hanno accanto tutte le loro cose, dai vestiti di ricambio auna copia di vecchi giornali, qualche scatoletta: il loro kitper la sopravvivenza. Si sente il fiume che scorre abbastan-za placidamente sotto di loro, anzi accanto a loro.

Alì spiega: la cosa peggiore è quando dal fiume, attrattidall’odore, salgono dei topi giganteschi. Perciò, e perdifendersi dai razzisti e violenti di vario genere, dormono aturni, mentre altri fanno la guardia. Quando ci riesconomangiano un piatto caldo alla Caritas o da suor Teresa diCalcutta, e si vestono grazie alla carità di qualcuno.Quando i vestiti sono troppo sporchi li buttano. I vestitiglieli regalano, lavarli costa.

Ero senza parole. Con quelle immagini negli occhi. E que-gli odori. E pensieri amari: la vita è la lotteria degli sperma-tozoi. Nasci dalla famiglia giusta nel paese giusto e seisalvo. Nasci nel posto o nel momento sbagliato, e sei con-dannato. Pietà e rabbia si fondono. L’indifferenza degli altriè un vero tormento.

Torniamo in via Soriano. Gli appartamenti erano nati peressere affittati agli studenti universitari a un prezzo assolu-tamente più caro del loro valore, ma alla portata di ciò chele loro famiglie stanziavano per farli studiare. Accessibiliquindi anche a nuclei numerosi e poveri. Più poveri dei

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poveri sono gli extracomunitari poveri, gente per bene egente per male, lavoratori e spacciatori, lavoratrici e prosti-tute. Un campionario umano insediatosi alla spicciolata.Tutti un po’ alla volta hanno trovato in via Soriano unacasa, un luogo per i loro affetti, per i loro affari, a volte leci-ti, a volte no. Attratti dal basso costo e dal richiamo dei lorosimili. Oggi sono più di mille. Fra loro, come spesso acca-de, una minoranza prepotente e urlante soffoca le aspirazio-ni della maggioranza perbene, silenziosa e impaurita.Risultato: una situazione certamente insostenibile per ivicini italiani e per gli extracomunitari onesti.

Avevo provato a parlare con il sindaco, che mi aveva rice-vuta per pura educazione di partito. Nessuna apertura,nessuna concessione, “Io ho il dovere di pensare innanzi-tutto ai cittadini di Prato”, aveva detto. “Le questioniumanitarie vengono dopo”. No, Pieri non mi era piaciuto,superficiale e arrogante. Un trombone. M’aveva liquidatacon una raccomandazione: fatti gli affari tuoi. Avevoreplicato che in una comunità se una parte sta male anchel’altra ne risentirà. Poi avevo taciuto. Se c’è una cosa cheho imparato a decifrare all’istante, sin da bambina, è lanatura di ogni interlocutore. Pieri è impermeabile a ragio-ne e sentimento, capisce solo i rapporti di forza. Megliorisparmiare le energie per il segretario: ci penserà lui aconvincerlo.

Con Eugenio non era andata meglio. Ricordo ancora ilsuo sorriso di sufficienza al mio racconto. Di fronte allamia indignazione aveva scosso le spalle come a dire: tirendi conto che ho cose più rilevanti di cui occuparmi,ricordandomi il discorso del pannolino. Liquidata anche da

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lui. Con una raccomandazione differente: scegli nemici allatua portata. Pieri non lo è.

Inutile controbattere, Eugenio è sordo quando non vuolsentire. Oggi, a distanza di un mese da quella visita, miparla di emergenza. La soluzione invece non gli era chiaraallora e non gli è chiara nemmeno oggi.

Un muro d’acciaio. Per nascondere il problema. Per noninfastidire i bravi cittadini di una città ricca in uno statoricco e senza pietà. Se potesse la sera il sindaco li chiude-rebbe tutti dentro col catenaccio, liberandoli la mattina perfarli lavorare. Poi si stupiscono quando la rabbia fa perde-re la testa alla gente e scatta la ribellione.

Qualcuno pensa che un muro sia una difesa, per me èun’offesa. Qualcuno pensa che lo difenderà dai malinten-zionati. Io penso a tutto quello che mi impedisce di vedere.La natura e la gente con le sue speranze e le angosce. Lefragilità e le grandezze.

Il muro è un’offesa alla mia vista.Il muro era un no detto da mio padre quando ero piccola.

Oggi è un rifiuto ingiusto, come quello di Eugenio.Un muro è quel buco nero che inghiotte le persone care

quando muoiono. Un muro è un ostacolo fra me e la felicità.Detesto i muri.

È arrivato il momento di affrontare Corradi e riordinare leidee. Sono ancora sotto shock per quello che ho letto.

“Posso?”“Vieni, vieni. Sono curioso”.“Non so dare un giudizio sulla serata: ho i nervi a fior di

pelle e un nodo allo stomaco. Quei poveretti di Prato...”

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“Il sindaco sì è un poveretto, stretto fra i benpensanti equelli come te. Mi fa piacere che tu senta disagio. Quandoti dicevo che bisognerebbe far entrare solo le persone chesiamo in grado di accogliere in modo conveniente, a questomi riferivo. Ma capisco che la demagogia è più attraente.Dimmi di te”.

Il riferimento alla nostra prima discussione è chiaro.Corradi è in grado di farmi sentire una stupida senza insul-tarmi. Non è il momento di controbattere, adesso devoriportargli fedelmente l’incontro con Mustacchi.

“Che dire? La serata è iniziata con difficoltà, ma non misembra sia finita male”, e decido di fargli leggere l’sms delgiornalista.

Il maestro sorride sornione e mi guarda come se volesseleggermi nel cervello: “Se non hai fatto nulla di sconvenien-te mi sembra che la cosa sia andata bene. Forse è meglio cheio faccia una telefonata al direttore per garantirmi che ilpezzo esca. Visto che, a quanto mi sembra di capire, non saràpoi così cattivo. Resta qui e ascolta in silenzio”.

Compone il numero dal suo cellulare. “CarissimoEnrico. Ma quando uscirà il pezzo su Luisa Alunni?Domani? Ti conviene. Sai, oggi con questa questione delmuro... lei è quella che più di tutti si è occupata dell’emi-grazione, per noi. E credo stia anche preparando una cam-pagna su questo tema. Sì, il muro è una nefandezza, il risul-tato di politiche sbagliate: troppo permissive da una parte etroppo restrittive dall’altra”, il direttore dice qualcosa chenon posso sentire, ma Corradi continua, rispondendogli: “èun tipo intrigante. A volte sembra un soldatino obbediente,poi d’improvviso scatta e non si trattiene più. Sì, tienilad’occhio, è una che farà carriera e a me tutto sommato non

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dispiace. Siamo pieni di zombie, lei almeno è viva. Nonposso dire che sia nella mia squadra, ha delle posizionitroppo radicali, ma vedrai che crescendo ci ripenserà. Ciao,stammi bene”.

Mi guarda evidentemente soddisfatto: “Ecco, anche sehai fatto qualche sciocchezza dovrei aver rimediato. Verràben collegato al pezzo su Prato che, a meno di nuovi scon-volgimenti in Medio Oriente, avrà ancora un bello spazio inprima”.

“Come fai a saperlo?”“Non puoi fare politica se non sai pesare tutti gli ele-

menti. E l’informazione è uno dei più importanti”.“Tu non la analizzi, la manipoli”.“Quello che scambi per manipolazione è semplicemen-

te il mio modo di condurre il gioco – gli scacchi, ricordi? –su più tavoli e con più tattiche, come i campioni. Non mani-polo, dispongo i pezzi e stabilisco la strategia. L’altro hapiena libertà di scegliere come contrastarmi. Se non èall’altezza, che c’entro io? Manipoli quando inventi fatti oprove che non esistono, ma io ho sempre giocato corretto.Certo, come protagonista della politica sono anche unafonte di fatti, non li invento, al più li creo”.

“Come la trappola del bar...”“Per carità, non andiamo su sciocchi dettagli. Non ho

indotto nessuno a parlare”, e ridendo sotto i baffi aggiunge:“semmai qualcuno ad ascoltare. A dopo, ora ho da fare”.

Non sono ancora disposta ad andarmene: “Se lasciamoquesta faccenda di Prato in mano al segretario che succederà?”

“Hai ragione. Farò in modo che ci chiami per una riunio-ne. Ora davvero lasciami lavorare un po’”.

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Luisa e Giovanni

Passo il resto della mattinata a leggere articoli e documen-ti e a pensare a come uscire dall’impasse del maledettomuro. Il segretario non c’è, tornerà a ora di pranzo, holasciato la chiamata.

In questo momento Mustacchi starà scrivendo e mentreci penso mi viene una nuova botta di gastrite. Per Corradi èun gioco, per me molto meno. Ne va della mia carriera.Decido di ignorare il mal di stomaco e chiamare. Dal tonodella voce capirò il tono dell’articolo. Forse.

“Giovanni? Sono Luisa. Non voglio sapere cosa scrivi machiederti ancora scusa per ieri sera. Sono stata imperdonabi-le. Ora che il panico mi è passato confesso: ero così in ansiaal pensiero di incontrarti, e che mi avresti trovato insoppor-tabile e sciatta, come già avevi notato, che lo stress mi hafatto addormentare davanti alla tv, e meno male che mi haitelefonato. Altrimenti non sarei proprio arrivata, mi sareisvegliata stamattina e pensando a ciò che avevo combinatosarei emigrata in un altro continente”.

L’ho detto tutto di getto, senza riflettere o aspettare che luirisponda.

Per fortuna lo sento ridere: “Prendi fiato. Mi dispiacereb-be fare di te un’emigrata... di questi tempi. La tua confessio-ne mi fa piacere. Ero molto indispettito: pensavo che fossirimasta impigliata in chissà quali faccende mega, e che ilpovero cronista non meritasse neanche di essere avvertito.Sono contento di sapere che sei umana, col sonno e la famee tutto il resto. Comunque, a parte l’attesa, sono io che rin-grazio te. Mi hai fatto scoprire una donna interessante”.

“Guarda, di me pensa ciò che vuoi, ma l’idraulico mi hadato un’educazione rispettosa del prossimo. Se capiterà di

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vederci ancora, sappi che solo un gravissimo impedimentoo un sonno profondo possono impedirmi di essere puntua-le. Comunque grazie a te. Sono stata benissimo. Domani tileggo e poi ti chiamo”.

“Se il pezzo ti piacerà, altrimenti non telefonare per insul-tarmi. Chiama quando sei pronta per portarmi a cena. Comeuomo, e non come giornalista. Ti vesti da pantera e andiamoda Cesarone che è rimasto molto colpito da te. Ciao”. Il tonoè abbastanza amichevole. Ma non c’è da fidarsi, è un carrie-rista a cui hanno chiesto un pezzo maligno. Farà quello chegli hanno commissionato fregandosene di me. Poi penso aisuoi occhi, castano scuro color liquirizia, profondi e non cat-tivi: non è possibile che sia così perfido come dicono. Inutilepensarci ancora. Meglio concentrarsi sul muro d’acciaio.Devo essere pronta quando il segretario mi chiamerà. Sia perimpedire al verme di farsi avanti. Sia per evitare che il parti-to abbracci ricette sciagurate.

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XI

Il coyote non ha memoria. Il politico ha memoria di amici e nemici.

Le cellule del nostro corpo hanno memoria del dolore.

Luisa

Spesso mi tornano in mente voci e volti delle donne di viaSoriano. Con il loro carico di ansie personali, la preoccu-pazione per il presente e il futuro dei figli, dei mariti edegli anziani. Le donne con il loro carico di umanità. Conla giornata terribilmente faticosa sulle spalle, comebadanti di vecchi astiosi per la malattia e la solitudine ocollaboratrici di famiglie che neanche le vedono. Donneche alla fine di una giornata estenuante preparano un piat-to caldo per il marito che ogni giorno ha una ruga in più.Facce come rami di ulivo, dure ed espressive come ramidi ulivo. Anime forti e generose come l’ulivo che non sipiega e non si spezza, ma muore solo col gelo. Una cara-mella per il più grandino, una carezza per il più piccoloche è stato troppe ore senza madre e padre in un posto chenon li ama. Le donne con la loro richiesta di una vita nor-male e di speranza.

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Le donne. Mio padre faceva finta di disperarsi: tre donne incasa! Ma sotto sotto era contento di non avere la concorren-za di un altro maschio.

Credeva nella parità. Ma soffriva un po’ della grandepersonalità della mamma. Lei era il centro del nostromondo. Non del mondo domestico, anzi forse di quello ilvero centro era lui. Ma per tutto il resto era inarrivabilesecondo noi tre: mio padre, mia sorella e io.

Era forte perché credeva nella forza delle donne, nellatenacia delle donne, nella sensibilità delle donne. La suaforza era nella ragione, ma soprattutto nella convinzioneche un mondo migliore bisogna prima di ogni cosa volerlo.Nei momenti peggiori, più bui, non l’ho mai vista scorag-giarsi. Mia madre era forte come la terra. Mutevole come ilmare. Con l’energia di un vulcano spento che non buttafuori distruzione ma buone correnti calde e curative.

Mia madre aveva una personalità che prescindeva da ciòche faceva. Si imponeva con un sorriso o uno sguardo.Pochi minuti, alcune frasi e l’attenzione degli altri era perlei. Aveva un fascino indipendente dalla bellezza. Ed eraanche bella. Non carina. Non graziosa. Proprio bella diquella bellezza che viene da dentro e illumina i lineamenti.

Mia madre era invincibile e diceva che una donna nonottiene solo ciò che non vuole: non c’è nulla che una donnanon riuscirebbe a fare per uno qualunque dei suoi figli.Smuoverebbe le montagne e rivolterebbe i governi, scon-figgerebbe i generali. Se un figlio chiama, una madre c’èsempre, diceva lei.

Le donne sognano la perfezione e l’armonia. Sognano dipiacere ed essere compiaciute. I conflitti, il sangue di cui èfatta la politica non piacciono alle donne.

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Lei invece era una brava politica. Molto molto più bravadi papà, che amava piuttosto discutere, era a suo modo uncomiziante. Al primo incontro tutti prendevano a riferimen-to lui: così brillante, capace di fulminare l’avversario conuna battuta e di avvolgerlo nei suoi ragionamenti. Dalsecondo in poi lei era vincente, a volte suo malgrado: perl’equilibrio interno alla coppia avrebbe volentieri lasciato alui la scena, ogni tanto. Il marito, il compagno di una vita,un po’ era orgoglioso di lei e un po’ soffriva. E si sbraccia-va e urlava per contestarla. Subiva il suo fascino come ilprimo giorno. Non era più la biondina che l’aveva folgora-to. Ma era la donna che l’aveva definitivamente conquista-to. Nessun’altra reggeva al suo confronto.

Di una sola cosa aveva paura, per modo di dire. Temeva ideboli. Alle volte lo diceva ridendo. Altre volte lo dicevaserissima, l’umore dipendeva dagli incontri della giornata: setorno a nascere farò la svenevole, la damina bisognosa d’aiu-to. Ricordatevi, figlie mie, di guardarvi dai deboli. Con lascusa che non ce la fanno, che il mondo è troppo cattivo eduro per loro, ti risucchiano in un vortice. Ti dicono o ti fannocapire che sono venuti al mondo per essere protetti e proteg-gerli è un tuo compito. Ti succhiano ogni energia con la scusache non ce la fanno e devono appoggiarsi a te. Ti spremonocome un limone dandoti l’opportunità di dimostrare la tuabontà d’animo, la tua efficienza. Ti eleggono a paladino dellaloro causa, tanto tu sei forte, e così facendo la tua forza nutrela loro debolezza. Si placano solo quando sei diventato trop-po debole per soccorrerli. Sì, i deboli sono devastanti.

Un po’ del suo spirito ha resistito anche alla malattia chel’ha devastata, resa irriconoscibile, deturpata e uccisa, manon del tutto sconfitta.

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D’improvviso l’idea prende corpo. Quando si pensa agliimmigrati si pensa agli uomini: gli invasori, i guerrieri, ilpericolo. Le donne al contrario sono l’accoglienza, il soste-gno. Mobilitare loro contro l’ottusità del sindaco e la cru-deltà dei delinquenti, questa è un’idea.

Chiamo Giustina, un passaggio obbligato: è la responsa-bile femminile, non posso scavalcarla.

“Scusa Giustina, c’è una rete di donne a Prato?”“Non forte come in altre zone della Toscana, ma sì.

Perché?”“Mi è venuto in mente... devo sapere se vuoi aiutarmi”.“È già la seconda volta in due giorni che mi chiedi aiuto.

Che ti succede?”Le spiego per sommi capi. L’altra non si sbilancia a parte

un mugugno che potrebbe anche essere di approvazione.Comunque decido di prenderlo come tale: “Parlo col

segretario e se lui mi dà il via ti richiamo subito”.

Luisa e il segretario

Il segretario è tornato. Ma ancora non telefona. Ho bisognodi parlargli al più presto, perciò salgo senza preavviso. Hofortuna: Giuseppina è andata a mangiare. Niente pretoriani,niente anticamera. Busso ed entro.

“Buongiorno Eugenio. Ho l’idea che cercavi: sarà una fortecampagna d’opinione, e un modo di arginare il fattaccio”.

“Quale fattaccio?”“Il muro di Prato, ovviamente. Roba da fascisti”.“Non ti consento di parlare così di un compagno come

Pieri”.

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“Davvero sono l’unica a pensare che quel muro non hanulla da spartire con la nostra storia?”

“Siamo un partito nuovo, non capisco perché una giova-ne come te debba sempre guardare al passato. Dobbiamorispondere al presente, che è fatto di problemi troppo seriper la demagogia. E costruire un futuro migliore...”

Il comizio no. Non lo sopporto. Perciò lo interrompo colmio tono più conciliante: “Non sono venuta a disturbartiper discutere di presente o di passato, anche se spero cheprima o poi ce ne sarà l’occasione. Ti porto un’idea. Ledonne non fanno paura. Organizziamo le immigrate cheformino insieme alle nostre compagne una catena umanaintorno al muro di via Soriano. Ne chiederanno l’abolizio-ne, assieme a un’azione decisa per punire i delinquenti.Abbracceranno l’isolato sotto la protezione della polizia ela lente dei media per tre giorni, costringendo così gli spac-ciatori a disperdersi e andare da qualche altra parte. Che nepensi? Dimmi di sì, ti prego. Organizzo tutto io, ma tudimmi di sì”.

Mi guarda con aria stupita e un po’ divertita: “Vedo chehai preso a cuore un’altra causa persa. Questo è tipico di te.E cosa pensi che risolva la catena femminile, ammesso chetu riesca a farla?”

“So che è una cosa complicata. Ma voglio provarci: conla catena di donne richiameremo l’attenzione dei media, ledirette tv, tutto scoraggerà e metterà in fuga gli spacciatori.E convincerà l’amministrazione a fare qualcosa di concre-to e più umano. Ti prego, Eugenio, fammi tentare. Non sop-porto che un nostro sindaco faccia concorrenza alla destraxenofoba. È un anno che mi tieni a far nulla studiandoquesti problemi. Ora dammi credito”.

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“Pensavo che tu volessi abbandonare gli immigrati alloro destino e a un altro dirigente. Che concentrassiambizioni ed energie nel diventare portavoce, ma chi ticapisce. Se vuoi provaci. Naturalmente se Corradi è d’ac-cordo. E la campagna d’opinione che ti ho chiesto?”

“Se la mia azione riesce, in pratica una campagnad’opinione l’avremo già cominciata. Si intitoleràFermezza e solidarietà”.

“Se non riesce, se mancherà anche una sola donna perchiudere la catena, ti e ci coprirai di ridicolo fino allo sto-maco. Hai pensato anche a questo?”

“Chi non risica non rosica dice mio padre, l’idraulico”.Ho lanciato la frecciata di proposito per troncare la

discussione. Eugenio alza le spalle e bofonchia “comevuoi”, chiama Corradi e gli chiede di raggiungerlo.

“Arriva. Hai alcuni minuti a disposizione per trovareargomenti che convincano quel gran rompiballe, perchésu questa materia se lui dice no, io non posso oppormi etu diventerai la barzelletta del palazzo”.

Evidentemente Eugenio non sospetta del nuovo lega-me fra me e Corradi, o forse sì e mi provoca apposta. Inogni caso io non reagisco.

Mi appoggio comodamente allo schienale della sediae inizio a pensare alle parole da usare per fargli capire,senza dirglielo, che parlando con il segretario non inten-devo mancare di rispetto a lui.

Corradi arriva e si siede senza aspettare l’invito del segre-tario. Mi guarda interrogativo e non mi rivolge la parola.Eugenio inizia con prudenza.

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“Luisa ha avuto un’idea che potrebbe rispondere all’esi-genza di cui parlavamo prima io, te e Lorenzo. Luisa, spie-gala tu stessa al compagno Corradi e sii concreta”.

Non mi faccio condizionare né dal suo sorriso scettico, nédalla faccia di sfinge di Corradi. Anzi, parlo rivolgendomiesclusivamente a lui e concludo guardandolo diritto negliocchi: “Ti prego, lasciami tentare. Sono stata a via Soriano,è durissima... Non condanniamo quei poveretti a uno stato dipolizia. Non se lo meritano e non ce lo meritiamo”.

Passa qualche secondo, lungo e pesante, poi Corradifinalmente parla con voce bassa e dura, guardando alterna-tivamente il segretario e me: “Sarei tentato di dirti di no: iosono il responsabile e tu mi hai scavalcato. Ma siamo inemergenza, perciò d’accordo, proviamoci. Però d’ora in poilavorerai a stretto contatto con me: non voglio essere trasci-nato nel ridicolo. Già vedo i titoli dei giornali: SinistraUnita manda allo sbaraglio un gruppetto di donne contro lepallottole degli spacciatori”.

“Non li leggerai”, lo interrompo, “perché titoleranno:Sinistra Unita abbandona la linea repressiva e sceglie lemadri coraggio”.

“Non sarà facile. E ti avverto, non sopporto le personesleali e approssimative. Dal momento che il segretario èd’accordo andiamo da me e iniziamo a lavorare”.

Uscendo abbassa la voce ancora di più: “Eugenio pensadi aver dato una doppia fregatura: a me, mollandomi unagran gatta da pelare e una pivellina per aiutarmi. E a te per-ché ritiene che ti rovinerai con le tue stesse mani. Vedremo.Cerchiamo di capire su quali forze possiamo contare. Vistoche l’input viene dall’amato boss magari Giustina si con-vincerà ad alzare il telefono”.

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Ho un momento di esitazione, Corradi si arrabbierà dinuovo: “Se pensi alle donne del partito, poche chance, misembra. Gliel’ho chiesto prima dell’ok del segretario”.

“Non è poi un grave danno. Non più grave di quello cheprovochi sovvertendo l’ordine gerarchico ogni cinqueminuti. Non voglio ripeterlo: lealtà e precisione”.

La giornata prosegue meglio di come è iniziata: per laprima volta dopo tanto tempo ho un incarico concreto,posso realizzare una mia idea, e con le spalle coperte dallagrandissima esperienza di Corradi. Ogni tanto lo guardo disottecchi e osservo il suo modo di lavorare metodico, quasimaniacale, eppure con un guizzo di divertimento negliocchi. Raccoglie i documenti, li legge e li analizza. Li com-menta facendo delle note a margine con una penna rossa euna scrittura ordinatissima, minuta e decisa. Poi ci tornaancora su e chiede a me di annotare le telefonate da fare, lepersone da contattare. Alla fine risulta un piano d’azione alquale aggiunge date e priorità. Le ore passano senza che mene accorga o ne senta il peso.

Corradi ha voluto la rassegna stampa degli ultimi giornisull’emigrazione, poi tutti i documenti politici prodottinegli ultimi tre mesi sul tema. Mentre li studia compila trefogli. Sul primo, con la solita grafia aguzza e a tratti strana-mente curva scrive: attori. Su un altro: compartecipi. Sulterzo: avversari. Me li mostra e spiega che gli attori sonoquelli che devono acconsentire, altrimenti non se ne fanulla. I compartecipi garantiscono il potenziale successoperché aderiscono solamente se fiutano aria di vittoria. Gliavversari, be’, non c’è nulla da spiegare, vanno semplice-mente neutralizzati.

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Mi sembra strano non averlo praticamente conosciutofino a pochi giorni fa: ha un modo di essere che ti entradentro. Mi starà plagiando? Misuro la differenza con tutticoloro che conosco e con i quali ho lavorato. Sono fiera diessere in squadra con lui. Poi, d’improvviso, mentre faccioquesti ragionamenti ho un sussulto: e se fosse tutto un tra-nello? Chi mi garantisce che non mi stia conducendo agrandi passi verso il baratro?

Nessuno. Devo fidarmi. L’uomo è impenetrabile, eppu-re così diretto. Non è buono, ma è il contrario di cattivo, ilcontrario di maligno, non mi viene l’aggettivo per definir-lo. Contenuto e passionale. Un uomo davvero speciale, difronte al quale gli altri dirigenti del partito diventano sago-me su uno sfondo.

“Chiama Giustina. Per quanto sgradevole e inconclu-dente è necessario. E devi farlo tu”.

“In quale foglio la scrivi?”“Nel numero due spero. Ora hai un’arma in più. Se non

collabora è come se dicesse no a Eugenio. Faglielo pesare”.“Ma se collabora dice no a Mara”.“Non è un problema nostro. Se invece non la chiami

quello diventerà un problema per noi”.“A te non direbbe di no”.“Lascia a me le questioni più grandi, e sbrigati il resto

da sola. Ricorda, io non sono tuo padre. D’altronde non soaggiustare cessi”, lo dice ridendo, una chiara presa in girodel segretario. “E un’altra cosa, se saprai fare bene la por-tavoce della nostra iniziativa, potrai candidarti di diritto alruolo di portavoce tout court. Non credi?”

Sì, lo credo, lo credo. Anche se l’idea di lavorare fiancoa fianco con Eugenio non è più così attraente. La giornata

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si conclude con un’enorme mole di carte catalogate, e tuttigli scacchi sulla scacchiera.

I miei genitori dicevano che gli oggetti si rompono e sesono preziosi qualcuno può rubarteli, invece i ricordi nonpuò prenderteli nessuno e ti accompagneranno tutta la vita.Sono i più bei regali che un padre e una madre possano dareai figli. Perciò a casa mia non c’era l’abitudine ai regali percompleanni e feste comandate. In quei giorni facevamoinsieme delle meravigliose gite o passeggiate o visite.Costruivamo ricordi felici.

Fino al giorno in cui ero tornata a casa in lacrime.Mamma mi aveva chiesto perché, chi mi aveva fatto pian-gere e io le avevo risposto: Giulia ha compiuto gli anni e igenitori le hanno regalato una bambola. E perché piangi?,dovresti essere contenta per lei. Ma io non ho mai regali almio compleanno. Mamma mi aveva abbracciato forte fortee mi aveva detto: non è il consumismo che può farti felice.Ma io non voglio il consumismo, avevo sette anni, e pensa-vo che il consumismo fosse un oggetto a me sconosciuto.Voglio il Lego! Andò così che mamma e papà fecero un’ec-cezione e a Natale mi regalarono il Lego.

La sera a tavola spiavo l’espressione di papà, notavo seguardava l’orologio, segno che sarebbe uscito, oppure no.Che festa se restava a casa: lo tiravo giù per terra e passa-vamo le serate insieme con i mattoncini di plastica colora-ti. I miei preferiti erano quelli bianchi, a lui invece piaceva-no i rossi. Il rosso è sempre stato il suo colore. Mi diceva:dai, giochiamo a costruire la Casa del popolo. Ero affasci-nata dalla sua meticolosità, dall’ordine mentale che usava.Diceva che se uno fa qualcosa, qualunque cosa, anche gio-

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care, deve farla al meglio. Sotto le sue mani vedevo nasce-re casette, fabbriche, ma anche animali e robot. L’atteggia-mento di Corradi, la sua cura nel costruire l’azione politicadalle fondamenta, mi ricordano proprio quelle serate conmio padre. I miei sensi sono tesi, sono emozionata, quasicommossa, Corradi è una sorpresa da ogni punto di vista. Epoi, per la prima volta da tanto tempo, mi sembra di averrimpiazzato il grande vuoto di Tonino Majani, di avere dinuovo un maestro, una guida, qualcuno che mi metta inguardia dalle insidie. Qualcuno con cui poter dialogaresenza dovermi per forza difendere. Finalmente, oggi escodal lungo esilio politico, e lo devo a quest’uomo che fino aqualche giorno fa detestavo cordialmente senza conoscerlo.Devo parlargli di Marco. Di sicuro mi aiuterà, e lo aiuterà.E io potrò saldare i conti con me stessa.

Non ho più pensato all’articolo che apparirà domani. Hosolo una piccola fitta alla bocca dello stomaco ora che miavvio verso la rosticceria sotto casa per comprare qualcosadi già pronto e mangiarlo davanti alla tv. Ma scaccio presa-gi e cattivi pensieri. Finalmente le mie giornate hanno unoscopo. Se pure domani iniziasse con un articolo sfavorevo-le, grazie al lavoro con Corradi di sicuro finirà meglio.

In quel momento chiama papà: “Ho letto solo adesso ilpezzo che ci riguarda. Da due giorni non compravo i gior-nali: per fortuna il barbiere l’aveva conservato nel caso mifosse sfuggito. Sono l’idraulico più famoso d’Italia”.

Ride perché vuole saggiare il mio umore. Quando capi-sce che non sono offesa, sferra il suo attacco: “È ignobileche Eugenio dica quelle cose di me per attaccare te. Ma èancora più ignobile che un cretino di questo genere sia allaguida di un grande partito. Te l’avevo detto io che il Nuovo

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Partito Comunista era meglio, ma tu sei fissata con questaSinistra Unita...”

“Papà, io non me la sono presa, non te la prendere nean-che tu. Capisco che sei rimasto male. Anch’io, credimi, lìper lì. Ma non posso buttare a mare la mia coerenza e le mieidee per un personaggio scorretto”.

“Non è uno qualunque, è il capo”.“Non importa. Piuttosto, sto lavorando con Corradi.

Eravate insieme nel partito un tempo, non me l’avevi maidetto che è un tale personaggio”.

“A me non è mai piaciuto. È di destra”.“Buonanotte, papà. Sei incorreggibile. Mandami un

bacio e fatti sentire più spesso”. Entro in casa. Il supplì puzza di fritto perfino chiuso

dentro il sacchetto, ma è l’unica cosa commestibile in tuttacasa. Apro il frigo per conferma: è un deserto senza oasi.Non ho alternative. La stanchezza mi acchiappa e, mentrecrollo addormentata davanti alla tv, abbracciata a un cusci-no del divano, ho una visione: i supplì che ballano nel miostomaco tutto unto.

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Quando Coyote chiuse la porta, gli spiriti dei morti vagarono sulla terra alla ricerca di un qualche posto dove

andare... Coyote scappò e non tornò più perché avevapaura dopo quello che aveva combinato.

Da allora corre da un posto all’altro, voltandosi indietro a guardare se qualcuno lo insegue,

e ha sempre patito la fame poiché nessuno vuole dargliqualcosa da mangiare.

Il coyote sa cos’è la vergogna. I politici raramente.

Luisa

Oddio, il telefono, anche stamattina! Parlare prima delcaffè è uno sforzo sovrumano.

Forse davvero non ho il fisico per la politica. Forsedovrei dedicarmi ad altro: un lavoro con orari certi, maga-ri part time, tornare a casa in tempo per cucinare e non sof-frire di incubi notturni con malvagi supplì che ghignanoprendendo a pugni il mio apparato gastrico. Che avrà den-tro Corradi che non dorme mai? Sarà la vecchiaia, una tem-pra d’acciaio o una motivazione che a me manca?

Numero privato: devo rispondere. “Buongiorno, ancoraaddormentata... hai fatto tardi stanotte. L’immaginavo.

XII

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Anch’io quando ero giovane aspettavo le due per compra-re la prima edizione del giornale all’edicola di piazza SanSilvestro”.

Balbetto: “Veramente non ci ho pensato... hai ragione,avrei dovuto...”

Non è neanche incazzato, ma semplicemente increduloquando, dopo qualche secondo, mi dice: “Sai che un quoti-diano importante pubblica una paginata su di te e non haicuriosità di sapere come uscirà? Cambia mestiere mia cara,fino a che sei in tempo a impararne uno”.

Mi sento un’idiota, sono un’idiota: “Hai ragione, ma...mi viene l’ansia al pensiero che centinaia di migliaia di per-sone nello stesso giorno leggano ciò che scrive di me unsignore che a stento sa che faccia ho. È un problema. Losupererò. Ho bisogno di tempo. Però dimmelo tu: sarà unbuon giorno per me oppure no?”

“Giudica tu: Luisa Alunni, una giovane dirigente dellaSinistra Unita, tutta cervello e niente emozioni, aspira alposto di portavoce, ma è completamente sconosciuta almondo giornalistico e ai più: non ve la possiamo mostrareperché non abbiamo trovato neanche una sua foto negliarchivi e nelle agenzie. Cosa avrà fatto finora? I vecchimormorano: non si può lasciare tanta responsabilità a unadilettante della politica. E poi continua con la solita tecnicadel ritratto agrodolce. Non brutto, se prescindi dall’inizio alvetriolo: dilettante è la cosa più insultante che si possa scri-vere di un politico. Per il resto solo punture di spillo chedanno un po’ di colore al pezzo”.

“Mi ha rovinato!”“Guardala da un altro punto di vista: hai avuto una gros-

sa apertura a pagina quattro. Non male per la prima volta.

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E ora sbrigati: la catena umana dovrà essere un successo. Acose finite voglio leggerti in prima e gli faremo rimangiaretutto, al giovanotto”.

Ormai sono sveglissima e così pure la mia gastrite.Immagino i lazzi, gli sguardi stupiti e ironici, le battute dicondoglianze come se mi fosse morto qualcuno, la fintaindignazione di qualcun altro. Le risate del verme e la suadisgustosa lingua. E Mara: “Ve l’avevo detto io che non èin grado”. E Marco, che dirà e perché è uscito dalla mia vitasenza preavviso? Avrei voglia di prendere una giornatalibera, non leggere il giornale, anzi lasciare che diventi vec-chio e innocuo sul tavolo. Quando, come diceva Majani,sarà buono solo per incartare le uova – cioè da domani inpoi – non potrà più farmi del male, e allora seduta in pol-trona lo leggerò con calma, mi arrabbierò con quel tale edeciderò il tono con il quale apostrofarlo la prima volta chelo incontrerò. Tanto prima o poi succederà.

Sì, sarebbe bello arrivare direttamente a domani.Però le uova non si possono più incartare con il giorna-

le, perché è proibito dall’Unione Europea e il mio maestroè un altro, molto meno comprensivo: l’umanità e l’amiciziadi Majani non ci sono più. E se lo chiamassi e dicessi cheho mal di stomaco, che poi è anche vero? Escluso.Farnetico. E se gli chiedessi un consiglio? Chiamare il gior-nalista e ringraziarlo facendo finta di niente o dirgli quelloche penso? Ora mi alzerò come se fossi tutta intera e legge-rò il pezzo al bar mentre faccio colazione. Poi deciderò.Unica consolazione, magra consolazione, neanche aCorradi tutte le ciambelle riescono con quel che segue...bell’aiuto, lui e il suo amico direttore.

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Nino, un ragazzo simpatico che si paga gli studi universita-ri con un turno alla macchina del caffè nel bar sotto casamia, mi fa un sorriso largo e complice, e indica il giornale,già passato per molte mani e abbondantemente stropiccia-to. Come tutti i giorni è su un tavolino a disposizione deifrequentatori, che guardano i titoli fra un sorso di cappuc-cino e un morso al cornetto.

“Ce l’hai fatta a venire stamattina. Ora che sei famosa tela prendi comoda”, vede la mia smorfia e aggiunge un:“brava”. Non rispondo e abbozzo un sorriso, ormai nonposso più fare a meno di leggere il pezzo, Nino si aspettaun commento ad alta voce, perché i clienti sappiano che dàdel tu a una vera celebrità. Essere in pubblico mi aiuterà.

“Mi sono alzata tardi e non l’ho ancora letto, quindifammi il caffè, e mi raccomando, macchiato come al soli-to, ma bello forte. Mi serve un sostegno”.

Acchiappo il giornale e lo apro a pagina 4. Ecco l’oc-chiello: “Qualcosa di nuovo nella sinistra italiana”. Titolo:Luisa Alunni, una donna in carriera che non crede allequote rosa. Qui Giustina sarà già arrabbiata senza neancheandare oltre. Io invece vado avanti. L’articolo inizia male,col brano che Corradi mi ha anticipato al telefono: rilegger-lo mi provoca una nuova fitta, ma temevo peggio.Politicamente non mi gioverà: sottolinea tutto quello cheMarco mi raccomanda di sfumare, ciò che penso del modocorrente di fare politica, il familismo, il cinismo. Mi ci rico-nosco. E bravo Mustacchi, non posso neanche mandargliuna smentita. Figuriamoci come la prenderanno i miei col-leghi, e il segretario, naturalmente. Rileggo il pezzo e misoffermo sulle molte punture di spillo. È come se mi guar-dassi allo specchio con gli occhi di un altro.

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Chiedo a Nino, studia Scienze della comunicazione, èl’unico esperto che ho a portata di mano: “Sinceramente:ne esco con le ossa rotte?”

“Ammaccate qua e là. Ma lui scrive così, è famoso perquesto. Mica poteva dipingerti come la Madonna. Peròavere un ritratto da lui equivale a un passaggio di catego-ria: ora sei in serie A. Il pubblico ti vedrà come una speciedi Zorro della politica italiana: la vendicatrice dei poveri edegli oppressi, contro gente che ha tradito iscritti ed eletto-ri. La figlia della classe operaia. Insomma, bene”.

È un ragazzo intelligente, sincero e disinteressato, di luimi fido. D’altronde, ripensandoci, è quello che ha dettoanche il maestro.

Devo assolutamente sentire Marco. Poi chiameròGiovanni. Occhi di liquirizia e dente avvelenato.

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All’inizio, prima che arrivassero gli uomini, c’erano solo animali sulla terra.

Lavoravano tutti, tranne il coyote. Lui era pigro ma curioso.

Mentre gli altri dormivano, il coyote volle vedere ciò che avevano fatto.

Annusò quegli oggetti, osservò attentamente dei piccolipezzetti scintillanti.

Non riuscì a capire a cosa servissero e li scagliò in alto, nel cielo.

Ecco come le stelle trovarono posto dove le vediamo noiadesso.

(Leggenda degli Indiani d’America)

Luisa

Vado in ufficio a piedi, ho bisogno di aria e di tempo. Alsolito angolo c’è Irina. Le porgo una moneta senza guardar-la, non ho la testa per dedicarmi a lei. Ed è anche inutile,visto che non vuole il mio aiuto. La mia distrazione hainvece un effetto imprevisto.

“Ho fatto qualcosa sbagliato? Io amica”.“No, Irina, non sei tu. Il mondo è duro”.

XIII

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Non ho neanche finito la frase che sono pentita. Che dirit-to ho di lamentarmi di fronte a una giovane che nascondechissà quali e quante sofferenze. Le faccio un sorriso e laguardo: quella ferita all’angolo della bocca è sempre piùlacera. Ma cosa posso fare se lei non si apre, non si confida...

“Anche io ti sono amica, Irina”. “Io parla con te oggi... oggi io sola... lui sorveglia altra

ragazza nuova. Primo giorno per lei”.Mi aggrappo a questa dichiarazione: “Vuoi che ti aiuti?

Vuoi fuggire? Posso portarti in una casa sicura con altreragazze come te che ora sono libere”.

“Io non fuggi se no amici suoi uccide mia madre a miopaese. Ma io tanto triste”.

“Conosco persone importanti, possono proteggere la tuafamiglia”.

“Tu buona siniora, io penso poi dico. Tu torna domani? Ioora regalo questo”, e mi porge un nastrino con una goccia diplastica rosa tutta sfaccettata a forma di pendente.

Vorrei piangere in mezzo alla strada. Irina è immensa-mente sfortunata e tanto generosa. È la voce della coscien-za che mi dice: smettila di pensare a te stessa e compatirti.Fai qualcosa per chi è veramente disgraziato. Sì, devo sal-varla a tutti i costi.

Le sorrido.“Grazie. È il regalo più bello che ho avuto da quando è

morta mia madre. Porterà fortuna a me e anche a te,vedrai”.

Mi avvicino per abbracciarla, dirle mille cose, chiederledi cosa ha bisogno subito, ma la ragazza mi scansa con ungesto brusco, come se non volesse contatti fisici. In un atti-mo è già tornata al suo lavoro. Mi saluta con un mezzo sor-

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riso. Me ne vado con il cuore gonfio e la goccia di plasticastretta nella mano.

Metterò la goccia di Irina nella mia scatola di latta. Quandome l’hanno regalata, tanti anni fa, era piena di biscotti da tè,ora è piena dei miei ricordi e amuleti. Ci tengo la foto dimamma, quando era ancora giovane e bella, non quando ilmale l’aveva mangiata dentro e gonfiata fuori, resa sorda atutto tranne che al suo dolore. Ci tengo anche l’ultimobiglietto di Tonino, me l’aveva mandato il giorno prima diquel maledetto incidente. Mi hanno detto che era mortomentre leggevo l’ultima riga. Perciò penso che sia il suotestamento spirituale. “Cara Luisa, oggi mi hanno fatto unoscherzo orrendo. Stavo salendo in macchina per andare aVico Equense per una delle solite riunioni. Uno mi ha rico-nosciuto, si è avvicinato e mi ha detto: Senatore, ho lo slo-gan giusto per il tuo partito, potreste metterlo nella nuovatessera. Io non ho capito subito, e mi sono rivolto incurio-sito – sai che parlo sempre volentieri con la gente per stra-da: Qual è? Si è fatto una risata volgare e mi ha risposto: Vadove ti porta il culo... tu e i tuoi compagni vi muovete soloquando pensate di trovare una bella poltrona da occupare.Non ho avuto la forza di reagire. Sono rimasto di sasso.Questo, si dice di noi. Questo il risultato per aver messo insella certi personaggi. Poi ho scrollato le spalle e mi sonodetto che fino a quando nel partito ci sono giovani come tec’è speranza. Giurami che non mi farai mai vergognaredella Sinistra Unita. Giurami che faremo qualcosa per usci-re da questo orrido nel quale siamo precipitati. Ho dei pro-getti. Ne parliamo domani quando torno. Tuo Tonino”. Einvece non ne abbiamo mai parlato. Guardo il biglietto e lo

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interrogo: Tonino, che ne pensi di Corradi? Ma il bigliettonon mi risponde. Richiudo la scatola. Per ora la goccia diIrina la terrò nel portafogli. Fino a quando non avrò fattoqualcosa per lei, la porterò con me.

Il quarto d’ora di ritardo è sufficiente perché trovi in segre-teria già molte telefonate. La prima è di Marco, finalmen-te: “Bene, bene. Vedo che cominci a seguire i miei consigli.È una vita che non ti sento. Chiama”. Tre sono diMustacchi: “Devo assolutamente parlarti. Richiama”.Giuda: non ha il coraggio di cercarmi al cellulare. Sa diavere approfittato della mia schiettezza. Non richiamerònessuno e salirò subito dal maestro.

Mi accoglie con una risatina: “Come ti pesa la notorie-tà? Mi ha chiamato Eugenio per sfogarsi: ma chi si crede diessere. Ho sempre pensato che fosse una ragazzetta arro-gante e supponente, ma così stronza! E voleva sapere da mecome sei arrivata a Mustacchi. Poi Giustina: nemmenomorta collaborerò con una stronza come lei. Non so se l’ag-gettivo era spontaneo o concordato con Eugenio. AncheLorenzo gira per tutti i corridoi invocando su di te, cosìstronza, la vendetta divina. Invece un discreto numero didirigenti toscani li ho chiamati io perché capissero con chiavranno a che fare da oggi in poi, dal momento che vuoiabbattere il loro muro con la tua catena umana. Ora sei unpersonaggio. Comportati di conseguenza”.

“Un personaggio negativo o positivo?”, chiedo. Ancorastranita dallo sguardo di Irina fatico a rientrare nella miaparte.

“Negativo, positivo, che importa. Sei un personaggio enon molti possono dire la stessa cosa”.

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“Come si comporta un personaggio?”Corradi mi guarda: “Io ti ho dato l’accensione, come far

marciare la macchina devi saperlo tu. In questa storia iointerpreto il cattivo, non do buoni consigli. E ricorda che mihai trascinato nell’operazione Fermezza e solidarietà. Oradevi portarla al successo”.

Mi siedo alla scrivania. Il giornale – naturalmente l’hocomprato – mi chiama come se dicesse leggimi ancora.Non resisto, riprendo in mano l’articolo e a ogni passaggiosento una nuova puntura di spillo. Mustacchi mi ha fattopagare ogni minuto di ritardo con gli interessi. Stupida ioche avevo creduto al tono simpatico. Non ci si può fidare,non si può parlare al giornalista sperando che sia umano.

Tanto vale chiamarlo, come dice il maestro, e far fintache non mi abbia ferita a sangue. Faccio squillare a lungo,fino a quando non entra la segreteria. Non vorrei lasciareun messaggio, ma so che il numero gli comparirà suldisplay, se attacco farò una figuraccia esagerata. Controllola voce al meglio: “Giovanni buongiorno, ho letto il tuopezzo. Avevi ragione sulla tecnica: dal tuo ritratto d’autoreesce chiarissimo cosa pensi di me. Comunque grazie del-l’attenzione. La prossima volta, se ce ne sarà una, le fotochiedile direttamente a me. O all’idraulico”.

Del tono sono soddisfatta: ironico, un po’ mondano e unpo’ serio, non deve credere di avermi fatto del male onociuto in qualche modo. Ma neanche pensare di passarlaliscia.

Che vigliacco: chiama alle otto del mattino quando alpartito non c’è che il portiere. Evita il cellulare e nonrisponde quando telefono io. La coscienza gli rimorde, con

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tutta evidenza. O forse quelli come lui la coscienza non cel’hanno affatto. Molto maschile fuggire e aspettare che misia sbollita la rabbia. “Ma anch’io so attendere. E ti faròballare, caro mio”.

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Fino a quando il coyote vagherà per la prateria la naturaparlerà, non con la voce della forza bruta, bensì con

quella dell’opportunismo prudente. (Donald Woster, Storia delle idee ecologiche)

Luisa

Fermezza e solidarietà si rivela un’impresa complessa.Bisogna fare i conti con la paura della città, tanto percominciare. E con la Liga autonomista che soffia sul pre-giudizio. Fin quando erano pochi, venditori ambulanti dibiancheria, tappeti o chincaglieria, oppure braccianti spersinelle campagne, gli immigrati erano ben accetti. Ora hannopreso casa, si sono fermati in periferia e nei sobborghi,sono tanti e si notano: hanno un aspetto diverso, culture,abitudini e cibi diversi. E i toscani, si sa, al loro cibo ci ten-gono. Unico punto di contatto: il cellulare che, come gli ita-liani, portano sempre con sé.

E poi, a ben guardare, a Prato fra sinistra e destra su que-sta questione non ci sono tante differenze. I politici localisono quasi tutti d’accordo col segretario della federazionee col sindaco: a loro il muro piace. Non serve a niente, mapiace.

XIV

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Per fortuna neanche i potentissimi dirigenti di Prato pos-sono dire un no frontale a Corradi.

Marco mi manca, la mia vita ha avuto un’accelerazioneimprovvisa, e l’ho lasciato indietro.

Lo chiamo. Come sempre, quando ho bisogno di con-forto: “Vieni a mangiare un panino con me oggi?”

“Ti brucia l’articolo e vuoi farti consolare?”“Lo ammetto, non fingo con te”.“Vorrei vedere. Va bene, dallo zozzone fra un quarto

d’ora, non più tardi, che nel pomeriggio ho una riunioneimportante”.

Meno male, Marco almeno è sempre lo stesso. Devoaffrettarmi. Sono pochi passi, ma a quest’ora si incontraun mare di gente. Chiamo l’ascensore e resto diversiminuti in attesa. È bloccato al secondo piano. Tanto valescendere a piedi.

Sul pianerottolo del terzo piano m’inchiodo: in fondoal corridoio c’è Eugenio, che accompagna all’uscitaGiovanni Mustacchi chiacchierando amabilmente.Quando mi vedono hanno reazioni assai diverse: il segre-tario fa ampi gesti di richiamo, mentre il giornalista ha unsussulto. Dimentico la fretta.

Mi avvicino con il mio sorriso più falso. Eugenioenfatico e ad alta voce mi rivolge un: “Carissima, hoappena finito di rimproverare il nostro amico Mustacchi:non si fanno certe cattiverie a una signora. Noi vecchilupi della politica siamo abituati e abbiamo il callo, ma lanostra giovane Luisa non ha pelo sullo stomaco, e d’altraparte sarebbe un peccato, con uno stomaco così grazioso.A proposito, devo dirti una cosa, fermati un attimo”.

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“Segretario, ho un appuntamento...”“Ormai è impossibile parlarti, c’è sempre qualcuno che

ti aspetta. Un altro giornalista? Lo verrò a sapere leggendoil giornale di domani? Arrivederci Mustacchi. Mi fermo unmomento con la nostra star, prima che sgusci via”.

Mustacchi saluta con un cenno e si allontana. Per labreve durata dell’incontro non ha aperto bocca. Rimastisoli il tono di Eugenio è assai diverso: “Stavo per chiamar-ti. Non ci siamo proprio. Non mi hai detto che Mustacchi ticercava per un ritratto, né prima né dopo averlo incontrato.Le battutine su me e tuo padre... hai sbagliato, ti avevodetto che non ho mai parlato male di lui”.

Lo interrompo: “Ti prego, risparmiamoci ipocrisie”.“Giusto. Dunque dimmi, a cosa serve il pezzo, ad accre-

ditarti come portavoce? A farti conoscere dal grande pub-blico? A farmi capire che ce la fai anche senza di me? Ecome hai fatto a ottenerla? Hai venduto i nostri segreti? Haitrovato un aggancio importante?”

Lo interrompo ancora: “Non sai quello che dici: la mialealtà al partito è fuori discussione. Il traditore cercaloaltrove, fra persone molto vicine a te”.

“Ce l’hai con Lorenzo”.“Certamente. È un verme. Strano che tu non te ne sia

accorto”.“Non sviare il discorso. Solo i membri della segreteria

possono dare interviste, con poche eccezioni autorizzate.D’ora in poi voglio essere informato sui tuoi contatti con igiornalisti. Chiaro?”

Lo ha detto con voce tagliente e in un crescendo di rab-bia che non gli conoscevo, m’ha provocata per obbligarmia una giustificazione, ma non ne ho la minima intenzione.

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E ho anche fatto tardi.“Messaggio ricevuto, ora se permetti scappo”.Me ne vado furibonda e inseguita dalla voce di lui del

tutto priva di ironia: “Ricorda, io ti ho fatto e io ti distruggo”.

L’impossibilità di rispondergli come avrei voluto mi fa sen-tire come una pentola a pressione sul punto di scoppiare, houn groppo in gola come Giustina quando pensa al suoamore perduto, o quando lui non le rivolge la parola. Èstato indegno quello che ha detto e ancor più come lo hadetto, in piedi in corridoio, perché tutti sentissero. No, tunon mi hai aiutato, Eugenio. Hai solo lasciato fare a ToninoMajani, perché ero una giovane studentessa che voleviaggiungere alla tua personale collezione femminile.

C’era un’assemblea. Ho parlato quasi subito dopo larelazione. Subito dopo di me, Marco. Mi hanno presentatocome quella che ha rimesso in piedi l’organizzazione gio-vanile nell’epoca difficile del rampantismo. Hai detto chevolevi complimentarti personalmente. Per me eri un mito,lontano e inarrivabile. Ho accettato con entusiasmo divederti l’indomani. La sola idea di stringerti la mano di per-sona mi metteva in agitazione.

Appena sono entrata nel tuo ufficio ho intuito che c’eraqualcosa di strano: per quanto poco avessi frequentato ilpartito di cui eri e sei segretario, mi è sembrato irrituale chemi ricevessi morbidamente sdraiato nella posa in cuiCanova ha reso immortale Paolina Borghese. Ti ho trovatobuffo, con quelle gambe corte rannicchiate sul divano el’aria del conquistatore, e mi sono messa a ridere. Eri incer-to se offenderti oppure perseverare nel tuo disegno. Haiscelto la seconda. Mi hai guardata di sbieco, hai fatto un

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elegante, imperioso cenno con la mano destra, come dire:siediti qui accanto a me. Ti ho risposto: il divano non èabbastanza grande per tutti e due. Non ti sei scoraggiato:meglio, sarai costretta a starmi molto vicino. Neanche io misono scoraggiata, ma incazzata sì: non mi siedo vicino a unuomo dell’età di mio padre che sta sdraiato ad aspettarmicon la patta aperta e mi ha attirata con un tranello. Ti seitirato su, guardandoti la lampo dei pantaloni. Hai capitol’antifona e hai detto qualcosa come: volevo solo vedere diche stoffa sono fatte le giovani compagne. Ho fatto finta dicrederti: scusa, perché ti interessa il mio carattere? Mi hairisposto: vogliamo svecchiare l’apparato. Mi dicono che ledue promesse siete tu e Marco Segranti, ma non ho ancoracapito chi di voi due merita di più. Certo, siete entrambiintelligenti, ma in più lui sa stare al mondo, ha buon carat-tere... deciderò presto. Non l’ho neanche lasciato finire,dimenticando il divano, il tranello, la patta: scegli me, hodetto di botto. Perché? Perché anch’io ho buon carattere, enon mi interessano le tue debolezze. Perché sono discreta eriservata. Perché sono la più brava, molto meglio di Marcoda tutti i punti di vista. Ma lui è disponibile, mi hai obietta-to. A cosa?, ho risposto come una furia. Da quello che midicono non si fa tante seghe mentali. Io neanche, se voglioposso essere molto spregiudicata. Fino a che punto?, mi haichiesto guardandomi di sbieco. Mettimi alla prova e losaprai. Credevo che foste amici, mi hai detto mentre pren-devi la mia mano. Sono diventata rossa e il viso mi scotta-va, ma ti lasciavo fare. Ho balbettato qualcosa del tipo: ioe Marco siamo amici, ma non voglio perdere l’occasione.Ti sei avvicinato. Mi hai detto: eccola la tua occasione,prendendomi la mano e portandola proprio dove potevo

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sentire la tua virilità. Ero troppo frastornata per reagire. Einfatti non ho reagito, come se fosse la mano di un’altra.Non provavo nulla e non facevo nulla. Facevi tutto tu. A uncerto punto la coscienza sottovoce mi balbettava qualcosa,mentre mi chiedevo come sarebbe andata avanti tutta lafaccenda, ti saresti spogliato, mi chiedevo cosa fare per nonoffenderti... mi hai allontanata con una stoccata di perfidiapura: non lo faccio con uno stoccafisso. Non ti chiedo entu-siasmo, ma almeno la minima partecipazione: sai come sifa o vuoi farmi credere che sei una verginella? O pensi disalvarti la coscienza facendo la mummia. Ma non mi inte-ressi poi tanto, non credo di potermi fidare di una dispostaa vendere il migliore amico. Ora ho da fare. Torna quandosarai cresciuta. È seguito un lungo, lungo periodo di purga-torio. Anche nel nostro ambiente ci sono proposte che èmeglio non rifiutare. Ma da allora lui si è ben guardato dalfarmene ancora. Non mi degna neanche di quelle disgusto-se battutine da cabaret che rivolge a tutte le donne viventi.Credevo fosse rispetto, invece mi ha semplicemente can-cellata dal suo orizzonte umano. Forse la finta di volermicome portavoce era un altro modo di vendicarsi. Dovreilasciare questo partito. Dovrei lasciare la politica. Dovreilasciare che il mondo vada dove cazzo vuole.

Un pensiero si fa strada fra le emozioni. Se Eugenio l’hapresa così male, evidentemente, nonostante tutto, l’intervi-sta non era controproducente per me. Colpa e merito diMustacchi, vigliacco e traditore. Ma utile.

Pensi al diavolo e spunta la coda, eccolo Mustacchi, evi-dentemente in attesa dietro l’angolo. Tiro dritto come senon l’avessi visto. Mi chiama. Non mi volto. Lui accellera

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il passo per raggiungermi. Sono costretta a prendere attodella sua presenza.

“Ti cerco da stamattina all’alba”.“Non mi risulta”.“Sbagli, ti ho cercato ovunque, anche sul telefonino, ma

sei irraggiungibile. Volevo dirti che quella frase, quella ini-ziale che ha cambiato il senso di tutto l’articolo, non l’hoscritta io”.

“Per favore, non cercare scuse. Hai fatto un bel pezzobrillante prendendo in giro la gonza, benissimo e buon perte. Ora lasciami in pace”.

“Puoi rallentare e calmarti per favore?”“Neanche per sogno. Primo, non intendo parlarti.

Secondo, come hai sentito – lo dicevo al segretario – ho unappuntamento a cui tengo moltissimo. Terzo, per favorenon mi dire balle, preferisco uno che mi attacca frontal-mente e chiaramente, a un giuda che fa il finto amico e mipugnala. Perciò addio. E quanto al telefonino, se mi avessicercato ci sarebbe il tuo numero sul display, invece guar-da”. Lo tiro fuori dalla tasca, ma è spento. Si è scaricatodopo la telefonata con Corradi e non me ne sono resa conto.Che figura, e neanche posso far finta di niente perché glie-lo sto mostrando. La tensione si scioglie e mi scappa daridere. Ride anche lui.

“Va bene, sul telefonino hai ragione, su tutto il resto no.Ora guarda, io sono arrivata”. “Anch’io devo mangiarequalcosa, posso unirmi a te e a...”

“Marco, l’uomo dopo mio padre a cui voglio più bene almondo”.

Nel dire questo abbraccio ostentatamente Marco che miè venuto incontro. Lo stringo a lungo. Mi è mancato, ma

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voglio sopratutto far sentire Giovanni estraneo e indurlo adandarsene. Il giornalista resta a guardare la scena un po’sorpreso: Marco è bellissimo, ha tagliato i capelli e la barbae questo fa risaltare i suoi occhi chiari e intensi. Anch’io lonoto e glielo dico, osservando che è leggermente abbronza-to: “In questi giorni mi hai lasciato talmente solo che perconsolarmi sono andato spesso al bar del tennis. Cara, tuinvece hai un aspetto orrendo. È colpa di quest’uomo? Se titormenta ti difenderò io. Come sempre”.

Mi tiene per mano teneramente e Giovanni ha la facciaa punto interrogativo, evidentemente non capisce se siamoamanti, fidanzati o solo vecchi amici.

“Mi ha già tormentato con quell’articolo che sembraabbiano letto tutti”.

“Ah, il giornalista, ma allora va trattato bene, se nodomani parlerà male anche di me. Raccontami, Giovanni –ti chiami Giovanni Mustacchi, no? – com’è che la miaamata Luisa ti è rimasta così sulle palle?”

“Ma non è vero. Stavo tentando di spiegare alla tua...”,esita sperando che qualcuno vada in suo soccorso chiaren-do i ruoli, ma non succede, “...a Luisa, che stamattina hoavuto di buon’ora una discussione terribile col direttore econ il caporedattore. Ho letto il giornale come sempre,appena sveglio. E ho trovato che qualcuno aveva fatto unapesante aggiunta al mio pezzo. Ma l’articolo è firmato dame, ho protestato, per toccarlo dovevate chiedermelo eavvertirmi. Non posso venirlo a sapere a cose fatte. Il capo-redattore ha detto che sono il solito rompicoglioni e chequando lui aveva la mia età se lo sognava di firmare unospazio così importante. E che devo ringraziare Dio, anzi ildirettore, se ho tanta visibilità. E ha concluso con una fra-

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setta maligna circa i rapporti molto amichevoli e per mevantaggiosi fra mio padre e il capo. Allora non ci ho vistopiù. Ho chiamato Enrico, il direttore. Mi ha risposto: rea-zioni importanti?, sai le persone oggetto dei miei articoli michiamano sempre dopo la pubblicazione. Non credeva allesue orecchie quando gli ho detto che il mio contratto era asua disposizione, che il suo intervento aveva leso la miaprofessionalità. Poi ho chiamato mio padre e gli ho rinfac-ciato quello che ha fatto da quando sono nato. Poi ho chia-mato te, ma sei l’unica con cui non sono riuscito a parlare.Devi credermi. Tu mi credi, Marco?”

Marco resta qualche secondo a fissarlo e poi, rivolto ame: “Sì, io ti credo. Credigli anche tu”, dice rivolto a me.“Sai che sulle persone non mi sbaglio. Stringetevi la manoe amici come prima”.

Prende le nostre mani e le unisce.“Dio mio, mi sento l’officiante di un rito. Magari matri-

moniale, guai a voi. Finiamola qui e mangiamo finalmente,che fra mezzora devo tornare al lavoro. Che volevi dirmipiccola? Che hai sentito tanto la mia mancanza o qualco-s’altro?”

“Forse sono di troppo”, dice Giovanni che fa il gesto diandarsene. Taccio perché nonostante le spiegazioni mi èrimasto come un rancore sordo dentro, ed è ancora Marcoa salvare la situazione: “Resta, Giovanni. Luisa si confide-rà più tardi. E poi non vorrei perdermi la faccia del segre-tario quando le solite spie gli diranno che lei era a colazio-ne con te. Penserà a un complotto in grande stile, perchécara, il pezzo del giovanotto era maligno ma ha fatto di teuna stella. Giovanni, se e quando vorrai parlare anche dime, mi trovi nello stesso palazzo dove hai trovato Luisa

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oppure a questo cellulare”, gli porge il biglietto da visita eaggiunge: “cercami pure quando vuoi. Non dormo quasimai e ho cose molto interessanti da dirti. Nel frattempo ticonsiglio il panino caprese, qui lo fanno con la vera moz-zarella di bufala e l’origano. È buonissimo. Se va bene pertutti rimanete seduti, vado io a ordinare”.

Mentre Marco va al banco e alla cassa, Giovanni cerca imiei occhi. Ma mi è venuto come un broncio infantile e litengo ostinatamente fissi su un punto del muro.

“Non mi credi. Lo vedo. Allora vado, non c’è ragioneche resti a disturbarvi. Permettimi solo di darti un consi-glio: le donne vedono l’albero e non la foresta. Non capi-scono che ci sono le regole del gioco, il mio gioco è scrive-re in agrodolce. Il tuo è far scrivere di te, perché sei un per-sonaggio pubblico, con tutto ciò che comporta. Il gioco nonti piace? Rinuncia a giocare, piuttosto che giocare male.Qualunque cosa io scriva di un uomo, mi chiama e mi rin-grazia infinite volte. Se in aggiunta gli pubblico una foto misarà grato per la vita. Se scrivo di una donna se la prende-rà per uno stupido dettaglio e non capirà che comunque leho fatto un favore. Un uomo al tuo posto mi avrebbe invi-tato a pranzo da Andrea dietro via Veneto. Tu mi neghere-sti volentieri il panino dello zozzone. Anzi, se non fosse unlocale pubblico mi avresti proibito l’ingresso. Ti rendiconto? Stai esagerando, oltretutto con uno che è stato vitti-ma dell’ingerenza gerarchica e si è esposto per essere lealecon te. Il tuo maestro non ti ha insegnato niente?”

Di fronte a questa tirata mi sciolgo – come ha capito chedetesto i vizi tipici del mio genere? – e finalmente lo guar-do e gli sorrido: “Il mio maestro di un tempo no, ma quel-lo di ora... se sapesse come ti ho trattato rinuncerebbe a

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insegnarmi altro. Pace allora. A patto che mi giuri che nien-te di quello che saprai da me verrà usato per il tuo giorna-le, a meno che io non sia d’accordo”.

“Giuro”.“Bene. Hai ragione sulle donne. Hai dato fiato a un pen-

siero che ho anch’io da tanto tempo. Però un giorno ce lafaremo, e quel giorno porteremo nella politica qualcosa didiverso, di più umano, affettivo, reale”.

“Nel mio mestiere le donne che ce l’hanno fatta sembra-no delle iene, come e più degli uomini”.

“Se succederà a me, ti autorizzo a darmi appuntamentoin questo stesso bar e a rinfacciarmelo ad alta voce davan-ti a tutti”.

In quella arriva Marco che ha colto solo l’ultimo branodella frase.

“Siamo già ai rinfacci? Mangiate che il panino dellozozzone è il migliore di Roma, forse perché lo preparasenza lavarsi mai le mani. Vedo che il ghiaccio si è sciolto.Peccato, con questo caldo tornava utile. Luisa parlami dellatua marcia, la cavalcata delle walkirie bianche gialle e nereche ha messo in agitazione tutto il palazzo del potere”.

“Quale marcia?”, chiede Giovanni.“Ma che marcia. Hai sentito male. Pettegolezzi, come

sempre. Ho pensato a una catena di donne italiane e immi-grate che tenendosi per mano circondino il muro della ver-gogna di Prato. Il muro è di ottantaquattro metri, dunque civorranno moltissime donne. E molti, molti giornalisti cheaccendano i riflettori su loro. Mi aiuterete?”

Mi rivolgo a entrambi. Ma soprattutto a Giovanni: “Viprego, devo farcela. Non per me, ma per il partito che staperdendo il senso della solidarietà, dell’essere di sinistra”.

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Marco è tassativo: “Per carità, non fare la demagogacon me che detesto la retorica. Quelle donne le mandiallo sbaraglio, saranno prese in mezzo fra polizia e delin-quenti”.

“No. Se ci saranno le tv, le radio, i giornali, le donne par-lamentari, le consigliere comunali e regionali, e naturalmen-te la polizia. Nessun rischio, se riuscirò a mobilitare l’atten-zione pubblica per almeno due giorni. Ho pensato a turni disei ore che mi richiederebbero la presenza di quattrocentodonne. Per tutto quel tempo gli spacciatori potranno supera-re il muro umano solo dando molto nell’occhio, perciòdovranno andarsene, sciogliendo l’orrendo grumo che hannoformato, lasciando in pace le famiglie oneste che vivono lì”.

“Oh, ma è una proposta de core”, scherza Marco.Giovanni invece risponde serio: “Sembra affascinante,

ma il partito?”“Il segretario mi ha detto sì. Alfonso Corradi sta già

lavorando con me. Ed è una forza della natura, quell’uomomi dà una sicurezza indicibile”.

Giovanni m’interrompe: “Corradi con te? Credevo fossestato lui a chiedere il pezzo al direttore. Allora Enrico acosa si è prestato?”

Mi riprendo subito, è stato sciocco pronunciare quelnome davanti al giornalista: “Dei rapporti fra loro non sonulla, non ho nessuna confidenza con Corradi e di certo luinon me ne parla. Ma è il titolare del settore di lavoro”.

“Forse per questo ha chiesto al direttore di darti unalisciata, perché non ti montassi la testa. O forse... Senti, nonè che tu, Corradi e il direttore mi state usando, o come dicitu manipolando, e io ingenuo a momenti ci rimetto anche ilposto?”

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“Che dici, il tuo direttore neanche lo conosco. ConCorradi ho iniziato a lavorare da due giorni. Quanto a te, tiho visto per un totale di sei ore e guarda già che bello scher-zo mi hai combinato. Allora, me la dai una mano o no?”

“Non saprei come. Al giornale, se non accettano le miedimissioni, certo non potrò scrivere di te. È vero che avròmolto tempo libero... l’inchiesta che stavo preparandoprima che tu irrompessi nella mia vita è finita nel cestino”.

“Per un po’ è bene che nessun giornale si occupi di me.Ma la manifestazione è la prossima settimana. Potrestidarmi silenziosamente aiuto a trovare qualche collega chevenga con noi a Prato. Noi, intendo anche con te”.

“Hai una gran faccia tosta. Va bene, ti aiuterò. Però mettiin carica il telefonino, e se ti chiameranno per parlare dellamanifestazione fai la grazia, rispondi”.

Il panino è finito, Giovanni saluta promettendo di farsivivo presto, io e Marco ci avviamo insieme al palazzo.

“Quando ti ho detto di far parlare di te i media, non pen-savo che saresti riuscita a fare tanto e tanto in fretta. Sei unvero fenomeno sorellina. Ho più bisogno io dei tuoi consi-gli che tu dei miei: verrò a lezione”.

“Non da me Marco, sbaglierei se prendessi il merito. Houn grande maestro. Mi sta dando una mano insperata facen-domi capire cose che fino a qualche giorno fa non avreineanche immaginato. È solo e tutto merito di Corradi”.

“Corradi? L’uomo passionale come un cono gelato?Quello che ti ha rivolto la parola per la prima volta qualchegiorno fa? Quello che fino a ieri detestavi? Non mi dire. Lecose corrono”.

“Proprio lui. Mi piacerebbe che tu gli parlassi, sonocerta che entrereste in sintonia. Non è affatto come lo

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dipingono. È a suo modo generoso. Devi avere chiarol’obiettivo, chiedergli di occuparsene e non fargli perderetempo”.

“La politica è il mio unico desiderio”, sospira Marco, “enon mi dire che lo faccio già di mestiere. Non è politicaquella che faccio. È una sorta di mega difensore civico. Maio mi sento stretto in questo ruolo”.

“Non capisco. Hai sempre detto che i diritti dei gaysono calpestati quotidianamente, che vuoi sconfiggere ipregiudizi”.

“Lo confermo. Ma quella è emergenza, la necessità delmomento. Il mio sogno è la politica per tutti. È fare il sin-daco, il ministro, qualunque cosa mi metta in condizione digovernare una comunità tutta intera, gay lesbiche ed etero.Ho tante idee. D’altronde tu dovresti capirmi: anche tu seistufa di occuparti degli immigrati. Figurati se posso dire aCorradi che ho delle ambizioni. Quello mi risponde chisse-nefrega, ragazzo pedala”.

“È qui che ti sbagli. Appena finita la manifestazione diPrato, e che Dio mi aiuti, voglio farvi incontrare. A propo-sito: verrai a Prato? Anzi, vieni a lavorare con noi questasettimana, così lui imparerà a conoscerti e io avrò un aiutovero”.

“Chiedi a Eugenio se è d’accordo e poi chiamami. Seper lui va bene da domani e per una settimana sono tuttoper te. Ciao. A proposito, penso che Giovanni sia una bellapersona e che ti abbia detto la verità. Penso anche che siaproprio carino, però mi sembra che con lui abbia più chan-ce tu che io, perciò te lo lascio, ma non maltrattarlo tanto:dovresti essergli grata. Fino a ieri eri una sconosciuta diri-gente del partito come me. Oggi sei una di cui tutti parlano.

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C’è gente che pagherebbe per questo. Tu invece vorrestifargliela pagare... non c’è giustizia a questo mondo”.

Mi bacia e se ne va, lasciandomi interdetta a pensare cheforse ha ragione lui e Mustacchi non meritava tutto quelrisentimento. Su un’altra cosa ha senz’altro ragione: il gior-nalista è davvero carino. Ha un certo sguardo quando vienemaltrattato che suscita gran tenerezza: è mite e fermo.Uomo e bambino. Già, gli uomini restano sempre un po’bambini fino a sessant’anni.

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In principio tutto era ricoperto dalle acque. Il cielo erachiaro e senza nuvole. Improvvisamente comparve una

nuvola che si trasformò in coyote. Poi salì la nebbia e daessa uscì la volpe argentata. Entrambi cominciarono a

pensare e dal pensiero si formò la barca.

Giovanni

L’incontro con Luisa m’ha scombussolato. Non sono alleprime armi, ogni mio articolo punge qualcuno, eppure nonriesco a smaltire un gran senso di colpa verso questa stranadonna, che mi ha trattato come l’ultimo dei traditori peraver fatto visita al segretario del suo partito. Che mi fa sen-tire debitore nei suoi confronti di chissà quale risarcimen-to. E poi strani anche i suoi rapporti con Marco: molto con-fidenziali e al tempo stesso non proprio intimi.

E che gran bugiarda, tutte quelle lamentele... “Lavorotanto neanche un minuto per me stessa, per incontri interes-santi”. Quasi le credevo, mentre ha un uomo accanto chesembra un modello della pubblicità. E le balle – “Mai sulposto di lavoro” – quando Marco ha detto chiaro e tondoche lavora alla Sinistra Unita come lei. Forse non stanno

XV

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proprio insieme in modo fisso, o forse è solo dissociata,oppure bugiarda e convincente come un politico consuma-to. D’altronde perché dovrebbe essere diversa dagli altri,cosa me l’ha fatto credere, sperare... meglio metterci unapietra su. È pericolosa con quella faccia acqua e saponeche sembra dire “guarda, sono una vittima del sistema,onesta, pulita”, altroché. È carina, con carattere da vende-re e la stoffa del dirigente. Ne ho incontrati tanti negliultimi tre anni, riconosco il cavallo di razza. Per colpa suae della sua bella faccia (anche il fisico veramente non èmale) mi sono ficcato in un casino e non so come e quan-do ne uscirò. Il caporedattore è stato chiaro: lascia perde-re l’inchiesta, siamo sotto organico ci servi al desk. Ballespaziali, mi vuole tenere in purgatorio, giornate inchioda-to alla sedia, scrivendo al massimo delle didascalie.Chiederei pietà subito, ma non sarebbe dignitoso. Devoresistere fino a quando al direttore non sarà sbollita l’in-cazzatura, cercando almeno di capire perché si interessadi una giovane sconosciuta dirigente, con ordini contrad-dittori a poche ore di distanza. Che cosa gli ha chiestoCorradi, suo storico amico e compagno di perfidie e cheparte ha la stessa Luisa, la santarellina. Di sicuro è quellache ci guadagna di più, mi ha provocato casini a catena efa anche l’offesa. Ma devo essere sincero con me stesso:volevo sentirmi dire grazie da lei, essere apprezzato, rac-coglierne la gratitudine.

Entro al giornale con pensieri annuvolati e la prospettiva diaffrontare una situazione spiacevole. Non sono più tantosicuro di aver fatto la cosa giusta. Evito l’ascensore perrimandare eventuali incontri e intanto mi chiedo se ho fatto

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la figura del paladino delle cause perse o del coglione stru-mentalizzato da un paio di volponi.

Sfogata la rabbia provo un forte disagio al pensiero dellascarsa freddezza con cui mi sono comportato e del faccia afaccia che si avvicina col capo e con i colleghi: chi me l’hafatto fare, come mi è venuto in mente di espormi così peruna qualunque, fino a poco tempo fa una perfetta estranea?Ma ormai sono in ballo e non posso fare altro che ballare,perciò è meglio andare diritto a sostenere che mi batto perla mia professionalità violata e la libertà d’informazione, enon per la bella faccia di Luisa. L’unica cosa di cui sonodavvero convinto è che stamattina voleranno gli stracci.

Invece al giornale è tutto calmo. Stranamente calmo.Talmente calmo... I colleghi mi salutano e stanno alla larga.Provo ad attaccare discorso con qualcuno per sapere se inredazione già si spettegola, e nulla. Dopo aver passato alcu-ni pezzi, foto e didascalie, controllando che non ci sianoerrori e tentando di renderli attraenti con titoli azzeccati,non ne posso più di far finta di niente. Me la prendo colmondo intero: con la segreteria che non funziona, l’archi-vio che è lento, e perfino con i lettori: tanto masochisti daleggere pezzi noiosi come questi. Intanto mi guardo intor-no in cerca di una vittima da azzannare, ma vedo solo il fat-torino, il grafico, la segretaria: che senso avrebbe prender-sela con uno di loro.

Finalmente la fortuna mi assiste, sta passando SabinoGiurato, uno dei membri del comitato di redazione, ungiornalista di non grande talento, ma un ruffiano di verotalento. Il direttore ha perciò molto caldeggiato la suanomina nella rappresentanza sindacale. Poiché ogni suo

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desiderio è un ordine, Sabino è diventato sindacalista. Èla persona giusta per sapere cosa pensi davvero Enrico,e per sfogarmi. Tanto non fa una piega. La sua tatticaabituale è il muro di gomma. Come di gomma devonoessere quelle sue guanciotte che lo fanno più grasso diquanto sia in realtà. E di gomma quel cerchio intornoalla vita che ridendo chiama le maniglie dell’amore, mauna donna che gliele acchiappi con voluttà proprio nonce la vedo, e comunque non s’è mai vista in pubblico. Milecco i baffi come un gatto davanti a un pesce appenapescato, pregustando il piacere del sangue. Il suo, natu-ralmente.

“Dai, andiamo a prendere un caffè”.L’altro mi guarda come se aspettasse il mio approccio,

mi prende sottobraccio e dice: “Ok, ma arriviamo al barall’angolo, devo comprare le sigarette”.

Una scusa, visto che in redazione non si può fumare. Unsegnale per dire: fuori da orecchie indiscrete. Ma non sono invena di prudenza e appena in corridoio già lo interrogo pro-vocatorio.

“Hai saputo e vuoi far finta di niente o intendi occupar-tene?”

“Far finta di niente, dici? Mi piacerebbe, ma la vedodifficile. Quando il grande padre-padrone è incazzatoqui anche i muri tremano. E tu l’hai fatto incazzare allagrande”.

“Veramente io ho ragione, da ogni punto di vista. Perciòmi aspetto di essere difeso dal sindacato”.

“Formalmente, forse, hai ragione. Nella sostanza...scusa se te lo chiedo, a te che te ne frega? Mica ha toccatoil culo alla tua fidanzata...”

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“Toccare il culo alla mia fidanzata non avrebbe rilievosindacale. Invece sono certo che cambiare un pezzo comeha fatto lui meriti la vostra attenzione”.

“Non so a chi convenga alzare un polverone su cui la con-correnza inzupperà il biscottino. Non al giornale di certo, eneanche a te. È una cosa complicata da giudicare e da spie-gare, un comportamento al limite, se vuoi, ma insomma, nonhai fatto anche tu qualche ritocchino ai pezzi che hai passa-to oggi? Come distingui il ritocco e la censura?”

“Sabino, mi prendi in giro o che? Io faccio interventitecnici, certi pezzi non so perché li pubblichiamo, sono diuna noia mortale...”

“Ecco, vedi, il direttore, che fra parentesi ti ricordo ècapo assoluto della piramide gerarchica, ha pensato che iltuo pezzo mancasse di quel pepe che anche per merito suoti ha reso noto fra i lettori. Forse nel farlo ha calcato lamano, non so se ha violato il contratto, però quante volte lastessa mano ha coperto te e tutti i colleghi con la sua auto-revolezza?”

“Tutte le volte che gli conveniva per evitare al giornaleprocessi per diffamazione dal costo stratosferico”.

“Ora sei amareggiato, ma se ti raffreddi un po’ conver-rai che non è opportuno sputtanarlo, proprio lui che hafama di grande giornalista di sinistra. Già li vedo gli avver-sari che gongolano, che sbandierano chissà quali tramepolitiche dietro un banale intervento redazionale. Una voltaresa pubblica questa faccenda può essere raccontata comeuna censura, anzi peggio, come una vera e propria manipo-lazione, una violazione del contratto e della deontologia”.

“Se lo ammetti anche tu, perché dovrei stare buono ezitto?”

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“Perché quando volano gli stracci pieni di merda, qual-che schizzo colpisce tutti e poi io ho detto solo che puòsembrare tale, come membro del comitato di redazione nonposso pronunciarmi personalmente”.

“Spiegami il senso di quello che stai dicendo”.“Nulla di preciso, solo che il direttore ha legami con

ambienti importanti, gran presa sull’opinione pubblica egrande possibilità di farsi ascoltare su tutti i mezzi. Crediche si terrebbe l’accusa o che cercherebbe di ribaltarla inqualche modo su di te? E poi, ascolta un amico: ti convie-ne inimicarti un potente, che si dice andrà a fare il diretto-re generale in Rai? Non pensi alla tua carriera?”

“Io no, ma voi sì, a quanto pare. Comunque ho capito ilmessaggio. Il sindacato può essere molto agguerrito soloquando si parla di rivendicazioni economiche, ma guai atoccare il direttore”.

“Non esagerare. Te l’ho detto, se ci chiami in causa pre-vedo che non finirà bene per nessuno. Quando stamattina ciha chiamati di buon’ora, dopo la tua telefonata, è stato chia-ro. È fuori di sé dalla rabbia, ma è disposto a metterci unapietra sopra, se lo farai anche tu. E credo di poterti dire chein tal caso ci guadagnerai qualcosa”.

“Ah, dunque mi riporti un’offerta del direttore”.“Praticamente sì”.“Il quale pensa che io debba dar prova di buon carattere

per fare carriera”.“Vedo che cominci a capire”.“Anche troppo bene. Ti farò sapere”.Il messaggio è chiaro. Se il comitato di redazione non mi

appoggia, non ho alcuna possibilità. Ma non mi arrenderòsubito. Mi toglierò la soddisfazione di lasciare tutti sulle

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spine per un po’. Sindacalisti intrepidi. Richiamati all’ordi-ne, non hanno avuto neanche il coraggio di telefonarmi.Hanno preferito attendere che mi facessi vivo. Magari spe-ravano che rinunciassi ancor prima di arrivare in redazione.Duri e puri solo quando glielo ordinano. Mentre, nonostan-te tutto, a Enrico non dispiace la gente di carattere. Cometutti quelli che si sono affermati con la propria capacità,prova a sopraffare gli altri, ma se trova resistenza rispettal’avversario, altrimenti lo domina e lo schiaccia. “Io nonrientrerò nella schiera dei molli. Stavolta mi hanno isolatoe sarò costretto ad abbozzare, ma troverò il modo di pren-dermi una rivincita, prima o poi. Come diceva mia madre:chi pecora si fa lupo lo mangia. Io non mi farò pecora.Voglio rispetto e lo otterrò”.

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Il coyote è protagonista di molti miti nei quali con trasgressione, ribellione, allegria,

imbroglio, malizia e altro ancora, a volte aiuta l’uomo,più spesso porta disordine. Anche i politici portano

più spesso disordine che aiuto alla società, ma di solito senza allegria.

Luisa

Al partito la vita scorre stranamente tranquilla. Con l’aiutodi Alì sta crescendo la mobilitazione degli immigrati e delleloro organizzazioni. Intanto cerco di interpretare i desideridi Corradi: precisa e creativa e cos’altro ancora?

“Abbiamo bisogno di qualcosa a effetto, una coreogra-fia come quelle che fanno allo stadio. Per le televisioni, sai,voglio far trovare alle troupe un bel colpo d’occhio, allegroed eloquente. Mi piacerebbe che nella catena si alternasse-ro un gruppo di donne italiane a un altro di donne immigra-te nei costumi delle loro terre di origine. Che ne pensi?”

“Chiedi molto. Già sarà terribilmente difficile far supe-rare a quelle donne la diffidenza e la paura. In più le vuoiin costume come se andassero a una passeggiata festiva. Ciprovo, ma non garantisco il risultato”.

XVI

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“Se ci provi, già mi basta. E mi raccomando, Alì, nientedettagli coi dirigenti di Prato”.

Scoppia a ridere.“Vuoi dirmi che prepariamo una manifestazione pubbli-

ca che deve restare segreta?”“Non ridere, l’effetto sorpresa mi serve: se il sindaco e i

suoi capiscono che ce la possiamo fare organizzano il boi-cottaggio. Quando sarà troppo tardi per fermarci, solo allo-ra li coinvolgeremo. Fra un paio di giorni penso. In quelmomento dovremo fare il massimo clamore possibile.Dimostreremo a tutti che un’altra strada c’è. Basta volerlo,e lui purtroppo non lo vuole. Ormai si è irrigidito nella dife-sa di questa sua stupida trovata”.

“Come conti di contrastarlo?”“Io? Fossi matta, ci penserà Corradi. Forza ora diamoci

da fare”.Abbasso la testa e ricomincio a lavorare. Alla trentesima

telefonata sempre uguale non ne posso più di ripetere lestesse parole: il mio ottimismo si è sciolto in una stanchez-za insopportabile.

Forse Corradi aveva ragione quando ha detto che non hole qualità giuste per la politica. Come ho potuto credere chece l’avrei fatta?, che razza di illusa sono stata. Eugenio e ilpadre di Lorenzo sono sulla stessa barca, hanno frequenta-to le stesse scuole, gli stessi salotti. Io non frequento nessu-no, sono andata a una scuola pubblica qualunque e miopadre, mio padre era l’Alunni, passionale, anarchico, idrau-lico. Nulla a che vedere con le stanze ovattate e la buonaeducazione.

Mi ha regalato un’infanzia strana e un’adolescenzaancor più strana: molta solitudine e autonomia. Illusioni e

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delusioni a giorni alterni, e una pericolosa fiducia nel gene-re umano. La sua gerarchia di valori non aveva nulla incomune con quella degli altri.

Solo ora, dopo vent’anni, mi torna in mente una discussio-ne con la mamma.

Erano nella loro stanza, ed era tardi. Immaginavano cheio e Laura fossimo addormentate. Era il venti del mese, isoldi già finiti. Nulla di drammatico, i negozi ci facevanocredito perché avevano un gran rispetto di papà e soprattut-to della mamma. Quello però non era un mese qualunque:le nostre compagne di scuola facevano la prima comunio-ne, mi serviva un vestito per andare alla festa. Volevo a tuttii costi andare a quella festa. Volevo sentirmi normale, esse-re come le altre, uguali e solidali fra loro. Noi invece – io emia sorella – eravamo le comuniste. Quelle che durantel’ora di religione uscivano dalla classe. Ogni volta cheentrava l’insegnante di religione la maestra diceva: su, dabrava Alunni, vieni con me, poverina, che ti accompagnofuori come vogliono i tuoi genitori. Uscendo sentivo gliocchi di tutti i compagni su di me. Me li portavo addossocome un fardello, come la croce di quel Gesù del quale par-lavano in classe le mie compagne tutte insieme. Tutte tran-ne me. A volte la maestra mi accarezzava la testa e mi dice-va: cara, io ti farei restare, ma poi tuo padre chi lo sente.Tornavo in classe l’ora dopo e i miei compagni mi diceva-no: “Che culo c’hai, ci siamo talmente annoiati”. Nei croc-chi invece mormoravano che continuando così da grandesarei stata scomunicata. L’insegnante – un prete – alimen-tava le voci, scuotendo il capo appena la porta si richiude-va dietro di me: povera ragazza. E a volte faceva il segno

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di una benedizione. Quella compassione esibita era unaferita che mi bruciava per un’ora.

Il mio più grande desiderio era dimostrare alle mie com-pagne che c’era qualcosa di normale nella mia famiglia enella mia vita. Perciò volevo a tutti i costi il vestito dellacomunione come le altre, anche se la comunione la faceva-no solo loro.

Papà e mamma dunque litigavano: “Chi se ne sbattedella comunione e di Giulia. Chi se ne sbatte dei vestiti”.

“Infatti”, gli ribatteva mamma: “è di tua figlia che ti devipreoccupare. E se non lo capisci vuol dire che ho sbagliatoa sposarti, sei un insensibile, un sasso”.

“E cosa vuoi che faccia, che vada a chiedere la carità?”La mamma con tono improvvisamente suadente e con-

ciliante: “Ma vai dal Pippoli, sta cercando idraulici per lamanutenzione delle cliniche. Sei un compagno, lui è uncompagno. Capirà”.

Papà protestò e smoccolò, poi andò. E fu terribile. IlPippoli accettò di malavoglia: “Io di rompicoglioni non neassumo mai, ma se me lo chiede il partito”. Maligno e intri-gante, perché il partito in questo caso era mia madre, cheaveva preceduto papà con una telefonata. Glielo facevamolto pesare, e non mancava occasione per rinfacciargliqualcosa. Lo incontrava e davanti a tutti: “O Alunni, t’hosalvato dalla merda, eh? E ringraziami almeno”. Oppuresghignazzando: “Ma guarda tu se mi tocca assumere ’sticomunisti che so boni solo a chiacchierare”. Quando eranosoli invece erano gran manate sulle spalle e gran parlare deibei tempi del partito che una volta era così e colì e oggiinvece un grande schifo. Fino al giorno che la manata ilbabbo gliele diede per davvero. La mamma aveva finito

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presto ed era andato a prenderlo. Il Pippoli come la vede ini-zia la sua solfa paternalistica e sfottente. Concludendo con:“Alunni, finisci alla svelta e vai su nel mio ufficio che mi s’èotturato il cesso. Io intanto offro un aperitivo alla tua signo-ra”. Il babbo non fiatò, gli diede solo un gran colpo in pienopetto, come ai fascisti ai bei vecchi tempi. Prese la borsadegli attrezzi in una mano e la mano della mamma nell’altrae la trascinò via. Se ne andò senza neanche prendere il dovu-to. Passò poi lei in amministrazione, senza dirglielo, ancheper garantirsi che Pippoli non l’avrebbe denunciato.

A casa non se ne parlò mai più. Colpa del verme se m’ètornato in mente. Sì, caro mio, siamo stati sempre su frontiopposti. I padri, e ora i figli che si fronteggiano come ipadri. Siamo nati su sponde diverse, tu sei un cinico arrivi-sta linguaccione. Io no. D’improvviso mi sento meschina,mi tornano in mente le immagini di quel giorno a viaSoriano e lungo il Bisenzio: esseri umani in condizionedrammatica, donne che mi chiedevano aiuto come se fossila loro ultima speranza. E Irina, poco più che bambina, alleprese con una vita crudele. Io che in confronto sono tantofortunata, non posso perdere tempo a odiare qualcuno.

Eugenio

Quando ho un problema grave mi viene una specie di pru-rito dalla nuca alle orecchie e riesco a smaltirlo solo cam-minando. Se capita in ufficio percorro chilometri intornoalla scrivania. È un po’ ridicolo, ma funziona, e ovviamen-te nessun testimone a raccontarlo.

In questi casi Giuseppina, santa donna, gioiello prezioso,accessorio indispensabile della mia vita, mi costruisce una

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barriera difensiva insormontabile tutto intorno: nessunopassa, né col telefono né dalla porta. Fra noi non servonoparole. Lei mi osserva con discrezione. E sa. Quando misiedo, mi dondolo per un po’, poi metto il fermo, assumoposizione a busto eretto, è il segno che ho recuperato la miaproverbiale lucidità. Lei allora compare con le questioni chele sembrano urgenti.

Per ora continuo a camminare in tondo ed elenco i mieifastidi, per capire come neutralizzarli.

Problema numero uno: come liberarmi di Lorenzo, chebussa direttamente e continuamente alla porta. In unmomento di stupido entusiasmo l’ho autorizzato a nonpassare attraverso Giuseppina e lui ne approfitta. D’altraparte era rimasto malissimo per l’articolo e pensando alpadre ho cercato di blandirlo. Come potevo immaginareche quello avrebbe subito rinunciato a fare l’offeso,optando per la marcatura a uomo, molto molto stretta.Avrà capito che non sarei morto di dolore se si metteva indisparte. Oppure è stata decisiva la frase di Pippoli senior:vedi, se ne è accorto anche Eugenio che sei scemo. Cercadi capire a che punto stanno le cose e vieni a riferirmi. Èl’ultima cosa che faccio per te. Se mi deludi ancora, arran-giati. E lui, stupido davvero, è anche venuto a raccontar-melo.

L’ho sguinzagliato dietro a Luisa per avere qualcheinformazione in più. Non l’ha trovata e lei non lo richiama.Così l’unica sua vittima al momento sono io. Mi tampinapetulante e senza tregua.

Sono esasperato dalla sua invadenza, eppure non possocacciarlo. Meglio non tirare la corda: alla vigilia del con-gresso voti e soldi servono in quantità.

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Ora Lorenzo se n’è appena andato, ho qualche minuto dipace – prurito a parte – prima che torni. Ne approfitto perriorganizzare le idee.

Mi sono impegnato con quello scemo a nominarlo por-tavoce e a questo punto non so se, come e quando riusciròa onorare l’impegno. Se mi tirassi indietro Pippoli seniornon me la farebbe passare.

Problema numero due: mi sono impegnato anche conLuisa – e lei è un grandissimo fastidio, anzi una vera rottu-ra di coglioni – e tutto sarebbe andato liscio senza quelmaledetto articolo, che ha scoperto il gioco. Solo perdistrarla ho acconsentito alla manifestazione contro ilmuro, che già si preannuncia come fonte di grattacapi a nonfinire. Come se non bastasse mi sono impegnato conCorradi – problema numero tre, e rischia di diventare il piùserio – a dare spazio a quella sconsiderata rivoluzionaria dabar. Per qualche motivo ha preso a benvolerla. I compagnidi Prato adeguatamente istruiti potrebbero impedire a Luisadi portare avanti il suo progetto, ma quel vecchio occhiutoriesce sempre a sapere tutto.

E poi Mara: problema numero quattro. Mi ha fatto giu-rare che avrei bloccato Luisa. Lì per lì la sua impuntaturami tornava utile, e l’ho alimentata. Ma ora che la ragazzaha un potente alleato saranno cazzi amari, mi troverò fradue fuochi. Che avrà poi Mara per dichiararle guerra?Certo Luisa è molto carina e giovane, cosa che Mara non èpiù. Sospiro al ricordo: quanto era sexy Mara. Sexy e forte,femminile e mascolina al tempo stesso. C’è stato un breveperiodo che rappresentava tutto ciò che io chiedevo all’uni-verso femminile. Ma un uomo come me non resiste alletentazioni e al momento di Mara mi attrae solo il ricordo di

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come era bella e di come eravamo giovani. Ora per sentir-mi giovane ho bisogno di carne fresca. Come Luisa. Quellastronza calvinista con la passionalità di un direttore di col-lege inglese e il calore di un iceberg. È bastato un contattoravvicinato per rattrappirmi gli attributi, mentre la sua fac-cia mi diceva: non verrei con te neanche se fossi l’ultimouomo al mondo. E pensare che all’inizio mi era sembrato...La mente femminile è incomprensibile. Da quella mi aspet-to di tutto: fra me e lei lascio sempre almeno mezzo metro,ma questo anziché rassicurare Mara la scatena: ricordatibene che la Alunni è incontrollabile, il mio intuito è imbat-tibile, mi ha notificato.

Lasciar fare a Luisa la sua iniziativa, significa sconten-tare Mara. Cioè la differenza fra tornare a casa e sentirsi acasa, oppure tornare a casa e sentirsi in mezzo alle bombecome a Baghdad.

E, per concludere l’elenco dei grattacapi, Giustina èalleata con Mara. Non che costituisca un vero problema, micaverò d’impaccio col solito teatrino: sei l’unica che micapisce, aiutami almeno tu. Lei si farà un pianterello e poitornerà nei ranghi. Il tutto si risolverà con qualche fastidio– e Dio solo sa che non ne ho bisogno – e una gran perditadi tempo. Che se ne avessi preferirei impiegare con qualchebella donna, non in un gioco insulso.

Giustina conta poco, perciò le dirigenti giovani la igno-rano e la feriscono senza neanche accorgersene. Mara sof-fia sul fuoco, riportandole tutte le malignità che si diconosul suo conto, arrotonda i pettegolezzi con dettagli che lirendono più credibili, e aizza Giustina a scopo preventivo,per fare terra bruciata intorno a qualunque donna. Negliultimi tempi il suo principale obiettivo è Luisa.

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Mi serve una grande idea per liberarmi dalla ragnatela.Giuseppina interrompe il corso dei miei pensieri. La guardomale, ma lei sa quello che fa e non si lascia intimidire:“Posso passarti la telefonata di Adelmo Pieri, il sindaco diPrato? È meglio se ci parli”. Detto da lei non è neanche unadomanda. Ha sentito odore di rogne. Infatti il sindaco è agi-tatissimo, urla al telefono: “Pronto segretario, guarda, non tichiedo neanche come stai, tanto sei sempre in tv e lo vedo dasolo. Quindi vengo subito al punto, dal momento che sonofuori di me. Sento dire che il mio partito prepara nella miacittà una grande manifestazione, della quale io non so nulla.Sono stati informati il prefetto, le forze di pubblica sicurez-za, i cittadini di via Soriano e dintorni, i miei compagni, per-fino gli uffici comunali, ma non io. Tutti, dal primo all’ulti-mo sfigato, pensano che sia contro di me: come hai potutoautorizzarla e pensare che il partito sopravviva a una provo-cazione così grande contro me che qui sono il leader, checontrollo la zona, i voti, il consenso?”

“Non esagerare Pieri, nessuno ti ha dichiarato guerra.Dobbiamo semplicemente far capire al paese che il muro èuna tragica necessità, non la nostra linea preferita. Certo,sarebbe stato meglio se non ci fossimo trovati di fronte alfatto compiuto, se ti fossi consultato con qualcuno prima difare una scelta di questo genere... anche tu oggi non sarestiin difficoltà”.

“Che discorsi, c’è un’autonomia delle amministrazionilocali, mica siamo in Unione Sovietica, buon’anima”.

“Appunto, c’è anche un’autonomia del partito. O crediche la nostra azione si esaurisca nel far eleggere qualcuno,avallare a priori le sue scelte e non occuparci più di nulla?Sì, lo so che hai voti tuoi, ma onestamente devi riconosce-

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re che senza le nostre bandiere... Ora tu devi tener conto deituoi elettori, ma pensa anche a noi: il tuo muro ha avuto ilconsenso pieno e plateale dell’opposizione, e il dissenso digran parte del nostro elettorato tradizionale, per non parla-re dei giovani, il che ci mette in un certo imbarazzo”.

Il messaggio arriva al bersaglio e il sindaco capisce chenon gli conviene proseguire su quel tono.

Continua, controllandosi: “Ma allora io chi sono, l’ulti-ma ruota del carro o il primo cittadino?” Poi, alterandosinuovamente: “Chi cazzo è questa stronza, questa Luisa...una tua creatura, sento dire, una che per la sua carrieravuole affossare la mia... una pazza che vuole dimostrareche io faccio una politica da nazisti. Ma siamo impazziti...blocca tutto o io cambio partito”.

Adelmo Pieri ha già avuto la sua parte di fiele, è arriva-to il tempo di dargli un contentino.

“Ma stai tranquillo, Adelmo, sai come sono i giovani,sempre entusiasti e con l’entusiasmo si rischia di sbagliare.Luisa – una stronza, come dici tu – è una di queste donnebelle, ambiziose e senza umanità che pensano solo alla car-riera e sono disposte a tutto pur di soddisfare la propriaambizione. Detto fra noi: se scopasse un po’ di più farebbemeno danni. Guarda però che non è una mia creatura...semmai... organizza la manifestazione con Corradi, è unasua collaboratrice stretta. È con lui che dovresti lamentarti.Io preferisco gente come Lorenzo Pippoli, un bravo ragaz-zo, molto più prudente e malleabile, che come sai viene dauna famiglia affidabile. Se me lo chiedi posso affiancarlo alei per limitare i danni. Meglio non andare apertamentecontro Corradi, i vecchi a volte prendono delle sbandate,delle impuntature ostinate, quasi degli sbandamenti, se mi

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capisci. Prudenza, fra non molto ci sarà il congresso.Poiché sono sicuro che avrò il tuo appoggio, ti promettoche per il momento le farò una risciacquata e poi – dammiun po’ di tempo – cercherò una soluzione più adeguata,sopratutto se... la manifestazione non dovesse riuscire,come prevedo. Hai fatto bene a chiamarmi, bisogna mette-re un argine a questa generazione di irresponsabili che noncapiscono la fatica del governare e del costruire il consen-so. Hanno avuto la strada spianata, non sanno quello che hapenato gente come noi”, sento un mugugno che mi incorag-gia a continuare questa filippica interminabile: “noi cheabbiamo dovuto farci spazio in un’opinione pubblica osti-le, che ci scatenava i cani contro quando andavamo per lecampagne a fare comizi. Eh, caro mio, loro che ne sanno.Noi siamo della stessa età e della stessa pasta. Perciò dob-biamo tenerci uniti. Dietro le quinte io farò di tutto perchéLuisa non ti danneggi, tu però falle vedere che collabori, èmeglio non prenderla di petto, se no la spaccatura sarà evi-dente anche ai media e allora... ci siamo capiti, sta’ bene esta’ tranquillo. Tienimi informato su come procede e sugge-riscimi le mosse che potrebbero rendere la manifestazione,diciamo così, un po’ impopolare. Io farò altrettanto. Se nontrovi me parlane con Lorenzo Pippoli. E, a proposito, sesenti Corradi mettigli qualche dubbio sulla sensatezza diquesta iniziativa, sulle scarse possibilità di successo. Manon dirgli che te l’ho detto io. E non farne un caso. Se lasignorina in questione non avrà più l’appoggio del vecchio,la facciamo fuori in due minuti. Ma fino a quando c’è luialle sue spalle, non abbiamo spazio di manovra, almenoapertamente. Come al solito, prima separare, poi colpire.Mi raccomando, prudenza”.

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Molto soddisfatto attacco il telefono. Il Pieri, non hobisogno di vederlo in faccia per capirlo, è tutt’altro che pla-cato. Bene, darà filo da torcere alla stronzetta, e nessunopotrà dire che l’ho aizzato.

Ora posso smettere di girare in tondo come un toroubriaco. Il risultato della telefonata è soddisfacente, comesempre io e Giuseppina siamo una coppia imbattibile: leialza e io schiaccio. Potrebbe quasi fare politica al postomio, per come è intuitiva e pronta. Ma è meglio che io nonlo pensi nemmeno, casomai possa leggermi nel pensiero.Pieri e Corradi non si sono mai amati, ora poi... a quellastupida di Luisa ho scatenato Adelmo contro, posso smet-tere di occuparmene, non è più un problema. AncheLorenzo è un grattacapo in meno: ha qualcosa da fare, sirenda utile e soprattutto non mi rompa più le palle.Altrimenti pagherà per tutti. Capirai, a quarant’anni ha giàfatto mille lavori e ancora deve spingerlo il padre. Già pre-gusto di dire al vecchio: contavo su di lui per sapere e pre-venire, ma non è stato in grado, trovagli un altro genere dimestiere. Se Pippoli insiste sciolgo il Pieri contro di lui. Etutti contro Corradi. Splendido. Un progettino piccolo, masuscettibile di grandi sviluppi. Il congresso è ormai prossi-mo. Pieri è un rappresentante molto autorevole e moltocontestato del potente partito toscano: se vuole il mio aiutodeve darmi prova del suo. Sì, era ora che cominciassi aoccuparmi di cose serie. Ho perso fin troppo tempo conquella stronzetta e le sue voglie di protagonismo. Impari astare al suo posto, saprei ben io dove. E invece trova sem-pre qualche vecchio rincoglionito da infinocchiare chel’appoggia a spada tratta. Prima Tonino Majani, oraCorradi. Già, Corradi. Non capisco cosa ha in mente, ma

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devo fargli terra bruciata intorno: non vorrei che candidas-se qualcun altro a segretario. Fra noi non c’è mai stata gran-de simpatia, ma da quando Pippoli mi ha dichiarato il suoappoggio, Alfonso me l’ha giurata. Sempre col suo sorrisi-no del cazzo, sempre con quell’aria da vecchio saggio al disopra delle parti, al di sopra delle cose del mondo. Sì: sag-gio, distaccato, e ti pugnala sorridendo e fa gli affari suoialla grande.

Speriamo che dia una sveglia a Pippoli. Perché poi undamerino azzimato come quello voglia fare politica e nonl’indossatore o il ballerino, chissà. Giusto per rompere lescatole a me. Se non fosse che il padre è così generoso,glielo darei un buon consiglio...

Ci risiamo, c’è di nuovo Lorenzo alla porta. Stavoltasono chiaro: “Senti Pippoli, finora abbiamo scherzato. Mada questo momento in poi si fa sul serio. Fammi vedere sehai i coglioni. Bisogna che controlli la coppia Corradi-Alunni per mio conto. Se senti qualcosa che va contro ilbuon nome di Adelmo Pieri, tieni presente che non possia-mo permetterci di sputtanare il nostro massimo rappresen-tante a Prato. Perciò vieni subito a riferirmelo. Non fare cri-tiche, commenti, battute, che poi non verresti a sapere piùnulla. Non ti scoprire, anzi fai finta di lavorare per loro epoi mettiti al telefono con le tue fidanzate. Non voglio chela manifestazione abbia troppa visibilità. Chi si occupa del-l’ufficio stampa?”

“Luisa, in prima persona”.“Benissimo. Allora sono certo che uscirà poco o nulla:

anche per questo conto su di te, i giornalisti devono capireche la manifestazione interessa a qualche dirigente, non alpartito. Lei dimostrerà la sua inadeguatezza a trattare con la

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stampa e il posto di portavoce se lo scorda. Come vediragiono sempre nel tuo interesse. Per concludere: remacontro e riferiscimi anche quando respirano. Vai ora, cheabbiamo già perso troppo tempo. E ricorda: costi quel checosti, la catena umana deve essere un flop”.

Lorenzo

Esco dall’ufficio di Rispoli come uno che ha respirato gasdi scarico. Mi chiede di fare il doppio gioco, mentre mi facapire che gli sto sulle palle, e se non fosse per mio padrecon me non ci parlerebbe neanche. Ma i soldi e i voti delPippoli gli fanno comodo. Potrebbe far finta di ascoltarmi,di apprezzarmi. Invece ha sempre quell’aria da “allaprima-chemifai”. Chi si crede di essere, vecchio bavoso, chesecondo me manco ce la fa, e usa le ragazze per un po’ diautopromozione a buon mercato. Si crede furbissimo einsostituibile. Non mi sopporta perché ho l’età per divertir-mi e infatti mi diverto. Perché se lui avesse un padre comeil mio non dovrebbe dire grazie a nessuno invece deveingraziarsi il mondo intero. Perché le donne cercano me enon il contrario. Tranne Luisa, che non cerca né me né lui.Anzi, non gliene passa una, non gli fa gli occhi dolci, èdistante e tenace. E molto molto carina. Lui è la volpe e leil’uva. Non ci arriva e la disprezza.

In verità saremmo alleati naturali io e lei, se non fosseper quel maledetto posto. Devo ottenerlo: non ce la farei asentire la disapprovazione di mio padre. Mi segue comeuna maledizione fin da quando ero ragazzo. Ero adolescen-te e non lo sopportavo, figuriamoci ora. Il suo ritorno dopoperiodi di assenza più o meno lunghi era un incubo: non

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c’era gioia o complicità nel nostro stare insieme. Solo uneterno predicozzo. Lui era quasi maniacale, concentrato sudue passioni esclusive: fare soldi con le sue cliniche e accu-mulare potere con la politica. Non vedevo nobiltà nella suavita, non sopportavo la distanza fra quello che aveva sem-pre predicato e quello che aveva realmente fatto. Non sop-portavo il pensiero che avesse preferito soldi e potere a me.

Ora è tanto invecchiato. Le sue prediche, nei giorni incui non mi perseguita, mi fanno perfino tenerezza. Hasacrificato la famiglia perché è uno di quegli uomini natiper costruire. Al contrario di me, che sono nato per consu-mare. A modo suo ha sempre creduto di essere nel giusto,di avere una missione. Io invece amo sperperare giornate eoccasioni. Ma ho ragione: il partito a cui ha dato tanto èdiventato un coacervo di intrighi e interessi personali.Quanto è stata inutile la mia sofferenza di bambino cresciu-to senza padre, visto che la sua causa si è persa per strada.Inutile la depressione e i pianti di mamma: non ce la faccio,da sola non ce la faccio. Tutto inutile. Perciò meglio evita-re contorcimenti mentali e strategie impegnative. Sì, se nonfosse per mio padre direi a Luisa: bella mia, di quel postonon so che farmene, prenditelo tu e in cambio torna a bal-lare con me come quella benedetta sera che ancora non socosa è andato storto sul più bello.

Invece siamo su due fronti opposti: lei con Corradi, io conRispoli. Di ballare insieme non se ne parla, mentre devo farfinta di lavorare con lei e intanto spiarla. Che schifo di com-pito. Come ha detto il segretario? “Costi quel che costi,costruirò una ragnatela dalla quale la poveretta non riuscirà aliberarsi e tu mi aiuterai”. Rideva all’idea e ha aggiunto qual-cosa del tipo: beato te che vedrai un maestro all’opera.

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Quanta sbruffoneria e accanimento contro una ragazza. Nonvorrei e non dovrei prestarmi al suo gioco. Suo e non mio,anche se fa finta di avere a cuore la mia carriera e SinistraUnita. In realtà mi disprezza perché adoro mondanità e pette-golezzi, mentre lui adora l’intrigo. Adoro la bella vita, luiadora il potere. Adoro le donne e lui pure. Però lui è un cini-co e io no. Lui è disposto a tutto e io no. Agli altri dice chesono un bamboccione, solo perché non sono disposto a qua-lunque sacrificio personale o a qualunque compromesso. Chise ne frega. A me piace l’easy life, però sono in grado diapprezzare chi, al contrario, ha chiari gli obiettivi e li perse-gue con tenacia. Come Luisa, che difende la propria carriera,posizione e prospettiva. Peccato che non me la dà. Sembradisinteressata al sesso e alla seduzione. È seducente suo mal-grado. Figuriamoci se ci mettesse dell’impegno. Anche la suacompetitività mi stuzzica, ma è una donna complicata, cherichiede un impegno troppo grande, scoraggiante. La portereivolentieri a letto, e poi chissà, qualche volta al cinema o daamici. Ma non è quel genere di donna, lei vuole sapere qual èla prospettiva oppure vuole prendere l’iniziativa.

No. Non è la stronzetta che dice il segretario. Non me lasento di fare la spia. Magari collaborerò poco, ma non leremerò contro subdolamente.

L’importante è che Eugenio non se ne accorga. Bussoalla porta dell’ufficio di Luisa.

Luisa

“Marco?” “Sorellina, dovrai fare a meno di me per questa volta”. “Come sarebbe? C’è un gay pride fuori programma?”

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“Non essere volgare. Il segretario non mi ha dato il per-messo di aiutarvi. Mi ha risposto che vi ha già assegnato ilverme e che non può sguarnire il partito per una manifesta-zione dagli esiti incerti. Sì, ha detto proprio incerti. Ho pro-vato a insistere, spiegando che proprio per questo ci vuolegrande lavoro se non vogliamo fare tutti cattiva figura. Manon mi è sembrato per nulla preoccupato. Anzi, guarda,faresti bene a riferirlo a Corradi. Credo che lui debba sape-re. È quello che rischia di più”.

“Veramente penso di essere io quella che rischia di più.E ora, senza te...”

Lui la butta a ridere e canticchia la canzone degli anniSessanta – ogni tanto questa fissazione di Marco per i fabu-lous 60’s mi dà veramente fastidio: “Senza te, non vivrò,senza te morirò. Senti amica mia, Corradi rischia di più per-ché ha più da perdere. Tu non hai ancora nulla che facciagola a qualcuno. L’emigrazione è un pretesto. È comincia-ta la lotta per il congresso”.

Abbasso la voce, dal momento che è entrato Lorenzo:“Ma Corradi non si presenta per cariche di partito, che glie-ne importa”.

“Se vuole correre per il Quirinale deve avere l’appoggiodel segretario di Sinistra Unita. Di certo Rispoli non lo farà.Pippoli sta con Eugenio e perciò Corradi vuole segare il figlio,per rompere il fronte”, sospira e continua autoironico: “e iocome sempre resterò ai margini. Ti pare giusto? Io che sonoun genio prestato alla politica devo restare nell’angolino”.

“No, ma la vita è ingiusta”, dico guardando fissoLorenzo, in questo momento lo identifico con i miei guai.“Ora non c’è nulla che io possa fare, ma ti prometto cheappena potrò...”

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“Lascia perdere sorellina, pensiamo a te. Anzi, alla tuamanifestazione. Il telefono nel mio ufficio c’è. Dammi unelenco di nomi e di cose da fare e io le farò, ma non direniente a nessuno, tranne, se credi, a Corradi. Se no il segre-tario me la giura. Ci vediamo a pranzo al solito posto. Portail foglietto con nomi e numeri di telefono. Ciao”.

Mi rivolgo a Lorenzo come una furia: “A quanto pare cisei stato assegnato al posto di Marco. È la prima volta cheti vedo comparire dalla porta, non hai ancora parlato conCorradi e non sai nulla dell’organizzazione che stiamo met-tendo in piedi. Come pensi di esserci utile? Trotta bellomio, se no sei nei guai”.

“Non ho chiesto io di sostituirmi al tuo prezioso Marco.Il vostro sembra un rapporto esclusivo che non ammettealtri ingressi. Se non sapessi che è gay direi che hai unarelazione con lui”.

Sono furiosa: la sua frase mi ricorda la sua lingua e ilmio attimo di debolezza. Perciò continuo col tono da mae-strina che dà fastidio anche a me, ma non riesco a frenarmi.La voce stridula e i nervi tesi: “Marco è soltanto un amico,il mio più caro amico, ma dubito che tu possa conoscere ilsignificato di questa parola. Per te le relazioni sono soloutili: il tale per fare carriera, la tale per fare sesso. Sei pro-fondo come una pozzanghera”, questa frase l’ho sentita inun film e non vedevo l’ora di dirgliela. Ora che l’ho fattocomincio a sentirmi meglio.

Lorenzo invece si fa stranamente serio, quasi offeso:“Sono in concorrenza con te, ma non per questo sono il dia-volo. Mi giudichi male perché ho le tue stesse ambizioni ecerco di realizzarle. Conosco il ritornello: voi donne sietemigliori, più intelligenti, più sensibili, più colte, più istrui-

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te e via così. E per questo dovreste avere tutto. Ma chebisogno avete di sentirvi migliori, non vi basta essere ugua-li e battervi alla pari? No, preferite crogiolarvi nel vittimi-smo. Meglio piangersi addosso che imparare a lottare.Nessuno regala la vittoria, e perché dovremmo assegnarve-la a tavolino? Tira fuori le tue armi e combatti, non puoiaverla vinta solo perché sei donna. Noi da secoli ci scon-triamo e vinciamo e perdiamo: lo impariamo da bambini.Fatelo anche voi e lasciate le vostre comodità e protezioni.Sì, guardami come se fossi il lupo di Cappuccetto rosso,credi di spaventarmi? Ho vissuto in casa con una madredepressa e quindi a tratti molto aggressiva, una sorella incarriera e quindi sempre aggressiva e un padre che l’ag-gressività ce l’ha nel DNA: pensi che possa preoccuparmiper uno sguardo truce? Ti sbagli bellezza, io sto al gioco ecombatto come so, non faccio il santo, la vergine o l’eroe.Sono un raccomandato stronzo figlio di papà. Anche questaè vita. Se sei più brava dimostramelo. Comunque è l’ultimavolta che ne parlo con te. Questa conversazione è troppospiacevole e impegnativa per me che sono superficiale escemo. Dammi degli ordini, boss, e facciamola finita. Sedobbiamo giocare al buono e cattivo, facciamolo fuori dal-l’orario di lavoro. Magari sul mio divano. Così poi giochia-mo anche a medico e ammalata. Coraggio, che devo fare?”

Taccio, spiazzata da questa inattesa tirata del verme. Hatrasformato la mia furia in stupore. In qualche modo me lasono cercata: sono stata eccessiva, e anche imprudentevisto che mi è stato mandato dal segretario in persona. Nonintendo scusarmi: è stato duro, ha tirato a far male, e hadetto un mucchio di sciocchezze. Però è stato onesto: dun-que anche i vermi soffrono.

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Il Pippoli-pensante è una novità che mi farebbe sorride-re se non fossi ancora molto irritata. Ormai tutti si siedonoin cattedra e mi danno lezioni. Tuttavia scelgo un tono piùconciliante per rispondergli.

“È sempre utile sapere come la pensa l’avversario,anche quando”, sorrido per fargli capire che sto scherzan-do, “è un vanesio vuoto come te. Non era mia intenzioneoffenderti, ma sono sotto pressione. A tratti penso di esser-mi imbarcata in un’impresa impossibile. Tu da dove comin-ceresti?”

La tirata ha destabilizzato anche Lorenzo, ed è l’esattocontrario di ciò che gli ha chiesto Eugenio, perciò coglie lamano tesa e risponde serio alla domanda: “Dall’ostacolomaggiore, il partito”.

“Il partito di Prato meno è coinvolto e meglio è”.“Sei matta. L’unica cosa sensata che puoi fare è chia-

marli subito. La lotta politica non si fa giocando a nascon-dino, ma discutendo. Magari viene fuori qualcosa a cui nonhai pensato. Noi da qui vediamo la foresta, ma non sappia-mo se sotto un cespuglio c’è una trappola”.

“Buffo, di solito si dice il contrario”.“Da lontano vedi il panorama, ma non i singoli uomini

che vivono e soffrono e gioiscono e fanno la storia. Guardache è una citazione dal pensiero di Pippoli senior. A luipiace dispensare massime di filosofia spicciola e la sua vitaè tutto un inno all’equilibrio. Ne ha speso tanto con gli altriche per noi di casa gliene è rimasto pochino. E comunquenon puoi operare a Prato contro il partito di Prato. Non puoiarrivare lì un giorno e dire: eccomi, ho qui pronta una certamanifestazione per voi, oggi vi aspetto tutti in piazza.Neanche gli amici di Corradi la prenderebbero bene”.

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“In effetti sto rimandando il momento del confronto per-ché spero che se ne faccia carico lui”.

“Hai paura e aspetti che papà ti levi dall’impaccio?Credi a me, che di padri ingombranti me ne intendo: sepensi di diventare qualcuno all’ombra di Corradi, sbagli. Tel’ho detto, devi batterti per ottenere ciò che vuoi”.

“Da quando sei diventato così saggio e sincero?”“Da quando hai chiarito che non sono il tuo tipo, ho

deciso che non la passerai liscia, ti dirò tutto ciò che penso.Riuscirò a levarti quell’arietta supponente e ti dimostreròche non sei migliore di me”.

Non rispondo alla provocazione. Scelgo la sincerità.“Sarà molto sgradevole, dovrò affrontare un mucchio di

perché e percome e di obiezioni. Per questo rinvio il momen-to. Farò come dici e poi naturalmente me ne pentirò. Primaperò devo consigliarmi con Corradi: non per mettermi sottoil suo ombrello, ma in questo momento è lui il capo e preten-de di essere al corrente di tutto. E, Lorenzo, grazie”.

Non mi risponde, tira su le spalle per minimizzare e siimmerge nella lettura di chissacché.

Ma il boss è uscito per una riunione e dicono che nontornerà per questa sera. Niente maestro, niente padre. Comedice Lorenzo, non mi resta che agire da sola.

Si è fatta l’ora del panino e dell’appuntamento con il mioamico del cuore. La giornata è bella e un po’ più fresca, ilche non guasta. Inforco gli occhiali da sole, e me la prendocomoda, camminando come ogni giorno verso lo zozzone,occhi puntati in alto, verso il cielo e la punta del campani-le di Santa Maria del Popolo. Per questo non vedo subito ilvolto, ma riconosco la voce femminile.

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“Me lo dai oggi un iuro?”“Sicuro che te lo do. Come stai Irina? Ti vedo sempre

più magra. Hai pensato a quello che ti ho detto l’altrogiorno?”

“Io sta bene, allora mi dai un iuro intero?” Glielo porgo e aggiungo: “Ti regalo anche questa”, mi

levo una spilletta di smalto tutta colorata fatta dal partitoper l’anniversario dell’unità d’Italia e gliela porgo. “Così tiricorderai di me se sarai in difficoltà. Se vuoi aiuto chiama-mi, su questo biglietto c’è il mio numero”.

“Sei buona e bella, siniora. Non posso, non posso. Peròdimmi tuo più grande desiderio ti assicura io succede”.

Sorrido all’adolescente disperata e disgraziata che mipromette la luna.

“Vediamo”, scherzo, “il mio più grande desiderio è fartornare in vita Otis Redding”.

“Tuo fidanzato? Morto? Sei sola, perciò fermi e parlacon me? Io non fa miracolo, ma lui lassù te protegge. Iopromette”.

Sono quasi pentita, non volevo prenderla in giro.“Scherzavo. Otis era un grandissimo autore e cantante.

È morto giovanissimo al massimo del successo. Ha unavoce che quando lo sento mi si scioglie qualcosa dentro, eso benissimo che tu non puoi fare nulla, non m’importa.Non mi aspetto niente da te, mi fermo a parlare perché sonouna politica e spero che potrò cambiare il mondo. Che tuttoquello che faccio serva a qualcosa per chi non ha niente,come te”.

Serissima Irina le risponde: “Politica io non sa. Ma tusbaglia, io qualcosa fa per te. Tu buona, tu amica, trattabene me e parla con me”.

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Sono gratificata dal giudizio di Irina, ma mi sento ridi-cola a tentare di spiegarle concetti difficili ed esistenziali.La saluto: “Ciao Irina, e se hai bisogno chiamami.Ricordati, a volte possiamo cambiare anche le cose peggio-ri. Io ti posso aiutare”.

Irina sorride di un sorriso da vecchia: vorrebbe creder-mi, ma la sua vita smentisce la speranza.

Non so nulla di lei, non so quanti anni ha, se è schia-va di un italiano o di un’organizzazione straniera. Non sose davvero minacciano i genitori o i fratelli, o se sonostati loro a venderla. In queste condizioni e senza la suavolontà, aiutarla è impossibile. Forse – mi consolo conconsapevole ipocrisia – Irina nella disgrazia è perfinofortunata: altre ragazze belle e giovani come lei sonocostrette a prostituirsi. A lei chiedono solo di mendicare.Umiliante, ma sempre meglio che dover vendere il pro-prio corpo.

Se Eugenio non fosse circondato da chi gli dà sempreragione. Se ogni tanto guardasse negli occhi le personedavvero sfortunate, non avrebbe più la forza di abbando-narle al loro destino.

Forse io non sono migliore: ora girerò l’angolo e diròaddio a Irina, il suo mondo sparirà e il mio prenderà ilsopravvento. Cancellerò dai miei occhi la sua immagine ele sue sofferenze e mi ritroverò alle prese con la mia solitavita, aggredita dalla mia stessa competitività, ferita daeventi che per quella povera ragazza sarebbero un mirag-gio. A poco più di trent’anni mi lecco ferite che paragonar-le al suo strazio sembra un gesto osceno. Dovrei vergognar-mi. Non voglio diventare come Eugenio, Corradi, Giustina,Mara, tutti gli altri. Ma, se non farò come loro, non entrerò

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mai nella stanza dei bottoni. La goccia di plastica rosa diIrina mi brucia nel palmo della mano.

“Giovanni sei tu?”Ho visto di spalle il giornalista e l’ho chiamato d’istin-

to. Che fortuna: lo inviterò a pranzo con Marco, e forse riu-scirò a rimettere sui binari un rapporto avviato male.Meglio che telefonare apposta, chiedergli un appuntamen-to, dare spiegazioni... non che mi interessi tanto, è perseguire i consigli di Marco e di Corradi: farsi amici i gior-nalisti. Nulla di meglio che un buon panino nel luogo dellaprima litigata.

“Giovanni, aspettami”, urlo, ma lui non risponde, staparlando al cellulare, si gira appena, fa un cenno con lamano come per dire ti chiamo dopo, e si allontana a grandipassi verso via del Leoncino. Evidentemente vuol farsi pre-gare, darsi le arie da giornalista impegnato. “Quando saròportavoce le cose cambieranno molto. Sarò trattata conmaggior rispetto e temuta, e non dovrò correre appresso aun Mustacchi qualunque. O forse aveva davvero fretta?”

Giovanni

L’ho vista di lontano e ho deciso di evitarla. Perciò ho fattofinta di parlare al telefono. Sono successe troppe cose etroppo in fretta da quando l’ho conosciuta. È totalmentediversa dalle persone che frequento: giornalisti e giornali-ste sempre in polemica con capi e colleghi, agitati per unafirma mancata, per un servizio mancato, per una promozio-ne mancata. Gente che gesticola e parla ad alta voce nei bare pensa di essere al centro del mondo. Li conosco bene e so

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come rapportarmi a loro. Luisa invece è una sconosciuta,una minaccia alla mia stabilità. Dopo avermi maltrattato,m’incontra per strada – di sicuro starà andando dallo zoz-zone all’appuntamento quotidiano con Marco – e mi chia-ma, come se niente fosse. Non ha nessuna delle caratteristi-che del politico a cui siamo abituati: non è diplomatica, nonè mediatrice, non è formale, non è prevedibile, e purtropponon è brutta, ed è fidanzata con un bell’uomo che non lamolla mai. Meglio evitarla. Che si tenga Marco e lasci inpace me.

Allungo il passo: non voglio fare tardi all’appuntamen-to con Piera Trivelli, una parlamentare del centrodestra, ilnome giusto per iniziare la serie donne in politica che ilcaporedattore mi ha proposto per siglare la pace e uscire dallimbo.

Però... riprendo in mano il telefono.

Luisa

“Marco, non sai cosa mi è capitato”.Mentre lo saluto con un rapido bacio mi confido, gli rac-

conto la sparata di Lorenzo e la fuga di Giovanni.“Il giornalista è saggio a starti lontano. Il verme è

verme”, sentenzia Marco, “ma tu passi come un carrarma-to sulle teste degli altri. Anche con me, non mi chiedi comesto, cosa provo, se ho dei problemi. L’importante è comestai tu, cosa è capitato a te. Io ti perdono, perché senza dime saresti finita, ma non tutti sono disposti. Se Corradi è iltuo maestro, io sono il tuo padre spirituale. E ascolta bene:per una volta il verme ha ragione. Coinvolgi il partito diPrato prima di andare avanti. Altrimenti potresti girare l’an-

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golo e trovare un grande, robusto muro, tutto per te. Adessopensiamo al panino che ho una riunione fra venti minuti. Ilsegretario non mi chiamava da un mese, ma per essere sicu-ro che non ti aiuti ha scoperto che gli sono indispensabile.Poi ci vediamo stasera per una pizza: il mio fidanzato èvolato a Milano per lavoro. Cioè, questo è quello che mi hadetto. In realtà credo che mi abbia raccontato una balla, estia iniziando un’altra storia. Comunque, sono solo. Nonsei il mio genere, però mi darai la spalla e mi asciugherai lelacrime. A proposito, anche se sei un’ingrata egoista sonouscito un po’ prima e sono passato da Ricordi. L’altro gior-no te l’avevo promesso”. Mi porge un pacchettino. “Te laricordi quella canzone di Lucio Dalla della stella che fa agara con il coyote per chi sa raccontare la storia più fanta-stica che sia mai stata inventata?”

“Certo che me la ricordo, delle sue è la mia preferita. Mache c’entra con me?”

“Tu vuoi fare la parte della stella. Ma nella gara per lavita vince il coyote, perché la vita è lotta dura, e il coyote èallenato alla lotta. Nessuno lo corteggia, nessuno lo guardasospirando. Al più lo temono e lo scacciano, e lui impara avivere, a lottare, a vincere. Nessuno ti regala niente, e per-ché dovrebbero, se ciascuno si è fatto largo con fatica?Pensaci, intanto che ti prendo il solito”.

Ho tutto il tempo per pensare. Mentre va a prendere ilpanino per entrambi gli suona il telefono, si allontana dal ban-cone affollato e sta via un po’. Torna con un’aria sorniona egli occhi che ridono. La telefonata l’ha messo di buonumore.

“Pensato: grazie del regalo, ma non ci tengo a diventarecoyote. Se devo vincere con il metodo sbagliato, preferiscoperdere”.

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“Ti prego, non dire sciocchezze o mi riprendo disco epanino. Sai perché il coyote era sacro, un semidio per i pel-lerossa d’America, tanto che alcuni gli attribuiscono lacreazione della terra, altri quella del cielo? Perché avevanouna gran considerazione per chi combatte la lotta della vita.Ce l’hai con lui perché ulula o perché mangia carogne?Poveretto, se non trova altro... e poi è una funzione ecolo-gica”.

“Non dire schifezze. Non ho nulla contro il coyote, manon gli voglio assomigliare”.

“Ascolta il disco e rifletti bene. Ciao, a dopo”.“A dopo dove, quando?”“Inaugurano il Cacio e vino al Testaccio, un locale di

tendenza, con cibo a chilometro zero e musica rigorosa-mente anni ’60. Vediamoci alle venti davanti all’ingressodel partito”.

Vedendo la mia faccia dubbiosa aggiunge: “O hai dimeglio da fare?”

Lo saluto affettuosamente: “Stupido, mi sono impegna-ta ad asciugarti le lacrime. A dopo. Grazie per il disco e pertutto”.

Dopo il panino, spazzolino e dentifricio. Una vecchia abi-tudine imparata da mamma, che stava fuori giornate interee diceva: se dovessi lavarmi i denti solo quando sto a casa,mi sarebbero già caduti tutti.

Mi blocco davanti al bagno delle donne, sentendo levoci di Mara e Giustina. Interessante. La signora del segre-tario ha il solito tono melenso, ma con una punta di eccita-zione e una nota alta che mi permettono di sentire distinta-mente.

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“Povera stupida, pende dalle labbra di ogni uomo che ledia un po’ d’importanza, Majani, Corradi. Ma Eugenio lesta preparando un piattino: il Pieri la vede come il fumonegli occhi, e fosse per lui non metterebbe piede inToscana. Per la faccenda di via Soriano si era permessa didisturbarlo già in passato. Figurati, una perfetta sconosciu-ta che rompe le palle a uno dei nostri sindaci più importan-ti, grande sostenitore di Eugenio. Così mio marito, che disolito è troppo buono e difende tutti i suoi collaboratori,stavolta è stato chiaro: ho autorizzato la Alunni a fare lamanifestazione, perché è fortemente appoggiata da Corradi– gli ha detto – ma non è persona mia. Io la subisco, comete. Non ti chiedo di aiutarla. Il sindaco gliene è stato gratoe tutto il partito a Prato ha tirato un sospiro di sollievo, e gliha garantito che anche questa volta lo appoggerà al con-gresso. La poverina non immagina quanto le sarà difficilearrivare fino in fondo. Col Pieri non si scherza”.

L’altra la interrompe: “Però l’idea è buona”.“Giustina, non vorrai appoggiarla. Le nostre compagne,

le deputate, le donne che ci seguono, non devono aderire aquesta catena umana”.

L’altra si sente punta nel vivo: alleate sì, ma le donnesono una sfera di sua diretta competenza.

“Me lo stai dicendo ufficialmente? Perché guarda, io latrovo un’iniziativa mica male, e poi Luisa stavolta haavuto il garbo di venire a chiedere il mio parere e il mioaiuto. Non che il mio parere conti quanto il tuo, natural-mente”.

“Non mi dire che quella stronzetta ha intortato anche te.E non essere ridicola, chi sono io per darti un ordine? No,la mia è una considerazione personale. Quella è un’irre-

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sponsabile: se riuscirà a organizzare la manifestazione citroveremo il partito spaccato”.

“E lei portavoce”, aggiunge Giustina malignamente.Mara non raccoglie.

“Credimi, non ce ne libereremo mai più”.“Tu non te ne libererai, per me un quadro femminile che

avanza è una medaglia in più”.“Certo, lasciamola libera di prendere il sopravvento, hai

dimenticato come parla di te e di me?”. Poi, vedendo cheGiustina ha un’espressione più incerta, tira l’affondo:“Dovremo inventare qualcosa di importante per sabotare lastronzetta e per neutralizzare il suo potente alleato”.

“In sessant’anni non c’è riuscito mai nessuno. Corradi ètroppo astuto”.

“Prova a parlargli, cerca di capire se è disposto a sfilar-le l’iniziativa in cambio del tuo appoggio”.

“Il mio appoggio? Sai cosa gliene frega”.“Eugenio potrebbe essergli molto riconoscente e dargli

il via libera per la presidenza. Quel vecchio non demordemai, è assatanato di potere. Spiegaglielo bene: se laAlunni continua, Pieri farà fallire la manifestazione eCorradi può mettere una pietra sulle sue smodate ambi-zioni. Senza la Alunni invece tutto il partito collaborerà,la manifestazione sarà un successo e il merito se lo pren-derà tutto lui”.

“Corradi è un uomo all’antica, se ha preso un impegnova fino in fondo. Proverò, ma non ci spero”.

“Se parti con questo entusiasmo... Vedi anche se il vec-chio sa qualcosa di interessante su Luisa. Come è riuscitaad avere il ritratto da nostra signora della politica da quelMustacchi...”

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“Che c’è da capire, i giornali cercano facce nuove e poia leggerlo non era tanto cortese”.

“Certe volte sei esasperante. Fai l’ingenua con me?Voglio sapere perché hanno pensato proprio a lei, se hafatto qualche passo falso, si è lasciata andare a qualche con-fidenza, qualche imprudenza che lui non ha pubblicato. Secosì fosse, capisci, il partito ha diritto di saperlo. L’ho sug-gerito anche a Eugenio, ma lui è troppo signore. Ha parla-to col giornalista e non gli ha cavato nulla. Bisogna esserepiù brutali, un po’ volgari per ottenere qualcosa”.

“Grazie, quindi pensi che io sia brutale e volgare. Vedròcosa riesco a sapere. Ma lei non è una che si lascia andare,e Mustacchi chi lo conosce”.

“Mustacchi non è fidanzato con Anna Laura, quella chescrive sullo stesso giornale e ti telefona sempre per averenotizie?”

“Fidanzati non so, ma lei ne parla spesso. Hai ragione,ci proverò, poi ti farò sapere”.

Si salutano. Non posso farmi scoprire mentre le spio,devo andarmene. Faccio appena in tempo a girare un ango-lo, come se stessi arrivando in quel momento. Quasi sbattola faccia su Giustina e faccio appello a tutte le mie risorseper sorriderle da un orecchio all’altro.

“Carissima, quando possiamo vederci? Vorrei aggior-narti. Come di certo già saprai, il segretario mi ha dato l’okper Prato”.

“Quando vuoi. Entro il mio solito orario, ti aspetto. Ogginon ho riunioni”.

“A più tardi, allora”.Entro in bagno con una gran voglia di vomitare: che ipo-

crita, lei che dovrebbe essere l’amica delle donne per eccel-

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lenza. Meglio Lorenzo, quasi quasi. Almeno difende il suofuturo. E lei cosa difende? Piccoli favori da parte diEugenio e Mara, il segretario e il segretario ombra, lo zar ela zarina, il potere e la sua stampella. Interessante peròquello che si viene a sapere frequentando i bagni. Per esem-pio, a quanto dicevano le due streghe, Mustacchi ha unafidanzata: gli uomini, tutti uguali, sembrava attratto da me.

Corradi fortunatamente è tornato. Ed è molto interessato aciò che gli racconto.

Alla fine fa cenno di aspettare in silenzio e chiama il sin-daco: “Carissimo compagno Pieri... figurati, è sempre unpiacere... Vengo subito al dunque. Dobbiamo vederci quantoprima. Lo so che sei molto impegnato, vengo io da te. Houna persona da presentarti. Sì, Luisa Alunni, ne hai sentitoparlare già molto, lo credo. Anche lei di te, e ti ammira tal-mente che è in soggezione: da giorni mi aveva chiesto dichiamarti e realizzare il contatto. Ma io scioccamente nonl’ho fatto subito e poi, sai com’è l’età, me ne sono dimenti-cato. Oggi mi chiedeva conto e devo scusarmi con tutti e due.Spero che questa mia trascuratezza non lascerà ombre, nonpotrei perdonarmelo. Allora a venerdì. Benissimo. Ciao”.

Chiusa la telefonata si rivolge a me: “Ecco fatto. Credoche ora sia tutto sistemato. Nella forma, s’intende. In effet-ti ho sbagliato a non chiamarlo prima”. Abbassa gli occhia-li sul naso e aggiunge: “Mi sorprendi, inizi a pensare dapolitica”.

Sarei tentata di dirgli che non è una mia idea, ma la tele-fonata di Giustina mi leva dall’incertezza: “Alfonso, comestai? Sempre sulla breccia. Bella questa iniziativa di Prato”.

“So che la Alunni te ne ha parlato”.

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“Solo accennato, ma mi piacerebbe chiacchierarne unpo’ con te”.

“E allora vieni, ti aspettiamo”.“Intendo solo noi due”.“Va bene”.“Dieci minuti e sono da te”.Appena chiusa la comunicazione Corradi continua a

interrogarmi come se niente fosse.“A che punto siamo con le altre organizzazioni? E

Mustacchi, ci aiuterà?”“Non credo. Forse avremmo più chance chiedendolo a

una certa Anna Laura. A domani maestro, ti lascio allaresponsabile femminile, che vuole parlarti senza testimoni”.

Lui si limita a ricambiare il saluto, solo mentre sono giàsulla porta ribadisce: “Stai serena. L’ho già detto, non cam-bio cavallo in corsa”.

Lasciando la stanza ripeto a me stessa come un mantra:andrà bene, andrà bene, andrà bene. Ma sono agitata. Lagiornata densa di colpi di scena, la conversazione colta inbagno. Una quantità di fastidiosi segnali. Come la relazio-ne di Mustacchi con la sua collega. Devo saperne di più.Domani lo chiamerò.

Corradi

È sempre una signora. Mi alzo per accoglierla, poi mi siedoallo stesso lato della scrivania. Giustina è sensibile a questepiccole cortesie: il suo amico Eugenio non l’ha di certo abi-tuata a riceverne e a me non costa nulla.

“Carissimo Alfonso, non sai come ti sono grata. Nessunaltro dirigente come te promuove i quadri femminili”.

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“Valuto le persone sulla base delle capacità e non delgenere, come dite voi, che non mi interessa affatto”.

Ma Giustina è venuta con uno scopo preciso e non si fasviare.

“Gli esiti delle mie battaglie nel partito ormai si vedonoe questo mi gratifica. Anni fa sarebbe stato impensabilecandidare una donna a portavoce. La Alunni è determinatae in gamba a modo suo, non so se ce la farà adesso conquella sua acerba rigidità, ma prima o poi sfonderà”.

“Mi stai suggerendo di non aiutarla?”“Secondo me ha bisogno di un altro po’ di gavetta, di

acquisire moderazione, tolleranza verso le idee altrui. Hapassato i trent’anni da un pezzo e si comporta ancora dagiovane radicale. Non ti sembra presto per darle una cosìgrande responsabilità?”

“Non è una mia idea, non gliel’ho proposto io l’incarico”.“Eugenio a volte è troppo generoso. Quanto alla mani-

festazione, ci sentiremmo tutti rassicurati se fossi tu inprima persona, con la tua esperienza e autorevolezza, acondurre i giochi. I compagni di Prato daranno più volen-tieri credito a te”.

Dovrei risponderle: vergognati. Ma la vecchiaia miimpedisce di fare fatiche inutili come invitare la suacoscienza a battere un colpo. Sarò più chiaro e meno offen-sivo. Forse.

“È un’idea di Luisa. Non sono così miserabile da impa-dronirmi delle idee altrui. Il tuo idolo forse lo fa, io no”.

“Il mio idolo, cioè il tuo segretario?”“Sì, il nostro segretario. Puoi riferirglielo se credi, a lui

e alla sua signora: fino a quando lavora con me, se fate la

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guerra a Luisa è come se la faceste a me. E questo è ungenere di ragionamenti che voi capite bene, mi sembra”.

Giustina se ne va senza quasi salutarmi. Dall’imbarazzoe dalla rabbia inciampa in una cassettiera e nemmeno puòlamentarsi per dignità. In questo momento mi odia, mafarebbe meglio a odiare Mara che l’ha messa in quellasituazione. Un giorno le farò un discorsetto: lascia che lazarina se la sbrighi da sola. Dopo tutto sono beghe sue. Lapolitica non c’entra. E tu che ci guadagni? Mah. Anch’ioche ci guadagno a impicciarmi delle loro storie?

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È più facile sentire un coyote che vederlo.Anche i politici li sentiamo facilmente

(ce n’è uno in ogni programma radio, tv, dal varietà alfestival musicale al tg), e di persona non li vediamo mai.

Luisa

Se non avessi promesso a Marco di accompagnarlo andreidiretta a casa: non desidero altro che le pantofole. Tantomeno ho voglia di mondanità chiassosa. Ma lui è solo: unasera a casa senza amici e si sente abbandonato.

Devo andare e devo rendermi presentabile: il mio looknature urta il suo senso estetico.

Una ravviata ai capelli, un’ombra di rossetto, un tocco dicipria compatta sul naso, di più stasera non me la sento.Meno male che la scorsa settimana ho lasciato in ufficiouna magliettina di viscosa color perla, che mi dona. È lamia riserva nell’eventualità mi si macchi la camicetta e nonpossa tornare a casa a cambiarmi. La indosso e mi guardoriflessa nel vetro della finestra: non male, ma devo levare ilreggiseno di pizzo rosso, un regalo di Lalla. Eravamo anda-te insieme per vetrine in una delle sue rare venute in Italia.L’ha visto e mi ha detto: “Se hai il coraggio di metterlo te

XVII

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lo regalo”. Io le ho risposto rilanciando: “Se tu indosserai ilcompleto tanga rosso e reggicalze”. Abbiamo riso comedue ragazzine per il regalo incrociato. Sarà la seconda voltache lo indosso, la prima per la scommessa con Lalla e oggiperché non ho avuto tempo di fare il bucato. Nel cassettomi era rimasto solo quello, che spara anche in trasparenza.Meglio niente, tanto ci sarà poca luce e nessuno baderà ame. Scendo: Marco è già al portone. Mi aspetto il solitocommento acido sulla mia mise, invece per fortuna notaaltro.

“Bellezza, che è quella faccia da sorcio in bocca?”“Devo assolutamente raccontarti”.“Per favore, non stasera, non parlarmi di lavoro se no mi

uccido oppure ti uccido”.Ma io implacabile gli riferisco l’episodio del pomerig-

gio in bagno e già che ci sono lo colorisco un po’. Sonosicura che gli piacerà moltissimo. Infatti ride divertito.

“Bisogna festeggiare l’evento storico: i bagni dellesignore sono diventati strategici come quelli degli uomini.Complimenti, cara, è soprattutto merito tuo. Se le due arpienon avessero visto in te un pericolo, non saremmo qui acelebrare il primo episodio di lobby nei cessi für damen:sono fiero di te. Hai avuto il tuo battesimo del fuoco, seibrava come un uomo. Hai tanti nemici come un uomo. Haile tette, è vero, e un po’ si vedono, ma col tempo se conti-nuerai a non usarle si atrofizzeranno, potresti perderle eallora saresti perfetta. Andiamo, prendimi sotto bracciofammi sentire un po’ di calore umano. E rilassati. Ti diver-tirai”.

“Ne dubito. Chi ti ha invitato?”“Sorpresa. Lo saprai quando arriviamo”.

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L’aria è dolce e c’è un buon profumo di tigli. Seguo ilsuo consiglio: mi rilasso.

“Hai fatto bene a forzarmi per uscire. Sto diventandosempre più pigra e appartata. La sera sono stanca e nonvedo l’ora di chiudere i rapporti col mondo. Faccio una vitada monaca, che tristezza”.

“Lo so, ti vedo invecchiare da sola. Diventerai comequelle democristiane di una volta, con i polpacci da calcia-tore e le scarpe da suore laiche. Basta che ti guardino che tispaventi e ti senti nel peccato, anche se non peccheresti maicon loro. Fatti un bel fidanzato, finché sei in tempo. Unomaccio con cui dividere le tue serate lo puoi ancora trova-re. Quando ti saranno cresciuti i baffi e calate le tette saràtroppo tardi”.

“L’unico uomo che sento affine a me come spirito, cul-tura, l’unico con cui voglio dividere le mie serate sei tu.Che posso farci se l’uomo che desidero ama un altro?”Marco si fa serio.

“Sorellina, io non scherzo. Ti stai giocando troppo per illavoro. Pensa a te. Il partito non è tutto, la carriera non ètutto”.

“Per favore, non usare quel termine osceno, carriera,altrimenti ritiro tutto quello che ho detto su di te. Ho assun-to un impegno con me stessa e con gli altri. E lo porterò infondo. L’amore può attendere”.

“Non è vero. L’amore non può attendere, ma nessunuomo ti si avvicinerà se non appendi il cartello: disponibi-le. Sei acida come una zitella acida. E dai il meglio di tesolo per cazziare gli altri. Quando ti ho conosciuta eri unadeliziosa pigra ragazza sempre oscillante fra l’entusiasmo el’ironia. Oggi hai il passo del garibaldino e il cipiglio di un

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prete di campagna. Nessuno può sopportarti più di dieciminuti. Basta, stasera fai la carina e distendi quella ruga inmezzo alla fronte, non troveremo il plotone d’esecuzione làdentro”.

Il locale è pieno all’inverosimile. Peggio di un plotoned’esecuzione per me, che ho voglia di scappare.Impossibile: Marco mi tiene saldamente per un gomito e,dopo essersi guardato un po’ intorno, mi conduce verso unangolo più tranquillo: si orienta facilmente in mezzo allamondanità. Lì, a un tavolino, è già seduto GiovanniMustacchi. Con una giovane signora. Appena ci vede sialza senza alcuna sorpresa in volto, dunque era tutto archi-tettato, e presenta la sua accompagnatrice: Anna LauraProietti, una collega. Piacere, piacere. Dopo le formule dirito Marco si siede accanto a lei e Giovanni accanto a me,che nel frattempo ho drizzato il pelo come un gatto. Nonavrei mai immaginato di incontrarlo stasera, e non mi fapiacere vederlo in compagnia della mia potenziale nemica.Conferma i pettegolezzi di Mara e Giustina.

Tuttavia quando mi chiede: “Sembri sconcertata: non tipiace qui?”, cerco di non far trasparire la mia delusione.

“È carino, ma i rumori forti, gli arrembaggi per prende-re un pezzo di parmigiano o un ravanello non fanno per me.Guarda quelli, stanno facendo una lotta greco-romana perarrivare al vino”.

Giovanni ride: “Non giudicarli male, quelli sono pro-fessionisti dell’FPC, food, people, celebrities, la magicaricetta per una serata ben riuscita. I pierre li usano perriempire le sale e trasformare ogni inaugurazione in unevento affollato”.

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“Cioè lo fanno di mestiere?”“Non proprio. Nessuno li paga. Il loro vantaggio è svol-

tare la serata, vedere, farsi vedere, mangiare, e il giornodopo poter dire c’ero anch’io”.

“Come li distingui dagli invitati semplici come noi?”“Dai gomiti larghi”, spiega Giovanni con aria seria e gli

occhi di liquirizia che ridono, “per farsi strada verso l’ago-gnato tavolo. Dall’abilità e l’equilibrio con cui tengono inuna mano bicchiere e piatto, e nell’altra tovagliolo e posa-te”. Vede la mia espressione e aggiunge ironico: “Non sot-tovalutare queste capacità, ci vuole un lungo allenamento,forza fisica, tenacia e resistenza. Si servono per primi, enonostante gli attacchi delle orde avverse che premono peraccedere al buffet non perdono mai la posizione, incurantidelle occhiate dei camerieri e delle pressioni della fila cheincalza. E hanno un fegato d’acciaio, a prova di crema frit-ta, olive ascolane e fiori di zucca, cibo prediletto, che nonrichiede scomodi coltelli e volendo neanche la forchetta.Disdegnano le tartine – non ci si fa cena – amano i risotti,anch’essi molto adatti all’equilibrio precario del piatto ebicchiere nella stessa mano. Insomma, sono professionistia tutti gli effetti, affidabili e selezionati dai pierre, ai qualigarantiscono la sala piena”.

“E che vantaggio ne hanno i pierre?”“Che domanda ingenua. Un’inaugurazione o una serata,

per diventare un evento, un successo insomma, ha bisognodi gente che si accalca per entrare, e di un certo numero divip. I primi fanno numero, i secondi fanno notizia. Se laquantità è garantita dai professionisti del buffet, loro posso-no concentrarsi sui pochi nomi che contano”.

“Vip come attori, cantanti?”

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“O politici. Se c’è un pubblico abbastanza folto il poli-tico accetta l’invito. In cambio il pierre convoca i fotografiper ritrarlo nel profilo buono, quello umano. Il riposo delguerriero che, stanco delle mille battaglie parlamentari,finalmente si gode la compagnia della velina o della model-la o del comico di cabaret televisivo. Ora la notorietà si èspostata a favore dei personaggi dei reality. Vedi quello: èil fidanzato di Amalia del Big One, e quell’altro è statoespulso dall’Isola dei vip pochi giorni fa. Le luci dellaribalta sono tutte per loro. Il politico, messo in questo frul-latore, non può fare il difficile, perché la visibilità, indi-spensabile per farsi eleggere, ha le sue spietate leggi. Cosìsi piega a ogni circostanza, purché sia presente un obietti-vo, una telecamera anche amatoriale”.

“Lo scambio è tutto qui o c’è dell’altro?”“Dipende. Se chi paga è una grande azienda il lobbista

si presenterà al politico e farà il possibile per sederglisiaccanto. Poi lo metterà in contatto con la stellina di turno ea quel punto lo lascerà solo a godersi compagnia e flash difotografi, dai quali lui avrà cura di stare lontano”.

“A che scopo lo farebbe?”“Farsi ricordare. Quando il Parlamento discuterà leggi

che potranno far prosperare o chiudere la sua azienda, la sim-patia o gratitudine di politici influenti diventa strategica”.

“Tutto lecito?”“Perché no? Quello che faranno dopo non è responsabi-

lità degli organizzatori. Qui sono tutti adulti e vaccinati”.“E se invece è l’evento di una piccola azienda?”“Allora l’amministratore delegato sarà già contento di

potersi vantare con i colleghi del Lyons o apparire sullecronache mondane. La gente vive anche di questo”.

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“Non ti facevo così esperto”.“Altroché. Se vuoi, posso lanciarti nel firmamento dei vip,

ecco là Materazzi, il fotografo del Giornale dell’Urbe che èun mio amico, vado a dirgli di riprenderti accanto aSebastiano Gemelli, il più ambito dei partecipanti al Tocco diclasse. Diventerai segretario del partito, altro che portavoce”.

Faccio l’espressione terrorizzata: “Non dirlo neancheper scherzo. Potrei levarti il saluto a vita”.

Intanto Anna Laura si è liberata da Marco, che l’ha tenu-ta impegnata fino a quel momento. E si concentra su di me.

“Che piacere conoscerti! Da quando Giovanni ha fatto iltuo ritratto, al giornale non si parla d’altro”.

“Questo mi sembra un po’ esagerato”, rispondo vaga esulle difensive. Giustina sarà già riuscita a ingaggiarlacome spia? Nel dubbio cerco di portare il discorso su di lei:“Noi donne che facciamo politica ti siamo debitrici perquello che scrivi: i tuoi pezzi sono gli unici che ci rendonogiustizia”.

Uno scambio di complimenti che non corrisponde allostato d’animo di nessuna delle due, ma è un buon prelimi-nare di guerriglia. Nella luce scarsa e colorata ci studiamocon determinazione e impegno.

L’abbia o no concordato con Giustina, negli occhi diAnna Laura c’è scritto a chiare lettere: appena posso, tidistruggo. Mi guarda attenta e preoccupata e fa qualchebattuta sulla bellezza acqua e sapone che non va più dimoda. E qualche altra sul fatto che Giovanni la trascura e siè già dedicato troppo a me. Non sa da che parte comincia-re il massacro, ma vuole il sangue. Sento crescere in lei unamiscela di invidia, rancore e gelosia. L’incoraggiamento diGiustina era superfluo.

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A mia volta l’ho immediatamente detestata a pelle: cosìatteggiata e artificiale che se le levi una forcina hai l’impres-sione che si smonti tutta. Sorridiamo per convenienza, omeglio lei sorride a me, perché sa che il miglior modo per farparlare una persona è metterla a proprio agio. Ricambio fred-da e formale. Ma non riesco a tenerla lontana dal suo argo-mento preferito: io.

“Chissà quante storie ha da raccontare una donnacome te, sempre in giro per lavoro, libera, senza legamiaffettivi stabili, se non erro?”

Interviene Giovanni: “Anna Laura, non essere indi-screta. Magari davanti a Marco Luisa non ha piacere diparlare di queste cose”.

Lo interrompo: “Figuriamoci, se c’è una persona allaquale dico tutto è Marco. La verità, carissima, è che lamia vita non ha molto da offrire a orecchie come le tue,abituate a confessioni più interessanti: lavoro e casa, casae lavoro. Sono contraria ai rapporti occasionali. Non perideologia, per rispetto di me stessa”.

“Bacchettona?”“Nient’affatto. Lo stile che ho scelto io è piuttosto

rigoroso. Trovo che passare da un letto all’altro sia unbuttarsi via. Non condivido il lassismo in nessun campo.Ma chiunque voglia fare il contrario, faccia. A propositodi legami, di voi due si dice...”

E indico lei e Giovanni come coppia.Anna Laura ride soddisfatta, e risponde con ambiguità.“Questo, si dice di noi? Una bella coppia, no? Due giorna-

listi affermati... condividere il lavoro è importante: consenteun dialogo continuo, la comprensione vera dei problemi del-l’altro. E il nostro lavoro occupa una parte enorme della vita”.

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Giovanni apre bocca per dire qualcosa, ma non gli lasciospazio. Non mi va di sentire mezze verità o balbettii.

“Ti capisco, io invece ho sempre escluso di avere storiecon persone del mio stesso ambito. Le complicazioni sisprecano, prima, durante e soprattutto dopo la fine del rap-porto. Inoltre, non smetti mai di parlare di lavoro. A casa efuori casa, per carità, non fa per me”.

Stavolta Mustacchi interviene con ironia contro di me:“La coerenza è il tuo forte”. Chissà a cosa si riferisce. Poisi rivolge alla collega: “Anna Laura, non sarei all’altezza diuna donna come te”, e prima che una di noi due possa repli-cargli, mi chiede di accompagnarlo al buffet. Mentre miporge un bicchiere di vino ne approfitta per chiarire:“Guarda che fra me e Anna Laura non c’è proprio nulla”.

“Vergogna, sei come Pietro: prima ancora del canto delgallo già tradisci?”

“Lei fa tutto da sola, si autoconvince di una cosa che nonesiste e la spiffera ai quattro venti. Io non ci penso nemme-no. Sogno una donna che mi capisca e mi stia accanto, con-dividendo i miei gusti, i piaceri, i dispiaceri, non certo unpermanente comitato di redazione, Dio ne scampi”.

“E allora, come mai stasera...”“Il direttore – forse per continuare a punirmi – ha avuto

l’idea di affidarmi altri ritratti dopo il tuo, scegliendo donneche fanno mestieri tradizionalmente maschili. Vuole unaffresco della nuova femminilità al comando, parole sue.Non vincerò il Pulitzer, ma sempre meglio che stare inredazione a fissare un computer per ore e ore. Per non averegrane da Anna Laura, il direttore le ha chiesto di darmi unamano. Lei le conosce tutte, di tutte ha il numero di cellula-re e le sente periodicamente. Però è gelosa, teme che le

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soffi il ruolo. Così pretende di accompagnarmi e di presen-tarmele per far capire che lei resta il loro punto di riferi-mento. Siamo per l’appunto reduci da uno di questi incon-tri. Tu piuttosto, e Marco. Come fai a dire mai sul posto dilavoro?”

Rido di cuore.“Io e Marco, ma dai, sei davvero l’unico a non sapere”.“Cosa dovrei sapere?”Mi allontano ridacchiando col bicchiere in mano. Lo

guardo come se fosse un marziano, cambio argomento e lolascio nel dubbio. Mi sa che è geloso.

Mi stavo preparando alla festa di comunione di Maria Rosada più di una settimana.

Quando nessuno mi vedeva aprivo l’armadio e guarda-vo di nascosto il mio bel vestito. Mi sentivo in colpa pertutte le discussioni fra papà e mamma, e al tempo stesso misentivo bellissima in quell’abito di tulle color avorio einserti di seta che mi provavo tutti i giorni. L’avevo volutocosì, come se la prima comunione la facessi io. Un giorno,mentre lo indossavo davanti allo specchio, è apparsamamma. Non l’avevo sentita. Ho avuto una reazione comese mi avesse colta sul fatto mentre facevo qualcosa di male.Lei mi ha sorriso, con un sorriso dolcissimo indimenticabi-le, mi ha accarezzato i capelli e mi ha detto piano:“Desiderare è sempre meglio che avere”. Io le ho detto:“Ma io desideravo il vestito e sono davvero contenta diaverlo”. Lei allora: “Il vestito, o essere alla festa con le tueamiche, mischiarti a loro, confonderti con loro?” Non hocapito lì per lì e le ho detto: “Tutto, voglio tutto, il vestito,la festa, le amiche. Ma non voglio che tu e papà litigate”.

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Mi ha dato un bacio sulla testa. Ha mormorato: “Nulla ègratis, figlia mia. Spero che tu te ne accorga il più tardi pos-sibile”. Invece era questione di ore.

Finalmente il gran giorno era arrivato. Era la prima voltache mi vestivo come tutte le altre ragazzine. Quando sonouscita di casa mia madre mi sorrideva incoraggiante e miopadre scuoteva la testa. Avevo addosso il suo sguardo tur-bato e non capivo la sua contrarietà. Chiusa la porta misono sentita subito sollevata e così a mio agio... Ero uscitada quella enclave di duri e puri che era casa mia, dove miopadre considerava un personale fallimento che la figliadesiderasse una cosa tanto borghese come un abito di tulle.Papà aveva tanti pregi, ma il suo dogmatismo a volte lorendeva cieco. Non è che andando a una festa di primacomunione io rinnegassi lui, ero troppo piccola per capiretutte quelle cose. Volevo solo essere uguale alle mie com-pagne, senza nessuna differenza. Sarebbe stata una giorna-ta speciale, indimenticabile.

Maria Rosa mi viene incontro e mi prende per mano. Sache mi trovo sempre in soggezione nella sua magnifica casacon la vista che domina la città. Mi porta subito a salutare igenitori e io mi avvicino garbata e timida. Normalmente socome comportarmi, ma con quel vestito mi sento diversa, lamia naturalezza è sparita. Nelle orecchie ho la disapprova-zione di papà: la porteranno su una cattiva strada, quellaragazza diventerà una piccolo-borghese (per lui era il massi-mo dell’insulto, a parte fascista che era una condanna alladannazione eterna). I genitori di Maria Rosa sono gentilicome sempre. Il padre è un dirigente degli Affari Riservatidel Ministero degli Interni. Non so cosa significa, ma lamamma quando lo dice abbassa la voce. La madre fa la casa-

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linga, ma non come le amiche di mamma. Fa la casalingacon la colf e l’autista, l’impianto stereo e tanti libri e il per-sonal trainer per la ginnastica e la massaggiatrice a casa.Maria Rosa mi dice: “Come sei bella con questo vestito.Aspettami qui che vado a chiamare il fotografo, ci facciamouna foto insieme e la mettiamo in due cornici gemelle, unain camera mia e una in camera tua. Non ti muovere, che contutta questa gente non ti trovo più!” Resto ad attenderla,seminascosta dietro a una colonna del grande salone. Da lìposso vedere senza essere notata. Neanche la madre dellamia amica può vedermi. Sento una persona chiederle: “Chi èquella ragazzina che tua figlia teneva per mano?” E lei:“Un’amichetta di scuola di Maria Rosa, che ci tiene tanto”.L’altra: “Come è buffa, cammina sulle uova”. “Che vuoi,poverina, è figlia di due comunisti. La vestono come unmaschio, la educano come un maschio pronto per laRivoluzione d’ottobre. Naturale che a una festa con un abitodecente si senta a disagio. Giuseppe non voleva che si fre-quentassero, capirai, lui è stato promosso a capo degli AffariRiservati al Ministero. Se si viene a sapere che nostra figliafrequenta gente simile e va anche a casa loro... però MariaRosa ha una specie di infatuazione infantile, abbiamo decisoche è meglio non affrontarla di petto, è l’età delle sbandate,aspettiamo che le passi. Prima o poi capirà che apparteniamoa classi sociali diverse. L’hai vista, con quella gonna non saneanche sedersi, poverina”.

Sono scappata senza dare spiegazioni a Maria Rosa. Ecosa avrei potuto dirle? Avevo capito d’improvviso che imiei genitori erano persone poco raccomandabili e che iopotevo mettere a rischio la carriera di suo padre. E che ilmio meraviglioso abito di tulle mi stava uno schifo.

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A scuola da quel giorno la evitavo e non ho mai piùindossato un vestito da cerimonia. Quel vestito era costatoai miei genitori liti e mortificazioni, e a me la più cocenteumiliazione della mia breve vita. Da allora non amo lefeste. E non amo le gonne. Anzi, le sopporto a malapena.Se sono nata per fare il maschio e la rivoluzione, così sia.

Non posso raccontare tutto questo a Giovanni e spiegarglicosì il mio odio per la mondanità. Siamo molto vicini e unpo’ imbarazzati. Gli argomenti generici sono esauriti eintorno a noi si respira un’aria di cose non dette, discorsiche non si possono affrontare vista la ressa, il rumore checi costringerebbe a urlare. Marco, pochi centimetri più inlà, sta di nuovo sfoggiando tutto il suo charme con AnnaLaura, completamente a suo agio come se in quel locale cifosse nato. Troppa gente e troppo caldo: si respira a mala-pena nonostante l’aria condizionata. La maglietta di visco-sa color perla mi si appiccica addosso e immagino consi-stenti aloni sotto le ascelle e pericolose trasparenze. Cheidea stupida levare il reggiseno. Tengo le braccia appicci-cate al corpo, ma così ho ancora più caldo e l’impressioneche tutti mi guardino. Mi sento fuori posto in quel posto efuori posto per l’abbigliamento che mi lascia scoperta, indi-fesa. Giovanni mi guarda fisso e mi sembra che guardi pro-prio lì. Parlando gesticolo, cosa che non faccio mai, nel ten-tativo di distrarre la sua attenzione dalla maglietta ed evita-re che mi venga troppo vicino.

Sento che vorrebbe acchiappare la mia attenzione, manon sa come fare. In quel momento inizia la musica, comein ogni inaugurazione che si rispetti. Non si può più nean-che tentare un discorso. Mi propone di andare un po’ fuori,

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all’aria fresca. Io, che da un pezzo ne ho abbastanza, accol-go l’invito con sollievo. Ci alziamo per uscire ma mi bloc-ca sentendo le prime note, e la voce del dj.

“Signore e signori, questo locale è dedicato agli anni’60. Perciò, nell’anniversario della sua morte, non poteva-mo non cominciare con un autore sempre rimpianto: ilgrande Otis. A lui e a tutti voi dedichiamo i prossimi trebrani. Ballate e tacete, Otis va ascoltato in silenzio”.

“Obbediamo al dj, andiamo a ballare”. Giovanni, con untono che non ammette repliche, mi prende la mano e mi tra-scina in pista prima che possa reagire.

Sto per dire qualcosa – giustificare la maglia umidicciae di certo poco profumata – ma col dito sulla bocca mi fasegno di tacere. Metto da parte le obiezioni e mi lascioandare alla musica. “Alla fine non sarà un po’ di sudore afargli cambiare idea su di me”, penso.

Nel cerchio stretto della pedana c’è ancora più calca:l’alito pesante della gente intorno, le risa sguaiate, sonopentita di aver accettato. Poi, un po’ alla volta, la tensio-ne sfuma, resta nell’aria solo la magia di I’ve been lovingyou too long to stop now. La voce languida e sensuale diOtis costruisce un cerchio protettivo intorno a noi due. Lebraccia di Giovanni mi stringono sempre di più, senzaprocurarmi il temuto fastidio, l’imbarazzo si scioglie. Leluci basse, e la voce di lui mi canta piano piano nell’orec-chio: my love is going stronger, as you become a heavento me. Tutto mi procura un languore dentro. Lui ballabene, tenendo la mia mano nella sua molto vicina al petto,mentre con l’altra mi cinge la vita. In pista ci siamo rita-gliati uno spazio sotto un bocchettone dell’aria condizio-nata, il sudore mi si ghiaccia addosso e mi viene un brivi-

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do. Giovanni lo sente e quasi protettivo mi stringe di piùa sé, poi con la mano libera va su lungo la schiena dallavita alla nuca e si sofferma, lentamente come in una lentaritmica carezza. Faccio appena in tempo a pensare “oraavrà capito che sono senza reggiseno, che figura”. Certoche l’ha capito, mi guarda con ammirazione e mi stringesempre di più fino a quando il contatto è pieno, tenero eaudace. Lo lascio fare, anzi mi appoggio a lui, mi sentosvuotata di energie e volontà. Oltre la musica sento solola sua presenza. Quella è in assoluto la canzone che amodi più. Ed ecco The dock of the bay, struggente, ritmicaeppure col suo mood di tristezza esistenziale. Per conclu-dere la trilogia, senza alcuna pausa, Try a little tender-ness... ma quello che sento non somiglia alla tenerezza.Quando finisce, il nostro abbraccio ci mette qualchesecondo in più della musica a sciogliersi.

Torniamo al tavolo e mi riprendo come da un’ipnosi.Improvvisamente voglio andarmene. Sono troppo scom-bussolata: l’abbraccio di Giovanni mi ha riportato allamemoria sensazioni che avevo rimosso. Sentire un uomocosì vicino e provare qualcosa che non sia fastidio mi fasentire fragile, cosa che detesto. Come un ubriaco che devepercorrere un’asse di equilibrio senza aiuto o protezione.Saluto tutti quasi bruscamente.

Anna Laura mi chiede: “Stai male?”Marco, con l’intuito tipico del vecchio amico, risponde

per me.“Luisa era già tanto stanca e io l’ho letteralmente trasci-

nata qui. Ora è il momento della ritirata. Andiamo, tiaccompagno”.

Ma Giovanni è già in piedi.

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“L’accompagno io”. E di fronte al mio sguardo di dinie-go: “Almeno alla porta”. Questo non posso rifiutarglielo, epoi attraversare la sala mi sembra un’impresa complicata:la gente è ancora più numerosa e vociante e agitata diprima. Lui mi guida fra la folla con una piccola pressionesul braccio. Siamo così vicini che sento nuovamente l’odo-re della sua pelle e il suo respiro. Solo che adesso sonofuori dall’incantesimo e non mi fa più nessun effetto.

Finalmente all’aria aperta la sensazione di soffocamento edi pericolo che m’aveva presa alla gola si attenua. SalutoGiovanni, voglio tornare finalmente a casa.

“Grazie per avermi accompagnata fin qui. Non vogliosottrarti oltre alla tua serata e alla tua amica”.

Ma lui non vuole lasciarmi andare: c’è molta gente lìfuori a fumare, piccoli capannelli senza urla né rumore,possiamo parlare liberamente. Mi sorride amichevole,mentre non posso fare a meno di notare quanto è bello conquei ricci che gli ballano sulla testa. Ha un modo di parla-re, come se accompagnasse con un leggero movimento delcapo le parole e le sottolineasse dando espressione con tuttala testa. Dice che se resto ancora cinque minuti mi confes-sa una cosa. Annuisco.

“Ti ho teso un agguato, complice Marco: è tutta colpamia se sei qui. Ho invitato lui per rivedere te. Oggi quandoci siamo incontrati e mi hai chiamato ero impreparato, hoavuto un momento di panico, la paura di parlarti da solo asola”.

“Paura di me?”, lo interrompo ridendo. “Impossibile”.“So che è strano, ma con te mi sento in bilico, come se

tu potessi da un momento all’altro farmi cadere”.

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“Nessun uomo mi ha mai detto una cosa simile e noncapisco se devo compiacermi oppure offendermi”.

“Lascerò che tu lo decida da sola”.“Cosa ti ha fatto cambiare idea? Perché non mi hai chia-

mato direttamente?”“Temevo un rifiuto. E ho cambiato idea per curiosità. Ha

prevalso la deformazione professionale, quando incontroun personaggio... una persona interessante, voglio sapernetutto. Volevo la tua radiografia completa, sapere di te tuttociò che non dici”.

“Non mi sono resa conto di essere sotto osservazione”.“Infatti la serata è andata diversamente. Otis mi ha fatto

perdere il filo”.Lo interrompo di nuovo: “Non mi dire! Devo a lui se

sono ancora depositaria dei miei segreti”.Giovanni non tiene conto di quello che dico e continua in

tono serio: “Mi è rimasto Otis nel cervello e qualcosa di tefra le braccia. Ora non so più da che parte cominciare e tuvuoi andartene a casa prima che io riesca a raccogliere leidee e tornare nel pieno possesso delle mie facoltà mentali”.

Spiazzata dalla sua sincerità reagisco con altrettanta sin-cerità: “Otis fa questo effetto anche a me. È qualcosa disimile a uno struggimento, una malinconia e una pienezzainsieme... quando finisce la canzone è come se mi venissea mancare qualcosa e... se continui a stringermi il bracciomi rimarrà qualcosa anche di te: un livido”.

Ridiamo mentre Giovanni allenta la presa, ma non milascia. Continuo: “Mi fa piacere che abbiamo questa pas-sione in comune. Vorrà dire che non dovrò più temere tirimancini da te. Irina me l’aveva detto che Otis sarebbe tor-nato e mi avrebbe fatto un regalo”.

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Mi guarda stupito e sta al gioco: “Irina? Chi è Irina? Staibene? Hai bevuto? Non posso lasciarti andare sola in que-ste condizioni, e poi mi ci vuole un po’ di tempo per abi-tuarmi a stare senza di te, non sei una donna che uno si levadalla testa facilmente quando l’ha tenuta fra le braccia e hasentito il suo respiro, i suoi brividi, e quella schiena liscia,nervosa, e i tuoi seni dolci e perfetti contro il mio petto:posso accompagnarti a casa?”

Sto morendo dall’imbarazzo perciò ho una reazione esa-gerata e scostante: “Non ci pensare neanche. Torno a casasola da quando avevo diciotto anni”.

“Non ne dubito, ma mi farebbe piacere. Vorrei vederecome è fatta casa tua, se ti somiglia”.

“È solo un posto dove passo troppo poco tempo. Non c’èniente che valga la pena vedere”.

“Non ci credo, una come te non può vivere in un rifugiodi passaggio. Tu fai casa ovunque”.

Camminiamo per oltre mezzora chiacchierando e pun-zecchiandoci, molto diffidenti l’uno verso l’altra, e con-temporaneamente molto attratti. La corrente fra noi è fortema alternata. A momenti ci sentiamo davvero vicini. Subitodopo irritati per una frase qualunque. Il tempo passa velo-ce rivelandoci un po’ alla volta e saltando da un argomentoall’altro, come se ogni frase ne tirasse a grappolo tante altrein una specie di reazione a catena. Giovanni parla dei millepersonaggi incontrati per il suo lavoro. Li descrive in modoironico. Mi vuole strappare un sorriso, farmi dire qualcosadi me. Io rido, commento i suoi racconti, ma mi tengoabbottonatissima e quasi ostile quando intuisco che il gior-nalista cerca di sapere della mia vita, della mia famiglia odei miei compagni di partito. Lui se ne accorge e arretra. Io

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allora lo stuzzico, curiosa come una ragazzina: voglio sape-re i particolari, debolezze e grandezze dei personaggi chelui ha conosciuto.

Arriviamo così sotto casa mia. Ci salutiamo, e lui fa peraccostarsi a darmi un bacio. Mi scanso bruscamente, conuna reazione ancora una volta esagerata.

“Non mi vendo per un pezzo sul giornale. Disponibili netroverai moltissime. Non me”.

Giovanni è inorridito, quasi non crede alla mia trasfor-mazione.

“Pensavo che tu fossi una persona dal carattere spiccatoma intelligente. Mi rendo conto che invece non sei norma-le. Dimmi di no se non vuoi, ma come puoi pensare che ioapprofitti della mia posizione e della serata per estorcertiqualcosa? Per chi mi hai preso?”

Va via infuriato, senza salutarmi.Ho capito di aver fatto un’enorme sciocchezza nel

momento stesso in cui mi uscivano le parole di bocca, manon riesco a richiamarlo e scusarmi.

Purtroppo ha ragione lui: non sono normale. Mi comportoin modo aggressivo e demenziale con chi mi piace, e sonoallegra spontanea e naturale con chi mi è indifferente. Nonè pudore dei sentimenti, ma semplice incapacità affettiva.L’unico con cui non mi succede è Marco, forse perché franoi sono esclusi coinvolgimenti amorosi. Forse ho scelto illavoro come impegno assoluto perché non riesco a reggerela dimensione affettiva. Forse ho un disturbo del comporta-mento verso gli uomini. O forse è solo cominciata male conGiovanni. Troppe implicazioni professionali, troppi dubbisulle sue intenzioni. Troppi nemici intorno a me. Non

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può esserci serenità nel nostro rapporto fino a quandonon capirò chi è, da cosa è mosso, se mi chiede un bacioper raccontarlo ad Anna Laura, cioè a Giustina. Seinsomma tutto è strumentale al suo lavoro oppure se quelcalore che sentivo mentre ballavamo era vero. Era unregalo di Otis, come ha detto Irina, e io l’ho buttato via.

Giovanni mi piace moltissimo e ha cercato tutta la sera diessere carino con me, che l’ho trattato in modo pestifero. Masaprò farmi perdonare. O è meglio mantenere le distanze finoa quando non saprò se posso davvero fidarmi?

I miei amori sono finiti male. Non voglio più soffrire.Non voglio che il mio corpo mi tradisca. Mia madre, Tonino,Alessandro perfino, mi hanno lasciato piaghe al cuore. Devostare concentrata sui miei obiettivi e non permettere a nessu-no di distrarmi. Dopo tanto tempo le braccia di quest’uomomi hanno comunicato qualcosa che mi è andato dritto al cer-vello o forse dovrei dire al centro delle emozioni. C’è qual-cosa di affine nel suo corpo. Meglio stargli lontana. Il piùpossibile. A casa mia, nella mia casa asettica, dove nessunaffetto è mai entrato. Dove nessun divano, quadro, oggettomi ricorda un momento felice e perduto. Casa dolce casa,sterile, priva di emozioni e confortevole come la mia tisana.Mi culli nel sottovuoto dove i germi della vita non possonoentrare.

Sto per addormentarmi quando Marco chiama.“Cara, sei sola o disturbo?”“Disturbi, ma sono sola, e furiosa con me stessa”.Gli racconto quello che è appena accaduto, e lui, fin-

gendosi disperato: “Ho fatto di tutto per trattenere l’or-renda Anna Laura e impedirle di tampinarvi, e tu hai

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rovinato ogni cosa. I miei sforzi per farti uscire dallozitellaggio sono vani, da domani ti mollo. Per staserainvece ho delle buone informazioni per te. Giustina hatrovato terreno fertile. Anna Laura praticamente non ticonosce, ma ti ha cordialmente sulle palle. Pensa se ticonoscesse bene come me! Scherzi a parte, guardati dalei, ti detesta tanto più ora che ha visto Giovanni sbavar-ti dietro. Lei lo considera proprietà privata, anche se miha confessato che non stanno ancora insieme. Ma primao poi lui supererà la timidezza e le chiederà di sposarlo.Si è fatta un film tutto suo nel quale non è prevista alcu-na parte per te, se non quella della vittima. Se potrà ucci-derti lo farà con il doppio del piacere”.

Sono troppo stanca per commentare, una stanchezza difisico e di cervello. Saluto l’amico facendo appello allasua lealtà: “Domani parto, vado a Prato. Coprimi le spal-le mentre sono via”.

“Senz’altro, se prometti di non comportarti più da iste-rica e cerchi di scusarti con Giovanni. Come ti ho giàdetto, un giornalista volendo può stroncarti la carriera. Epoi è così carino, guarda se non piace a te un pensierinoce lo faccio io. Ciao, e chiama”.

Scusarsi, una parola! Mia madre quando ero bambina midiceva sempre: “Se ci tieni a una persona non far passaremai ventiquattr’ore su una litigata”. Dal momento che par-tirò presto domani non avrò il tempo per sanare il pasticcioche ho combinato. Non sono pentita di non averlo fattosalire, ma solo di averlo maltrattato. O forse no, anche ilcorpo ha le sue esigenze e ogni tanto... insomma, ormai èfatta, è un segno del destino, meglio lasciar perdereGiovanni. Troppo complicato, non posso permettermelo.

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Il coyote sa parlare d’amore. Secondo la leggenda questofa quando ulula alla luna. Perché lei non lo dimentichi,

dicono. Perché la incontri, raccontano.

Luisa

Il treno è rumoroso e sporco. Ho l’impressione che mi alze-rò con un chewing gum attaccato ai pantaloni. Finchésiamo in stazione c’è un viavai di questuanti, ciascuno deiquali ha passato un guaio, ha perso il lavoro, è stato deru-bato, ha un parente in prigione, la madre anziana o figli pic-coli gravemente malati, è muto o disabile lui stesso.Insomma, chiede l’elemosina.

Penso a Irina. Quando torno dovrò riuscire a sottrarla aisuoi carcerieri. Oltretutto le devo un piacere. Otis ha fattodavvero qualcosa per me. Giovanni... Quando due corpi sitoccano, si parlano con sincerità. Si dicono mi attrai o mirepelli, senza parole, senza sovrastrutture, creando una chi-mica che resta nella memoria delle cellule. Se chiudo gliocchi sento ancora il corpo di Giovanni, il suo calore, la suasolidità, il leggero incresparsi della pelle all’odore cheemana da lui. È più che un semplice ricordo.

Il controllore si annuncia all’inizio del vagone e mi

XVIII

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riporta sulla terra. Abbandono con rammarico i miei pen-sieri e apro svogliatamente gli occhi per cercare il bigliettoin borsa. Nel farlo tocco la goccia di plastica di Irina. Miporterà fortuna, lo so. Mi affido a questa certezza, mentre ilmovimento mi culla. Chiudo nuovamente gli occhi perpoter ripensare ancora alla serata e risentire intorno a me lebraccia di Giovanni, i suoi occhi scuri, la sua voce mentredice “mi ci vuole un po’ di tempo per abituarmi a staresenza di te”. Ho voglia di lui, di riportare alla mente le sen-sazioni che ho provato fra le sue braccia. Lentamente sci-volo in una specie di sonno, durante il quale percepiscorumori e gente intorno, ma distanti, distanti.

L’Eurostar va veloce, poi ogni tanto si ferma in mezzo alnulla e aspetta senza motivo apparente. Cause tecniche,dicono. Durante una di queste soste, fra una galleria e l’al-tra, sento suonare il telefonino. Ho un sussulto e lo cerco inborsa inutilmente. Quello continua a suonare sempre piùforte, non ricordo chi mi ha convinta a mettere la suoneriaascendente. Il signore di fronte mi guarda malissimo, stasicuramente pensando quanto sono maleducata: disturbol’intero scompartimento. Ecco dov’è: pensando che nellegallerie il telefono non prende, l’ho riposto in una tasca delborsone, in alto sul portapacchi. Non faccio in tempo arispondere, quando arrivo ad afferrarlo ha smesso. Tutto ilvagone mi guarda e io, per darmi un tono, guardo il displaydel telefono: è lui, Giovanni. Lo richiamo subito, nonvoglio dar adito ad altri equivoci. Macché: il segnale spari-sce e resta assente a lungo. All’uscita dal tunnel siamoormai prossimi alla prima stazione, tutto il vagone è presodalla frenesia, ognuno si alza, prende un bagaglio. È un

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rumore infernale a cui si aggiunge il gracchiare del micro-fono che annuncia l’imminente arrivo, del quale si eranogià accorti tutti. Lo richiamerò dopo, quando esco. Unaconversazione necessariamente intima, sarebbe difficile inmezzo a tanti spettatori agitati. Richiama ancora due volte,ma il treno è ripartito e la linea cade prima che possarispondere e spiegarglielo. Mi sale un’ansia da mancanza dicontatto, ma che posso fare? Non si arrende, ecco un sms:“Quello arrabbiato sono io. Capisco che non vuoi parlarmi,ma non capisco perché”. Sto per rispondergli, quando vedoavvicinarsi Corradi. Lo farò dopo, devo trovare le parolegiuste e non posso con il maestro davanti a me.

Ma anche lui ha qualcosa da recriminare: “Eravamod’accordo che mi avresti cercato”.

Spero che non si renda conto dell’imbarazzo. “Ho pre-ferito non disturbarti, e non volevo lasciare incustodita lamia valigia. Con il mio stipendio non potrei permettermi dicomprare tutto nuovo se mi derubano”. Che scusa cretina:chi ruberebbe la robaccia che indosso?.

Per fortuna Corradi prende per buona la spiegazione.“Mettiamoci a lavorare. Il sindaco avrà preparato un

fuoco amico non da ridere. Più tardi non avremo tempo: icompagni ci verranno a prendere alla stazione. Posiamo levaligie in albergo e subito dopo avrai un assaggio della cor-dialità che ci aspetta. Dunque al lavoro, finché nessuno cispara alla spalle”.

Il viaggio è piacevole. Parliamo delle tante cose che miagitano (a parte Mustacchi, argomento dal quale mi tengoben lontana). Sento in Corradi un’umana partecipazione,quasi affetto. Come me ha pudore dei propri sentimenti,

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ed è un grande osservatore degli stati d’animo altrui, sen-sibile.

Glielo faccio notare: “E ti descrivono come una personagelida!”

“Mi fa comodo che lo pensino. È un buon modo pertenere lontani gli scocciatori e molti attacchi personali. Chiama è più fragile, ha punti deboli: chi non prova sentimen-ti lo è molto meno. Non l’ho fatto apposta, ma nel tempomi hanno cucito addosso il personaggio, e ne ho approfitta-to. Ho vissuto in un partito molto difficile, dove era com-plicato affermarsi, c’era una selezione rigidissima dall’alto.Non so se riesci a capirmi, oggi è tutto talmente diverso”.

“Diverso ma non migliore, mi sembra. Io ne soffro: ladifferenza fra quello che diciamo e quello che facciamo...la politica dominata dalle famiglie, dai salotti, dalle lobby.Giovanni mi diceva...”

“Mustacchi, vuoi dire”, mi interrompe lui ridacchiando.“Ti ho consigliato di mantenere rapporti buoni con la stam-pa, non stretti”.

“Ci siamo solo visti un paio di volte per un panino,insieme a Marco Segranti”.

Ometto il resto, per la difficoltà di spiegarlo a me stessaprima che a lui.

“Dicevo: Giovanni mi ha raccontato l’intreccio fra pier-re, giornalisti, politici e tv. Cosa ha a che fare questo colpassato che abbiamo alle spalle, con la nostra storia. Con iproblemi che saremmo chiamati a risolvere. Confesso chemi sento spaesata”.

“La politica non è migliore della società. Perchédovrebbe?”

“Perché la politica deve guidare la società”.

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“No, la politica deve fare delle scelte per conto dellasocietà. Non può pretendere di essere migliore. Per troppotempo abbiamo pensato di essere un’élite. Invece siamocome gli altri, a volte meglio, a volte peggio. Sicuramentepeggio quando pretendiamo di insegnare a tutti come sicampa. Dobbiamo sforzarci di essere migliori, ma non pen-sare di esserlo. La Chiesa cattolica, quando ero piccolo, unsecolo fa, insegnava il valore dell’umiltà, a non guardare ilfuscello negli occhi altrui, ma la trave nel proprio. Questoinsegnamento l’ho portato sempre con me”.

“Non ti facevo cattolico”.“Non lo sono, infatti, ma so vedere il buono dove c’è”.Lo incalzo: “Spesso penso che la vita che conducono i

politici sia un male in sé. Fretta perenne, mai il tempo perriflettere, inciuci, paura di essere fregati, paura di entrarenel cono d’ombra e scomparire, solitudine”.

“Anche tu sei una politica di professione”.“Non mi considero parte di questa classe dirigente. Io

ancora mi commuovo di fronte alla sofferenza umana,mentre mi sembra che la maggior parte dei politici si com-muova solo di fronte alle proprie sconfitte personali.Questo mi provoca un senso di estraneità. Come quando, inuna riunione, il tema all’ordine del giorno diventa solo unpretesto per misurare chi ce l’ha più lungo, se mi permettiuna volgarità maschile”.

Corradi ride mentre mi riprende: “Con quell’aria da ragaz-za perbene non dovresti usare questo genere di metafore”.

“È il genere che gli uomini usano in riunione salvo poiguardarmi e dirmi: scusa, eh”.

“Ognuno ha i suoi codici, quelli maschili a te non siaddicono”.

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“Danno fastidio anche a me. Ma mi adeguo alla pochezzadei nostri colleghi, che hanno trasformato tutto in un merca-to. Le elezioni sono lotte costose, crudeli e a volte ridicole. Ivoti si comprano e vendono, palesemente o meno”.

“Il mercato è antico”.“Già, come la prostituzione, che tutti condannano”.“Gli stessi che a parole la condannano spesso la pratica-

no e la usano, a volte senza rendersene conto. Lo facevanoanche i nostri padri. Durante gli scavi del Foro Romanohanno trovato l’insegna: ‘le Asinelle’, le ragazze della scu-deria più in voga nell’antica Roma, ‘ti invitano a votare perPublio Caio’. Capirai, le Asinelle intrattenevano e rendeva-no soddisfatti tanti di quegli uomini, che la loro opinionepesava”.

“Pesava e pesa, stando alle cronache. Sembra che gliuomini potenti non riescano a star lontani dalle femminesvestite”.

“Per questo anche le femmine svestite non riescono astare lontane dai potenti. Sì, mia cara, purtroppo il mecca-nismo è pressoché il medesimo, fatte le dovute differenzeperché i nostri tempi sono più confusi. A criticare la politi-ca sono tutti bravi, salvo ricorrere a noi in caso di bisogno.I giornalisti per primi”.

“Perché la politica è invadente e pretende di decidereanche cose dalle quali dovrebbe stare lontana, alimentandoil mercato quotidiano: un voto a me, un favore a te”.

“Vorrò vedere te alla prova dei fatti, e ti auguro diavere presto un potere da gestire, anche piccolo. Però,certo, i partiti oggi, tranne il nostro naturalmente, sono diplastica. Un tempo i dirigenti usavano le loro giornatesoprattutto per parlare con la base. Oggi le impiegano

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principalmente per farsi invitare nei salotti privati e inquelli televisivi, dove saranno seducenti, caustici, brillan-ti. Mai riconoscere un vantaggio logico all’avversario.Sostenere sempre posizioni molto nette, in modo da mar-care le differenze anche quando in parlamento svanisco-no. Nel mondo virtuale in cui lavoro non c’è spazio per ildialogo, il confronto sulle cose reali, quello che serve allagente per vivere. Non lo giustifico, ma non devi dare trop-pe colpe a Eugenio: lui è figlio del nostro tempo, non è némigliore né peggiore degli altri”.

“Già il fatto che sia uguale mi sembra molto deprimen-te. Potevo aderire alla destra, ne avrei avuto maggiori van-taggi personali”.

“Non faresti una cosa a cui non credi. In questo sei spe-ciale e spero davvero che il nostro lavoro insieme ti aiuti acrescere, non a cambiare”.

“Grazie, detto da te è un gran complimento”.“La mia generazione ha costruito il partito, conquistan-

do tutto nel sacrificio personale e credendoci, con un rigo-re eccessivo. La generazione di Eugenio si è ben accomo-data nel potere. Il cinismo e la smodata ammirazione per ipotenti è imperdonabile. Ora tocca a voi: spero che sanere-te i guasti che noi abbiamo provocato”.

“Non vedo anime belle nella mia generazione”.“In politica una certa spregiudicatezza è indispensabile.

Il cinismo è sempre nocivo. Vanità ed egocentrismo posso-no essere utili, se controllati. L’arroganza è pericolosissi-ma. C’è vizio e vizio. Come una massaia”, sorrido, Corradia volte si esprime con termini talmente antichi, “mette su ilpranzo con quel che c’è in frigo. Così noi: non possiamoscegliere il personale che abbiamo a disposizione, ma pos-

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siamo scegliere come dirigerli e dove. Mi hai portato lon-tano con le tue domande, ora basta, veniamo a noi.

“Quando saremo a Prato ascolta e parla meno possibile.Dobbiamo innanzitutto capire come è stata accolta la nostraidea da Pieri e dai suoi, e in quanti fanno la fronda al sin-daco. In secondo luogo, se ci riusciamo, dobbiamo convin-cere tutti che noi abbiamo solo suggerito la catena umana,ma l’effettiva decisione spetta a loro. In questa fase non èimportante mettere la firma sull’idea e sull’azione, ma faraccettare a tutti che siamo venuti per dare una mano. Iltempo di essere al centro della scena non è ora”.

All’arrivo c’è un gruppetto ad accoglierci, anzi per la pre-cisione ad accogliere Corradi. Uno dei compagni gli pren-de la valigia. Un altro lo avvolge in un grande abbraccio,poi s’incammina con lui verso l’uscita. Un terzo invece loimpegna subito in una conversazione confidenziale. Ilquarto ascolta e assente col capo anche se nessuno sembrachiedere il suo parere.

E nessuno fa caso a me. Resto volutamente indietro,un po’ seccata e un po’ mortificata che di quattro uominineanche uno si sia soffermato a salutarmi, a chiedere seho bisogno d’aiuto. In effetti ne avrei bisogno, caricacome sono: quando il treno è arrivato in stazione stavoancora parlando con il maestro, non ho fatto in tempo ariporre le carte, le cose personali, il libro che avevointenzione di leggere. Né la giacchetta che indossavo intreno per l’aria condizionata e che non serve di certo nel-l’aria torrida di Prato.

Corradi si volta a vedere dove sia finita la sua compagna diviaggio: sono un monumento alla confusione. Scarmigliata,

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con la giacca che mi scivola dal braccio e le carte che scivola-no dall’altro, la borsa a tracolla e il borsone che pende dall’al-tra spalla.

Mi sorride e invita il più giovane dei tre a darmi unamano. Quello m’aspetta, e fatti i pochi passi che ci separa-no, dice: “Dai pure a me”. Mi libera dal borsone e aggiun-ge distrattamente: “Sei la segretaria di Corradi?”

Non posso fare a meno di dargli una risposta acida:“Sono la dirigente che collabora con lui. Ti sembra strano?”

Il giovanotto è stupito: “Per quello che me ne frega puoiessere anche Levi Montalcini. Ti ho fatto una domanda giu-sto per essere cordiale”. E, visto che la sua cortesia non èapprezzata, mi molla indietro, andando a raggiungere glialtri che sono dieci metri più avanti. È ancora Corradi a fer-marsi, quando si rende conto che sono rimasta di nuovoisolata dal gruppo. Mi affretto a raggiungerlo e lui mi pre-senta agli altri, in modo formale.

“Ecco la compagna Alunni, una delle donne più ingamba che conosca, oddio proprio in gamba è l’espressio-ne sbagliata, visto che è rimasta pericolosamente indietro”,e fa una risatina per sdrammatizzare. Finalmente tutti sem-brano rendersi conto di me, perfino il giovane scortesemugugna qualcosa del tipo: “Ne abbiamo sentito parlaregià molto”.

Taccio e guardo i presenti con attenzione, uno a uno, percapire chi sono.

Maurizio Albini è vicesegretario, da sempre amico esostenitore di Corradi. Poi c’è un compagno anziano, estre-mamente loquace ed estroverso. Il giovane antipatico èGiulio Lotti e si occupa della comunicazione: sembra unosso duro. Ne ho visti come lui, culturalmente contrari a

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farsi dirigere da una donna. Per loro la parità è un affrontopersonale del quale vendicarsi. Infine l’autista ha lo stessostatus di tutti gli autisti dei politici di ogni partito: destina-tario di confidenze inconfessabili a chiunque altro, orec-chio discreto, bocca chiusa se non interpellato. Portatoresano di ogni cinismo e di ogni lealtà. Uno che avrebbe inpugno il politico che accompagna, ma per coerenza profes-sionale è il suo principale alleato.

L’anziano si rivela un sentimentale, sta con noi acritica-mente. Mi prende in cura, si occupa di me, mi libera dellecarte, vuole portarmi la borsa, traboccante com’è. Ma glie-lo impedisco, per l’età di lui e per la mia dignità. LuigiCornero, così si chiama il sentimentale, è un instancabileparlatore, uno di quelli – e la politica ne è piena – che devo-no sempre convincerti di qualcosa e non mollano la presafino a quando per stanchezza non dici di sì. Convinto uno,iniziano a torturarne un altro, ripetendo anche a lui le stes-se cose. All’infinito. Quando proprio non hanno nessunabattaglia da fare, rievocano le battaglie di cui, a sentir loro,sono stati protagonisti in passato. Cornero racconta ognidettaglio della sua vita politica insieme a Corradi – maquante vite ha Corradi? – e poi inizia a parlarmi dell’emi-grazione, siete qui per questo, per il muro. Attacca un bot-tone terrificante, “perché capisci compagna il voto agliimmigrati è giusto, ma come si fa a spiegarlo qui, che spac-ciano e rubano e vendono donne”. Io di solito sono gentilecon chi è gentile, e mi fa piacere conoscere episodi dellavita politica del maestro. Perciò all’inizio lo ascolto con uncerto interesse e divertimento. Ma ben presto non ce la fac-cio più. Tento di liberarmi. Un’impresa difficilissima.Fortuna che nel frattempo siamo arrivati alla macchina.

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Corradi mi guarda divertito: “Tu Luisa vai in macchina colcompagno Lotti, io con il vicesegretario Albini e Luigi conme, come ai vecchi tempi. Mi raccomando Giulio, mani aposto”, e ride sotto i baffi. Dunque Giulio, oltre a essere unsimpatico campione di maschilismo, è anche uno che ciprova con tutte.

Mi siedo accanto al guidatore, cioè a lui, e decido diricambiare il suo sgarbo.

“Hai fama di mandrillo?”“Figurati, è l’invidia dei vecchi. O il desiderio di qual-

che donna. Io non sono uno che si dà facilmente”.“Meglio così, detesto gli uomini facili”. Vedo che la bat-

tuta non gli strappa neanche un sorriso e proseguo:“Corradi non è invidioso, o scorretto con le donne, anche seha un modo di parlare che oggi suona buffo. C’è stato ilfemminismo e lui non se n’è accorto”.

“Io del femminismo me ne frego”, dice bruscamenteGiulio, evidentemente questo è un discorso che lo appas-siona. “Uomini e donne sono uguali? A me sta bene. Perciòquello che volete prendetevelo come facciamo noi. E seavete bisogno di aiuto pagatelo, proprio come noi. O fatevivenire bei muscoli, come noi”.

“Muscoli al cervello? Che razza di discorso. Nonvogliamo essere uguali, ma avere pari opportunità, credoche tu colga la differenza. Anche se a noi tocca fare i figlie spesso portarne tutto il peso. Voi uomini”, mi odio peraverlo detto, “ragionate così e poi vi stupite se i figli non lifa più nessuno”.

“Siete diventate egoiste, per questo non fate figli.Oppure li fate da vecchie, quando non avete più da pensa-re alla carriera e a divertirvi in giro per il mondo e per i

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letti. Quando non vi sentite più in gara con noi, perchéavete affermato la superiorità del vostro cervello, dellavostra preparazione, allora volete darci il colpo finale eschiacciarci anche con la superiorità del vostro utero”. Efacendo una voce in falsetto aggiunge: “Guarda caro, sonocapufficio e sono anche in grado di fare bambini, mentre tuno”. Poi torna serio e normale: “Volete tutto: prendetevelo.Il prezzo è la solitudine, ma ve ne rendete conto troppotardi”.

La violenza repressa delle sue parole mi disarma.Impossibile tentare di capovolgere un pregiudizio così radi-cale e radicato in uno sconosciuto che mi dà un passaggioin macchina. Dapprima taccio. Poi tento una risposta: “Èun’accusa pesante e ingiusta. Se i figli sono della coppia, lacoppia deve farsene carico. Se la società vuole che le donnefacciano figli, le aiuti”.

“Pensala come ti pare, tutto questo politicamente corret-to mi fa venire i nervi e la nausea. I figli si fanno all’età giu-sta. Non quando senti il terreno scivolare sotto i piedi per-ché sta per arrivare la menopausa e allora addio maternità,resta solo l’utero in affitto”.

Per fortuna siamo arrivati in albergo.

L’albergo è tremendo come il mio umore dopo la scarrozza-ta con Giulio. Un grande cubo, tutto vetri fumé e cemento,moquette a fiori grandi sui toni del verde, blu e rosso borde-aux. Costruito da un architetto senz’anima per rappresentan-ti di commercio. Tanto per la notte, tanto per tenere l’auto conil campionario bene al sicuro, doccia con tenda di plasticache puzza di umidità, qua e là macchiata di muffa. Ascensoredi alluminio zigrinato su cui qualche bontempone ha lasciato

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la sua impronta “vieni a trovarmi ti aspetto tutto caldo” e ilnumero di telefono di qualche amico a cui fare uno scherzodi cattivo gusto. Corridoi lunghi con controsoffitti bassi dacui penzolano dei faretti che un tempo erano incassati e oranon più. La porta con la scritta “servizio” chiusa giorno enotte, dal che capisci che è inutile suonare per il cameriere alpiano se qualcosa non funziona. Chiavi pesantissime chependono da un portachiavi di legno cerchiato di ottone, cosìunte dall’uso di mille mani da aver cambiato colore.Copriletto di cotone damascato liso qua e là. Testata del lettoin legno e plastica. Mi dà l’angoscia solo entrarci. Ma il diret-tore ha stipulato una convenzione col partito, che lo rendeattraente per gli amministratori di Sinistra Unita.

È arrivata anche la macchina che porta Corradi, un com-pagno gli apre la porta e lui scende.

Gli vado incontro per mettermi d’accordo sui tempi, maavvicinarlo è praticamente impossibile. È braccato daCornero, il fedelissimo sentimentale, che non lo molla, glicammina fianco a fianco e soprattutto gli parla nell’orecchio,come un fiume inarrestabile, nel quale non riesco a piazzareneanche una parola. Quando sembra che abbia finito ripren-de fiato con grande velocità, ripetendo cose già dette, riferen-do concetti altrui come fossero i suoi, citazioni dello stessoCorradi. Sempre con nuova foga e convinzione. Il maestrosorride al vecchio compagno, e ogni tanto gli mette unamano sulla spalla.

Come può sopportare tutte quelle parole inutili? Forsetiene le orecchie chiuse, tanto l’altro non ha bisogno dirisposte, ma solo di sentirsi parlare.

Finalmente vedo Corradi solo, un po’ staccato daglialtri. Lo raggiungo, offrendogli la mia complicità. “Se non

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dà il tempo di rispondere perché fa le domande? Ne avraiabbastanza...”

Mi sorprende ancora una volta: “Fra mille parole inutilibisogna saper cogliere le dieci importanti per capire gliumori della gente”.

“Lui parla per pura vanità, per sfogarsi”.“Che c’è di male: avrà qualcosa da raccontare stasera ai

figli e ai nipoti. Quanto a me, se esiste un paradiso dei laicioggi me ne sono meritato un pezzetto”, ride. “La pazienzaè un antidoto all’arroganza. In un certo senso Cornero mi faun favore”.

Ma anche alla sua pazienza c’è un limite. E quandoquello gli si avvicina un’altra volta e sta per riattaccare bot-tone, fa un gesto e l’altro tace immediatamente. Poi rivoltoa tutti: “Ci vediamo fra un’ora, il tempo di raccogliere leidee”.

Giulio saluta senza un sorriso: tornerà lui a prenderci piùtardi.

Cornero non trovando altri interlocutori si aggrappa ame, accompagnandomi all’ascensore.

Sono indecisa se staccare l’audio, quando l’altro dice:“Da giovane ero molto amico di tuo padre”.

“Mi sembra impossibile: lui è così diverso, ha un carat-tere... essenziale e rigoroso”, freno di colpo temendo diaverlo offeso.

Imperturbabile l’altro continua: “Molti anni fa eravamonella stessa sezione. La chiamavano la libera repubblica diPrato, tanto eravamo, diciamo, indisciplinati. Di tutti tuopadre era il più indisciplinato. Una testa calda. Nessunoriusciva a zittirlo. Donnaiolo impenitente, sempre a capo ditutte le risse, a chi gli chiedeva: Alunni, quando smetterai

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di fare casino?, lui rispondeva ridendo: quando le gallinepisceranno. Un giorno l’aveva fatta grossa, più del solito.Si era presentato in sezione con una pistola che aveva tro-vato chissà dove in una cantina durante dei lavori di ristrut-turazione. Oh, si va a spaventare Gianni il tedesco..., ilTedesco lo chiamavano così perché i parenti erano emigra-ti in Germania tanti anni prima. Una volta era andato a tro-varli. Tornato, aveva un’ammirazione pazzesca per tuttoquello che veniva fabbricato in quel paese. Le macchinesoprattutto. Se voleva dire che un frullatore o una spillatri-ce, un’automobile o una fresa meccanica erano speciali,diceva: è tedesca!

“Così, alla testa di un gruppetto, tuo padre si presentaminaccioso al poveretto: oh, come ti piace questo revol-ver tedesco? nel capo, nelle cosce o nel culo? Era solo unabravata, ma il Tedesco se la fece nei calzoni dalla paura eloro dalle risate. La voce si sparse, anzi era tuo padre araccontarla, a chiunque gli venisse a tiro. Erano altritempi, il partito alla disciplina ci teneva, i compagni dove-vano essere irreprensibili, potevano menar le mani seerano nel servizio d’ordine. Se no, nisba. Così fu convo-cato in federazione. Si prese un lisciabusso che accolsecon la solita scrollata di spalle. Il segretario alla fine erapiù furioso di prima: brutto impertinente, brutto arrogan-te che non riconosceva né i propri torti né la sua autorità.Ma ora l’aggiusto io. Decide di dargli una lezione esem-plare e pubblica: convoca un’assemblea di sezione con iprobiviri, sotto la minaccia di espellerlo. Un vero e pro-prio processo, insomma. Ma, a scanso di sberleffi e insul-ti, o come disse lui per impegni precedenti, a presenziareavrebbe mandato un altro.

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“Nel giorno fissato i compagni arrivavano e si sedevano,già ridendo al pensiero dello scontro fra Alunni e l’emissa-rio della federazione. Fioccavano anche le scommesse sulvincitore. E lui, seduto in prima fila, faceva il gradasso,vestito come se fosse domenica accoglieva tutti con unbenvenuto, un bischero, un come va, come fosse l’ospite diuna festa di nozze. La sezione era ormai piena anche neiposti in piedi, e l’emissario non era ancora arrivato. Alunnigià mandava frizzi e lazzi: e non c’hanno le palle per veni-re, e stanno ancora cercando un povero bischero che accet-ti di venire contro di me, eccetera. Quando ecco si affacciauna biondina, esile, carina, educata. Saluta tutti e si va asedere alla presidenza: compagni, iniziamo. Era lei l’emis-sario. Le parole all’Alunni gli si smorzarono in bocca,come se avesse avuto una mazzata in testa. Era Ileana, tuamadre. Lo colpì subito e da quel giorno a chi gli chiedeva:Alunni, hai messo la testa a posto, che t’è successo? Luirispondeva sempre: le galline hanno pisciato. Si era inna-morato a prima vista. Ed è rimasto innamorato sempre”.

“Anche ora che lei è morta, credo”.“E tu le somigli molto”.A voce tanto bassa da dubitare che lui possa sentire:

“Ma non ho la stessa fortuna: nessun grande amore”.Cornero sorride. “Non pensarci, i conti si fanno alla

fine”, e si allontana.

Corradi si è fermato al bar nella hall a prendere dell’acqua.Albini lo avvicina, approfittando del fatto che sono final-mente soli, per dirgli qualcosa che evidentemente suscita ilsuo interesse. Lo intuisco dal lampo negli occhi del maestroe dalla sua espressione, immediatamente assorta e concen-

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trata. Muoio dalla curiosità, ma non posso certo chiederglicosa si sono detti. Per fortuna le nostre stanze sono sullostesso piano, una accanto all’altra. Così lo aspetto, fingen-do di armeggiare con la chiave della porta, e sperando chesia lui a parlare.

“Maledetti aggeggi che funzionano quando gli pare”.Capisce la manovra e con un lampo di malizia negli

occhi dice: “Abbiamo parlato di te”.Non faccio neanche finta di essere sorpresa: “Di me.

Due dirigenti del vostro calibro!”“Te lo racconto a patto che tu mi prometta di non pren-

dertela né con la serratura né con me, e soprattutto di nonfare polemiche”.

“Certamente, puoi contarci”.“Bene, ho la tua parola. Il vicesegretario è preoccupato.

In questa partita sta con noi, vuole vincere e, insomma,vuole essere sicuro che la squadra funzioni al meglio. Perfarla breve, ha dubbi sulle tue capacità”.

“Ma se non ci conosciamo...”“Ti riferisco la frase esatta. Come farà, mi ha detto, quel-

la ragazza così giovane e carina a convincere i compagni, atener loro testa? Guardandola uno pensa piuttosto a...insomma, le curve sono a posto, per il resto garantisci tu?”

“Che mascalzone”, mi trattengo a stento, mi verrebberofrasi pesanti. “Lui, Lotti, questi compagni di Prato sono relit-ti di un altro secolo. Come si permette di giudicarmi senzaconoscermi, almeno si informi sulla mia storia. Non sonoandata di letto in letto, né di matrimonio in matrimonio perla carriera, io ho fatto tutto da sola e potevi dirglielo. E giàche ci sei dillo anche a Lotti: il percorso in auto con lui èstata una delle esperienze più sgradevoli degli ultimi anni”.

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“Frena. Se vuoi la verità devi prenderla per quella che è.Altrimenti da me non saprai più nulla. È vero, Albini si èespresso in modo rozzo, ma il suo discorso era rivoltoesclusivamente a me, un discorso fra due uomini che siconoscono bene, non era previsto che lo riportassi a te o achiunque altro. Quello che dice non ti fa piacere, ma devitenerne conto e valutare l’impatto della tua persona sulpubblico. Attore, cantante, politico, in ogni caso la presen-za scenica e la presa sull’uditorio è fondamentale. Se aves-si avuto una decina di chili in più e qualche capello bianco,questo avrebbe aiutato la causa, perché assecondava lo ste-reotipo: brutta e intelligente. Non ce l’hai, non t’arrabbiare:non credo che tu scopra in questo istante che siamo unpaese gerontocratico e maschilista. Infatti guarda me, sonovecchio e ancora sulla breccia”.

“Anziano ma non scorretto. Invece tutti questi pseudocompagni...”

“È la legge del potere. Chi ce l’ha fa di tutto per con-servarlo e schiacciare i concorrenti. Le donne, i giovani,guai ad averli contro. Bisogna parlarne sempre bene inpubblico e malissimo in privato. Albini è uno che non hamai disprezzato le donne, ma dà voce a pensieri molto dif-fusi. Proprio perché è dalla nostra parte, e vuole vincere.Tutti si aspettano fuoco e fiamme dalla riunione di doma-ni. E lui si aspetta aiuto da noi. Siamo venuti dalla dire-zione, dal centro, apposta per sostenere una linea diversada quella prevalente qui in questo momento. Perciò chie-de che la coppia arrivata in soccorso non abbia puntideboli. Non c’è niente di male in questo. Trovi sconve-niente che voglia raggiungere il successo con noi e graziea noi? Ti ho raccontato il suo ragionamento perché doma-

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ni tu sia pronta e tosta, non perché frigni oggi sulla perfi-dia maschile. Quanto a Lotti: è arrogante perché si è fattostrada qui dove il partito è forte, governa e può molto. Èscorbutico e ce l’ha con le donne in modo ostinato e illo-gico da quando la moglie l’ha lasciato portandosi via ilfiglio piccolo che non gli fa più vedere.

“Ci troviamo fra un’ora per la cena e divertiamoci unpo’, che la vita può essere molto interessante. A me le bat-taglie piacciono, mi fanno sentire più giovane”.

Corradi ha scelto personalmente la Locanda del Pagliaio,un locale carino, una trattoria di quelle che cominciano insordina a prezzi accessibili, e ben presto diventano postialla moda pur senza perdere lo spirito popolare.

“Vedrai, ti piacerà, garantisco io”, dice con uno slancioraro e inatteso.

“Il Pagliaio perché?”“Dal soprannome del proprietario, che da ragazzino era

biondo come il grano maturo e aveva una capigliatura acaschetto con un ciuffo ribelle, che faceva sembrare il suocranio la cima di un pagliaio. Un pagliaio di quelli a formadi cono rovesciato, di capannina, che si vedevano prima chela campagna si lavorasse con le macchine, naturalmente.

“C’è folla tutti i giorni tutto l’anno, ma è un mio amico,per me c’è sempre posto”.

Buffo che uno come lui si vanti dell’amicizia di un oste.Già dall’angolo del palazzo c’è una fila lunghissima:

decine di persone in attesa fuori dal locale, disposti adaspettare anche un’ora pur di cenare lì. Il proprietario ognitanto esce a prendere i nomi e ad annunciare ai fortunatiche è arrivato il loro turno.

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“Hai visto? Che ti dicevo? È un posto che vale la penaconoscere”, mi guida verso l’ingresso, superando tutti gliimprevidenti.

Il Pagliaio in persona appena ci vede ci viene incontro,è un uomo alto e grosso e il maestro quasi sparisce nel suoabbraccio.

“Oh senatore, ovvia per averti qui devo aspettareanni... e meno male che stavolta arrivi con questo beltocco di figliola, che l’ultima volta m’hai portato soloomacci e io non sono alla moda, a me gli omini ’un mipiacciono”.

Corradi riesce a liberarsi dall’abbraccio potente e fa lepresentazioni.

“Il tocco come dici tu è un’importante dirigente dellaSinistra Unita. Portale rispetto che oggi si è già moltoarrabbiata con quei maschilisti dei tuoi compagni”.

Qualcuno nella fila ci sta chiamando.“Onorevole Corradi, buona sera, beato lei che entra

subito, a noi hanno dato quaranta minuti almeno di attesa.Non abbiamo i privilegi della politica”.

Per nulla sorpreso, il parlamentare gli risponde:“Semplice previdenza, caro Mustacchi. Ho telefonato nelpomeriggio. Potrei dividerne i vantaggi con lei chiedendo alPagliaio se al nostro tavolo entrano quattro persone, ma saràcostretto a mangiare con noi, rinunciando alla cenetta intimaa due”, e fa cenno alla donna che gli sta accanto.

Lui la presenta: “Io e la mia collega Anna Laura Proietti,che la signora Alunni già conosce, non abbiamo in pro-gramma nulla di intimo. Siamo qui per lavoro: mi porteràda Lorena Poli, politica imprenditrice, buona amica diAnna Laura. Da quando ho scritto su te, Luisa, sono tem-

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pestato da richieste di donne che si candidano per uno deimiei medaglioni”.

Sorrido e rimando a Giovanni: “Perché non sanno cosale aspetta”.

“Ogni lavoro ha le sue regole: vuoi uscire sul giornale?In qualcosa devi stupire il lettore. La vita della signoraMaria non interessa nessuno. Le tue serate, i tuoi amori, ituoi errori, quelli si che interesserebbero”.

“Forse più a te che ai tuoi lettori”, interviene AnnaLaura, che non è un genio, ma ha antenne sensibili. EGiovanni le interessa molto. “Vedo che la serata al Cacioe vino vi ha reso intimi, battibeccate come due anzianiconiugi”.

Tocca a me rispondere: “Fra vittima e carnefice i rap-porti sono pessimi, ma la conoscenza è profonda. O no?”

Per fortuna interviene il Pagliaio, che leva me eMustacchi dall’imbarazzo di fornire spiegazioni.

“Ovvia, continuate a tavola, che qui mi ingorgate lafila. Per te senatore ho lasciato un tavolo grande, tantofinisce sempre che siete in tanti. Il tavolo è pronto, anda-te a sedervi e godetevi la cena senza troppe seghe”, e conuna pacca sulle spalle del dirigente torna a occuparsi deisuoi avventori.

“Andiamo a studiare il menù”, interviene garrula AnnaLaura cercando di attrarre l’attenzione su di sé, che nonsucceda come l’altra volta che ho monopolizzato la sera-ta di Giovanni. Stavolta non lo consentirà. Corradi laguarda interessato, e poi sembra che m’interroghi con gliocchi. Ma forse è solo la mia coda di paglia.

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Invece la caratteristica del locale è che non si può ordinare.Il Piombi, cioè il Pagliaio, va al mercato ogni mattina esecondo quello che trova di meglio compone il menù e lopropone ai propri ospiti.

Arriva il primo: pappardelle alla lepre. Il sapore delsugo, con quella punta di acre che gli dà la cacciagione,fuso con pochissimo pomodoro e molti odori, rosolato concura e consumato a lungo, è così pieno e appagante cheporta in tavola una certa rilassata confidenza. Corradi guar-da insistentemente Anna Laura, è gentile, cavalleresco. Idue giornalisti lo chiamano onorevole. Lui allora si rivolgead Anna Laura, ma formalmente a entrambi.

“Davanti a un cibo e un vino che sono un dono preziosonon fatemi sentire vecchio. Chiamatemi Alfonso e diamocidel tu”.

“Molto volentieri, peccato che al giornale nessuno cre-derà che mi hai autorizzato a tanta confidenza”, cinguettalei accarezzata nell’orgoglio.

Giovanni è molto più tiepido: “Grazie onorevole, lei midia pure del tu, ma io non mi sentirei a mio agio ricambian-dola. Lei è una figura storica, io un giornalista agli inizi.Piuttosto, approfitto della confidenza in altro modo. Lechiedo un parere sincero: oggi ho visto il muro, da vicinofa ancora più impressione. Non trova anche lei che sia robada fascisti? La sinistra che costruisce il ghetto. Assurdo”.

Mustacchi l’ha detta grossa e si lecca i baffi: se Corradisi schiera contro il sindaco, è una notizia. Se al contrariosi dichiara favorevole, perché organizzare la manifesta-zione per abbatterlo?

Ma questi non fa una piega e calmissimo gli replica.“Carissimo, come puoi dire una cosa simile? Un sindaco di

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sinistra non farebbe mai cose di destra. Se l’ha fatto ha lesue buone ragioni”.

Il giornalista insiste sempre più incalzante: vuole stanareCorradi, fargli ammettere che è contro il muro del sindaco.

Allora Corradi sfodera un gigantesco sorriso e spiegacon una piccola esitazione nella voce e una posa da grandee consumato attore: “Ah, i giornalisti, avete un modo dichiedere che non lascia scampo. Voglio confidarvi unanotizia che per altri due giorni almeno deve restare riserva-tissima. E ve la confido solo se mi promettete di rispettarel’embargo per le prossime quarantotto ore”.

I due si impegnano, e lui prosegue: “Luisa e io siamoqui a Prato proprio per il muro. Naturalmente in appog-gio alla linea del sindaco. Siamo d’accordo con AdelmoPieri che il muro è solamente un inizio, ma la gente sem-bra non capirlo. C’è un difetto di comunicazione. Perciòstiamo per organizzare una grande manifestazione intor-no al suo muro: lo circonderemo di braccia femminili. Sì,le braccia delle donne, quelle che cullano i figli, che con-solano gli anziani genitori, che amano mariti, amanti efidanzati, andranno in soccorso di un’azione politicaimportante e innovativa: circondare gli spacciatori e farlisentire isolati dal resto degli immigrati. Far sentire loroche la brava gente non vuole stare in un ghetto. Far sen-tire agli immigrati l’abbraccio della gente di sinistra.L’abbraccio della gente comune, che vuole vivere esognare, avere un futuro, lasciarsi alle spalle la dispera-zione che speravano di aver già battuto quando sono fug-giti dai loro paesi. Questo noi faremo con le braccia delledonne, un muro umano, e subito dopo, il muro d’acciaiosi potrà abbattere”.

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“Quindi”, replica Anna Laura, “c’è una manifestazionecontro il muro”.

“Piuttosto”, Corradi grande attore, mostra stupore vero,“è di sostegno all’amministrazione comunale, del sindaco.Il muro non è un’opera d’arte, né una costruzione stabile.Se con la manifestazione riusciremo ad accelerare l’isola-mento e la cacciata dei delinquenti, la sua azione sarà con-clusa e sarà chiaro a tutti che era una misura temporanea elimitata, come del resto ha detto Pieri fin dall’inizio. Cosìfiniranno critiche e contestazioni ingiuste contro di lui. Maribadisco, la notizia è in embargo. Lo sapete solo voi: seesce su qualche giornale potrà essere uscita solo da voi”.

Guarda Anna Laura come il gatto guarda il topo primadi mangiarlo, ed è ossequioso con lei al punto da sfiorare ilridicolo. Io a mia volta guardo divertita gli altri tre com-mensali. Ho capito il suo gioco: non sputtanare il sindaco,far finta di appoggiarlo pur dichiarando cose su cui il primocittadino non può essere d’accordo. Fargli digerire unamanifestazione contro di lui come se fosse in appoggio alui. Così non potrà negarsi, non potrà protestare. È blocca-to. Semplice e geniale.

Mustacchi a sua volta ride sotto i baffi, ma non può par-lare senza far capire che lui già sapeva. Tutta la commediaha in definitiva un solo destinatario: Anna Laura. Mentresorseggiamo un ottimo rosso toscano, Corradi è molto con-centrato sul suo bicchiere, che descrive da vero intenditore:un colore rubino, un magnifico bouquet, il Pagliaio ha sem-pre lo stesso fornitore da anni, il suo vino è una sicurezza,anche se lo compra sfuso, è migliore di tante etichette.Mustacchi è in totale ammirazione: “Onorevole, anche leiappassionato di cucina, come me?”

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“Soprattutto di vino. Come diceva un grande scrittore,mi sembra Oscar Wilde, la vita è troppo breve per bere vinocattivo”.

Corradi è visibilmente soddisfatto di se stesso, e nien-t’affatto sorpreso quando la Proietti che ha abboccatoall’amo, torna all’argomento di prima.

“Davvero siete qui per questo? Eppure al giornale hosentito dire che a Roma c’è del malcontento verso Pieri. Ilmuro ha diviso anche il partito. Molti lo contestano, lo giu-dicano un passo verso l’apartheid. Altri lo imitano, e fraquesti un sindaco di Sinistra Unita al nord. E voi non sape-te che pesci prendere”.

Corradi la interrompe ironico: “E allora perché saremmoqui? Anna Laura, tanto intelligente, non puoi credere ai gior-nalisti. Via, ti sembra che alla mia età sarei venuto fin qui senon fossi stato d’accordo con i compagni di Prato? Non sonopiù adatto alle battaglie difficili io, mi stanco troppo in fretta”.

Reagisco a mia volta: “È meglio dire la verità ad AnnaLaura. Il compagno Corradi ha avuto un’idea straordinaria,di quelle tanto semplici da farti dire perché non ci ho pen-sato prima. Siamo venuti subito a proporla a Pieri perchédiventi la prima manifestazione di una serie, che tocchi ipunti nevralgici dell’immigrazione clandestina e delladelinquenza collegata. Hai ragione, il dibattito c’è, ma nonè fra centro e periferia, ammesso che oggi si possa ancoraparlare così. Il dibattito è trasversale a tutto il mondo poli-tico sul modo di vedere il fenomeno dei grandi flussimigratori dei giorni nostri. I problemi ci sono, inutilenasconderlo, portarli allo scoperto aiuta un grande partito.Merito di Pieri averlo fatto e merito di Corradi aver raccol-to la sfida e buttato la palla più avanti”.

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“Interessante”, dice la giornalista, col tono di una chetrova questo pistolotto completamente privo d’interesse.Torna a rivolgersi a Corradi: “Dunque la notizia è topsecret? Perché? E fino a quando?”

“Non mi fare brutti scherzi, che io debba pentirmi diquesta confidenza. È top secret perché non ne abbiamoancora parlato a Pieri – d’altronde siamo appena arrivati –e se i compagni venissero a sapere dal giornale un’iniziati-va che li riguarda direttamente saremmo in un bel guaio.Infine ci metteresti nei guai anche con gli altri quotidiani,che si vedrebbero scavalcati: al di là delle mie simpatie per-sonali per te, Anna Laura, non posso inimicarmi tutta lastampa italiana dandoti uno scoop. Oh, ecco il secondo:assaggia questo cinghiale in umido, non ne trovi uguale danessun’altra parte. È un piatto che risente di tante anticheculture mischiate. Si fa il soffritto con tutti gli odori e lacipolla e l’aglio spremuto, si leva il cinghiale – fatto a pezziabbastanza piccoli – dalla marinata in cui è rimasto la not-tata intera, e che io personalmente faccio così: pepe a grani,odori tutti, vino rosso e appena un cucchiaio di aceto.Quando il soffritto è pronto, dicevo, non deve in nessuncaso bruciare, ci butto il cinghiale e aggiungo appena unpomodorino, ma se non trovi quello vesuviano moltomeglio un buon cucchiaio di concentrato che un tondo,liscio e insipido ciliegino olandese. Poi una manciata di uvapassa, pinoli, e sul fuoco basso a consumare, molto lenta-mente. Quando il colore è diventato piuttosto marroncino ela carne si sfa, allora è pronto, ma, a mio parere, deve ripo-sare. Il giorno dopo è ancora più buono. Qui lo fanno comelo faccio io. Propongo un brindisi a questa serata e al pia-cere di averti conosciuta”.

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Mi trattengo a stento dal ridere, ma Mustacchi sta algioco e alza il bicchiere: “Al miglior cinghiale – a partequello che facciamo Corradi e io – e alla migliore compa-gnia”, dice guardando la collega, nella consapevolezza chela poverina è cascata nella rete.

Infatti passano appena una decina di minuti quandod’improvviso Anna Laura si alza. “Scusate, sono stanchis-sima. Caro Alfonso, grazie del tavolo e della compagnia.Giovanni tu resti e paghi per noi due”.

“Ma no”, risponde lui sadico, “ti accompagno con pia-cere, ero molto stanco prima della cena, ma vino e buoncibo, e naturalmente buona compagnia, mi hanno tonifica-to. Se penso che quando siete arrivati stavo per rinunciarea causa della lunghissima lista d’attesa... però non possoconsentire che giri da sola a quest’ora. Rinuncerò al dolcee ti accompagnerò”.

Anna Laura non aspetta neanche che lui finisca il suodiscorsetto, ha già preso borsa e giacca.

“Per carità, non ce n’è proprio bisogno, vado da sola, intaxi cosa vuoi che mi succeda”.

Scappa prima che chiunque possa replicare. Vuole porta-re lei la notizia al giornale. Vuole essere sicura di non dover-la dividere con lui che per fortuna, nonostante le parole, nonsembra per nulla disposto ad alzarsi e andarsene. Speriamoche non sia per i begli occhi di Luisa che rinuncia allo scoop.Ma ora non ha tempo per questo aspetto della faccenda, oraha un’occasione d’oro fra le mani e non intende sprecarla.Sono appena le nove e le pagine di politica, come la primapagina, sono ancora tutte aperte. Volta l’angolo della stradaper essere sicura che non la vedano i suoi commensali e conil cellulare chiama il caporedattore.

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“Ciao Antonio, Anna Laura. Sai che ho accompagnatoGiovanni a Prato per presentargli la mia amica Poli, abi-tualmente così restia a dare interviste, ma grazie a me l’haottenuta. Bene, non crederai cosa ho saputo: c’è quiAlfonso Corradi, l’onorevole di Sinistra Unita. Si è lascia-to sfuggire che prepara una grande manifestazione sulmuro... macché contro, di appoggio ti dico, di appoggio alPieri, sì, una cosa scenografica quanto mai... e poi, capisci,questo vuol dire che si è creato un nuovo asse politico invista del congresso... certo... Luisa Alunni? Sì, sta lavoran-do con lui, ma è stata zitta tutta la sera, che vuoi, poverina,non è che sia una stella di prima grandezza... non ha nean-che le physique du rôle, basta vedere come si veste: unastudentessa appena uscita dall’università è più elegante dilei. Per non parlare di come si atteggia. Credo che Corradile stia insegnando il mestiere su incarico del segretario, manon ha la stoffa e mi sembra che lui la sopporti a malape-na. Lui è talmente affascinante che dimentichi l’età”.

Dall’altro capo del telefono il caporedattore le lancia labattuta maligna.

“Sempre buone con gli uomini e perfide con le donne,cazzi vostri, continuate così. Tornando al pezzo, non hocapito, qual è il titolo?”

“Direi: Il muro di Prato non imbarazza più SinistraUnita. Corradi appoggia il sindaco. Sorprese al prossimocongresso?”

“Va bene”, le risponde il caporedattore. “Oggi c’è pocodi politica, fai anche un boxino per la prima”.

Anna Laura gongola, ha fatto bene a mollare la cena, perun pezzo in prima vale la pena, e così Mustacchi impareràa portarle più rispetto e forse si smuoverà da quella sua apa-

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tia insopportabile. Gli presenta donne importanti e lui nean-che grazie. È leale e devota, e lui neanche uno sguardo. Glifa capire che sarebbe disponibile a fare sesso con lui e nien-te, quello fa finta di non aver sentito. Deve avere una spe-cie di blocco nei sui confronti. O forse è timido. O forse ègay? Però non sembra. Un po’ d’invidia professionale, unpo’ di gelosia l’aiuteranno. In ogni modo domani avrà lasorpresina. Si pentirà della sua indifferenza.

Luisa con Giovanni

Siamo davvero grati a Corradi. Io per la lezione di tattica.Giovanni pensava di passare una noiosa serata con AnnaLaura e invece si è divertito moltissimo. Entrambi colti-viamo una piccola speranza che si realizza alle dieci inpunto.

“È stato molto, molto piacevole chiacchierare con voi,e resterei, ma alla mia età i tempi di recupero sono lunghi.Andrò a letto, e guarderò la televisione, un esercizio dipazienza: ogni tanto lo faccio per non perdere il contattocon la volgarità dei nostri tempi. Stasera sono di buonu-more e posso permettermelo”.

Se ne va, scortato da Albini, che appena si è liberato ciha raggiunti per un caffè. Io, nonostante i buoni proposi-ti, a stento gli ho rivolto la parola: le frasi riferite dal mae-stro mi bruciano ancora. Corradi ci saluta con un gesto, cialziamo anche noi per andare. Lui ci ferma.

“Voi giovani rimanete ancora un po’. Non avete anco-ra assaggiato il vin santo con i cantucci del Pagliaio.Imperdibili. Ci vediamo domani Luisa, e spero bene cheil Corriere del Mattino ci darà una piacevole sorpresa.

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Arrivederci anche a te Giovanni. Comportatevi bene”, eridendo se ne va, accompagnato alla porta dall’oste ado-rante.

Fra noi due, rimasti soli al tavolo, un vuoto che non sap-piamo riempire. Dovremmo approfittare dell’occasione perun chiarimento. Ma superare l’imbarazzo non è facile. Poi,come se fosse scattato un meccanismo, Giovanni mi chie-de perché non ho risposto al telefonino, nello stessomomento in cui io gli sto dicendo: “Quando chiamavi eroin treno e cadeva continuamente la linea”.

Le voci si sono sovrapposte, e nessuno dei due ha vogliadi guastarsi l’umore con un eccesso di spiegazioni e dettagli.

Lui ride, o meglio ridacchia, e io gli faccio segno: perché?“Penso ad Anna Laura: ritiene di aver fatto lo scoop

della vita e invece ha fatto la marionetta nelle mani del-l’astuto volpone”.

La tensione si scioglie e rido di cuore anche io. Poi sonocolpita da un pensiero.

“Perché prendi in giro la tua fidanzata, non è leale”.“Te l’ho già spiegato, è solo una collega. Come dici tu,

mai storie sul posto di lavoro”.“Lei lo sa?”“Ognuno di noi sa quello che vuole sapere, capisce quel-

lo che vuole capire. Anna Laura è l’ultima persona con cuifarei coppia: si offre e io detesto le donne che non ti lascia-no il gusto della conquista. È talmente concentrata su se stes-sa che non ascolta quando le dico che non mi interessa. Nonposso neanche dire che siamo solo amici, perché non siamoneanche amici. Marco, piuttosto, come sta senza di te?”

“Benissimo, lo sento tre volte al giorno, è il mio contat-to con i corridoi della Sinistra Unita mentre sono qui. Lo

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sai, in politica le chiacchiere possono salvarti la vita o per-derti. Anzi a essere sinceri proprio bene, non sta. È avvili-to, non vuol fare il gay a vita”.

La faccia di Giovanni è un punto interrogativo.“Non capisco: è gay o no?”“La sua omosessualità è una scelta definitiva. Però vor-

rebbe diventare segretario del partito e non restare l’esper-to delle discriminazioni, delle opportunità, dei problemi deigay”.

“Ma tu e lui, allora”.Rido di botto.“Non dirlo a Marco. Siamo molto amici. Ma non si

sognerebbe mai di stare con me. Passiamo molto tempoinsieme perché siamo due persone sole con grandi affinità,a parte quella sessuale. E questo è tutto”.

“Meno male”, si lascia sfuggire Giovanni. E aggiunge:“Perché non facciamo due passi fino all’albergo?”

“Volentieri”.“Io sono al Lux. È piccolo ma molto centrale. E tu?”“Io sono al Beltour, dell’omonima catena, è grande ma

in compenso molto squallido e periferico. Dobbiamo attra-versare a piedi quella parte delle mura lasciata alle erbaccee discariche occasionali. Forse non è tanto raccomandabiledi notte. Ti va lo stesso o prendiamo un taxi?”

“Ma sì, andiamo, meglio una camminata pericolosa conte che approdare in solitudine a un letto estraneo”.

Luisa

Camminando parliamo un po’ di tutto. In modo lieve,casuale. È facile come chiacchierare con Marco, non biso-

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gna stare attenti a ciò che si dice, ma semplicemente asse-condare le parole che spontaneamente vengono alla mente.In più c’è il piacere della scoperta, della novità, buttare làun discorso come un amo e aspettare se l’altro ne restaagganciato. E lui mi segue in questo discorrere senzaaltro scopo se non quello di conoscersi meglio e di pia-cersi. Già, inutile negare che andare a spasso con quel belragazzo è molto piacevole. Giovanni non mi tocca, maogni tanto le nostre spalle si sfiorano, una leggera scossaelettrica m’attraversa, non una vera eccitazione, ma unostato di grazia di cui fa parte anche una specie di attrazio-ne fisica.

Ripenso a quel meno male che gli è sfuggito commen-tando le scelte sessuali di Marco. Sorriderei se non sem-brasse scortese. Vorrei tacere per assaporare meglio que-sta situazione, ma non siamo abbastanza intimi perlasciar le nostre sensazioni senza parole. Il silenzio ètroppo impegnativo per due che si conoscono appena.

Giovanni

I capelli di Luisa ogni tanto si alzano per la brezza sera-le. Sono così vicini che ne sento il movimento, un soffioleggero e profumato. Il desiderio di toccarla è acuto, vor-rei smettere di parlare e tenerla stretta in silenzio, ma nonoso, temo le sue reazioni: è una donna imprevedibile,mentre la vedi serena e tenera, diventa un pezzo dimarmo. Il ricordo della scenata sotto casa sua mi bruciaancora e mi rende prudente. Perciò mi costringo a conti-nuare un discorso qualunque col pilota automatico, men-tre la mia mente è concentrata su ben altro.

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Luisa

Imbocchiamo un tratto di strada sotto le mura, dove la lucedei lampioni arriva poco. C’è solo un leggero chiarore, manon è un buio romantico: riusciamo a stento a scansare lat-tine vuote, buste di plastica, residui umani e buche di cui lastrada è disseminata. Sembra un luogo colpito dall’esplo-sione di un ordigno, invece è solo incuria. Avverto una sen-sazione di pericolo, accelero. Il mio corpo si irrigidisce. Daun angolo sbuca una sagoma scura con una felpa di quelleda stadio in guerriglia, con passamontagna incorporato. Hala figura di un giovane, ma gli occhi – l’unica parte visibi-le – sembrano stanchi, vecchi. Forse è solo un’impressione.Ha in mano un coltello lungo un palmo. Ci minaccia e chie-de a me l’orologio. Quando lo vede esclama con una puntadi emozione: è un Rolex. Non è il caso di fare conversazio-ne, ma lo strano personaggio mi fa paura e pena insieme.Me lo sfilo dal braccio e glielo porgo: “Guarda che non èautentico, me l’ha portato un’amica da Hong Kong. Percinque euro chi te lo fa fare”.

“Allora dammi i soldi”, è sicuramente un giovane quel-lo che parla con una voce ora delusa, bassa, roca, impasta-ta, con una nota di insicurezza.

Gli rispondo: “Non ho contanti, non ne porto mai”.Il ragazzo esita e mostra il coltello, con intenzioni evi-

denti. La situazione si fa critica, evidentemente non è unprofessionista, ma un rapinatore improvvisato, forse un tos-sico, di quelli che non sono preparati a reagire in casi di dif-ficoltà.

Interviene Giovanni, con tono calmo e sicuro: “Ho ioventi euro, prendili e vattene subito”. Tutto il suo atteggia-mento suggerisce: se vuoi rogne sono pronto. Dal passa-

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montagna la voce esce ancora più giovane e incerta e conun forte accento straniero: “Va bene”. Il ragazzo afferra lebanconote e si allontana in fretta. La scena sarà durata unminuto o forse due.

A questo punto prendo coscienza del pericolo corso e ini-zio a tremare sempre più violentemente: fin da piccola mirendevo conto del rischio soltanto a situazione conclusa.

Giovanni se ne accorge, mi circonda le spalle col brac-cio sinistro e mi stringe a sé, mentre con la mano destraprende il telefonino e chiama un taxi. Lo lascio fare, anzimi appoggio a lui. L’attesa dura un’eternità. Un’eternitàcombattuta fra l’ansia per quello che potrebbe ancora capi-tare fino all’arrivo dell’auto, e il piacere di sentirsi vicini euniti dall’esperienza appena vissuta. Le barriere fra noisono cadute. Restiamo zitti e stretti l’uno all’altra fino aquando compaiono le luci del taxi. Mi lascia e apre la por-tiera per consentirmi di salire.

Il tassista dice che siamo stati assolutamente impruden-ti: è andata bene che il rapinatore si sia accontentato diventi euro. Per tutto il tragitto Giovanni mi tiene la mano,siamo spalla a spalla, ma non parliamo fra noi. Anzi io nonparlo affatto, mi sento debolissima e grata a lui, che haavuto presenza di spirito. Non so come sarebbe finita altri-menti, magari il rapinatore avrebbe chiamato altri del grup-po, m’avrebbero violentata... Non voglio pensarci, devosmettere di tremare. Mi concentro sui discorsi col tassista.

Stanno parlando del muro, il tassista è tutto dalla partedel sindaco.

“Ha fatto bene, non se ne può più. Vengono qui, spaccia-no, rubano e aggrediscono i turisti. Come è successo a voi”.

Mi sento chiamata in causa, ma non ho la forza di ribat-

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tergli, né la voglia. La sensazione di abbandono, di affida-mento a Giovanni è la cosa migliore che mi sia capitatanella giornata, la sua voce mentre parla al guidatore del taximi culla e mi rassicura, e il movimento dell’auto un po’ allavolta mi calma, come un bambino quando qualcuno dondo-la la sua culla. Il buio fuori, il calore della sua mano, la con-versazione che non mi coinvolge per niente, la sensazionedello scampato pericolo, tutto contribuisce a farmi sentirein un particolare stato d’animo. Quasi una sospensione deltempo, in un non-spazio dove l’infelicità è bandita e la ten-sione assente. Quando vedo di lontano le luci dell’albergoprovo disappunto, vorrei dire al tassista vada avanti. Comei bambini vorrei ripetere all’infinito e con caparbietà: anco-ra, ancora, ancora.

Ma la realtà è più forte dei desideri, quando la sagoma delgrande orrendo albergo è oramai tanto vicina da distingue-re l’ingresso e il portiere in divisa dietro al banco illumina-to da un neon bianchissimo, mi chiedo quale sarà la giustaconclusione della stranissima serata. Un’idea ce l’ho.Purtroppo non so come metterla in pratica, perché in fattodi sesso preferisco che siano gli uomini a prendere l’inizia-tiva. Se non bastasse, Giovanni è stato chiaro: detesta ledonne che si offrono.

La domanda mi dondola nel cervello. Ormai siamo nellahall. È il momento delle decisioni: o dico qualcosa adesso ola magia sfumerà e mi troverò sola nel grande letto, in unagrande squallida stanza, ancora tutta scombussolata dal pes-simo incontro. Cerco di ricordare quello che le amiche rac-contano ogni tanto: ho abbordato il tale, ci ho provato con il

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talaltro. Già, ma come fanno? Non l’ho mai chiesto, fino aun attimo fa disapprovavo fortemente quel tipo di approccio.Ora invece mi farebbe comodo saperne di più. Vorrei riusci-re a offrirmi senza parere, forse dovrei provocarlo, ma come?Ci vorrebbe una camicietta semislacciata, una gonna con lospacco di lato, delle calze nere. Non i miei abiti spartani.

Odio la mia rigidità, ma non riesco a decidermi. Sentoil peso di due occhi su di me. È Giulio Lotti, che osservala scena con sguardo sgradevole, e interrompe pesante-mente la nostra nuova vicinanza. Giovanni si allontana dimalavoglia, ma è necessario, e lo fa lentamente, perchénon sembri che ci sentiamo colti in flagranza di intimità.Cerca di essere convincente mentre spiega con noncha-lance che il suo era un abbraccio di sostegno. Ha un mododi raccontare molto colorito, come se scrivesse un pezzodi cronaca. Io invece, sono portata mio malgrado a darespiegazioni, a descrivere la gran paura che mi pesa più orache durante l’aggressione. Giulio ci guarda con aria fra ilseccato e lo scettico e commenta acido.

“Se uno va in giro di notte a piedi in certi posti devesapere cosa affronta. Perciò mi ero offerto di accompa-gnarvi per la cena, ma Corradi ha preferito che facessialtro. Comunque sono venuto per accertarmi che fossiviva e vegeta e a quanto pare non ho fatto male”.

Sorrido: Corradi sta cominciando a inserirsi un po’troppo della mia vita, per fortuna aveva intuito che nonavrei assolutamente voluto concludere la serata conGiulio. Il quale, insopportabile come sempre, si rivolge aGiovanni col tono di licenziarlo. “Beviamo qualcosa e poitu puoi andare, io e Luisa abbiamo da discutere primadella riunione di domani”.

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Giovanni non ha nessuna intenzione di allontanarsi. Laserata ha lasciato il segno. Luisa è giusta per lui, l’ha sen-tita, fin da quella sera ballando sulle note di Otis. Il suo pro-fumo delicato mischiato all’adrenalina gli è rimasto nelcervello. Entrando in hotel anche lui si chiedeva come pro-lungare la serata senza far la figura di uno che approfittadella momentanea debolezza. Tutto poteva immaginare,tranne trovare il guastafeste. Non vuole lasciargli campolibero.

Sono tutti e tre seduti nella hall. L’atmosfera tesa dicerto non migliora guardandosi intorno: dalla squallidamoquette sale ancora l’odore del fumo stantio, antico, stra-tificato di quando nei locali pubblici si poteva fumare. Lemacchie si confondono con gli orridi disegni di fiori eocchieggiano come sorrisi sconci. Il bancone del bar è dimogano scuro come il loro umore.

Luisa è disturbata da tutto: l’ambiente e la situazione e isuoi piani per la notte andati definitivamente all’aria.

Giulio, dopo qualche schermaglia di quelle che gliuomini fanno per pura competitività, insiste di nuovo conGiovanni, che però è irremovibile. Dovrà rinunciare alsuo progetto, ma di certo non lascerà Luisa, così fragile inquesto momento, in balia di quell’essere odioso e smanet-tone.

Alla fine tocca proprio a me sbloccare la situazione, alzan-domi e salutando per prima: “Scusa Giulio, immagino chetu debba dirmi cose importanti, ma non ce la faccio proprio,parleremo domani mattina presto, al telefono o di persona.Ora vado a letto. Non mi reggo in piedi, la tensione è sva-nita e mi ha lasciato una spossatezza terribile”.

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Saluto e me ne vado prima che uno dei due possa parla-re. Tanto la serata è ormai compromessa, Giulio non molla,Giovanni neanche, stare seduta fra loro due è piacevolecome stare fra due eserciti su un terreno di battaglia.

In ascensore la delusione mi provoca una tossetta nervo-sa, mi schiarisco la gola due tre volte, senza successo, quel-la specie di groppo non se ne va. Chissà se e quando rive-drò Giovanni.

Mentre mi lavo i denti, ecco il telefono: “Sono io, nonpotevo mandarti a letto senza la buona notte”.

Rispondo con la bocca tutta impastata, e poi rido, final-mente libera dal groppo in gola, rendendomi conto cheGiovanni non può aver capito niente perché ho il dentifri-cio in bocca. Ride anche lui.

“Ciao”.“Ciao. E... chiamami domani, se ti fa piacere”.“Senz’altro, che farai per cena?”“Ceno con te, no?”Lui ride e anche io, soddisfatta della nuova sfacciataggine.

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Coyote prende l’acqua dal popolo delle rane, perché non è giusto che un solo popolo abbia tutta l’acqua.

Luisa

Scendo che ho già fatto colazione: il rituale caffè in came-ra è uno dei pochi lussi a cui non rinuncio. Mi fermo nellahall a leggere il quotidiano appeso nella stecca. Comeprevisto, il colpo di Corradi è andato a segno in primapagina sul Corriere del Mattino. Lui è nella sala pompo-samente chiamata breakfast con un tè, qualche fettabiscottata e il giornale affianco ripiegato ma evidente-mente già letto.

Mi saluta e poi: “Oggi è meglio stare leggeri e pensareall’azione. Troppa soddisfazione alimentare non va bene.Abbiamo bisogno di tutta la nostra energia. O hai fattostravizi?”

L’allusione è chiarissima, non ho difficoltà a rispondere:“Se per stravizi intendi subire un tentativo di rapina...”

Gli racconto l’avventura, commenta filosofico e fretto-loso: “Non si possono difendere gli emarginati solo quan-do non toccano noi”. E mi indica la pagina del quotidianoche ci interessa. “Hai letto? Che ne pensi?”

XIX

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“Sei un genio”, gli dico. E lo penso realmente. “Conquesto inizio sarà una passeggiata”.

“Pieri non è uno stupido e non è mai una passeggiata.Potremmo averlo sorpreso, ma si riprenderà velocemente.Aspettati una contromossa. Cerca di prevedere quale sarà”.

Nel frattempo arrivano Giulio e il vicesegretario.Quest’ultimo è raggiante, il primo invece ha la solita aria diuno che se morde ti avvelena. Si siedono e prendono uncaffè. Intanto commentano. Albini è d’accordo con me:ritiene che l’articolo sia destinato a sciogliere le resistenze.Giulio è acido e lapidario.

“Il sindaco è fuori di sé dalla rabbia. Penso che ve la faràpagare”. Mi guarda con insistenza e appena gli sono a tirosenza che altri possano sentire sibila: “Il tuo paladino nonc’è? Il signorino si sveglia tardi al mattino?”

Ignoro la provocazione: “Non conosco le sue abitudini.Piuttosto, perché il sindaco dovrebbe essere furioso?”

“Non si prende in giro facilmente il Pieri” e nel dirlo siallontana facendo spallucce, come per dire: se non lo capi-sci da sola...

Pieri

La riunione ha i soliti lunghissimi preliminari, fra paccheamichevoli sulle spalle e sorrisi tirati: Corradi qui è moltopopolare – purtroppo – e tutti fanno a gara per salutarlo escambiare con lui una battuta. Tocca a me smorzare glientusiasmi col mio celebre sorriso a labbra strette. Labbrastrette, bocca larga. Pronto a mangiarvi in un boccone solo.

E davvero a mangiarmeli che ci metterei? Poco tempo epoco sforzo. Ma ho bisogno di truppe per il congresso e

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non posso maltrattarli troppo. Guardali là, poveretti, sedutisecondo il classico schema: vicino a un amico, di fronte aun nemico. Il segretario provinciale vicino a me, Corradi eAlunni accanto ad Albini. Giulio solo a un lato, come alsolito guarda tutti malevolo: sta con me, ma che gran rom-piballe quel ragazzo. In mezzo gli ectoplasmi, quelli chenon si schierano mai. Da loro dipenderà l’esito della riunio-ne: il loro consenso è la posta in gioco.

Li scruto uno a uno per indovinare su quanti potrò con-tare: ho fatto il gradasso con Rispoli, ma so benissimo chela mia poltrona è in bilico. L’elezione era stata quasi un ple-biscito, ma il maledetto muro della maledettissima viaSoriano mi ha procurato consensi quasi solo a destra.All’inizio i bravi cittadini di Prato erano preoccupati daigravi fatti di cronaca e hanno accolto bene l’idea. Ma poi,quando l’hanno proprio visto dal vero in tutta la sua porta-ta, i miei elettori non hanno gradito. Una frangia mi haseguito perché doveva, un’altra parte perché vota a sinistrama ha il cuore nel portafogli. Tutti gli altri: polemiche anon finire. Ero quasi convinto di aver fatto una cazzata,quando il muro m’ha portato alle cronache nazionali, unpiacere inaspettato, una buona compensazione per tutte lerogne locali. La popolarità fa comodo e fra qualche mesemi procurerà una poltrona da parlamentare. Mi serviva soloun po’ di tempo per far abituare la gente, e per gestire il dis-senso grazie all’aiuto di quei media locali che hanno da memolta “collaborazione”. Qualcosa pur mi devono per avertrovato nel bilancio comunale il denaro che contribuisce aquadrare i loro conti. Mi sono inventato la pubblicità alcanile municipale e poi quella per il nuovo cimitero soloper dare soldi a loro. Le punture di spillo da ambientalisti,

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pacifisti e sinistri di ogni sfumatura le davo per scontate, epoco alla volta tutto sarebbe rientrato nella normalitàlasciandomi godere i frutti della mia genialata. Eugenio,d’altra parte, da quell’opportunista che è, fino a quandopuò fa finta di niente. Invece si presenta la grandissimarompicoglioni, appoggiata da quella iena di Corradi, e mirompe le uova nel paniere. L’articolo di oggi, sicuramenteuna trovata del vecchio per incastrarmi, rischia di farmiperdere il vantaggio. Ma non mi conoscono bene, non mifaccio colonizzare dai romani, io.

Passo in rassegna i presenti. Il segretario provinciale,quello è schierato con me senza se e senza ma: gli ho siste-mato la figlia e il genero in due società controllate dalComune: contratto a tempo determinato, buona posizione:se vuole il rinnovo sa qual è il suo dovere. Dal suo viceAlbini mi aspetto qualche sorpresa: temo si metta a capodella fronda. E i due scassaballe romani, che faranno?Meglio attaccarli subito, giusto per dar loro un segnale,provocarli e far perdere loro le staffe. Mentre si siedono, adenti stretti mormoro guardando fissa Luisa: vedremo conchi sta il partito, e se va come penso, potete tornarvene acasa già domani.

La riunione

Il segretario prende la parola per primo. Come previsto è tuttoun elogio al sindaco e a come ha riportato la sicurezza in città.

Uno dei presenti lo interrompe: “Bella roba. Li hai sen-titi anche tu i giovani che ci paragonano ai fascisti”.

“E tu vai dietro agli estremisti? Per fortuna la sicurezzadella nostra città non dipende da loro”, rintuzza il segretario.

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Per ora è solo esibizione dei gregari, mentre agli angolii due veri lottatori si ignorano platealmente. Dopo qualcheschermaglia fra il segretario, l’Albini e alcuni partecipanti,il sindaco chiede la parola e si fa silenzio intorno. Tuttismettono di fare ciò che facevano: sia chi leggeva il gior-nale, chi chiacchierava col vicino, chi parlava al cellularesia chi messaggiava.

Adelmo Pieri è tagliente come la tramontana: “Hoappreso dal giornale di oggi che siete qui in mio appoggio”,dice rivolgendosi ai due romani, “ma potevate anche nondisturbarvi: che il partito mi appoggi è scontato”.

Anche Corradi sorride mentre gli risponde: “In questocaso, e ogni volta che si parla di immigrazione, il partitosiamo noi, io e la compagna Alunni, e il nostro appoggionon è affatto scontato. Siamo d’accordo con il segretarioche è arrivato il momento di mettere ordine. Fra ammini-stratori che chiedono agli immigrati le impronte digitali,altri che rifiutano i permessi per i loro luoghi di culto ocimiteri c’è troppa confusione”.

“Invece qui il partito sono io, siamo noi”, dice il sinda-co allargando le braccia a comprendere tutti i presenti:“naturalmente anch’io ho parlato con Eugenio che è sullamia stessa linea. Comunque, d’accordo o no, io rispondo aicittadini che mi hanno eletto, non a un signore e una signo-rina che vengono da Roma con idee preconcette, senzasapere niente della nostra città e dei nostri problemi.L’unico aiuto che mi avete dato finora è mettermi contro imiei stessi elettori e la stampa”. Così dicendo fa un gestoplateale, chiamando a testimone gli altri.

“Sono costretto a ricordarti che non esiste la repubblicaautonoma di Prato, che siamo nello stesso partito e che io

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ho un mandato dalla direzione e dalla segreteria”. Luisaassiste silenziosa al duello verbale fra i due protagonisti.Dopo le prime battute i presenti si annoiano.

Il sindaco intuisce che la tensione sta calando e temeche questo porti vantaggio ai suoi avversari. Bisognadurare un minuto più degli oppositori, e lui fra mezzoradeve tornare in consiglio comunale. È arrivato il momen-to di attaccare.

“Bene Corradi, non voglio essere inospitale: sentiamo lavostra proposta. Perché di certo ne avete una, non sietevenuti qui solo per demolire la mia”. Il sorriso a metà fraironico e di sfida è rivolto a entrambi i romani, anche sefino a quel momento sembrava ignorasse Luisa. Ma la gio-vane, memore dell’indicazione del maestro, continua atacere. Pieri allora incalza direttamente Corradi: “Da quan-do ho alzato il muro la delinquenza in città è diminuita delsedici e cinque per cento. E i consensi al partito sonoaumentati del venticinque. Come puoi rompermi i coglionicon questi risultati?”

Corradi ribatte subito: “Ho visto anch’io questi dati.Sono rilevazioni pubblicate oggi ma raccolte tre mesi fa,prima del muro. Sai anche tu quel che si dice. L’arrivo incittà di Xao Min emissario della mafia cinese ha cambiatogli equilibri: lui ristabilisce l’ordine e voi chiudete unocchio sulla loro comunità”.

“Non ti permetto queste insinuazioni”.“Non chiedo permesso a nessuno di dire ciò che so e

penso. E quanto ai consensi, a livello nazionale il tuo muroha avuto l’effetto opposto: un calo di sei punti, in partico-lare dei giovani e delle donne. Per piccoli calcoli personalitu affossi il partito”.

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“Perché mi sembra sempre che tu consideri il partitocome una cosa tua? Quando l’hai comprato?”

“Mi opporrò fermamente alla tua nomina a vicesegreta-rio. Ci puoi contare”.

“Vecchio paranoico. E tu credi che lascerò che nominisegretario chi ti pare? Troverai pane per i tuoi denti e puoidire addio fin d’ora alla carica di Presidente dellaRepubblica. Passerai sul mio cadavere, prima”.

“Non c’è problema, se è quello che vuoi”.I presenti sono esterrefatti. Uno scontro di quella violen-

za non si era mai visto nelle ovattate stanze del partito chegoverna la città da sempre e l’Italia da qualche tempo.Luisa non crede alle sue orecchie e guarda l’uno e l’altro,come normalmente si guarda la pallina da tennis che va dauna parte all’altra del campo. Corradi, di solito così con-trollato e compassato ha davvero detto quelle cose, lancia-to accuse tanto gravi? E Pieri, un sindaco importante, dav-vero ha perso le staffe fino a questo punto? O è solo unospettacolo a favore dei presenti? Non ha finito di chieder-selo che il sindaco si dedica a lei. Comincia a punzecchiar-la, ma lei niente. Lui allora si spinge oltre, con battutinesempre più pesanti sulle giovani d’oggi che credono diessere chissà chi. Sulle ragazze che si sentono onnipotenti,sul fatto che ignorano le storie personali di dirigenti chehanno fatto grande il partito, portandolo dai margini delmondo politico a posizioni di forza e di governo.

Lo sguardo indifferente, come se parlasse di qualcunaltro. Luisa non reagisce. Questo manda in bestia Pieri, chedecide l’affondo. Guardando fisso il segretario per cercar-ne l’appoggio si rivolge a Corradi con aria di scherno: “Daquando in qua vai in giro con la segretaria al seguito?”

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L’anziano dirigente non fa una piega: “Tutti sanno chenon ho mai avuto segretarie. Se tu non fossi così vecchio echiuso nei tuoi schemi, avresti capito che sei in presenza diuna dirigente giovane e molto in gamba”.

“Una dirigente muta è la prima volta che mi capita diincontrarla, evidentemente non ha molto da dire. E poi,parli tu di vecchiaia? Non credi che sia un po’ buffo?”

“No davvero. Ci sono due forme di vecchiaia: la primaè una condizione dello spirito e del cervello: tu l’hai avutafin da giovane, comunque da quando io mi ricordi. La tuamente è rivolta indietro, priva di curiosità per il nuovo,priva di freschezza. Naturalmente c’è la seconda, quellaanagrafica e del corpo. E quella ce l’ho io, ma solo adesso”.

“La tua giovane vecchiaia ti consente di andare in girocon una muta che si veste come una ragazzina all’universi-tà in un giorno senza esami?”

“Le giovani vestono come capita, non hanno bisognodei simboli dell’eleganza per affermarsi, non hanno biso-gno di diventare la strana copia di un maschio. D’altrondetu hai giacca e cravatta ma non sarai mai elegante: sembrisempre un parvenu, uno che non ha mai vissuto bene in vitasua, finora”.

È il momento. Luisa interviene con voce ironica e tran-quilla: “Non preoccupatevi, fate come se non ci fossi. Ma,tanto per chiarire, io mi vesto come voglio, vivo comevoglio, parlo come e quando voglio. Se a qualcuno non stabene peggio per lui. In un partito come il nostro dovrebbecontare quello che dico e faccio, non quello che sembro.Per sopravvivere in un partito dominato dai maschi ledonne si vestivano con gran rigore o con le trine, e faceva-no l’angelo del ciclostile. Ma il ciclostile non esiste più e

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quelle donne per fortuna neanche. Peraltro, neanche quelpartito. Fatevene una ragione. Quanto a te sindaco, pensa-vo ci ringraziassi di essere venuti fin qui per appoggiarticon un grande sforzo organizzativo. Per farti uscire dal-l’imbuto in cui ti sei cacciato con scelte antidemocratiche erazziste. Riferiremo al segretario come siamo stati trattati”.

Il sindaco si fa sfuggire un sorriso acido e una battuta avoce troppo alta.

“Stai pur comoda: gli riferirò prima io. E mi raccoman-derò che quando parla di te sia preciso. A me ha solo dettoche nonostante le tette a posto e i capelli biondi sei unagrandissima rompicoglioni, non che sei anche arrogante ecagacazzi”.

Luisa aspetta che la sgradevolezza delle parole si depo-siti nelle orecchie e nei cervelli dei presenti, poi rispondegelida, senza muovere neanche un sopracciglio. “Questaconversazione per fortuna ha dei testimoni, perciò non fini-rà qui. È stata molto interessante e istruttiva per me, e credonon solo per me”.

Si gira verso il segretario e la responsabile femminileprovinciale, una compagna sui quarant’anni, che è diventa-ta tutta rossa. Chiamata in causa dalle ultime battute, scuo-te il capo in segno di grande disapprovazione, e dice contono duro e deciso: “Sindaco, devi scusarti con la compa-gna Alunni per quello che hai appena detto, e con noi tuttiper come lo hai detto. Se questo genere di discorsi uscisseda queste mura, tutte le donne della città... E qui di elettri-ci ce ne sono tante”.

Pieri capisce che ha perso il round, afferra il telefoninoche non ha squillato, come se l’avesse tenuto in tasca colsilenziatore, e fa finta di rispondere, facendo segno che

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chiarirà tutto dopo ma ora deve andare per un’urgenza, e siallontana. I presenti sospirano dal gran sollievo. La riunio-ne continua, con tutt’altro spirito. Le tensioni sono andatevia con lui: ora si può discutere di cose concrete.

Come tutti gli altri faccio finta di ignorare l’accaduto, mireputo soddisfatta di aver segnato un punto pesante.Corradi mi guarda molto divertito, lui mi ha dato un assist,ma io sono andata a goal. Ho fatto perdere le staffe a Pierimantenendo una calma olimpica. Ora sta a entrambi nonperdere il vantaggio, anzi accumularne dell’altro.

Il politically correct che normalmente detesto, cometutto ciò che diventa conformismo, per una volta ha gioca-to a mio favore.

Ora finalmente si parla di cose pratiche legate all’orga-nizzazione. Che la manifestazione si faccia non è più indiscussione, perciò otteniamo un ufficio, un telefono e duecomputer, e un compagno come referente locale. Il lavoropuò cominciare subito.

Le persone le valuti in questi casi. Qualcuno butta lì chenon è mai stato d’accordo con l’Adelmo; qualcun altroinvita all’indulgenza: lui pensa di agire per il bene dellacollettività; c’è chi invoca il suo cattivo carattere; chi miincoraggia “hai fatto bene a cantargliele”. I più lo rinnega-no, come se Corradi e io fossimo il loro comitato di libera-zione. Ascolto e non commento, lasciando che sia il capo agestire delle relazioni potenzialmente pericolose. Quandofinalmente la processione nell’ufficetto che ci è stato asse-gnato è terminata, Corradi si allontana e io inizio a lavora-re di telefono.

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Sento Lorenzo per primo. Ho trovato sul telefoninodieci sue chiamate, e una l’ha lasciata anche al centralino,deve esserci qualcosa di molto urgente se mi chiama a raf-fica. Ma in questo momento è lui che non può parlare.Richiamerà.

Tocca a Marco. Che gioia sentirlo.“Cara, come mi manchi. Ho fatto quello che mi hai chie-

sto, tutto ok, ma non so con chi andare a mangiare il pani-no. Sono disperato. In compenso sono stato nella stanza delsegretario abbastanza a lungo da ascoltare la telefonata deltuo amico sindaco. Mentre Pieri parlava il segretario un po’rideva e un po’ si incazzava. Non aveva ancora letto il gior-nale e ha iniziato a sfogliarlo mentre l’altro sbraitava altelefono. A proposito, non ho capito bene, ma pare che tu loabbia insultato?”

“Al contrario, è lui che ha insultato me, e con una vol-garità inusuale”.

“In ogni modo Eugenio alla fine della telefonata erascocciato dalla lagna e ha commentato: è la mano diAlfonso. Un fuoriclasse. Ho capito che i rapporti di forzasono cambiati. Ha chiamato Lorenzo a rapporto e s’è sfo-gato con lui, che non gli ha portato tue notizie, anzi nonsapeva ancora nulla da te. Il poveretto c’è rimasto malissi-mo che il segretario gli chiedesse di fare la spia. Sembraquasi che sia leale. Ciao cara, ti saluto, tu hai da fare, io unpo’ di meno, ma ho i miei impegni. Stammi bene e pensa-mi. Il tuo bel giornalista come sta?”

“Che ne so io, starà benone. In tutto questo sproloquionon hai chiesto a me come sto”.

“Non ho bisogno di sentirtelo dire, e neanche di vedertiper sapere che stai benissimo. Bye bye”.

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Entra Luigi Cornero, con la solita aria complice e familiare.Si siede e accavalla le gambe come uno che si mette como-do perché ha intenzione di restare a lungo. Penso addio, si èpiazzato qui e non me lo levo più di torno. Ma non riesco aessere scostante, dopo quello che mi ha raccontato dei mieigenitori. Lui inizia con il solito tono petulante: “L’Adelmonon è sempre stato così. Anzi era un giovane molto brillantee perbene. Il potere l’ha cambiato. Però nell’ultima campa-gna elettorale era molto convincente. Diceva: Prato è la cittàdella convivenza, ha una tradizione secolare di ospitalità.Noi non faremo mai come il sindaco di Treviso che leva lepanchine dai giardini pubblici per non far sedere gli extraco-munitari. In quel momento perfino gli imprenditori eranotutti con lui, perché avevano bisogno di manodopera stranie-ra a buon mercato. Poi sono cominciati i guai: una serie dirapine in villa. Qui moltissimi hanno un passato recente dioperai, sono imprenditori di prima generazione, vivono spes-so in case nate quasi abusivamente su un pezzetto di terreno,e diventate ville a mano a mano che la loro azienda crescevae il reddito pure. La paura di perdere tutto e tornare indietroera forte. È lì che Pieri si è inventato, col tacito accordo delquestore, che gli autori delle rapine dovevano essere per lamaggior parte extracomunitari. Ha martellato questo concet-to alle tv locali venti volte al giorno per molti giorni fino aquando è sembrato a tutti che fosse la verità”.

“Perché l’ha fatto, è ignobile”.“In un certo senso creare un nemico da odiare aiuta a

mantenere l’ordine e il consenso. Poi la cosa gli è sfuggitadi mano”.

“Ma quei poveretti, figuriamoci le rappresaglie contro diloro”.

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“Infatti pochi extracomunitari sono riusciti a mantenereil posto di lavoro regolare in fabbrica. Anche perché nelfrattempo, con l’euro forte prima e la crisi poi, moltissimedi queste aziende che esportavano grazie alla moneta debo-le hanno ridotto la produzione e la manodopera. Ma ormaiquesti uomini erano qui e non avevano neanche i soldi pertornare indietro. Stavano per strada gran parte del giorno,davanti ai bar, in cerca di lavoro e qualche volta di elemo-sina. La città ha cambiato atteggiamento verso di loro. Èsubentrata la diffidenza. A volte la paura. Lui aveva creatoil mostro e ha dovuto cavalcarlo. Altrimenti ne sarebbestato sopraffatto”.

“Si è trovato prigioniero della sua menzogna e ha inven-tato il muro per perfezionarla”.

“Esatto, e ora arrivi tu a scombinargli i giochi. Ma devistare molto attenta: è un intrigante legato ai potenti. Diconoche sia uno di quelli col grembiulino, affiliato alla masso-neria, a una delle logge occulte”.

“Ancora ce ne sono?”“Ti stupiresti se ti dicessi quante. Un altro affiliato è

Giulio. Non ha le stesse capacità, però ha buone orecchie esa riportare le notizie utili ai fratelli. Hanno eccitato la pan-cia della città, ora devono rassicurarla”.

Ho uno scatto: “Rassicurare chi? Un reazionario trave-stito da compagno che tratta le donne come me stamattina?Uno che fa una politica di destra e si stupisce che la sinistranon sia d’accordo? Uno che ti dice a Prato il partito sonoio, come se fosse il Re Sole in Francia?”

Cornero sorride e risponde con cautela ma con chiarez-za: “Purtroppo la politica si fa con le persone, le idee dasole non bastano. Noi abbiamo ciò che hai visto stamattina,

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un misto di potere e conformismo, un coagulo di interessiai quali di sinistra è rimasto solo il nome. E un mucchio dipecoroni che non si scoprono mai. Che parlano tutti allastessa maniera, perfino con l’identica espressione del viso.Ciascuno lascia fare l’altro, a patto di essere lasciato inpace, con i propri interessi. Perciò attenzione, prendendolidi petto non arrivi da nessuna parte. Frena la tua irruenza,quella spaventa i benpensanti dei quali ormai è piena lacittà. E anche il partito. D’altronde oggi nessuno più inSinistra Unita è povero, tutti hanno o rappresentano degliinteressi precisi. Non puoi arrivare tu e cambiare le carte intavola all’improvviso. Se vuoi che la manifestazione riesca,rassicurali. La giacobina che arriva da Roma non ha chan-ce. Pensa anche ad Alfonso: non può permetterselo. Unatua sconfitta ora è una sua sconfitta. Quando si fa politicasi hanno doveri verso se stessi e verso gli alleati, verso glielettori e gli iscritti. Sono vecchio, ne ho visti tanti andarecontro un muro a cento all’ora e schiantarsi. Per ora ciao,se hai bisogno chiama”.

L’ultima cosa che farei è chiamarlo: ora ha aggiunto allapetulanza il predicozzo.

Luisa

Il lavoro è continuamente interrotto da persone che voglionoconoscere la donna che ha tenuto testa al sindaco. Sono unfenomeno da baraccone. Questi sono i compagni che ammi-nistrano la città da quarant’anni? Vorrei parlarne con Corradi,che però è sparito e per tutta la mattina non s’è visto, impe-gnato in chissacché. Richiamo Lorenzo, il verme dovevaavere un buon motivo per telefonare tante volte.

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“Ehi boss, ho un mucchio di succosi pettegolezzi per te.Uno in particolare ti farà leccare i baffi”.

“Dai spara”, rispondo mettendo a tacere il dubbio: mi stachiamando per conto del segretario o in proprio? “Se ci rie-sci mettimi di buonumore, dimmi che tutti quelli che haicontattato accettano e che il segretario è rimasto l’unico ascommettere sul nostro insuccesso. Oggi è stata dura...”, egli racconto in breve l’accaduto.

“Macché, ti dico di meglio. Molto meglio. Pieri era fuoridi sé per il pezzo sul Corriere del Mattino e ha vomitatoaddosso al segretario la sua rabbia. Eugenio non l’avevaancora letto – l’autista mi ha detto che non veniva da casasua, aveva fatto visita alla signora di qualcun altro – maappena ha visto il giornale ha urlato a Giuseppina: chiama-mi subito questa Proietti. La ricerca è durata un po’, perchélei è lì a Prato. Nel frattempo lui leggeva e rileggeva l’arti-colo. Di botto è scoppiato a ridere da solo. Quando final-mente l’ha trovata sembrava un altro uomo, tutto compli-menti e giuggiole. Sei la più brava, e come sei riuscita a farparlare quella vecchia roccia di Alfonso, e via così. Lei ciha creduto. E lui è felice: pensa di aver trovato finalmentela giornalista che gli farà da megafono. E ora è anche con-vinto che la manifestazione riuscirà. Figurati che ha decisodi esserci e ha dato appuntamento alla Proietti proprio lì aPrato nel giorno della catena umana. Si vedranno per uncaffè, e lui le ha detto: mi darai qualche consiglio, non socomportarmi al meglio con i media, e non ho ancora unportavoce”.

“Che stronzo. Di lei che mi dici?”“Che la troveremo presto a condurre qualche importan-

te talk show sulla tv pubblica. Sei fiera di me?”

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“Abbastanza. E tu quando arriverai?”“Non ho l’autorizzazione a muovermi, il segretario ha

detto che qualcuno deve presidiare l’ufficio. Ma sono conte. Testa, cuore e tutto il resto, se mi capisci”.

“Che vuoi dire?”“Che quando torni dobbiamo riprendere un certo discor-

so. Te lo ricordi, no?”“Non ne sono sicura”.“Non ne abbiamo molti in sospeso, ma non vorrei ricor-

dartelo al telefono, chissà quanta gente ascolta”.“Non credo di volerlo riprendere”.“Non mi tradisci con Mustacchi vero?”“Quand’è che ti ho giurato eterno amore?”“Mettila così: è il prezzo della mia nuova lealtà verso di te”.“Mi pareva strano che tu fossi cambiato”.“Sono cambiato e te lo dimostrerò, ma devi darmene la

possibilità. Promettilo”.“Non prometto proprio nulla e la lealtà non ha prezzo.

Ciao”.“Ciao, e grazie”.Qualcosa è cambiato nell’atteggiamento del verme: ha

un tono diverso. Forse dovrei chiedere a Marco di sorve-gliarlo e poi darmi un parere. Non so perché, la nuova liai-son fra Anna Laura e il segretario al tempo stesso mi diver-te e mi agita. Per spezzare la tensione farò un sopralluogoin via Soriano. Con chi? La persona giusta sarebbe Alì, manon posso distoglierlo da quello che sta facendo.

Alla fine il male minore è proprio Cornero. Lo chiamo egli chiedo di accompagnarmi. Lui non se lo fa ripetere duevolte. Va a prendere la macchina e m’aspetta sotto, mentrelascio un biglietto a Corradi: ci vediamo stasera in albergo.

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Giovanni non si è fatto sentire per tutto il giorno. Sarà rima-sto male: rapinato, sedotto e abbandonato nella stessa serata.Una serata da incubo e tutto per colpa mia. Lo chiameròappena torno da via Soriano. Ora non ho tempo per le fac-cende private: Cornero, mio attuale compagno di ventura, miriempie la testa di chiacchiere miste a informazioni preziose.Apro il finestrino e l’aria fresca mi fa bene, mi consente dipensare, anche mentre lui parla, come se fosse una colonnasonora. Arriviamo al caseggiato circondato, un poliziotto ciferma: conosce bene Cornero, ma a me chiede i documenti,ascolta le mie motivazioni, mi sconsiglia vivamente di entra-re. Mi oppongo: non posso arrivare al giorno della manife-stazione senza sapere almeno com’è la situazione, se ci sonospazi e quali spazi, vie di fuga in caso di pericolo. E da dovepuò venire il pericolo. Il poliziotto è stizzito, ha perso anchetroppo tempo con me: “Se non accetta consigli poi non chie-da aiuto ed eviti di mettersi nei guai”. Ma io non ho addossoniente che possa attrarre guai o risultare provocatorio, névestiti né accessori. Dopo il furto ho ricomprato l’orologio alnegozio che vende tutto a dieci euro: metterò sempre quellonelle zone di guerra. Soldi in tasca, nulla. Cornero dopo loscambio di battute è perplesso, poi per strategia o forse perstanchezza mi dice: “Vai sola, è meglio”.

Così faccio. Entro quasi inosservata, mi giro un po’intorno e inizio a parlare con delle donne che stanno facen-do pulizia davanti l’uscio di casa. I loro appartamenti sem-brano i vecchi bassi napoletani, a livello stradale, unacamera con dentro tutto, bagno compreso, se così si puòchiamare. L’unico segno di benessere è l’apparecchio tele-visivo, grande e con collegamento satellitare. Scheda crac-cata, sicuramente.

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All’inizio hanno un atteggiamento diffidente o ostile,non vogliono parlare, pensano che sia una poliziotta in bor-ghese, un’assistente sociale del Comune. Poi, di fronte allamia insistenza, si sciolgono. Anzi, fanno quasi a gara a rac-contare, come chi ha finalmente modo di dare sfogo a qual-cosa che lo tormenta da tempo.

“Viviamo in stato d’assedio, in una tenaglia: di qua lamalavita, di là la polizia”.

Una in particolare si esprime con forza straordinaria econ la voce piena di rabbia trattenuta. “Le suore non hannopreso all’asilo mio figlio perché abito di qua dal muro,sarebbe una compagnia non raccomandabile per i figli dibuona famiglia. Loro, così caritatevoli a parole, hanno pietàsolo di se stesse, nel caso in cui venissero a mancare le retteche pagano i ricchi. Per il comunale è troppo tardi, le listesono già chiuse. Non posso affidare il bambino a nessuno eperciò ho perso il lavoro, mi arrangio con quattro soldi cheguadagna mio marito e faccio le pulizie qui intorno mentremio figlio dorme”.

Si chiama Catarina e accetta di presentarmi ad altredonne là dentro, donne come lei che non ne possono più. Èmolto popolare, qualcuno ci ferma. Ora tutti vogliono par-lare. Alcuni in quel modo particolare che hanno gli stranie-ri che si sforzano di usare la lingua del paese che li ospita,piena di accenti sbagliati, di sintassi e grammatica appros-simative, e di voglia di essere considerati e capiti. Altrifanno stupore e simpatia insieme: hanno i caratteri fisici delsud del mondo, ma parlano in un toscano estremo, quasiche il dialetto li legittimi.

Alina si avvicina con la bimba in braccio, ha un’aria tri-ste ma determinata.

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“Dovete aiutarci”, dice. “Non vogliamo stare chiusi quicome delinquenti. Fatichiamo come bestie per dare ai nostrifigli la speranza, e voi gliela levate”.

Incoraggiati dal mio sorriso altri si avvicinano. Ancheloro raccontano di speranze tradite. Vorrebbero parlare conqualcuno che conta, ma nessuno li riceve e li ascolta.

“Luisa, ti chiami Luisa, ho sentito che lo dicevi ad Alina.Senti, sono Fatwa, devi aiutarci. Siamo in balia della poli-zia che ci controlla uno per uno ogni giorno, ogni volta cheusciamo di casa o che rientriamo. Sono crudeli con noi. Ierila bimba aveva mal di pancia e io ero in ritardo per portar-la all’asilo. L’ho detto al capo: se mi licenziano che farò? Elui mi ha risposto ridendo, quello che fate tutte: le puttane.Davanti a mia figlia, capisci. Io mi sono messa a piangeree lui rideva più forte. Era contento e mi ha detto: così impa-rate a stare al vostro paese. Allora gli ho risposto: chi puli-rà il sedere dei vostri vecchi, se noi resteremo a casanostra? Lui si è arrabbiato e si è tenuto il mio passaporto,così ho perso la giornata di lavoro e per fortuna il padroneha troppo bisogno e non mi ha licenziato. Ma questa setti-mana avrò guadagnato di meno, e già con lo stipendio inte-ro non ce la facciamo”.

Non so che rispondere, le dico soltanto scrivimi qui iltuo telefono e il tuo nome. Se riesco a procurarvi un appun-tamento col sindaco o col prefetto ti telefono.

Arriva Omar e racconta anche lui: “Torniamo sfatti dallavoro e vorremmo solo sbrigarci, mangiare un boccone,gettarci sul letto. Nove ore sul cantiere portando su e giùsecchi strapieni, sacchi di cemento, le ossa doloranti e imuscoli che non me li sento più. E la tensione che se arri-vano i vigili dobbiamo sparire: siamo senza caschi, guanti,

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assicurazioni. Le guardie ci osservano sprezzanti e ci ten-gono in piedi a lungo, chiedono passaporti e permessi.Eppure ci vedono tutti i giorni e ci conoscono. Lo fannoapposta. Invece non sanno chi sono gli spacciatori, i delin-quenti: strano, eh?”

“Provate ad aiutarli, date loro i nomi dei colpevoli”.“L’abbiamo fatto, ma ci chiedono di testimoniare e a noi

poi chi ci difende? Se vogliono incastrarli lo facciano loro,che sono pagati per questo e hanno il potere”.

Da tutto ciò che raccontano è evidente che il muro è undanno, perché protegge chi spaccia, lo ripara. Ed è una mor-tificazione e una perdita di tempo per le persone perbene.

Parlo loro della manifestazione, mi guardano incredulee poi divertite. Vale la pena essere venuta fin qui per vede-re questa luce. Che chiamerei speranza.

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La gara è fra il coyote e una stellaa chi sa e vuol raccontare

il gruppo più fantastico di storieche si possa ricordare...

(Roversi/Dalla)

Anna Laura e Giovanni

In taxi, per andare insieme all’appuntamento con la dotto-ressa Poli, Giovanni è infastidito dalla sua presenza e lastuzzica.

“Merito del mio nome che apre tutte le porte oppureottenere l’intervista non era mission impossible come dice-vi tu?”

“Mangi nel mio piatto e sei anche ingrato”, il tono diAnna Laura non è così ironico come lei vorrebbe. “ConLorena siamo tanto amiche. Se le chiedo una cosa la rispo-sta è sì. Spero solo che tu non mi faccia fare una brutta figu-ra: niente domande troppo personali, lei tiene molto allasua privacy, e controllati quando scrivi. Qui non siamo difronte a una da quattro soldi come la Alunni. Sto per pre-sentarti una gran donna”.

XX

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In effetti deve essere un bel tipo, Giovanni ha in mano iritagli di archivio che ha trovato su di lei: a quanto pare laparlamentare di destra, vicepresidente del Gruppo Poli&co., èuna donna volitiva, caparbia, esuberante, che non si arren-de di fronte a nessun ostacolo. Le foto sono scure e nonlasciano supporre il suo reale aspetto. Ritagli di magazinecon bei servizi posati non ne ha trovati.

Sarà una terribile stronza, pensa, ma si guarda bene daldirlo, non ha voglia di sostenere una discussione con la col-lega. D’altronde per essere una sua amica non può cheessere tale: stronza e atteggiata, pensa mentre falso comeGiuda le sorride.

Dopo dieci minuti non sopporta più la voce, il tono petu-lante e il mucchio di sciocchezze di cui si riempie la bocca.Non solo si sente bellissima e in grado di parlar male ditutte le altre donne, ma anche un premio Pulitzer e quindiin grado di parlar male di qualunque collega, maschio ofemmina indifferentemente. Un vero strazio.

Arrivano alla grande villa, una costruzione recente dallelinee classiche, circondata da un enorme giardino curatissi-mo, con alberi ad alto fusto e bordure di fiori. Niente gio-chi d’acqua, fontane con putti, nanetti da giardino o altreaccozzaglie da nuovi ricchi: tutto è curato, elegante, sem-plice. In una radura laterale rispetto alla casa, una collezio-ne di bronzi di grandezza notevole: autori moderni. Glisembra di riconoscere uno Spoerri e un Moore, ha gusto enon è eccessiva come la sua amica: un punto a suo favore.Anna Laura è ancora al suo fianco e non fa che parlare perdimostrare la sua grande familiarità col luogo e la proprie-taria: qui organizza i déjeuner sur l’herbe, qui lo scorso

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anno ha fatto una gran festa per i clienti stranieri. Tuttieventi che a sentire lei l’avevano vista partecipe e anzi pro-tagonista.

Sono al portone. Bussano. Neanche il tempo di scostareil dito dal campanello ed ecco lei, che apre la porta perso-nalmente e si staglia nella cornice dell’androne come in unquadro a dimensione naturale. Come una delle sue statue dibronzo.

“Benvenuti”.La figura magnetica, gli occhi penetranti e acuti, l’ele-

ganza. Giovanni resta un attimo immobile a guardarla com-piaciuto: tailleur impeccabile, scarpe Chanel con quel tantodi tacco che slancia la caviglia. Capelli in perfetto ordine,ma con il taglio sbarazzino che si addice a una donna pra-tica. Neanche un dettaglio sbagliato, un eccesso, una ridon-danza.

Si siedono. Pochi convenevoli: Lorena Poli è una donnadiretta, e Giovanni comincia a capire perché sia stata accol-ta con tanto entusiasmo dalla destra politica. È un’impren-ditrice, una donna di gran fascino, utile a qualsiasi causa. Èassai ben disposto quando le rivolge la prima domanda.

“Perché una donna come lei ha scelto di fare politica?”“Come me cioè ricca come me, viziata come me, bella

come me? Non so cosa voglia dire, ma lo prendo come uncomplimento”.

“Un giornalista fa domande, non complimenti. Dunquescelga lei l’interpretazione che preferisce”.

“Anche un giornalista è un uomo”, sorride guardando-lo fisso e lasciando la voce sospesa qualche attimo.Proprio l’opposto di quello che aveva detto Luisa, notacompiaciuto.

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Tutto è particolare in lei, anche la voce, che usa comeuno strumento musicale modulandola nei toni dal cordialeallo scherzoso al serio, cambiando registro e sfumatura inpochi secondi.

“Le cose non sono sempre state come lei le vede adesso.Ero la prima figlia femmina di una famiglia di imprendito-ri. I miei fratelli più piccoli sono maschi. Mio padre pensa-va a loro come eredi dell’azienda, li preparava per questo,se li teneva vicino e li metteva al corrente delle mille pic-cole regole non scritte che servono per dirigere tante perso-ne. Io non rientravo nei suoi piani”.

Gli occhi di Lorena lampeggiano mentre ricorda l’ingiu-stizia subita, è chiaro che se la sente ancora sulla pelle.Giovanni pensa che non vorrebbe averla come nemica, unadonna così.

“I miei fratelli vivevano tranquillamente e non mostra-vano particolari ambizioni o curiosità, forse perché miopadre preveniva qualunque loro desiderio. Io invece scalpi-tavo per entrare ma restavo sempre nelle retrovie costrettaa una gavetta infinita, schiacciata verso il basso dai vecchidirigenti. Ogni volta che prendevo un’iniziativa, se era unacosa buona il babbo me la sfilava e la dava al suo bracciodestro Biagioli, dicendogli riservatamente ma non troppo:la ragazza ha pensato bene, però fallo tu, se no lei rovinatutto. Se invece secondo lui era un errore, allora era tutto unchiacchierare e perfino l’usciere doveva sapere che quellatesta matta della Lorena ne aveva fatta un’altra delle sue.Mi mortificava in ogni modo. Mi ripeteva: Nini, trovati unmarito e levati dall’azienda. Qui non c’è posto per te. Solola mamma gli diceva sempre: non prenderla di petto quellaragazza, se no otterrai il contrario, cocciuta com’è. Era una

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guerra di logoramento, una di quelle dove vince chi ha piùtempo e i nervi più saldi. Di tempo ne avevo più io, macominciavo a pensare che sui nervi avrei perso.

“Poi un giorno, quasi per caso, a una di quelle insop-portabili cene che i miei organizzavano per pubblicherelazioni, mi annoiavo come al solito e ho mollato ilfreno. Eravamo alla vigilia delle elezioni e gli ospiti neparlavano mondanamente, fra il pettegolo e lo snob. Misono lasciata andare a un discorso politico molto accora-to. Ho detto che soffrivo per l’impotenza della mia gene-razione e pensavo che in quella specie di palude un’altravotazione non avrebbe cambiato nulla, se non aumentarei delusi. Loro che avevano tutto, conclusi, non avevano ildiritto di essere tanto cinici”. Lorena sorride al ricordo:“È stato il mio primo inconsapevole comizio, e per essereil primo non era tanto male. Il mio interlocutore ha appro-fittato di una pausa nella mia foga – parlavo così per iltimore di essere interrotta – per chiedermi se volevo can-didarmi con il Partito del Popolo, del quale era dirigente.Gli ho risposto: ma io non ho esperienza, e lui di riman-do: forse non ha il coraggio di ripetere in pubblico quelloche ha detto appena ora? Ero serissima nel rispondergli:se ho il coraggio di parlare davanti a mio padre nessunaltro può farmi paura. Era seguita una risata generale.Credevo fosse stato uno scambio di battute senza seguito.Nei giorni seguenti mi ha richiamato più volte, sempreinsistendo.

“Infine ho accettato. Ho scelto la politica per allontanar-mi da mio padre e dalla sua azienda. Mi sono arresa, da uncerto punto di vista. Ma con onore. La politica mi ha datoautonomia e mi ha insegnato come battermi per ottenere

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ciò che voglio e come mantenere il consenso. Mi sentivolibera e realizzata, per la prima volta”.

“E suo padre?”“Cocciuto e despota, come sempre. Che facessi politica

per lui era peggio ancora di voler fare l’imprenditrice.Quando ho lasciato l’azienda era convinto che mi aspettas-se un destino da gregaria. Che sarei tornata con la linguaper terra a chiedergli un lavoretto per impiegare le giorna-te fra un parrucchiere e un tè con le amiche. Quando miincontrava per il pranzo domenicale o qualche altra occa-sione familiare, mi scrutava con un sorrisetto ironico. Nonsapeva che nei momenti di difficoltà quel suo sorrisettoinsopportabile mi ha dato la carica e la forza di uscire anchedal fuoco: non gliela potevo dare vinta. Le cose sono anda-te avanti così per oltre un anno. Lui non chiedeva. Io nonraccontavo.

“Poi la svolta. Un giorno un suo amico imprenditore, unrotariano come lui, uno della giunta dell’Unione Industrialidi qui, gli ha chiesto come gran favore un appuntamentocon me per espormi i problemi del settore. Gli c’è voluto unbel po’ a digerire che un suo pari chiedesse aiuto a lui perarrivare a me, e per giorni non me ne ha parlato. Ma nonpoteva sottrarsi a lungo. Da quel momento ha iniziato avedermi, a capire che facevo sul serio, che ero impegnatain dossier decisivi, a sostenere le mie tesi in pubblico. E hacapito che ero pronta per le responsabilità”.

“Come è avvenuto il ritorno in azienda, e come riesce atenere insieme azienda e politica?”

“Invecchiando mio padre ha iniziato a mollare un po’ lapresa: qualche acciacco, meno voglia di battersi e di sbat-tersi. Dei miei fratelli il primo non era affatto interessato. Il

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secondo era ancora troppo giovane, ma comunque studiavamedicina. Perciò aveva bisogno di me, per quella che erodiventata, politica compresa.

“È iniziata una convivenza difficile ma finalmente rispet-tosa. Per lui l’imprenditore non deve schierarsi, deve starecon chi è al governo per tentare di condizionarlo. Megliopagare la politica, se necessario, che compromettersi conl’uno o l’altro. Io gli ho spiegato che con lo spoil system e lapratica delle alternanze, a tutti prima o poi viene chiesto dache parte stanno. Io ho un altro carattere, schierarmi mi vienenaturale, ed eccomi qui: devo molto al partito, che ormai asua volta non può prescindere da me. Lui rappresenta un’al-tra epoca, ma ora mi lascia fare. Sono diventata vicepresi-dente del Gruppo Poli, tubi e affini. Lavoriamo soprattuttosul mercato internazionale. E per quello la politica apremolte porte, assai più di quante si pensi”.

“Una visione molto strumentale della politica”.“No, affatto. Semmai realistica. Io lavoro per il mio

gruppo, per il mio partito e per il mio paese. Gli interessiper ora coincidono. Il giorno che dovessero essere in con-flitto mi porrei il problema. Se esporto i miei prodotti, il pilnazionale cresce insieme al mio fatturato. Se tratto con leistituzioni straniere, il mio partito e il mio paese ottengonosuccessi e credibilità internazionale, mentre io costruiscorelazioni che al momento giusto sono fondamentali. Con laglobalizzazione, lei non penserà che si possa fare politica inun piccolo paese come il nostro senza rapporti più ampi”.

“È una visione affascinante, qualcuno potrebbe definir-la spregiudicata”.

“Perché io dico chiaro quello che altri fanno nell’ambi-guità. Come crede che ci si aggiudichino grandi commesse,

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grandi forniture, concessioni di gas o petrolio e clientiimportanti per le aziende pubbliche? Trattando con i mini-stri o fra ministri, solo dopo arrivano i manager. E perché ipartiti appena al governo fanno di tutto per cambiare imanager pubblici? Quelli di prima erano incapaci o sempli-cemente rispondevano ad altri politici? In tutti i sensi,intendo”.

“Non vada oltre nella sua chiarezza, se no ci becchiamouna querela. Lei per quello che ha detto, io per averlo ripor-tato, e il giornale per averlo pubblicato. Permette un’ultimadomanda di tipo personale, anche se Anna Laura mi ha dif-fidato?”

“Certamente”, risponde subito lei e guardando la giorna-lista aggiunge: “Sai che a un uomo affascinante non negomai nulla”.

“Suo marito. Non gli dà fastidio il ruolo di principe con-sorte”.

Lorena ride: “Alberto e io ci amiamo da quando erava-mo ragazzi. E lui conosceva fin da allora le mie ambizioni.È un grande avvocato d’affari. La sua carriera è diversa, manon ha niente da invidiare alla mia. No, non ha complessinei miei confronti, d’altra parte non staremmo insieme datanti anni”.

Si salutano più cordialmente che all’inizio.

Giovanni

Lorena, le sue parole, i suo sguardi, il suo fascino, la suaintelligenza. Il suo mondo a colori sgargianti, liscio etondo, elegante come la luna piena. Lorena e Luisa. Destrae sinistra. Agli antipodi in tutto. Luisa è solare, tormentata,

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determinata e di grande umanità. Lorena, altrettanto deter-minata ma regale, lineare, apparentemente senza dubbi.Luisa è un’ingenua idealista? O è cinica la Poli? No,Lorena non è cinica. E Luisa non è ingenua, ma ha una fre-schezza che l’altra non ha più. Non fisicamente, s’intende,dal momento che la Poli è ancora molto bella. Talmentebella... Me le sento tutte e due attaccate addosso, due forzecontrastanti, strane e pesanti.

Scrivere mi aiuterà a mettere ordine nelle sensazioni.Già sento il ritratto prendere forma. Già sento come unaspecie di vuoto languido al pensiero che, conclusa l’inter-vista, domani lascerò Prato per la redazione romana.Dunque questa è la mia ultima sera in città, e la passerò conLuisa.

Cerco il telefono per chiamarla, nella tasca dove lometto abitualmente non lo trovo. Palpo la tasca interna, edeccolo.

È irraggiungibile. Mi prende un’ansia del tutto spropor-zionata al fatto di non poterle parlare: sarà in riunione, pre-sto riaccenderà il telefono e mi richiamerà. Chissà se l’av-ventura di ieri le ha lasciato il segno. Se ricorda la promes-sa di cenare con me. In questo momento vorrei sentire ilprofumo dei suoi capelli, il leggero tremore delle sue mani,parlarle della Poli, sentire il suo commento. Vedere quellampo di indignazione che attraversa il suo sguardo all’im-provviso.

Suona il telefono, ma non è lei.“Dove sei col cervello?”, urla rabbiosa Anna Laura.

“Prima tu e la Poli mi avete totalmente tagliato fuori, poisei uscito come se fossi solo, lasciandomi due metri dietro

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a te e mentre la salutavo sei salito sul taxi e mi hai mollato lìsenza neanche rendertene conto. Che figura mi hai fatto faredavanti alla mia amica? Ti avverto che me la pagherai”.

“Torno subito indietro, scusami, ho la testa piena di pre-occupazioni. Aspettami, in pochi minuti sarò lì”.

Imboccato nuovamente il grande viale d’accesso allavilla, ecco Anna Laura. La guardo con aria di scusa: è a unadecina di passi che arranca sui tacchi altissimi per raggiun-germi. Trovo la situazione comica ma spero che la mia ariacontrita lo nasconda.

“Per scusarmi ti offro un aperitivo e poi corriamo inalbergo a fare una doccia”.

“Insieme?”, chiede lei, recuperando il sorriso.“Sei pazza? Mai con una compagna di banco”.“Preferisci qualunque altra a me”.“Preferisco evitare le complicazioni che ci sono sempre

quando si lavora insieme. Non posso permettermelo, ètroppo recente la mia assunzione. E troppo recente lo scaz-zo col direttore. Passi falsi proprio ora, no”.

“E un girettino con la Poli te lo faresti?”“Che domande, è una gran bella donna e molto interes-

sante, ma sto scrivendo di lei, è impossibile”.“E con la bella Luisa?”“Idem”, dico laconico per non lasciarle la possibilità di

proseguire.“Allora sto tranquilla, a me basta cambiare giornale per

averti, per loro sarebbe più difficile, dovrebbero cambiarevita”.

Lo ha detto con assoluta serietà. Capisco l’intensitàdelle sue intenzioni. Vorrei dirle qualcosa di scoraggiante,ma non ho il tempo. Chiamano dalla redazione.

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È il caporedattore: “Va’ in albergo, scrivi il ritratto emandamelo subito. Devi restare a Prato, e non voglio obie-zioni. Sento dire che lì si prepara un gran casino. Compratiun paio di mutande e di calzini di ricambio che te li rimbor-siamo, e da’ una mano ad Anna Laura: non può affrontareda sola la cronaca di una manifestazione così dirompente,restate tutti e due. Lei si occuperà della politica, da tevoglio un bel pezzo di colore sulla catena umana femmini-le. D’altronde di donne te ne intendi, e vederle da vicinonon ti dispiace”, conclude acido e non mi dà il modo di rea-gire che attacca il telefono.

Non avrei protestato comunque. Anzi sono molto solle-vato all’idea di restare, e non vedo l’ora di dirlo a Luisa.

Il pomeriggio passa in fretta fra la scrittura del pezzo euna serie di telefonate.

Anna Laura ha preteso che le ricambiassi il favore met-tendola in contatto con Camillo Cecchi. È un mio ex com-pagno di scuola, un tipo piuttosto ordinario di gentiluomodi provincia che lavora qui alla Camera di Commercio dadue anni. Lei vuole essere accompagnata all’outlet di tova-glie Sartini per sfoggiarle con le amiche dicendo: “Bella,vero, l’ho pagata un nulla grazie alle mie amicizie”. Nonavrei chiamato Cecchi per nulla al mondo, se non per il fan-tastico piacere di liberarmi di lei una mezza giornata. Perevitare di lasciargli il mio numero – mi perseguiterebbe contelefonate insensate, battute da quattro soldi e richieste difavori – passo a numero privato. A meno di delazioni daparte di Anna Laura lui non potrà chiamarmi che al giorna-le, in zona protetta. Soddisfatto penso di aver compiuto unpiccolo capolavoro. Cecchi è felice di accompagnare lacelebre giornalista e lo racconterà all’universo intero. La

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celebre giornalista è felice di essere trattata come una regi-na. E io sono felicissimo di essere finalmente lasciato inpace.

Riprovo il numero di Luisa. Lo faccio diverse volte.Niente. Potrei lasciare un messaggio in segreteria o man-darle un sms, ma preferisco comunicare direttamente, ascanso di equivoci che con lei sono sempre in agguato. Unmessaggio con voce metallica sembra rischioso con unadonna tanto imprevedibile. Meglio che veda il numero suldisplay e mi richiami.

Maledico mille volte Giulio, che ha impedito l’happy enddella serata precedente. E me stesso per non aver preso subi-to l’appuntamento, ora non sarei in queste ambasce, ma alristorante a cenare con lei. Da soli. E dopo cena... Luisa è unadonna complessa, da maneggiare con cura. Non ha niente ache vedere con le donne che ho conosciuto fino a ora. Per unnulla si irrigidisce. Ha bisogno di essere presa per il suoverso, se no ti rifiuta. Io non sono abituato a tante complica-zioni. Sono stupito di me: queste precauzioni sono una novi-tà. Stupito e contento. Maledizione, che fine avrà fatto?

Luisa

Mi sono fatta convincere da Cornero a lasciare borsa e tele-fonino nella sua macchina per andare oltre il muro senzapesi, e libera di tornare indietro velocemente alle brutte. Hotrovato quattro telefonate perse, ma nessuna di Giovanni.Tutte da numero privato, sicuramente Corradi. Sono anco-ra turbata dal ghetto di via Soriano, ho gli occhi pieni ditutta quella sofferenza e voglia di riscossa, e umanità al

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tempo stesso dolente e battagliera. La mia piccola storiaprofessionale e personale sembra secondaria. Lo richiame-rò dopo: non voglio esporre la mia emotività al maestro.Potrebbe scambiarla per fragilità.

Quanto a Mustacchi pagherei per sentirlo, ma non lochiamerò per prima, ho ancora in mente la sua frase sprez-zante sulle donne che si offrono. Forse mi sono illusa: erasemplicemente impietosito dalla mia fragilità dopo l’ag-gressione, era il cavaliere che soccorre la damigella, non unuomo che desidera una donna. Meglio non chiamarlo. Sedavvero vuole cenare con me, si dia da fare.

Adoro il profumo delle fresie. Quando torno dopo tante oredi assenza è come se quei fiori mi dicessero benvenuta acasa. Quel giorno ero passata dal fioraio a comprarle, equello mi chiede: confezione regalo?, e io: no, sono per me.È intervenuto uno sconosciuto, che poi si è presentato comeOnorio: una ragazza così carina non dovrebbe comprarsi ifiori da sola. Mi ha fatto ridere per la frase così stereotipa-ta. Abbiamo iniziato a frequentarci. Quando ci davamoappuntamento arrivava come uno dei fidanzatini di Peynet,sempre con i fiori in mano. Mi circondava di attenzioni. Miimponeva la sua presenza. L’ho accettato per ricostruire unpo’ del mio amor proprio, ritrovare sicurezza con gli uomi-ni. Onorio dal principio mi sembrava un tipo incredibil-mente sensibile e attento. Se il mio lavoro mi portava fuorimi perseguitava col telefono: e dove sei, voglio raggiunger-ti, cosa fai, con chi sei. Era capace di fare duecento chilo-metri per stare con me due ore. Lusinghiero ma soffocante.Non ricordo quando, ho iniziato a notare che se io ero aRoma lui invece spariva. Dovevo essere io a inseguire lui.

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Dapprima ho pensato a un disturbo psicologico. Poi hopensato che non conoscevo nessuno dei suoi amici, né dellasua famiglia. Mai un cinema o un ristorante insieme a qual-cuno. Come se vivesse in un vuoto spinto. Ho cominciato achiedergli della sua vita, di cosa facesse quando non civedevamo. Ottenevo risposte vaghe. Troppo vaghe.

Finalmente, dopo una discreta indagine col fioraio, hosaputo: era sposatissimo e il giorno del nostro primo incon-tro era lì a comprare un bel mazzo di rose per l’anniversariodel suo matrimonio. Gliel’ho chiesto. Me l’ha confermato.Gli ho dato del disonesto. Mi ha detto: non ti ho mai promes-so niente, cosa ti aspettavi? Gli ho detto sparisci. Mi è sem-brato quasi sollevato. La cura è stata peggiore del male: daquel momento il mio orgoglio non era più ferito. Era propriodefunto. Assieme alla mia fiducia nel genere maschile. Dueesperienze così sbagliate una dopo l’altra mi inducono a dif-fidare degli uomini: sul lavoro sono concorrenti, sul pianopersonale sono inaffidabili e traditori. Sul piano sessuale nonvale quasi mai la pena. Le loro prestazioni sono tese più arassicurare se stessi che a far felice la partner. Cioè me.

Mamma diceva: in amor vince chi fugge. È presto perdire se fra noi sarà amore, di certo con te, caro Giovanni,non rifarò gli stessi errori. Fuggirò. Se vorrai mi insegui-rai. Se non lo farai ti avrò perso con dignità.

Luisa al lavoro con Marco e Lorenzo

Marco e Lorenzo mi sono d’aiuto a sciogliere la tensionedella giornata. Le loro cronache dai corridoi sono utili eirresistibili. Lorenzo al telefono sfoggia un’attitudine dareporter insospettabile.

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“Al partito tutti parlano dell’articolo di Anna Laura,che ha avuto grande eco e approvazione. Come sempre,quando il capo è contento gli altri si adeguano, anche sealle spalle chiacchierano. Dovevi vedere la faccia diGiustina quando il segretario in persona si è informato:Da dove sbuca questa Proietti? Stretta fra orgoglio e gelo-sia: è una mia carissima amica, alla prima buona occasio-ne te la presenterò, e lui di rimando: sarà una cozza.Perché? Perché altrimenti non me la presenteresti.Almeno è giovane? Giovane e bella, sennò non te la pre-senterei. Ti conosco troppo bene. Allora l’aspetto, quandopuoi portamela. Te l’immagini Giustina nei panni dellaruffiana? Ha un bel coraggio il nostro segretario”. Rido.Ha un modo di raccontare facendo le vocine come uncomico da cabaret.

“Da lontano sei più simpatico”, gli dico.“Strano, tutte le donne mi trovano meglio da vicino, da

molto vicino. Solo tu ti ostini, ma ti farò cambiare idea”.L’argomento è scivoloso, lo riporto in carreggiata:

“Vuoi dirmi che il capo è tornato in buona con me perchéha trovato una nuova fiamma o che l’appoggio di Pieri alcongresso non gli serve più?”

“Non esagerare. Voglio solo dire che ha allentato lapressione e, nel caso tu e Corradi doveste farcela, non vuoleperdere il centro della scena. Solo con me è incazzatissimoperché non ho mai niente di sostanzioso da riferirgli.Dimmi qualcosa di molto indiscreto, ti prego”.

“Se vuoi essere la spia del segretario dovrai farlo senzail mio consenso. Ciao, ci sentiamo più tardi”.

“Ciao, ciao. Io però una notizia te l’ho data: è nata unastella, vedrai se non ho ragione. Ricordatelo quando la

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vedrai stagliarsi lassù dove noi comuni mortali non arrive-remo mai”.

Chiamo anche Marco. Lo sento un po’ più sollevato e mifa piacere. Eugenio gli ha promesso che subito dopo il con-gresso avrà una responsabilità politica diretta e per la primavolta sente il suo sogno a portata di mano.

“Bellissima notizia, però sta’ attento”, lo ammonisco.“Ricordati quello che ha combinato con me”.

“Sorellina, starò molto attento, ma devo per forza conta-re su di lui. E concentrarmi sul lavoro: ho problemi colfidanzato. Pensa se andasse male anche il lavoro... E tuinvece perché sei così tesa?”

“Fratellino, ho troppi fronti aperti. Se non ne funzionaalmeno uno, sono rovinata”.

“Mi spiace, ricordati che hai sempre una spalla su cuipiangere. Ti bacio”.

Più tardi mi richiama Lorenzo, sbatacchiato, trattatomalissimo da Rispoli.

“Non lo facevo così brutale. È arrivato a dirmi: sei cosìscemo che non sembri neanche figlio di tuo padre. Ma comesi permette, quel pallone gonfiato. Apparentemente è supercontrollato, poi scatta come una molla con una violenzaspropositata. Umorale e dittatoriale. Stavolta però non glielafaccio passare. Che vadano al diavolo lui, mio padre e tuttiquelli che vogliono rovinarmi la vita. Non posso esseremerce di scambio fra loro e scarico delle loro tensioni. I loroaffari non mi riguardano. Sai che c’è di nuovo? Cercherò unlavoro qualsiasi e fuori dalle balle. Nel frattempo giocherò lamia partita, perciò se mi vuoi sono in squadra, e non solo perPrato. Guarda che per me è la prima volta, non deludermianche tu”.

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Sono colpita dalla sua poca memoria: fino a prova con-traria è lui che m’ha tradita, è lui che deve dimostrare diessere affidabile. Però gli sento un accento nuovo.Dopotutto sarà leale. Inoltre ho bisogno di fidarmi, siamogià così in pochi a lavorare alla manifestazione.

Corradi, trovando occupato, mi ha lasciato un messaggio insegreteria: io farò tardi, ma ho pensato a te. Giulio verrà aprenderti in albergo, andate a cena in un posticino a piazzadell’Umanesimo. Appena posso vi raggiungo, cerca dilavorartelo un po’. Che strazio, se gli avessi parlato avreievitato una cena imbarazzante con quel personaggio orren-do. Ma ora non posso sottrarmi, e d’altra parte Giovanninon si è fatto vivo, meglio con Lotti aspettando il maestroche sola in una città sconosciuta.

Giulio è già lì quando rientro in albergo per una doccia.Ti aspetto, fai con comodo, mi dice. Oggi è più civile, mala diffidenza è ancora la sensazione più benevola che provonei suoi confronti.

Siamo giusto entrati nel ristorante quando suona il telefo-no, numero privato. Mi allontano per rispondere: “Maestro?”

Giovanni ride: “Non pensavo di doverti insegnare nulla,speravo anzi di imparare da te come si tratta con una donnatanto difficile e preziosa”.

“Pensavo fosse Corradi. Di solito il tuo numero compa-re sul display. Non mi piace chiamarlo compagno o onore-vole”, mi giustifico e poi aggiungo, dimenticando i buonipropositi: “perché non mi hai telefonato prima?”

“Non una, dieci volte ti ho chiamato!”, poi capisce. Perevitare Cecchi ha levato la visibilità del suo numero e nonl’ha ripristinata: “È tutto il giorno che ti chiamo con numeroprivato”.

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“Ma io non sapevo che fossi tu. Non ho un buon rappor-to col telefono, ci sono persone con le quali devo essere inuna certa predisposizione di spirito per parlare. Perciò avolte non sento il telefono perso nella borsa, a volte se nonso chi è non rispondo. Ho molte cose da raccontarti, ma oranon posso parlare e neanche muovermi, aspetto Corradi”.

“Non ho fretta, o meglio, avrei fretta di vederti, ma tiaspetto dopo, vieni in albergo da me?”

“Sei impazzito?”“No, è che io sono in centro, da qui possiamo andare a

fare una passeggiata al chiaro di luna senza rischi. Dai, pro-metti che verrai”.

“Se posso. Non so a che ora finirò con Corradi”.“Ti aspetto, non importa l’ora”.“Non te lo prometto, ma farò il possibile”.Il suo tono quasi implorante e ancor più sapere che m’ha

cercata tutto il giorno mi lasciano leggera leggera. Vorreicontinuare a parlargli, sentire ancora la sua voce, ma lasituazione non lo consente.

Chiudo la telefonata e torno al tavolo. Giulio non rispar-mia la battuta.

“Chi era: il tuo eroico salvatore? Il cavaliere senza mac-chia e senza paura così imprudente che a momenti ci rimet-tevate la vita in due?”

“Non essere indiscreto e non ricamare su due parole chehai ascoltato e non avresti dovuto farlo. È un amico daRoma. Un caro amico, non so se conosci il significato diquesta parola”.

“Amici maschi ne ho, alle donne per amico non ci credo,che senso ha. Io sono un uomo normale: di fronte a unadonna attraente non penso all’amicizia, ma a ben altro. A te

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per esempio, ti porterei volentieri a fare un giro fino allariva del Bisenzio. E guarderei con te il luccichio dell’acquasotto i ponti. Poi ti porterei a casa mia a sentire un bel discoe a bere qualcosa. Ma solo per portarti a letto, non per fartidelle confidenze”.

“Se è una proposta, meglio essere chiari: non rientranelle mie abitudini questo genere di giro turistico. Vado aletto solo con chi mi piace moltissimo e certo non allaseconda volta che lo incontro”.

“Non sei una donna normale, con le tue esigenze sessua-li? Sei frigida? Sei lesbica?”

“Come ti permetti, ma che hai in testa. Se una donna tirifiuta può essere semplicemente che non le piaci. Fai le tueavance a chi le gradisce, non a me. E levami le mani dalleginocchia. Ringrazia che siamo in pubblico e aspettiamoCorradi, altrimenti saprei cosa fare con le tue mani”.

Finalmente, evocato, arriva Corradi. Gli basta un’oc-chiata per capire che sono al limite della sopportazione.

Corradi e gli altri

“Il potere sessuale è l’unica cosa dell’ancien régime soprav-vissuta alla Rivoluzione francese e arrivata intatta ai giorninostri”, attacca Corradi apparentemente senza motivo.

Giulio lo guarda come un vecchio pazzo, mentre Luisaimmagina dove vuol andare a parare.

“I re amavano mantenere popolarità e potere principal-mente in due modi. Uno era l’esibizione muscolare, attra-verso la prepotenza della polizia. L’altro era l’esibizionedelle amanti. L’unico che non lo fece, solo perché con ledonne gli andava male, era Luigi XVI, ma chi vorrebbe

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finire come lui. In democrazia nessuno si può permetteredi usare la polizia con eccessiva arroganza. Il potere ses-suale invece è un’arma ancora in uso fra i politici e ifasulli vip di oggi: fanno finta di nascondersi, ma lorostessi chiamano i fotografi. Come i re, coprono gli amoriextraconiugali con un velo tanto sottile da stracciarsi allaprima occasione”.

Con l’aria di dire chi se ne frega, Giulio chiede: “Eallora?”

“Anche tu pensi al sesso come potere. Un po’ di rispet-to per le compagne non guasterebbe. Noi torniamo da soli,grazie di aver fatto compagnia a Luisa”. E aggiunge ironi-co: “L’ha sicuramente apprezzato. Ora abbiamo bisogno discambiare le nostre impressioni sulla giornata di lavoro edefinire le prossime tappe. A domani”.

Giulio è in palese imbarazzo e furibondo per il tratta-mento subito, ma è costretto a incassare: il vecchio ormaiha preso posizione in favore della stronzetta e non c’è nien-te da fare. Se ne va meditando vendetta.

Lo guardo ammirata.“Sei un mito, gli hai dato una lezione che non dimenti-

cherà”.“Farà di tutto per ricordare l’offesa e dimenticarne il

motivo. Cioè da stasera è ufficialmente un nemico, per noi.E lo scopo della cena era l’opposto”.

“Comunque grazie per avermi liberata”.Candidamente risponde: “Io ti avevo messo nell’impic-

cio, spettava a me levarlo di mezzo. Inoltre ho molte coseda raccontarti e lui era di troppo. Attaccarlo era il modo piùsemplice per non avere resistenze”.

“Anch’io devo dirtene tante”.

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“Lo so, me l’ha detto Cornero, perciò ho pensato di sot-trarti alla tua serata privata”.

Mi chiedo chi possa avergli parlato dei miei progetti pri-vati, ma è inutile scervellarsi, magari era solo una battuta.Perciò mi concentro sul resoconto della giornata.

“È stata una mossa azzardata”, commenta lui, “potevafinire male: nell’occhio del ciclone, certo non poteva difen-derti Cornero”.

“Curiosità e spirito sono due prerequisiti della politi-ca, no?”

“Anche la prudenza a volte non guasta”.Ci tratteniamo a parlare molto a lungo. Ogni tanto ho un

sussulto, guardo l’orologio, vorrei dirgli scusa devo anda-re. Ma con che coraggio interromperlo in un momentorarissimo come questo?

“Quelle foto che hai visto nel mio ufficio sono le unichecose che contano nella mia vita, oltre a mia moglie. Non hoavuto i figli, che desideravo con tutta l’anima. O meglio,avevo avuto il dono di una figlia, ma... Mia moglie avevaventiquattro anni come me, era incinta di cinque mesi. Iocome sempre ero lontano, lo ricordo ancora come un annoterribile. Era il 1956, i carri armati russi invadevanol’Ungheria. Ero a Mosca con una delegazione di compagniper capire la situazione, per discutere con i sovietici. C’eratensione, pericolo, precarietà in tutto, anche nelle comuni-cazioni telefoniche, che venivano controllate e centellinate:ci tenevano isolati sperando di tenerci in pugno. Lei nonriusciva a mettersi in contatto con me. Aveva delle perditepreoccupanti. Il medico le dice di non muoversi dal lettoper il resto della gravidanza. Ma era sola in una città estra-nea e tanto grande. Decide di prendere le sue poche cose e

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andare dalla madre, ad Avellino, sull’Appennino campano.Cerca un passaggio in automobile e lo trova. E va per stra-de di montagna, boschi, buche. È così che ha perso nostrafiglia. Quando sono tornato ho pianto per la prima e ultimavolta in vita mia. Se ci fossi stato...”, poi con voce incrina-ta e lo sguardo basso dopo una piccola intensa pausa conti-nua: “se ci fossi stato lei non si sarebbe mossa e noi avrem-mo una figlia. Ma gli dei sono invidiosi. O la passione poli-tica o la famiglia. O il mestiere o la felicità. Ti auguro dinon trovarti mai di fronte a questa scelta”.

Corradi, ora lo vedo, soffre ancora. Mi fa tenerezza, perla prima volta lo vedo anziano e solo. Per spezzare la ten-sione gli chiedo: “E gli artisti?” “Te l’ho detto, la creativi-tà è l’unica cosa al mondo che invidio, oltre all’amore deifigli. Quando posso frequento gli artisti, anzi li spio, ilgenio per me...” I suoi occhi guardano lontano. Poi si rin-viene. “Si è fatto tardi. Andiamo a dormire”.

Guardo l’orologio, sono le due. Potrei dirgli che ho unappuntamento e fermarmi da Giovanni, ma non ne ho ilcoraggio. Cosa penserebbe di una che va da un giovanottoa notte inoltrata? Provo pudore, come se fosse mio padre.Torniamo al nostro albergo insieme. Resto vicina alla porta.Sento lo schiocco della sua che si chiude. Per un attimosono tentata di riscendere, riprendere un taxi e dire: prestomi porti al Lux, ma d’improvviso sono molto stanca e laprospettiva di una notte in bianco, piena di adrenalina, conquel che m’aspetta il giorno dopo, mi frena.

Vado a dormire molto agitata, ma anche appagata dal-l’amicizia del maestro. Con Giovanni cercherò una spiega-zione domani, ora non ce la faccio: se lui insistesse nonresisterei e addio lavoro domattina.

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Ho appena preso sonno quando mi chiama sul cellulare:“Dormi? Perché non sei venuta?”

Sono confusa dal sonno bruscamente interrotto.Reagisco male.

“Non sono tenuta a darti spiegazioni. Non ho potuto ebasta. Non farmi sentire in colpa, lo detesto. Sono unadonna libera, il mio lavoro per me è importante, e sono aPrato per lavorare. Le spiegazioni a domani, ora devo dor-mire. Senza sonno faccio casino”.

“Sta’ tranquilla, non ti disturberò più”, e attacca.

Giovanni

Che donna è questa che antepone il lavoro a tutto? Unastronza nevrastenica che per niente salta su come unamolla tesa. Una che se il partito la chiama ti pianta in assoa cazzo dritto. Sono deluso, disturbato, agitato e come senon bastasse eccitato per l’aspettativa coltivata tutta lasera. Aspettandola ricordavo il contatto con la sua pelle,sentivo quasi i suoi capelli biondi sul mio petto nudo, lesue mani sulla schiena. I suoi occhi nei miei che mi par-lano in silenzio di dolori profondi e di gioie che esplodo-no all’improvviso. I suoi occhi blu scuro che virano alviola, mai visti in nessuna. Lei è flessuosa e agile, facileda accarezzare. Più ci penso, più sono sopraffatto da unmisto di rabbia ed eccitazione. Mi prendo un po’ di piace-re solitario, giusto per calmarmi, ma non riesco a imma-ginare come sarebbe penetrarla, perciò al dunque neanchequello m’aiuta e non riesco ad addormentarmi fino a tardi.Apro il frigobar e mi scolo un paio di mignon. Il sonnoarriva molto dopo.

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Quando al mattino mi chiamano dal giornale ho riposa-to sì e no un paio d’ore e mi sento come uno straccio moltostrizzato. “Voglio un pezzo palpitante, una città in attesa diun evento dagli esiti incerti”, urla il caporedattore.

“Ok, nel pomeriggio ve lo mando”, rispondo laconico.Anna Laura mi controlla stretto, il giornale mi controlla

stretto, l’unica che non mi considera proprio è Luisa. Lededico il mio mal di testa, un cattivo pensiero e un vaffan-culo stronza col quale ritengo di aver pareggiato i conti.Scrivo l’articolo e lo mando, poi spengo il telefono e lolascio spento per l’intera giornata. Ho bisogno di disintos-sicarmi dalla delusione. Camminata lunga per sciacquare ilcervello, e cinema per finire la serata.

Giovanni il giorno dopo

Sto un po’ meglio, ma sento ancora il sapore amaro delladelusione. In compenso ho deciso che non penserò più aLuisa, neanche quando sarò costretto a occuparmi della suamanifestazione. Cancellata.

Riaccendo il telefono e leggo i messaggi. Fra mille rot-ture di balle per fortuna ha chiamato anche la Poli per rin-graziare e invitarmi a cena a casa sua con un gruppo diamici. Questo sì che mi farà star meglio: una bella donna,una casa da sballo, un po’ di vip di provincia che pendonodalle mie labbra. Accetto. Devo restare a Prato in attesadella manifestazione, le spiego, grazie a lei il soggiornodiventerà piacevole.

Lei risponde ammiccante e diretta com’è nel suo stile:“Mi raccomando, non mi tradisca per un pezzo da scrivere

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all’ultimo minuto, l’ho venduta ai miei amici come stardella serata e saremo appena una ventina. Cena placè. Mispiace che mio marito sia volato a Londra all’improvviso,ma pazienza, conoscerà il principe consorte un’altra volta”.

Bene, alla fine la stronza non è l’unica donna al mondo.Evochi il diavolo e spuntano le corna. Il telefono suona

ed è proprio Luisa col tono del non è successo niente, gen-tile, quasi casuale.

“Come stai, ho provato a chiamarti ieri, ma non eri mairaggiungibile. Comunque ho sempre un tuo invito a cena, eoggi mi sono tenuta libera apposta. Dove ci troviamo e ache ora?”

Miele per le mie orecchie, non speravo che avrei avutocosì presto l’occasione per restituirle lo sfregio.

È con un certo gusto e discreta soddisfazione che puntoa mortificarla: “Ah, non mi ricordavo proprio che avessimodeciso di cenare insieme. Non posso, ho un impegno.Lorena, la Poli, mi ha ringraziato per ore, era molto com-piaciuta del ritratto che le ho fatto, e si offenderebbe amorte se non andassi da lei. Ha invitato poche selezionatepersone ansiose di conoscermi. Mi spiace, sarà per un’altravolta”. E dopo una piccola esitazione che fa da sottolinea-tura aggiungo: “Tanto tu troverai di certo del lavoro dafare”.

Riattacco pensando: così impari brutta stronza, ma nonsono soddisfatto come immaginavo.

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...ma mentre il coyote è un mancatore di parola e un mentitore

la stella che cadente è la più bella con la coda che si muove con splendore...

(Roversi/Dalla)

Giovanni Lorena e gli altri

La cena è squisita e la Poli di parola: appena arrivato midice diamoci del tu e mi mette al centro dell’attenzione deisuoi amici imprenditori presentandomi come un Pulitzer, ilche fa di lei... l’intervistata da un Pulitzer.

Mi aggiro fra gli aperitivi con un bicchiere in mano,seguito dall’ammirazione femminile e da una certa adula-zione degli uomini. Tutti pensano che conoscere il notogiornalista venuto da Roma potrebbe essere utile ai lorosalotti e ai loro affari, e cercano di sottrarmi alla padrona dicasa che però non lascia spazio a nessuno.

L’amor proprio è salvo e l’umore alle stelle, sia benedet-ta Lorena, un altro match con Luisa e sarei andato in pezzi:che donna devastante.

Lorena invece è buona come una cura della nonna:senza controindicazioni. Qui con lei mi sento a mio agio

XXI

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perfettamente. Tre ore di lavoro e otto di relax per riconci-liarsi col mondo. Viva anche Prato.

E per fortuna Anna Laura è fra gli invitati, ma almomento di andare in tavola viene piazzata in una posizio-ne marginale che la rende palesemente nervosa. È lontanasia da me, che sono l’attrazione della serata, sia dalla nostraospite. Se sperava di avere anche lei un po’ di pubblico, hafatto male i suoi conti, Lorena non le è poi così amica.

Elegante, brillante e divertente, la padrona di casa è davve-ro straordinaria. Sa come mettere tutti a proprio agio.Racconta aneddoti sui potenti della terra che ha conosciu-to: dalla Russia agli Usa, dagli Emirati Arabi alla Libia. Perciascuno ha una battuta che sembra una pennellata. Perogni ospite un riguardo. La sua conversazione avvolge tutticome un mantello comodo e leggero. La sua presenza e unottimo vino rendono la serata speciale e confortevole.Arrivati al dessert, perfino l’austero e noioso cavalierRocchi si lascia andare alla conversazione, raccontando gliesordi della sua azienda tessile.

“Dopo la guerra i miei genitori avevano riaperto inmezzo alle macerie. Andavano a raccogliere i sacchi di jutache gli americani usavano per gli imballaggi, e i paracadu-te dismessi. Li scucivano e si procuravano così la materiaprima per ricominciare l’attività. Oggi la Rocchi SPA lavo-ra solo fibre pregiatissime, lini, cotoni, sete di alta qualitàche l’hanno resa famosa nel mondo, o tessuti tecnologici.Ma il primo sacco, il nostro portafortuna, è conservato inuna teca. Senza quello non avremmo nulla da raccontare”.

Il cavaliere si dilunga sull’epopea aziendale, ciascunodei commensali pensa a un buon modo per sottrarsi alla sto-

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ria ascoltata chissà quante volte e molti si agitano sullasedia. Sotto il tavolo un piede mi tocca. Mi scanso, pensan-do di aver fatto “piedino” per errore a qualche signora. Miguardo intorno per chiedere scusa. Trovo lo sguardo diver-tito e furbo di Lorena che allunga il piede un’altra volta,prendendo meglio la mira, più in alto, proprio al centro delmio pantalone.

Ho esattamente la reazione che la mia ospite si aspetta.Lorena è bella, ricca, potente, e ha scelto me. La lascio farelusingato. Non che abbia alternative, a meno di alzarmi discatto o sputtanarla davanti a tutti. Lei dimostra l’abilità cheviene dalla consuetudine con situazioni sul filo del rasoio.Man mano che sente crescere in me l’eccitazione un sorrisole si stampa in faccia. Mentre il cavalier Rocchi continual’epopea della seta, sono sul punto di non potermi più tratte-nere, lei capisce e smette di botto.

Si alza.“Signori, la cena è finita, spero sia stata di vostro gradi-

mento. Domani mattina lavoriamo e ci alziamo presto.Grazie di essere venuti e buona notte. Tu no, Giovanni,resta altri cinque minuti, voglio una dedica sulla pagina conla mia intervista, così la farò incorniciare e la conserverò”.

Mi guardo intorno: ormai avranno capito tutti, ma infondo a me che importa, se non si preoccupa lei che è unadonna in vista e sposata! Ma dimenticavo che Lorena èuna regina: altera e noncurante. Per lei l’imbarazzo nonesiste. La guardo ammirato mentre accompagna alla portai suoi ospiti e per tutti ha un saluto speciale, mentre iosono molto imbarazzato quando incrocio Anna Laura chemi guarda con insistenza e non demorde: “Vieni via conme, ti aspetto?”

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“Hai sentito Lorena, resto ancora qualche minuto, nonposso essere scortese con la tua amica”.

Mi guarda con astio e rancore, e con tono stridulo rin-faccia: “Tu sei quello che non vuole complicazioni?Complimenti hai l’oscar della bugia. E io quello della stu-pidità. Figurati che pensavo ti piacesse la Alunni”.

Se ne va quasi sbattendo la porta. Della sua arrabbiatu-ra me ne frego, ma il nome di Luisa quasi mi smonta l’ec-citazione.

Ormai tutti gli ospiti sono andati. Lorena mi guarda comeun gatto che si lecca i baffi prima della caccia. Ha sentitoAnna Laura, intuisce il mio disappunto, si avvicina al mioorecchio: “Lasciala perdere, non pensare a lei, è invidiosa.Non sa cosa vuol dire essere desiderata da un uomo”.

Sono confuso e non distinguo bene le sue parole, ma levedo uno sguardo speciale, sento il soffio della sua vocenell’orecchio e ben presto sono di nuovo eccitato. Lei con-clude la frase con un morsetto al lobo... poi mi spinge versolo studio. Chiude la porta dietro di noi con il piede per nonlasciare la presa su di me, mi massaggia dietro la schienacon enorme sensualità, fa volare via le scarpe e infine mi sipara davanti.

Ho già la testa vuota di pensieri e piena di desiderio, equando sento i seni e il pube di lei contro di me, perdo lacognizione. Mentre penso che per l’età che ha il seno èancora intatto, o forse molto ben rifatto, ricordo vagamen-te che il marito è a Londra, e quindi possiamo anche faresesso lì dove siamo, per terra. I camerieri sono spariti. Benistruiti o abituati chi se ne frega.

Lei mi è sopra. La prima volta si consuma in fretta.Troppo per Lorena che non ha avuto tutto ciò che si aspet-

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tava, ma non si scoraggia, mi accarezza e mi bacia, milecca e mi morde, totalmente priva di inibizioni. Ben prestosono pronto per la seconda volta: la volta buona per lei.

Quando tutto è concluso restiamo a chiacchierare comedue vecchi amici.

È molto tardi quando torno in albergo.Il portiere di notte mi consegna un biglietto.“Sono passata all’una e ti ho aspettato un po’. So che ho

due giorni di ritardo. So anche che a volte sono insopporta-bile, ma sono travolta da emozioni contrastanti e ho diffi-coltà a lasciarmi andare. Perdonami, Luisa”. Il beato torpo-re del dopo-Lorena svanisce all’istante nella terribile sensa-zione di essermi perso qualcosa di fondamentale, un’occa-sione unica. Mentre giocavo con la Poli, Luisa era qui soladi notte a cercare me. Calpestando il suo maledetto orgo-glio. Nonostante i miei propositi di cancellarla mi sento incolpa come se le avessi fatto un torto. Vorrei chiamarlasubito, ma come potrei a quest’ora e cosa dovrei dirle: chevada al diavolo, o che mi scusi per non essermi fatto trova-re? Ho un crollo di nervi: Lorena e Luisa, è troppo per unasola giornata e sono stanchissimo. Mi metto silenziosamen-te a piangere. Poi finalmente dormo.

Anna Laura

L’indomani per me il risveglio è doloroso. Le mie speran-ze su Giovanni si sono volatilizzate. Fare sesso con una miaamica, che io gli ho presentato e magari non l’avessi fattomai, un’offesa doppia. Un’onta da vendicare. Ma come?Sarebbe giusto raccontarlo al direttore, fargli sapere che ilsuo giovane e brillante redattore, la firma di punta del suo

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giornale, prima scrive delle signore, poi monta sulle signo-re e si fa pagare in natura. Giusto ma inutile. C’è il rischioche il vecchio maschilista lo ammiri o lo invidi, anzichécondannarne la scorrettezza. Dirlo al comitato di redazio-ne? Non gliene frega nulla di cose ben più gravi. Mi dotempo: il modo lo troverò. Lo devo a me stessa.

Luisa

Entro in un bar ancora molto confusa dalla notte appenapassata. Non ho dormito per vedere Giovanni. Non l’hovisto e son qui a chiedermi se non ho fatto una grandissimasciocchezza a umiliarmi così senza risultato. Il peggio nonè morto ed ecco che vedo entrare Anna Laura, schiumantedi rabbia, e del tutto fuori controllo. Inutile rifugiarsi dietroil cappuccino. La giornalista mi tampina: “Sei la personagiusta con cui sfogarmi. Tutti devono sapere che maiale èquell’uomo”.

“Quell’uomo chi?”“Giovanni, e chi se no. Non sai che umiliazione, che

trattamento davanti a tutti”. Mi racconta la cena e il dopo-cena con dovizia di particolari inventati al momento pur dienfatizzare la scorrettezza di lui, la facilità con cui si dà allaprima venuta. Non esita a giurare che erano praticamentefidanzati, che da un anno erano impegnati a costruire unrapporto serio. Volatilizzato nel nulla alla prima donna disuccesso e potere che ha visto da vicino.

Cerca complicità, vuole sentirsi dire che è un grandissi-mo mascalzone, che non deve perdonarlo, ma me ne guar-do bene. L’ascolto con attenzione, e non commento. AnnaLaura non mi piace. La sua indiscrezione non mi piace:

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perché raccontare a me – non si può certo dire che abbiamosimpatizzato a prima vista – tanti dettagli che non miriguardano. Né voglio mostrare eccessiva curiosità: di sicu-ro, sbollita la rabbia, l’altra ci ricamerebbe sopra. Perciònon vedo l’ora di liberarmene. Come realmente faccioappena mi riesce.

Dunque Giovanni è un uomo completamente inaffidabi-le, alla ricerca di un diversivo in una città dove non hacome passare le serate. Io o un’altra è lo stesso. Che delu-sione e che vergogna: il ricordo del biglietto che gli holasciato mi brucia come un mozzicone acceso sulla pelle. Sisarà fatto grandi risate pensando alla povera illusa che solanella notte va a cercare l’amato. “Stupida, stupida, stupida.Ecco quello che sono, ma non cascherò più nella tua trap-pola perché tu possa vantarti della collezione di femmineche prima intervisti e poi porti a letto”. Meglio sola che conun uomo sbagliato, meglio dimenticarlo subito che pentir-sene dopo.

I preparativi vanno avanti. Il piccolo ufficio al partito èdiventato un centro operativo a tutti gli effetti: un gran via-vai di gente, il telefono che squilla di continuo. Sono moltosoddisfatta e Corradi non commenta, quindi è soddisfattoanche lui. Pieri è scomparso, il che è una fortuna da unaparte, una fonte di preoccupazione dall’altra: di sicuro nonsi è rassegnato e trama in segreto. Alì è formidabile: la suacapacità di dialogo è grande e coinvolgente. Lorenzo daRoma si dà da fare e mi chiama tre, quattro volte al giornoper aggiornarmi, sia sui corridoi della Sinistra Unita chesugli sviluppi del lavoro. Gli insulti del segretario l’hannoliberato da una zavorra. Corre, quasi vola e si dimostra di

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grande utilità. Non sento Marco, ma a manifestazione con-clusa, quando tornerò alla base ne avremo da raccontare.Mancano poche ore e poi raccoglieremo il frutto di tantolavoro. Passo in esame le cose fatte e quelle che restano dafare, e oggettivamente penso di aver dato il massimo. Hocurato anche i dettagli, la coreografia del corteo e l’alter-nanza dei costumi. Tutto è stato analizzato e previsto. Tuttii sensori sul territorio dicono che c’è attenzione e interesse.Anche la grande stampa nazionale seguirà la manifestazio-ne con inviati. Compreso Mustacchi, a quello che so.

Già, Mustacchi. È scomparso. Meglio così. Se lo incon-trerò sarò distante e cortese, come una vera dirigente versoun cronista qualsiasi.

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...e su una pietra i due stan nel fuoco della notte

a raccontarsi a turno con le voci calde o rotte la stella parla adagio e il coyote grida forte

buttati in questo gioco, per chi perde c’è la morte.(Roversi/Dalla)

Luisa e Corradi

È la vigilia, Corradi entra in ufficio e quasi non mi saluta:umor nero.

“Il prefetto mi ha informato che domani ci saranno duemanifestazioni: la nostra e quella dei no global, arriveran-no anche i black block dalla Francia. Erano diretti aLivorno, contro la base Nato, ma non ce li hanno voluti permotivi di ordine pubblico. Il nostro prefetto invece haaccettato di farli accampare qui, alle porte di Prato, neilocali dello scatolificio abbandonato. Ci chiedevamo qualefosse la contromossa del Pieri. Eccola: se andiamo avantilascerà che mettano a ferro e fuoco la città, dando la colpaa noi che abbiamo aizzato la piazza, confondendoci con deiragazzetti violenti e impolitici. Il caos e gli scontri trasfor-meranno la nostra azione esemplare in un disastro e lui gri-

XXII

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derà ai quattro venti che i compagni venuti da Roma hannoincasinato la sua pacifica città, messo in pericolo l’incolu-mità dei cittadini e liberato energie negative, saldando vio-lenti ed extracomunitari.

“Ci dà un’alternativa: rinunciare, così avrà vinto luicomunque. Ora dobbiamo decidere in fretta se rimandare lamanifestazione o correre il rischio. Sapendo che il nostro èun rischio politico, ma per le donne che parteciperanno ilrischio può essere molto più grande: dal coinvolgimentonegli scontri alla vendetta dei trafficanti”.

Stento a credere che tutto il nostro lavoro venga messoin pericolo da una banale ripicca. Perché Pieri dovrebberovinare un’iniziativa che ormai coinvolge il buon nomedell’intero partito? Tanto più che Corradi ha fatto moltaattenzione a non mettere le polemiche in piazza. Spostarla,non se ne parla: ormai tutto è pronto. Arretrare di fronte aun pugno di agitati sarebbe una prova di debolezza insop-portabile, per un partito di governo. Annullarla, sarebbeuna tale sconfitta per me e per Corradi che non posso nean-che pensarci.

Esco a fare quattro passi: l’agitazione è troppa per conte-nerla nelle mura della federazione. Spossatezza, impoten-za, delusione. La tensione dell’ultimo periodo mi sopraffà.

“Il lavoro di queste settimane, il mio futuro, il futuro diquesto paese che non vuole migliorare, i miei sentimentiche mi rendono la vita difficile, il destino di quei poverac-ci di cui nessuno se ne frega, la città indifferente, il sinda-co cinico, la solitudine. È un peso enorme sulle mie spalle,sto così male, la delusione professionale e quella sentimen-tale... Su Mustacchi avevo fatto un piccolo progetto. Ed è

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fallito. Sulla mia nomina avevo fatto un grande progetto.Ed è fallito. Sul futuro degli abitanti di via Soriano, avevofatto un buon progetto. E anche quello sta fallendo. Non hopiù voglia di combattere. Ha ragione Pieri, è la sua città,risolva i problemi a modo suo... Mi arrendo. Che il mondovada dove cazzo gli pare”.

Mi siedo su una panchina e sfoglio meccanicamente igiornali che negli ultimi giorni ho letto poco e male, e ogginon ho letto affatto. Sempre le solite notizie, sto per ripie-garlo, in questo momento avrei voglia di un romanzo rosa,di pura evasione, che mi porti lontana dalla realtà.

Un titolo mi aggancia. È un sondaggio sulle paure degliitaliani. Al primo posto la disoccupazione, al secondol’Islam: la gente teme che entro dieci anni la religionemusulmana inghiotta quella cattolica, la religione dei padri.

Il sociologo commenta: “Dopo il 1989, data della cadu-ta del muro di Berlino, crollato l’impero sovietico, la mag-gioranza silenziosa non ha più paura del comunismo cheruba la casa e i soldi, ma dell’Islam, che ruba il lavoro ecancella la nostra religione, cultura e tradizione. Le notiziequotidiane dei telegiornali hanno grandi responsabilità.Eccone un esempio: ‘La situazione si aggrava: l’Italia chie-de aiuto all’Unione Europea. Trecento sbarchi ogni giorno,oggi la Marina Militare ha speronato al largo di Brindisiuna barca carica di clandestini. Venti feriti, due morti anne-gati’... in questo modo poche decine di persone disarmate edisorganizzate, fanno pensare – la stessa parola sbarchi loevoca – a un’invasione più che a una migrazione. E sifomenta l’irrazionalità”.

Mi scuoto dall’amarezza e dal risentimento: “Non possofermarmi ora. Non posso abbandonare quelle madri, quelle

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mogli, quelle donne piene di speranza. Non posso lasciareche il mondo giri storto”.

Chiamo Corradi.“Maestro, ci ho pensato, per me dobbiamo andare avan-

ti. È un grosso rischio, me ne rendo conto. Ma glielo dob-biamo”.

“A chi?”“A quelli che sperano in noi per migliorare la loro vita.

A quelli che considerano Sinistra Unita come forza di sini-stra. A quelli che non si arrendono e passano la gioventùagli angoli dei semafori pensando ai loro cari rimasti a casache grazie a loro potranno mangiare. A quelli che si allon-tanano dagli affetti più cari e vivono drammaticamentesotto i nostri ponti, con le briciole che cadono dalle nostretavole. E anche a noi stessi... ti prego dimmi di sì”.

“Se sei convinta andiamo avanti. Ma preparati anche aun possibile disastro”.

“Chi non risica...” rido, contenta che il maestro mi abbiadato il via.

La retorica è odiosa, ma paga quasi sempre, e in questocaso era a buon fine.

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Ma col passar del tempo la stella fa fatica a raccontare

e invece le parole del coyote corrono come acqua

di un fiume verde verso il mare... (Roversi/Dalla)

Luisa

Oggi è il giorno. In Prefettura fin dal mattino c’è una spe-cie di summit con Corradi, gli inviati del sindaco, tutte leautorità. Da lì arriva una specie di bollettino di guerra cheben presto fa il giro dei palazzi del potere e arriva alle tv eradio locali.

Alì come previsto sta facendo il giro delle case per faruscire le donne e portarle vicino al muro.

Io, al telefono, cerco di vincere le ultime titubanze delleorganizzazioni femminili più moderate, ora esitanti all’ideadi essere coinvolte in guerriglie urbane. Sento gran vocìoper strada. Mi affaccio e dalle finestre lo spettacolo è sco-raggiante. Sfila la manifestazione della sinistra antagonista.Non sono molti, ma sono evidentemente giovani, prevalen-temente col viso coperto, gli slogan sono quasi tutti contro

XXIII

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Corradi e la sua legge. “Korradi boia, fai uscire dai lager inostri fratelli, se no verremo coi lunghi coltelli”. E un altro:“Malvagi, razzisti, amici dei fascisti, nei vostri Cie ci mori-rete voi”.

Qualcuno dei manifestanti si rende conto di essere sotto ilportone di Sinistra Unita. Il corteo allora si ferma e diventaimprovvisamente silenzioso. Un silenzio che sa di minaccia.Poi, come per un’azione preordinata, il primo urla: “SinistraUnita galera garantita”, l’urlo si fa boato, dalla testa del cor-teo parte un lancio di sassi verso le nostre finestre.

Indietreggio. Appena in tempo per scansare il peggio, manon abbastanza in fretta. Il vetro della finestra si rompe, unframmento mi colpisce la fronte. È piccolo per fortuna, eresta in superficie. Me lo levo davanti a uno specchio, non hotempo per la medicazione. Devo uscire subito, rincuorare ledonne, tenerle unite, altrimenti spaventate se ne andrannotutte a casa.

Alla fine della strada c’è la polizia in assetto da guerrigliaurbana. I manifestanti non chiedono di meglio. Sassi e spran-ghe da una parte. Fumogeni e manganelli dall’altra. Ho lelacrime agli occhi: un po’ per i gas, un po’ per la rabbia. Nonriesco neanche a raggiungere la traversa che mi porterebbelontano da lì, consentendomi di raggiungere il muro. Gliscontri con la polizia si fanno violentissimi. Si sentono lesirene delle prime ambulanze. I medici chiedono alla poliziadi fermarsi, di consentire loro di soccorrere i feriti da entram-be le parti. Ma il no è secco, sembra davvero una guerra. Mibecco anche una manganellata, per fortuna di striscio, masufficiente a riaprire la ferita. Il sangue mi cola su un occhioe praticamente non ci vedo. Mi riparo nei cinquanta centime-tri di imbotto di un portone, capisco che per le forze dell’or-

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dine nella confusione è difficile distinguere chi c’entra e chinon c’entra. Ma che diavolo anche questa non ci voleva.

Devo raggiungere via Soriano. Devo pensare in fretta eagire ancora più in fretta.

Una signora anziana mi vede dall’alto e urla per sovrasta-re il rumore infernale, il rumore della guerriglia: “Signorinapresto entri dentro”, poi vedendo la mia esitazione aggiunge:“si sbrighi vengono alle sue spalle”.

Sento lo scatto del portone e il sapore ferroso del sanguein bocca. Decido di accettare l’offerta. La signora è scesa,preoccupata di tutto quel sangue sul viso, si assicura che ilportone sia ben richiuso e mi esorta a salire.

Esito, non vorrei perdere tempo: “Grazie, ma mi servesolo un fazzoletto bagnato per occhi, naso e bocca, e una viad’uscita”.

“Lei è ferita... Posso darle tutto ma farebbe bene a nonmuoversi in momenti come questi”.

“Tutto, anche l’uscita?”“Sì, venga un momento su da me, le do dell’acqua e un

panno bagnato. Appena ha recuperato le forze e la vista leapro il garage che dà sulla parallela e può uscire da lì. Se pro-prio deve”.

“Grazie davvero. Sì devo proprio”, e le spiego veloce-mente il problema.

“Se è così... aspetti le do il motorino di mia figlia. Domanime lo riporti mi raccomando”.

Sono stupita e toccata dalla fiducia di quella sconosciuta,e più che mai convinta di andare.

Intanto in Prefettura è in atto uno scontro violento. Il sinda-co e il segretario provinciale sono arrivati insieme, gongo-

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lanti come se avessero appena visto un gelato squisito enon il delirio in piazza. Con aria autorevole e inquietachiedono la sospensione della manifestazione delledonne, per garantire la loro sicurezza. Corradi intervienecon tutto il suo peso e nessuna benevolenza nella vocequando spiega al prefetto che Sinistra Unita a livellonazionale non capirebbe perché le forze dell’ordine con-sentano una manifestazione violenta dei black block eimpediscono quella pacifica e programmata da tempo diuna forza politica istituzionale. Il prefetto è titubante,preso fra due fuochi. Il caos in strada è tale che sarebbepiù semplice sbattere tutti i giovani in galera e mandare acasa tutte le donne. Farebbe felice il sindaco, che però èal suo secondo mandato, quindi con l’anno prossimo nonpotrà essere rieletto. Inoltre bloccare i black block è faci-le a dirsi ma ora la miccia è innescata. D’altra parte diCorradi si parla come del futuro Presidente dellaRepubblica. Acconsente, ma sottolinea che l’operazione èpiena di incognite e si aspetta la collaborazione di tutti pertenere la situazione sotto controllo. Corradi gli garantisceil suo pieno appoggio. Pieri se ne va sbattendo la porta. Iltentativo di bloccare la catena umana non gli è riuscito.

Il messaggio laconico sul mio telefonino è meglio dellavittoria al superenalotto: tutto ok, procedi. Sospiro di sol-lievo: Corradi l’ha spuntata. Raggiungo via Soriano.Anche qui lo schieramento di polizia è spaventoso, iriflessi metallici del muro d’acciaio sotto i raggi del soledanno una luce livida e accecante, su cui si staglianocome figurine di un presepe guerresco e di fantascienza ipoliziotti in assetto antisommossa.

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Chiamo Alì e gli dico siamo pronti io sono qui, vieni conle donne, possiamo ancora farcela. La polizia ci protegge-rà. Qualche minuto di attesa sembra un’eternità. Ecco cheall’angolo compare il dinoccolato e amatissimo Alì.

“Non ho mai avuto tanto piacere di vederti” ed è vero. Èvenuto con una cinquantina di donne, un bel gruppetto. Enon è che l’inizio. Recupero l’ottimismo, sarà un successo:donne colorate dai colori del Senegal, del Marocco, delSudan, di Capoverde, Indiane. Tutte in fila in una tavoloz-za che nonostante il dramma e la tensione, fa allegria, coni figli piccoli e grandi e qualche uomo che le guarda protet-tivo. Mi dicono che molte altre stanno arrivando. Timore esperanza si dividono la mia testa al cinquanta per cento.

Corradi stavolta non scrive, chiama.“La radio diffonde notizie catastrofiche. Le organizza-

zioni cattoliche non ci stanno più, non vogliono far corrererischi ai loro gruppi. Scordati le filippine e le polacche”.

Non faccio in tempo a chiedermi come rimediare chearriva Giulio. Cattivo e contento: “È la prima volta da tren-t’anni che per una manifestazione promossa dalla SinistraUnita qui a Prato i commercianti hanno paura. Oggi tutti inegozi stanno chiudendo le serrande, questo è molto offen-sivo, ed è una sconfitta politica. Per colpa tua stanno met-tendo a fuoco la città”.

“Chi?”“I no global. Se tu non avessi deciso di agitare la piazza

con la tua catena umana non sarebbero mai venuti”.“Tu sei un vero provocatore. Tu e il tuo maledetto sinda-

co. Sperate di far leggere la realtà all’incontrario, ma non ciriuscirete. Io avevo deciso di fare una manifestazione sulla

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quale le persone di buonsenso erano e sono d’accordo.Tutte tranne voi, che per ostacolarci avete fatto entrare incittà i violenti”.

“Hai detto bene: tu hai deciso, da sola e contro il nostroparere e ora solo tu ne porterai la responsabilità. Auguratiche non succeda nulla di più grave”.

Così dicendo se ne va, ma le donne hanno ascoltato ilnostro scontro verbale attente e preoccupate. E comincianoad avere paura. Si chiedono se hanno sbagliato a venire.

Qualcuna prende il telefono: “Dobbiamo avvertire leamiche di non andare incontro al pericolo: dove sono gliscontri? Devi dircelo, non ci far massacrare”.

Se confermo che Giulio diceva il vero, se ne andrannotutte, la manifestazione fallirà e a quel punto davvero cor-reranno grandi rischi, comprese le rappresaglie dei delin-quenti. Se nego, be’, questo non sarebbe giusto. Non sareb-be rispettoso. Non me lo perdonerei.

Alì mi viene in soccorso. Puntando sulla mia popolaritàconquistata in poco tempo, spiega: “Sorelle, se ve ne anda-te ora, la nostra Luisa la impalano e chi ci aiuterà? Il Pieriche in tutti questi anni non ha fatto nulla e quel poco lo hafatto contro di noi? Fermatevi e chiamate tutte le donne checonoscete. Se ve ne andate ora non venite mai più a chie-dermi aiuto”.

Qualcuna se ne va comunque, le altre – ormai non più diuna trentina – sono indecise, la situazione è in bilico, a menodi un’idea brillante tutto è perduto, la città è contro di noi, ele donne non verranno più, i giornalisti neanche, impegnaticome saranno a documentare gli scontri, i feriti, i danni.

Le conto, troppo poche per una catena umana, non arri-verebbero a circondare neanche un villino a due piani, figu-

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riamoci il mostro di via Soriano. È un clamoroso insucces-so. Ho voglia di piangere, mi sono giocata tutto su questagiornata. E ho perso. Non mi resta che trovare una via d’usci-ta per queste donne, che hanno sbagliato a credere in me.

Una lacrima vera, non da lacrimogeno, mi scivola dal-l’angolo dell’occhio destro. Indosso gli occhiali, mi giro eporgo la schiena al gruppo, nessuno avrà la soddisfazionedi vedere da vicino la prova della mia sconfitta.

Nonostante sia evidente il suo desiderio di stare sola, unadonna si avvicina. Stringe a sé due figli, uno per ogni mano,e un altro ce l’ha legato alla schiena con un marsupio.

“Sono Amina. Caccia le tue pene. Il mondo è madre,grazie a te e a tutti quelli come te, capaci di amare e diessere generosi. Ti ringrazio a nome dei miei figli, chehanno diritto a sperare nel futuro. Ora ti sembra di averperso tutto, ma ricordati che c’è sempre al mondo un pove-ro più povero di te”.

“Ma io non sono povera, ho soldi quanti me ne bastano”.“Povera di affetti, di bei ricordi da raccontare ai tuoi

figli, povera di emozioni e di successi, povera di vita”, dicestringendo a sé la creatura nel marsupio. Lascia per un atti-mo la manina di uno dei figli e mi tocca la fronte, poi ilcuore, mi guarda con dei magnifici occhi liquidi, grandi,neri, che sembrano intagliati sul volto.

Sento un gran calore da quella mano. Smetto di piange-re all’istante: “Hai ragione. C’è sempre uno più povero,uno a cui viene negato il calore di una mano. Grazie. Tu seiuna grande madre. Darai molta forza e molta fortuna alletue creature”.

M’impongo di riacquistare sicurezza e un aspetto menostropicciato. Ma so di essere un mostro: il sangue sulla

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fronte raggrumato, la faccia piena di polvere solcata dallelacrime, la ruga d’espressione in mezzo agli occhi comeogni volta che sono seriamente preoccupata... se mi vedes-se Anna Laura sarebbe contenta, se mi vedesse Giovannisaprebbe che anche solo per una sera aveva scelto unamaschera patetica.

E siccome oggi è la giornata in cui i miei peggiori pen-sieri si avverano, eccolo Giovanni, sta sbucando dal latodestro del muro. Ora capirà che sono all’angolo, avrà lapossibilità di scrivere qualcosa di realmente pessimo e negodrà moltissimo.

Lo aggredisco: “Sei venuto per scrivere della miasconfitta?”

Ma lui non ha intenzione di fare polemiche e scambiarebattute: ha l’aria affannata e preoccupata.

“Senti, sono riuscito a passare forzando la situazione,cioè il blocco di polizia, grazie al tesserino di giornalista,urlando come un pazzo sulla libertà di stampa e il diritto dicronaca, non certo per sentire stupidaggini”.

“Perché sei venuto?”“Per due motivi. Il primo – ora non è il caso – te lo

dirò un’altra volta. Il secondo è che non si può darla vintaa quel subdolo irresponsabile del Pieri e a quelli comelui. Perciò sono venuto ad avvertirti: oltre la prima tra-versa è pieno di donne. Hanno sentito alla radio del bloc-co, e hanno telefonato a Catarina, che le ha rassicurate: avia Soriano l’unico pericolo è che la manifestazione nonriesca. Sono accorse in massa. Sono tutte con te e per te.Ma la polizia non le fa passare. Prendi in mano la situa-zione e guidala, anziché subirla. Reagisci e alla svelta.Sei una dirigente o no? La capacità si misura nel momen-

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to della crisi, non quando hai il culo coperto e al caldo.Quello lo sanno fare tutti”.

Come se avessi ricevuto una scossa elettrica, mi raddriz-zo, lo guardo, gli dico: “Hai ragione. Grazie”.

Cerco di assumere un atteggiamento autorevole e sicuroper parlare con la polizia. Dieci passi, pochi metri per rag-giungerli e iniziare la trattativa.

Anche allora erano solo dieci passi, solo pochi metri, masembravano una distanza insormontabile. Dieci passi percoprire i pochi metri del corridoio e arrivare alla porta d’in-gresso, quel giorno che avevo deciso di lasciare la casa delpadre. Da un lato un’enorme spinta verso l’autonomia. Unmisto di desiderio di indipendenza, voglia di stare sola, erivalsa verso l’Alunni, il bravo militante che non era maistato il bravo padre che avrei voluto. Dall’altro la sensazio-ne di lasciare un porto sicuro mi tirava indietro. Ma la casadegli Alunni ormai da tempo non era più la mia. Mi riporta-va al passato. Ai rimpianti e al dolore della perdita. Io inve-ce dovevo e volevo andare avanti.

Papà usciva sempre alle otto del mattino. Perciò avevoscelto le nove come ora X e l’avevo avvertito. Avrei aspet-tato di vederlo uscire, l’avrei salutato come sempre, ma conla valigia pronta. Se lui usciva per primo – ho pensato – cisaremmo risparmiati l’imbarazzo dei saluti importanti,delle parole gravi.

Per la prima volta in vita sua quel mattino alle nove luiera a casa.

Quando ho finito di raccogliere le mie cose ho alzato gliocchi e l’ho visto stagliarsi in controluce nella porta. Misembrava un gigante, come quando ero bambina. Per un

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momento mi sono chiesta: chi mi proteggerà da oggi inpoi? Mi sono risposta: io, mi proteggerò da sola. Gli hodetto ciao papà e mi sono avvicinata per salutarlo con unbacio. Il mio gigante aveva i lineamenti contratti e unalacrima gli dondolava sul naso in attesa di lasciare per sem-pre il suo volto.

“Piangi?”, gli chiedo incredula. Mi sembrava impossibi-le che lui così forte, irridente, lui che non aveva mai avutobisogno di noi – gli bastava la politica a riempire la vita –dicesse: “Mi lasci anche tu. Ileana e ora tu. Venderò la casa,non posso sopravvivere qui da solo”.

“La mamma è morta... io invece tornerò. Mia sorella tor-nerà”.

“Che c’entra tua sorella... lei è lontana da tanto tempo.Senza te qui non sarà mai più lo stesso”.

Mi hai dato una foto di te e della mamma giovani, sorri-denti, spavaldi, padroni del mondo. Bellissimi. “Eravamosulla terrazza della Bersagliera, quel bel ristorante napoleta-no. Avevamo scelto Napoli per una piccola vacanza, nonabbiamo mai fatto un viaggio di nozze. Era un’usanza bor-ghese e troppo costosa per noi. Stavamo in una pensioncinavicino al lungomare Caracciolo: pochi soldi tutto compresoprima colazione e cena. Quella sera tua madre mi avevadetto: facciamo un colpo di testa e andiamo a cena in un belristorante, per una volta nella vita. Così, per ricordarceloquando saremo vecchi. Abbiamo aperto il portafogli e conta-to più volte quello che avevamo. Facevamo dei mucchietti:questo è per il viaggio di ritorno, questo per sviluppare il rul-lino con le foto ricordo, questo è meglio metterlo da parte incaso di imprevisti. Niente da fare, era impossibile. La delu-sione sul viso di tua madre era un coltello nella ferita per me.

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Allora ho guardato lei così bella. Il mare così bello. Le hodetto vieni con me. L’ho presa per mano e l’ho portata sullaterrazza della Bersagliera. Davanti a noi il mare di Napoli,tutto un luccichio, come i suoi occhi. Sotto di noi la cucinaci faceva arrivare degli odori meravigliosi. L’ho abbracciatae le ho detto amore mio chiudi gli occhi e respira forte. Sentiche profumi: ora ci stanno portando gli spaghetti alle vongo-le in bianco come piacciono a te, ecco un fritto misto... oraarrivano le melanzane alla parmigiana, e per chiudere un belcaffè, ed è tutto gratis. C’erano due soldati americani che ciguardavano incuriositi. Ho chiesto: ci scattate una foto? Noncapivano la lingua, ma hanno capito la richiesta. Sorridendohanno detto di sì. Quando diceva la più bella cena della miavita tua madre si riferiva a quella. Sono certo che quella serasei stata concepita tu. Perciò ecco, tienila”.

“Ma la foto è tua, il ricordo è tuo, non posso privartene”.“Nessuno può privarmi del ricordo di tua madre e di

quella sera. E ora vai. Ricordami così, con lei accanto”, haidetto salutandomi, quasi spingendomi via.

Le tue lacrime hanno cancellato tutte le mie sofferenzedi bambina. Sbagliavo su di te, avevo sempre sbagliato. Mivolevi bene ma ognuno ama a modo suo. Io invece pensa-vo a un affetto standard, quello delle frasi nei cioccolatini,dei temi in classe alle elementari.

Ho fatto quei dieci passi nel corridoio per staccarmi date e diventare adulta in modo definitivo, con un groppo ingola e un enorme peso sulle spalle. Se vedi tuo padre pian-gere diventi maggiorenne all’istante.

Sono stati i dieci passi più faticosi fino a oggi.Da allora non ho mai più pianto, né di dolore né di rabbia.

Non fino a oggi: la data della mia maggiore età politica.

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Alle mie spalle c’è Alì con le poche donne rimaste. E c’èGiovanni, che per la prima volta mi è accanto, solidale.Non posso deluderli.

Davanti ho un muro ostile al quale ho dichiarato guerra,e uno schieramento militare minaccioso. Ancora oltreaspettano altre donne, che a quanto sembra sono con me, sesaprò dimostrare che sono un capo in grado di guidarle eproteggerle.

Mi basta fare dieci passi, pochi metri, per andare a par-lamentare e cercare di portare a casa il risultato. Sono com-battuta fra la necessità di muovermi e il timore che la poli-zia mi sberleffi, che il commissario si rifiuti di parlarmi. Infondo chi sono io per trattare con loro? Una sconosciutadirigente di partito. Sarebbe una catastrofe, la pietra tomba-le sulle possibilità di riuscita della manifestazione e su qua-lunque ambizione.

Metto le mani in tasca e stringo i pugni. La mano incon-tra la goccia di plastica, regalo di Irina. Mi dà coraggio. Miavvio lentamente.

Nel silenzio irreale sento Amina, la grande madre, cheintona un canto. Una a una tutte le donne si uniscono a lei.Il canto resta un attimo sospeso nell’aria. Poi, lontano, dal-l’altra parte del muro e della strada, altre voci fanno eco. Ledonne che non possono passare hanno chiuso la catena conil loro canto, e dicono: ci siamo anche noi.

Mi danno forza. Il mio passo si fa più deciso, spinto daquelle voci.

Quasi senza rendermene conto mi trovo davanti al com-missario che comanda il reparto.

“Le donne che sono là dietro – gli dico – deve farle pas-sare, è la loro grande occasione”.

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“Non posso – risponde impassibile, per nulla toccatodall’atmosfera drammatica, dal canto, dalla tensione tangi-bile – gli ordini sono precisi: fino a quando ci sono in giroi black block non posso far correre rischi ad altri manife-stanti, e pertanto non passerà nessuno”.

È inutile insistere, gli ordini per un poliziotto non sidiscutono. Tento l’ultima carta.

“Allora lasciatemi trattare con i no global. Se capisconoche cosa voglio ottenere, secondo me li convinco”.

Il poliziotto abbandona l’aplomb e ride sarcastico.“Si accomodi pure, se ci tiene, ma quelli li convinci solo

mettendoli in galera o nell’impossibilità di nuocere”.“Metterli in galera è compito suo. Provare a parlarci

compito mio. Grazie per l’autorizzazione, dica ai suoiuomini di lasciarmi passare”.

Avanzo decisa, ho paura che mi fermi, che abbia dettoper scherzo. Invece il poliziotto fa un cenno e le forze del-l’ordine aprono un varco, come accadde a Mosè col MarRosso. Il commissario è convinto che non riuscirò dovenessuno di loro è riuscito finora, e già pregusta la soddisfa-zione di dare una lezioncina alla signorina sotuttoio quan-do tornerà indietro con le pive nel sacco.

Mi avvicino al gruppo silenzioso e minaccioso. Con unavoce alta e ferma che quasi non mi riconosco chiedo di par-lamentare. Non so a chi rivolgermi di preciso: non ci sonogerarchie apparenti. Tutti hanno lo stesso abbigliamento elo stesso atteggiamento: chiuso e aggressivo. Trenta secon-di di stallo completo. Poi un ragazzino si stacca leggermen-te dal gruppo e avanza, ha il cappuccio fin sugli occhi e unaspecie di passamontagna, l’abbigliamento da manifestazio-

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ni di piazza. Escono fuori solo le pupille che sembranopunte di spillo. Lo guardo dritto in quel che vedo degliocchi e gli dico senza mezzi termini indicando le donne chestanno ferme, bloccate e non possono passare: “Non puoirubare la speranza di un futuro migliore a quelle madri”.

Guardo il gruppo dei giovani e oltre loro quello delledonne. In effetti sono tante.

Il ragazzino non è per nulla intimorito, con lui evidente-mente la retorica non paga.

“E tu chi sei per decidere cosa è meglio per loro?”“Tu piuttosto chi sei: io le ho chiamate perché prendes-

sero in mano il loro destino. Hanno risposto sì, perchéragionando con la loro testa hanno pensato che la mia paci-fica catena umana fosse un’azione sensata, dimostrativa,con buone possibilità. Un’azione contro i delinquenti econtro un sindaco che le vuole segregare. Tu invece te nestai comodo a casa tua, poi a un certo punto decidi di veni-re a tirare qualche sasso e non chiedi il permesso di parla-re in nome e per conto loro”.

“La violenza è l’unico modo per risolvere le ingiustiziesociali e abbattere i muri. Se parli non ti ascoltano. La vio-lenza è l’unica lingua che il regime capisce”.

“La violenza queste donne la conoscono molto bene.La subiscono tutti i giorni. Se la usi contro di loro ti con-sidereranno un nemico. Come il datore di lavoro che lesfrutta. Come quelli del racket che prima le sfruttano e poile picchiano. Come i benpensanti che le tengono segrega-te dietro a un mostro d’acciaio nelle ore in cui non lavo-rano per loro. Che differenza c’è fra la tua violenza equella degli altri?”

“La mia è solo contro i poliziotti”.

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“No. È contro i poliziotti, i passanti, i negozianti, ledonne che vogliono manifestare. I padroni veri, quelli nonriesci neanche ad avvicinarli con la tua violenza. Mandanoaltri a farsi picchiare. Io non voglio giudicarti, e non m’inte-ressa discutere di questo. Ti chiedo solamente: lasciale pas-sare. Lascia a loro decidere se vogliono partecipare. Nehanno il diritto: se lo sono guadagnato attraversando il maresopra le carrette, vedendo i loro padri e mariti affogare. Ealtri compagni morire soffocati nei container. Non sei Dio,non puoi determinare il loro futuro. Scansati, falle passare”.

Il ragazzino per la prima volta esita, si rende conto chenon ho torto e la situazione promette solo guai: “Per me seicompletamente fuori, ma se faccio quello che dici, voglioessere certo che la polizia non ne approfitterà per arrestarei compagni. Puoi garantirmelo?”

“Posso provarci”.Benedico l’inventore dei telefoni cellulari, chiamo

Corradi, gli spiego la situazione. Lui mi assicura: dammiun po’ di tempo e ti faccio sapere.

Riferisco al giovane black block.“Se fai stare tranquilli i tuoi per tre minuti sono certa che

ci riusciremo, il mio dirigente è dal prefetto, a breve richia-merà”.

In effetti così avviene, il rappresentante del governo hacapito che la situazione è incandescente, non può aggravar-la. Sto offrendo una buona via d’uscita a tutti. La trattativaè conclusa positivamente, come conferma subito dopoanche il commissario della polizia presente.

I no global si scioglieranno passando da una delle vielaterali che nel frattempo la polizia avrà abbandonato. Ledonne passeranno dall’altra.

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Mi metto alla testa del corteo: ora che la tensione è scioltavedo che le donne sono moltissime. Non riesco a contarletutte. Vanno a ricongiungersi con le altre a via Soriano.

La catena umana è bellissima e molto più grande delprevisto. Amina canta ancora, stavolta senza malinconia,e donne di tutte le etnie si uniscono a lei. L’atmosfera è digioia, la preoccupazione è sfumata. Al momento in cuitutto il muro è circondato, la prima donna si salda conl’ultima e la catena si chiude, la mia felicità è grande epiena, tanto più grande quanto più è stata sofferta e con-quistata con le unghie e i denti.

Da quel momento vivo come sospesa in aria, come in unfilm. Vedo i lampi dei fotografi e le telecamere, tutti sonoriusciti ad arrivare grazie allo scioglimento del blocco.Tutti mi chiedono qualcosa, vogliono una dichiarazione, midanno una pacca sulle spalle, un incoraggiamento. Si con-gratulano.

Corradi ad alta voce, che tutti sentano, dice: “Sono fierodi te. Sei una dirigente come non se ne vedevano datempo”.

Sto ancora assaporando la gioia di un giudizio cosìimportante, e si avvicina anche Giovanni.

“Non credevo saresti riuscita a tanto. Brava. Hai la miasincera ammirazione”, e mi tende la mano.

Gliela stringo e lo ringrazio: “Una parte del successo lodevo a te”, vorrei aggiungere che da lui mi sarei aspettataun commento meno formale, un abbraccio. Ma come fac-cio, con tutta quella gente lì ad ascoltare.

Corradi mi prende sottobraccio e chiede ai fotografi diimmortalarci così, con accanto Alì e dietro la catenaumana.

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“Questa foto me la mandate” poi, rivolto a me: “Voglioaverla nel mio ufficio, fra le cose a cui tengo, i ricordi piùbelli. Accanto alle altre foto che già conosci”.

“Non ce l’avrei fatta senza di te”.“Nessuno ce la fa da solo, ma molti non ce la fanno

neanche con una spinta formidabile. A proposito, corri alavarti la faccia e mettiti in ordine, così sporca e sanguinan-te sembra che tu sia stata in Iraq e non a Prato. Viene per-fino Eugenio per la conferenza stampa”.

“Proprio lui, che ci ha ostacolato in ogni modo, anchesubdolamente”.

“È il segretario di Sinistra Unita. Ci è ostile, perciò lanostra sconfitta sarebbe stata un suo successo. Ma è il capo,perciò ogni nostro successo è un suo successo. La sua pre-senza è un riconoscimento importante, non si scomodereb-be per una cosa da poco. Comunque da oggi non potrà pre-scindere da te”.

Anche l’ultima cosa da fare è stata fatta, le donne hannoorganizzato il cambio per garantire il presidio nella notte etutto è tranquillo. Alì resterà con loro: vuole esserci perchéè un’occasione storica. E vuole esserci per garantirsi chetutto vada per il verso giusto fino alla fine.

Qualche giornalista gira cercando curiosità e retroscena,come se la cronaca della giornata non fosse già abbastan-za ricca da riempire paginate. Ma non me ne curo: in altrimomenti ne sarei infastidita, ora sono stanchissima, latensione è calata e sento tutto il peso delle ultime setti-mane, delle ultime ore. Il successo non basta a cancella-re amarissime considerazioni: per un pelo la politicafiglia dell’intrigo e del potere personale non portava al

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disastro l’iniziativa e con essa centinaia di persone. Illoro destino è indifferente sia a Eugenio sia a Pieri, inte-ressati solo al potere e al consenso. E i giornali, chepotrebbero scrivere tutto, preferiscono parlare di insigni-ficanti pettegolezzi di palazzo o cercare dettagli sui vesti-ti delle manifestanti.

Dovrei sentirmi al settimo cielo, invece oscillo framalinconia e rimpianto. Rimpianto per tutte le cose allequali ho rinunciato – a cominciare da una vita normale –per fare politica in mezzo a belve feroci che le levanosignificato.

Malinconia perché la politica sia pur popolata di cattivi,è il mio sogno, e non ne ho uno di ricambio. E senza unsogno non è vivere. L’obiettivo delle mie giornate non puòessere alzarsi e mangiare, mangiare e andare a letto e inmezzo lavorare.

O forse è giunto il momento di smettere di sognare unapolitica che non esiste e non esisterà mai.

Decido d’impulso: partirò senza partecipare alla confe-renza stampa.

Se vedo Eugenio arringare i giornalisti come se l’ideafosse sua, come se avesse fatto di tutto per garantirne il suc-cesso, sono quasi sicura di vomitargli addosso. Se vedoGiustina idem. Se vedo Anna Laura non sono certa di man-tenere il controllo: non mi ha fatto nulla, ma appartiene allostesso mondo del segretario, lo sento a pelle.

Confido nella doccia, che l’acqua faccia scivolare via spor-cizia e tensione insieme. E mi restituisca un umore migliore.

Ma non funziona: la tensione in effetti mi abbandonaperò mi lascia addosso una lucida freddezza. Guardo le

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cose dall’esterno, come se non mi riguardassero. Se la poli-tica è quella degli opportunisti, dei banditi, degli intriganti,allora non fa per me. O forse io non sono adatta alla politi-ca. Tornerò a Roma e poi deciderò se dare un addio aSinistra Unita, alla politica tutta, alla vita attuale. Sì,meglio dare un taglio a tutto che dover sdoppiare la propriapersonalità per sopravvivere in quel mondo.

Ho bisogno di una voce buona e normale.“Ciao papà, hai sentito le novità?”“Certo. Faccio ancora l’idraulico di tanto in tanto, l’hai

dimenticato? Come tutti gli artigiani ascolto molto la radio.Sei una specie di eroina. Sei stata davvero brava figlia mia.Sono fiero di te. Avrei voluto dirtelo subito, ma ho avutopaura di disturbare, ho pensato che fossi impegnata agoderti il tuo successo... Che hai, ti sento una voce che nonmi piace...”

“Se questo è il successo... se lo stanno godendo il segre-tario e i suoi camerieri, dopo avermi messo i bastoni fra leruote, ora sembra che sia tutto merito loro”.

“Sono sempre stati dei pezzi di merda, mica lo scopriadesso”.

“Invece sì, sapevo che erano spregiudicati ma nonimmaginavo fino a che punto... e ora, ecco, sono delusa.Ascoltando te e la mamma pensavo che la politica fosseun’altra cosa. Mai avrei pensato che il mio impegno princi-pale fosse difendermi dagli amici. Mi sa che questa vitanon fa per me”.

“Non vorrai dargliela vinta! Ricordati: sono loro inade-guati. Non mollare”.

“E come si fa, sono circondata, mi sembra di non avereintorno nessuna persona normale”.

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“Ora sei stanca e amareggiata. Come padre dovrei con-sigliarti di lasciare perdere tutto e fare una vita più tranquil-la. Ma ti conosco abbastanza per sapere che senza la politi-ca non camperesti bene. D’altronde è una malattia di fami-glia: ce l’aveva tua madre e ce l’avevo io... Ascoltami,rifletti prima di fare qualunque scelta. Per compiere ungesto ci vuole un attimo, per pentirsene a volte non bastauna vita intera. Se lasci un vuoto ci sarà subito qualcunoche non vede l’ora di riempirlo. Magari uno che vale lametà rispetto a te”.

“Ci penserò, ti abbraccio forte. Appena sono a casa tichiamo. A proposito, tanti saluti da Cornero. Quante me neha raccontate sul tuo conto...”

“Non farci caso, i vecchi quando parlano della loro gio-ventù esagerano. E lui è sempre stato un chiacchierone.Comportati bene”.

“L’ho trovata una storia bellissima... tu e la mamma... tiinvidio papà”.

“Non invidiarmi. Sei sempre in tempo a vivere un gran-de amore, basta volerlo. Devi solo liberarti”.

“Da cosa?”“Dalla paura di amare. Non essere tirchia con te stessa.

Ciao”.

Ancora in accappatoio mi butto sul letto e chiudo gliocchi. È successo tutto talmente in fretta che ho addiritturadifficoltà a mettere in ordine i ricordi della giornata...Amina, le sue parole e il suo canto, il tocco della suamano... l’inaspettato aiuto di Giovanni... la bellezza e laforza delle donne tutte insieme... la cattiveria e gli intri-ghi...

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Il suono di un sms mi riporta alla realtà. “È arrivato ilmomento di parlare del primo motivo. Quando possovederti? Giovanni”. Vorrei rispondergli: “Subito”. Maadesso non ho la forza di fronteggiare un uomo tanto com-plicato e volubile.

Adesso mi vestirò e farò i bagagli. Gli risponderò piùtardi. Tanto sto partendo, anche volendo non potremmoincontrarci oggi.

Passo al partito per salutare Corradi e dirgli che me nevado. Ma è troppo tardi, sono già tutti alla conferenza stam-pa. C’è Sinistra Unita al gran completo a raccogliere gliallori. Resto in fondo alla sala per un colpo d’occhio.

Pieri, in prima fila. Il segretario provinciale sorride atutti, come se fosse al settimo cielo. Lotti come sempre è unpo’ defilato. Eugenio parla amabilmente con i giornalisti,raccontando dettagli di una manifestazione che non haneanche visto. Dulcis in fundo, ecco Giustina, con l’atteg-giamento della matrona che contrasta con il vestituccio dapiccola borghese, e un mucchio di carte in mano che fatanto grande dirigente che non ha avuto un attimo per leg-gere i giornali e i documenti. Saluta i giornalisti, va a seder-si alla presidenza e concede un’intervista alla tv localeprima dell’inizio. Il tg non può attendere.

“Oggi è un gran giorno. Oggi avete avuto la prova chegrazie alle donne la politica diventerà luminosa, trasparen-te come un palazzo di cristallo”.

Parla di me e non mi nomina mai: ignobile opportunista.In quel momento arriva un messaggio di Lorenzo: “Brava,brava, brava! Siamo forti”. A suo modo il verme si è riscat-tato. Devo dire a Marco di non chiamarlo più verme.

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Ecco la Proietti, ora il teatrino è al completo: è in ghin-gheri come se dovesse andare a un party dalla sua amicaPoli. Sempre overdressed, come dicono gli inglesi, unabella donna troppo vestita, troppo pettinata, troppo truc-cata. Insomma, troppo. Anche troppo chiacchierona. Inquesto momento racconta pure a chi non lo vuole sapereche la prima a scrivere della catena umana è stata lei,quasi che il merito della riuscita fosse il suo. I colleghi lascansano in velocità, sono abituati alle sue performance esanno difendersi. Ma un po’ di pubblico non le manca: lasua scollatura vertiginosa è di per sé un buon motivo peralcuni maschi, che la stanno a sentire con apparente inte-resse. Compreso Eugenio, che le si è avvicinato inseren-dosi nel capannello, la prende sottobraccio e le parla convoce alta e gran sussiego, per attrarre l’attenzione delmaggior numero possibile di presenti.

“Carissima Anna Laura, finalmente ci incontriamo!Dobbiamo al tuo scoop l’esito positivo della manifestazio-ne, hai suscitato tanta curiosità in un momento in cui nes-suno sapeva dell’esistenza del progetto. Ho apprezzatomoltissimo l’acume, l’intuito, l’intelligenza politica e lacapacità di analisi, ma ora che ti conosco di personaapprezzo anche il resto”, e le guarda con insistenza il senogenerosamente offerto allo sguardo. “So che sei moltoamica di Giustina, le tirerò le orecchie per avermi tenutonascosto un gioiello prezioso come te. Brava e bella.Avremo modo di recuperare il tempo perduto spero”.Abbassando un po’ la voce aggiunge: “Stasera vieni a cenacon me? Al telefono me l’hai promesso e ora che ti hoconosciuta non tollererò un rifiuto”.

“Per te mi libero volentieri. Ci sarà anche tua moglie?”

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“Mara è a Roma, io viaggio da solo, ma non amo la soli-tudine”.

Ed ecco puntuale lo scambio di biglietti, con una picco-la aggiunta a mano: il numero di cellulare è indispensabileper il primo appuntamento.

“Se l’avessi perduto...”, Eugenio quando vuole non lascianulla al caso. Per lui conquistare la redattrice di un giornaleimportante è la differenza fra avere o no una quinta colonnain territorio nemico. Per Anna Laura invece potrebbe essereuna buona tappa di avvicinamento al successo. Un segretariodi partito aiuta sempre. Ora che Giovanni l’ha delusa, haprogetti ambiziosi: meno amore e più carriera.

Per quanto scruti fra gruppi e gruppetti non vedoGiovanni nella folla di giornalisti che si accalca nella saladella federazione. Gli devo molto: il suo intervento è arri-vato a proposito, nel momento più delicato e decisivo. Nelmomento in cui stavo per arrendermi. Ora si è eclissato...non aver ricevuto risposta all’sms l’avrà fatto infuriare.Magari si starà consolando con Lorena. Domani lo chiame-rò per ringraziarlo... non è opportuno rompere i rapporticon un giornalista. Purché non pensi di essere stato perdo-nato, quello proprio no.

Me ne vado, non saluto nessuno e nessuno si accorge dime. Di fronte al grumo di potere che siede al tavolo dellapresidenza la mia gloria è già dimenticata. Per i giornalistiil potere è irresistibile.

Il telefono suona ripetutamente. Non ho voglia dirispondere. Qualunque conversazione sarebbe troppoimpegnativa in questo momento. E poi è numero privato,non immagino chi possa chiamare, visto che Corradi è lìseduto accanto a Eugenio e sta parlando al telefono.

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Sul treno guardo il paesaggio, ma non lo vedo e il ritmoregolare della carrozza mi fa addormentare. Mi sveglia disoprassalto un sussurro nell’orecchio.

“Perché non sei a raccogliere i tuoi allori?”Giovanni, sta tornando anche lui a Roma, e mi si siede

accanto.“Come mai non sei alla conferenza stampa e come mai

non hai risposto al telefono?”Mezza stordita dal sonno interrotto rispondo con since-

rità: “Sono stanchissima e demotivata. Credo non valga lapena fare nulla né parlare con nessuno”.

“Neanche con me? Mi devi una spiegazione. Non sonoabituato a farmi scaricare prima ancora di essere preso abordo. E non sono abituato a essere trattato come un paccoche si prende e si lascia secondo i comodi e gli umori delmomento”.

Rido della sua concitazione e dopo un secondo ridepure lui.

“Veramente non volevo disturbarti: Anna Laura mi hadetto che eri molto impegnato con Lorena Poli. Io nonposso competere con una super-donna di quel genere”.

“Allora è per questo! Anna Laura non si fa mai gli affa-ri suoi. Lorena non è niente per me”.

“Un pezzo della tua collezione: prima le intervisti poi leporti a letto. Peccato che con me non ne hai avuto il tempo,ti manca una tacca”.

“Senti, accetto che la cosa possa essere mal interpretatae ti abbia contrariato, ma ti prego: non usare questo tonoacido, non dire cose stupide e rifletti sul fatto che mi hai giàabbastanza maltrattato. E smetti di atteggiarti a censore.Non ho mai detto di essere un santo, mai giurato astinenza.

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Sono un uomo normale a cui può capitare una scopata ognitanto. Ma con la Poli nulla più di così. Con te sarebbe statodiverso. Se solo ne avessi avuto l’occasione. Se tu non fossisempre circondata di gente, oppure respingente, comeadesso”.

Arrossisco al pensiero di quella sera, senza Giulio fra ipiedi... magari avrei fatto un grande errore. O magari no.

“Chi mi garantisce...”“Io. Stai con me e ti giuro che non vedrai nessun’altra

intorno”.“Cos’è una proposta?”“Naturalmente. Cosa devo dire per farmi capire. Sei una

donna talmente strana e a volte feroce che mi aspetto ditutto...”

“Non pensare questo di me, te ne prego. Abbi pietà: leultime settimane sono state un peso incredibile. Ho impara-to troppo, e forse quello che ho imparato non mi piace.Forse la politica non mi interessa. Comunque ho bisogno diun po’ di vuoto. Tempo per pensare. Per parlare con lasignora Rosalba dei fiori, con la verduraia del mercatinosotto casa. Poi ti chiamo, lo giuro. Anch’io sono felicequando ti vedo, ti parlo, ti ho accanto. Ma non sono ladonna di una sera. Ho bisogno di un rapporto solido”.

“Se fossi venuta da me quella sera non avremmo spreca-to tanto tempo in inutili guerriglie. Dimmi solo se l’haifatto apposta o sei stata realmente trattenuta”.

“Corradi non smetteva di parlare, ero in una situazio-ne tale che mi sembrava impossibile alzarmi e andarevia. Credi, è dispiaciuto anche a me. Per tutto il tempoho pensato a quanto sarebbe stato bello passare la seratacon te”.

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“Anch’io ti ho pensata per ore. Pensavo ai tuoi occhi,alle tue mani. Poi mi dicevo che la cosa più bella che haiè il seno. Poi, non so perché, pensavo al tuo ombelico, cheimmagino piccolo tondo e ben definito. Poi ci ripensavo emi dicevo che la cosa più bella di te è la tua testa, la nuca,la fronte ampia e tutto ciò che contiene. Poi ho capito chenon saresti più venuta e avrei voluto ucciderti.Comunque, alla fine ho stabilito qual è la cosa più bruttache hai”.

“Quale?”“Il carattere, mai conosciuto uno peggiore”.Ci sorridiamo finalmente zitti. Il viaggio passa in fretta,

seduti uno accanto all’altra in completo silenzio: un silen-zio buono, senza astio o reticenze.

Siamo in stazione. Scendiamo insieme, lui m’aiuta conle mille carte, vorrei salutarlo dandogli la mano, ma non homani libere. Mi accosto per i due classici baci sulle guance.“Non così”, mi dice, e davanti a centinaia di persone allastazione Termini mi stringe fra le sue braccia e mi baciacon passione. Non mi sottraggo, ma non partecipo troppo.Non riesco a lasciare spazio alle emozioni con la confusio-ne che ho in testa.

Si scosta: “Voglio una spiegazione a questo gelo”.“Te l’ho detto. Non ho rapporti di plastica con le perso-

ne, io. Non mi bastano pochi rapidi scambi”.“Non è quello che cerco da te. Perciò voglio tre ore tutte

e solo per me. Per farti capire chi sono. Per conoscerci”.Nicchio, poi accetto, ho bisogno di tempo anch’io.“Ok, stasera vieni da me. Ti consento di entrare in casa

mia, e sei il primo uomo, a parte mio padre e Marco. Nonfarmene pentire”.

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Il taxi mi lascia al partito, poso le carte in ufficio e poi,il resto del bagaglio è leggero, decido per una passeggiatain centro: come mi è mancata Roma, la sua bellezza, la suasciatteria. La sua cialtroneria. La confusione. La battutacaustica sempre pronta. La generosità.

Camminando arrivo alla scalinata di piazza di Spagna: c’èun predicatore che tenta di parlare a tutti i passanti, maquasi nessuno vuol parlare con lui. Sarà un matto. A mepiacciono i matti e mi piace la scalinata. Perciò mi fermo emi siedo. Lo osservo da dietro, il frate si gira. Ha davverolo sguardo di un invasato.

“Ti regalo un consiglio”.“In cambio vuoi la mia anima?”“E che me ne faccio? No, cerco solo di regalare a ciascu-

no un po’ di equilibrio, perché facendo pulizia nella nostraanima la prepariamo all’incontro con Dio”.

“Quale dio?”“Qualunque dio”.“Anche uno che non conosco?”“Sì, anche quello”.“E qual è il tuo consiglio?”“Non cercare soluzioni improbabili. Sii consapevole di

te e della tua fortuna, di quello che realmente vuoi”.“Io non voglio niente”.“Non è vero. Inganni te stessa. Tu vuoi tutto, ma tutto

non lo puoi avere, scegli e ogni scelta è una conquista e unsacrificio. Scegli, non restare in mezzo al guado”.

“Sono troppo stanca e pigra, non ce la faccio a scegliere”.“Stai in ascolto, la tua anima ti parlerà. Ma per ascolta-

re fermati”.

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Il tipo è matto, ma quello che dice lo penso anche io,devo assecondare la mia pigrizia e rinunciare alla lotta.Questa vita mi lascia in bocca un disgusto e una nauseaforte. Domani chiamerò Corradi e gli darò l’annuncio perprimo. Scelga un altro candidato. Io mollo. Prima di diven-tare come Eugenio. Prima di diventare come Giustina. Lupifra i lupi. La coerenza, il desiderio di fare bene, di essereutili alla collettività non si possono conciliare con l’attivi-smo frenetico, l’inseguimento della visibilità e del potere.Mi guarderò intorno, troverò un lavoro che mi piace e unuomo che mi piace. Tutto senza complicazioni. Forse èmeglio disdire l’appuntamento con Giovanni. Lui fa partedel mondo che voglio lasciarmi alle spalle. Imbarcarsi inuna storia con lui significherebbe continuare la vita chevoglio abbandonare. Glielo dirò al telefono o di personastasera? Meglio farlo subito. Appena arrivo a casa.

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...e mentre passa il vento o in altoo un’aquila si desta

e carica di voci, luci è tutta la foresta la notte passa il cielo è rosso di mattino

finisce questa gara incominciata dal destino. La stella allora si dichiara spenta e muore

ed ora è un pugno di cenere il suo splendore.(Roversi/Dalla)

“Ciao siniora, oggi mi dai iuro?”“Irina, ma certo”.Frugo nel borsellino alla ricerca di una moneta da due

euro, mi sento vagamente in colpa verso la ragazza per ladecisione che ho appena preso. La politica non c’entranulla con la carità di pochi spiccioli, ma dovrebbe portareequità nel mondo, ed eccole qui la giustizia e l’equità, unaragazzina costretta a mendicare.

Alzo gli occhi su di lei e non riesco a sorriderle.“Ma che ti è successo? Chi è stato?”.La ragazza è più magra che mai, ha il solito segno

all’angolo della bocca, ma stavolta è una vera ferita.“Dimmelo, ti aiuterò”.

XXIV

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“Tu mi porti a polizia e loro fa tante domande e poi nonsuccede nulla e tutto continua peggio”.

“No, ti prometto che troverò per te una buona soluzione”.Allora Irina scoppia a piangere e racconta in modo

sconnesso.“Lui tutte le sere prende soldi mia e conta, poi esce e

beve tanto tanto vino. Quando a casa ubriaco, apre pan-taloni, tocca mio petto e lui diventa duro e molto grande.Allora mette in bocca a me e spinge, spinge, spinge finoa che esce liquido bianco. Fa male e soffoca. E io piangopiano se no lui mena. E ieri piango di più forte perché luichiama figli bambini, e ordina di stai lì e guarda bene,che quando grandi fa anche loro se non vende me primaa uno che vuole vergine. Io piango e lui picchia e picchia,perché se piango non piace. Tu no brava dice, tu puttanavali poco dice e dà schiaffo forte e apre me bocca, quasistrappa denti e infila dentro suo enorme. Io vergogna eschifo, in bocca sempre quel sapore, e se mangia iovomita”.

Il pianto della ragazza ora è irrefrenabile, come di unargine rotto. Misuro la mia impotenza. Ho poco tempo, enon so che fare, ma devo decidermi prima che Irina se neaccorga e non abbia più fiducia in me.

“Vieni con me, a casa mia”.Lei si asciuga gli occhi con la manica sporca e logora

e mi guarda, poi decide che può fidarsi. Ha la mia spillet-ta sul risvolto della camicetta. La tocca. Si alza in piedi:“Io va con te”.

Con un gesto infantile si aggrappa con la mano destraalla mia maglietta, quasi abbia paura che io svanisca. Manon c’è pericolo, ora questo è il mio compito: salvare la

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ragazza e ricompensarla del male che ha subito. Non socome, ma so che lo farò.Arrivata a casa telefono a Lorenzo, mentre Irina si afflosciasul mio divano.

“Aiutami, Marco è sparito e io da qui non posso faremille telefonate perché devo badare a Irina”.

“Irina chi?”“Poi ti spiego tutto, intanto per favore, ti prego, fammi

sapere al più presto di una di quelle case sicure per ragazze chehanno subito violenza. Guarda che è un caso molto grave”.

“Ma non puoi portarla alla polizia, ai servizi sociali?”“Se non l’ho fatto un motivo ci sarà. Smettila di discu-

tere e fa’ quello che ti chiedo, mi hai detto che siamo unasquadra o no? Se non posso contare su di te quando hourgente bisogno... O tramite il partito, oppure usa una delletue infinite relazioni”.

“Va bene, va bene, non prenderla così. Ora provvedo.Per te, tutto”.

Irina sembra un sacco vuoto, non ce la fa neanche alavarsi da sola. Le do dei panni puliti, la pettino, ha un’ariatotalmente diversa, sembra molto più giovane. E c’è unbarlume di speranza in quei magnifici occhi.

Si sono fatte le otto prima che me ne rendessi conto. Suonail citofono, è Giovanni, con un pacchetto in mano.

Lo faccio salire e cerco di preparare mentalmente undiscorsetto per lui, ma il cervello non corre veloce come alsolito: è stata una giornata troppo difficile. È alla portaprima che io abbia imbastito alcunché. Avrà fatto le scale dicorsa. Bussa con insistenza. Irina ha uno sguardo allarma-to, la rassicuro: “È un amico” e apro.

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“Ho portato da mangiare”.“Sei in anticipo”.“Tu sei in ritardo e, come sempre quando devi stare con

me, in compagnia”, indica Irina sul divano.Gli faccio segno di tacere, non voglio che ci senta e

pensi di essere sgradita.“Niente serata romantica. C’è un’emergenza. Anzi devi

aiutarmi”.Gli spiego quel poco che so della ragazza e della sua

terribile situazione, e che Lorenzo sta cercando per lei unrifugio. Al nome di Lorenzo si irrigidisce, vedo che vor-rebbe chiedere, ma capisce da solo che non è il momentogiusto.

Passiamo la serata a mangiare e chiacchierare come vec-chi amici. Dopo l’iniziale difficoltà Irina parla a lungo delsuo paese, della sua famiglia, del rapimento, del ricatto,della violenza, del terrore. È proprio disperata e poi ci guar-da speranzosa. E poi pensa ai genitori in pericolo e piangedi nuovo. Giovanni l’ascolta con grande attenzione e a uncerto punto prende appunti e le promette: “Cercherò i tuoiparenti e capirò se ti hanno rapito oppure...”

Non gli lascio concludere la frase, non voglio che insi-nui in lei dei sospetti sulla sua famiglia, è già abbastanzadisperata. Un po’ per sviare il discorso, un po’ perché misembra una buona idea: “Fanne una grande inchiesta”, loincoraggio, “fallo per tutte quelle come Irina”.

Giovanni è dubbioso: “È una storia talmente drammati-ca che nessuno la crederà del tutto vera. Penseranno che holavorato di fantasia”.

Irina fa capire che se Giovanni vuole registrarla, lei laripeterà per lui. Ma il giornalista scuote la testa.

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“Non stasera, non me la sento di farti ripetere. Prenderòaltre informazioni, chiamerò il nostro corrispondente.Andrò a fondo e poi dovranno darmi retta. Intitolerò l’in-chiesta: Le schiave dei nostri giorni. E tu Irina, quando sta-rai meglio parleremo ancora e mi farai conoscere qualchealtra ragazza. Luisa le aiuterà ad andare nella casa sicura...”

Irina: “Voi me salva io cosa può fare per te?”“Tu... mi aiuterai a diventare famoso e salvarmi da un

futuro di... manovrato speciale”.Non riesco a risparmiargli la battuta: “Allora lo ammetti”.“Non mi piace riconoscerlo, ma questo mestiere è

diventato una trappola per topi”.È onesto da parte sua riconoscerlo. È una persona perbe-

ne, ma ancora una volta affondo il coltello: “Appena cono-sciuti mi hai detto che è il mestiere più bello del mondo”.

“In teoria sì, ma in pratica sempre più siamo burattinimossi da un burattinaio di volta in volta diverso”.

“Che tristezza, siamo arrivati alla stessa conclusione.Neanche la politica è il mestiere più bello del mondo.Piuttosto è il luogo della mediocrità, dell’intrigo, del pote-re fine a se stesso. Che peccato. Che delusione. Ho idea diaver buttato il mio tempo”.

Irina non capisce tutto, in particolare non sa cosa vogliadire Giovanni, ma ha capito che è una persona buona, chele farà del bene. Crolla addormentata sul divano, e nelsonno sorride.

Sorride anche Giovanni: “Ora potremo parlare un po’di noi”.

“Ho esaurito le mie forze fisiche e psichiche. Non sonotanto lucida da parlare seriamente. Né tanto rilassata dalasciarmi andare. Ma non ti ringrazierò mai abbastanza per

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questa serata e per come mi hai aiutato con Irina. Mi cor-reggo, per come mi hai aiutato nelle occasioni più compli-cate. Non dimenticherò mai quello che hai fatto a Prato”.

Quasi lo spingo verso l’uscita. Giovanni sorride.“C’è sempre qualcosa in mezzo a noi, se non è un rom-

pipalle come Giulio è un caso umano gravissimo comeIrina. Se non l’avessi conosciuta e ascoltata direi che lo faiapposta. Ma se prometti che il nostro appuntamento è solorinviato di ventiquattr’ore, ti confesso il primo dei motiviper cui ero a via Soriano quel giorno”.

“Mi prendi per curiosità: prometto”.“Mi scoccia enormemente che il tuo impegno sociale o

politico venga sempre prima di me, ma sento di amartianche per questo tuo modo di essere. Assurda e generosa”.

“Hai appena detto di amarmi”.“Sì e te lo confermo. E tu non hai niente da dirmi?”No, in effetti non ho niente da dirgli in questo momento e

non rispondo, ma ho voglia di baciarlo, per la prima volta, alungo.

Quando ci separiamo Giovanni ci prova: “Allora è un sì,allora posso restare”.

Mi scosto garbatamente e lo saluto con la mano.“È solo un bacio”, e lo lascio con mille dubbi.“A domani, stessa ora, stesso posto”. Se ne va senza vol-

tarsi indietro.Sì, a domani. Dovrò trovare la forza di dirgli che la storia

non può andare avanti: nella mia nuova vita non c’è spazioper un uomo come lui, ma mi piacerebbe restargli amica.

C’è voluta tutta la giornata per sistemare Irina in un postosicuro. L’ho accompagnata e mi sono fermata un po’ con lei

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per farle sentire che non l’abbandono, che può contare su dime. Perciò arrivo a casa tardi anche oggi. Giovanni è già lì,col solito pacchettino di cibo.

“Sei sempre in anticipo”.“Non volevo darti il tempo di ripensarci. Ho passato la

giornata nel timore che chiamassi per disdire. Oggi nonvedo la solita folla. Non dirmi che siamo davvero soli!”

“Invece sì”, scherzo, “non ho trovato nessuno da racco-gliere per strada” e aggiungo più seria: “È stato un beneaver rimandato di un giorno: ho avuto la possibilità diriflettere”.

“Su noi due?”“Anche”.“Parlamene”.“Non ora. Ho bisogno di una doccia, stare in mezzo a

tanta infelicità mi ha levato le energie, ma faccio presto. Epoi abbiamo tutta la sera per parlare”.

“Fai con comodo. Ti aspetto”.Ma non aspetta. La casa è molto piccola, il rumore del-

l’acqua gli fa da calamita. Si leva le scarpe, e vestito com’èmi raggiunge e si infila nella doccia.

La sorpresa dura un attimo, mi sento subito avvolta daun doppio benessere. Quello dell’acqua, il mio elemento, lamia cura contro il malumore. E quello delle braccia diGiovanni delicato e forte, che si stringe addosso a me senzamuoversi, quasi chiedendo permesso.

Un tiepido vapore ci avvolge e sento il desiderio di lui,che corrisponde al mio.

“Mi fanno male i tuoi jeans, levateli se vuoi stare quicon me”.

Ma i jeans bagnati sono una cintura di castità.

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Scoppio a ridere per questa scena da film americanomal riuscito: “Di solito a questo punto i vestiti degli atto-ri volano via in men che non si dica. I tuoi invece sonoincollati come... come una seconda pelle. Ammettilo seiun disastro!”

Lo guardo preoccupata di averlo nuovamente offeso. Perfortuna non se la prende e ride anche lui della situazione edel suo stesso impaccio: “Mai girato un filmaccio primad’ora. Mi sa che non sono portato”.

Quando finalmente riesce a liberarsi il contatto con lapelle è elettrizzante. Per me il corpo di Giovanni è familia-re, nonostante sia la prima volta che stiamo insieme. Siadatta al mio, con una muscolatura forte tonica e allungata,bello. Facciamo l’amore con grande soddisfazione recipro-ca. Forse è la prima volta in vita mia che provo tanto benes-sere, dopo.

Mi vesto per prima. Lui indossa un accappatoio, aspettan-do che il caldo estivo faccia il suo lavoro sui suoi abiti. Ètenero con me. Mi abbraccia ancora. Mi dice ancora ti amo.Mi dice che gli piace il mio seno che ha la forma tonda elarga. E gli piace la mia leggera pancetta, come quella diPaolina Borghese nella famosa statua del Canova. Unadonna magra e morbida al tempo stesso. E a me piace sen-tirglielo dire.

Ci sediamo a mangiare. Parliamo di un sacco di scioc-chezze in modo leggero.

È una serata ideale, mi spiace rovinarla, ma ormai nonposso più rinviare il problema. Lo faccio sedere davanti ame. Cerco di non toccarlo: se lo facessi il contatto mi fareb-be cambiare idea e sarebbe uno sbaglio: “Mi piaci moltissi-

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mo, e l’hai capito bene stasera. Ma sto cercando di dare unasterzata alla mia vita. Di fare delle scelte impegnative. Nonme la sento di impegnarmi con te”.

“Mi hai già fatto aspettare moltissimo. E stasera... nonpuoi giocare con i miei sentimenti”.

Ho una reazione assurda di quelle da disturbata che appe-na mi escono già sono pentita, ma non riesco a frenarmi:“Certo, tu solo puoi giocare con i sentimenti degli altri, puoifare l’amore con un’altra e sparire, o fare promesse e sparire”.

“Ho sempre aspettato te. Che ti decidessi a dirmi di sì”.“Oh, ma io stavo tranquilla, sapevo che eri in buona

compagnia mentre mi aspettavi”.“Ti ho già detto che con la Poli non c’è stato nulla, a

parte un invito che non potevo rifiutare”.“Figuriamoci a certi inviti il maschio latino non dice di

no. E poi, chi sono io per condizionarti: per me sei libero diandare con chi vuoi”.

“Per me invece no. Stai con me e basta, finché dura nonvai con nessun altro”.

“Questa non è la mia regola”.“Ma è la mia. Sulle regole dobbiamo metterci d’accordo

se vogliamo stare insieme”.“Appunto. Chi ha deciso che vogliamo stare insieme?”“Noi, adesso. Non si fa l’amore come l’abbiamo appena

fatto se non si hanno intenzioni serie”.“Non ci siamo sposati” e aggiungo: “Comunque ci pen-

serò”.“Non credevo che tu fossi quel tipo di donna da una

botta e via, hai sempre detto il contrario, ma se devi anco-ra pensarci...”, indossa i vestiti ancora molto umidi, è offe-so e se ne va sbattendo la porta.

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Vorrei corrergli appresso, ma forse è meglio fargli sbol-lire la rabbia. Chissà come mi è venuta quella raffica infe-lice di battute... avrò tempo domani per chiarire con lui.Suona il citofono, forse ci ha ripensato. Gli apro senzaneanche chiedere chi è.

“Ho incontrato l’Orlando furioso all’uscita di casa tua.Era umido e stropicciato. E mi ha ucciso con gli occhi. L’hosalutato e mi ha risposto col tono più antipatico: adesso ètutto chiaro. Cosa mi sono perso?”

“Lorenzo? Tu qui a quest’ora?”“Volevo festeggiare con te il salvataggio avvenuto.

Volevo essere adeguatamente ringraziato”.Sorrido e gli dico: “Grazie a nome di Irina e di tutte le

donne abusate. E ora vattene, non mi reggo più in piedi”.“Certe cose a me vengono benissimo da sdraiato, dun-

que non ti preoccupare”.“Lorenzo possibile che non capisci, non ho più energia,

neanche per dirti di no. Ti prego vattene, fammi riposare unpo’”.

“Domani però?”“Va bene a domani, parleremo finché vuoi”. Prima di

uscire mi abbraccia e mi giura: “Un bacio e ti lascio in pacefino a domani”. Gli do un leggero bacio sulla bocca perliberarmene. E lo spingo fuori. Sperando che le complica-zioni siano finite per stasera.

Giovanni, Lorenzo e naturalmente Corradi. A tutti devoun chiarimento. Tanto vale pensarci domani, ora vogliosolo sprofondare nel sonno. Invece, come se l’avessi chia-mata arriva la telefonata, numero privato.

“Dov’eri, perché non sei rimasta alla conferenza stampae non mi hai avvertito? A un certo punto sei sparita, ti ho

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cercato al telefono e non hai risposto, che modo è di com-portarsi”.

“Io volevo il risultato più di ogni cosa. Altri volevano ilmerito. Ci siamo divisi i compiti. Ognuno ha avuto quelloche più fortemente voleva”.

“E alla tua carriera, non ci pensi?”“Anzi, è la cosa a cui più intensamente ho pensato tut-

t’oggi. Volevo giusto parlartene”.“Ti aspetto domani alle dodici”.“A domani allora”.“A domani”.

L’indomani camminando cerco le parole per dire addio alpartito. Non sarà facile con il maestro.

Lui però m’accoglie con cordialità, confidenza e sembraaddirittura per la prima volta con una certa tenerezza.

“Come ti ho già detto sei stata molto brava, sono fiero di te”.“Me l’ha detto anche mio padre”.“Il buon Alunni... che carattere, hai preso da lui di certo,

ma chi ha carattere di solito ha un cattivo carattere. E quel-lo serve per sopravvivere”.

Il complimento mi spiazza. Non so come comunicarglila decisione, che ora mi sembra quasi un tradimento. Manon ne ho il tempo perché Corradi parla a lungo.

“Dovrei essere in collera con te. Andartene senza un pre-avviso, lasciando campo libero ai nostri avversari. Un erro-re madornale. Il secondo da quando abbiamo iniziato a col-laborare. Tuttavia capisco... Io sono vecchio, eppure nongetto la spugna. Sono stato tante volte battuto, ma tutti mipensano vincitore. Ora ho puntato su di te. Non vogliochiudere la mia carriera con una sconfitta. La politica non

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è quella che vediamo da vicino. È quella che si vede da lon-tano. Uno per uno siamo tutti piccoli uomini, un ammassoenorme di difetti personali. Nel complesso però siamoimportanti e determiniamo i destini della gente. Se nonvuoi che i mediocri abbiano la meglio, non puoi tirartiindietro”.

Come sempre ha capito prima che io parli.“Non voglio sapere nulla ora, tu invece devi sapere che

un vecchio uomo che è anche un vecchio politico ti stachiedendo aiuto. C’è una novità. Mi hanno proposto di fareil segretario del partito per un po’. Una sorta di reggenza,per il tempo che occorre a selezionare una nuova classedirigente. I compagni non ne possono più dell’opportuni-smo di Eugenio e della sua banalità. Della sua pochezza.Del suo familismo. Se accetto, al congresso dovrebbeesserci unanimità sul mio nome e una mozione unica, unasorta di governo unitario del partito che porti alla rifonda-zione. Alla rigenerazione. Ma io non accetterò, se tu nonsarai accanto a me come portavoce. Ho bisogno del tuoentusiasmo e delle tue capacità, del tuo caratteraccio e dellatua ingenuità”.

“Per manovrarmi come un bravo soldatino”.“Per evitare che le sorti del nostro partito siano in mano

ai vecchi come me o a quelli che non hanno nessuna nobil-tà, nessuna grandezza, come Eugenio. Prenditi ventiquat-tr’ore per pensarci”.

“Ma la mia vita...”“La vita non è un lungo fiume tranquillo, è un insieme

di sforzi per raggiungere equilibri successivi e più avanza-ti. L’acqua a volte sembra quasi stagnante, a volte scorreveloce, forma rapide e cascate e noi dobbiamo superarle

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per ottenere qualche raro momento di serenità o di felicità.È così per tutti, perché tu dovresti fare eccezione? Il mondoideale non esiste”.

“Forse non sono tagliata, io amo l’essenziale, il fare, nonl’apparire”.

“Questo è un tuo limite, col tempo imparerai a valo-rizzare quello che fai, a non lasciare troppo spazio aglialtri, a indossare le medaglie che hai conquistato sulcampo. Ma per andare alla sostanza, non essere vigliac-ca, mettiti in gioco. Non lasciare che il carattere preval-ga sull’intelligenza. Se rinunci ora non te lo perdoneraimai. Quando i tuoi figli saranno grandi e ti saluterannoe non saranno a casa al tuo ritorno, e la tua casa saràvuota, guarderai la tv come una casalinga frustrata, pen-sando a tutto quello che non hai fatto? Lo dico per te elo dico anche per me, che in questo momento ho assolu-to bisogno”.

“Lo dici per cortesia”.“Non sono una persona cortese. Invece sono consapevole

dei miei limiti. Credi che io sia autosufficiente? La politica èuna virtù, o se preferisci un vizio collettivo, e una volta cheti è entrata nel sangue non puoi smettere, a meno di rimpian-gerla per tutta la vita. Ora ti saluto, tutto questo filosofeggia-re mi mette di cattivo umore. Aspetto una tua telefonatadomani mattina. Oggi non pensare più al lavoro, vai a fartiuna passeggiata, i capelli, un massaggio. Compra le tuefamose scarpe, magari è venuto il momento di usarle. VediMustacchi. Parlane con lui”.

“Perché dovrei?”Corradi ride: “Se non lo sai tu. Questo non è un genere

di cose che debba insegnarti io”.

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“Va bene, accetto il consiglio, per oggi non lavorerò enon deciderò. Ne riparliamo domani”.

Come sempre, la demagogia paga. Corradi m’ha rigira-ta ben bene. Ero venuta per dire un no e me ne vado senzaaverlo fatto.

È vero, ho bisogno di tempo per ascoltarmi. Per cammina-re a piedi, e non pensare a niente per fare in modo che ipensieri si depositino, che lascino spazio a qualcosa dinuovo e più leggero. Un tempo vuoto di cose da fare. Untempo solo per pensare. Ma non solo oggi.

Non voglio buttarlo il mio tempo. Lo sento squagliarsifra le mani e scivolare via. Corradi, è vecchio eppure ragio-na come se avesse l’infinito davanti. Io no. Non riesco aprescindere dal futuro che immagino per me.

Voglio il tempo per il pensiero. Per fare pace con mestessa. Mi pensavo pigra. Ero semplicemente combattutafra un modo di vivere che sentivo ingiusto e l’unico lavoroche desiderassi veramente fare. Quel lavoro non è come melo figuravo. Perciò sono a un bivio: da una parte una stradache conosco e di cui ormai conosco anche i limiti.Dall’altra l’ignoto. La vita vuota. Tutta da reinventare. Nonso cosa sia peggio. Non ci sto a galleggiare nel nulla. Nonci sto.

È bello passare al solito angolo e non vedere più Irinacon la mano tesa. Ma di certo molto presto un’altra poveraragazza prenderà il suo posto.È sabato, prenderò dei fiori per godermeli domani: sarà ilprimo giorno di completo riposo dopo tanto tempo, e lopasserò in casa. Da quando c’è stato Giovanni la casa misembra più viva, come se per la prima volta fosse davvero

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casa mia. Ci sono dei ricordi adesso. La volevo sterile comeuna sala operatoria per vivere il mio privato in anestesia enon rischiare di soffrire ancora. Invece ora è piena di lui inogni angolo. Dei suoi occhi di liquirizia e del suo sorriso.Del lago scuro che diventano quando si arrabbia.

Mi fermo da Rosalba per scambiare con lei quattro chiac-chiere in libertà. La fioraia ha una novità: le rose di Fatì.

“Le ho chiamate così perché me le ha portate dallaTunisia un giovanotto tanto carino, eccolo che viene”.

Hanno un colore veramente incredibile, un carminiointenso e screziato. Sono bellissime. Alzo gli occhi e incon-tro gli occhi di Fatì, che mi fissano in modo eccessivo.

“Sono belle le mie rose, vero? Le ho portate perché l’ul-tima volta che sono stato qui a lavorare al mercato e scari-cavo cassette la mattina, una signora mi chiedeva se da noiabbiamo i pomodori, se abbiamo i fiori... ma noi siamodirimpettai, se vi affacciate dalla Sicilia ci potete salutare...e allora ecco, così tutti sapranno come sono belle e profu-mate le nostre rose”.

Mi tende la mano e continua: “Io sono Fatì. Tu sei Luisa,ti ho visto sul giornale. Grazie per quello che hai fatto. Seposso darti una mano, conta su di me. Intanto prendi la miarosa”.

Ringrazio, con quello splendido fiore fra le mani. Unfiore come un segnale, la vita a volte li manda. Fatì ha dettoin modo semplice e diretto quello che anche Corradi hadetto. Si fa politica con compagni di strada che a volte cipiacciono, altre volte no. L’importante è che alla fine siautile.

Chiamerò Giovanni, forse non proprio per chiedergli unconsiglio, ma per farmi sentire, per dissipare il malumore

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con cui ci siamo lasciati. Certo è difficile avere a che farecon un uomo tanto permaloso. Ogni parola rischia di esse-re uno scoglio su cui rompersi le ossa.

Al giornale il telefono squilla a vuoto: non c’è, avràpreso riposo anche lui. Sarà solo o a consolarsi con qualcu-na? Al pensiero della Poli sento una fitta: rabbia o gelosia?Non importa, ora non posso aprire un altro fronte con mestessa. Se non accetto di stare con lui non posso preoccu-parmi se va con un’altra. E invece sì. Dove sarà?

Il dubbio è presto risolto: mi sta chiamando dal cellu-lare.

Non gli lascio il tempo di salutarmi: “Ti ho appena cer-cato al giornale. Ho bisogno di parlarti”.

L’accoglienza non è delle migliori: “Lo credo: ho capitoperché mi hai cacciato, aspettavi quel lumacone diLorenzo. Certo la notte con lui sarà stata più divertente”.

“Ho passato la notte da sola, ero troppo stanca per qua-lunque cosa, e Lorenzo se n’è andato immediatamente”.

“Allora chi era quello che ti abbracciava e ti baciava? Viho visti dalla finestra”.

“Un bacio amichevole e un abbraccio subito sciolto.Sembri geloso”.

“Sono geloso”, confessa Giovanni.“Davvero pensi che dopo aver fatto l’amore con te mi

sarei data a un altro round di sesso sfrenato? Per chi mi haipreso. E comunque guarda che non sopporto di essere con-trollata”. Attacco bruscamente il telefono: ha scelto ilmomento sbagliato per fare il possessivo. E io come sem-pre la risposta sbagliata: lo cercavo per far pace ed eccocosa ho combinato.

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Sono già pentita, in fondo abbiamo fatto l’amore, non è pro-prio il primo che passa. Ma ha la capacità di irritarmi comenessuno. Cammino con la testa in aria e gli occhi in su nellasperanza che mi venga in mente un modo di rimediare ed ècosì che vado praticamente a sbattergli addosso. Sì, per for-tuna mi aspettava sotto casa. Prima che possa dirmi qualun-que cosa e tornare a incasinarci mi scuso: “Sono stata unastupida, ma ho una grandissima confusione in testa. Mi capi-ta spesso di trattare male le persone alle quali tengo di più. Amodo mio cercavo di spiegarti che ho bisogno di tempo perchiarirmi le idee su scelte fondamentali”.

“Come quella fra Pippoli e me. E io ingenuo che ti cre-devo sincera... chissà quante risate vi siete fatti alle miespalle. O forse tu da sola, non gliel’hai raccontata di sicuroa Lorenzo la bella prova sotto la doccia. E con lui dovel’hai fatto?”

Gli poggio tutto il palmo della mano sulla bocca. “Smetti”, gli dico, “smetti di farti del male e di farlo a

me. Lorenzo mi ha solamente aiutato a trovare la sistema-zione per Irina. E ovviamente voleva avere notizie”.

“E non conosce il telefono? Chi si presenterebbe a casa diuna donna sola a quell’ora? E poi guarda, me l’ha confessa-to lui che vi siete baciati e ha qualche speranza su di te”.

Rido: “Così siamo pari con la Poli”.“Ma che c’entra Lorena, una donna sposata che si è

voluta divertire una sera”.“Appunto, e perché io no? Sei geloso!”“E infuriato anche”.“Allora perché sei qui?”“Per spiegarti che sono io la persona giusta per te. Non

posso aspettare che ti occupi di qualunque altra cosa prima.

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Non voglio che tu faccia una sciocchezza. Voglio che tu midica sì. E che tu me lo dica subito”.

“Non posso. Prima devo decidere: la famiglia o la car-riera. Se continuerò a fare politica sarò sempre da qualchealtra parte, almeno con la testa, sempre in lotta con qualcu-no, in allarme per schivare colpi bassi, offesa dall’ultimoscemo che mi supera, da un giornalista qualsiasi che deci-de di parlare male di me...”

Mi prende in giro: “Potremmo fare una bella società: lapolitica in carriera e il giornalista rampante. Tu fai il leadere io la tua grancassa... Rispoli morirà di invidia”.

“Non credi che dovrei cambiare vita?”“Se sarà necessario potremo sempre farlo insieme”.“Lasceresti il tuo giornale e il tuo lavoro per me? Non ci

credo”.Mi fa segno di tacere. Lascia cadere tutto ciò che ho in

mano, mi abbraccia e mi bacia con trasporto intenso. Sipunge.

“Leva quella rosa, non saranno due spine a farmi desi-stere, e ho ragione io, anche se mi pungi”.

Tento ancora una debole resistenza.“Ma dobbiamo parlare”.“Dopo. Ora entriamo. Non si parla in mezzo alle strada”.“Se è per questo, non ci si bacia in mezzo alla strada”.“Ma io ho urgenza di baciarti”.“Ti stancherai presto”.“Al quinto bambino, non un minuto prima”.“Devo avvertire Corradi”.“Che voglio da te cinque bambini?”“Che ha vinto lui”.“Fate scommesse su di me?”

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“Sono andata per dirgli che rinuncio alla politica, mi hachiesto di ripensarci e di consigliarmi con te. Vi eravatemessi d’accordo?”

“No, ma se Corradi dice che hai talento per la politica glido ragione. Il mio consiglio è: non gettare la spugna”.

“Non pensi a noi due: una coppia che non ha almenoun’ora al giorno da stare insieme, io sempre in giro a farela portavoce del segretario e tu sempre al giornale o in giroa intervistare donne bellissime, come la Poli...”

“E che cos’è una coppia se non resiste alle separazioni?Io ti amo, tu mi ami. Non dire che non è vero. Dai un addioalla tua paura. Dalle un calcio. Fai con me i capelli bianchi,le capriole, acchiappa la vita. Non lasciarla sfuggire.Perché non torna. Non dare al rimpianto la possibilità diinsediarsi nel tuo cuore. Lascia spazio ai bei ricordi”.

“Guarda che con me la retorica non paga”.“Allora te lo dico in un altro modo. Non puoi vivere la

vita in anestesia. La vita è fantasia e lotta dura”.“Già, come dice Lucio Dalla nella canzone che mi ha

regalato Marco. Dice che dovrei studiare bene le parole. Ericordamele nei momenti bui”.

Passiamo la sera e la notte nello stesso letto. È bellissimoessere insieme: eccitante e rilassante.

Ed è bellissimo svegliarsi accanto a lui. Lo guardo allapoca luce che entra dalle persiane. Ha un’espressione indi-fesa da bambino mentre è lì steso addormentato. Cerco dinon svegliarlo. Mi alzo piano, infilo un camicione e a piedinudi faccio i pochi passi che mi separano dalla scrivania.

Apro la mia scatola dei ricordi, prendo il biglietto che miaveva mandato Tonino Majani per l’ultimo compleanno

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che avevamo festeggiato insieme. Scritto a mano, con lasua grafia ordinata e la penna stilografica, uno dei pochivezzi del mio carissimo amico. Me l’aveva portato di per-sona per sigillare la pace. C’era stata una gran discussionefra noi. Tonino aveva votato un documento del quale nonera convinto. Furiosa e spietata l’avevo accusato di essereun intellettuale a intermittenza, solo fino a quando il parti-to non gli imponeva le sue decisioni, che lui avallava sem-pre, anche quelle sbagliate. A lui era dispiaciuto il mio giu-dizio severo. Si era sentito ferito, accusato di essere confor-mista, lui che aveva sempre rischiato l’impopolarità persostenere le sue idee. Certo, senza rompere mai: lo scopodella politica è portare gli altri sulle tue decisioni, non darelezioni di purezza e intransigenza, aveva detto. Era statomolto duro, accusandomi a sua volta d’immaturità, d’inca-pacità di prendere le distanze dai problemi. Di non capireche la politica non si fa tagliando i problemi con l’accetta.Era la prima seria divergenza fra noi e andava molto al dilà dell’episodio: Tonino aveva ragione, ma non volevoriconoscerlo. Anche io avevo in parte ragione: il conformi-smo non rende il mondo migliore. Ci siamo lasciati ognu-no sulle proprie posizioni. Distanti come non eravamo maistati.

Poi, come sempre, lui aveva cercato la pace. L’avevafatto con quel biglietto, perché aveva due giorni pieni diincontri e assemblee e dopo sarebbe partito. Un viaggiosenza ritorno, ma lui non lo sapeva. Ho letto e riletto millevolte quelle poche righe. Oggi mi sembra di capirle vera-mente.

“Nessuno è perfetto: non lo è la politica, non lo sei nem-meno tu. Perciò non ci guardare dall’alto in basso, come

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persone che tradiscono le tue aspettative. Come un bambi-no deluso perché ha scoperto che il padre non è Dio.Guardaci come tuoi pari. Puoi giudicarci, ma facciamo lastessa strada. Io ti vorrò sempre bene. Pensa a me, quandopuoi, con benevolenza. Con affetto e stima, tuo Tonino”.

Anch’io Tonino ti vorrò sempre bene.

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Perché vince il coyote il racconto non lo dice ma lo lascia immaginare

la vita è fantasia, è coraggio, è lotta dura con la voglia di inventare

e se la stella con la coda tante storie raccontava, la fantasia del coyote col suo fuoco la bruciava

e poi faceva ascoltare l’erba crescere sulla mano e il grido della risacca di un prossimo uragano.

(Roversi/Dalla)

Marco è letteralmente sparito. Sono giorni che non chiama enon risponde alle mie chiamate. Questo comportamento nonè da lui. Che diavolo gli sarà successo? Gli sarà capitato unguaio? Si è innamorato ed è fuggito con l’uomo della suavita? È deciso: lo chiamerò a intervalli regolari sia al partitoche al cellulare e a casa, prima o poi qualcuno risponderà.

Ma al quarto tentativo, il risultato è ancora nulla. Ormaidovrò per forza chiamare Lorenzo o qualcuno della stanzaaccanto. La preoccupazione mi divora.

Quasi sto per iniziare ricerche presso gli ospedali, quan-do, finalmente ecco un sms dal suo cellulare: “Vengo a tro-varti stasera. Aspettami alle 21. Marco”.

XXV

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Un po’ sollevata e un po’ arrabbiata: che diamine, tuttipretendono di disporre della mia vita e della mia casa,sono tentata di rispondergli male. No, meglio così. Sonotroppe le novità, e troppe le cose taciute. È ora di fare chia-rezza anche con lui.

Sento una presenza dietro le spalle. Mi giro, ed èGiovanni.

“Ben alzato... caro...”“Ben trovata. È un piacere svegliarsi e trovarti ancora

umana. Temevo che mi avresti aggredito come al solito.Quanti anni di ferie ci prendiamo per poterci abituare astare insieme?”

“Direi un’ora o due. E stasera devi sgombrare. VieneMarco. Nella mia nuova vita devo trovare il coraggio didirgli tutto”.

“Tutto che?”“È una storia lunga. Te la racconto un’altra volta.

Quando tu racconterai un tuo segreto a me. Faremo aturno. Un segreto per uno al giorno, sperando di non aver-ne troppi, presto sapremo tutto l’uno dell’altra”.

“Io non ti dirò proprio niente. E niente che sembri unoscambio. Non puoi pensare di spogliarmi di ogni mia inti-mità”.

“Credevo fossimo già abbastanza intimi”.“Non del tutto. Un po’ di mistero fa bene all’amore”.“Amore hai detto? Ripetimelo”.“L’ho detto. Amore. Che ci trovi di strano”.“Solo tre giorni fa non l’avrei mai immaginato. Ora va

e torna molto molto tardi”.“Nel frattempo posso andare dalla Poli?”“Provaci” e gli tiro appresso una ciabatta.

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Alle nove in punto bussa Marco. Sale ed entra, ma non mibutta le braccia al collo come sempre.

Gli dico: “Accomodati”, mi è venuta un’espressionecosì formale, cerco di correggere il tiro: “Ho un milione dicose da raccontarti. Ti prendo una birra e cominciamo. Ovuoi cominciare prima tu?”

“Niente birra, grazie. Inizia tu, nella mia vita è successotanto poco”, Marco è su una linea di freddezza che mi gelail sangue. Con che animo posso raccontargli la mia felicitàse lui è tanto indisponibile? D’improvviso gli prendo lamano, lo guardo dritto negli occhi.

“Preparati a una confessione completa”.Non sorride e si ritrae. Continuo senza farmi distogliere

dal suo comportamento insolito.“Volevo dirtelo tanto tempo fa, ma non ho mai trovato il

coraggio. Tu ti fidavi di me e io non sapevo come fare. Manon posso iniziare una nuova vita con zone d’ombra pro-prio con te che sei il mio migliore amico”.

Il Marco che amo avrebbe giocato, mi avrebbe presa ingiro, mi avrebbe abbracciata e chiesto dettagli sulla mianuova vita. Questo Marco sconosciuto mi guarda distante escostante mentre replica: “Ne sei sicura?”

“Che sei il mio migliore amico? Sicurissima. Ascoltamisenza interrompermi perché non sono certa di farcela altri-menti. Ti ho sempre amato e stimato, come un fratello, dipiù, perché i fratelli sono quelli che ti ritrovi, gli amiciquelli che scegli. Ma la corruzione è un veleno potente. Equesta politica stava deviando anche me”.

Gli racconto i tre episodi da Giuda, senza risparmiarenulla. Gli chiedo scusa e aspetto la sua reazione.

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“Grazie di avermelo detto”. Vorrei prendergli la mano,abbracciarlo, ma il suo tono purtroppo non mi lascia spa-zio. “Lo sapevo già. Il segretario, appena abbiamo iniziatoa lavorare insieme, mi ha raccontato perfino i dettagli. Oraè chiaro che non ha mentito o esagerato. Bene, ci sentiamonei prossimi giorni. Se non c’è altro, io sono molto stanco”.

Non riesco a controbattere nulla. Ecco perché il lungosilenzio e la sua freddezza: Eugenio mi ha fatto pagare ilprimo vero successo distruggendo la mia amicizia più cara.Non soddisfatto si è anche impadronito del mio risultatopolitico. Sono un’incapace. Ho lavorato come una dannataper portare acqua al suo mulino. Ho distrutto un’amiciziaimportante. E mi trovo a iniziare una nuova vita con l’ama-ro in bocca. Acchiappo il telefono e mando un sms: “CaroMarco, amatissimo Marco, hai detto che fra il coyote e laluna vince il coyote. Io sono una coyote stupida: mi com-porto male e non sono neanche in grado di vincere. Sonouna cattiva allieva e una cattiva amica. Perdonami”. Invio.Mi butto a sedere sul divano: emozioni forti e contrastanti,grandi decisioni, sono già stanchissima e fra un po’ arrive-rà Giovanni. Come gli racconterò l’incontro con Marcosenza fare la figura dell’ignobile idiota?

Eccolo che bussa, eppure gli avevo detto di presentarsimolto tardi. Apro. Mi trovo le braccia di Marco al collo.Piango di gioia come una che si è liberata di un gran peso.Anche lui è emozionato e commosso.

“Sei una doppia coyote. Vuoi anche dare la colpa a medi essere stato un cattivo maestro”.

Ridiamo e restiamo abbracciati sul divano. Parliamo araffica. Abbiamo giorni e giorni da recuperare. Gli raccon-to la mia felicità, anche Marco ha un nuovo fidanzato. Non

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sa ancora se è quello giusto, ma sa come passare le serateallegramente. La nostra di serata passa così, fino a quandonon torna Giovanni.

Insieme prepariamo la cena e Giovanni alza il calice.“Alla faccia di chi ci vuol male e in particolare alla fac-

cia di Eugenio. Che possa pagare tutto ciò che ha fatto, conun enorme foruncolo il giorno di un importante serviziofotografico”.

Ridiamo soddisfatti della tremenda maledizione chepende sul segretario.

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Sono sveglia già da un po’. Mi spio aspettando il solitoappuntamento col malumore del risveglio, che non viene;con la gran fatica per riacchiappare me stessa e ritrovarel’energia di vivere, che non sento. Lo stomaco? Non è sot-tosopra. La testa? Senza confusione. Le gambe? Non sonomolli. L’umore? È il più gradevole. A check finito prendoatto della mia nuova condizione. Sapevo che la giornata diieri avrebbe lasciato il segno, non immaginavo che sarebbestato così positivo. Bandisco i sensi di colpa. Nella mianuova vita non c’è posto per loro. E poi chi l’ha detto cheessere felici sia un privilegio? Oggi inizia una nuova era.Ho pareggiato i conti con Marco e quindi, finalmente, conla mia coscienza. Ho ancora Giovanni nel letto in cui primadi lui nessuno era mai stato, a parte me s’intende. Lo guar-do, abbandonato e sereno, come ieri ma con un po’ menostupore: si fa presto l’abitudine alle cose belle.

E una volta deciso di voler essere felice, scopro che èsemplice. Infilo una vecchia tuta larga e ormai senza forma,che fa tanto casa, domenica e feste comandate. Non è l’ab-bigliamento più sexy che ho, ma pazienza, meglio cheGiovanni sappia subito con chi ha a che fare.

Mi sento energica e pacificata, ma ho ancora un conto insospeso. Devo una risposta a Corradi. Il maestro mi vuole

XXVI

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con sé. Ha detto che il mio posto è al partito, nel mondopolitico. Ma è il mondo dove vince il coyote e non la stel-la, e io non voglio adattarmi alle sue regole. Non so chefare. Guardo Giovanni: il suo corpo, il sorriso inconsapevo-le di chi dorme sapendo che il risveglio sarà buono. Pensoche il privato sarà dolce se avrà i suoi occhi di liquirizia. Lapolitica invece ha gli occhi astuti di Eugenio, che ferisco-no, o quelli maligni di Mara che interferisce, o quelli rapa-ci del sindaco Pieri. D’altronde quanto può durare una feli-cità fatta solo di carezze e romanticismo? Cinque figli diceGiovanni, e io farei quella tutta casa e famiglia? Ho vogliadi lottare oppure di lasciarmi andare? Nel sonno il mioamore (come suona strana questa parola sulle mie labbra)si muove e io non voglio che si svegli e mi chieda che fac-cio col telefono in mano. Ho bisogno di pensare da sola.

Scriverò un messaggio a Corradi, non farò rumore,rimanderò a dopo il confronto. Ma il dito esita sopra latastiera del telefonino. Sento nella mente la voce di miopadre: “Non dargliela vinta a quei traditori opportunisti,riporta il partito sulla rotta giusta”. Sento la voce diTonino: “Finché ci saranno giovani come te ci sarà spe-ranza per la nostra sinistra”. E quella del maestro: “Iosono vecchio ormai. Conto su di te”. Ma le dita sono sem-pre lì a mezz’aria e non so decidermi. Quanta violenzadovrei fare su me stessa per diventare coyote. Quanti boc-coni amari e delusioni e tradimenti dovrei sopportare. Equanti colpi bassi dovrei dare io? Davvero non so se nevale la pena. Accasciata sulla poltrona, nella tasca poste-riore del pantalone c’è qualcosa che preme e mi dà fasti-dio. È la goccia di plastica rosa che mi ha regalato Irina.L’avevo dimenticata.

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La prendo e la poso sul tavolo. Rivedo i suoi grandi occhispaventati e fiduciosi insieme, la sua espressione di ragazza,poco più che bambina, quando per strada mi diceva:“Qualcosa io farò per te”. Quella goccia è lì a rimproverar-mi. Il volto di Irina cancella tutte le altre immagini dalla miamente e dice: “Non ti arrendere, non lasciare me e tanti comeme soli in questo schifo di mondo”. Le dita finalmente scen-dono sulla tastiera e senza più esitare scrivo a Corradi: “Haivinto. Anche Giovanni la pensa come te, a domani, in uffi-cio”. Premo invio. È fatta. Non ho tempo di pentirmene, per-ché quasi subito sento il ronzio del messaggio di risposta:“Benvenuta nel nostro mondo imperfetto. Dai l’addio ainfantilismi e capricci. Sei fra gli adulti, che non hanno pauradi soffrire se è il prezzo per amare te stessa, il tuo lavoro, glialtri, il mondo intero. Al lavoro e alla lotta”.

Sì, a domani maestro. Hai ragione il lavoro è lotta e lalotta non sarà facile, ma ormai mi sono impegnata e nonmi tirerò indietro. Per prima cosa ti parlerò di Marco,dovrai fare qualcosa per lui. E poi dovrai insegnarmimolto: a frenare le mie emozioni senza perdere lo slancio,a separare il grano dal loglio, a trovare del buono anchedove non ne vedo proprio. Dovrai parlarmi degli artistiche hai conosciuto e che tieni lì sul muro, e spiegarmicosa vuol dire che anche la politica è una forma d’arte.Dovrai farmi amare questo mondo che a volte stento acapire. Dovrai darmi il tuo tempo e la tua saggezza, la tuaesperienza e il tuo calore freddo. Altrimenti io non ce lafarò: non posso uccidere il mondo dei miei sogni se quel-lo tuo non mi affascina altrettanto. Soprattutto dovraiinsegnarmi a vincere senza perdere me stessa. E questasarà l’impresa più difficile.

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Un rumore mi sottrae ai miei pensieri: il mio amore sista svegliando. Allarga le braccia e mi dice: “Vieni, fattivedere appena sveglia e se resisto... è la prova del nove!”

I suoi occhi ridono e io corro. Non vuole solo guardar-mi, ma prima che mi travolga gli dico: “Posso farti unadomanda?”

“La prova non è ancora finita e già vuoi sapere come èandata?”

“Non giocare, è una domanda serissima: ho semprevoluto essere una stella e non mi piace il coyote, però vogliovincere. Secondo te faccio bene a diventare coyote?”

“Che hai fumato di prima mattina?”“Smettila. È una domanda molto seria”.“Allora sei completamente pazza”, conclude e forse ha

ragione.Insisto: “Si può amare un coyote dopo tutto quello che

si dice di lui?”Non mi lascia finire. Ha altre priorità adesso, parleremo

dopo. Più tardi mi accarezza i capelli e mi sussurra paroledolci e mi assicura che se sarò coyote amerà i coyote, e nonha mai dato peso a quello che dice la gente, ma non credoche abbia capito bene. Glielo spiegherò via facendo.

Gli prenderò le mani nelle mie, lo guarderò nell’anima egli dirò: amore mio sarò coyote perché la vita non è robaper signorine timide e beneducate. La politica come la vitaè fantasia, coraggio e lotta dura. Ma alla fine del percorsoper te e per Irina e per mio padre e per i nostri figli e pertutti gli uomini di buona volontà, io libererò le stelle.

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E quindi venne il momento di creare la donna.Il Sole convocò tutti i pianeti e le creature

sovrannaturali, e quando furono riuniti con uno deisuoi vividi lampi, si tolse un occhio. Lo gettò in un certo

luogo e divenne la Luna. E su questo nuovo globo, quel pianeta “occhio”, creò la donna.

“Tu sei un pianeta vergine, una fanciulla Luna” le disse “Ti ho toccata e fatta con la mia ombra, voglio

che cammini sulla terra”, e quando lei chiese “Come potrò camminare su quella terra?” il Sole

creò il potere e la ragione della donna, impiegò il fulmine per costruire un ponte tra la Luna e la Terra

e la donna camminò sul fulmine... Essa camminò sul lampo, ma camminò pure su una

vena di sangue che andava dalla terra alla Luna. Questa vena era una corda, un cordone ombelicale

che andava dentro il suo corpo,e per mezzo di esso lei è sempre collegata con la Luna.

(Mito della creazione Sioux narrato dallo sciamano Leonard Dog Crow)

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Ringrazio Lina Agostini, Nicoletta Sipos, Carlo Sardoniper aver letto e commentato da veri amici la prima stesura.E avermi incoraggiato a proseguire.

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RIMMEL

narrativa italiana

1. Veronica Tomassini, Sangue di cane

2. Massimo Cassani, Un po’ più lontano

3. Marco Bosonetto, Nel grande show della democrazia

4. Antonio Pagliaro, I cani di via Lincoln

5. Giulio Mozzi, Il male naturale

6. Paolo Grugni, L’odore acido di quei giorni

7. Michele Vaccari, L’onnipotente

8. Gabriele Dadati, Piccolo testamento

9. Gianfranco Di Fiore, La notte dei petali bianchi

10. Fausto Vitaliano, Era solo una promessa

11. Giulio Mozzi, La felicità terrena

12. Fabio Calenda, Rosso totale

13. Paolo Grugni, La geografia delle piogge

14. Daniela Brancati, Il coyote liberò le stelle

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1. Isabella Marchiolo, 10 grandi donne dietro 10 grandi uomini,prefazione di Alessandra Casella

2. Daniela Gambino, 10 gay che salvano l’Italia oggi,prefazione di Matteo B. Bianchi

3. Valter Binaghi e Giulio Mozzi, 10 buoni motivi per essere cattolici,prefazione di Tullio Avoledo

4. Simone Marcuzzi, 10 italiani che hanno conquistato il mondo,

prefazione di Gianluca Morozzi

5. Michele Monina, 10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi), prefazione di Gianni Biondillo

6. Giuseppe Civati, 10 cose buone per l’Italia che la Sinistra devefare subito, prefazione di Paolo Virzì

7. Andrea Pomella, 10 modi per imparare a essere poveri ma felici, prefazione di Marco Rovelli

8. Marina Calderone, 10 idee per il lavoro dei nostri figli,prefazione di Walter Passerini

9. Martina Liverani, 10 ottimi motivi per non cominciareuna dieta, prefazione di Cristina Sivieri Tagliabue

10. Irene Vella, Credevo fosse un’amica e invece era una stronza 10 modi per sopravvivere alle stronzamiche, prefazioni di

Cristina Parodi e di Ivan Zazzaroni

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1. Michele Monina, Atene è un sogno

2. Michele Monina, Londra è un orologio

3. Michele Monina, Barcellona ti sorride

4. Michele Monina, Lisbona è tutta luce

5. Michele Monina, Amsterdam è un’isola

6. Michele Monina, Berlino non ha muri

7. Michele Monina, Parigi è un lungo tramonto

8. Michele Monina, Vienna è un giro in carrozza

9. Michele Monina, Praga di incanti e di spettri

10. Michele Monina, Budapest senza il Danubio

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Finito di stampare nel mese di marzo 2013presso Geca SpA – Cesano Boscone (MI)

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