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Il gioco dell'oca

Date post: 28-Mar-2016
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Il libro nasce dalla necessità di aprire un processo di chiarimento sulla crisi del movimento cattolico. L'autore parte dal presupposto che la fine della Democrazia cristiana ha avuto un effetto di trascinamento verso il basso di tutta la struttura organizzata dei cattolici italiani. Questo pone una serie di riflessioni. In particolare, da un lato si rende necessario riconsiderare la natura stessa della presenza dei cattolici nella vita pubblica. Dall'altro si indaga la possibilità di un impegno dei cattolici che sia ancora cristiano, ma senza più l'ipotesi di un partito unico, e con finalità solo indirettamente religiose.
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Ruggero Orfei DIABASIS I MURI BIANCHI 16,00 DIABASIS IL GIOCO DELL’OCA RUGGERO ORFEI IL GIOCO DELL’OCA Rapporto sul movimento cattolico Il libro nasce dalla necessità di aprire un processo di chiarimento sulla crisi del movimento cattolico. L’au- tore parte dal presupposto che la fine della Democra- zia cristiana ha avuto un effetto di trascinamento verso il basso di tutta la struttura organizzata dei cattolici italiani. Questo pone una serie di riflessioni. In partico- lare, da un lato si rende necessario riconsiderare la na- tura stessa della presenza dei cattolici nella vita pub- blica. Dall’altro si indaga la possibilità di un impegno dei cattolici che sia ancora cristiano, ma senza più l’i- potesi di un partito unico, e con finalità solo indiretta- mente religiose. In sintesi, si fa luce sulla possibile le- gittimazione di un movimento cattolico non più unita- rio, ma articolato e fatto di parti concorrenti per la pro- mozione del bene comune nell’accezione dell’insegna- mento morale cattolico, e a un tempo l’assunzione di responsabilità laicale che chiuda davvero con i mai so- piti impulsi. Ruggero Orfei, nato a Perugia nel 1930, dopo la laurea in Filosofia teoretica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, diviene direttore dello stesso ateneo, carica che ricoprirà fino al 1968. Membro della Direzione e della Presidenza delle Acli, è stato redattore e collaboratore di alcune riviste e quotidiani, fra cui «Vita e pensiero», «Relazioni sociali», «L’Italia»; diresse «Settegiorni in Italia e nel mondo», «Il mensile», «Azione sociale». Si è occupato, presso le Relazioni culturali della Stet, del- le nuove forme di comunicazione. Fra le sue pubblica- zioni: Marxismo e umanesimo (1970), Quando la guer- ra va in amore (1973), Andreotti (1975), Fede e politica: i cristiani davanti al potere (1977), L’uomo di Nazaret: inchiesta sulla vita di Gesù (2002).
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Ruggero Orfei

DIABASIS

I MURI BIANCHI

€ 16,00 DIA

BASI

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IOCO

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L’OCA

RUGGER

O O

RFE

I

IL GIOCO DELL’OCARapporto sul movimento cattolico

Il libro nasce dalla necessità di aprire un processo dichiarimento sulla crisi del movimento cattolico. L’au-tore parte dal presupposto che la fine della Democra-zia cristiana ha avuto un effetto di trascinamento versoil basso di tutta la struttura organizzata dei cattoliciitaliani. Questo pone una serie di riflessioni. In partico-lare, da un lato si rende necessario riconsiderare la na-tura stessa della presenza dei cattolici nella vita pub-blica. Dall’altro si indaga la possibilità di un impegnodei cattolici che sia ancora cristiano, ma senza più l’i-potesi di un partito unico, e con finalità solo indiretta-mente religiose. In sintesi, si fa luce sulla possibile le-gittimazione di un movimento cattolico non più unita-rio, ma articolato e fatto di parti concorrenti per la pro-mozione del bene comune nell’accezione dell’insegna-mento morale cattolico, e a un tempo l’assunzione diresponsabilità laicale che chiuda davvero con i mai so-piti impulsi.

Ruggero Orfei, nato a Perugia nel 1930, dopo la laureain Filosofia teoretica all’Università Cattolica del SacroCuore, diviene direttore dello stesso ateneo, carica chericoprirà fino al 1968. Membro della Direzione e dellaPresidenza delle Acli, è stato redattore e collaboratoredi alcune riviste e quotidiani, fra cui «Vita e pensiero»,«Relazioni sociali», «L’Italia»; diresse «Settegiorni inItalia e nel mondo», «Il mensile», «Azione sociale». Siè occupato, presso le Relazioni culturali della Stet, del-le nuove forme di comunicazione. Fra le sue pubblica-zioni: Marxismo e umanesimo (1970), Quando la guer-ra va in amore (1973), Andreotti (1975), Fede e politica:i cristiani davanti al potere (1977), L’uomo di Nazaret:inchiesta sulla vita di Gesù (2002).

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I m u r i b i a n c h i

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Progetto grafico e copertinaStudio Bosio, Savigliano (CN)

ISBN 978 88 8103 568 7

© 2009 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italiatelefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047

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Ruggero Orfei

Il gioco dell’ocaRapporto sul Movimento cattolico italiano

D I A B A S I S

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Il gioco dell’ocaRapporto sul Movimento cattolico italiano

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Una premessa (Dove si va a parare)

Ciò che si muove (Omne quod movetur ab alio movetur)

Gli incunaboli del Mci politico (Semper mater certa)

Gli «interessi cattolici» (La «robba»)

Il partito popolare italiano (Ci provarono)

Spunti di riflessione (Sediamoci)

Un ambiente diverso (Senza orizzonte)

Un nuovo livello della divisione dei poteri (Divide et impera)

Democrazia è sinonimo di libertà (Non è un truismo)

Presupposto europeo (Più spazio più faccende)

Lo stato del benessere (A chi tocca, tocca)

La forma delle relazioni internazionali (Girotondo intorno al mondo)

Gli obblighi di struttura (C’è sempre un dato di fatto)

Gente in movimento (Passa la nave mia)

Il debito internazionale (Tutto è un dare)

Globalizzazione (Il mondo era più largo)

La «merconomia» (La parolaccia)

Contestazione e no profit (Beato chi ne gode)

La regressione del diritto pubblico (Facciamoci una leggina)

L’angoscia da cambiamento (Sempre quelle colonne d’Ercole)

La cittadinanza (Nemo propheta in patria)

L’immagine del grande complotto (Chi la fa l’aspetti)

Una storia ormai lontana (C’era una volta)

Presenza cristiana (Vi imploro a nome di Dio)

Punti di debolezza e crisi (Andava combattendo ed era morto)

Laicismo secolarizzato (Vivevano come se Dio non fosse)

Nuovo «Non expedit» (Abstine substine)

Se è proponibile un altro nuovo Mci (Repetita siccant)

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Azione temporale «ispirata»? (Dio lo vuole)

Esiti diversi (Di doman non c’è certezza)

La lettura del messaggio (Senza crittografia)

La naturalità dello Stato e la carità (Amantium irae amoris integratio est)

Nota sull’integralismo (Esser tutto per essere niente)

Trovare un keynesismo per il nostro tempo (Non confondere il notocon l’ignoto)

Una nuova Dsc (Dammi, dammi quel ferro!)

Non sembra far problema il carattere democratico (Finalmente, il mare!)

Centro e centrismo (Anch’io vissi in Arcadia)

Una antica teoria dei bisogni (Hoc opus, hic labor est)

La terza via (Tertium non datur)

La tendenza al partito (Tendiamo, partiamo)

La mimesi riformista (Rendiamo ferme le stesse cose)

Non il partito cattolico (Non si trova in natura)

I conti si fanno con uno scenario diverso (Il teatro cambia con gli attori)

Configurazioni di regime (Un Marcel diventa ogni villanche parteggiando viene)

Le nuove forme della comunicazione (In principio erat Verbum)

Una presenza da rielaborare (Se ci sei batti un colpo)

L’indifferenza in materia politica (Non ti curar di loro, ma guarda e passa)

Il grande affare privato (Lo stato sono io)

Transizione e Nazioni Unite (Il solo mondo che abbiamo)

C’è guerra per tutti (Ognuno ha la sua guerra giusta)

Il papa (La durata)

Storielle remote (Quel che è stato è stato)

Identità (a=a)

Un discorso quasi riservato (Capiamoci)

Il «partito storico» (Vedo le mura e gli archi)

Conclusione (Sic transit gloria mundi)

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Avvertenza

L’insieme delle osservazioni stese in queste pagine erano giàpronte, quando sono intervenuti alcuni fatti nuovi di cui è almomento impossibile anche una vera e semplice decifrazionedi immediata percezione. Non si può andare al di là di unapresa d’atto, avendo fiducia che l’insieme delle riflessioni e deiragionamenti valgano anche senza fingere precognizioni suquello che potrà accadere.

Il primo fatto nuovo è l’elezione di Barak Obama alla pre-sidenza degli Stati Uniti che fa sperare cambiamenti significa-tivi nella politica degli Stati Uniti. Tali cambiamenti che dob-biamo sperare e augurarci che avvengano, riguardano sia lapolitica interna che internazionale americana. Quel che saràopportuno osservare è quanto conterà la struttura del poterestatunitense, quanto verrà corretto e non certamente capovol-to, dell’idea che gli americani hanno di se stessi e del loro ruo-lo nel mondo.

L’altro fatto nuovo è la crisi finanziaria che ha investito ilmondo a partire da un primo fallimento bancario negli StatiUniti. La dominanza del ruolo americano ancora conferma chenon si tratta di problemi connessi solo alla contingenza di scel-te compiute dall’uscente Bush. Nella misura in cui il caso ri-guarda tutto il pianeta conferma sia un certo livello di globa-lizzazione sia la finanziarizzazione dei rapporti economici chehanno assunto come una seconda natura anche rispetto a quel-la che si è sempre chiamata l’economia reale.

Questi eventi implicano responsabilità nuove per tutti i grup-pi dirigenti dei vari Paesi. Per questo il tema di un riorienta-

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mento delle linee programmatiche dei promotori di politica è ilvero tema che rinvia alle scelte non di mera convenienza.

Quando abbiamo finito il lavoro avevamo anche terminato lalettura di un libro, Il cigno nero di Nassim Nicholas Taleb che,al di là della tesi generale, ha attirato la nostra attenzione suuna revisione necessaria dell’idea di sistema politico, fondato suuna procedura storiografica svolta tradizionalmente a disegno.

Ciò che ci è apparso utile è l’implicito richiamo alla volontàdi elaborare progetti, liberandoci di schemi elaborati al segui-to di prolungamenti di traiettorie di eventi che solo a poste-riori, per necessità di ordine intellettuale, ci poniamo.

In questo senso la lettura del libro è stato un po’ un «cigno ne-ro», arguto e bizzarro talora, ma molto ricco anche di esperienzaumana, usando un criterio di stesura per noi non abituale.

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Una premessa (Dove si va a parare)

Tema preliminare: ipotesi di una regressione della culturasociale e politica dei cattolici. Pare di poter dire che sia in cor-so un ritorno a concezioni antiche dello spirito pubblico deifedeli, cioè a un’idea che la politica sia estranea alla profes-sione di fede. E che comunque la questione che potrebbe por-si sia soltanto di coscienza individuale.

I presupposti di questa situazione sono i fallimenti di mol-te iniziative dei cattolici sul piano temporale. Una laicità – ne-cessariamente richiamata in alto e in basso nella chiesa – hasubito anch’essa un processo di secolarizzazione che porta auna sua irrilevanza di gruppo. I fedeli sono indotti a non ave-re più interesse per la storia reale e concreta di bisogni socia-li, politici e più generalmente di bene pubblico.

La stessa carità finisce per ricadere all’interno di un model-lo di virtù personale e privata rispetto alla quale la “struttura”temporale è accidentale. Tutto ciò supera nei fatti ogni proble-matica contenuta nel rapporto fra fede e politica, che aveva tro-vato nel Concilio uno sviluppo che avrebbe dovuto portare ilaici cattolici su altre strade, segnate da pluralismo, problema-ticismo e apertura sul futuro, con partecipazione all’elabora-zione delle novità senza attendere queste come una fatalità.

La domanda adesso è: «I cattolici, come grande gruppo,hanno un significato nella vita storico-temporale? come grup-po hanno un futuro da proporre?».

Meglio: i cristiani, che sono partecipi di una comune fedenel destino dell’uomo, hanno una radice nella storia tanto dapotere dare un senso al suo sviluppo?

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La nostra risposta è affermativa ed è un presupposto, siapure generico. I cattolici si propongono nella storia non comeespressione religiosa-sacrale, bensì come popolo di Dio, reli-giosa-laicale, che vive una dimensione spirituale e culturaleche decide «in qualche modo» anche quella temporale.

Si comincia con un paradosso. È l’affermazione di una lai-cità che insiste sulla libertà di coscienza quale ultimo foro perogni decisione morale. Essa convive col dato (la «cosa») del-la relazione sociale che implica mutualità e solidarietà.

Nella concretezza della vita e delle scelte, la libertà di co-scienza fonda la laicità, ma ciò può avvenire anche a rischiodella vita della chiesa che implica sempre scelte collettive, ocome si dice meglio, comunitarie.

Si può scivolare in un individualismo che si diffonde comeuna forma di liberalismo etico, alimentando una prospettivadi cattolicesimo liberale che tende a unire termini difficili daconiugare.

La relazione sociale, per sé, ha implicazioni di tutt’altro se-gno. La scelta delle responsabilità collettive viene incontro al-la questione posta dal nascere, di ciascuno, in un ambientedato. Poi, propone ed esige una partecipazione all’elabora-zione di un’armonia tra forze e interessi contrastanti.

Su quest’aspetto appare sovrastante l’autorità del magiste-ro della chiesa che storicamente ha elaborato un modello chenon è solo il suo statuto interno. Essa esige non solo una mo-rale unitaria, ma anche deduzioni unitarie che possono dareluogo a un clericalismo in contraddizione con la laicità.

Ciò dipende da un uso equivoco dei termini laicità e laico.Intervengono nell’uso diverse accezioni tra loro neppureomogenee.

Ristabilire chiarezza nel linguaggio può essere un compitonon solo concettuale, ma anche di contenuti reali. Ecco alcu-ni punti riassuntivi:

1) L’adozione dei termini, partendo da quella originaria ecorretta di popolo cristiano distinto dal sacerdozio, rimane fon-damentale. Tuttavia, la distinzione non è una separazione, per-

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ché anche i sacerdoti sono laici in quanto partecipi, quali cre-denti, del sacerdozio regale che è di tutti i cristiani. Comune èla missione della consecratio mundi (Martirologio di Natale). Disacerdozio regale parla Pietro (I, 2,9: sacerdozio regale, popo-lo santo, stirpe scelta). San Paolo (I Cor., 7.7) specifica che tut-ti i credenti in Cristo costruiscono la chiesa con i loro carismi(«Vorrei che tutti fossero come me, ma ciascuno ha il propriodono di Dio, chi in un modo, chi in un altro»). Infine la Costi-tuzione dogmatica del Concilio Vaticano II, Lumen Gentium(p. 311 e seguenti) indica la nozione concreta del sacerdoziocomune dei fedeli che agisce insieme al sacerdozio gerarchicoe ministeriale. Quest’ultimo ha la potestà sacra, forma e reggeil popolo sacerdotale. Nell’indicare ruoli e funzioni diverse(«forma e legge») rimane tuttavia una specie di incompiutezzache finora più che il dogma ha sempre risolto la storia con effettinon gradevoli perché si può arrivare alla Bolla Unam Sanctam.

2) Il principio evangelico e teologico non risolve il proble-ma storico perché, alla fine, le cose sono quello che si affermache siano. L’uso del termine laico ha subito una forte torsionenel secolo XIX quando si è identificato il clericalismo comestruttura di potere derivata dal sacerdozio, ancorato al prin-cipato temporale1.

3) Il laicato nella chiesa ha una storia che non si è identifi-cata come categoria concettuale e pratica fino a che le limita-zioni imposte al clero hanno ridimensionato le funzioni diquesto, con una progressiva apertura di credito verso i laici.

4) La precisazione storica «moderna» nella chiesa, tutta-via, arriva quando si sviluppa la «dottrina» dell’Azione catto-lica come partecipazione dei laici all’apostolato dei sacerdoti.In questo caso, il compito del laico è ancora interno alla vitasacramentale della chiesa. Nella vita pastorale si aprono peròfinestre su realtà nuove perché la complessità crescente dellavita sociale e politica pone problemi di comprensione e di par-tecipazione ai bisogni delle masse. Si può assumere come da-ta convenzionale la nascita del capitalismo industriale e ilsommovimento della rivoluzione francese.

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5) La separazione fra stato e chiesa sopraggiunge dopo, an-che se apparentemente è concomitante col processo di cam-biamento. Nel mondo cattolico l’articolazione si svilupperànella questione del rapporto fra fede e politica.

6) Tuttavia, una storia del laicato non è soltanto una que-stione recente. Recente è la caratterizzazione polemica del lai-cato rispetto al sacerdozio e con le sfumature d’accompagna-mento. In realtà, gran parte della storia degli ordini religiosi èstoria del laicato. San Francesco, ad esempio, volle essere lai-co nella sua missione nella chiesa e fuori2. Più recentemente,il fenomeno degli istituti secolari insiste su questo tema dellavita religiosa nella chiesa anche come impegno secolare. An-che se a lungo non si è precisato il carattere laicale degli istitutisecolari, questi indubbiamente, non avendo la disponibilitàdella «amministrazione» dei sacramenti, sono opere laiche atutti gli effetti.

7) La laicità cristiana, anche se dovesse cambiare nome acausa degli usi impropri del termine, ha un valore oggettivosempre rilevante e rilevabile, concreto, legato a particolari vo-cazioni, funzioni e ruoli oggi anche sociali e politici di granderilievo irreversibile.

8) Una precisazione teologica, storica e sociale si imponeper ristabilire una correttezza delle realtà umane che sono oentrano in gioco con l’adozione di termini che diventano in-comprensibili. Nei linguaggi talora una parola cambia il pro-prio significato per alterazioni continue e mai repentine, ma ingenere l’esito è univoco e un termine si può affermare che ab-bia sostituito un altro. Nel nostro caso gli esiti sono moltepli-ci e ambigui e a volte contraddittori.

9) Il laico come sinonimo di non credente, ad esempio, vaoltre ogni distinzione nella chiesa. L’uso del termine in questaaccezione non consente una correttezza del parlare, e spessonasconde o contrabbanda ambiguità di collocazione.

10) Il fatto decisivo è storico, perché dalla laicità si è passati aun laicismo, partendo da un’altra base concettuale e culturale.

La separazione fra stato e chiesa, essendo avvenuta gene-

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ralmente in una situazione di forte polemica, prima istituzio-nale e poi popolare, ha avuto, nelle sue articolazioni struttu-rali, le formalizzazioni di convincimenti anche teorici e filo-sofici. Questi, per giustificare la limitazione di potere tempo-rale della chiesa, hanno finito per contestarne la natura anchereligiosa.

11) Per una certa fase (che dura ancora) la religione e la re-ligiosità sono considerate dal laicismo e dai laicisti dei residuistorici con cui fare i conti anche con pattuizioni oggi pacifichee concordate.

12) Recentemente è entrata in crisi la convinzione di untempo, secondo cui la dimensione religiosa, perché sostegnodella morale tradizionale, potesse essere messa da parte. Lacrisi religiosa, diventata morale, ha riaperto la questione.

13) Tra i cattolici, la revisione in senso apparentemente in-verso, ma in realtà parallelo, è pure avvenuta. Tra i laici catto-lici si è fatta strada nel secolo scorso un’idea della distinzionefra azione temporale e vita spirituale, fondando una dottrinadell’autonomia delle scelte secolari. Il Concilio ha portato aconclusione quell’impostazione accettando la chiarificazionefilosofica di Maritain, gli insegnamenti della scuola di Le Saul-choir, la teologia delle realtà terrene e così via. Ha tenuto pre-sente anche le esperienze politiche dette d’ispirazione cristiana.

14) Il cambiamento è in corso, ma la decadenza dell’inte-gralismo ha reso debole anche l’impostazione mariteniana, enello stesso tempo ha posto il problema di una riunificazioneculturale e spirituale di scelte religiose e scelte politiche nellapersona. La proposizione di temi nuovi in materia sociale, dipace/guerra, di biotecnologia ha proposto una ricerca di va-lore che stia al fondo delle varie dichiarazioni di valori.

15) Una ricognizione storica che porti a chiarire, almenoincoativamente, questa problematica s’impone, e l’onere spet-ta ai cattolici laici che esigono una nuova formulazione di pro-blemi nuovi, con ricerche di soluzioni non facili, perché aper-te alla riedizione di antichi errori che per scarsa conoscenzapossono essere disgraziatamente ripetuti.

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Il riferimento d’appoggio più importante, non solo per l’I-talia, è stato Giuseppe Lazzati la cui operosità pubblicisticasia scientifica sia spirituale, e la sua attività politica e la suaazione di educatore anche attraverso la stampa, deve essereancora approfondita. Anzi, si potrebbe sostenere che il pas-sare del tempo rende più importante il suo insegnamento.

La sua idea di laicità raggiunge una perfezione teorico-pra-tica. La sua impostazione di un disegno per la «città dell’uo-mo», ha il pregio di un discorso che non sia valido solo per icredenti, ma che sia riconosciuto da non credenti.

La concezione lazzatiana di una realtà temporale di convi-venza riguarda i cristiani quali portatori di un’idea di laicitàche potremmo dire universalistica. Questo rende originaleLazzati, che non fa una questione di scuola contro l’integrali-smo, ma avanza la proposta di un’esperienza di vita cristianarilevante storicamente, praticamente. Città dell’uomo, perLazzati, mariteniano sicuro, non è un antropocentrismo di ri-torno, ma una riflessione sul pensiero del filosofo cristianofrancese. L’idea di natura non è solo un ritorno al tomismo,ma il rivivere un’aspirazione che anche i non credenti consa-pevoli dei valori fondamentali dell’uomo, potessero tutti co -operare a una realtà sociale sempre migliore. La formula «amisura d’uomo» è il criterio fondamentale. Un’obiezione cheegli portava contro ogni ricerca, documento, articolo o altroche fosse buono solo per i cristiani rimaneva sempre insuffi-ciente per tentare vanamente di fare qualcosa «di cattolico».Laicità, dunque, ancora da approfondire, facendo ricorso an-che ad esperienze rimaste in ombra3.

La laicità rimaneva comunque con un limite nella sfera del-la coscienza che in qualche modo non è sempre assoluta, per-ché si deve immaginare sempre «formata».

Il vero paradosso emerge in termini di principio. Se la sfe-ra della coscienza ha un’autonomia intoccabile, come paredebba essere, allora diventa difficile il rapporto con la prassi.Ad esempio, porre il problema del rapporto tra politica e mo-rale, tra politica ed etica, tra attività economica ed etica, può

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diventare un vero groviglio. Se la sfera della coscienza di fat-to è la sfera del privato, la sfera del pubblico patisce una se-parazione materiale e funzionale. In tal caso il rapporto tranorma − che comunque è di ambito sociale − e scelte perso-nali, diventa abbastanza complicato.

Ha scritto il teologo mons. Angelini: «La coscienza nonpuò essere pensata quasi fosse un attributo naturale del sin-golo, realizzato a monte rispetto alle forme del suo rapportosociale. Il singolo viene a coscienza di sé attraverso la media-zione decisiva dei suoi rapporti sociali; di quelli familiari an-zitutto, di quelli secondari o macrosociali in genere poi.

Una politica giusta nei confronti del soggetto esige in talsenso che la considerazione strettamente politica diventi an-che – e più fondamentalmente – considerazione morale. Mo-rale, nel senso di sfera riferita ai mores, alle forme del costumee alla loro ragione di congruenza con la causa della formazio-ne della coscienza del soggetto. Certo, la morale così intesa èanche una questione politica. Occorrerà poi riconoscere co-me le forme della coscienza morale del singolo trovino alla fi-ne la propria ultima definizione per riferimento a istanze idea-li (religiose?) ulteriori rispetto a quelle definite da ogni possi-bile forma del costume. E tuttavia questa ultima“trascendenza” della coscienza morale rispetto alle forme civilidel vivere non può nascondere l’altra evidenza: che la co-scienza morale, qualsiasi sia la forma della sua ultima determi-nazione religiosa, ha indispensabile bisogno delle evidenze di-schiuse dall’alleanza civile per edificarsi. L’affermazione vale,ovviamente, anche per coscienza cristiana. La “presunzione”– così occorre valutarla – che si dia una morale cristiana su-scettibile di definirsi nei suoi contenuti materiali a prescinde-re da ogni riferimento alle evidenze dischiuse dal rapporto ci-vile, conduce la stessa morale ad assumere un profilo alquan-to immaginario e velleitario. La possibilità che la coscienzacristiana maturi una proposta pertinente per riferimento allasocietà postmoderna, è legata a questa condizione prelimina-re, che essa sviluppi una competenza esperta a proposito del-

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le forme morali del nostro tempo. Condizione che fino ad og-gi appare assai lontana dall’essere realizzata»4.

La citazione apre un contesto dove l’impellenza della que-stione sociale e quella dei diritti se non costituiscono un nes-so stretto tra la «situazione» reale e i rapporti complessi dellaformazione e lo sviluppo della società civile e il suo esprimer-si nelle istituzioni, non consente riferimenti facili, di sempliceaggiornamento.

Non si può, in effetti, puntare simultaneamente all’affer-mazione di una laicità che implichi una separazione tra la sfe-ra morale privata e quella politica, pubblica, intendendo i ter-mini nella loro più ampia genericità e comprensibilità, e la di-chiarata socialità.

In questo paradosso della vita cristiana, si coglie la diffi-coltà che non può essere risolta in termini formali, filosofici eanche teologici, una volta per tutte.

Esiste una processualità storica del problema che implica lastoricità delle diverse esperienze che mettono in evidenza, neitempi, emergenze di bisogni e di valori che possono sembra-re sempre uguali a se stessi, ma che non sono uguali nella lo-ro urgenza e nella loro messa all’ordine del giorno di una ge-nerazione.

In questo quadro «genetico», nasce l’esigenza di dare unvalore alla laicità che si organizzi in molteplici esperienze epuò anche dare vita a una sorta di movimento cattolico italia-no (Mci: sarà indicato così), all’interno di una consapevole sto-ricità della chiesa e all’interno di una rispondenza alle diversitàche già san Tommaso indicava esistenti, anche senza il pecca-to originale. Il punto è questo: c’è un errore d’impostazionenelle polemiche che hanno creduto di porre correttamente ilproblema della laicità. In realtà, integralismo e laicità sono for-me di un’esperienza storica comune che dovrebbe spegneremolte polemiche accese nel passato, per giungere a un’ideaprocessuale dell’esperienza laicale, ecclesiale e temporale5.

Il Mci si situa in un punto di discontinuità dalle esperienzepassate, con lo stesso nome, che pure vanno ricordate e con-

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siderate. Adesso, l’accento va posto sul termine «movimen-to» laicale, appunto, che suppone un’agitazione culturale espirituale forse senza precedenti.

Ha osservato Yves Congar che «ci vogliono degli sforzi evi-dentemente in tutti questi settori, per quella influenza cristia-na nel campo temporale di cui vi do degli esempi molto este-riori. Non ci sono formule. “Una politica cristiana” non esiste,come non esiste un’arte cristiana o una letteratura cristiana.C’è un cristianesimo che è trascendente riguardo a questi sfor-zi di espressione nel campo temporale, e il temporale non èsoltanto la politica: è tutto lo sforzo di coordinazione della vi-ta terrena da parte dell’uomo. C’è un cristianesimo trascen-dente riguardo al piano temporale, che suscita o suggerisce uncerto numero di sforzi che si adattano come possono»6.

Si devono assumere le esperienze passate, ma per ripro-porre un movimento di forma nuova, non più proiezione del-la gerarchia apostolica e portatore di percezioni omogenee,anche se non uguali e senza proposte unitarie.

La vita di relazione implica una relatività impiantata dal-l’apporto delle diverse coscienze. Ha scritto Karl Rahner: «Ilcristiano cattolico normale spesso è ingiusto verso la chiesa; incerte circostanze egli si ritiene senz’altro giustamente liberonei confronti di una determinata legge ecclesiastica positiva,perché considerato il suo caso concreto davanti a Dio, non siritiene obbligato moralmente dalla legge generale della chie-sa e forse non può ritenersi obbligato da essa. Se egli ha que-sta convinzione, ebbene questa può essere senz’altro giustifi-cata, però egli non può nel contempo richiedere ancora che lachiesa approvi espressamente con una sentenza questa deci-sione individuale concreta»7.

D’altra parte, la storia c’insegna la sofferenza della vita cri-stiana in certi momenti e in certe sfere di uomini dirigenti del-la vita pubblica.

Per non essere astratti ci riferiamo alle vicende dei confes-sori del re, come li ha ricordati Georges Minois8. Il caso è em-blematico.

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Nel secolo XVII i confessori dei re di Francia erano tuttigesuiti, secondo una convenzione allora consolidata dall’e-sperienza. Questi confessori avevano non pochi problemi dicoscienza propria per dirigere le coscienze regali.

Bene. Le istruzioni del generale della Compagnia, ClaudioAcquaviva, ai confessori erano quelle di badare alla coscienzadel sovrano. Il confessore doveva guardarsi dall’immischiarsinegli affari politici estranei al suo compito. In tal modo la sepa-razione era contenuta drasticamente nelle istruzioni. In con-creto, per quanto riguardò Luigi XIII ben cinque confessori sisusseguirono nella direzione spirituale del re. Tutti cadevano indisgrazia e nel licenziamento quando osavano connettere l’im-moralità di certe scelte politiche e militari o anche ideologiche(come lo schieramento con i protestanti) e chiedevano al re unesame di coscienza in merito. Alla fine, l’ultimo confessore re-sistette, perché si astenne dal porre simili questioni, forse riser-vandosi di chiedere il numero delle amanti del sovrano che se-guiva anche in questa materia una condotta incorreggibile.

Il cardinale Richelieu era furibondo con questi confessoriche osavano sindacare moralmente la ragion di stato.

Il modello si rivelò durevole. La drasticità di certi atteggia-menti di condanna e di deplorazione di atti riferiti alla vitaprivata, non avevano riflessi sulle scelte sociali. Questo valevaper la condotta militare, ma anche amministrativa e per lescelte finanziarie e fiscali e per lo sfruttamento sistematico dellavoro altrui, quello delle masse tagliate fuori non solo dalledecisioni dei potenti, ma anche dalla compartecipazione allastessa dottrina morale.

Oggi avanza una nuova idea di politica, ma questa già in-contra difficoltà con una predicazione dell’individualismo piùradicale che è condivisa da vasti strati di classe dirigente.

Porre il problema del rapporto tra morale e politica senzaporre il dato strutturale di quel che significa una libera inizia-tiva, spinta in tutte le direzioni, e la necessità tutta politica dicolmare la differenza nella soddisfazione dei bisogni, deter-mina la questione della scelta culturale-politica.

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Va notato che la percezione nuova dei problemi di questanatura caratterizzò il primo Mci. La questione sociale dette l’av-vio a una nuova fase che conserva la sua potenzialità storica.

Sul terreno della socialità, del lavoro e dello sfruttamento,cominciò una riflessione che veniva dall’alto, dall’insegna-mento pontificio che diventò magistero dottrinale della chiesa.

Facciamo un passo indietro. Vediamo il caso iniziale conuna citazione di Bernanos che ci offre un aspetto di una si-tuazione nel colloquio tra due preti: «L’ingiustizia e la disgra-zia, guarda son cose che m’accendono il sangue. Oggidì, d’al-tronde, son questioni ben superate, tu non puoi renderteneconto… Per esempio, la famosa enciclica di Leone XIII, Re-rum Novarum: voi la leggete tranquillamente, con l’orlo delleciglia, come una qualunque pastorale di quaresima. Alla suaepoca, piccolo mio, ci è parso di sentirci tremare la terra sot-to i piedi. Quale entusiasmo! Ero, in quel momento, curatodi Norenfontes, in pieno paese di miniere. Quest’idea cosìsemplice che il lavoro non è una merce, sottoposta alla leggedell’offerta e della domanda, che non si può speculare sui sa-lari, sulla vita degli uomini, come sul grano, lo zucchero o ilcaffè, metteva sottosopra le coscienze, lo credi? Per averlaspiegata in cattedra alla mia buona gente son passato per unsocialista e i contadini benpensanti m’hanno fatto mandare aMontreuil, in disgrazia».

Georges Bernanos ci offre questo quadretto di una situa-zione importante «d’epoca». Il prima e il dopo. Prima l’ordi-ne costituito era una specie di programma politico per i cat-tolici. A un certo punto c’è un cambiamento, un’innovazionee arriva l’enciclica sul lavoro. È un inizio, in realtà, un puntodi partenza da cui il Mci che già era cominciato, ma sull’ondadel legittimismo, trovò la sua ragione sociale nell’interesse del-le persone e della società9.

Da allora, è cambiato qualcosa, nel corpo della chiesa e nelmondo. Si era schiusa, allora, una linea critica della chiesa ver-so lo sfruttamento che come struttura era stato ignorato, al difuori delle opere personali di misericordia.

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La mimesi riformista (Rendiamo ferme le stesse cose)

L’avvento della destra si è configurato per una sua parte co-me una continuazione della Dc sul terreno dell’anticomuni-smo, anche a comunismo svanito.

La campagna della nuova destra «centrista» contro i co-munisti, a molti sembra superficiale, come se i leader di que-sto settore politico non avessero preso atto della fine del co-munismo.

I destinatari di questo messaggio, invero, capiscono la por-tata dell’avvertimento che è una finzione argomentativa esemplificativa per stigmatizzare un gruppo di potere d’origi-ne comunista, che avrebbe la sola ambizione di comandare. Icomunisti costituirebbero un gruppo che vuole raggiungeregli scopi che non aveva raggiunto col Pci. Conterebbe per lo-ro non l’ideologia morta, ma la volontà di potenza. Si prendedi petto il dirigismo come eredità statalista dei comunisti.

Sostenendo che ancora si debba fronteggiare, oggi, il co-munismo, la destra intende solo continuare una polemicacontro chiunque voglia istituire regole per una corretta vitademocratica in qualche modo «sociale».

L’alterità contenuta in tale premessa, rispetto alla sinistra,dovrebbe, in ipotesi, caratterizzare il corpo centrista, che èidentificato anche come la parte più sostanziosa dell’ereditàdella Dc. Si trascurano però le ragioni del declino democri-stiano che non sono state chiarite e riguardano, come in ogniformazione politica, il rapporto reale esistente tra individuo,società civile, stato, governo dell’economia, distribuzione del-le risorse, la formazione di queste. Sotto dovrebbe stare la pos-

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sibilità di elaborare un consenso educato verso una politicache, per essere vitale, dovrebbe annunciarsi come diversa dal-la precedente. Non si tiene presente che la linea democristia-na sconfitta è stata quella egemone nella Dc, detta dorotea,che è finita principalmente nello schieramento della destra.

I volenterosi centristi non tengono presente che il centri-smo ha serie possibilità d’affermazione soltanto quando leestreme, destra e sinistra, sono robuste ma incapaci di parla-re ai moderati.

Nelle teorizzazioni del nuovo centro vive un paradosso:troviamo un centrismo politico che si fida della sinistra e conessa fa fronte comune, ma nella consapevolezza che gli ex co-munisti possono tendere (a causa della loro formazione cul-turale che non si cancella con un generoso atto di volontà) al-l’egemonia, seguendo una vocazione che potrebbe ripetere,sia pure molto vagamente e in modo più scaltro e liberal unavisione frontista, con un «popolo-popololavoratore» che sisuppone il perno intorno a cui si aggregano altre forze socia-li, non ancora meglio definite.

Si tratta di una posizione rischiosa, perché se si immaginauna politica centrista solo per distinguersi dalla sinistra senzaun tessuto programmatico e ideale, si può rendere talmentevicini i centrismi nella destra come nella sinistra, da non farlipiù distinguere fra di loro. S’immagina un centrismo che nonabbia bisogno di altra identità che quella di essere “centrista”,con una spiccata vocazione al nullismo. Con il declino o lascomparsa della logica di classe, per non dire del messianismodel proletariato predicato da Marx, il quadro di riferimento èinteramente mutato.

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Non il partito cattolico (Non si trova in natura)

Nel molto parlare e nel molto confondere, sul tema dell’e-ventuale risurrezione del partito della Dc si sorvola sulla que-stione principale.

È vero che nelle discussioni sulla restituzione agli italiani diun partito d’ispirazione cattolica, di tutto si parla meno chedi questa. Si direbbe che si gioca una partita col morto, senzamancare di riguardo a nessuno. La questione preliminare ècostituita dalla percezione che i cristiani hanno del loro mododi presentarsi nelle attività pubbliche e politiche.

Probabilmente, a intralciare un cammino, in apparenza, lo-gico e lineare, si colloca la storia di un passato in cui un partitopresuntivamente unitario dei cattolici sia modello da replica-re, pure con aggiornamenti, o da ripudiare in blocco. Questastoria, purtroppo, non è stata analizzata e pare che sia ancoraun buco nero. S’intende: non è stata analizzata da chi si è lega-to per anni all’esperienza della Dc ed è in grado di compiereanche una chiarificazione personale. Lo fanno gli altri, ma fug-gono sempre per due uscite di sicurezza: una costituita da tan-gentopoli e una dalla fine del comunismo, che invero giungonoal termine di un processo storico e politico assai complesso che− col suo procedere − spiega quel che è accaduto. Sono usciteche non portano da nessuna parte; non c’è esperienza politicapassata alla storia che sia spiegata in termini tanto banali: siaper le forze politiche sia per i leader e i loro comportamenti.

Si può precisare che tangentopoli, per testimonianza deglistessi procuratori, è esplosa soprattutto per cause economi-che, cioè per una caduta della sua redditività e non per una ri-

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volta morale. Pertanto il suo valore è limitato. Il suo caratteremorale complessivo rientra in una forma di «normalità», dacontestare, che non entra negli elementi di giudizio che siadottano per giudicare una fase storica ed eventi, ad esempio,come l’impero di Augusto o l’epopea napoleonica fortemen-te intrise di immoralità pubblica.

La mancanza di un esame di quel che è accaduto in cin-quant’anni, non aiuta a definire neppure astrattamente la pos-sibilità di un’esperienza di partito di ispirazione cristiana.

I «dibattitori» del replicabile partito per i cattolici (non«cattolico») evitano di indicare su quali linee. Rimane il fra-goroso silenzio su quel che dovrebbe attirare i cattolici intor-no a un programma politico.

L’idea della testimonianza personale da produrre in qual-siasi forza politica, comunque orientata culturalmente, in unafase di sollecitazione generalizzata come moda egemone delmomento verso il liberalismo individualista, è logica e riccadi senso. Ma non si può sfuggire alla necessità di una verificacostante della veicolazione reale di una cultura nella praticapolitica. Quella cultura che entra in ogni politica, anche seesorcizzata con il rinnegamento delle ideologie, che non la-sciano mai una specie di vacuum impossibile.

L’idea che la politica sia diventata una questioncina tantopiccola da non aver più bisogno di fondamenti culturali, ac-cettati in gruppo e non solo da singoli, è un ritorno di un an-tico pregiudizio che si è fatto luogo comune.

Uno o più partiti d’ispirazione cristiana si potrebbero an-che legittimare proprio perché la finzione di un confronto po-litico che sia mero scontro di interessi economici è fallita. Ciòdiventa più vero in un momento in cui ci si appella alla soli-darietà come fine e come mezzo, che si dà o si tenta di dareuno scopo di bene comune all’attività mistica della mano in-visibile del mercato, nel momento in cui grandi questioni le-gate alla natura dello stato, delle autonomie, alla cultura, allapace e alla guerra, alla bioetica, alla manipolazione e all’usodi ogni mezzo per la ragion di stato, all’emergere dei nuovi di-

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ritti o all’espressione di quelli antichi: tutti temi che esigonoun impegno di comprensione teorica che rimane attaccata auna prospettiva morale.

L’esperienza del Mci, specialmente in Italia, (a meno chenon si sostenga che sia stato un ingannevole scherzo della na-tura) ha messo in luce che nel rapporto tra fede e politica, adifferenza del passato, i cattolici devono procedere in formeprogrammatiche, cioè con ipotesi costruttive, non esclusive enon integraliste.

L’esperienza del Mci è stata estesa. Ha messo radici ancheal di fuori di quella che è stata la vicenda italiana che era trop-po connessa alla questione romana e a Porta Pia, almeno perla sua genesi. La cultura del Christian Democrat, che ha fattole sue esperienze soprattutto nei paesi anglosassoni, era notaa personaggi come Sturzo e De Gasperi e trovò in Maritainun organico teorizzatore. Si dirà che proprio questa linea do-vrebbe dimostrare che i cristiani che vogliono essere attivi inpolitica non necessariamente devono fare un partito proprio.

Giustamente, non è necessario fare un partito proprio. Maquesto dato deve essere deciso all’interno di ogni ambientepolitico culturale di ciascun popolo e stato. Conta il rifiutostorico di un atteggiamento d’indifferenza riguardo alle scel-te politiche, e il fingere che non esista alcuna specifica esi-genza da cristiani nella vita pubblica.

Oggi si è presentata la proposta del Partito democratico(Pd) che fa seguito alle variazioni seguite allo scioglimentodella Margherita e del Pds e quindi dell’Ulivo. Si deve tenerpresente il modello che nasce con esso. Pare che anche a de-stra vi sia qualche influenza in tal senso malgrado lo schemadel «principato» che è ancora dominante.

Il centrosinistra tenta di essere un fatto nuovo unitario persuperare una fase storica.

Tuttavia quando si deve spiegare cosa sia e che cosa possaessere il Partito democratico, la domanda riguarda la suaidentità. La questione è molto più difficile che in passato, per-ché l’idea di partito politico pluralista e delle sue funzioni si è

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arricchita di significati, perdendone altri che erano di mag-giore evidenza in una realtà monoculturale.

L’idem sentire de re pubblica che caratterizza ogni associa-zione partitica, si muove lungo una strada che è prefissata dauno schema teorico − implicito o esplicito − che può esserechiamato, a seconda della sua durezza e del suo spessore,ideologia o cultura. Il passaggio al partito «leggero», non tan-to organizzativamente, ma culturalmente, sembra aver toltoqualcosa alla sua «partitarietà» e quindi non è evidente il pun-to di riferimento politico.

Un partito che viene dopo l’esperienza dei partiti mono-culturali, a differenza di quello che si può pensare, ha più pro-blemi: di composizione corale di più istanze, di più premesseteoriche, di più idee che talora possono essere tra loro anchecontrastanti. Questo partito più ricco di possibilità di pene-trazione sociale trova qualche difficoltà, nella sua fase inizia-le, a presentarsi come un corpo unico e nello stesso tempo ric-co di apporti differenti.

Non avendo predefinito un interesse sociale da patrocina-re o da privilegiare o comunque da esprimere come potevanoessere la classe o i ceti intermedi, a livello di base popolare,trova qualche ostacolo per la chiarezza delle sue proposte.

Non si può fare finta che non esista il problema. Questo va-le anche per quanto riguarda le idee generali, i costumi e i com-portamenti e più in generale la vita pubblica e lo stato. La vi-sione dell’interesse pubblico a cui si sottomette quello dellaparte, dovrebbe qualificare dall’inizio un movimento politico.

Forse l’impostazione della questione deve subire i maggio-ri travagli. La lotta politica, uscita dagli “scontri di civiltà”,deve qualificarsi con un programma come insieme struttura-le di risposte a bisogni, a necessità che vengono da ogni formadi sviluppo non solo economica e di reddito. Su questo terre-no i convegni culturali di preparazione, introdotti da illustriaccademici, hanno fallito lo scopo.

Il programma è il punto di trazione di ogni filo che collegaalle diversità e agli interessi e su di esso deve avvenire la fon-dazione.

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Si deve immaginare – come cerchiamo di sostenere in que-sta sede – che i dati di base debbano esistere fuori del partito,come un reticolo di associazioni e movimenti, riviste, giorna-li, case editrici, organizzazioni sociali anche molto specializ-zate, che fanno sì che il partito sia quell’organo istituzionale disintesi previsto dalla Costituzione: i partiti concorrono a ela-borare la vita della nazione (art. 49).

Il partito deve quindi essere una realtà complessa, un pun-to di partenza di stimoli e di domande continue per mante-nere sempre attiva una discussione, dalla quale, in più puntidella società, vengano quelle proposte che poi confluiscononel programma. Questo non è una sommatoria, dove le paro-le sostituiscono i concetti e i fatti (per essere chiari, un fram-mento cattolico, uno liberale, uno socialista…). Vi si deveesprimere un’elaborazione complessiva, una fusione a moltevoci che, circoscritte dalla norma dell’interesse del Paese, poiindicano il programma comune che è identico per tutti nelpartito unitario, mentre le diversità rimangono al livello cul-turale di tutto il blocco sociale, come si diceva in tempo, chesi riconosce nell’iniziativa politica nuova.

In coscienza ciascuno fa le scelte che ritiene appropriate,anche le più personalizzate. Ciò non toglie che esista un do-vere e un diritto e, soprattutto, uno spazio storico culturale, incui partiti di ispirazione cristiana potrebbero essere ancorapossibili. Il difficile starebbe nell’eventuale rimpianto di un’e-sperienza da considerare chiusa anche se rimane ricca di in-segnamenti (pure di errori e omissioni da non ripetere).

Il rischio è il cercare solo di sopravvivere di alcuni quadridirigenti, peraltro non vincenti, fingendosi eredi di qualcosadi notevole, che scendono sul terreno dell’indifferenza, sulquale tutto va bene. Si teorizza, non a caso, che, in fondo, an-che per i cattolici sia agevole accettare lo spontaneismo de-terminista dell’economicismo liberale che nei principi è iden-tico a quello marxista, che Maritain chiamava preminenzadella causalità materiale, e nell’individualismo.

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Acquaviva, Claudio S.J., 18Albertario, David, 37, 37nAngelini Giuseppe 15, 257nAristotele, 164

Bakunin, Mikhail A., 188Balladore, Pallieri Giorgio, 42,

254, 264nBaran, Paul Alexander, 260nBarberini, Giovanni, 263nBava Beccaris, Fiorenzo 37Benedetto XVI, Joseph Ratzinger,

237, 239, 249-250, 263n, 264nBernanos, Georges, 19, 72, 256nBianchi, Giovanni, 75Bobbio, Norberto, 166-167,

231, 262nBoldrini, Marcello, 42Bonifacio VIII, Benedetto Cae-

tani, 118 Borgognone, Giovanni, 262nBrandt, Willy, 96Braudel, Fernand, 260nBruto, Marco Giunio, 226Bush, George W., 7, 69, 214-

215, 219

Calvez, Jean-Louis, 261nCandeloro, Giorgio, 257n, 259nCasaroli, Agostino, 263nCasavola, Francesco 224, 263nCavour, Camillo Benso di, 36Ceriani, Grazioso, 42Chenu, Marie-Dominique, 58, 154

Clausewitz, Karl von, 212, 227Cohen, Warren I, 259nColombo, Carlo, 41-42, 258n,

263nColomer, Josep M., 192, 262nCongar, Yves M.-J., 17, 58 256nCorti, Carlo, 42Croce, Benedetto, 74, 174

D’Ondes Reggio, Vito, 37Dahl, Robert, 63De Gasperi, Alcide, 30-31, 33, 36,

154, 158, 164-165, 184, 257nDe Rosa, Gabriele, 257Depretis, Agostino, 164Diogneto, 133, 172Donat Cattin, Carlo, 224Dossetti, Giuseppe, 54, 258n,

259n

Einaudi, Luigi, 73Elias, Norbert, 264nEngels, Friedrich, 97

Fanfani, Amintore, 42, 224Ferrarese, Maria Rosaria, 86,

92, 260nFerraris, Vittorio Luigi, 263nFeuerbach, Ludwig, 85Fiordelli, Pietro, 264nFonzi, Fausto, 257n

Gambasin, Angelo, 257nGarraty, John A., 263n

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Indice dei nomi

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Garzonio, Marco, 259nGay, Peter, 263nGemelli, Agostino, 41-42Gentiloni, Ottorino, 38, 257nGeorge, Susan, 78, 260nGiacchi, Orio, 42Giannini, Guglielmo, 258nGiovagnoli, Agostino, 257nGiovanni Paolo II, Karol Wojty-

la, 115-116, 122, 128, 145,149-151, 158, 170, 200, 217-219, 260n, 262n,

Giovanni XXIII, Giuseppe Ron-calli, 59, 149

Gonella, Guido, 154-155Görres, Albert, 264nGramsci, Antonio, 29, 42, 231Gregorio XVI, Bartolomeo Al-

berto Cappellari, 34, 153Grosoli, Giovanni, 38, 45, 258nGui, Luigi, 224

Hayek, Friedrich August, 188Hegel, G. F. W., 88, 212, 260nHine, David, 262n

Innocenzo III, Lotario dei contidi Segni, 118

Journet, Charles, 58, 162, 255n

Kautsky, Karl, 260nKelsen, Hans, 116Keynes, John Maynard, 101,

145, 147, 165Kissinger, Henry Alfred, 69Küng, Hans, 128

Lama, Luciano, 230Lazzati, Giuseppe, 14, 51, 55,

161, 256n, 259n, 260nLenin, Vladimir, 231, 260nLeone XIII, Gioacchino Pecci,

19, 34, 37, 159Leoni, Bruno, 187-188

Linz, Juan J., 192, 262nLonginotti, Giovanni Maria, 258nLorenz, Edward, 72Luigi XIII, 18Luttwak, Edward, 97

Malgeri, Francesco, 257n, 258nMalpensa, Marcello, 256nMannheimer, Renato, 262nMaritain, Jacques, 13, 58-59, 85,

105, 129, 137, 162, 184, 186,198, 234, 260n, 261n

Martina, Giacomo, 257nMarx, Karl, 42, 85-86, 97, 154,

174, 181, 188, 231, 243, 258n,259n, 260n

McLuhan, Marshall, 72,81, 260nMcNamara, Robert, 79Meda, Filippo, 37, 165, 258n, 262nMeda, Luigi, 42Messineo, Domenico, 263nMiglioli, Guido, 258nMinois, Georges, 17, 257nMises, Ludwig Edler von, 188Moro, Aldo, 23, 105, 155, 224,

226, 229, 231-232, 263nMoro, Thomas, 213, 263nMorozzo della Rocca, Roberto,

261nMounier, Emmanuel, 198Murri, Romolo, 38, 258nMussolini, Benito, 42, 45-46

Napoleone I, 68, 226Necchi, Ludovico, 41Nozick, Robert, 188

Obama, Barak, 7Oberti, Armando, 256nOlgiati, Francesco, 41-42, 258n,

259n, 262nOrfei, Ruggero 14, 16, 21-22,

28, 88Osterhammel, Jürgen, 260nOttaviano, Cesare Augusto, 183,

226

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Padoa Schioppa, Tommaso, 88Paganuzzi, Giovanni Battista,

37-38Paolo di Tarso (san), 11, 131,

174, 250Paolo VI, G.B. Montini, 42, 67,

115, 127, 139, 149, 152, 162Parola, Alessandro, 256n, 258nPavan, Pietro, 55nPaynter, M. N., 259nPelloux, Luigi, 37-38Petersson, Niels, 260nPietro (san), 11Pio IX, Giovanni Maria Ma-

stai-Ferretti, 34Pio XI, Achille Ratti, 33Pio XII, Eugenio Pacelli, 12,

33, 42Piva, Francesco, 257n, 258nPompei, Gian Franco, 157, 261nPopper, Karl Raimund, 188

Rahner, Karl, 17, 248, 256n, 264nReuven, Y. Hazan, 163Riccardi, Andrea, 255n, 259nRichelieu, Armand-Jean du Ples-

sis, 18Roosevelt, Franklin Delano,

165, 262nRothbard, Murray N., 188

Salamé, Ghassam, 259nSalviano di Marsiglia, 74Salviati, Scipione, 30Sangnier Marc 261nSani, Giacomo, 262n

Saussure, Ferdinand de, 72Saraceno, Pasquale, 42Scabini, Pino, 260nSchlesinger, Arthur M. Jr, 165,

262nScoppola, Pietro, 28, 256n,

257n, 261nSeverino, Emanuele, 113Sturzo, Luigi, 39-43, 45, 129,

131, 158, 162, 171, 184, 253,255n, 257n, 258n, 261n

Sweezy, Paul Malor, 260n

Tauran, Jean Louis, 220Thils, Gustave, 58Tocqueville, Alexis de, 60-61,

68-69, 90, 259nTogliatti, Palmiro, 29Tolomeo, 167Tommaso d’Aquino, 16, 34,

136-138, 142-144, 159, 198Toniolo, Giuseppe, 37, 154Toynbee, Arnold, 74Turoldo, David Maria, 259n

Uggé, Albino, 42Utz, F. Arthur, 261n

Valenzuela, Arturo, 192, 262nVassallo, Salvatore, 262nVito, Francesco 42

Wallerstein, Immanuel, 22, 80256n, 260n

Weber, Simone, 31

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Rapporto e ipotesi

sul Movimento cattolico

se vi sia una regressione

della cultura sociale

e politica

dei cattolici italiani

questo libro viene stampato

nel carattere Simoncini Garamond

su carta Arcoprint

delle Cartiere Fedrigoni

dalla tipografia Sograte

di Città di Castello

per conto di Diabasis

nell’aprile dell’anno

duemila

nove

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