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IL LABIRINTO - Tavola di smeraldo · antichi popoli di tutto il globo. I primi Cristiani hanno...

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IL LABIRINTO Periodico telematico di informazione culturale Anno 2, n°6 Giugno 2009 Comitato Scientifico : Sandy Furlini, Paolo Cavalla, Katia Somà, Roberta Bottaretto www.volpianomedievale.it [email protected] IL RITO, LA CELEBRAZIONE E IL SOLSTIZIO (a cura di Sandy Furlini) Per migliaia di anni i nostri antenati hanno celebrato le stagioni dell’anno con feste rituali. Si sospendevano le attività lavorative, i prigionieri venivano liberati, i padroni ed i servi si scambiavano ruolo. Ma la cosa più importante è che le antiche feste stagionali accrescevano il senso di comunione con la Terra ed il Cielo. Il Sole, la Luna, le stelle, gli alberi e gli animali erano tutti coinvolti nel rito: la comunità rinnovava se stessa ed il suo rapporto con la natura. L’uomo moderno non celebra più queste antiche feste rituali o, se lo fa, le vive in forme irriconoscibili, come ad esempio il Natale ed il Capodanno. Ma spesso si tratta di pretesti commerciali e non esiste più il senso di partecipazione all’interazione ciclica tra Terra e Cielo. L’invito ad un ritorno agli antichi riti stagionali è più di un gesto simbolico: potrebbe essere infatti un modo per ricordare a noi stessi il naturale ordine delle cose e darci l’opportunità di accrescere la nostra consapevolezza della natura, impegnandoci per il suo benessere. I riti stagionali sono eventi gioiosi, coinvolgenti e vitali che ci uniscono intimamente alla sorgente dell’essere che è in noi. Diventano occasione per danzare, cantare e permettere al fanciullo che è in ognuno di noi di riaffiorare e mettersi a giocare; un momento in cui possiamo tornare alle semplici verità che sono raccolte nel cuore della vita. I Solstizi sono festività che trascendono l’ideologia religiosa: sono un semplice evento astrologico. Venivano celebrati dagli antichi popoli di tutto il globo. I primi Cristiani hanno presto cercato di assorbire nel loro calendario liturgico le antiche feste rituali pagane. Il Natale è stato fatto coincidere ad arte col Solstizio d’Inverno: entrambe sono feste di celebrazione della nascita della luce e divengono la speranza nel rinnovamento del mondo. In realtà chiunque può godere dei benefici derivanti da una rinnovata attenzione nei confronti del nostro pianeta e del suo rapporto col cosmo, che sia cristiano, musulmano, ebreo, induista, buddista, agnostico o ateo. Infatti chiunque può esprimere la propria gratitudine per i doni della luce e della vita. Il Solstizio non comporta la venerazione di particolari divinità, ma della vita stessa. Pag.1 La parola solstizio deriva dal latino Sol stetit, che significa letteralmente “il Sole si ferma”. Dal punto di vista dell’osservatore nell’emisfero boreale, quello in cui ci troviamo noi, abitanti dell’Europa, il Sole sorge e tramonta sempre più a Sud sull’orizzonte a mano a mano che si avvicina il Solstizio d’Inverno; sorge e tramonta sempre più a Nord quando si avvicina al Solstizio d’Estate. Questo movimento apparente del Sole subisce accelerazioni e decelerazioni lungo il decorrere delle stagioni. Partendo dal Solstizio d’Inverno, 21 Dicembre, il sole sorgerà da Sud-Est verso Nord-Est con moto sempre più veloce fino a rallentare in prossimità del 21 Giugno. Nei 4-5 giorni intorno a questa data il sole rallenta così tanto che pare nascere sempre allo stesso punto, ed allo stesso modo tramonta, in prossimità dello stesso luogo. Dal 24 Giugno, ricomincia la corsa al contrario, verso Sud-Est, con analogo moto, soffermandosi in prossimità del 21 Dicembre, per qualche giorno sempre nello stesso punto geografico. Il moto apparente del Sole subisce una ulteriore modificazione: da Dicembre a Giugno, a Mezzogiorno il suo punto occupato nel cielo sarà sempre più alto, massimo proprio nel Solstizio d’estate. All’opposto, occuperà il punto con declinazione minore durante il Solstizio d’Inverno.
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IL LABIRINTOPeriodico telematico di informazione culturale

Anno 2, n°6 Giugno 2009 Comitato Scientifico: Sandy Furlini, Paolo Cavalla,

Katia Somà, Roberta Bottarettowww.volpianomedievale.it

[email protected]

IL RITO, LA CELEBRAZIONE E IL SOLSTIZIO (a cura di Sandy Furlini)

Per migliaia di anni i nostri antenati hanno celebrato le stagioni dell’anno con feste rituali. Si sospendevano le attività lavorative, i prigionieri venivano liberati, i padroni ed i servi si scambiavano ruolo. Ma la cosa più importante è che le antiche feste stagionali accrescevano il senso di comunione con la Terra ed il Cielo. Il Sole, la Luna, le stelle, gli alberi e gli animali erano tutti coinvolti nel rito: la comunità rinnovava se stessa ed il suo rapporto con la natura.L’uomo moderno non celebra più queste antiche feste rituali o, se lo fa, le vive in forme irriconoscibili, come ad esempio il Natale ed il Capodanno. Ma spesso si tratta di pretesti commerciali e non esiste più il senso di partecipazione all’interazione ciclica tra Terra e Cielo.

L’invito ad un ritorno agli antichi riti stagionali è più di un gesto simbolico: potrebbe essere infatti un modo per ricordare anoi stessi il naturale ordine delle cose e darci l’opportunità di accrescere la nostra consapevolezza della natura, impegnandoci per il suo benessere. I riti stagionali sono eventi gioiosi, coinvolgenti e vitali che ci uniscono intimamente allasorgente dell’essere che è in noi. Diventano occasione per danzare, cantare e permettere al fanciullo che è in ognuno di noi di riaffiorare e mettersi a giocare; un momento in cui possiamo tornare alle semplici verità che sono raccolte nel cuore della vita.I Solstizi sono festività che trascendono l’ideologia religiosa: sono un semplice evento astrologico. Venivano celebrati dagli antichi popoli di tutto il globo. I primi Cristiani hanno presto cercato di assorbire nel loro calendario liturgico le antiche feste rituali pagane. Il Natale è stato fatto coincidere ad arte col Solstizio d’Inverno: entrambe sono feste di celebrazione della nascita della luce e divengono la speranza nel rinnovamento del mondo. In realtà chiunque può godere dei benefici derivanti da una rinnovata attenzione nei confronti del nostro pianeta e del suo rapporto col cosmo, che sia cristiano, musulmano, ebreo, induista, buddista, agnostico o ateo. Infatti chiunque può esprimere la propria gratitudine per i doni della luce e della vita. Il Solstizio non comporta la venerazione di particolari divinità, ma della vita stessa.

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La parola solstizio deriva dal latino Sol stetit, che significa letteralmente “il Sole si ferma”. Dal punto di vista dell’osservatore nell’emisfero boreale, quello in cui ci troviamo noi, abitanti dell’Europa, il Sole sorge e tramonta sempre più a Sud sull’orizzonte a mano a mano che si avvicina il Solstizio d’Inverno; sorge e tramonta sempre più a Nord quando si avvicina al Solstizio d’Estate. Questo movimento apparente del Sole subisce accelerazioni e decelerazioni lungo il decorrere delle stagioni.Partendo dal Solstizio d’Inverno, 21 Dicembre, il sole sorgerà da Sud-Est verso Nord-Est con moto sempre più veloce fino a rallentare in prossimità del 21 Giugno. Nei 4-5 giorni intorno a questa data il sole rallenta così tanto che pare nascere sempre allo stesso punto, ed allo stesso modo tramonta, in prossimità dello stesso luogo. Dal 24 Giugno, ricomincia la corsa al contrario, verso Sud-Est, con analogo moto, soffermandosi in prossimità del 21 Dicembre, per qualche giorno sempre nello stesso punto geografico.

Il moto apparente del Sole subisce una ulteriore modificazione: da Dicembre a Giugno, a Mezzogiorno il suo punto occupato nel cielo sarà sempre più alto, massimo proprio nel Solstizio d’estate. All’opposto, occuperà il punto con declinazione minore durante il Solstizio d’Inverno.

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I primissimi simboli che gli uomini dell’Era Glaciale incisero sulle ossa e sulle zanne di mammut furono le annotazioni dei cicli celesti, indicando come uno dei bisogni più pressanti dell’essere umano fosse quello di osservare e seguire i ritmi della natura e del cosmo. Tali ritmi sono così radicati negli esseri viventi che virtualmente ogni pianta ed ogni animale seguono un innato ciclo di attività di 24 ore, detto ciclo circadiano, ossia dal latino circa dies, “quasi un giorno”. Gli esseri viventi mantengono i propri orologi interni sempre sincronizzati grazie, almeno in parte, alla sensibilità nei riguardi dei minuscoli campi elettromagnetici del pianeta, campi che si spostano e cambiano con i cicli giornalieri e annuali della Terra e secondo le posizioni del Sole e della Luna. Il nostro stesso organismo è governato da decine di questi cicli.

IL LABIRINTO

Periodico telematico di informazione a cura del Circolo Culturale Tavola di Smeraldo. Anno 2, n°6 Giugno 2009

Ne sono un esempio la temperatura corporea o la pressione arteriosa, parametri che in condizioni basali e fisiologiche, seguono un preciso andamento durante l’arco delle 24 ore del giorno. La nostra risposta allo stress varia a seconda delle ore del giorno e soprattutto delle stagioni: più frequenti sono alcune patologie in determinati periodi dell’anno rispetto ad altri. Tipicamente sottoposte a tali oscillazioni sono le alterazioni del tono dell’umore e la patologia ulcerativa gastro-duodenale. Gli animali seguono particolari schemi stagionali di accoppiamento, letargo e migrazione: la scelta del momento giusto dipende dalle variazioni stagionali della luce solare. Oggi purtroppo l’uomo tecnologico ha sovvertito totalmente i ritmi naturali ed il tempo dell’orologio ha preso il tempo del Sole e della Luna, il tempo in nanosecondi dei computer ha reso il battito del cuore qualcosa di impreciso ed irrilevante.Potrebbe diventare un atto di inusuale saggezza fermare un istante la nostra furibonda corsa verso l’efficienza per riflettere su come i nostri antenati, invece di sopprimere o manipolare i cicli naturali, sopravvivevano restando sensibili ed armonizzando le proprie vite con essi.

La felicità e giocosità che caratterizzano i riti del Solstizio, trovavano spesso espressione nel sesso orgiastico e rituale. Questo slancio dell’energia procreativa serviva a due scopi: rafforzare i legami all’interno della comunità e stimolare e rivitalizzare la terra e con essa la tribù in particolare. Il rito di rinnovamento del Mondo non può esistere senza contatto sessuale. Ovviamente questo non voleva dire eccesso con sfumature dissacranti... Nei tempi antichi la sessualità era investita di un forte connotato sacro. Diventava un modo per partecipare al mistero della vita e della fertilità. Secondo gli antichi, le forze vitali che inondavano la natura, tendevano a fluire in noi coinvolgendoci nei ritmi naturali di fertilità: nelle giornate soleggiate è più facile provare sensazioni amorose a testimonianza che la natura influisce sui nostri sentimenti. Allo stesso modo è possibile influenzare la natura verso l’abbondanza proprio celebrando riti sessuali: la libera espressione della sessualità diviene un modo per risvegliare la natura stessa. Residui di queste usanze sono i baci sotto il vischio ed i balli di Capodanno...

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Il Solstizio d’Estate è festeggiato da sempre ed in ogni angolo della Terra. Riti e celebrazioni si perdono nella notte dei tempi. Qui il Dio e’ nel suo pieno vigore, e viene acclamato con l’accensione di fuochi. La Dea, invece, attende di spargere il frutto della sua unione, mentre tutto intorno la natura e’ in pieno rigoglio. Un tempo, tradizionalmente, si usava accendere grandi falò nei campi in onore del sole, facendo passare il bestiame tra di essi perché fosse purificato dal fumo, e saltando sulle fiamme (quando queste si abbassavano) per propiziare fertilità e un buon raccolto. Nella tradizione magica invece, la notte del 24 e la prima mattina, rappresentano il momento più propizio per la raccolta di erbe e piante, od anche della rugiada, da usarsi poi nel corso dell’anno per rituali e altre operazioni. L’erba di san Giovanni, in particolare l’Iperico, la Verbena e l’Artemisia sono tra le erbe da raccogliere in questa notte.

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RITI E FESTE DEL SOLSTIZIO D’ESTATE(a cura di Katia Somà)

Il Solstizio d‘Estate è uno dei sabba minori, chiamato anche Mezza Estate, e ricordato (il 24 giugno) come Festa di S. Giovanni Battista dalla tradizione cattolica, ma sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie, tra il 21 e il 22 giugno, è visto come un momento particolare e magico, ed è sempre stato nella storia occasione di feste, come i Litha(uno degli otto sabbat wicca che si celebra al solstizio d'estate) nel Neopaganesimo. Anche il Solstizio d‘Inverno ha rappresentato nei secoli occasione di festività di vario genere: i Saturnalia nell'antica Roma, Kwanzaa per alcuni afroamericani o lo stesso Natale, Yule nel Neopaganesimo, di cui tratteremo nel mese di Dicembre.Tutte le leggende si basano su di un evento che accade nel cielo: il 24 giugno il sole, che ha appena superato il punto del solstizio, comincia a decrescere, sia pure impercettibilmente, sull'orizzonte: noi crediamo che cominci l'estate, ma in realtà, da quel momento in poi, il sole comincia a calare, per dissolversi, al fine della sua corsa verso il basso, nelle brume invernali. Sarà all'altro solstizio, quello invernale, che in realtà l'inverno, raggiunta la più lunga delle sue notti, comincerà a decrescere, per lasciar posto all'estate. E' così che avviene, da millenni, la corsa delle stagioni.

Nella notte della vigilia di San Giovanni, in tutte le campagne del Nord Europa l'attesa del sorgere del sole era propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre, con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna, il Male si dissolveva sconfitto

In questa festa, secondo un'antica credenza il sole (fuoco) si sposa con la luna (acqua): da qui i riti e gli usi dei falò e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare. Non a caso gli attributi di S. Giovanni sono il fuoco e l'acqua, con cui battezzava... una associazione utilizzata da parte del cristianesimo, per sovrapporsi alle antiche celebrazioni pagane.Così nel corso del tempo, c'e' stato un mischiarsi di tradizioniantiche, pagane, e ritualità cristiana, che dettero origine a credenze e riti in uso ancora oggi e ritrovabili perlopiù nelle aree rurali. La tradizione popolare italiana e non solo, e’ piena di abitudini e riti finalizzati alla divinazione, alla magia e all’auspicare la buona sorta. Qui di seguito alcune tradizioni popolari legate al Solstizio d’Estate.

Giotto - Cappella degli Scrovegni - PadovaScene dalla vita di Cristo (Battesimo di Cristo)

I Fuochi di S. GiovanniI falò accesi nei campi la notte di S. Giovanni erano considerati, oltre che propiziatori anche purificatori e l'usanza di accenderli si riscontra in moltissime località: dall'Irlanda alla Russia, dalla Svezia alla Grecia e alla Spagna. Documenti del XVI secolo testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania; i rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità del raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai fulmini.

In Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern vicino ad Hallstatt (culla dei Celti della prima Età del Ferro) si usa ancor oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la sera del 23 giugno; celebrazione analoga è lo Highlight, un immane falò solstiziale che viene acceso a Schwarzenbach durante il Keltenfest, la festa dei Celti. Nell’antica Gallia, durante i giorni solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dioBelen.Passaggio nel fuoco

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I contadini si posizionavano principalmente su dossi o in cima alle colline, e accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmente la discesa.I falò avevano però anche funzione purificatrice: per questo vi si gettavano dentro cose vecchie, o marce, perchè il fumo che ne scaturiva tenesse lontani spiriti maligni e... streghe) (si riteneva che in questa notte le streghe si riunissero e scorrazzassero per le campagne, alla ricerca di erbe...)In alcuni casi si bruciava, un pupazzo, così da scongiurare la malasorte e le avversità. Inoltre si faceva passare il bestiame tra il fumo dei falò, in modo da togliere le malattie e proteggerlo sia da queste sia da chiunque vi potesse gettare fatture e malie.

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In Bretagna, c'era l’ usanza di far dondolare i bambini per nove volte davanti al fuoco, cosicché crescessero robusti. Davanti alle fiamme, inoltre, si disponevano delle pietre per fare in modo che gli avi defunti si riscaldassero. In Inghilterra era proibito, il 24 giugno, portare fuoco all'esterno delle case, per paura che la buona sorte se ne andasse. A Firenze, sui tetti delle basiliche venivano posti dei pentoloni di terracotta, pieni di grasso, che producevano dei magnifici fuochi che era possibile vedere da lontano. Nei campi venivano accesi dei focolari propiziatori, per allontanare il maligno e proteggere i campi. Le fiamme erano tenute in vita fino all'alba, momento in cui si spegnevano per lasciar spazio al più importante dei fuochi: il sole.

La notte delle streghe e San Giovanni di Marignano. Fantoccio

Ancora oggi a Pamplona in Spagna si usa raccogliere erbe aromatiche da bruciare negli incroci per scongiurare le tempestee i fulmini. Gettando erbe particolari (come la verbena) nel fuoco del falò si allontana la malasorte.Anche i Berberi che stanno in nord africa hanno dei festeggiamenti in concomitanza del 24 giugno e per questi accendono dei fuochi che facciano fumo denso per propiziare il raccolto dei campi e per guarire (col fumo) chi vi passa in mezzo. Chi salta il fuoco è sicuro di non dover soffrire il mal di reni per tutto l'anno. La mattina del 24 Giugno le persone girano tre volte intorno alla cenere lasciata dal falò e se la passano sui capelli o sul corpo, per scacciare i mali.In molte usanze sopravvissute, si trovano sacrifici animali, in cui le vittime venivano chiuse in ceste di vimini e poi gettate nel fuoco. In altri distretti si portavano in processione grandi effigi umane fatti di vimini, che poi venivano bruciate. Berberi del deserto

Ruote di fuocoPer alcuni la festa di S. Giovanni sarebbe la trasformazione di un antico culto solare (un riferimento preciso è reperibile nella festa romana del 24 giugno indicata come “solstitium” o “campas”), che rivela quindi radici profonde nella tradizione rituale precristiana. Molto importante non dimenticare il legame con l’antica società agraria, che con il culto del sole aveva un forte legame simbolico. Un esempio del culto solare in ambito agricolo è rappresentato dal tradizionale gioco delle “ruzzole” praticato nell’Appennino modenese (ma attestato con piccole varianti anche in altre aree). Questa tradizione, che qualcuno vuole celtica e qualcun altro pre-celtica, ha trovato la sua massima espressione nel lancio di grandi ruote di legno accese e, non di rado, inghirlandate. Secondo Frazer (in “Il Ramo d’oro”), “si riferisce al ciclo discendente del sole, avente inizio nella data rituale in questione e risponde all’intento di sfondare ritualmente il nuovo anno astronomico dando, in senso magico, il via a un favorevole corso del sole, identificato nella ruota”. La ruota infuocata viene fatta rotolare fino a valle, dove passa il fiume: se la ruota arriva accesa nell'acqua il segno e' favorevole; in caso contrario e' cattivo auspicio.Il lancio delle ruote infuocate è ancora vivo con le “cìdulis” delle Alpi orientali del Friuli; normalmente, prima di lanciare la sua “cìdule”, il lanciatore grida «vòdi cheste cìdule onor di...» (dedico questa ruota di fuoco in onore a...) e accompagna l’esclamazione con il nome del santo festeggiato (il rituale, rifiorito in tempi recenti, si può ripetere anche in occasione dell‘Epifania e di vari santi patroni locali). Queste ruote avvolte di paglia e incendiate, di cui si trova esempio anche in altre aree europee e spesso collegate al falò rituale, sono state interpretate come tentativi di ricostruzione simbolica del ciclo solare.

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Danze intorno al falòNonostante la demonizzazione secolare dei culti agresti (ancora oggi si mormora che nella notte di S. Giovanni le streghe celebrerebbero i propri rituali), alcuni aspetti tipici di questa festa pagana non si sono spenti e hanno mantenuto una propria vitalità, conservando alcune caratteristiche: oltre ai fuochi, le sfilate, le danze, i giochi, il coinvolgimento collettivo in genere e soprattutto intorno al gran falò finale. Un’altra pratica legata a S. Giovanni è la danza intorno alle grandi pietre megalitiche, considerate cariche di poteri magici.

La raccolta delle erbe Trascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, non solo si cantava e si danzava per tutta la notte, ma si prediceva la sorte, si bruciavano le vecchie erbe nei falò e si raccoglievano erbe nuove che venivano appese in casa, alle pareti, per un intero anno. Le erbe raccolte nella notte di S. Giovanni erano ritenute speciali, le più adatte per preparare pozioni magiche e medicamentose, potenti filtri, e per preparare incantesimi. Le tradizioni erboristiche antiche rivelano una sviluppata conoscenza della fitoterapia e soprattutto la capacità di creare una simbiosi favorevole con la natura (dovuta anche alla pratica) che portava a sapere che solo in alcuni giorni dell’anno era possibile ottenere i massimi principi attivi (effetto balsamico) dai poteri vegetali.

“Midsommardans” di Anders Zorn 1897 Museo Nazionale di Stoccolma

Le erbe raccolte in questa notte sono in grado di scacciare ogni malattia e, tutte le loro caratteristiche e proprietà sono esaltate e alla massima potenza. C'erano poi erbe miracolose, in grado di donare chiaroveggenza e addirittura invisibilità. In questo caso bisognava però superare una prova: Chi avesse colto la pianta si sarebbe sentito chiamare con la voce di un proprio caro. Solo chi avesse resistito e non si fosse girato avrebbe acquisito l'invisibilità. La voce infatti era solo un trucco del Diavolo per non cedere il potere della pianta.

Le erbe più note da raccogliere nella notte del 24 sono: l'Iperico detto anche erba di S. Giovanni; l'Artemisia chiamata anche assenzio volgare e dedicata a Diana-Artemide; la Verbena e il Ribes rosso che proteggevano dai malefici.Oltre a: Vischio, Sambuco, Aglio, Cipolla, Lavanda, Mentuccia, Biancospino, Corbezzolo, Ruta e Rosmarino. Con alcune di queste piante era possibile fare "l’acqua di San Giovanni": si prendevano foglie e fiori di lavanda, iperico, mentuccia, ruta e rosmarino e si mettevano in un bacile colmo d'acqua che si lasciava per tutta la nottata fuori casa. Alla mattina successiva le donne prendevano quest’acqua e si lavavano per aumentare la bellezza e preservarsi dalle malattie.Altre erbe, usate nella medesima maniera davano origine ad altri tipi di acqua di s. Giovanni (ci sono delle variazioni tra regione e regione), che servivano comunque sempre contro il malocchio, la malasorte e le malattie, di adulti e bambini.

La storia relativa ai fiori magici è interessante, ed è frutto di credenze molto diffuse. Nella tradizione magica, la notte del 24 e la prima mattina, rappresentano il momento più propizio per la raccolta di erbe e piante, od anche della rugiada, da usarsi poi nel corso dell’anno per rituali e altre operazioni. In Boemia, ad esempio, si crede che il fiore della felce risplenda come l'oro, o come il fuoco, nella notte di San Giovanni: chiunque lo possieda in questa magica notte, e salga una montagna tenendolo in mano, scoprirà una vena d'oro, e vedrà brillare di fiamma azzurra i tesori della terra. In Russia, i contadini raccontano che chi riesce ad impadronirsi del meraviglioso fiore nella vigilia di San Giovanni, se lo getta in aria, lo vedrà ricadere per terra nel punto preciso dove è nascosto un tesoro. Pare che questo fiore fiorisca improvvisamente, talvolta, a mezzanotte precisa della magica notte del solstizio d'estate; e, sempre in Russia si racconta che chi abbia la fortuna di cogliere l'istante di quella fioritura improvvisa, potrà nello stesso tempo assistere a tanti altri spettacoli meravigliosiNel cantone svizzero di Friburgo, il popolo usava un tempo vegliare vicino ad una felce la notte di San Giovanni, nella speranza di guadagnare il tesoro che qualche volta il diavolo in persona portava loro.

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L'Artemisia, in particolare l'assenzio, è forse la pianta più celebre tra quelle dette "di San Giovanni". Un suo rametto scacciava i diavoli, neutralizzava il malocchio e, più banalmente, forniva energia ai viandanti; era usanza mettere un mazzo di questa erba dietro l'uscio di casa, per proteggere l'abitazione dai fulmini. Altra capacità dell'assenzio era quella di vincere la decadenza e la precarietà. Mettendo del succo di assenzio nell'inchiostro, la carta scritta con quell'inchiostro diveniva sana e durava molto tempo, perché fortificata contro le tarme.L'Iperico è un fiore dei campi e veniva usata a scopo protettivo. Chi si trovava per strada la notte della vigilia, quando le streghe si recavano a frotte verso il luogo del convegno annuale, se ne proteggeva infilandoselo sotto la camicia insieme con altre erbe, dall'aglio, all'artemisia, alla ruta. Il suo stretto legame col Battista sarebbe testimoniato dai petali che, strofinati tra le dita, le macchiano di rosso perché contengono un succo detto per il suo colore "sangue di San Giovanni".La Verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, è conosciuta in Bretagna come "erba della croce", perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male ed anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste. Simbolo di pace e prosperità. I greci la chiamavano "Hierabotane", erba sacra. A Roma la verbena veniva raccolta in un luogo sacro del Campidoglio e se ne faceva una corona per i sacerdoti membri dei "fetiales"; costoro erano incaricati di studiare i conflitti tra Roma e gli altri popoli. In latino il nome risale a un'antica radice europea da cui deriva anche il greco "rhabdos", che si collega a verga.

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Diana-Artemide dea della caccia

Altra proprietà magica della verbena era il suo utilizzo nei filtri d'amore. La pianta era infatti anticamente consacrata a Venere, che veniva ritratta incoronata di verbena e mirto. I bardi celtici se ne cingevano il capo per avere un'ispirazione dagli dei.L'Erica è un fiore delle nevi e dei terreni poveri ed ostili. Il suo nome deriva dal verbo greco "ereiko", spezzo, rompo, proprio perché l'erica è più forte della dura crosta di terra invernale o della neve che la ricopre, tant’è che la buca senza fatica, emergendo all'aria aperta.I fiori dell'erica, che vanno dal bianco alle varie tonalità di rosa, assomigliano, rovesciati, ai copricapi degli elfi.

Erica

Era tenuta in grande considerazione fin dall'antichità, tanto da essere utilizzata per costruire le scope che sarebbero servite a pulire i templi degli Dei, e successivamente, in tempi più severi, il forno dove cuocere il pane. L'utilizzo per costruire scope era così diffuso che, in alcune regioni, l'erica stessa viene chiamata scopa e ancora oggi, alcune località soprattutto della Toscana, dove cresce in abbondanza ricoprendo a distesa campi e colline, vengono chiamate Scopeto, Poggio delle Scope, Pian di Scò. Stessa origine dovrebbero avere i paesi di Scopa e Scopello, della Valsesia.

Le leggende associano spesso l'erica alle entità Fatate, facendole dimorare fra i suoi rami e sconsigliando di sdraiarsi a dormire fra queste piantine, per non correre il rischio di essere rapiti dalmondo delle fate. Di contro, era possibile accedere ai segreti dell'Aldilà, semplicemente dormendo su un letto di erica, che è anche spesso giaciglio degli amanti in numerose leggende. Usanza derivante probabilmente dal mondo celtico, dove l'erica ècollegata sia all'Aldilà sia all'amore.

Scopa di Erica

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La Ruta, considerata già da Aristotele come protezione dagli spiriti e dagli incantesimi, era un efficace talismano contro il maligno, ed era detta "erba allegra." L'aglio, oltre che assicurare un anno prospero, era efficace come protezione dal male e dai malanni. Anche Plinio lo cita come utile nel guarire molte malattie. Il nome sanscrito dell'aglio vuol dire "uccisore di mostri". Non per niente lo ritroviamo fondamentale anche nelle leggende sui vampiri.La Salvia è invece legata a un'antica leggenda sul viaggio che compì Maria mentre era in fuga con la Sacra Famiglia. Sentendo i soldati che stavano per raggiungerli, chiese a una rosa di proteggere il bambino Gesù, ma la rosa rifiutò, per paura che i soldati calpestassero i suoi petali. La pianta fu per questo punita e condannata ad avere fiori belli, ma dalla durata effimera, e uno stelo spinoso. Maria continuò a chiedere aiuto ad altre piante. Prima la vite disse di no e per questo fu condannata a essere tagliata e privata dei frutti ogni anno, con la vendemmia.

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Il Noce è l'albero attorno al quale si riuniscono a convegno le streghe nella notte di San Giovanni. E' proprio in questa notte che si devono raccogliere dall'albero le noci, dette appunto di San Giovanni, per la preparazione del nocino, il liquore ottenuto dall'infusione delle noci ancora immature nell'alcool per qualche settimana, assieme ad aromi speziati come la cannella e i chiodi di garofano che aveva poteri di rinforzare e risollevare dai malanni.

Il culto del noce come "albero delle streghe" è di origine druidica. L'albero del noce era considerato sacro per le streghe ma non per i contadini che lo piantavano a distanza dagli altri alberi da frutto perchè era radicata la credenza che questo albero ermafrodita, che può raggiungere anche i 300 anni di età, fosse velenoso e che la sua influenza negativa contagiasse il terreno su cui poggiava. Da qui l'usanza di piantarlo a distanza dagli altri alberi dell'orto.

Altri usi legati alla vegetazione• Alle prime luci del 24 giugno i contadini che possedevano alberi di noce dovevano andare a legare una corda di spighe di

orzo ed avena intrecciate ai tronchi dei loro alberi. In questo modo avrebbero poi raccolto frutti buoni e abbondanti.• Raccogliere 24 spighe di grano e conservarle gelosamente tutto l'anno serviva come amuleto contro le sventure. • Fare un mazzolino di tre spighe di grano marcio o carbone e buttarlo nel fiume liberava dagli animali e dalle piante nocive il

grano che si stava per mietere. • Il giorno di San Giovanni se si compera l'aglio si avrà un anno prospero. • A mezzanotte si deve cogliere un ramo di felce e tenerlo in casa per aumentare i propri guadagni.

La rugiadaOltre ai rituali legati al sole e al fuoco ci sono quelli di purificazione con l’acqua. La notte del 24 e la prima mattina, rappresentano il momento più propizio per la raccolta della rugiada, da usarsi poi nel corso dell’anno per rituali magici e la preparazione di pozioni e medicamenti. Nel nord Europa, se una donna desiderava molti figli, o se voleva bei capelli e una buona salute, doveva stendersi nuda nell’erba bagnata. La rugiada della mattina di San Giovanni, ovviamente legata all'elemento acqua, ha il potere di curare, di purificare e di fecondare.

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In questa magica notte, uomini e donne si rotolavano nudi nei prati per assorbire il potere della rugiada di S. Giovanni creando un’atmosfera facilmente demonizzabile dall’autorità ecclesiastica, che in questa pratica individuò una manifestazione stregonesca. Un Editto pubblicato a Roma il 17 giugno 1755, dal Vicario Marco Antonio Colonna, avvertiva di vigilare e contenere gli «abusi che si commettono nella notte della vigilia di San Giovanni Battista» ricordando che «contro i trasgressori si procederà anche per inquisizione».Qui da noi c'era piu' l'abitudine di raccoglierla, che di usarla sul momento.“Se volete raccogliere la rugiada, potete stendere un panno tra l’erba, strizzandolo poi il mattino successivo. Oppure scavare una piccola buca, in cui inserirete un bicchiere o un altro contenitore. Sopra di esso poi metterete un telo impermeabile, fissato ai bordi della buca (in alto) e con un foro al centro proprio sopra l’orlo del bicchiere (sul fondo). La rugiada si depositerà sul telo e scenderà nel vostro contenitore.”

La divinazione La notte di S. Giovanni e' legata a tantissime forme di divinazione, utilizzando come base acqua e/o piante. Le divinazioni più famose vertevano sull'indovinare qualcosa del proprio futuro amoroso e matrimoniale:Le ragazze da marito, se vogliono conoscere qualcosa sulle loro future nozze, dovranno, la sera della vigilia del 24 giugno, rompere un uovo di gallina bianca e versarne l'albume in un bicchiere o un vaso pieno d'acqua. Poi lo prenderanno e lo metteranno sulla finestra, lasciandolo esposto tutta la notte alla rugiada di S. Giovanni. Il mattino successivo, appena levato il sole, si prenderà il bicchiere, e attraverso le forme composte dall'albume nell'acqua, si trarranno auspici sul futuro matrimonio.Oltre all'uovo poteva venir impiegato il piombo fuso: versato nell’acqua si raffreddava velocemente e dalla forma assunta si traevano previsioni sul mestiere del futuro marito. Vi e' anche una versione di questo metodo che al posto del piombo prevedeva l'utilizzo dello zolfo.

Altri usi legati all'acquaLa prima acqua attinta la mattina del 24 manteneva la vista buona.

Recarsi all'alba sulla riva del mare a bagnarsi preservava dai dolori reumatici. Una leggenda tramanda che vicino al famoso Noce di Benevento, ci fosse un laghetto o un torrente in cui le donne si

bagnavano proprio in questa notte, per aumentare la propria fertilità.

Una divinazione con forme vegetali era fatta con i cardi. Presi due, di grandi dimensioni gli si bruciacchiava la testa, poi si mettevano in un recipiente sul davanzale della finestra, uno con il capo rivolto verso l’interno, l'altro verso l’esterno. Se al mattino uno dei cardi era ritto sullo stelo, la ragazza interessata entro l’anno si sarebbe sposata; se il cardo era quello interno, con uno del proprio paese, se quello verso l'esterno, allora si sarebbe maritata con uno di fuori.

E si credeva che la ragazza che, guardando il sole all'alba, vi avesse visto la testa decapitata di San Giovanni, si sarebbe sposata entro l'anno. La notte di San Giovanni, le donne della Repubblica di Venezia si rivolgevano alla luna per chiederle il nome del futuro marito. Il primo nome udito pronunciare da qualcuno, in qualsiasi circostanza, sarebbe stato quello dello sposo.

Un altro sistema con i cardi prevedeva di bruciarne la corolla e lasciarla tutta la notte fuori della casa. Al mattino occorreva osservarla attentamente: se appariva di colore rossastro era segno di buona sorte ma se appariva nera era indice di sicura sfortuna. C'era anche un sistema con le fave. La sera del 23 le giovani nubili dovevano prendere tre fave: una intera, una sbucciata e la terza rotta nella parte sopra, e metterle sotto il cuscino al momento di andare a dormire. Durante la notte dovevano prenderne una a caso: se prendevano quella intera, buona sorte e ricchezza, la mezza poca sorte e quella sbucciata, cattivo auspicio.L'usanza di mangiare le lumache per San Giovanni e' legato perlopiù alle corna delle lumache (simboleggiano la luna e rappresentano il suo ciclo di crescita/decrescita). Per ogni lumaca mangiata, si ritiene che sia scongiurato un malanno... così come il rischio di "corna" in casa.

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Le streghe di S. Giovanni Il 24 giugno è anche il giorno in cui, secondo le tradizioni italiane, le streghe si recano, in volo, verso il "Grande Noce di Benevento"; l'albero sul quale una dea lunare avrebbe sconfitto il diavolo, rimandandolo negli inferi.Nel rispetto di questa credenza, si sono sviluppati molti rimedi per evitare che le streghe si soffermassero, durante il loro lungo viaggio, in casa di qualche sventurato. L'uso del rosmarino e dell'ulivo benedetto e di un barattolo di sale e una scopa di saggina sull'uscio, erano ritenuti i più efficaci. Le streghe infatti, prima di entrare in casa, erano costrette a contare i chicchi di sale e i ramoscelli della scopa, cosa che richiedeva così tanto tempo da non permetter loro di finire prima della mezzanotte, momento in cui iniziava il giorno di San Giovanni, ed erano costrette a fuggire.La notte di San Giovanni, a Roma, fino al 1872 (anno in cui la festa fu soppressa dal governo italiano), dopo l'Ave Maria veniva sparato un colpo di cannone che dava inizio ai festeggiamenti. Chi voleva si metteva in attesa del passaggio delle streghe, sedendosi, con il mento appoggiato ad un bastone doppio, con lo sguardo rivolto alla Santa Croce, scrutando il cielo. Anche nelle notti più nuvolose, il buon vino dei Castelli romani faceva il più del lavoro, permettendo a tutti di avvistare streghe e fantasmi delle grandi malvagie eroine capitoline, come Lucrezia Borgia, la papessa Giovanna e la famigerata donna Olimpia, patrona dei corrotti e dei corruttori.Le streghe si davano appuntamento e si riunivano intorno a un albero di noce.

Aguarda que te untex (Guarda che ti ungono) incisione di F. Goya: l'unguento trasforma all'istante

le streghe in esseri bestiali che spiccano il volo verso il sabba.

"Unguento unguento mandame alla noce de Benevento, supra acqua et supra vento et supra omne maltempo." Così cantavano le streghe.

ASPETTI FITOTERAPICI DELLE ERBE DEL SOLSTIZIO D’ESTATE(a cura di Paolo Cavalla)

Il solstizio d’estate segna un punto di riferimento fondamentale del ciclo vitale dell’uomo, da qualsiasi punto lo si voglia vedere. Rappresenta infatti l’inizio di una nuova stagione di raccolti e prosperità, e anche se la frenesia del mondo moderno con tutte le sue innovazioni tecnologiche e i suoi miglioramenti dello stile di vita ha fondamentalmente stravolto il nostro modo di pensare, nel profondo di ciascuno di noi restano le tracce di un antico sapere ancestrale che indugia ad essere sfrattato. Di queste antiche conoscenze fa parte anche il ricorso alle piante a scopo terapeutico. Lasciato alle spalle l’intervento di Katia Somà sugli aspetti simbolici e magici avuti nel corso dei secoli dalle singole specie vegetali che andremo ora a trattare, era nostra intenzione in questa sede illustrare a grandi linee le reali e maggiormente documentate proprietà terapeutiche attribuite alle piante più rappresentative dei primi giorni d’estate.

Iperico (Hypericum perforatum L)Non a caso conosciuto anche con il nome di Erba di San Giovanni(St. John’s wort per gli anglosassoni), in quanto completa la sua fioritura a fine giugno, rappresenta una pianta erbacea di facile riscontro nelle campagne europee e nord americane. Appartiene alla famiglia delle Ipericaceae. Secondo Plinio il Giovane, il suo nome deriva dal greco (hyper – eikon) in quanto cresce (anche) sulle statue antiche: per tale motivo la tradizione popolare gli ha attribuito il potere di scacciare i fantasmi e di padroneggiare diverse manifestazioni diaboliche. Il nome di specie, perforatum, deriva invece dal caratteristico aspetto delle sue foglie che, se osservate in controluce, appaiono costellate da una miriade di forellini dovuti alla presenza nel loro contesto di un ricco apparato ghiandolare. Il caule è esile e le foglie sono disposte in modo alterno. Ogni fiore è piccolo e di colore giallo, con cinque petali e numerosi lunghi stami.

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Dal punto di vista farmacologico l’iperico è certamente una delle piante più studiate ed è ormai appurato che possieda indubbi effetti terapeutici. Essa può venire utilizzata per via interna, mediante assunzione orale di estratti ricavati dalle sommità fiorite, o per via esterna grazie alla applicazione topica del suo olio essenziale.La sua droga* contiene derivati naftodiantronici (ipericina, pseudoipericina), flavonoidi (iperoside, rutina, quercitrina, isoquercitrina e quercetina), e derivati floroglucinolici (iperforina, adiperforina). Contiene inoltre elevate quantità di tannini e un’olio essenziale il cui componente principale è il 2-metilottano, importanti per il suo utilizzo topico (1).Numerosi studi clinici e sperimentali hanno attestato l’attività antidepressiva dell’estratto secco di Iperico assunto per via orale, ma si è recentemente scoperto che il meccanismo d’azione attraverso cui agisce il principio attivo non è così semplice come si riteneva in passato. Anzi l’idea che si dovesse attribuire l’effetto terapeutico ad un solo principio attivo contenuto nella pianta è stata decisamente soppiantata dalla certezza che sia necessario tutto il fitocomplesso** per potersi manifestare l’azione farmacologica antidepressiva (2).

Studi condotti negli anni passati avevano lasciato intendere che l’effetto antidepressivo fosse da ricondursi all’azione dell’ipericina per l’inibizione delle monoaminoossidasi (3), un gruppo di enzimi che serve a degradare alcune delle sostanze che i neuroni utilizzano per comunicare tra loro. Ricerche successive hanno poi evidenziato il fatto che un ruolo terapeutico maggiore sarebbe da ascrivere all’azione dei derivati floroglucinolici, ed in particolare all’iperforina, in grado di inibire la ricaptazione di numerosi neurotrasmettitori a livello del Sistema Nervoso Centrale, quali la serotonina, la noradrenalina, la dopamina, il glutammato ed il GABA (4). L’iperforina sarebbe anche in grado di incrementare la secrezione notturna di melatonina (5). Le linee guida tedesche (la Germania è una delle nazioni europee, insieme alla Francia, in cui la fitoterapia viene più utilizzata e rispettata) raccomandano l’impiego dell’Iperico negli stati depressivi ed ansiosi di lieve e media entità. Il suo utilizzo rappresenta una valida alternativa terapeutica nelle forme ansiose e depressive soprattutto nei casi in cui non ci sia la necessità di ricorrere in prima battuta a farmaci di sintesi sicuramente più potenti, ma anche spesso gravati da effetti collaterali gravi o invalidanti, oppure quando esistano controindicazioni soggettive ad altri farmaci antidepressivi (6).

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Per quanto riguarda gli effetti collaterali, si può con tranquillità affermare che l’Iperico è un farmaco relativamente sicuro (7), tanto che uno studio di Coorte del 2003 non ha riscontrato l’insorgenza di problemi correlati alla sua assunzione durante l’allattamento né a carico delle puerpere né dei loro figli (8). L’iperico può comunque essere responsabile di fenomeni di fotosensibilizzazione, dolori addominali, cefalea, vertigini, affaticabilità, secchezza delle fauci ed irrequietezza, ma con incidenza minore rispetto agli antidepressivi di sintesi. Di maggior rilievo è sicuramente la possibilità di interazioni farmacologiche tra l’Iperico e diversi farmaci, ed in particolare con quelli che utilizzano la via metabolica epatica del citocromo P450 (9), o che sono un substrato della glicoproteina P (10), come per esempio ciclosporina, contraccettivi orali, idinavir, digossina, warfarin, ecc... Questo accade perché i farmaci che utilizzano la stessa via dell’Iperico per essere metabolizzati, la trovano intasata dai suoi componenti farmacologici e non riescono più ad essere smaltiti: si determina così un pericoloso fenomeno di accumulo. Questo fatto, comune anche ad un gran numero di farmaci di sintesi, può diventare letale soprattutto per le persone anziane e rende indispensabile che la prescrizione di qualsiasi farmaco, naturale o di sintesi, venga sempre eseguita da un medico.

Come già accennato sopra, l’Iperico è anche impiegato per via topica in forma di olio essenziale. Esso avrebbe infatti un’azione antimicrobica e lenitiva in grado di contrastare la suppurazione delle ferite e di ridurre l’intensità dei processi infiammatori cutanei (11). E’ stato impiegato, sembra con successo, anche nel trattamento della dermatite atopica lieve e moderata. Nonostante non ci siano studi sperimentali sufficienti a dare un giudizio definitivo sulla sua reale efficacia clinica, il suo impiego viene consigliato dalle linee guida tedesche per il trattamento delle infiammazioni cutanee, le ferite e le scottature (12).

Distillatore (Anonymer Kupferstich, 1625)

*In medicina il termine droga serve ad indicare la parte della pianta utilizzata per la preparazione del farmaco. Per esempio, nel caso dell’Iperico, la droga è rappresentata dalle estremità fiorite.**Il fitocomplesso rappresenta l’insieme dei principi biologicamente attivi contenuti nella droga vegetale.

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Bibliografia1. Bombardelli E, Morazzoni P. “Hypericum perforatum” Fitoterapia, 1995; LXVI (1): 43.2. Fiorenzuoli F, Gori L. “Is the antidepressant effect of Hypericum estracts depending on their hyperforin content?” Forsch Komplementarmed, 199; 6 (1): 27, discussion 27-8.3. Suzuky O et al. “Inibition of Monoamino Oxydase by Hypericin.” Planta Medica, 1984; 50: 272-274.4. Calapai G, Crupi A, Fiorenzuoli F et al. “Serotonin, norepinephrine and dopamine involvement in antidepressant action of Hypericum perforatum.” Pharmacopsychiatry, 2001; 34 (2):

45-49.5. Bhattacharya SK et al. “Activity profiles of two Hyperforin-containing hypericum extracts in behavioral models.” Pharmacopsychiatry, 1998; 31 (suppl 1): 22-29.6. Hypericum Depression Trial Study Group. JAMA 2001; 287: 1807-1814.7. Woelk H. “Comparison of St. John’s Wort and imipramine for treating depression: randomized controlled trial.” BMJ, 2000; 321 (7260): 536-539.8. Knuppel, Linde. J Clin Psychiatry, 2004; 65: 1470-1479.9. Fugh-Bergman A. “Herb-drug interactions.” Lancet, 2000; 355: 134-138.10. Hennessy M, Kelleher D, Spiers JP, et al. “St John’s wort increases expression of P-glycoprotein: implications for drug interactions.” Br J Cl Pharmacol, 2002; 53 (1): 75-82.11. Lavagna SM, Secci D, Chimenti P et al. “Efficacy of Hypericum and Calendula oils in the epithelial reconstruction of surgical wounds in childbirth with cesarean section.” Farmaco,

2001; 56 (5-7): 451-453.12. Bedi MK, Shenefelt PD. “Herbal therapy in dermatology.” Archives of Dermatology, 2002; 138 (2): 232-242.

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Verbena (Verbena officinalis L)La Verbena è, come l’Iperico, un’erba caratterizzata da importanti influssi simbolici e non a caso in francese viene detta Herbe Sacrée. Fiorisce sotto il sole di luglio ed il suo areale di distribuzione copre tutta la penisola italiana. E’ una pianta perenne, di aspetto erbaceo ascendente, con radice fusiforme e fusto ruvido, quadrangolare, legnoso alla base ramificato nella parte superiore. Può raggiungere un’altezza di un metro. Le foglie inferiori sono opposte, oblunghe, si restringono in un corto picciolo. Le mediane sono più grandi, trilobate, con il segmento centrale più sviluppato dei 2 laterali, questi ultimi sono oblunghi lineari e dentati. Le foglie cauline sono sessili, lanceolate, dentate o intere si riducono progressivamente. Tutte le foglie sono coriacee, di colore grigio-verde, pelose e rugose. I fiori sono raccolti in lunghe spighe che formano una pannocchia all’ascella delle piccole brattee. Il calice è tubuloso, glanduloso, diviso in 4-5 denti. La corolla possiede 2 labbra poco distinte, rosa- lilla o bianche. I frutti sono capsule compresse cuoriformi, all'interno divise in 4 logge contenenti ciascuna un seme.Se ne riconosce un contenuto in iridoidi (verbenalina, verbenina e astatoside), in mucillagine, in olio essenziale (citrale, terpeni, alcoli terpenici) e in principi amari.

Alla pianta vengono attribuite dalla tradizione un’efficace azione sul ristagno del flusso biliare e proprietà diuretiche atte a rimuovere la renella ed i piccoli calcoli. Proprio quest’ultima proprietà fa chiarezza sulla etimologia del suo nome: infatti il termine verbena sarebbe derivato dal Celtico “ferfaen” parola composta da “fer” = “scacciare via”e da “faen” = “pietra”, poiché la pianta era usata per curare problemi della vescica, in particolare i calcoli. L’azione antiinfiammatoria e blandamente analgesica dei suoi composti iridoidi ne rende interessante l’utilizzo nelle forme reumatiche. Inoltre il contenuto in mucillagini ne indica l’impiego nelle forme infiammatorie bronchiali come espettorante (1). E’ stato appurato che alcuni componenti della verbena hanno un effetto sinergico con la prostaglandina E2, giustificando l’uso tradizionale di questa pianta per attivare le contrazioni uterine del parto e per produrre un aumento marcato della secrezione lattea (2). Per lo stesso motivo la verbena deve essere controindicata nelle gestanti che non hanno raggiunto il termine di gravidanza, poiché l’attivazione delle contrazioni uterine potrebbe determinare l’aborto (3). Kolk e i suoi collaboratori hanno inoltre osservato che estratti di verbena hanno azione antitiroidea per la capacità di alcuni suoi componenti nel determinare un blocco dei recettori della tireotropina (4).

La presenza di un olio essenziale rende anche ragione dell’uso esterno di questa pianta in caso di processi infiammatori ed infettivi cutanei, con indicazioni sovrapponibili a quelle dell’olio essenziale di Iperico, a cui si rimanda. E’ nota anche la preparazione di lavande oculari e colluttori a base di olio essenziale di verbena per il trattamento delle congiuntiviti e delle infezioni del cavo orale (5). La letteratura non segnala effetti secondari e tossici alle dositerapeutiche, a meno che non vi sia una particolare sensibilità individuale. Occorre comunque porre particolare attenzione alla funzionalità tiroidea del paziente.

Bibliografia1. Valnet J. “Phytothérapie” Editions Vigot, Paris 2001.2. Della Loggia R: “Piante officinali per infusi e tisane.” OEMF, Milano, 1993.3. Leclerc H: “Precisde phytothérapie.” Masson, Paris, 1976.4. Kolk MA et al. Endocrinology 1985; 116: 1687.5. Campanini E. “Dizionario di fitoterapia e piante medicinali” II edizione. Ed. Tecniche Nuove. Milano, 2004.

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Artemisia (Artemisia absinthium L)L’Artemisia Absinthium L. è un’erba perenne dei luoghi umidi e sassosi. Le foglie sono alterne: quelle inferiori sono lungamente picciolate, con gli ultimi segmenti bislunghi, poco lobati; le superiori sono quasi sessili, meno divise, fino ad essere intere e lineari; tutte punteggiate per glandole interne e bianchiccie per la diffusa peluria. Le sommità fiorite si presentano raccolte a pannocchia fogliata, costituita di calatidi (capolini) numerosissime, piccole, sferiche, pendenti, unilaterali, frammiste a brattee strette. Le inflorescenze sono disposte in grappolo allungato, con fiori misti a brattee strette, intere. I fiori sono gialli, di forma tubulare. La pianta ha odore forte, aromatico, e sapore amarissimo. Il rizoma è fornito di numerosi rami sterili, corti, fogliacei; gli steli sono eretti e molto frondosi superiormente. Sembra che l'assenzio sia ricordato nell'antico papiro Ebers e che i Greci col nome Apsinthion o Absinthion, volessero indicare, anziché l'assenzio maggiore, l'assenzio pontico L. In epoca medievale, all'assenzio fu dato il nome vermut dalla parola tedesca werimuota. Verso l'VIII secolo lo si trova decantato da Walafrid Strabus, da sant'Ildegardo sotto il nome di wermuda e in un libro medico stampato nel XIX secolo a Zurigo sotto il nome di wormâta. L'uso medico di questa pianta, secondo Schübeler, era diffuso nel XIII secolo anche in Islanda e Norvegia. Il Gesner nel 1561 affermava che l'assenzio cresceva spontaneo nelle Alpi Svizzere e il Porta nel 1608 ottenne dall'assenzio un olio essenziale azzurro.

L’assenzio veniva impiegato nella terapia della dispepsia. La sua efficacia come amaro aromatico si basa sul suo contenuto in principi amari e sulla presenza dell’olio essenziale. In Germania è permesso l’impiego di questa droga vegetale (anche in associazione con altre droghe aromatiche) per i disturbi dell’appetito, la discinesia delle vie biliari ed i disturbi dispeptici sotto forma di infuso, decotto, estratto o tintura, ma senza superare la dose di 2-3 grammi di droga grezza al giorno e sotto rigoroso controllo medico (2).

Infatti l’intossicazione da olio essenziale di Artemisia absinthium determina vertigini, convulsioni, delirio e infine morte. Questa specie vegetale era impiegata, soprattutto in Europa, per la preparazione di un liquore, la cui produzione è ora severamente vietata a causa degli effetti tossici del tujone e del tujolo. Il suo impiego è inoltre proscritto in caso di ulcera gastrica e duodenale. Non va assolutamente utilizzata in gravidanza e in età pediatrica (3). Attenzione va posta alle possibili interazioni con la contemporanea assunzione di farmaci psicostimolanti e di terapie ormonali(4).La medicina popolare utilizza a scopo curativo anche un’altra specie di Artemisia: l’A. vulgaris. Il suo basso contenuto in olio essenziale e la presenza di tujone solo in tracce determina una drastica riduzione del potenziale tossico della pianta, ma ne riduce significativamente anche il potere terapeutico. Pertanto possiede proprietà aromatiche e digestive molto meno marcate rispetto all’assenzio. Viene anche utilizzata come blando antispasmodico.

Il gusto amaro della droga grezza è dovuto alla presenza dei lattoni sesquiterpenicianabsintina, artabsina, anabsina e soprattutto absintina. Sono inoltre presenti flavoni, acido ascorbico, tannini ed un olio essenziale di colore tendente al blu per la presenza di camazulene. Lolio essenziale contiene inoltre tujone ed il suo alcol corrispondente, tujolo, sostanze che possono essere molto tossiche per il Sistema Nervoso Centrale (1).

Artemisia absinthium

Artemisia vulgaris

Bibliografia1.Tan RX, Zheng WF, Tan HQ. “Biologically active substances from the genus Artemisia.”

Planta Med 1998; 64: 295-302.2. “Rapporto della Commissione E” Berlino, 1984.3.Schulz V, Hansel R, Tyler VE. “Fitoterapia razionale” Ed. Mattioli 1885. Fidenza 2003.4.Fiorenzuoli F. “Interazioni tra erbe, alimenti e farmaci” Ed. Tecniche nuove. Milano, 2001.5.Campanini E. “Dizionario di fitoterapia e piante medicinali” II edizione. Ed. Tecniche Nuove.

Milano, 2004.

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In età precristiana questo giorno era considerato sacro. Il Sole, simbolo del fuocodivino, entra nella costellazione del Cancro, simbolo delle acque e dominato dalla Luna, dando origine all'unione delle due opposte polarità che si incontrano. Il Sole è la parte maschile e la Luna quella femminile ed il Sole, al Solstizio d’Estate, raggiunge la sua massima inclinazione positiva. Simbolicamente questo fenomeno è rappresentato dalla stella a sei punte dove il triangolo di Fuoco e il triangolo dell’Acqua si incrociano.

SAN GIOVANNI E LE PORTE SOLSTIZIALI (a cura di Sandy Furlini)

Nella tradizione occulta l’incontro del Sole nella casa della Luna conduce alle nozze tra i due astri. Il fuoco e l'acqua, si univano così come la luce e l'ombra, il maschio e la femmina, il positivo e il negativo: quando tutto si fondeva, si otteneva un "matrimonio divino" e si generavano energie positive e benefiche sull'intero pianeta. Facile intuire come l'evento suggerisse una serie di pratiche magiche e di celebrazioni. L'umanità omaggiava il Sole, fonte e simbolo principale della vita e del divino, che si ergeva in tutto il suo splendore.

Con il Solstizio d'Estate entriamo nell'elemento acqua, non soloastrologicamente (si entra nel segno zodiacale del cancro). Gli antichi celebravano infatti l'agape d'acqua - il pranzo rituale - come espressione dell'interiorità dell'uomo che, proprio come un liquido, si riversa all'esterno mostrando cosa sia maturato durante l'inverno. In primavera, simbolicamente, si raccolgono i frutti del lavoro interiore svolto in precedenza, proprio come gli alberi in estate producono i propri frutti. E' in questo momento che si aprono le porte del Regno delle Acque Superiori, il regno della Luna e delle forze che la Grande Madre rappresenta: tesori sommersi ma anche insidie e trappole che si celano nel nostro inconscio (vedi i riti di allontanamento della strega ora vista come insidia, attraverso l’esposizione delle scope di saggina la notte di San Giovanni). Intorno a questa data sogno e realtà si confondono poiché il mondo conscio, rappresentato dal Sole, e quello inconscio, rappresentato dalla Luna, sono messi in comunicazione. Il Fuoco e l'Acqua sono gli elementi purificatori che rappresentano il Solstizio d'estate: da sempre si usa bagnarsi nelle acque dei fiumi o dei laghi e accendere fuochi su cui saltare per purificarsi.

Nell’antica Cosmologia tradizionale, la luna simboleggiava la memoria delle cose passate o perdute, e si diceva che ciò che è perduto sulla terra si ritrova sulla luna. È così, per esempio, che nell’Orlando Furioso, l’Ariosto narra la storia del cavaliere che va sulla luna a cercarvi la ragione di Orlando impazzito per amore. Ma non fu proprio il nome assegnato al Battista il motivo grazie al quale il padre potè riacquistare la parola perduta? Giovanni si ricollega al ritrovamento di ciò che è perduto, la parola, il verbo. Egli è giunto per destare gli animi e prepararli all’arrivo del verbo, il logos, Gesù. “In principio era il verbo” .... dirà poi l’altro San Giovanni, l’Evangelista.Nella tradizione evangelica si legge che il padre Zaccaria e la madre Elisabetta, anziani sposi, pregavano il Signore perché desse loro un figlio. Un giorno a Zaccaria, apparve l'angelo Gabriele che gli annunciò che Elisabetta avrebbe partorito un bambino al quale avrebbe dato il nome di Giovanni. L'arcangelo aggiunse pure che questo bambino, pieno di Spirito Santo fin dal seno della madre, sarebbe stato grande al cospetto di Dio, avrebbe convertito molti figli d'Israele al Signore e con la potenza di Elia avrebbe preparato un popolo ben disposto per la venuta dei Signore. Zaccaria fu turbato e non credette alle parole dell'angelo che lo rese muto fino alla nascita dei bambino. Elisabetta puntualmente diede alla luce un bambino che i sacerdoti volevano chiamare come il padre, ma volendo la madre chiamarlo Giovanni, chiesero quindi a Zaccaria che nome mettere al bambino ed essendo quello muto chiese una tavoletta sulla quale scrisse "il suo nome e' Giovanni": in quell'istante Zaccaria riacquistò la parola e cominciò a benedire Dio.

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Gli antichi indicavano i due solstizi come porte, quello invernale come porta degli dèi e quello d’estate come porta degli uomini. Se ne ha una testimonianza nel misterioso antro di Itaca descritto da Omero, al cui interno si aprivano due porte: l’una, rivolta a nord (“a Borea”, cioè a nord dell’equatore celeste, posizione in cui il sole si trova al solstizio d’estate), era appunto indicata come discesa degli uomini, mentre l’altra, rivolta a sud (“a Noto”) “non la varcano gli uomini, ma è il cammino degli immortali”. Solstizi, dunque, come porte, simboli del passaggio e del confine tra al-di-qua e al-di-là, tra spazio-tempo e “oltre” non misurabile. Non è un simbolismo esclusivamente greco; piuttosto, quella cultura sembra raccogliere una conoscenza tradizionale che affonda le sue radici in realtà di tipo iniziatico.Le porte assumono il ruolo di passaggi e, nel caso dei Solstizi, divengono passaggi ciclici, che si ripetono ogni anno e simboleggiano l'entrata in mondi diversi. Con il Solstizio d'Estate, attraverso la “Porta degli Uomini” si entra nel mondo dellagenesi e della manifestazione. Infatti, non a caso ci troviamo all'inizio dell'Estate, periodo in cui la natura manifesta la massima espressione di se stessa.

Janus – Musei Vaticani

Nella simbologia greco-latina, le porte solstiziali sono rappresentate dal dio Giano bifronte. Questo perché il solstizio d'estate evidenzia, da un lato, il punto massimo (zenith) del Sole nel suo cammino sulla volta celeste ma, dall'altro lato, è anche il punto d'inizio della sua fase discendente. Allo stesso modo, il solstizio d'inverno sottolinea l'inizio della sua fase ascendente. Se poi guardiamo l'etimologia latina del nome Giano, vediamo che Ianus deriva dalla radice indo-europea y-a, da cui il sanscrito yana (via), il latino ianua (porta) e il gaelico ya-tu(guado). Il dio Giano diventa allora “Colui che conduce da uno stato all'altro"; quindi, anche l'iniziatore. Giano era, in senso generale, il custode (Ianitor) delle porte ed esercitava la sua influenza su ogni passaggio e su ogni inizio o principio. A lui erano consacrati il primo mese dell'anno, l'inizio di ogni mese, di ogni giorno e di ogni attività. In quanto divinità solare, Giano aveva il controllo delle Porte del Cielo (Januae caelestis aulae) che il Sole apre all'alba e chiude al tramonto, così come all'inizio e alla fine dell'anno solare. Nel ciclo giornaliero attraverso la Porta del Cielo di Oriente entra il Sole per dare inizio al giorno, attraverso quella di Occidente il Sole esce al tramonto.Nel ciclo annuale Giano apre e chiude le Porte Solstiziali, attraversando le quali il Sole dà inizio alle due metà, ascendente e discendente, del percorso annuale.

Uno dei simboli più interessanti che si collegano in qualche modo allo Zodiaco - e in particolare ai due segni che racchiudono il momento del Solstizio - è quello della “caverna cosmica e dell’Uovo del mondo” che indicano la possibilità di accesso all’iniziazione dell’uomo. L’entrata e l’uscita dalla Caverna cosmica avviene attraverso le due porte: la “porta degli uomini” legata al solstizio d’estate e al segno del Cancro e la “porta degli Dei”, legata al solstizio d’inverno e al segno del Capricorno. La caverna cosmica, dice Guénon deve essere considerata come un simbolo di iniziazione: è legata al simbolo del “cuore” come centro, ovvero come “luogo della manifestazione dell’essere”, l’”Uovo del Mondo”, un luogo in cui l’essere, dopo essersi manifestato nello stato di umanità, in uno stato di “avviluppamento delle sue potenzialità”, deve dispiegarsi per giungere ad un altro stato di manifestazione che gli consentirà l’eterna evoluzione dopo una trasformazione, dopo di che non vi sarà più bisogno di una nuove incarnazioni terrene. Letta in questo modo, la porta degli Dei, può essere considerata come un’uscita definitiva dalla condizione di assoggettamento alla legge del Karma che induce all’eterno ritorno - mentre la porta degli uomini è più che altro un’ entrata attraverso la quale si accede e si esce tantissime volte prima di potersi elevare al punto di uscire definitivamente dall’altra porta, quella degli Dei appunto. La Porta degli Dei può però anche rappresentare una “entrata volontaria” da parte di Esseri che hanno già raggiunto uno stato di evoluzione superiore e che si sono già liberati dall’obbligo di dover scendere nel mondo della manifestazione : è questo il caso di Gesù, Buddha ed altri che nascono il giorno del solstizio d’inverno a mezzonotte, momento in cui c’è simbolicamente il massimo del buio che precede la rinascita della luce.Anche se questo tipo di conoscenza ha sicuramente una radice più antica, tant’è vero che non è spiegato in nessun testo il momento in cui si è cominciato a pensare alle due porte e al mito della Caverna, nella filosofia greca i pitagorici avevano costruito una vera e propria teoria sui rapporti particolari tra lo Zodiaco con i due segni solstiziali e la migrazione delle anime. Numenio, seguace di Pitagora, viene considerato colui che ha dato nome alle due porte chiamate anche “punti estremi del cielo”. Secondo Numenio, la porta del Cancro corrispondeva alla “caduta o discesa delle anime sulla terra”, mentre quelle del Capricorno corrispondeva alla possibilità di ascensione delle anime nell’etere. Questo spiegherebbe anche il mito cristico della “resurrezione e dell’ascensione al cielo”.

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Nei miti latini è molto forte il simbolismo di Giano che è il personaggio che apre e chiude le due porte del ciclo annuale con il suo strumento privilegiato: “le chiavi” ; lui infatti possiede le fatidiche chiavi che simbolicamente consentono l’accesso da una porta all’altra... o la definitiva uscita da quella degli Dei. Giano è un personaggio mitico: è un mostro con due teste “definito bifronte” e, i suoi due volti rappresentano nella tradizione il passato e il futuro, ma possono rivolgersi da un lato o dall’altro. Da un punto di vista psicologico se colleghiamo la figura di Giano ad una funzione specifica della psiche possiamo intenderla come la possibilità che tutti noi abbiamo di aprire la porta verso il “futuro, crescita, individuazione”, ovvero di entrare in contatto con la sfera transpersonale.. (la seconda faccia di Giano), oppure rimanere esclusivamente relegati nella sfera dell’Io (la prima faccia di Giano), che ci imprigiona dentro al passato. Giano viene infatti spesso associato astrologicamente alla figura di Saturno che rappresenta la possibilità di permettere all’Io di autotrascendersi riconoscendo ciò che c’è oltre a sé stesso. Saturno è anche il signore del Capricorno e quindi in un certo senso, il reggente della Porta degli Dei… e del solstizio d’inverno; l’astrologia karmica lo definisce anche “il signore del karma”.

Giano bifronte: testa marmorea del II secolo d.C. Antiquariumdel Complesso Museale di San Francesco a Trevi

E’ però interessante il fatto che a Giano venga anche attribuita una terza faccia, quella che sta tra il passato e il futuro, che possiamo vedere come una fase di trasformazione che, consentirà l’accesso “forse definitivo” ad una condizione di eternità; in ogni caso, questo terzo volto del personaggio è invisibile. Le porte che governa Giano riguardano il ciclo annuale: è lui che le apre e le chiude e ovviamente è sempre lui che concede – se lo ritiene possibile - l’accesso al regno dei cieli. Giano era considerato anche il Dio dell’iniziazione.

Nel Cristianesimo le feste solstiziali di Giano sono state collegate entrambe ad un San Giovanni, cosa intuibile anche per la somiglianza fonetica tra i due termini Ianus e Iohannes, (la prima al Battista e la seconda all’Evangelista) e, anche se ogginon ne comprendiamo più il significato, il fatto che entrambe siano legate ad un santo con lo stesso nome, affonda la sua radice nel simbolismo di Giano bifronte. I due solstizi anche sesimbolicamente sembrano avere un significato opposto a quello che potrebbe sembrare nella realtà, sappiamo che non è così: infatti, anche se il Solstizio d’Estate sembrerebbe il trionfo della Luce, mentre quello l’Inverno è in piena oscurità, è però abbastanza facile comprendere che, da un punto di vista esoterico, ciò che ha raggiungo il suo massimo non può che decrescere e quindi, proprio per questo, il solstizio d’estate viene visto come la porta “inferiore.. umana”, mentre quello d’inverno è il momento in cui la luce può riprendere a salire e quindi più collegata al divino e al cielo.

Salomè con la testa del Battista. Caravaggio 1607

Il nome di Giovanni, interpretato nel Medio Evo come "Grazia del Signore", viene collegato da Guenon alla parola ebraica hanan, col doppio senso di misericordia e di lode per cui i suoi due significati di "misericordia di Dio " e di "Lode di Dio " corrisponderebbero alle direzioni discendente e ascendente delle due metà del ciclo annuale, in quanto la misericordia scende da Dio sugli uomini, mentre la lode sale verso la divinità.

Nell'immagine giovane e imberbe dell'Evangelista emerge il volto bello e giocondo di Giano, simbolo del Solstizio d'Inverno, della Via ascendente e del Futuro, mentre nella figura del Battista si ripropone la faccia barbuta e accigliata del Dio in rapporto al Solstizio d'Estate, alla Via discendente ed al Passato.

Nel Bifronte si rifletterebbe la concezione platonica dell'animaumana: il volto giovane e bello simboleggerebbe l'aspetto divino dell'anima, attratta verso Dio e splendente di immutabilebellezza; la faccia vecchia rappresenterebbe l'attenzione rivolta alle cose del mondo che, in quanto soggette al divenire, sono destinate ad invecchiare.

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Il dramma cosmico della morte e della rinascita del Sole che segna nel corso dell'anno l'avvicendarsi delle stagioni e del ciclo della vegetazione e simboleggiato dalle vicende di Dei come Osiride, Adone, Dioniso. Lo stesso avvicendarsi di vita e morte, di luce e tenebre, si svolge nel ciclo giornaliero. Osservando che ad ogni morte del Sole, della luce e della vegetazione segue la rinascita, l'uomo deduce che gli tocca la stessa sorte per il valore universale delle leggi cosmiche. In tal senso i Solstizi acquistano anche per l'uomo significati in riferimento al destino della anima oltre che al naturale perpetuarsi della vita sulla Terra.

Nel mito cristiano, i due San Giovanni hanno preso esattamente il posto di Giano nella sua signoria sui due solstizi. Nel Medioevoaddirittura i due solstizi venivano collegati a “Giovanni che piange” e “Giovanni che ride”, anche questa una rappresentazione molto simile ai due volti di Giano: il Giovanniche piange è quello che implora la misericordia di Dio (ovvero san Giovanni Battista), mentre il Giovanni che ride è quello che glirivolge le sue lodi (ovvero San Giovanni Evangelista). Il Battista chiude l’antica Legge e annuncia la Rivoluzione Cristiana. L’Evangelista chiude il Libro del Mondo con l’Apocalisse e annuncia il secondo avvento. Il Battista si riferisce alla lineaorizzontale. Infatti Isaia così profetizzava la missione del Battista: "Si colmi ogni valle, ogni monte o colle si abbassi". E al pianoorizzontale si riferisce l’acqua battesimale; aspetto livellato, che corrisponde al passivo, al passato, alla luna, alla conservazione delle cose. Inversamente, l’Evangelista si riferisce alla Verticale. Egli sta sul Monte della Trasfigurazione, sul Monte degli Olivi e sul Calvario . "Che dici di te stesso? " – "Voce di uno che grida nel deserto; preparate la via al Signore". È forse per questa risposta che in alcuni ambienti esoterici si attribuisce l’emblema del Gallo al Battista e l’Aquila all’Evangelista? Senza dubbio, poiché il Gallo canta all’alba, nel deserto della notte, per annunciare la venuta della Luce, proprio come il Battista gridava nei luoghi deserti per annunciare l’approssimarsi della Vera Luce. San Giovanni Evangelista. Leonardo

Da Vinci – Museo Louvre. Parigi

A seconda dei calendari, la data del Solstizio d’Estate è stata mutevole, oscillando comunque sempre in un periodo compreso tra 19 e 25 Giugno, nelle tradizioni precristiane considerato un tempo sacro. Il Cristianesimo vi colloca, il giorno 24, la festa di San Giovanni Battista, strettamente collegata al Natale romano sulla cui data fissata al 25 Dicembre venne calcolata l’Annunciazione e, di conseguenza (basandosi sui Vangeli) la natività del Battista, festa “anomala” (il dies natalis dei santi è infatti quello della morte) ma giustificata come eccezione su basi evangeliche. La scelta del 24 Giugno fonde la narrazione evangelica di Luca (che narra come Maria, nei giorni successivi all’Annunciazione, andasse a visitare Elisabetta quando costei era al sesto mese digravidanza) con un evento celeste: il 24 giugno, infatti, il sole –appena superato il punto solstiziale – inizia a decrescere sull’orizzonte, inaugurando il semestre del sole discendente chesi conclude con il solstizio d’inverno. Allora l’astro (soprattutto a latitudini nordiche) sembrerà morire e quasi dissolversi tra le brume per poi rinascere come “sole nuovo” iniziando a risalire il cielo. Il sole di San Giovanni, che comincia a volgersi verso il sud dello zodiaco e a calare all’orizzonte, è dunque un sole “colpito a morte”, un sole che muta direzione. Il Battista decollato, che il folklore chiama anche “Giovanni che piange” a causa del suo destino, è colui che introduce gli esseri nella “caverna cosmica” e si identifica con il sole del solstizio d’estate attraverso le sue stesse parole note attraverso il testo evangelico: “Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui… Egli deve crescere ed io invece diminuire”

“Giovanni comparve nel deserto, battezzando e predicando un battesimo di ravvedimento, per il perdono dei peccati. E tutto il paese della Giudea e quelli di Gerusalemme andavano a lui, ed erano tutti battezzati da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.” (Mc. 1,4-5). Giovanni predica un Battesimo di penitenza. L'abluzione rituale (cioè l'immergere nell'acqua) era una cerimonia diffusa in molte altre religioni e anche nella religione ebraica dell'epoca, ma Giovanni trasforma questo atto spesso esteriore in una scelta religiosa: per ricevere il Battesimo è necessaria la conversione del cuore per il perdono dei peccati. Marco, poi, ha elaborato in senso cristiano la predicazione del Battista: afferma, infatti, che il dono battesimale portato da Cristo sarà lo Spirito Santo: opera già qui la teologia cristiana del battesimo. Vi è in Giovanni il Battista un annuncio in termini temporali di quel che accadrà, giungerà infatti il fuoco purificatore, Gesù con lo Spirito Santo. Lui è e rappresenta l’acqua, il battesimo rituale. Il Solstizio d’Estate è infatti, come visto più volte una festa d’acqua che raccoglie in sé un annunzio di fuoco. Il matrimonio sacro tra Sole e Luna e acqua e fuoco ritornano ancora anche attraverso la lettura delle sacre scritture.

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CONFERENZE, EVENTI

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19 Settembre 200919 Settembre 2009Sala Polivalente Volpiano (TO), Via Trieste n°1

INAUGURAZIONE ATTIVITA’ SECONDO SEMESTRE 2009Torino dalla mitologia all’esoterismoRelatore: Fabrizio Diciotti, Presidente Gruppo Archeologico Torinese (GAT)

Ingresso libero

31 OTTOBRE 2009“GIORNATA DI RIFLESSIONE SUL DOLORE E LA SOFFERENZA”

Volpiano (TO), Sala Polivalente. Via Trieste n°1

Tavola Rotonda“Alimentazione / idratazione e sofferenza alla fine della vita”

Moderatore: Oscar BertettoIntervengono:

Pierpaolo Donadio, Domenico Gioffrè, Maurizio Mori, Michele Piccoli, Paola Piscozzi, Daniele Saglietti, Ermis Segatti, Furio Zucco.

PROGRAMMA DEFINITIVO scaricabile dal sito www.volpianomedievale.it alla pagina EVENTI

INGRESSO GRATUITO FINO AD ESAURIMENTO POSTI PER LA CITTADINANZA

ACCREDITATO ECM PER MEDICI ED INFERMIERI SU ISCRIZIONE

ALLA RISCOPERTA DEL NOSTRO TERRITORIO

RIFLESSIONI SULL’UOMO

CORSO DI SCRITTURA GEROGLIFICACORSO DI SCRITTURA GEROGLIFICA

Novembre 2009

Relatore: Federico Bottigliengo (Egittologo)

Iscrizione obbligatoria. Il corso si svilupperà in tre incontri

(a breve i dettagli per le iscrizioni)

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Circolo Culturale Tavola di SmeraldoVia Carlo Alberto n°37 10088 Volpiano (TO) Tel. 335-6111237 / 333-5478080http://www.volpianomedievale.itmail: [email protected]

Comitato Scientifico: Sandy Furlini, Paolo Cavalla,Katia Somà, Roberta Bottaretto

Collaboratori:Antico Egitto: Federico BottigliengoStregoneria in Piemonte: Massimo CentiniMedioevo Occidentale e Crociate: Francesco Cordero di PamparatoStoria dell’Impero Bizantino: Walter HaberstumpfArcheologia a Torino e dintorni: Fabrizio DiciottiFruttuaria: Marco NotarioAntropologia ed Etnomedicina: Antonio Guerci Psicologia e psicoterapia: Marilia Boggio MarzetEtica della cura del dolore: Domenico Gioffrè

ISCRIZIONI AL CIRCOLO CULTURALE TAVOLA DI SMERALDO

Collegandosi a www.volpianomedievale.it, nella sezione CONTATTI è possibile scaricare la modulistica predisposta per l’iscrizione.

Ogni aspirante socio dovrà compilare in tutte le sue parti i moduli predisposti ed inviarli al Presidente. La quota associativa per l’anno 2009 è stata fissata dal Consiglio Direttivo pari a €50.

ATTIVITA’ ASSOCIATIVE 2009

ATTIVITA’ DI PROMOZIONE DELLA SALUTEIl Circolo Culturale Tavola di Smeraldo promuove due attività di prevenzione destinate alla cittadinanza.

Giornata di prevenzione Ulcer DayL’Associazione Italiana Ulcere Cutanee organizza la seconda edizione della giornata di formazione e informazione sulle ulcere cutanee. La manifestazione si svolgerà il 7 Novembre 2009 dalle 09:30 c/o Ambulatorio Medico Furlini, Via Carlo Alberto n°37 Volpiano (TO). In quell’occasione sarà possibile ricevere informazioni sulla patologia ulcerativa cutanea e visite specialistiche da personale sanitario aderente ai principi della Associazione Italiana Ulcere Cutanee.

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PREMIO “ENRICO FURLINI”RIFLESSIONI SUL DOLORE E LA SOFFERENZA 1° edizione 2009Il Circolo Culturale Tavola di Smeraldo istituisce e dirige il Premio Regionale “Enrico Furlini - Riflessioni sul dolore e la sofferenza”.Il Premio si propone di tributare un omaggio al Dr. Enrico Furlini, Medico di Famiglia e Presidente del Consiglio Comunale di Volpiano, scomparso il 1 Dicembre 2008, ricordandone la grande attenzione dimostrata nei riguardi dei suoi assistiti e dei cittadini Volpianesi durante i suoi 26 anni di attività come medico e politico.Il Concorso intende richiamare l’attenzione e promuovere una cultura della lotta contro il dolore e la sofferenza inutili. Il dolore infatti deve essere gestito dalle sue prime manifestazioni al fine di alleviare sofferenze gratuite che vengono patite inutilmente da molte persone, sia in termini fisici che psicologici.Parlare di dolore in termini diversi, che non siano quelli specifici della medicina e della sanità, ma quelli della poesia, della storia, dell’anima con l’obiettivo di avvicinare le persone e gli operatori sanitari a una realtà spesso trascurata che si colloca “nella persona” e non nella malattia.

IL BANDO COMPLETO, IL MODULO D’ISCRIZIONE ED EVENTUALI AGGIORNAMENTI O MODIFICHE SONO SCARICABILI DAL SITO www.volpianomedievale.it

Scadenza per la presentazione dei lavori 14 Settembre 2009


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