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Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione...

Date post: 23-Dec-2020
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- il Comunista - Bimestrale - Una copia L.2.000 Abb.ann. 12.000; sost. 25.000 - El programa comunista - Rivista teorica in spagnolo Unacopia L. 5.000 - le prolétaire - Bimestrale - Una copia L.2.000 Abb. ann. 12.000;sost. 25.000 -programmecommuniste- Rivista teorica in francese Una copia L. 5.000 DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx a Lenin, alla fondazione dell' Internazionale Comunista e del Partito Comunista d' Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell' Internazionale, contro la teoria del socialismo in un paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell'organo rivoluzionario, a contatto con la classe operaia, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco. IL COMUNISTA anno XVII - N. 64-65 Gennaio-Aprile1999 Spedizione in Abbonamento postale - Milano 70 % - Filiale di Milano organo del partito comunista internazionale (Segue a pag. 3) Questo contratto, secondo il col- laborazionismo sindacale, deve rappresentare un elemento di coesione nel Paese e tra tutti i lavoratori, e ri- spondere principalmente al problema della occupazione, della tutela del po- tere d’ acquisto dei salari e del potenziamento dei diritti nei luoghi di lavoro “. Tanto è scritto nella premessa della Piattaforma per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici. La cinica demagogia di questo “obiettivo”, che il collaborazio- nismo utilizza per mascherare il vero obiettivo del suo operato, è facilmente dimostrabile. Naturalmente non mancano i rife- rimenti ai dati statistici i quali dovrebbero tranquillizzare lavoratori e padroni dal punto di vista delle richieste da fare o da non fare nel rinnovo contrattuale. “ Il rin- novo del contratto - si legge sempre nella premessa della Piattaforma - avviene in una situazione complessa e contraddit- toria. Sul piano dell’ economia si registrano risultati positivi nella cresci- ta industriale, nella stabilizzazione del tasso di inflazione intorno all’ 1,7%, ed è realistico attendersi un ulteriore ri- basso del tasso di sconto. Dall’ altro lato, continuiamo a registrare un’ alta disoccupazione strutturale (circa il 12%), fortemente differenziata tra nord e sud del Paese, con un divario crescen- te a sfavore di quest’ ultimo, e la crescita delle turbolenze politiche e sociali “. Se vi sono stati risultati positivi sul piano della crescita industriale e su quello della stabilizzazione del tasso di inflazione, in realtà lo si deve esclusivamente all’ au- mentato tasso di sfruttamento della classe proletaria, all’ aumentata flessibilità e precarietà del lavoro, alla crescente pres- sione padronale e statale (leggi pressione fiscale, diminuzione delle garanzie sanita- rie e pensionistiche, aumentato dispotismo di fabbrica e sociale), e alla sistematica politica del peggioramento delle condizioni materiali di vita e di lavo- ro delle masse proletarie. L’ economia capitalistica, nella fase di acutissima concorrenza internazionale e di saturazione dei mercati, se rivela dati di crescita positivi li raggiunge alla sola condizione di accrescere notevolmente lo sfruttamento della forza lavoro, dei la- voratori salariati. E questo aumento dello sfruttamento del lavoro salariato può av- venire in molti modi, tra i quali i principali sono l’ attacco al salario e alle “garanzie” che gli operai avevano conquistato nei decenni scorsi attraverso le loro lotte, sul piano normativo come su quello contrat- tuale, e più semplicemente sul piano di Dal crollo dell’ URSS e del suo imperialismo militare, tutta l’area che costituiva i famosi paesi “satelliti” - mistificati per paesi di un “campo socialista” mai nato -, compresa la regione balcanica, è entrata in crisi permanente. Crisi politica, certamente; crisi economica, sicuramente; crisi sociale: è un fatto evidente a tutto il mondo. Non fu il cosiddetto “socialismo reale” a fallire; fu capitalismo - come la Sinistra comunista sostenne fin dal 1924-26 - che, mancando la vittoria rivoluzionaria comunista nell’ Europa sviluppata, non aveva altra strada da percorrere che quella obbligata dello sviluppo condizionato dal mercato KOSOVO : l’umanitarismo peloso degli imperialismi occidentali, e il cinico terrorismo antialbanese del capitalismo straccione serbo, sono due facce della stessa medaglia mondiale e, quindi, dalle potenze imperialistiche più forti. E tale sviluppo condizionato porta inevitabilmente ogni economia capitalistica debole, prima o poi, a cedere e lasciar libere tutte le più acute contraddizioni accumulate nel frattempo e “politicamente” contenute. Il caso della Yugoslavia di Tito, che per qualche decennio visse il proprio sviluppocapitalisticointernorelativamente al riparo dalle più violente crisi commerciali e finanziarie del capitalismo mondiale, è emblematico; l’ imperialismo dei paesi occidentali e l’ imperialismo russo ebbero in un certo senso un interesse in comune: fare in modo che il groviglio di complicazioni politiche, sociali, etniche, razziali, religiose, e statali dei paesi balcanici - groviglio che si è creato nel corso di qualche secolo, non certo di qualche decennio - fosse “coperto” politicamente da linee, posizioni, uomini che rappresentassero una sorta di “non- allineamento”; allo stesso modo si presentava la situazione in quello che abbiamo sempre chiamato il “terremotato Medio Oriente”. Ciò non significava, e non significa, che gli imperialismi più forti fossero o siano indifferenti allo schieramento dei paesi balcanici, o dei paesi mediorientali. Significava che fin a quando la concorrenza interimperialista a L’ ottenimento di un tavolo in Prefettura, a fine anno, alla data dell’ 11 dicembre 98, da parte del Coordinamento unitario può essere considerato, per certi versi, contemporaneamente come punto di arrivo e di riflusso di una esperienza. Essa dimostra, da una parte, un adeguato rapporto di forza espresso dal movimento, che, in linea teorica, spianerebbe la strada alla soluzione della problematica delle rappresentanze in antitesi a CGIL, CISL e UIL; e, dall’ altra parte, invece, pone seri problemi di gestione delle lotte trovando le avanguardie completamente impreparate di fronte ad una situazione giunta ad un certo livello di maturazione. Il ’98 rappresenta un segnale importante anchese la forte spinta oggettiva sviluppatasi nel napoletano non è riuscita a tradursi in un vero e proprio salto di qualità del movimento prodottosi; incanalandosi, al contrario, per le solite vie del corporativismo e degli opposti estremismi, la resistenza ed il rifiuto alla formalizzazione di un Coordinamento congiuntamente alla redazione di una piattaforma rivendicativa, ne è la prova inconfutabile. Evidentemente l’ illusione di soluzioni “particolari” gioca un ruolo di primo piano alimentando interpretazioni parziali e del tutto arbitrarie sul da farsi, e inficiando, almeno per il momento, la via maestra di una seppure minima ripresa della lotta classista. La nostra sempre più osteggiata partecipazione alle riunioni del Coordinamento unitario ci ha consentito, in determinate situazioni, di lanciare qualche proposta che in certe circostanze non poteva essere eluse. E’ il caso della manifestazione di solidarietà nei confronti dei disoccupati di Acerra, a fine novembre scorso. Ad una riunione del Coordinamento unitario svoltasi a Ponticelli, i compagni di Acerra erano assenti. Ad un certo punto della riunione giunsero notizie. Ad Acerra un incontro stabilito tra disoccupati e giunta comunale veniva boicottato, per evitare evidentemente di prendere impegni formali. Alla reazione dei disoccupati, la polizia interveniva con la repressione. A questa riunione del Coordinamento unitario nessuno prese posizione o propose operativamente qualcosa; ci sembrò opportuno oltre che doveroso lanciare la proposta di una manifestazione unitaria ad Acerra in solidarietà con i disoccupati e contro la repressione. Il nostro intervento voleva (Segue a pag. 2) Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario può uscire dal corporativismo e dagli opposti estremismi solo incanalandosi sulla strada maestra della lotta classista, unificante ed effettivamente antagonista Il bombardamento dell’ Irak da parte degli Stati Uniti, fiancheggiati dal loro fedele alleato britannico, è stato attribuito da molti mezzi di informazione alla volontà del presidente americano di ritardare o bloccare la procedura di “impeachment” (per l’affare Lewinski) avviata contro di lui dalla maggioranza repubblicana del Congresso americano. E, senza dubbio, alcune considerazioni di politica interna devono aver contribuito alla decisione di attaccare l’ Irak. Ma sarebbe un errore grossolano ridurre questo atto tipico del banditismo imperialista a una semplice misura diversiva per dare tregua all’ attuale Amministrrazione governativa americana. Dalla fine della guerra del Golfo, gli americani (e gli inglesi) avevano fatto in modo da lasciare il regime di Bagdad, a cui avevano permesso di mantenere il potere in Irak, in una condizione di subordinazione. Ritenendosi sempre insoddisfatti delle misure di disarmo irakene hanno regolarmente prorogato l’ embargo deciso 8 anni fa. Periodicamente, quando i tentativi degli altri imperialismi a favore dell’ abolizione dell’ embargo si facevano insistenti, gli Stati Uniti suscitavano una crisi con l’ Irak, tuonavano, minacciavano e, finita la crisi, costringevano gli altri paesi a concordare sulla necessità di rinnovare le misure anti-irakene. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti si sono trovati sempre più isolati, a tal punto da non riuscire più a manovrare l’ONU. Nel corso della precedente cirisi, nel novembre del 1998, erano stati in qualche modo costretti ads accettare all’ ultimo momento una soluzione diplomatica, senza dubbio pesante per l’ Irak, ma che apriva la strada al ritiro dell’ embargo e alla fine dei controlli militari dell’ UNSCOM (l’unità di controllo sotto l’egida dell’ONU) in tempi brevi. Ma gli Stati Uniti non desiderano proprio una soluzione di questo genere perchè eliminerebbe qualunque giustificazione alla loro schiacciante presenza militare - garanzia del loro dominio politico - in questa regione del mondo estremamente importante per il capitalismo mondiale; tale soluzione consentirebbe, inoltre, ad altri imperialismi (russo, francese, ecc.) di reinstallarsi in un paese che possiede enormi risorse petrolifere. Per di più, il ritiro dell’ embargo sul petrolio irakeno abbasserebbe ulteriormente il prezzo già molto basso del petrolio, con grave danno per le grandi compagnie petrolifere statunitensi, la cui influenza sulla politica americana è notevole. E sarebbe altrettanto grave per i giacimenti petroliferi inglesi nel Mare del Nord, che hanno prezzi alla produzione molto elevati; resta il fatto che il petrolio del Mare del Nord rappresenta una considerevole fonte di introito per il capitalismo britannico che sta per sprofondare nella recessione. Pertanto, i Tornado britannici che bombardano gli ospedali e le maternità di Bagdad (i militari (Segue a pag. 11) livello mondiale non avesse raggiunto una situazione di grave tensione nel controllo di quelle che furono chiamate “zone delle tempeste”, alla Yugoslavia, all’ Egitto, all’ India e via dicendo era possibile accedere sul campo diplomatico internazionale con posizioni apparentemente “neutre”, o se si vuole “non-allineate” sui due fronti imperialistici contrapposti, URSS e USA. Dal punto di vista strettamente economico, e finanziario, non vi è mai stata “neutralità” o “non- allineamento; gli affari si facevano “in chiaro” con i paesi cosiddetti neutrali o “fratelli”, ma era ben poca cosa, e “al buio” con i paesi imperialisti maggiori che potevano (Segue a pag. 12) NELL' INTERNO - "Battaglia comunista" : doppio misto di volontarismo e intellettualismo, di democratismo militante e partito "virtuale" - I diritti dell'uomo, espressione ideologica dello schiavismo borghese - Senza programma rivoluzionario. non ci sarà mai partito rivoluzionario - Le nuove forme di collaborazionismo interclassista (Riunione Generale di Genova 9- 10/1/99) Metalmeccanici: il rinnovo contrattuale voluto dalla Triplice sindacale significa riduzione costante dei salari e orario di lavoro adeguato alle sole esigenze padronali BANDITISMO IMPERIALISTA IN IRAK
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Page 1: Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali;

- ilComunista-Bimestrale-UnacopiaL.2.000Abb.ann.12.000;sost.25.000-Elprogramacomunista-

Rivista teorica inspagnoloUnacopiaL.5.000

- leprolétaire-Bimestrale -UnacopiaL.2.000Abb.ann.12.000;sost.25.000-programmecommuniste-

Rivista teorica in franceseUnacopiaL.5.000

DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d' Italia; alla lotta della sinistracomunista contro la degenerazione dell' Internazionale, contro la teoria del socialismo in unpaese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchipartigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell'organo rivoluzionario,a contatto con la classe operaia, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco.

IL COMUNISTAanno XVII - N. 64-65Gennaio-Aprile1999

Spedizione in Abbonamentopostale - Milano

70 % - Filiale di Milano

organo del partito comunista internazionale

(Segue a pag. 3)

Questo contratto, secondo il col-laborazionismo sindacale, deve“rappresentare un elemento di coesionenel Paese e tra tutti i lavoratori, e ri-spondere principalmente al problemadella occupazione, della tutela del po-tere d’ acquisto dei salari e delpotenziamento dei diritti nei luoghi dilavoro “. Tanto è scritto nella premessadella Piattaforma per il rinnovo del CCNLdei metalmeccanici. La cinica demagogia

di questo “obiettivo”, che il collaborazio-nismo utilizza per mascherare il veroobiettivo del suo operato, è facilmentedimostrabile.

Naturalmente non mancano i rife-rimenti ai dati statistici i quali dovrebberotranquillizzare lavoratori e padroni dalpunto di vista delle richieste da fare o danon fare nel rinnovo contrattuale. “Il rin-novo del contratto - si legge sempre nellapremessa della Piattaforma - avviene in

una situazione complessa e contraddit-toria. Sul piano dell’ economia siregistrano risultati positivi nella cresci-ta industriale, nella stabilizzazione deltasso di inflazione intorno all’ 1,7%, edè realistico attendersi un ulteriore ri-basso del tasso di sconto. Dall’ altrolato, continuiamo a registrare un’ altadisoccupazione strutturale (circa il12%), fortemente differenziata tra norde sud del Paese, con un divario crescen-

te a sfavore di quest’ ultimo, e la crescitadelle turbolenze politiche e sociali “. Sevi sono stati risultati positivi sul pianodella crescita industriale e su quello dellastabilizzazione del tasso di inflazione, inrealtà lo si deve esclusivamente all’ au-mentato tasso di sfruttamento della classeproletaria, all’ aumentata flessibilità eprecarietà del lavoro, alla crescente pres-sione padronale e statale (leggi pressionefiscale, diminuzione delle garanzie sanita-

rie e pensionistiche, aumentatodispotismo di fabbrica e sociale), e allasistematica politica del peggioramentodelle condizioni materiali di vita e di lavo-ro delle masse proletarie.

L’ economia capitalistica, nella fasedi acutissima concorrenza internazionalee di saturazione dei mercati, se rivela datidi crescita positivi li raggiunge alla solacondizione di accrescere notevolmentelo sfruttamento della forza lavoro, dei la-voratori salariati. E questo aumento dellosfruttamento del lavoro salariato può av-venire in molti modi, tra i quali i principalisono l’ attacco al salario e alle “garanzie”che gli operai avevano conquistato neidecenni scorsi attraverso le loro lotte, sulpiano normativo come su quello contrat-tuale, e più semplicemente sul piano di

Dal crollo dell’ URSS e del suoimperialismo militare, tutta l’area checostituiva i famosi paesi “satelliti” -mistificati per paesi di un “camposocialista” mai nato -, compresa la regionebalcanica, è entrata in crisi permanente.Crisi politica, certamente; crisi economica,sicuramente; crisi sociale: è un fattoevidente a tutto il mondo. Non fu ilcosiddetto “socialismo reale” a fallire; fucapitalismo - come la Sinistra comunistasostenne fin dal 1924-26 - che, mancandola vittoria rivoluzionaria comunista nell’Europasviluppata,nonavevaaltra stradadapercorrere che quella obbligata dellosviluppo condizionato dal mercato

KOSOVO : l’umanitarismo peloso degliimperialismi occidentali, e il cinico terrorismoantialbanese del capitalismo straccione serbo,

sono due facce della stessa medaglia

mondiale e, quindi, dalle potenzeimperialistiche più forti. E tale sviluppocondizionato porta inevitabilmente ognieconomia capitalistica debole, prima o poi,a cedere e lasciar libere tutte le più acutecontraddizioni accumulate nel frattempo e“politicamente” contenute.

Il caso della Yugoslavia di Tito,che per qualche decennio visse il propriosviluppocapitalisticointernorelativamenteal riparo dalle più violente crisicommerciali e finanziarie del capitalismomondiale, è emblematico; l’ imperialismodei paesi occidentali e l’ imperialismorusso ebbero in un certo senso un interessein comune: fare in modo che il groviglio di

complicazioni politiche, sociali, etniche,razziali, religiose, e statali dei paesibalcanici - groviglio che si è creato nelcorso di qualche secolo, non certo diqualche decennio - fosse “coperto”politicamente da linee, posizioni, uominiche rappresentassero una sorta di “non-allineamento”; allo stesso modo sipresentava la situazione in quello cheabbiamo sempre chiamato il “terremotatoMedio Oriente”. Ciò non significava, enon significa, che gli imperialismi più fortifossero o siano indifferenti alloschieramento dei paesi balcanici, o deipaesi mediorientali. Significava che fin aquando la concorrenza interimperialista a

L’ ottenimento di un tavolo inPrefettura, a fine anno, alla data dell’ 11dicembre 98, da parte del Coordinamentounitario può essere considerato, per certiversi, contemporaneamente come puntodi arrivo e di riflusso di una esperienza.

Essa dimostra, da una parte, unadeguato rapporto di forza espresso dalmovimento, che, in linea teorica,spianerebbe la strada alla soluzione dellaproblematica delle rappresentanze inantitesi a CGIL, CISL e UIL; e, dall’ altraparte, invece, pone seri problemi digestionedelle lotte trovando leavanguardiecompletamente impreparate di fronte aduna situazione giunta ad un certo livello dimaturazione.

Il ’98 rappresenta un segnaleimportanteanchese la fortespintaoggettivasviluppatasi nel napoletano non è riuscita atradursi in un vero e proprio salto di qualitàdel movimento prodottosi; incanalandosi,

al contrario, per le solite vie delcorporativismo e degli oppostiestremismi, la resistenza ed il rifiuto allaformalizzazione di un Coordinamentocongiuntamente alla redazione di unapiattaforma rivendicativa, ne è la provainconfutabile. Evidentemente l’ illusionedi soluzioni “particolari” gioca un ruolo diprimo piano alimentando interpretazioniparziali e del tutto arbitrarie sul da farsi, einficiando, almeno per il momento, la viamaestra di una seppure minima ripresadella lotta classista.

La nostra sempre più osteggiatapartecipazione alle riunioni delCoordinamento unitario ci ha consentito,in determinate situazioni, di lanciarequalche proposta che in certe circostanzenon poteva essere eluse. E’ il caso dellamanifestazione di solidarietà nei confrontidei disoccupati di Acerra, a fine novembrescorso.

Ad una riunione delCoordinamento unitario svoltasi aPonticelli, i compagni di Acerra eranoassenti. Ad un certo punto della riunionegiunsero notizie. Ad Acerra un incontrostabilito tra disoccupati e giunta comunaleveniva boicottato, per evitareevidentemente di prendere impegniformali. Alla reazione dei disoccupati, lapolizia interveniva con la repressione.

A questa riunione delCoordinamento unitario nessuno preseposizione o propose operativamentequalcosa; ci sembrò opportuno oltre chedoveroso lanciare la proposta di unamanifestazione unitaria ad Acerra insolidarietà con i disoccupati e contro larepressione. Il nostro intervento voleva

(Segue a pag. 2)

Il movimento napoletano dei senzalavoro e dei senza salario

può uscire dal corporativismo e dagli opposti estremismisolo incanalandosi sulla strada maestra della lottaclassista, unificante ed effettivamente antagonista

Il bombardamento dell’ Irak daparte degli Stati Uniti, fiancheggiati dalloro fedele alleato britannico, è statoattribuito da molti mezzi di informazionealla volontà del presidente americano diritardare o bloccare la procedura di“impeachment” (per l’affare Lewinski)avviata contro di lui dalla maggioranzarepubblicana del Congresso americano. E,senza dubbio, alcune considerazioni dipolitica interna devono aver contribuitoalla decisione di attaccare l’ Irak. Masarebbe un errore grossolano ridurre questoatto tipico del banditismo imperialista auna semplice misura diversiva per daretregua all’ attuale Amministrrazionegovernativa americana.

Dalla fine della guerra del Golfo,gli americani (e gli inglesi) avevano fattoin modo da lasciare il regime di Bagdad, acui avevanopermessodi mantenere il potereinIrak, inunacondizionedi subordinazione.Ritenendosi sempre insoddisfatti dellemisure di disarmo irakene hannoregolarmente prorogato l’ embargo deciso8anni fa.Periodicamente,quandoi tentatividegli altri imperialismi a favore dell’abolizione dell’ embargo si facevanoinsistenti, gli Stati Uniti suscitavano unacrisi con l’ Irak, tuonavano, minacciavanoe, finita la crisi, costringevano gli altripaesi a concordare sulla necessità dirinnovare le misure anti-irakene.

Negli ultimi mesi gli Stati Uniti sisono trovati sempre più isolati, a tal puntoda non riuscire più a manovrare l’ONU.Nel corso della precedente cirisi, nelnovembre del 1998, erano stati in qualche

modo costretti ads accettare all’ ultimomomentouna soluzionediplomatica, senzadubbio pesante per l’ Irak, ma che apriva lastrada al ritiro dell’ embargo e alla fine deicontrolli militari dell’ UNSCOM (l’unitàdi controllo sotto l’egida dell’ONU) intempi brevi.

Ma gli Stati Uniti non desideranoproprio una soluzione di questo genereperchè eliminerebbe qualunquegiustificazione alla loro schiacciantepresenza militare - garanzia del lorodominio politico - in questa regione delmondo estremamente importante per ilcapitalismo mondiale; tale soluzioneconsentirebbe, inoltre, ad altriimperialismi (russo, francese, ecc.) direinstallarsi in un paese che possiedeenormi risorse petrolifere. Per di più, ilritiro dell’ embargo sul petrolio irakenoabbasserebbe ulteriormente il prezzo giàmolto basso del petrolio, con grave dannoper le grandi compagnie petroliferestatunitensi, la cui influenza sulla politicaamericana è notevole. E sarebbe altrettantograve per i giacimenti petroliferi inglesinel Mare del Nord, che hanno prezzi allaproduzione molto elevati; resta il fatto cheil petrolio del Mare del Nord rappresentauna considerevole fonte di introito per ilcapitalismo britannico che sta persprofondare nella recessione. Pertanto, iTornado britannici che bombardano gliospedali e le maternità di Bagdad (i militari

(Segue a pag. 11)

livello mondiale non avesse raggiunto unasituazione di grave tensione nel controllodi quelle che furono chiamate “zone delletempeste”, alla Yugoslavia, all’ Egitto, all’India e via dicendo era possibile accederesul campo diplomatico internazionale conposizioni apparentemente “neutre”, o se sivuole “non-allineate” sui due frontiimperialistici contrapposti, URSS e USA.

Dal punto di vista strettamenteeconomico, e finanziario, non vi è maistata “neutralità” o “non- allineamento; gliaffari si facevano “in chiaro” con i paesicosiddetti neutrali o “fratelli”, ma era benpoca cosa, e “al buio” con i paesiimperialisti maggiori che potevano

(Segue a pag. 12)

NELL' INTERNO

- "Battaglia comunista" : doppio mistodi volontarismo e intellettualismo,di democratismo militante e partito"virtuale"

- I diritti dell'uomo, espressioneideologica dello schiavismoborghese

- Senza programma rivoluzionario.non ci sarà mai partitorivoluzionario

- Le nuove forme dicollaborazionismo interclassista(Riunione Generale di Genova 9-10/1/99)

Metalmeccanici: il rinnovo contrattuale voluto dalla Triplicesindacale significa riduzione costante dei salari e orario di

lavoro adeguato alle sole esigenze padronali

BANDITISMOIMPERIALISTA IN IRAK

Page 2: Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali;

IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '992

evidenziare che un Coordinamento inquanto tale deve essere in grado di darerisposte immediate ed organizzate allapolitica del bastone e della carota delleistituzioni. Toccare uno specificomovimento organizzato, una sigla, deveessere recepito come se si toccasse tuttoil movimento, tutto il Coordinamento. Lanostra proposta, in larga parte moltoapprezzata,passava.Ma all’ appuntamentoad Acerra per la manifestazione disolidarietà erano presenti solo il“Movimento disoccupati in lotta per illavoro”; gli altri, tranne qualche singolocompagno, erano assenti per... “motivitecnici”. I compagni di Acerra ciaccoglievanoalla stazioneconunvolantino(che pubblichiamo in questo numero). Sisfilava, quindi, in corteo per il centrocittadino. Nonostante tutto, questa vaconsiderata unaesperienzapositiva. Grazieal nostro lavoro di sensibilizzazione anchei lavoratori degli LSU di Portici venivanoresi partecipi alle manifestazioni di lottadel Coordinamento unitario.

Un’ assemblea nel cortile delComunedi Portici vedeva la partecipazionecompatta di tutti i lavoratori. Presente undelegato del “Movimento di lotta LSU”. Ilsuo intervento di apertura incitava ilavoratori alla lotta unitaria e all’allargamentoa tutti gli LSUsostenuto dallarivendicazione di un lavoro a tempoindeterminato tramite il loro assorbimentonella Pubblica Amministrazione. Alla finedell’ assemblea si redigeva un volantinounitariocheveniva successivamente faxatosu tutti i posti di lavoro. L’adesione alleiniziative da parte dei lavoratori di Porticiaveva qualche successo iniziale. Ma inseguito, a causa anche dell’ interventotempestivo dei confederali CGIL, CISL eUIL che abbindolavano i lavoratori con lesolite illusioni e false promesse, l’adesione rifluiva gradualmente. Unintervento del Coordinamento unitario dicontroinformazione sarebbe stata la mossaesatta in controtendenza; ma così non èstato per il ripiegarsi, come vedremo inseguito, del Coordinamento su se stesso.

All’ inevitabile nulla di fatto inPrefettura, il Coordinamento non sapevadare risposta attinente se non il solito esterile blocco stradale. Il Coordinamentosi dimostrava un aggregato di varie realtà.Di frontea questodato di fatto le successivemanifestazioni che vanno dal presidio diPonticelli del 13 dicembre, presso ilCinema Pierrot, e dall’ atteso incontro colsindaco-ministro Bassolino daquest’ultimo regolarmente disertato; alcorteo unitario con gli studenti del 18dicembre, carico di tensione ma povero dicontenuto, si trasformavano in terrabruciata che non avrebbe permesso alcunosviluppo di un reale movimento.

Emblematica è la manifestazionedel 16 dicembre, dove la presenza deidisoccupati era prevalente. La nostra tacitae falsamente motivata esclusione da tuttele riunioni ristrette non ci consentiva dipoter dare una valutazione preventiva sulpercorso del corteo. La sorpresa di certeazioni giocano senza dubbio un ruoloimportante nella determinazione deirapporti di forza, ma se non sonoproporzionali alla reale forza che esprimeeffettivamente in quel momento l’organizzazione, si trasformano in veri epropri colpi di testa. Quel pomeriggio ilcorteo partiva da piazza del Gesù ed eradiretto verso la Prefettura. Un nostrovolantino (che pubblichiamo a lato), unicointervento possibile, faceva il punto suldibattito e attraverso una critica costruttivametteva inguardia ilmovimentodapossibiliriflussi. Il corteo partiva determinato ecaricava l’aria di tensione. Presidi e falòovunque.ImanifestantigiungevanoinpiazzaCarità e sembrava che ormai il corteodovesse proseguire regolarmente fino apiazza del Plebiscito, sede della Prefettura.Aquestopunto il corteodecideva asorpresadi abbreviare il percorso e di corsa sidirigeva dritto verso lo sbarramento dellapolizia di via Roma, all’ incrocio di viaDiaz, punto considerato ormaiinaccessibile per qualsiasi corteo emanifestazione. L’avessimo saputo,avremmo senz’ altro sconsigliato un’azione del genere, oltretutto in una fasemoltodelicatadelmovimentoincuiproprioil tentativo di sviluppare un movimentoconcreto su obiettivi classisti era la posta

Il movimento napoletanodei senza lavoro e dei senza salario

(da pag. 1) in gioco. Gli incidenti furono inevitabili.La polizia rispondeva coi lacrimogeni; ilcorteosi disperdeva. Icompagni più espertidel “Movimento di lotta LSU” tenevano lapiazza reggendo lo striscione in direzionedel percorso autorizzato. I dimostranti siricompattavano, ma la polizia li braccavada lontano pronta con scudi e manganelli.Il corteo ormai dimezzato nel numerotentava un blocco stradale proprio di frontealla questura. I celerini incalzavano. Lamanifestazione proseguiva per via Medinaraggiungendo piazza Municipio, sede delComune, dove gruppetti di manifestantiingaggiavano una miniguerriglia con icelerini. La situazione precipitava

inesorabilmente. La polizia non aspettavaaltro; si ripetevanosceneda anni 70 quandoqualche celerino più “intraprendente”sparava qualche lacrimogeno ad altezzad’uomo sfiorando pericolosamente gliingenui e inesperti manifestanti. Gli ultimiirriducibili abbandonavano la piazza e perfortuna senza alcun arresto. Evidentementeil ricordo del corteo dei duemila che videsorprendentemente tutte le organizzazionidi lotta, sia quelle dette di “destra” chequelle di “sinistra”, per la liberazione dialcuni disoccupati arrestati - avvenuta poieffettivamente -, faceva desistere la Digosda mosse considerate in quel momentoinopportune.

La questione delle 2000assunzioni riguardo il progetto della“raccolta differenziata” dei rifiuti hatenuto banco sin dall’ estate scorsacoinvolgendo inevitabilmente tutte lerealtàdei disoccupati. Ritenuta ormai terreno dicaccia delle Liste che si rifanno alleorganizzazioni di “destra”, la “raccoltadifferenziata” veniva comunque assuntacome una possibilità concreta per cuibisognava in qualche modo agire perrenderla effettiva. Nel dibattito delCoordinamento unitario la questione delleduemila assunzioni era ritenutauna rispostaparziale da parte delle istituzioni alleesigenze della piazza, nel senso chebisognava chiederne l’ allargamento.Questa era, a dire dell’ assemblea, unadelle condizioni affinché il Coordinamentopotesse viaggiare su binari concreti cheandassero al di là della rivendicazione,bella ma ritenuta “astratta” e pocodeterminata ai fini vertenziali, di un Lavoroo comunque di un Salario. I rappresentantidei disoccupati, quasi per compromesso,mettevano da parte “momentaneamente”la rivendicazione: Salario didisoccupazione, accettando la strategiadettata dalla situazionecontingente. L’altracondizione, motivata da esigenze diconcretezza, doveva essere un certoricompattamento delle organizzazioni deidisoccupati poiché la spaccaturaverificatasi precedentemente (vedi nostroarticolo nel nr. 63 del giornale) e ledivergenze maturate in alcune sigle, eranocontroproducenti nonsolo per i disoccupatima anche per le altre organizzazioni delCoordinamento.

La nascita di nuove sigle,conseguenza di scissioni e le polemicheanche accese all’ interno delleorganizzazionideidisoccupati, fannoparte,secondo noi, della storia stessa delmovimento.L’ interventodelleavanguardiedeve essere senza dubbio quello di favorirela costruzione di un forte movimentounitario su obiettivi di classe. Ma come?Non dimentichiamo che al di là dellavolontà delle avanguardie, le varie siglerisentono ancora, come del resto tutto ilproletariato in generale, di decenni diopportunismo e che quindi è inevitabileche l’ evoluzione verso organizzazioniclassiste passerà per un uno scontro tradue linee, adesso non ancora ben chiare almovimento proletario, ma che l’ acuirsidelle contraddizioni e le sconfitte più omenoparziali metterannobene inevidenza.L’ antidoto contro il veleno riformistada parte dei comunisti è e sarà quellodello scontro aperto e della lotta per laconquista del consenso tra i proletari,i quali distingueranno sempre più dai fattie dalle azioni la linea di demarcazione traopportunisti e tra estremisti impazienti eavanguardie comuniste, che, a loro volta,metteranno in risalto le contraddizioniespresse nel movimento e mostreranno lastrada della lotta di classe assunta dall’esperienza storica del proletariato edespressa da un programma tatticostrategico.

E’, questo, un processo moltolungo ma che vede fin da oggi il suoriflettersi nel dibattito all’ interno delmovimento. E’ evidente che gli scontri e lepolemiche, fino alle scissioni, diventanoinevitabili come le doglie di un parto. E’ unprocesso dialettico e come tale bisognasaperlo interpretare per trovare l’esattaanalisi per un corretto intervento. Starenelle lotte non significa fare gli illuminati

o i professori di cattedra per insegnare ilsocialismo al proletariato. Stare nellelotte significa partire dal livelloespresso dal movimento facendoloevolvere, pur nella realtà delle suecontraddizioni, verso la conquista delterreno classista, dunque di obiettivi,mezzi e metodi della lotta di classe.Questo significa che le parole d’ordinedevono passare inevitabilmente per quellerivendicazioni di carattere economicoimmediato anche minime che fungono daforza motrice per il prosieguo della lotta.Questi obiettivi devono essere rapportaticostantemente con quelli generali cheallargano e unificano il movimentoproletario. Essi sono in contraddizione fradi loro, ma è una contraddizione dialettica,ossia l’obiettivo generale contiene e superal’obiettivo parziale e immediato. Questiobiettivi classisti devono stare insieme,devono camminare congiuntamente,perché divisi rappresentano un’ astrazione,e soprattutto mettono in situazionepredominante il parziale, l’ immediato, ilcontingente sul generale, alimentando cosìl’ immediatismo, il corporativismo, laspaccatura fra proletari. Le parole d’ordinedi carattere immediato sono solo un puntodi partenza di un programma ben più vastodell’ attività rivoluzionaria dei comunistiall’interno della classe. Oggi la lotta è perl’ egemonia politica nei movimentiimmediati perché è lì che si gioca il futurodella lotta classista. Senza la direzionedei comunisti la classe è stata, è e saràin completa balìa dell’ ideologia e delleorganizzazioni borghesi, e qualsiasimovimento spontaneo, anche se fortecome estensione e numero dipartecipanti, se rimane tale è destinatoalla sola sconfitta e a non riprendersifacilmente.

La spinta centrista all’ interno delCoordinamento unitario prende sempre piùil sopravvento, ma in fondo questa fase diriflusso era insita nel processo stesso.Sono certe analisi a determinare deipercorsi. Il discorso sulla disparitàvertenziale ci sembra un punto chiave deldibattito. E’ più che evidente che i tempi dimaturazione delle varie vertenze sianodiversi. Ma questo non deve rappresentareuna pregiudiziale nei confronti di chi, comegli LSU, percepisce una indennità didisoccupazione e lotta per un contratto atempo indeterminato, e chi, come idisoccupati, non ha nulla e parte da unlivello più basso inteso come statussociale.

Cosa vanno a dire i disoccupatialla controparte in assenza di una vertenzaspecifica nonescludeaffatto lepotenzialitàdegli LSU. Come, viceversa, la vertenzadegli LSU non esclude affatto dal gioco idisoccupati. L’ unità rafforza, nonindebolisce, se naturalmente l’unità siattua sul terreno classista.

Portare avanti il discorso delle2000 assunzioni nel progetto della“raccolta differenziata” ha fatto andarefuori dei binari i disoccupati e ha provocatolo sbandamento del Coordinamentounitario. Non è compito dei disoccupatidefinire la politica occupazionale; questoè compito, e problema, delle istituzioni.La questione della “raccolta differenziata”è stata la carota che ha portata ad una piùnetta demarcazione verso quelle sigledirette da organizzazioni di destra e che ha

NO ALLA REPRESSIONE !

GLI IMPEGNI PRESIVANNO MANTENUTI !

All’ appuntamento stabilito tra i disoccupati e la giunta, il quale serviva comeultima verifica affinché nel consiglio comunale non sorgessero priblemi per l’approvazione degli impegni stabiliti (come già successo altre volte) l’amministrazione usa la strategia del “boicottaggio politico” presentandosidimezzata all’ incontro (erano assenti D.S. e P.P.I.). A questo punto i disoccupatidecidevano di presidiare il Castello baronale affinché la richiesta fatta dalmovimento, di far riunire tutta la giunta, venisse mantenuta.

Il presidio si prolungava fino al tardo pomeriggio nella vana attesa dell’ arrivodegli assessori mancanti, così come assicurava il sindacao, il quale invece eludevail presiio dei disoccupati, usando una uscita secondaria per recarsi al consigliocomunale.

Tutto ciò scatenava, ovviamente, la rabbia dei disoccupati i quali decidevanoimmediatamente di dirigersi là dove si doveva svolgere l’ assise cittadina,determinati a far rispettare gli impegni presi dall’ amministrazione, poichérisultava fin troppo chiaro che senza l’ intesa della giunta (cioè la maggioranza)niente può essere approvato dal consiglio comunale.

NESSUNCONSIGLIOCOMUNALEAVRA’ LUOGOFINOAQUANDOGLI IMPEGNI PRESI NON VERRANNO RISPETTATI !

La lotta per il lavoro o il salario e per la gratuità dei servizi socialio vede unitii disoccupati di Acerra e di Napoli insieme alle realtà dell’ autogestione e dell’autorganizzazione presenti su tutto il territorio i quali stanno costruendo unainiziativa a carattere nazionale (orientativamente per la metà del mese di gennaio1999) contro la disoccupazione e la precarietà.

° PER IL LAVORO O IL SALARIO GARANTITO

° PER I SERVIZISOCIALI GRATUITI

Movimenti in lottaper il Lavoro o il Salario - Acerra

PER L’UNITA’ DIALETTICADEL MOVIMENTO DEI DISOCCUPATI

La questione delle duemila assunzioni inerenti il progetto detto “raccoltadifferenziata” rappresenta la risposta delle istituzioni alla crescente protesta dipiazza sviluppatasi nel napoletano.

L’obiettivo è duplice: 1°, Calmare la piazza; 2°, Creare spaccature eframmentazioni.

E’ indispensabile più che mai un dialogo tra tutte le liste e leorganizzazioni di lotta per una risposta organizzata. La rivendicazione deldiritto a campare, lavoro o non lavoro, deve diventare patrimonio di tuttele realtà senza mai essere accantonata, neanche per un momento, pena ilcedimento al corporativismo.

Se è vero che la disoccupazione è un problema istituzionale, è anche veroche nel sistema capitalistico ci sarà sempre disoccupazione e spetta ai disoccupatiorganizzati, innanzitutto, porla in evidenza. La disoccupazione è congenita alsistema capitalistico, e gli è funzionale in quanto “arma di pressione” utilizzatacontro i proletari occupati per tenere bassi i salari e per intensificarne losfruttamento. I gruppi che si organizzano per lottare contro la disoccupazionenon sono altro che la punta più avanzata di un iceberg. Essi, assieme agli altriproletari in lotta, rappresentano l’embrione di una futura organizzazione diclasse, la sola capace concretamente di respingere i continui attacchi che laborghesia sferra alle condizioni di vita e di lavoro proletarie, peggiorandolesistematicamente.

I disoccupati, i precari e i proletari occupati sono soggetti socialiappartenenti alla stessa classe: il proletariato, la classe dei senza riserve. Laloro divisione, e la concorrenza fra proletari, sono funzionali alla politicaantioperaia dello Stato borghese.

Gli obiettivi anche minimi, frutto delle lotte, saranno comunque e solodelle tappe, perché bisognerà continuare a lottare. Se è vero che non è correttorivendicare obiettivi di carattere generale senza coniugarli con obiettivi ancheminimi, è anche vero il contrario, che cioè non possono essere privilegiatiobiettivi minimi e parziali senza rapportarli costantemente con quelli di caratteregenerale che hanno la caratteristica di allargare e unificare effettivamente ilmovimento. Rivendicazione generale e obiettivo minimo sono incontraddizione, in questa società, ma devono marciare insieme. L’uno senzal’altrosonoun’astrazione, sonouna metà spaiatadella lottadi classedel proletariato.

L’unità “virtuale” del Coordinamento unitario è espressione dei suoilimiti. La mancata formalizzazione di una piattaforma e di una firma unitaria neminano costantemente l’esistenza. Il superamento di queste contraddizioni èpremessa indispensabile affinché si possa parlare di “Coordinamenti nazionali”che non siano una mera e astratta accozzaglia di firme.

* SALARIO DA LAVORO O SALARIO DI DISOCCUPAZIONE !* TRASFORMARE I CONTRATTI DEI PRECARI E DEGLI LSUIN CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO REGOLATI DAI CCNL !* ABOLIZIONE DEL D.L. 468/97 !* RIDUZIONE DRASTICA E GENERALIZZATA DELLA GIORNATA

LAVORATIVAA PARITA’ DI SALARIO !* NO AGLI STRAORDINARI !

Napoli, 15 dicembre 98

Partito comunista internazionale( il comunista )

CORRISPONDENZA E ORDINAZIONI

VANNOINDIRIZZATEA:ILCOMUNISTA

C. P. 10835 - 20110 MILANOVERSAMENTIA:

R. DE PRA' ccp n. 30129209,20100 MILANO

Direttore responsabile :RaffaellaMazzuca -Redattore-capo : Renato De Prà -Registrazione Tribunale Milano N.431/82.Stampa : Print Duemila s.r.l.,Albairate (Milano)

(Segue a pag. 10)

Quando l’illusione di maggior concretezza porta asubire l’azione velenosa dell’ opportunismo

Page 3: Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali;

IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '99 3

(Segue a pag. 4)

un accresciuto dispotismo di fabbrica at-traverso il quale il padronato fa passareogni genere di vessazione, di attacco aidiritti sindacali, di ricatto.

Che cosa ha fatto e che cosa fa laTriplice sindacale - questa organizzazio-ne del collaborazionismo verso ilpadronato e della difesa delle esigenzepadronali presso i lavoratori - per rispon-dere in modo adeguato al fuoco di filacon il quale il governo e le associazionipadronali attaccano sistematicamente lecondizioni di vita e di lavoro operaie?Essa stende piattaforme contrattuali,dialoga con le “controparti”, negozia etratta la pelle degli operai, ma con obietti-vi assolutamente paralleli, e spessoidentici, a quelli del padronato. La diffe-renza tra padroni e sindacati tricolore nonsta nella sostanza, nel contenuto verodelle richieste - in cima ai loro pensieri stasempre la buona salute dell’ azienda, dell’economia nazionale, non quella dei prole-tari - ma nei modi e nei tempi in cui agireper renderle attuabili. Così nascono piat-taforme, e non è certo da oggi che primadi tutto parlano di “diritti”, poi di “occu-pazione”, quindi di “orario” e finalmentedi “salario” e di sicurezza sul posto dilavoro! Ossia, nascono piattaforme deltutto aderenti all’ impostazione demago-gica della contrattualizzazione tra forzalavoro salariata e padronato. La caratteri-stica fondamentale, in economiacapitalistica, è che la forza lavoro, gli ope-rai, i proletari, sono dei salariati, cioè afronte dello sfruttamento da partepadronale della loro forza lavoro ricevo-no un salario; dunque è il salario il puntocentrale del rapporto fra capitalisti e sala-riati. Ed è talmente centrale questorapporto da determinare, nella forza anta-gonistica che queste due parti mettono incampo per difendere al meglio le proprieesigenze e i propri interessi, le condizionidi tutti i proletari, abbiano essi o no unlavoro stabile, siano essi fisicamente eindividualmente sfruttati in quella deter-minata galera del lavoro o emarginati daicicli produttivi nel precariato e nella di-soccupazione.

Ma ai sindacati collaborazionistista a cuore prima di tutto l’ area dei cosid-detti “diritti”. E’ un’ area in cui è più facileargomentare preventivamente perché daparte operaia non debbano essere avan-zate determinate richieste (ad esempio fortiaumenti salariali, diminuzione drasticadell’orario di lavoro per tutte le catego-rie). Parlare prima di tutto di “diritti”, faribadire al collaborazionismo sindacale ladipendenza assoluta dei lavoratori dalleesigenze del mercato, della produzione dimerci, dell’economia aziendale, insommadalle esigenze del capitale. Come dire chela forza lavoro - che rappresenta in realtàla vera fonte della ricchezza sociale, e nelcapitalismo la vera fonte dei colossali pro-fitti che i capitalisti intascano ogni minutodi ogni giorno e di ogni notte - non ha, enon deve avere, alcuna rivendicazioneda avanzare al di fuori del quadro degliinteressi del capitale. In una impostazionedi questo tipo è del tutto logico che ilpeso lasciato alla lotta, alla pressione chelo sciopero degli operai può determinare,è molto marginale, mentre acquistanopeso prioritario il “negoziato”, il “dialo-go” fra le parti, gli “accordi”.

Ebbene, andiamo ad esaminare ipunti principali del rinnovo contrattualevoluto dal collaborazionismo sindacale erileveremo di che cosa sono stati capaci icampioni della pace sociale e dell’ avve-lenamento opportunistico del proletariato.

1) SALARIO

Come abbiamo detto, questo nonè il primo punto della piattaforma sinda-cale, ma il quarto; ed è ritenuto cosìsecondario dai signorotti della triplice sin-dacale da occupare ben 7 righe dellapiattaforma! Per i proletari, e per noi, lavoce del salario è il primo punto in asso-luto.

In pratica, nella piattaforma si ha ilcoraggio di richiedere per il biennio 1999/2000 la cifra di lire 80.000 al 4° livelloretributivo, giustificandola col fatto che

Metalmeccanici: il rinnovo contrattuale voluto dallaTriplice sindacale significa riduzione costante dei salarie orario di lavoro adeguato alle sole esigenze padronali

l’ inflazione programmata per questo pe-riodo è di appena 1.5%, e riparametrata inbase alla maledetta scala 100/200; insom-ma è come chiedere al padronato l’elemosina, ma attraverso apposite orga-nizzazioni dei lavoratori che si chiamanoFim, Fiom e Uilm!

Naturalmente le 80.000 lire sonolorde!, perciò vanno defalcate le tasse;tasse che nel frattempo si sono aggiunte(come l’addizionale Irpef regionale) attra-verso la nuova legge finanziaria. Teniamoconto che nella trattativa questa cifra su-birà un ridimensionamento e unfrazionamento - come è sempre successo- e che gli operai potranno saltare dallagioia se si metteranno in tasca 15 o 20mila lire nette con le quali dovrebberorecuperare il potere d’acquisto che negliultimi anni è calato di molto e che non èmai stato recuperato nemmeno con i rin-novi contrattuali precedenti. Al di là deibei discorsetti sul contenimento dell’ in-flazione (e nella certezza che i dati ufficialisono sempre dubbi), è un fattoindiscutibile che il salario dei proletari stainesorabilmente precipitando riducendo-si costantemente e in maniera drammaticasoprattutto per quelle famiglie che pos-sono contare su un unico salario.

Tenendo conto delle esigenze direcupero del potere d’ acquisto dei salari,la richiesta salariale dovrebbe partire daun minimo di 300.000 lire, non frazionabilie uguale per tutti. Il problema però è chequesta richiesta salariale - come d’altraparte ogni rivendicazione operaia che ten-ga conto esclusivamente degli interessioperai - ha bisogno di un forte sostegnoin termini di mobilitazione e di lotta opera-ia, di lotta unificante e unitaria, decisa ecapace di esprimere una forte pressionesul padronato. Ciò che manca, in verità, èproprio l’ organizzazione classista su cui iproletari devono contare per la difesa delleproprie condizioni di lavoro e di vita, sen-za la quale nessuna rivendicazioneoperaia, e nessun “diritto”, ha la possibi-lità di passare e di trovare soddisfazione.Ecco perché i comunisti rivoluzionari in-sistono prioritariamente sulla necessitàdi riorganizzare le forze operaie sul terre-no classista e intorno ad obiettivi, mezzi emetodi di lotta classisti: lariorganizzazione classista delle associa-zioni economiche operaie è l’ armaprincipale della lotta operaia e della unifi-cazione dei proletari su un fronte di classein grado di arginare i continui attacchialle condizioni proletarie portati dai capi-talisti e dal loro Stato, e di difendere inmodo efficace le condizioni materiali dell’intera classe proletaria senzaframmentazioni in categorie, settori, zone,aree, attraverso le quali invece il collabo-razionismo agisce per spezzare laresistenza operaia e per svilirne gli obiet-tivi di lotta.

Mancando l’ organizzazioneclassista di difesa immediata, i proletarisono inevitabilmente preda del collabo-razionismo il quale alimenta - purdichiarando a parole il contrario - atteg-giamenti e pratiche da corporativismo, dasoluzioni “individuali”; il quale alimental’ individualismo fino al ruffianesco sot-toporsi al ricatto dei capi, dei padroni edegli stessi bonzi sindacali. Quale sareb-be l’ impostazione unitaria che la Triplicesindacale dà al suo operato? In realtàquell’ unitarismo risponde agli interessieconomici e generali del padronato, e nonagli interessi immediati dei proletari comeforza lavoro salariata. Il disprezzo con ilquale è stato trattato l’argomento salarionella piattaforma di rinnovo conferma chia-ramente da quale parte stanno i signorotti,sazi e ben pagati, della Triplice sindacale!

2) ORARIO DI LAVORO

A questo proposito, la piattafor-ma della Triplice tende ad accreditare l’idea che per favorire l’ occupazione è ne-cessario ridurre l’ orario di lavoro econtrollare gli straordinari. Essa infattititola il suo punto 2. “Occupazione edorario di lavoro”. Inutile dire che in essal’argomento è trattato come se riguardas-se di due figure che contrattano “allapari”, singolo capitalista da una parte elavoratore singolo dall’ altra; inutile direche nella realtà dei rapporti fra le classinon vi è alcuna “parità”, e che i sosteni-

tori della “parità” stanno tutti, cosciente-mente o meno - ma i signorotti dellaTriplice sono perfettamente coscienti -dalla parte dei capitalisti.

Nella piattaforma si legge che:“nell’attuale situazione la nostra cate-goria è fortemente caratterizzata da unallargamento degli orari di fatto, chevanno ben al di là dei limiti contrattualistabiliti e provoca un peggioramentodelle condizioni di vita e di lavoro deilavoratori e delle lavoratrici”. Doman-da: ma che cosa hanno fatto in pratica,nelle fabbriche, i sindacalisti affinché

quei limiti non venissero superati equel peggioramento nelle condizioni divita e di lavoro non fosse provocato?Hanno semplicemente lasciato mano libe-ra ad ogni padrone, ad ogni direzioneaziendale: essi si dedicano alle statisti-che, e redigono documenti su cuinegoziare!, non si dedicano mica a con-trollare giorno per giorno se quantocontrattato coi padroni viene da loro ef-fettivamente rispettato, e meno che menoad organizzare la lotta contro i peggiora-menti delle condizioni di lavoro e di vitaproletarie; essi hanno cose più importan-ti a cui pensare (ad esempio il lorocadreghino) !

E la piattaforma continua: “Questoconsente alle aziende il massimo di fles-sibilità senza regole, l’ elusione delconfronto con il sindacato, l’ uso alter-nato e spregiudicato di straordinari ecassa integrazione, come risposta fon-damentale alla regolazione del rapportotra produzione e mercato “. Dunque, quelche non va giù ai bonzi sindacali è che ledirezioni aziendali li scavalchino, e otten-gano direttamente quel che a loro servedi volta in volta, a seconda degli alti ebassi del mercato. I bonzi sindacali, inve-ce, pretendono di essere sempre coinvolti,ma non per utilizzare la conoscenza diquel che i padroni intendono fare al finedi organizzare la risposta proletaria, bensìper concordare coi padroni come attuarequel che essi intendono fare! Quantelotte sono state organizzate dalsindacalismo tricolore contro gli straor-dinari, contro la flessibilità selvaggia?Nessuna!

La Triplice sindacale ci dice ancheun’ altra cosa: “Secondo i dati INPS l’orario di lavoro è attualmente attestatointorno alle 45 ore settimanali”. E qui sitratta ovviamente di una media, fornitaufficialmente. Figuriamoci l’ orario setti-manale effettivo, dal momento che leaziende che usano forza lavoro e orari innero di certo non lo comunicano all’ INPS.

Dunque il grande problema per ilsindacalismo tricolore è quello di metterepiù regole alla flessibilità, all’ uso deglistraordinari e della cassa integrazione.Con ogni probabilità, qualche regola inpiù può far comodo anche ai capitalisti, iquali potrebbero dire: Studiate, bonzi sin-dacali, studiate nuove regole, ma tenetepresente che saremmo molto lieti di appli-carle se ci faranno risparmiare suglistraordinari che paghiamo normalmentedi più delle ore ordinarie. E questo studiopotrebbe portare anche a far risparmiareallo Stato le ore di cassa integrazione (ched’ altra parte sono comunque pagate conle tasse e i contributi prelevati dalle bustepaga dei proletari). Il tutto, naturalmente,mantenendo intatti i profitti dei padronidi fronte agli alti e bassi del mercato. In-somma, si sa che il mercato ha degli alti edei bassi, e che tali oscillazioni possonoprovocare importanti guadagni o perditeai capitalisti. Il giochino sta nel trovareun meccanismo che faccia pagare l’ effet-to delle oscillazioni del mercatosoprattutto ai proletari, condannati ad unaflessibilità del tutto parallela alle oscilla-zioni del mercato; in questo modo, icapitalisti dovrebbero essere in grado diprogrammare con più certezza l’ afflussodi profitti che provengono dall’ estorsio-ne del plusvalore alla forza lavorosalariata. I sindacalisti tricolore sono per-fettamente sulla stessa linea d’ onda, soloche cercano di salvare la quotazione (nonsolo in prestigio, ma soprattutto in dena-ro) del loro lavoro professionale checorrisponde ad una consulenza aziendaleil cui peso deriva in gran parte dal fatto dipoggiare sulle migliaia o sui milioni diiscritti al sindacato.

Le parole sono una cosa, i fattiben altro. Tanto per essere chiari subito:

non esiste una riduzione dell’ ‘orario dilavoro settimanale; il gioco è presto sve-lato.

I bonzi sindacali non fanno cherimettere in discussione diritti già acqui-siti dai lavoratori nei precedenti contratti:ore di permesso individuale, ex festivitàsoppresse, festività che cadono nei gior-ni feriali, ferie, ecc. Tutte queste orevengono sottratte da un ipotetico monteore annuale di lavoro; lo dividono setti-manalmente e si ottiene il grande risultatodi 37 ore e 46 minuti la settimana; si avran-no ben 2 ore e 3/4 di riduzione d’ orariosettimanali, ma non è finita qui: resteran-no da stabilire azienda per azienda, incollaborazione con le RSU, le modalità diquesta “riduzione” che potrebbero pre-vedere addirittura un’ applicazionegiornaliera - ossia meno di mezz’ora algiorno - con costi assolutamente insigni-ficanti per i padroni, e di nessun interesseper i lavoratori i quali si ritroverebberoore di permessi spezzate e sparpagliatenella settimana senza più alcun effettobenefico a livello individuale sia sul pia-no del recupero in modo proficuo delleenergie sia sul piano delle faccende per-sonali che possono essere sbrigate solodurante il giorno.

L’ unica riduzione aggiuntiva sem-bra essere quella della mezz’ ora pernotte concessa ai lavoratori turnisti. Maanche in questo caso quella mezz’ ora èdel tutto insufficiente rispetto ad un la-voro usurante che normalmente richiedeun enorme dispendio di energie e lo scon-volgimento dei ritmi biologici umani. E’una ulteriore conferma dell’ accettazionesupina da parte del bonzumesindacaltricolore del modello di organiz-zazione della produzione a ciclo continuo,nella quale il padrone risparmia notevoliquantità di capitali sui costi fissi degliimpianti per un loro utilizzo più redditiziosenza dover ingrossare la pianta organi-ca o aumentare il volume degli impianti.

Ma la vera trovata, il vero colpo digenio del collaborazionismo sindacale, varicercato nella istituzione della “Bancaore”. In pratica, all’ operaio hanno toltola possibilità di gestire individualmente104 ore di permessi all’ anno, e delle 4settimane di ferie che gli spettano 3 sonopraticamente obbligatorie coincidendocon la chiusura estiva dell’azienda. Lagestione individuale di ore a disposizionesi riduce perciò a una settimana all’ anno;il peggioramento rispetto al periodo pre-cedente è evidente. Tanto più che l’utilizzo delle ore a disposizione dell’ ope-raio non è libero: egli deve comunicareall’ azienda, con 10 giorni di anticipo, quan-do utilizzerà una parte di quelle ore, ecomunque è obbligato a prospettare unprogramma di utilizzo delle ore a disposi-zione per un periodo di tre mesi - come seognuno sapesse che maledetto accidenteburocratico o familiare gli può capitare daqui a tre mesi!

Sul fronte degli straordinari, nel-la piattaforma viene ribadita la quota di200 ore individuali come tetto annuo. Allafaccia della lotta contro gli straordinari eper l’ occupazione! Ma, mentre si ribadi-sce la quota annua contrattuale di orestraordinarie, si monta il meccanismo del-la flessibilità nell’ orario di lavoro e della“Banca ore” in modo da illudere i prole-tari di poter accumulare ore proprie dapoter utilizzare in seguito a propriopiacimento: non sarà mai a propriopiacimento!, ma sarà sempre da “concor-dare” con l’ azienda, il che significa cheprima vengono le esigenze dell’ azienda epoi quelle dei lavoratori. Esigenzeaziendali per le quali pensano i galoppinie i capi dell’azienda - e magari anche isindacalisti tricolore - a fare la pressioneaffinché gli operai facciano dipendere daquelle le proprie.

Se però un lavoratore o una lavo-ratrice ha seri problemi familiari che nongli consentono di lavorare tutto il giorno,ma ha bisogno di lavorare sennò non so-pravvive, ecco la “soluzione” magica: illavoro part-time. A parte il fatto che ilsalario corrispondente al lavoro part-time,è poco più della metà di un salario dafame; sta di fatto che i padroni hannosempre ostacolato l’ estensione di que-sta forma di lavoro perché la parte di onericontributivi che hanno in carico costatroppo rispetto allo sfruttamento che essiriescono ad attuare sulla sola mezza gior-nata.

Insomma, come è ormai di rito, ilcollaborazionismo sindacale ha dimostra-to per l’ ennesima volta che in cima aisuoi pensieri stanno le esigenze dell’azienda, dell’ economia aziendale e, logi-camente, dell’ economia nazionale. Dalungo tempo padroni, governo, consu-lenti ed esperti aziendali, economisti,sindacalisti, parlano della necessità di in-trodurre nella produzione e nel lavoro in

generale Sua Maestà la Flessibilità: fles-sibilità salariale, flessibilità nell’ orario dilavoro, flessibilità nelle mansioni, flessi-bilità nei licenziamenti, flessibilità nell’usodi forza lavoro a tempo, a seconda deglialti e bassi del mercato e degli effetti dellaconcorrenza sulle aziende. Nelle assem-blee i bonzi sindacali hanno continuato aribadire che il termine “flessibilità” nonl’hanno introdotto nella piattaforma con-trattuale, ma è molto caro al padronato.Nella realtà, l’accettazione del principioprioritario delle esigenze di mercato e,quindi, dell’ azienda, porta dritto dritto asostenere la necessità della flessibilitàcome la vogliono i padroni, che vuol direpiegare la forza lavoro in termini di in-tensità della fatica lavorativa sia nervosache muscolare, e di durata di questa stes-sa fatica, alle esclusive esigenzeaziendali. E le proposte contrattuali delsindacalismo collaborazionista sono tut-te intonate alla flessibilità, anche se nonla nominano mai (il che fa parte della soli-ta demagogia).

Legati alla flessibilità, d’altra par-te, sono tutti quei meccanismi checonsentono ai capitalisti di utilizzare laforza lavoro operaia nel modo più similead una qualsiasi merce: deve essere mol-to conveniente dal punto di vista prezzo,e quindi è meglio trovarla sul mercato dellavoro in quantità superiori al reale“fabbisogno” (leggi: disoccupazione con-genita col capitalismo, esercito industrialedi riserva); deve essere sufficientementevaria e diversificata, dal punto di vistascolastico, della formazione professiona-le, dell’ età, del sesso, dell’ esperienzalavorativa, da poter esaudire ogni tipo diesigenza aziendale; deve essere fonda-mentalmente “a disposizione”, in ognisenso, quando i cicli produttivi ne richie-dono massicciamente l’ utilizzo o nerichiedono la drastica riduzione; e deveessere in grado di assorbire rapidamente,in quantità e qualità, ritmi di lavoro inu-mani in particolare quando il famosissimomercato “tira” e il capitalista intende ap-profittarne per aggiudicarsi quantità diprofitto maggiori. Per i capitalisti gli ope-rai non sono uomini, ma macchine cheproducono profitti, macchine che convie-ne quindi sfruttare il più possibile quandoancora non “perdono colpi”, e che vanno“riciclate” o “rottamate” quando non pre-sentano più il meglio della loro efficienza.

Ma la forza lavoro, diceva Marx, èuna merce un po’ particolare, per duemotivi di fondo: uno, perché il suo impie-go nell’azienda capitalistica produce unpluslavoro (una quota di lavoro non pa-gato all’ operaio), e quindi un plusvalore,di cui si appropria in esclusiva il capitali-sta stesso attraverso la assoluta proprietàdel prodotto del lavoro degli operai; due,perché la forza lavoro non è una macchi-na, anche se i capitalisti fanno ogni sforzoper renderla tale, per cui ha la possibilitàdi resistere alla pressione dei capitalisti,di reagire se viene compressa oltre illimite di sopportazione, di organizzarsiper difendersi in maniera più efficace dal-la pressione dei capitalisti e della lorosocietà borghese. Il sindacalismo tricolo-re, il collaborazionismo con la classe deicapitalisti, è una delle più efficaci rispo-ste che i borghesi hanno storicamentetrovato nei confronti di quella forza diresistenza e di reazione organizzata che iproletari hanno espresso in tutto il corsodel loro movimento di classe. E nel rinno-vo dei contratti di lavoro si trova ladimostrazione più evidente e cinica delruolo antioperaio che il collaborazionismosindacale svolge per conto della borghe-sia capitalistica.

La rivendicazione classista, che ri-guarda l’orario di lavoro, viaggianaturalmente su un binario completamen-te diverso: la difesa classista dellecondizioni di vita e di lavoro degli operai- la difesa svolta con mezzi e metodi dilotta di classe, quindi non negoziabili coni padroni e tanto meno dipendenti dallasalvaguardia del benessere aziendale -vuole che la lotta operaia sia per ladrastica riduzione della giornata lavora-tiva, per la riduzione almeno a 5 ore algiorno per 5 giorni la settimana. Nonbasterebbe ancora per recuperare appienole energie che vengono spese nei cicliproduttivi, ma aumenterebbe la possibili-tà di recupero psicofisico degli operai emetterebbe a disposizione dei proletariore da dedicare a se stessi, alla famiglia,alla vita sociale, alla lotta e alla sua orga-nizzazione. Oggi questa rivendicazioneappare ancora come “impossibile” ancheperché i padroni non la accetterebberomai e scatenerebbero contro i proletaritutte le armi giuridiche, politiche, sociali,poliziesche a disposizione. La reazione

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IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '994

Metalmeccanici: il rinnovo contrattuale voluto dallaTriplice sindacale significa riduzione costante dei salari e

orario di lavoro adeguato alle sole esigenze padronali

dei capitalisti sarebbe perfettamente coe-rente con la difesa dei loro interessiprivati; ciò che manca - e la causa princi-pale la si deve trovare nell’ operapluridecennale delle forze dell’ opportu-nismo riformista e del collaborazionismotricolore di avvelenamento democratico epacifista del movimento proletario - è lareazione da parte dei proletari ai sistema-tici peggioramenti delle loro condizioni divita e di lavoro.

3) SCATTI DI ANZIANITA’

E’ il terzo punto anche nella piat-taforma sindacale, nella quale comunquericeve molto più spazio della voce dedi-cata al salario.

E’ questo l’ultimo automatismo cherimaneva da togliere dal contratto deimetalmeccanici; in pratica gli scatti dianzianità aumentavano automaticamenteil salario ogni 2 anni per un massimo di 5bienni, nella misura del 5% della pagabase di un proletario. Questo aveva unsenso in periodo di boom economico an-che per i padroni: allora la manodoperaspecializzata e con esperienza scarseg-giava, le aziende si “rubavano” gli operaile une con le altre, perciò questo incenti-vo serviva a far restare più a lungopossibile in fabbrica l’operaio con piùesperienza. Con il passare del tempo gliscatti di anzianità sono diventati una quo-ta consistente del salario perchéaumentava con l’ aumentare della pagabase, e soprattutto per gli operai più an-ziani. Per i padroni è d’altra parte un“costo” non contrattabile di volta in vol-ta in quanto si tratta di un aumento inpercentuale automatico: ed è proprio que-sta caratteristica - che alla pari di tantialtri “automatismi” ha costituito per qual-che decennio una specie di “garanzia”per i proletari sulla quale l’ opportunismoriformista ha edificato il suo successo diinfluenza e controllo della classe operaia- che prima o poi sarebbe andata di tra-verso ai padroni, sempre più spinti dallaconcorrenza a scavalcare quelle che han-no chiamato le “rigidità” dei contratti dilavoro per conquistarsi la flessibilità piùlarga possibile della manodopera. Anchela stabilità e la durata della stessa forzalavoro in azienda hanno subito per viadella concorrenza fra capitalisti dei colpimicidiali, sia a causa delle continue inno-vazioni tecnologiche importate nellaproduzione che a causa delleristrutturazioni delle aziende che normal-mente cacciavano dalle fabbriche quantitàconsiderevoli di proletari costretti a cer-carsi un altro posto di lavoro, magarimigrando in altre città e regioni, o all’estero. Oltretutto, da vent’anni a questaparte , con l’ aumentato grado di istruzio-ne del proletariato, con la crescentesemplificazione dei processi lavorativi, econ l’ aumento della massa dei disoccu-pati, non mancano certo le braccia anchespecializzate. Il padronato doveva abbat-tere questo ulteriore automatismo e, conl’aiuto del sindacalismo tricolore, ci è riu-scito!

Il collaborazionismo bonzesco hatrovato il modo per far ingoiare anchequesto rospo alla classe operaia. L’ obiet-tivo, in realtà, non è soltanto quello dibloccare gli scatti di anzianità come unadelle tante voci in busta paga, e come èstato fatto a suo tempo con la scala mobi-le: è quello di svuotare l’ istituto delloscatto di anzianità e il suo costo “fisso”. Igiovani che trovano lavoro oggi, e chetroveranno lavoro domani, lo trovano nellecondizioni di maggiore precarietà e incer-tezza; difficile che facciano in tempo amaturare in quell’ azienda l’anzianità ne-cessaria per avere gli aumenti provocatidagli scatti d’ anzianità. I lavoratori piùanziani, che hanno effettivamente matu-rato l’ anzianità necessaria per ottenerequegli scatti, rappresentano per i padroniun costo certo, considerato elevato ri-spetto al rendimento potenziale, che ipadroni intendono se non eliminare d’uncolpo, almeno attenuare considerevol-mente. Ecco quindi la grande pensata: ènecessario che i lavoratori fissi, più an-ziani, cedano questo privilegio, così i bonzisindacali potranno chiedere aumenti dipaga base generalizzati più alti e a benefi-cio di tutti (gli scatti di anzianità incidono

per il 15% sugli aumenti richiesti per tuttii lavoratori aventi diritto a questi scatti;bloccando l’ incidenza degli scatti dianzianità, il “costo” degli aumenti si di-stribuirebbe su tutti i lavoratori). Insostanza, secondo questa logica - chevede padroni e sindacalisti tricolore per-fettamente d’ accordo - non si fa chetogliere ai lavoratori più anziani per dareai più giovani e, da questo punto di vista,più svantaggiati. Come dire che l’ obietti-vo è quello di livellare gli operai allecondizioni peggiori e togliere un fastidio-so costo ai padroni.

4) SALUTE ED IGIENE DELLAVORO

E’ il punto 8 della piattaforma sin-dacale presentata da Fim, Fiom e Uilm.

Qui pare che ai lavoratori vengaconcesso qualche minuscolo vantaggiorispetto al contratto precedente. L’ ope-raio che si ammala o si infortuna fuori delposto di lavoro, può ora contare sul fattodi avere periodi più lunghi durante i qualigli viene comunque conservato il postodi lavoro con una maggiore copertura an-che dal punto di vista salariale. Ciò valeper tutti i lavoratori? No, ovviamente. Ri-guarda i lavoratori che sono sottoposti altrattamento di emodialisi, o affetti daneoplasia o cardiopatia, o sottoposti aterapie cosiddette salvavita, o affetti dalmorbo di Cooley (la forma più grave ditalassemia): dunque riguarda in praticacoloro che ormai hanno la vita segnata enon possono rappresentare un “costo”per l’ azienda per lungo tempo.

E la sicurezza sul posto di lavoro?Non è cosa interessante per i sin-

dacati collaborazionisti, se non per l’aspetto statistico del problema. La piatta-forma vi dedica 2 righe in cui “Si richiedel’ istituzione di un osservatorio nazio-nale che, con cadenza semestrale, eseguaun monitoraggio sull’ andamento dellacostituzione delle R.L.S. nelle aziende edei relativi programmi formativi, al finedi costituire una banca dati “ ! Insomma,alla Triplice sindacale interessa soltantoribadire il rispetto della Legge europea (la626), punto. Se poi gli infortuni cresconoinvece di diminuire, beh!, questo ce lodiranno le statistiche!

Cari operai, dovete essere onoratidel fatto che potrete finire, grazie alla gra-vi mancanze aziendali in termini diprevenzione degli infortuni e della nocivitàin fabbrica, in una precisa e ben fornita“banca dati” del sindacato. Naturalmen-te, come ogni banca dati, anche questasarà assolutamente parziale e poco veri-tiera, e registrerà solo gli infortuni chevengono denunciati, la loro gravità, il loronumero, i luoghi in cui avvengono conpiù frequenza, l’ età degli operai colpiti,quanti morti, quante invalidità e di qualegrado, e via con le statistiche. Ma nessu-na banca dati registra quanti infortuni nonavvengono solo per caso, per fortuitecoincidenze, e soprattutto non dà alcuncontributo all’ unico modo per combatte-re contro gli infortuni e la nocività: lalotta operaia diretta e solidale, che obbli-ghi i padroni a non risparmiare sullaprevenzione e sulla sicurezza dei postidi lavoro. Ci va di mezzo la vita degli ope-rai, che i bonzi sindacali si sono abituati adisprezzare come fanno i padroni. I minutidi silenzio, o il quarto d’ ora di sciopero,che i bonzi proclamano quando muore sullavoro un operaio, sono la rappresenta-zione del più bieco attaccamento agliinteressi del padrone: muore un operaio?,la macchina del profitto capitalistico nonsi deve fermare!

5) FORMAZIONEPROFESSIONALE

E’ il punto 5 della piattaforma sin-dacale, subito dopo le 7 righe dedicate alSalario.

“I profondi processi diriorganizzazione del sistema delle im-prese, la necessità di valorizzare laprofessionalità delle risorse umane perun loro miglioramento qualitativo, indi-spensabile anche allo stessorafforzamento della competitivitàaziendale, impongono una scelta con-

trattuale che porti la formazione profes-sionale e la formazione permanente adessere sempre più al centro dell’ impe-gno del Sindacato “, così recita lapiattaforma sindacale.

Le “risorse umane”, nella termino-logia padronale, naturalmente fattapropria dai bonzi sindacali, sono la forzalavoro - a parole nobilitata a “risorsa”,“ricchezza” - che molto materialmentedeve essere sfruttata nel modo più effica-ce, perciò resa produttiva al massimo.Ovviamente, se questa “risorsa” svilup-pa continuamente quei miglioramentiprofessionali che permettono all’ orga-nizzazione aziendale di sfruttarla al meglio,la cosa non può che incontrare la massi-ma convenienza da parte del padrone. Maquel che conta, per l’ azienda, è che talimiglioramenti professionali siano il menocostosi possibile. Perciò, benvenga la de-cisione del lavoratore, meglio se digiovane età, di seguire dei corsi di ag-giornamento e di formazioneprofessionale; ed è meglio se questo sfor-zo è pagato in ore dal lavoratore stesso -ad esempio, come suggerisce la stessapiattaforma sindacale, prelevandole daisuoi permessi o dalle ore accumulate nel-la famosa “banca ore” -. “Lapartecipazione a corsi di aggiornamen-to e formazione professionale “, si leggeal punto A delle richieste della piattafor-ma sindacale, costituisce “ titolo dipriorità nell’ utilizzo dei crediti dellabanca ore “.

Se tale formazione professionalerisulta indispensabile al rafforzamentodella competitività aziendale - come so-stiene la Triplice sindacale -, è del tuttoillusorio credere che tale “miglioramen-to” sia applicabile soprattutto allamanodopera di età elevata, tanto da evi-tarle i “dolorosi processi di espulsione “,come li definisce il testo della piattaformasindacale. I processi di espulsione conti-nuano a colpire soprattutto la manodoperadi età più elevata, anche se mascheratitalvolta coi prepensionamenti, e nessuncorso di aggiornamento professionale chepotrebbe far rientrare facilmente nel cicloproduttivo la forza lavoro anziana che èstata già cacciata via. Anche in questocaso la demagogia sindacale furoreggia.

Il tema centrale, comunque, è chele ore che i lavoratori hanno a loro dispo-sizione, per quanto poche siano in unanno - abbiamo visto che in totale nonsuperano la settimana -, vengano utilizza-te non per soddisfare esigenze prioritariee private dei lavoratori stessi, ma per leesigenze prioritarie dell’ azienda. Il sinda-cato che sottoscrive questo non può cheessere direttamente integrato in quel si-stema delle imprese di cui lo stesso testodella piattaforma parla. Se formazioneprofessionale è richiesta dall’ azienda,per sue esigenze di rafforzamento dellacompetitività sul mercato, ebbene sial’azienda a pagarne tutti i costi. In ognicaso il 99% dei benefici di quella forma-zione professionale e dei suoi eventualiaggiornamenti se li intasca l’ azienda at-traverso l’ accresciuta redditività dellavoro dei suoi dipendenti, dunque attra-verso l’ aumentata intensità dellosfruttamento dei lavoratori salariati.

6) PREVIDENZACOMPLEMENTARE

E’ il punto 6 della piattaforma. L’obiettivo che si pone la Triplice sindacaleè ormai chiaro a tutti: organizzarsi permettere le mani sulla fetta più grande pos-sibile del denaro che sarà “a disposizione”non dei lavoratori ma di quei “gestori” diFondi pensione che andranno a sostituir-si, in parte o in toto, allo Stato e all’ INPS.Il gioco è questo: ogni lavoratore vienespinto e convinto a decidere che una per-centuale importante (la Triplice chiede chesi passi dall’ attuale 18 al 40%) della suafutura liquidazione per fine rapporto dilavoro sia destinata ad un Fondo. Unodei modi per convincerlo è stato, da unlato, il taglio delle pensioni e, dall’ altro,la disponibilità della massa di “salario dif-ferito” - ossia delle quote di liquidazioneche maturano di anno in anno - per unasua gestione diversa o alternativa a quel-la finora attuata direttamente dalle aziende.

In questo caso la Triplice sindaca-le ha tirato fuori le unghie: gestire denarosignifica guadagnare sulla gestione e

sulle operazioni finanziarie che masseimportanti di capitali possono permet-tere; insomma, un po’ come le banche. Siè detto ai padroni: giù le mani da queldenaro, o almeno da una sua percentualesignificativa, che non è vostro ma deilavoratori; i rappresentanti dei lavoratorisiamo noi, sindacati tricolore, che ne rac-cogliamo la fiducia e le quote di iscrizione:perciò abbiamo anche noi il diritto demo-cratico di rivolgerci ai lavoratori e chiedereche aderiscano ad un Fondo gestito dalsindacato. Tutto ciò riguarda, d’ altra par-te, i lavoratori più anziani, mentre per igiovani assunti è già automatico che il100% della liquidazione finisca nella retedei gestori di questi Fondi pensione. Ilsindacato tricolore diventa sempre piùuna impresa finanziaria, dato che nonproduce merci da vendere al mercato, manegozia e gestisce denaro altrui. In cam-bio non offre alcuna garanzia che non siaquella che vige nel sistema bancario, nelquale giustamente i lavoratori salariati ve-dono solo un enorme parassita che vivedi speculazione e che voracemente in-ghiotte percentuali, royalties, “dirittifissi”, interessi.

E la chiamano “previdenza” ! Quisi tratta, in buona sostanza, di uno deitanti ricatti che la società capitalisticasforna continuamente nei confronti delproletariato: o devolvi la percentuale chedecidiamo noi della tua futura liquidazio-ne al Fondo pensione che ti proponiamo,o metti a rischio non solo la tua futuraliquidazione ma la stessa tua futura pen-sione. Tutto è costruito in modo tale cheil lavoratore salariato non abbia alcunapossibilità di “gestire” i suoi soldi - an-che quelli che in futuro eventualmenteprenderà - secondo le sue esigenze imme-diate o non immediate, ma in modo che ilnugolo sempre più numeroso di sangui-sughe e di parassiti possa svolgere il suoruolo fondamentalmente: quello di sfibra-re, fisicamente e psicologicamente, iproletari considerati sempre più delle mac-chine da profitto e basta.

La liquidazione e la pensione han-no rappresentato per decenni una speciedi “garanzia” per la vecchiaia, per nonpesare completamente sui giovani figli esulle loro famiglie, che i proletari si sonoabituati ad avere alla fine della loro vitalavorativa grazie alle trattenute mensilisul loro salario. Da anni, pur continuandoil sistema delle trattenute mensili sul sala-rio di ognuno, quelle “garanzie” non sonopiù tali; le “spese di gestione” di tuttoquel denaro hanno mandato quasi al falli-mento l’INPS, gli sprechi non si contano,e i proletari si ritrovano con un gruzzolopiù che dimezzato, pur avendolo conti-nuato ad alimentare con quote consistentidel proprio salario!

E allora i sindacati, responsabilidegli sprechi e del mezzo fallimento del-l’INPS, se ne sono inventata un’altra:tagliamo almeno in parte il controlloche i padroni hanno sul denaro delleliquidazioni, o meglio dividiamoci coipadroni il controllo di quel denaro.

In questa grande e interessata col-laborazione fra sindacati tricolore epadronato si possono leggere molte cose,come ad esempio:

- la riduzione quasi a zero delleiniziative di sciopero per il rinnovo deicontratti,

- l’opera di convincimento dei pro-letari a foraggiare coi propri soldi i Fondipensione istituiti dai sindacati e dalle ban-che, dalle assicurazioni (insomma daipadroni),

- l’ aumento della pressione socia-le sul futuro prossimo e non solo sul futurolontano delle generazioni proletarie piùanziane, che vengono spinte non soltan-to a togliersi di mezzo il più velocementepossibile, ma a farlo sottoscrivendo po-lizze assicurative per “garantirsi” unavecchiaia che è messa sempre più in di-scussione da questa stessa società chedisprezza la vita, soprattutto proletaria,come nessun’altra cosa al mondo

- l’ aumento della pressione socia-le sulle generazioni proletarie più giovaniche vengono educate a sopportare il pesodi molti e diversi parassiti che vivonoesclusivamente sulle loro spalle.

Per i proletari il vero problema nonè quello di “scegliere” il Fondo più de-gno di fiducia al quale affidare quoteconsistenti di salario, ma è quello di porsicome obiettivo, comune a tutti i proletariin quanto lavoratori salariati, quello diavere un salario sufficiente per vivere,che si abbia o no un lavoro, che si siaraggiunta e superata l’età lavorativa, chesi abbiano o no figli o parenti. E per so-stenere un obiettivo come questo non c’èche la strada della lotta aperta e direttacontro tutte le forze sociali - istituzionali,padronali, collaborazioniste - che sonointeressate esclusivamente al perdurare

del sistema di sfruttamento salariale delproletariato, perché da questo sistema, esolo da questo, esse traggono, alla paridelle sanguisughe, alimento ed energievitali. Questa lotta non potrà mai esserefatta e diretta dalle attuali organizzazionisindacali, siano esse confederali o auto-nome. E’ necessario che rinascano leassociazioni classiste degli operai, quel-le organizzazioni che hanno per unicoscopo la esclusiva difesa degli interessiimmediati proletari, aldilà e contro le millecompatibilità, le mille flessibilità e conci-liazioni che il sindacalismocollaborazionista ha inoculato per decen-ni nel movimento operaio.

7) DIRITTI

E’ il primo punto della piattaformasindacale, ovviamente. Ciò che ne risultaevidente, e che non è in verità nuovo, è l’obiettivo da parte della Triplice di assicu-rarsi ulteriori strumenti di informazioneaziendale (sulle assunzioni, sugli appalti,sui progetti di diversificazione, ecc.) gra-zie ai quali svolgere al meglio il ruolo dinegoziatore tra le parti: tra l’azienda e ilavoratori; ma grazie ai quali essere quin-di nelle condizioni di far passare tra iproletari le esigenze aziendali come esi-genze primarie e da condividere.

Un tempo le assunzioni, ad esem-pio, potevano esser classificate in pochevoci distinte: a tempo indeterminato, atempo determinato, a giornata, ecc.

Oggi, nello sforzo di adeguare in“tempo reale” le proprie “risorse”, anchein termini di forza lavoro, alle esigenze dimercato - il che vuol dire semplicementealla necessità di rispondere prontamentealla concorrenza sempre più veloce eagguerrita -, e nell’ intento di rendere lamobilità della forza lavoro più adattabilealle più contraddittorie esigenze aziendaliche si possono presentare, i capitalistiavevano bisogno di poter accedere al mer-cato della forza lavoro con meno vincolipossibile, sia dal punto di vista legislati-vo e normativo, sia dal punto di vistasalariale. I colpi inferti in questi ultimiventicinque anni alle cosiddette “rigidi-tà” e ai famosi automatismi andavanoesattamente in questa direzione. Ma nonbastava. Governo, Sindacati e Padronatosi sono più volte incontrati e hanno in-ventato una serie interminabile di “lavori”diversi (e così diversi da dover esseregestiti con regole diverse, o senza tropperegole, che è poi la cosa alla quale miranotutti i padroni, grandi e piccoli).

Lavoro interinale (lavoratori dati inaffitto per brevi periodi alle aziende che nonintendono assumere nuovo personale),contratti a termine, part-time, lavoro in ap-palto e in subappalto, contratti week-end;lavoro flessibile a turno, a ciclo continuo, aore, subordinato, parasubordinato;telelavoro, lavoro in proprio, lavoro auto-nomo; apprendistato, contratti diformazione, lavori socialmente utili, lavoridi pubblica utilità, ecc., senza dimenticare illavoro nero in una economia detta som-mersa che in Italia da anni rappresenta unaquota di ricchezza indispensabile. Certochetutte queste diverse classificazioni di lavorihanno bisogno di essere gestite da partedei padroni con grande attenzione affinchéi lorovantaggi in termini di risparmio costi ealta redditività non si disperdano nei mean-dri burocratici. Dunque? Eccobell’ eprontoil servo fedele, il collaborazionismo sinda-cale, chedi mestierenonfapiù da tantissimotempo l’organizzatoredell’ antagonismo diclasse, ma il gestoredei problemi legati allapiù redditiziautilizzazionedella manodope-ra per conto delle aziende. Ci pensano ibonzi della Triplice,chesonooltretutto tantoesperti in demagogia e ricatti occupazionalida far passare l’ intensità maggiorata dellosfruttamento del lavoro salariato come un“miglioramento professionale” di ogni ope-raio, come un beneficio a vantaggio delladisoccupazione giovanile. E che cosa van-no a dire i bonzi sindacali agli operai?: se leaziende ci garantiscono i “diritti di informa-zione” e di “conoscenza” dei loro progetti,voi proletari diventerete più forti perchéattraverso di noi saprete come stanno lecose e i padroni non vi potranno più ingan-nare. Peccato checollaborare con il padronesignifica sempre, nei fatti, e non da oggi,stare dalla parte del padrone. I “diritti” tan-to reclamati vanno regolarmente delusi.

Gli unici diritti che la classe ope-raia riesce a far rispettare ai padronisono quelli sostenuti dalla forza, dallaforza organizzata e capace di muoversiin lotta tutte le volte che i padroni e i lorosgherri colpiscono o tentano di colpire iproletari, su qualsiasi livello, normativo,contrattuale, aziendale, di reparto, sala-riale. Senza questa forza viva e inmovimento, la classe operaia perde di fattoogni diritto.

(da pag. 3)

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IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '99 5

I trotskisti hanno reso omaggioalla fondazione, ad opera di Trotsky,avvenuta 60 anni fa, alla vigilia dellaguerramondiale, della “Quarta Internazionale”.

Ognuna delle tendenze trotskistevi ha attinto degli argomenti a favore dellapropria ricetta per la costituzionedei partitie di una Internazionale, oltre che per lapropria attività. Anche se non si possonoimputare a Trotsky tutte le posizioni e leazioni dei trotskisti d’oggi, è innegabileche vi sia una sua responsabilità nelprocesso di degenerazione che ha portatoi suoi discepoli a cessare di esserecomunisti rivoluzionari e a trasformarsi intristi fiancheggiatori dell’ opportunismo.

All’ epoca, i militanti della nostracorrente (la Frazione di sinistra del Pciall’estero) non presero parte alla creazionedell’ Internazionale trotskista. Ledivergenze con Trotsky avevano portatoalla rottura, o piuttosto all’ esclusione -tutta “burocratica” potremmo dire! - deinostri compagni dalle file dell’Opposizione di Sinistra internazionale(raggruppamento sotto l’egida di Trotskydegli oppositori di sinistra allastalinizzazionedel movimentocomunista);esclusione che valse come premessa allosvolgimento della Conferenzainternazionale all’ inizio del 1933 e alriavvicinamento con dei gruppi centristi o

Aproposito della fondazione della IVInternazionale

SENZA PROGRAMMA RIVOLUZIONARIO,NON CI SARA’ MAI

PARTITO RIVOLUZIONARIO

socialdemocratici (1).Condannando vigorosamente il

tentativo di Trotsky di gettare le basi di unaIVInternazionaleconsiffatti partiti, i nostricompagni lanciavano nel 1933 questosevero avvertimento, che la storia ha poiconfermato:

“E’ certo che il compagnoTrotsky saprà preservare se stesso dallecomplicazioni politiche alle qualicondurrà un lavoro di collaborazionecon le sinistre socialiste per la fondazionedi nuovi partiti. Ma non si tratta qui dellapersona del compagno Trotsky, si trattadegli interessi del movimento comunista(...). A questo proposito le sole regole d’azione valide sono quelle che siricollegano agli insegnamenti delmarxismo (...). La Quarta Internazionale,i nuovi partiti, si preparano in tutt’altraatmosfera politica: là dove ci si accaniscea comprendere il passato che abbiamoappena vissuto senza far ricorso allemanovre che permettono successieffimeri”. L’ iniziativa di Trotsky fa partedi “esperienze premature” e di “avventureche non realizzeranno le nuoveorganizzazioni, ma loro caricature e chefaranno indietreggiare e non avanzarela lotta del proletariato per larivoluzione, per il rovesciamento delcapitalismo nel mondo intero” (2).

Sia ben chiaro che l’ “errore”fondamentale di Trotsky non è stato di avermesso al centro delle sue preoccupazioniedella suaattività lanecessitàdi ricostituireil partito rivoluzionario internazionale, nèdi aver voluto “proclamare” in modovolontaristico e artificiale una nuovaInternazionale, in una situazioneoggettivamente sfavorevole. Questi errorisono la conseguenza di un errore ben piùgrave e che concerne l’analisi del periodostorico.L’analisiesplicitamentesviluppatanel Programma della sua Internazionale(“Programma di transizione”) è quella diuna situazione apocalittica in cui le forzeproduttive hanno definitivamente cessatodi crescere e in cui il capitalismo minacciadi distruggere “l’ intera civiltà umana”.Per Trotsky ci trovavamo proprio nellacrisi finale del capitalismo e non esistevaaltra via d’uscita che la rivoluzionemondiale in tempi brevi. Oppure, se ilproletariato avesse fallito questa missionestorica, la sua trasformazione, alla finedella guerra mondiale, in una massa dischiavi, la comparsa di una nuova societàoppressiva, e la necessità per i rivoluzionaridi buttare da parte il marxismo e dielaborare una nuova teoria e un nuovoprogramma!

Il capitalismo, avendo raggiunto -secondo Trotsky - il massimo storico delsuo sviluppo, era incapace di soddisfare lerivendicazioni immediate del proletariato:quest’ ultimo diveniva perciòoggettivamente rivoluzionario in quanto lasoddisfazione delle sue necessitàcomportava il rovesciamento delcapitalismo. Il periodo - sempre secondoTrotsky - era permanentemente eoggettivamente rivoluzionario (3), gliuniciostacoli erano di carattere soggettivo: la

demoralizzazione delle masse, causata dauna serie continua di sconfitte dovuteall’errata politica dei partiti comunisti, e laloro persistente fiducia - malgrado tutto -verso i partiti operai tradizionali. Trotskysintetizzava in modo incisivo questa analisiche era al centro della sua azione, non soloquando fondò la sua Quarta Internazionale,ma anche durante gli anni precedenti: “lacrisi storica dell’ umanità si riduce allacrisi della direzione rivoluzionaria” (4).

Questa concezione si rifiutava divedere la potenza delle determinazionimateriali che erano alla base della vittoriadella controrivoluzione. Questaconcezione si rifiutava di vedere laprofondità di questa controrivoluzione.

Secondo tale concezione, invece,erano sufficienti una buona tattica, dellemanovre audaci, un attivismo nonimbrigliato per ribaltare il corso dellasituazione, essere riconosciuti dalla classeoperaia come la vera direzionerivoluzionaria invece e al posto degliusurpatori staliniani, e assicurare la vittoriarivoluzionaria.Datochei tempi incalzavanoe la classe operaia tardava ad aprire gliocchi, Trotsky ordinò ai suoi seguaci le piùbrusche e repentine svolte tattiche, lemanovre più criticabili, scaricando ognivolta una parte di loro, educandonecontemporaneamente un’altra categorianell’ idea che la ricerca con qualunquemezzo del successo immediato fosse piùimportante della fedeltà ai principi e alprogramma comunisti. Basti pensare allatattica dell’ “entrismo”, cioè all’ adesioneai partiti socialisti, decisa per accrescererapidamente le fila dei gruppi trotskistimediante l’ infiltrazione in queste vecchieorganizzazioni opportuniste marce fino almidollo.

LA CHINA FATALE DELL’ ADATTAMENTOALLE ILLUSIONI DELLE MASSE

La disperata volontà di trovare adogni costo scorciatoie o espedienti tatticiha portato questo grande rivoluzionario adadottareposizionidi rotturacon leposizionimarxiste corrette. Ne daremo solo unesempio, ma molto importante: l’ attitudinedi fronte alla guerra mondiale.

I rivoluzionari marxisti adottanola posizionedefinita da Lenin“disfattismorivoluzionario”, e che si caratterizza colprincipio secondo cui “ il nemicoprincipale è nel nostro paese” (cioè la“nostra” borghesia e il suo Stato).Conformemente con questa posizione, nelmaggio del 1940, Trotsky scriveva in un“Manifesto della IV Internazionale sulla

guerra imperialista e la rivoluzionemondiale” queste parole: “Un socialistache si pronuncia oggi per la difesa della‘patria’ gioca lo stesso ruolo reazionariodei contadini della Vandea che siprecipitarono a difendere il regimefeudale, cioè le loro catene (...) Gli operaicoscienti (...) non difendono la patriaborghese ma gli interessi dei lavoratorie degli oppressi del loro proprio paese edel mondo intero”. Egli rifiutava l’argomento secondo il quale bisognavaaiutare le democrazie nella guerracontro Hitler: “La parola d’ ordine diguerra per la democrazia contro ilfascismo non è meno menzognera (...) La

vittoria degli imperialisti di GranBretagna e di Francia non sarebbe menoterribile per la sorte dell’ umanità chequella di Mussolini e Hitler. Lademocrazia borghese non può esseresalvata (...) Il compito che pone la storianon è quello di sostenere una parte delsistema imperialista contro un’ altra, madi finirla con il sistema nel suo insieme”(5).

Qualche settimana più tardi, però,per facilitare la propaganda dei suoi adeptinegli Stati Uniti, egli metteva da parte lesue belle parole:

“Noi ci disponiamo a fianco diquesto 70% di operai” (che eranofavorevoli al servizio militare secondo unsondaggio, NdR). “Voi lavoratori, voletedifendere la democrazia. Noi vogliamoandare più lontano. Pertanto noi siamopronti a difendere la democrazia con voia condizione che sia una vera difesa, enon un tradimento alla Pétain”. E ancora:“Noi non posiamo sfuggire allamilitarizzazione, ma dentro l’ apparatopossiamo applicare una linea di classe.Gli operai americani non vogliono esseresottomessi a Hitler e a coloro che dicono‘Dobbiamo avere un programma di pace’,l’operaio risponderà: ‘ma Hitler non haun programma di pace’. Per questo noidiciamo: ‘Difenderemo gli Stati Uniticon un esercito operaio, con ufficialioperai, con un governo operaio, ecc.’ (...)Inoltre, i nostri compagni devono esserei migliori soldati e i migliori ufficiali enello stesso tempo i migliori militanti diclasse” (sic!, NdR). “Dobbiamo faremoltaattenzione a non confonderci con glisciovinisti (...), ma dobbiamo capire glistati d’animo delle masse e adattarcicriticamente a questi sentimenti, epreparare le masse per una migliorecomprensione della situazione;altrimenti rimarremo una setta, e dellesette la variante pacifista è la piùmiserabile” (6).

Per non restare una setta,dimenticare dal giorno alla notte le proprieaffermazioni di fedeltà ai principi eadattarsi allo spirito dominante dellemasse: ecco la triste lezione che i trotskistihanno ben capito e applicato, e che hannomalauguratamente appreso dallo stessoTrotsky!

Trotsky fu senza dubbiopoliticamente vittima (prima di esserefisicamente assassinato) dellacontrorivoluzione contro la quale si battècon energia ammirevole ma con luciditàpiù che discutibile. Prigioniero del suopassato, erede dei dubbi metodi impiegatidall’ Internazionale nel tentativo diaccrescere la sua influenza,egli fu incapacedi apprezzare la portata storica, laprofondità e l’ estensione nel tempo dellacontrorivoluzione, e dunque dicomprendere che il partito di classeinternazionale non poteva rinascere a colpidi espedienti, ma che non avrebbe potutoricostituirsi che sulla base di un bilancioserio e approfondito dell’ attività dell’Internazionale Comunista e delle lotteproletarie.

Possiamo riassumere in qualchepunto distintivo fondamentale ilprogramma che Trotsky diede a quella chepensò essere la IV Internazionale: teoriadella crisi finale del capitalismo e dell’arresto definitivo della crescita delle forzeproduttive, caratterizzazione dell’ URSScome Stato operaio degenerato e difesa diquesto Stato, teoria della rivoluzionepermanente secondo la quale le rivoluzionidemocratiche borghesi non possono essererealizzate che dal proletariato e devonodunque trascrescere inevitabilmente inrivoluzioni socialiste; formulazione di uninsieme di parole d’ ordine “transitorie”ambigue che, da sole, sarebbero in grado diportare ad una necessaria fase intermediaprecedente la presa del potere: la fase del“doppio potere”; rivendicazionidemocratiche (cioè, secondo il marxismo,comuni a più classi) valide anche negliStati capitalisti sviluppati e anche nelloStato detto “operaio” (l’Unione sovietica)!

Non svolgeremo, qui, la criticadettagliata di tutti questi punti. In diversilavori di partito ciò è stato fatto. Ci basti,ora, constatare che essi hanno costituito labase di tutta l’evoluzione ulteriore deimovimenti trotskisti verso l’adattamento

non solo alle idee o agli “stati d’animo”, maa forze sociali e politiche ben precise: l’opportunismo politico e sindacale, questoagente della borghesia in seno alla classeoperaia; l’ imperialismo sovietico e deisuoi partigiani nei paesi occidentali; imovimenti democratici, e non semprerivoluzionari borghesi, nei paesi coloniali,ecc. In una parola, alla propria liquidazionein quanto movimento comunista. SeTrotsky, grazie alla sua formidabileesperienza rivoluzionaria, ha potuto“preservare se stesso” - come dicevano inostri compagnidella “Frazioneall’estero”- detto in altre parole, se egli ha semprerespinto le conseguenze delle manovre checonducevano logicamente a rompere conil comunismo rivoluzionario, non potevaessere la stessa cosa per i suoi discepoli da

quando lui non era più presente, ogni volta,a raddrizzare inextremis labarra.Lapretesa“Quarta Internazionale”, fondata su falsebasi marxiste, non poteva conoscere altrafine che quella che ha conosciuto.

La vera, Quarta Internazionale didomani, il futuro partito comunistamondiale, non sarà una filiazione, nè potràriprendere nulla della IV Internazionaletrotskista; come non potrà riprendere nulladell’ Internazionale fondata dall’ultrasinistra tedesca all’ inizio degli anniVenti. Il futuro partito comunista mondialedovrà, al contrario, integrare nel suoprogramma tanto il bilancio critico dell’Internazionale Comunista e della suadegenerazione,quantoquellodellereazioniinsufficienti e confuse a questadegenerazione.

GLI ERRORI TEORICI DELL’ INTERNAZIONALE TROTSKISTA

(1) Nel maggio 1932, Trotsky fissa unaserie di criteri per la partecipazione allaConferenza Internazionale dell’Opposizione di sinistra che escludono difatto la “Frazione di sinistra all’ esterodel PCI “. Nel dicembre 1932, aCopenhagen, al momento dellapreparazione di questa Conferenza, Sedov,il figlio di Trotsky, può affermare:“Formalmente, i bordighisti non sonostati esclusi. In effetti, essi non sono maistati una sezione (dell’ Opposizione,NdR), nè politicamente, nèorganizzativamente “: il gioco è fatto!

(2) Cfr. “Vers l’ Internationale deuxet trois-quart? “. Comissione Esecutivadella frazione di Sinistra del PartitoComunista Italiano, in “Bilan” n.1(novembre 1933), ripubblicato su“Invariance”, maggio 1996.

“L’ Internazionale due e mezzo” era ilnomignolo dato al tentativo dopo la guerradi raggruppamento internazionale deipartiti centristi (rivoluzionari a parole,controrivoluzionari nei fatti) per darescacco alla Terza Internazionale. I partiticoi quali Trotsky faceva il suo tentativoerano autentici partiti centristi, che Trotskycriticherà ferocemente ma dopo che il suo

tentativo fallì...(3) “Le premesse economiche della

rivoluzione proletaria hanno giàraggiunto da tempo il punto più altoraggiungibile in regime capitalista. Leforze produttive dell’ umanità noncrescono più”. Cfr. “Il programma ditransizione”, cap. 1 (Le premesseoggettive della rivoluzione socialista),Edizioni Bandiera Rossa, 1972.

(4) Ibidem.(5) Cfr. “Manifeste de la IVe

Internationale sur la guerre impérialisteet la révolution prolétarienne mondiale”(23 maggio 1940), in Leone Trotsky,Oeuvres, vol. 24, pp. 36, 38 e 44.

(6) Vedi “Réponses à des questionsconcernant les Etats-Unis” (7 agosto1940), Leone Trotsky, Oeuvres, pp. 283-284. La traduzione italiana la si può trovarein Lev Trotsky, Guerra e rivoluzione,Oscar Mondadori 1973; l’ articolo èintitolato “Alcune domande su problemiamericani” (7 agosto 1940), mastranamente vi sono saltate le frasi cheappaiono invece nell’edizione francese eche si riferiscono alla difesa dellademocrazia. Livio Mitan, che ne è stato iltraduttore e curatore, non spiega il perché.

PUBBLICAZIONI DI PARTITO

Reprint“il comunista”

- Marxismo e scienza borghese L. 6.000

- La lotta di classe dei popoli non bianchi L. 6.000

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- Trotsky: Insegnamenti dell’Ottobre. Insegnamenti della Comune. L. 10.000

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- Abaco dell’economia marxista L. 6.000

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- La teoria marxista della moneta L. 6.000

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- P.C. d’Italia, sezione dell’Internazionale comunista: Relazione del Comitato

Centrale al 2° Congresso Nazionale, Roma 20-24 marzo 1922 L. 10.000

- Auschwitz, o il grande alibi (in preparaz.)

- 1989-1991.Lo sfascio dell’Urss e la democratizzazione dell’Europa dell’Est:

nuova spartizione imperialista nella guerra di concorrenza mondiale

(in preparaz.)

- Socialismo proletario contro socialismo piccolo-borghese (in preparaz.)

- La riconquista del patrimonio teorico e politico della Sinistra comunista

in relazione alle crisi di partito (in preparaz.)

Quadernidel“programmacomunista”

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dell’opportunismo - Armamenti, un settore che non è mai in crisi -

La Russia si apre alla crisi mondiale (1977) L. 8.000

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4. La crisi del 1926 nel partito e nell’Internazionale (1980) L. 10.000

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IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '996

In una riunione pubblica su ciòche distingue la Sinistra comunista da tuttele altre correnti politiche, tenuta nelloscorso novembre a Napoli, abbiamo avutomodo di discutere con un seguace di“Battaglia comunista” delle posizioni checi distinguono da questo raggruppamentopolitico. Abbiamo ricordato in piùoccasioni che le posizioni che cidifferenzianononsono soltantodi carattere“tattico” - fare o no del lavoro all’ internodei sindacati tricolore, appoggiare o meno,in che fase storica e in che modo, imovimenti rivoluzionari borghesi nei paesiarretrati, ecc. -, ma sono soprattutto dicarattere teorico e quindi fondamentali.

Per cercare di spiegarci meglioabbiamo preso ad esempio quanto il“partito comunista internazionalista -battaglia comunista” va pubblicando daqualche tempo,nel suogiornale;vipubblicauna specie di: “ci distingue”, un elenco diposizioni, in forma evidentementepropagandistica, perciò “a slogan”, con cuisi caratterizza: 4 “Contro”, e 3 “Per”.

Andiamo allora a leggere questi“contro” e questi “per”.

Primo “Contro”.“Contro il modo di

produzione capitalistico, basatosullo sfruttamento del lavorosalariato, sull’ anarchia delmercato, la divisione in classi dellasocietà e generatore didisoccupazione, fame e guerre”.

Il modo di produzionecapitalistico è certamente la baseeconomica della società borghese, ed èimperniato su due fondamentali forzeeconomiche e sociali: il capitale e il lavorosalariato. Queste due forze economicheinteragiscono, si “influenzano”reciprocamente, e nel rapporto di forzaesistente fra di loro il capitale dominanella misura in cui detiene non solo ilpotere economico (proprietà dei mezzi diproduzione e appropriazione dellaproduzione stessa) ma anche quellopolitico e militare (lo Stato). Grazie aquesto potere e all’ applicazionesistematica della violenza economica,politica, poliziesca e militare, il capitalesfrutta costantemente il lavoro salariato,la forza lavoro proletaria - occupata edisoccupata - per estorcerne pluslavoro(tempo di lavoro non pagato), e quindiplusvalore. La società capitalistica è divisain classi antagoniste, classi chestoricamente hanno espresso ed esprimonointeressi, generali e immediati, fra di lorocontrastanti eallacui difesaciascuna classein modi diversi ha tentato e tenta diprovvedere.

Il mercato, ossia il luogo deputatoallo scambio delle merci - allatrasformazione capitalistica dei valorid’uso prodotti in valori di scambio - e allacircolazione del denaro, è essenziale perla sopravvivenza del sistema economicocapitalistico. Il modo di produzionecapitalistico, infatti, rappresenta lamassimapotenzialità e la massima estensione dellaproduzione di merci che le società divisein classi storicamente potevanoraggiungere; universalizzandosi, esso hauniversalizzato le condizioni materiali divita e di sopravvivenza di tutti i popoli dellaterra, sottomettendoli alla leggeeconomica del valore, dunque ai rapportidi produzione e sociali capitalistici;universalizzandosi, essoha trasformato neipaesi più industrializzati - determinantiper le condizioni economiche mondiali -la grande maggioranza dei contadini inmasse di proletari, di senza riserve, dimerce forza-lavoro , obbligati asopravvivere esclusivamente allecondizioni di salariati che possono venireoccupati o meno nella produzione, nelladistribuzione, nell’amministrazione; e neipaesi meno industrializzati è la grandemaggioranza della popolazione a subire glieffetti più negativi della contemporaneamancanza di sviluppo capitalistico e delladistruzione dell’ economia precedenteprovocata comunque dall’ intervento delcapitalismo e del mercato mondiale.

Il modo di produzionecapitalistico si fonda sull’ economiaaziendale, su unità produttive distinte leune dalle altre e fra di loro in concorrenzaalla spasmodica ricerca di accaparrarsi nel

“Battaglia comunista”: doppio misto di volontarismo eintellettualismo, di democratismo militante e partito “virtuale”

mercato quote sempre più cospicue diprofitto - che marxisticamente chiamiamoplusvalore, dato che il guadagno delcapitalista proviene dalle quote di tempodi lavoro non pagato agli operai, macondensato nei prodotti che vende sulmercato e dalla quale vendita ricavadirettamente il “guadagno”; se non vendenonguadagna, cioè nonriescea trasformareil valore potenziale contenuto nei prodotti-merci in capitale-denaro effettivo. Datoche ogni azienda capitalistica mira asoddisfare il suo specifico obiettivo diricavare il massimo di profitto dalla suaspecificaattività, aldilà della soddisfazioneo meno dei bisogni dell’ uomo e della suavita sociale attuale e futura, e certamentenon trattiene la propria sete di guadagnoper far guadagnare i concorrenti; e datocheogni aziendavasulmercatoesattamentecon questo scopo, è inevitabile perciò chenel mercato si produca sistematicamenteuna situazione non armonica, nonequilibrata, una situazione in cui ognunopensa per sè e calpesti all’ occorrenza gliinteressi degli altri: l’ anarchia del mercato,come ha detto Marx, è l’ altra faccia dellaproduzione capitalistica. Il modo diproduzione capitalistico non si basa sull’anarchia di mercato, ma sull’ economiaaziendale e sul mercato in quanto luogo incui vengono scambiati i valori, le merci, icapitali: l’anarchia del mercato è laconseguenza, non la causa, dell’ economiaaziendale per cui ogni azienda porta almercato i suoi prodotti per scambiarli condenaro, e cercherà di scambiarli tutti, alprezzo più alto possibile e nel più brevetempo possibile. Tutte le aziendeprocedono esattamente alla stessa maniera,fino a provocare - in situazione diabbondanza di “offerta” sul mercato dellostesso tipo di prodotti - una saturazione delmercato,oppure- insituazionedimancanzadi sufficienti quantità di prodotti sulmercato di cui esiste una forte “domanda”- una situazione di carestia, di vuoto.

Nella fase più avanzata dellosviluppo capitalistico, la fase dell’imperialismo, il capitalismo - pur avendoraggiunto un’ alta capacità tecnologica diproduzionedi massa diogni tipodi prodotto- si caratterizza per le crisi disovraproduzione, ossia per la straordinariaabbondanza di prodotti che restanoinvenduti, che il mercato non permette di“smaltire”, mentre cresce la quantità diproletari e di diseredati nel mondo chenon hanno nulla da mangiare o da vestireperchè non hanno un salario con cuicomprare da mangiare e da vestire. Da unlato aumenta - grazie alle continuerivoluzioni tecnologiche - la potenzialitàdi produzione, e la possibilità di drasticadimuzione della fatica lavorativa operaia,mentre dall’ altro aumenta il tasso disfruttamento della forza lavoroeffettivamente impiegata nella produzionee distribuzione dei prodotti-merci, e crescela massa di forza lavoro disoccupata,sottoccupata, emarginata oresa inservibile;da un lato aumenta la disponibilità diprodottidi ognigenere (esemprepiù spessodannosi e nocivi alla salute umana e dell’ambiente), mentre dall’ altro cresce lamiseria sempre più massificata e diffusa ingrande quantità fra tutte le popolazioni delmondo. Alla sovraproduzione di mercicorrisponde la sovraproduzione di forzalavoro salariata; alla necessità da parte deicapitalisti di vendere le merci prodottecorrisponde la necessità da parte deiproletari di vendere la propria caratteristicamerce, la forza lavorativa, e dunque lacaratteristica della saturazione del mercatoriguarda non soltanto i prodotti-merci o icapitali-merci, ma anche la forza lavoro-merce, i proletari ridotti a merce; e comemacchine-merci essi vengono in questasocietà trattati: se ne acquista la forzalavorativa al prezzo più basso possibile e lasi sfrutta con maggiore intensità possibileper ottenere nella stessa unità di tempo untasso di pluslavoro più alto dei concorrenti,perchè questa è la condizione nella quale ilcapitalista può guadagnare e aumentare isuoi guadagni. Equando la macchina-forzalavoro non è più sfruttabile come inprecedenza, quando cioè è logorata a causadel tempo e del modo di sfruttamento,allora il capitalista ha tutto l’interesse acambiarne l’ impiego o a cambiarla deltutto; se nel mercato delle braccia vi èabbondanza di forza lavoro da sfruttare -dunque se la disoccupazione è alta - ognicapitalista potrà “scegliere” quantità equalità di operai, di proletari, al prezzo più

basso, poichè la legge del mercato è taleper cui se l’ offerta è abbondante il prezzoa cui si può acquistare quella determinatamerce scende, si abbassa. Ragione per cuinel capitalismo la disoccupazione -l’esercito industriale di riserva di cuiparlava Marx - è non solo congenita, manecessaria dato che contribuisce a tenerebasso il livello generale dei salari operai.

Nel mercato in cui vengonoimmesse quantità di prodotti che icapitalisti non riescono a venderecompletamente se non abbattendo il prezzodi vendita molto al di sotto del costo diproduzione, si assiste spesso alladistruzione di una parte ancheconsiderevole di quei prodotti pur dimantenere il prezzodi vendita della restanteparte sufficientemente alto da potergarantire al capitalista il profitto cercato.Con la merce forza lavoro non succedeesattamente la stessa cosa, proprio perchèè una merce tutta particolare: è proprio lasua abbondanza - e quindi la crescenteconcorrenza fra proletari rispetto al postodi lavoro,essendoquesta l’unicacondizionenella quale è possibile ottenere un salariocon cui sopravvivere in questa società -che permette ai capitalisti di mantenerebassi i salari operai, dunque il loro “costodel lavoro”. Il capitalista guadagna soloalla condizionedi appropriarsi di una quotadi pluslavoro non pagato agli operai, eguadagna di più se riesce ad aumentarequella quota di pluslavoro non pagato.

Nella società capitalistica, nellasocietà in cui la classe dei capitalistidetiene il potere economico e politico bendifeso dallo Stato borghese, si combinanodue fattori: aumenta la pressione direttadel capitalisti sulla forza lavoro salariataper ottenere nella stessa unità di tempo unaquota relativa più alta di pluslavoro nonpagato, aumentando l’ intensità e i ritmi dilavoro ed eventualmente anche la duratagiornaliera di lavoro; aumenta la pressioneindiretta, sociale, sulla massa di proletarioccupati nella produzione attraverso lamassa di proletari disoccupati i quali, purdi ottenere un posto di lavoro da cui trarreun salario per sopravvivere, si piegano acondizioni di salario e di lavoro molto piùsvantaggiose di quelle dei proletari giàoccupati. La concorrenza fra proletari èutile esclusivamente ai capitalisti poichèda questa “guerra” per un posto di lavoroessi ne traggono direttamente un doppiobeneficio: assumono nuova forza lavoro asalario più basso (quindi costa loro meno)per mansioni che vengono fino a quelmomento pagate di più e, nello stessotempo, forzano gli altri proletari giàoccupati, col ricatto della produttività edel posto di lavoro, a rinunciare ad unaparte del loro salario per equipararli allivello salariale più basso. Le condizionipeggiori, in questo modo - e in assenza dilotta associata e di dura resistenza da partedegli operai, occupati e disoccupati -,vengono a costituire sistematicamente illivello di riferimento delle condizionisalariali e di lavoro di tutta la massa diforza lavoro salariata.

Tutti i modi di produzione dellesocietà divise in classi hanno generatodisoccupazione, fame e guerre; certo, indimensioni diverse, per cui si può asserireche il modo di produzione capitalistico è,fraquelli chehannocaratterizzato lediversesocietà classiste che si sono succedutenella storia, quello che ha più potenzialitàdistruttive anche se, nello stesso tempo, haavuto più potenzialità di progressotecnologico e scientifico.

I comunisti sono contro il mododi produzione capitalistico non tanto e nonsolo perchè genera disoccupazione, famee guerre; lo sono soprattutto perchè nonsoddisfa - e non soddisferà mai - i bisognimateriali e sociali della vita associata dellaspecie umana in quanto il modo diproduzionecapitalisticoha per unicoscopoquello di produrre e riprodurre capitale,accumulare e valorizzare - attraverso illavoro salariato, l’ estorsionedi plusvalore,l’ appropriazione privata della ricchezzasociale - capitale, schiacciando semprepiù i bisogni di vita degli uomini a favoredei bisogni del denaro, del capitale. Per ipropri scopi privati, i capitalisti non solosono disposti alla più accanita e violentaconcorrenza fra di loro - le guerrecommerciali e finanziarie - , e non solosono disposti ad usare la forza concentratadello Stato centrale per piegare ai propribisogni le masse proletarie occupate edisoccupate dalle quali spremere il

massimo possibile di plusvalore, mainevitabilmente si spingono fino alla guerraguerreggiata nella misura in cui la minacciadi tracollo dei profitti si generalizza. Guerraguerreggiata fra eserciti privati, masoprattutto guerra guerreggiata fra Stati.Allora la guerra guerreggiata con il suoportato di ciclopiche distruzioni di merci diogni tipo appare il “prezzo necessario dapagare” - in realtà da far pagare soprattuttoalle masse proletarie del mondo intero - perpoter ricominciare cicli produttivi con altitassi di profitto. Le due guerre mondiali e ilnumero impressionante di guerre locali chehanno caratterizzato soprattutto questo XXsecolo, e la sconfitta dei movimentirivoluzionari del proletariato e dellerivoluzioni proletarie, hanno dato alcapitalismo la possibilità finora disopravvivere a se stesso.

I comunisti puntano alla soluzionegenerale delle contraddizioni e degliantagonismi che si sviluppano nella societàcapitalistica - e che non si risolvono nei suoilimiti; puntano perciò alla rivoluzione chesola può strappare il comando, il potere, allaclasse borghese per avviare, distruggendoalla scala universale il modo di produzionecapitalistico sul quale la classe dominantepoggia il proprio dominio, il superamentodella società capitalistica trasformando labase economica della società - il modo diproduzione - da economia caratterizzata dairapporti di produzione fra capitale e lavorosalariato, in economia caratterizzata dairapporti di produzione comunistici, ossiasocialmente armonici e in grado disoddisfare i bisogni materiali attuali e futuridell’ intera specie umana.

Ma i comunisti sanno che perraggiungere da parte del proletariato - che èla sola classe moderna in grado, per le suecondizioni materiali e storiche nei rapportidi produzione esistenti, di rivoluzionare dacima a fondo l’intera società - lo stadio dimaturazione della lotta di classe necessarioper dare “l’ assalto al cielo”, i proletaristessi dovranno lottare per lungo tempo sulterreno della difesa delle condizionimateriali immediate di vita e di lavoro, ilterreno cioè nel quale è possibile per iproletari unire effettivamente le loro forzesu di un fronte comune aldilà dei pregiudizi,delle illusioni, delle abitudini, delle ideeche individualmente si portano in testa.Perciò i comunisti non svalutano la lottacontro ogni tipo di vessazione, dioppressione, di sopruso che i proletarisubiscono inevitabilmente da parte deicapitalisti e del loro Stato, e tanto meno lalotta contro la disoccupazione, la fame, leguerre, che pone direttamente il problemadello Stato: essi lottano, in realtà, nongenericamente contro queste vere piaghedella moderna società borghese, maspecificamente contro le condizionimateriali di vita dei proletari, nella lorosituazione di occupati o disoccupati, deiproletari e dellemasse diseredate e affamate,dei proletari portati al massacro nelle guerreborghesi.

Anche la rivoluzione proletariagenererà - come ha generato ad esempio inRussia al tempo della rivoluzione bolscevica- gli aspetti tremendi del disastro economico,della fame, della disoccupazione, e dellaguerra guerreggiata (guerra di classe, certo,ma sempre guerra); ma non per questo icomunisti sono contro la rivoluzione perchèil suosviluppogenera inevitabilmentequestotipo di conseguenze. Il fatto è che larivoluzione proletaria proietta la prospettivastorica della lotta del proletariato sulcammino verso il superamento delle societàdi classe, e quindi la fine dei cicli infernalidell’economia capitalistica che non è più ingrado da molto tempo di soddisfare i bisognidella vita umana e che non può che riprorrese stessa come “soluzione” alle sue stessecontraddizioni.

Molto generico e confuso questoprimo “Contro” con cui “Battagliacomunista” inizia la sua stesura dei punti dilotta che la caratterizzano.

Secondo “Contro”.“Contro tutti i partiti

parlamentari che da destra o dasinistra, nel nome osceno dell’interesse nazionale, difendonocompatti il regime borghese. E anchechi afferma di rappresentare ilavoratori lo fa per riuscire amantenere la rabbia di classe entrobinari istituzionali”.

Si dà, qui, grande importanza aipartiti parlamentari. Ma non si accennaminimamente allo Stato borghese, e alfatto che i comunisti mettono al centrodel potere politico non il parlamento malo Stato. E’ talmente vero, questo, che l’obiettivo centrale della rivoluzioneproletaria è l’ abbattimento dello Statoborghese in quanto macchinaefficientissima, perchè centralistica earmata, di dominio e di violenza di classe.Ed è talmente centrale, per i comunisti,la questione dello Stato, che, abbattuto loStatoborghese -con tutte le sueistituzionicentrali e periferiche, parlamento inclusoovviamente - questo viene sostituito conlo Stato proletario, ossia la dittaturaproletaria, la dittatura di classe esercitatadal partito comunista rivoluzionario. Madi tutto questo non c’è traccia in questipunti caratteristici di “Battagliacomunista”.

Essere contro tutti i partitiparlamentari,didestraodi sinistra,perchèdifendono il regime borghese èassolutamente insufficiente per icomunisti; possono esserlo senzaproblemi anche gli anarchici - che sonofondamentalmente anti-partito e anti-Stato -, che amano essereanti-istituzionali spesso più a parole chenei fatti. Icomunisti,proprioperchèhannocome obiettivo politico l’ abbattimentodello Stato borghese, sono contro tutti ipartiti borghesi, piccolo borghesi oopportunisti - dunque di destra, di centroo di sinistra, estreme comprese - sianoessi parlamentari o extraparlamentari,siano essi legali o illegali, dichiarati omimetizzati, nazionalrivoluzionari oreazionari, totalitari o democratici.Come, d’altra parte, lottano contro ogniorganizzazione di difesa dellaconservazione sociale borghese, sia essapolitica, economica, sindacale, sociale,militare, religiosa, culturale, sportiva,ludica o altro, perchè lottano contro ognitipo di oppressione borghese.Caratterizza, inoltre, i comunisti la lottacontro la democrazia - che, anche senzaaggettivi, giusta Lenin, è borghese - inquanto miglior metodo di governo dellaclasse dominante borghese poichè con lademocrazia essa è riuscita, riesce eriuscirà ancora a deviare completamenteil proletariato dal terreno della lotta diclasse, equindi dal terrenorivoluzionario.L’ antiparlamentarismo è solo un aspettodella lotta dei comunisti; limitarsi aquesto aspetto, che è una delleapplicazioni della tattica comunista,significa tenere in piedi il principiodemocratico e sue applicazionieventualmente diverse.

E’ certo che oggi tutti i partitiparlamentari difendono compatti ilregime borghese, e nel nome oscenodell’ interesse nazionale. Ed è certo chelo fannoanche ipartiti cosiddetti “operai”- o “socialisti”, o “comunisti” - che hannoprogrammi riformistici e che perciò sisono dati il compito di mantenere lespinte di lotta della classe entro i binariistituzionali. Dunque i comunisti, e conragione storicamente confermata alle tesiantiparlamentariste della Sinistracomunista italiana, sono sicuramentecontro il parlamento, e di conseguenzacontro la tattica parlamentare e i partitiparlamentari; alla “lotta parlamentare” -la cui più nobile versione fu, all’iniziodegli anni Venti, il parlamentarismorivoluzionario di leniniana memoria - icomunisti oppongono la lotta di classe,la preparazione del proletariato e delpartito di classe alla lotta classista che,dal terreno immediato e di difesa dellecondizioni materiali di vita e di lavoro,deve fare il salto qualitativo al terrenopolitico generale per l’ attacco allo Statoborgheseelaconquista violentadelpoterepolitico.

In questo secondo “Contro” cisi è semplicemente “dimenticati” delloStato borghese, della rivoluzione violentaper abbatterlo, dello Stato proletario daerigere a difesa della dittatura proletariae a sostegno della rivoluzione proletarianegli altri paesi. E ci si è ben guardati daldichiarare aperta lotta alla democraziaborghese, sia sul piano dei principi chesu quello della applicazione pratica.Perchè nascondere tutto ciò?

Terzo “Contro”.“Contro le falsificazioni

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IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '99 7

storichee ledegenerazioni teorichedei principi marxisti, dallostalinismo al maoismo, dalconsiliarismo al trotskismo fino atutte le revisioni possibili delsocialismo scientifico”.

Granbella dichiarazionediguerraad ogni forma di opportunismo e direvisionismo del marxismo. Ma abbiamoappena letto, al secondo “Contro”, che“Battaglia comunista” si è allontanataparecchio dal marxismo tanto da perderedi vista alcuni principi marxistifondamentali come quelli che presiedonoalla conquista rivoluzionaria e all’abbattimento violento dello Stato borghesee di ogni resistenza borghese, alla dittaturadel proletariato esercitata dal partito diclasse, quindi allo Stato proletario e allaindispensabilità del partito di classe comeunico detentore del potere politicorivoluzionario. Questa “dimenticanza” fafare a “Battaglia comunista” un salto a pièpari nei ranghi delle “revisioni possibilidel socialismo scientifico” di cui parla; ineffetti, dovrebbe cominciare col lottarecontro la propria specifica degenerazioneteorica dei principi marxisti.

Non basta certo dire di esserecontro le degenerazioni teoriche deiprincipi marxisti - ed elencare i vari “ismi”dai quali ci si vuole distinguere - per esserecoerentemente sulla linea del marxismorivoluzionario: bisogna dimostrarlo nelledichiarazioni, nellepresedi posizione, nell’enunciazione del proprio programma e deipropri “distinguo”, e bisogna dimostrarlonei fatti. Le falsificazioni storiche fannoparte dei mezzi di lotta che ogni potere diclasse finora ha utilizzato, direttamente oindirettamente, attraverso le istituzionistatali dirette o le chiese o le correntiintellettuali e culturali. Il proletariato allefalsificazioni della borghesia - che nonsono soltanto storiche, ma sono quellelegate alla pretesa eguaglianza di tuttirispetto al mercato, alla pretesa libertà edeguaglianza della democrazia -, oppone laverità della lotta di classe, la verità deirapporti di forza fra le classi, degliantagonismi reali nella società borghese.Le degenerazioni teoriche - cheprovengono dalle degenerazioni pratichee parziali dai corretti orientamenti e dallacorretta prassi del marxismo - queste sìcostituiscono effettivamente un problemadi primaria importanza per la lotta deicomunisti, in quanto sviluppano nelproletariato e nel partito proletario diclasse deviazioni decisive dal camminodella rivoluzione, allontanando dalla lottadi classe e rivoluzionaria a livello mondialee anche per molto tempo le masseproletarie di ogni paese. Lottare contro ledegenerazioni teoriche significa fare deibilanci storici delle sconfitte delproletariato e del partito di classe,restaurando il marxismo e riconquistandoil patrimonio non solo teorico, ma anchepolitico e di prassi della corretta attività eazione di partito; bilanci, restaurazioneteorica e riconquista pratica che formanoi punti di riferimento imprescindibili perla formazione del nuovo partito di classeinternazionale.

Quarto, ed ultimo, “Contro”.“Controlalogicasindacale

che, proprio perchècontrattualistica si fonda sullacontinuità della divisione in classidella società e dello sfruttamentodel lavoro salariato”.

Un ulteriore passo indietro, efuori del marxismo.

Per “logica sindacale” i nostri“battaglini” intendono evidentemente illavoro a carattere sindacale e nei sindacatioperai aldilà della loro politica e della loroprassi che possono essere “opportuniste”o “di classe”, a seconda degli obiettivi, deimezzi e dei metodi di lotta e diorganizzazione adottati.

Sul terreno immediato, sulterreno della lotta operaia in difesa delleproprie condizioni di vita e di lavoro,“Battaglia comunista” non ha niente daproporre, niente per cui lottare a fiancodegli operai, niente per cui battersi enessuno sforzo da profondere percontribuire alla formazione delleorganizzazioni di lotta della classeproletaria; non ha nessun indirizzo, nessunorientamento da dare ai proletari per lalorolotta di resistenzaquotidianaalcapitale(Engels), non ha nessuna rivendicazione diclasse da sostenere e intorno alla qualeattirare forze operaie per organizzare lalotta classista. Secondo “Battagliacomunista”, questo terreno di lotta - che èil terreno sul quale il proletariato ha l’unica possibilità diretta per organizzare leproprie forze in modo distinto e

antagonistico rispetto alle altre classisociali - va lasciato interamente nelle manidegli opportunisti, delle forze borghesi econtrorivoluzionarie; quindi, ilproletariato, sul terreno più diretto eprossimoallasua“coscienzatradunionista”,va abbandonato interamente nelle mani delnemico. Evidentemente i comunistidovrebbero “convincere” i proletari adincamminarsi sulla strada della lotta diclasse, non col metodo materialistico ediretto della lotta sul terreno della difesaclassista dellecondizioni di vita edi lavoro,ma col metodo idealistico dell’ influenzadelle “coscienze” proletarie, magari unaper una, affinchè i proletari “scelgano” con“coscienza” di lottare uniti e per larivoluzione piuttosto che disuniti, o perl’interesse nazionale, o per quelloindividuale.

Ci si dimentica che il marxismoha tratto una lezione storica fondamentaledalle lotte del proletariato sul terreno dellaresistenza quotidiana al capitale: il fattoche su questo terreno i proletari imparanoa lottare insieme, a organizzare insieme lalotta, a riconoscersi come partecipi di unastessa classe con interessi comuni dadifendere contro le altre classi dellasocietà, imparanoadunirsi ea solidarizzarecontro le classi nemiche; e che grazie aquesta lotta, i proletari imparano nellostesso tempo a misurarne i limiti e a porreobiettivi e finalità più generali, più grandi,che superino questi limiti, le finalitàpolitiche per le quali non bastano più leassociazioni proletarie a carattereimmediato ed economico ma ci vuole laguida politica del partito di classe. Ci sidimentica che se i proletari non imparanoa battersi con vigore, in modo organizzatoe classista sul terreno immediato, nonimpareranno mai a battersi sul terreno piùgenerale della lotta politica, della lottarivoluzionaria per la conquista del poterepolitico.

Nella lotta operaia in difesa dellecondizioni di vita e di lavoro contro lapressioneegli attacchi che inesorabilmentei capitalisti e le organizzazioni di difesadegli interessi capitalistici (a partire dalloStato per finire alle associazioni degliindustriali, e alle varie lobby o mafie)sviluppano contro la classe proletaria alloscopo di estorcere dal lavoro salariato untasso di plusvalore sempre più alto, glioperai si scontrano inevitabilmente con lacontraddizione fondamentale della societàcapitalistica: quella per cui la ricchezzasociale nella società borghese è sì dovutaal lavoro salariato e al capitale, ma è soloil capitale che se ne appropria totalmente.L’ appropriazione privata della produzione(e non solo la proprietà privata dei mezzi diproduzione), infatti, è la caratteristicafondamentale della società capitalistica.Per preparare e organizzare durevolmentela lotta proletaria e superare questacontraddizione fondamentale, “Battagliacomunista” ha un metodo semplice eveloce: la cancella, ossia non ne tieneconto. “Battaglia comunista” dice aiproletari: non serve lottare contro leangherie che subite sui posti di lavoro enella vita quotidiana, non serve lottare perun salario più alto, per un orario di lavoromeno pesante, contro la nocività, contro ilicenziamenti, contro ogni tipo di soprusosofferto in fabbrica, contro la concorrenzafra operai, controladisoccupazione,perchètutte queste lotte sono “contrattualistiche”e si fondano “sulla continuità delladivisione in classi della società e dellosfruttamentol del lavoro salariato”! Per“Battaglia comunista” la lotta contro “losfruttamento del lavoro salariato” èsoltanto la lotta più alta, più generale, lalotta per la conquista rivoluzionaria delpotere politico, e deve essere naturalmenteinternazionale perchè , sennò, cadrebbe...negli angusti limiti nazionali.

I “battaglini” non sono in grado dimaneggiare ladialetticamarxista,nonsannoconcepire materialisticamente edialetticamente lo sviluppo della lotta diclasse, che appunto attraversa fasi fra diloro necessariamente in contraddizione(gli operai si organizzano lottando per unaumento salariale, ma il loro fine storico èil superamento completo del lavorosalariato), fasi che non possono essere“saltate” ma che si pretende di saltarle conla sola “volontà”. Se i proletari nonimparano direttamente dalle proprie lotteimmediate a combattere contro le forzedella conservazione borghese, comepossono imparare a lottare per fini ben piùalti e storicamente decisivi? La rispostaidealistica è: con la volontà, con la “presadi coscienza” della loro condizione dischiavi salariati e della necessità di farlafinita col sistema capitalistico! E, vistoche non basta a cambiare la situazione lasolaquotaspontaneadi“presadicoscienza”,essa viene premurosamente offerta allemasse proletarie da “Battaglia comunista”

- magari via Internet - in modo che ogniindividuo proletario, colpito dall’ azioneeducatrice di “Battaglia comunista”, siain grado di giungere alla comprensioneche la soluzione di tutti i problemi nonsolo proletari ma dell’ intera specie umanasta nella rivoluzione! Insomma, i“battaglini” hanno sostituito ilmaterialismo storico e dialettico delmarxismo con il volontarismo e l’idealismo, armi caratteristiche dellaconservazione e della reazione borghese.

E ora passiamo ai 3 “Per”, chedovrebbero dare gli obiettivi per cui icomunisti lottano e per i quali i comunistichiamano alla lotta i proletari di tutto ilmondo.

Primo “Per”.“Per la conquista

rivoluzionaria internazionale edesclusiva del potere politico daparte dei proletari, cioè di chi ha davendere soltanto la propria forzalavoro, in cambio di un salario”.

Perchè non si dice chiaramenteche la conquista rivoluzionaria del poterepoliticosarà il risultatodiuna lotta violenta,che ha per scopo l’abbattimento dello Statoborghese - fascista e totalitario odemocratico e costituzionale che sia - e ditutte le sue istituzioni periferiche, e laformazione sulle loro macerie di uno Statoproletario che non sarà nè democratico, nècostituzionale, nè fascista, ma certamentetotalitario perchè sarà l’ espressione delladittaturadelproletariato? Pauradei termini:Stato, dittatura? O paura di ciò chesignificano storicamente?

Perchè non si dice chiaramenteche l’ esercizio del potere politicoconquistato non è soltanto in esclusiva daparte del proletariato (proletariato per noisignifica classe proletaria; “da parte delproletariato”, significa perciò da partedellaclasseproletaria,dunquedapartedel partitodi classe che rappresenta gli interessistorici e finali della classe proletaria. Direinvece: “da parte dei proletari” significa daparte degli individui proletari, e scomparequindi il concetto marxista di classe), ma èin esclusiva del partito di classe (il partitocomunista, il partito rivoluzionario, ilpartito proletario, il partito marxista; inquesta accezione li possiamo usare comesinonimi) il quale esercita il potere politicoattraverso l’ apposita organizzazione delloStato proletario alla quale il proletariatooffrirà le sue migliori forze? Perchè alconcetto di “potere politico” i nostri“battaglini” abbinano solo il concetto di“proletari”? Questo modo di formulare laconquista rivoluzionaria del poterepoliticoelimina la concezione fondamentale delmarxismo, quella della classe, cioèdell’insieme del proletariato in quantoclasse generale di lavoratori salariati cheha finalità storiche precise e che sirappresenta nel partito politico di classe.Qui i “battaglini” si sono limitati aconsiderare soltanto gli individui proletari,“chi ha da vendere soltanto la propria forzalavoro in cambio di un salario” - sulla cuidefinizione possono essere d’accordo tuttianarchici, socialdemocratici e borghesiprogressisti. “Battaglia comunista” nonsi preoccupa di chiarire attraverso qualimezzi i proletari conquistaranno il poteree lo eserciteranno a livello internazionale;gli individui proletari, evidentemente, cidovranno pensare da sè... A che cosa serveallora la teoria marxista?

Secondo “Per”.“Per socializzare le

industrie e i servizi e pianificaredal basso la produzione dellaricchezza collettiva sulla base deibisogni reali. Ciò permetterà disoddisfare i bisogni materiali ditutti e nessuno sarà più costrettodalle necessità di sopravvivenza asvolgere per tutta la vita un lavororipetitivo e di sola fatica”.

L’ obiettivo economico e socialedel comunismo è quello di soddisfare ibisogni di vita della specie umana, inarmonia con la natura. Quando la societàavrà realizzato il principio “Ognunosecondo le sue capacità; a ognuno secondoi suoi bisogni”, allora la società avràsuperato completamente ogni ancheminuscolo ricordo della divisione in classi,del capitale e del lavoro salariato, delmercato, del denaro, dello sfruttamentodell’ uomo sull’ uomo.

Ma per realizzare il comunismo,è storicamente indispensabile passareattraverso una serie di fasi rivoluzionarieche il marxismo ha precisamente previsto:la lotta di classe del proletariato che dalterreno immediato passa al terreno politico

più generale; la preparazione della lottarivoluzionaria e la conquista rivoluzionariadel potere politico centrale nel paese o neipaesi in cui questa conquista èmaterialmente possibile; l’ abbattimentoviolento dello Stato borghese (spezzare,demolire la macchina statale già pronta,sostengono Marx ed Engels, ripresi daLenin in “Stato e rivoluzione”), e la suasostituzione con la dittatura delproletariato,dunqueconloStatoproletario,esercitata dal partito di classe; il sostegnoalla lotta rivoluzionaria del proletariatonegli altri paesi, la contemporanea difesadel potere conquistato dagli attacchiinevitabili delle borghesie imperialiste, el’inizio degli interventi dispotici nell’economia per cominciare a spezzare ilsistema di produzione capitalistico; latrasformazione economica della societàin società socialista (o di comunismoinferiore, in cui il lavoro è ancoraobbligatorio per tutti ma viene scambiatocon i buoni non accumulabili per accedereai prodotti di prima necessità); latrasformazione della società in societàcomunista superiore, quando, comesostiene Lenin in “Stato e rivoluzione”,“gli uomini si saranno talmente abituati aosservare le regole fondamentali dellaconvivenzasocialee il lavorosaràdiventatotalmente produttivo ch’ essi lavorerannovolontariamente secondo le lorocapacità”.

“Socializzare le industrie e iservizi”? Certo, lo Stato proletario siimpossesserà di tutta l’ attività economicadel paese o dei paesi in cui la rivoluzioneproletaria è stata vittoriosa, e la gestiràdirettamente dall’ alto della suacentralizzazione. E l’agricoltura?“Battaglia comunista” si è “dimenticata”dell’ agricoltura; forse pensa che l’agricoltura non debba essere socializzata,e debba continuare ad essere gestita, al difuori del controllo statale proletario, daiproprietari fondiari, dagli imprenditoriagricoli, dai contadini grandi medi opiccoli?

“Pianificare dal basso laproduzione della ricchezza collettiva sullabase dei bisogni reali”? Tutte le tesimarxiste discendono da un principiofondamentale: il centralismo. Siamocontroogni forma di autonomia, di federalismo,diparziali indipendenze, di individualismo;siamo innanzitutto centralisti. Che cos’èla dittatura proletaria se non un poterepolitico sommamente centralizzato, edautoritarionaturalmente? Lapianificazioneeconomica non potrà mai essere “dalbasso”; soltanto una visione democratica eindividualista può pensare che lapianificazione socialista sia la somma deibisogni, certo reali, di ciascun individuo odi gruppi di individui. La pianificazionesocialista sarà necessariamente definita,gestita econtrollatadall’ alto, centralizzata,e risponderà prima di tutto ai bisogni realidella rivoluzione, della sua difesa dagliattacchi delle borghesie degli altri paesi, edel sostegno alla lotta rivoluzionaria deiproletariati degli altri paesi. I bisogni diogni singolo proletario saranno in partenecessariamente sacrificati, per tutta ladurata della dittatura proletaria, allarivoluzione internazionale. Solo nelcomunismo pieno, nel comunismosuperiore, potrà essere realizzato il grandeprincipio:“Ognunosecondolesuecapacità,a ognunosecondoi suoi bisogni”. Maancheallora la pianificazione economica, comed’altra parte l’amministrazione generaledell’ economia e di tutta l’attività umananecessaria alla vita sociale sul pianeta, nonsarà mai “dal basso” ma sarà dall’ altopoichè dovranno essere tenuti inconsiderazione tutti gli aspetti variabilidelle stagioni, della produttività agricolaoltre che di quella industriale, dellegenerazionipresenti eavvenire,della sanitàche riguarda l’uomo ma anche il mondoanimale e vegetale, delle modificazionidella natura, ecc. E solo con unacentralizzazione delle informazioni èpossibile gestire in modo efficace eduraturogli interventi, sia in fasepreventivache in tempo reale, necessari ad assicurarealla vita della specie umana i rapportiarmonici con se stessa e con la natura.

Non si può che essere d’ accordo,ovviamente, con l’ obiettivo di superare lasituazione in cui si è “costretti dallenecessità di sopravvivenza a svolgere pertutta la vita un lavoro ripetitivo e di solafatica”; ma questa situazione non èsuperabilesenonattraverso i passaggi dellalotta di classecheabbiamoricordatoprima.E non è certo la pianificazione dal bassodella produzione che potrà assicurarequesto superamento: con la pianificazionedal basso siamo ancora dentro il sistemacapitalistico di produzione, dentro ilsistema dell’ economia aziendale, che è l’unico in realtà che può recepire i “bisogni

reali” di coloro che si associano in unaattivitàattaasoddisfarli.La“pianificazionedal basso” porta inevitabilmente ad unsistema economico di cooperative, diproduzione e di consumo, “autogestiste”,composte di soci tutti “alla pari”, sistemache dà l’ illusione di aver superato l’oppressione capitalistica, l’ oppressionedei grandi gruppi capitalistici e dello Statocapitalistico, ma che in realtà ributta tuttal’attività economica in mano al mercato, equindi al capitale. Da un lato si dice dilottare “contro il modo di produzionecapitalistico”, dall’ altro si immagina unmodo di produzione che tende in realtà ariprodurre il modo di produzionecapitalistico partendo “dal basso”, dai“produttori”, e magari dai “piccoliproduttori”.

Non basta dire “socializzare” perconsiderarsi comunisti. Se poi si“socializza dal basso” si è nella posizioneesattamenteopposta a quella deicomunisti.

Terzo “Per”.“Percostruire ilpartitoche

guiderà la rivoluzione eorganizzarlo secondo i principi delcentralismo democratico: poteredecisionale alla comunità deimilitanti - accomunati dallaadesione al programmarivoluzionario -chesi centralizzanoin organi collegiali esecutivi”.

Costruire il partito! Non si finiscemai di imbattersi in costruttori di qualcosa;noi preferiamo parlare di formazione delpartito, o di costituzione del partito. Perquanto possa incidere una determinataterminologia - ma sappiamo peresperienza, rispetto ad esempio a tutte lediverse ondate riformistiche econtrorivoluzionarie, che determinatitermini (come democrazia, confronto, oappunto costruire, edificare) si sonoprestati molto meglio di altri a deviare leposizioni marxiste in posizioniantimarxiste, e quindi borghesi -,preferiamo essere molto attenti, anchenella terminologia di propaganda, a certitermini.

Ma che partito vogliono“costruire” i nostri “battaglini”?

“Il partito che guiderà larivoluzione”, sostengono.

Abbiamo già visto che sul terrenoimmediato, o “sindacale” per dirla con untermine tradizionale, il gruppo di“Battaglia comunista” è contrario ad ogniintervento di difesa delle condizioni di vitae di lavoro dei proletari poichè le lotte diquesto tipo in pratica ribadiscono “lacontinuità della divisione in classi dellasocietà e dello sfruttamento del lavorosalariato”. Il partito che guiderà larivoluzione, perciò, non avrà maturatoalcuna influenza e non si sarà radicato nellaclasse durante le sue lotte di resistenzaquotidiana al capitale; non avrà cioèottenuto nella classe proletaria il risultatodi essere considerato comel’organizzazione politica capace di legaregli obiettivi immediati con gli obiettivi piùgenerali, con gli obiettivi finali della lottaproletaria, capace di orientare e guidare lalotta proletaria dal terreno immediato alterreno politico più generale erivoluzionario. E’ come se il partitorivoluzionario attendesse sull’ altra riva -quella cosiddetta rivoluzionaria - ilproletariato al quale si richiede, nelfrattempo, di superare con le sole proprieforze individuali ogni tipo di ostacolo chele forze controrivoluzionarie eopportuniste hanno continuato percinquantenni a erigere contro lariorganizzazione classista del proletariatostesso. Evidentemente, “Battagliacomunista” pensa che con la sola forzadella propria propaganda, senza cimentarsia fiancodei proletarinelladura, accidentatarisalita dal baratro del collaborazionismointerclassista, il proletariato un bel giorno“prenderà coscienza” della giustezza delleidee del comunismo e affiderà le sortidella propria lotta e della propria vita ad unpartitoche nonha fattoassolutamente nulladi concreto nel periodo più buio e duro peril proletariato stesso per conquistarsi lasua fiducia.

E la rivoluzione proletaria a checosa dovrebbe portare? Alla “conquistarivoluzionaria internazionale ed esclusivadel potere politico da parte dei proletari”.Ciò significa che il partito, “che guiderà larivoluzione”, si limiterà a guidare larivoluzione fino alla conquista del poterepolitico in tutto il mondo che invece saràguidato dai proletari ovviamente senzapartito, i quali proletari dovrebbero averechiaro, ciascuno di loro, gli obiettivigenerali eparziali della dittatura proletaria,

(Segue a pag. 8)

Page 8: Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali;

IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '998

della guerra rivoluzionaria contro gliattacchi di tutti gli eserciticontrorivoluzionari, degli interventi sull’economia, delle disposizioni politiche esociali da emanare e da far applicare, ecc.ecc. I quali proletari non dovranno erigereal posto dello Stato borghese (che“Battaglia comunista” non ci spiega chefine fa rispetto alla rivoluzione proletaria)uno Stato proletario con caratteristichetutte diverse, ma dovranno semplicementeamministrare il potere politico. Ladifferenza congli anarchici, inquesto caso,sta solo nel fatto che i “battaglini” parlano(ma parlano soltanto, senza dare alcunasostanza) di “potere politico”, mentre glianarchici concepiscono la rivoluzionecome un atto liberatorio da ogni tipo dipotere, salvo quello di ogni individuo.

Se non ha il compito di esercitare,conquistato il potere, la dittaturaproletaria,di guidare lo Stato proletario e i suoiinterventi in economia, in politica e negliscontri militari, di sostenere la lottarivoluzionaria in tutto il mondo, didifendere la dittatura vittoriosa dagliattacchi delle borghesie non ancora vinte,di procedere alla trasformazionedell’economia capitalistica in economiasocialista appena le condizioni della lottarivoluzionaria lo permettono, e di portarela società dalla sua preistoria classista nellastoria della società senza classi, e quindisenza Stato, senza partiti politici, senzaeserciti che si scontrano, insomma nelcomunismo, perchè allora “costruire ilpartito”? Secondo quanto letto nei puntichecaratterizzanoleposizionidi“Battagliacomunista” il partito di classe non serveprima della rivoluzione, non serve dopo laconquista rivoluzionaria del potere, servesolo nel breve periodo insurrezionale?Insomma come una specie di Comitato diLiberazione Nazionale di resistenzialememoria?

Da bravi costruttori, essi hannoimmaginato di dover costruire un “ponte”fra la sponda borghese, piena dicontraddizioni e di antagonismi di classe,di sfruttamento e di brutture d’ogni tipo ela sponda socialista, piena di prospettiveluminose per i proletari. E questo ponte lohanno chiamato “partito”. Se si potesseraggiungere la società senza classi, ilcomunismo superiore, senza dover passareattraverso la durissima fase della dittaturaproletaria (che è fatta di guerrarivoluzionaria, di sacrifici da parte delproletariato, di dure condizioni disopravvivenza, ma anche di interventidemolitori delle istituzioni borghesi apartire dallo Stato borghese, di terrorismocontro le forze controrivoluzionarie, disolidarietà e di legami di classe con iproletari degli altri paesi ancora sottopostial dominio borghese, di grandi passi versol’ emancipazione da mille e milleoppressioni e razzismi) i grandi teorici delsocialismo scientifico, Marx ed Engels, eLenin, sulla scorta dell’ esperienza storicadelle rivoluzioni del 1848, della Comunedi Parigi, della rivoluzione del 1905 e del1917 in Russia, ci avrebbero certamentelasciato una traccia chiarissima einequivocabile. Ma così non è stato; essi cihanno lasciato una prospettiva ben diversa,e più le esperienze storiche delle lotteproletarie e delle rivoluzioni si sonoaccumulate, più essi confermavano erendevano semmai più forti i principi delpartito di classe come unico ed esclusivorappresentante del futuro rivoluzionariodel proletariato nel presente borghese, ecome unica forza a dover esercitare ladittatura proletaria fino alla completavittoria mondiale della rivoluzione sulcapitalismo internazionale; i principi delladittatura proletaria - per cui Lenin dichiaròsenza mezzi termini che non è comunistacolui che non porta il concetto di lotta diclasse fino alla conseguenza ultima delladittatura di classe -, e dello Stato proletario.

“Battaglia comunista” spendeperò qualche riga in più, in questo ultimopunto, per precisare che il partito che vuolcostruire è organizzato “secondo i principidel centralismo democratico”. E definisceal meglio ciò che intende per centralismodemocratico: “potere decisionale allacomunità dei militanti - accomunati dallaadesione al programma rivoluzionario -che si centralizzano in organi collegialiesecutivi”.

Proviamo a tirare qualche

conseguenza da queste parole.Il partito è dunque una “comunità

di militanti”; questi militanti costituisconouna comunità in quanto aderiscono allostesso programma rivoluzionario; la loroorganizzazione interna prevede organicollegiali esecutivi (nominatievidentemente attraverso il sistemademocratico dei voti in riunioni o congressiadatti alloscopo)attraverso iquali ilpartito-comunità viene diretto a svolgere in modoordinato la propria attività; attività che, sipuò presupporre, dovrà essere coerentecol programma rivoluzionario al quale tuttii militanti aderiscono.

L’esperienza data, ad esempio,dalle deviazioni di tipo intellettualistico eidealistico che abbiamo avuto dallaricostituzione del partito dopo la secondaguerra mondiale in poi, ci hanno insegnatoad avere molta cautela nell’ usare sinonimidel partito come fanno i “battaglini” coltermine “comunità”. Il partito di classe èessenzialmente un organo di lotta, anchese è un particolare organo della lottarivoluzionaria del proletariato in quanto, adifferenza di tutti gli altri partiti politiciborghesi, esso rappresenta nello stessotempo il programma rivoluzionario dell’intera classe proletaria mondiale - dunqueil programma della sua emancipazione dalcapitaleedal lavorosalariato -, la coscienzateorica delle finalità della lottarivoluzionaria del proletariato, e la volontàdi agire nel presente allo scopo diindirizzare e guidare il proletariato versogli obiettivi rivoluzionari non solo finalima anche immediati, come la rottura dellapace sociale e della conciliazioneinterclassista.

“Comunità”, invece, nell’accezione più usata ha il significato di uninsieme di persone unite da ideali comuni,specie di carattere religioso o nazionale,chesvolgonounaattivitàperdarecontinuitàalle proprie convinzioni, alle proprietradizioni. Con il termine “comunità” nonsi dà di quell’ insieme di persone l’idea cheesse agiscano, non solopropagandisticamente, ma con la forza e l’organizzazione della forza per raggiungeregli obiettivi dichiarati. A meno che“Battaglia comunista” non abbia fattapropriauna visioneevoluzionista epacifistadell’ emancipazione del proletariato, eallora il termine “comunità di militanti” èmolto più corretto di partito (per di più:comunista internazionalista).

Con il termine “partito” il fattodi essere organizzazione di lotta èstoricamente dato, nel senso che partitovuol dire organizzazione politica cheintende imporre nella società la propriavisione, gli interessi che esso rappresenta,con qualsiasi mezzo compresa la violenzae lo scontro armato. Naturalmente c’èpartitoepartito.Comeabbiamodettosopra,il partito comunista si differenzianettamente da tutti gli altri, anche perchènon esprimendo interessi economici daconservare o da ampliare nella societàdivisa in classi, non poggia la propria forzasu forze economiche esistenti e tendenti asvilupparsi inquantotali - comeadesempioi partiti borghesi che poggiano su forzeeconomiche interessate a difendere lapropria potenza eadampliarla a detrimentodi altre forze economiche - ma sullatendenza storica di una classe, quellaproletaria, a rivoluzionare completamentel’ attuale società, e i residui di vecchiesocietà precapitalistiche, e a scomparireessa stessa come classe portando, con lasua rivoluzione anticapitalistica einternazionale, al superamento di ognisocietà divisa in classi, al comunismo.

Il partito comunista, secondo lavisione marxista, è l’ indispensabileorganizzazione della lotta rivoluzionariadel proletariato, l’ indispensabile guidadella rivoluzione e della dittatura delproletariato, l’ indispensabile organo dellatrasformazione economica della societàda capitalistica a socialista e infinecomunista.

Certo, i militanti che vi aderisconodevono aderire innanzitutto al suoprogramma; ma non basta, almeno per noi.Essi devono aderire anche alla prassi eall’attività che organicamente il partitosviluppa per conquistare l’ influenzadeterminante sulle masse proletarie e sullesue organizzazioni di difesa immediata; eaderire ai metodi organizzativi interni chesi fondano essenzialmente sul centralismo,sull’ organizzazione piramidale,centralismo che abbiamo chiamato

organico proprio per differenziarlomaterialisticamente e dialetticamente dalmeccanismo della democrazia. Col 1921,con la costituzione del Partito comunistad’Italia, la sinistra comunista - e non soloil militante e capo Amadeo Bordiga - hascolpito al meglio i termini della lottacontro non soltanto il principiodemocratico, ma anche contro ilmeccanismo e la prassi della democrazia,sia nella società che nell’ organizzazioneinterna. “Il criterio democratico è finoraper noi un accidente materiale per lacostruzione della nostra organizzazioneinterna e per la formulazione degli statutidi partito: esso non è l’ indispensabilepiattaforma”, così nel testo di Bordiga del1921intitolato “Il principio democratico”;ma per “Battaglia comunista” il criteriodemocratico è diventato l’indispensabilepiattaforma! “Ecco perchè - continua iltesto di Bordiga - noi non eleveremo aprincipio la nota formula organizzativa del‘centralismo democratico’ “. Ma per“Battaglia comunista” questa formula, inuso nei partiti socialdemocratici esocialisti, poi comunisti dell’ epoca, e chegià nel 1921per la Sinistra comunista erada superare, è elevata a principio!

Sequindi sul terminecentralismo,inteso come unità di struttura e dimovimentodell’ organizzazionedelpartito,ci troviamo d’ accordo, non siamo pernulla d’accordo col terminedemocratico.La storia del movimentocomunista internazionale, e della suasconfitta definitiva a metà degli anni Venti,ci ha insegnato che la democrazia, inprincipio e nelle più diverse applicazioni,è stata l’ arma con la quale lacontrorivoluzione borghese è riuscita, nonsolo a paralizzare il movimento socialistainternazionale di fronte alla prima guerramondiale, ma anche a strangolare la purvittoriosa rivoluzione socialista in Russia,impedendo al proletariato mondiale, esoprattutto a quello europeo, di soccorrereil potere rivoluzionario a Mosca attraversola propria lotta rivoluzionaria nei rispettivipaesi. Il partito comunista, il partito diclasse, non può coerentemente combatteresu tutti i piani la democrazia all’esternosenza combatterla con la stessa decisioneanche al proprio interno. “Per segnare lacontinuità nello spazio della struttura dipartito è sufficiente il termine centralismo,e per introdurre il concetto essenziale dicontinuità nel tempo- si può leggereancoradal testo del 1921 di Bordiga -, ossia nelloscopo a cui si tende e nella direzione in cuisi procede verso successivi ostacoli dasuperare, collegando anzi questi dueessenziali concetti di unità, noiproporremmo di dire che il partitocomunista fonda la sua organizzazione sul‘centralismo organico’ . Così, conservandoquel tanto dell’ accidentale meccanismodemocratico che ci potrà servire (sì, perchèil termine centralismo non si opponefrontalmente alla democrazia; ilcentralismo è un modo di organizzarsianche della democrazia, NdR),elimineremo l’uso di un termine caro aipeggiori demagoghi e impastato di ironiaper tutti gli sfruttati, gli oppressi, e gliingannati, quale quello di ‘democrazia’,che è consigliabile regalare per esclusivoloro uso ai borghesi e ai campioni delliberalismo variamente paludato talvoltain pose estremiste”. Ma “Battagliacomunista” non intende staccarsi dallademocrazia, e per quanto gridi contro lademocrazia in generale essa si tiene peròavvinta al meccanismo democratico nellapropria organizzazione interna, educandocosì i propri militanti a non essereantidemocratici fino in fondo. Coerenzacon le posizioni della Sinistra comunistanon ce n’è proprio.

Finiscono così i punti con cui“Battaglia comunista” propaganda leproprie posizioni caratteristiche. Perquanto ogni formulazione che siacondizionata dalla necessità di fissaresinteticamente e, appunto, in modopropagandistico - cioè facile da ricordare-, sia logicamente imperfetta, in questi“Contro” e “Per” abbiamo trovato troppeconcezioni antimarxiste per concludereche “Battaglia comunista” rappresenti unraggruppamento di militanti rivoluzionariaffidabili.Leoriginidi“sinistracomunista”di molti suoi militanti della prima ora nonsono state sufficienti ad impedirel’inesorabile scivolamento nelle posizioniopportuniste.

“Battaglia comunista”:doppio misto di volontarismo e intellettualismo,

di democratismo militante e partito “virtuale”

Riunione Generale , Genova 9-10 Gennaio 1999

Si è tenuta a Genova, il 9-10 gennaio scorso, la Riunione Generale di partito. Datempo, il tema politico centrale viene tenuto in una riunione, svoltasi sabato 9 pressoil locale di Via S. Croce 24r e organizzata con grande cura dai compagni di Genova,in cui invitiamo lettori stretti e simpatizzanti.

Il tema era incentrato sulla questione dell’opportunismo, le sue basi materiali,le sue caratteristiche, le sue modificazioni, il suo ruolo nelle diverse fasi dello sviluppocapitalistico. E la critica marxista all’opportunismo, nella sua invarianza e sulla scortadelle battaglie di classe della Sinistra comunista.

Svolgiamo qui il rapporto esteso della RG.

Dunque, l’ OPPORTUNISMO èil modo di esprimersi, su tutti i piani,compresi ovviamente quelli filosofico,religioso e comportamentale, degli stratisociali che storicamente maturano unagenerale impotenza sia rispetto alle classidominanti sia rispetto al proletariato. Stratisociali che sono costantementeterrorizzati dal dover perdere i loroprivilegi e le loro proprietà, e quindiprecipitare nel proletariato o negli stratipiù bassi ancora del lumpen-proletariat; eche sono intimoriti dalla possibilità didiventare grandi borghesi, sebbene ciòcostituisca la loro principale ambizioneperché significherebbe più denaro, piùprivilegi, più potere economico, sociale epolitico.

Strati sociali che tendono, nellostesso tempo, a “fermare la storia”, ossiaad eternizzare la situazione che favoriscela loro sopravvivenza senza scosse, senzadrastiche cadute, senza guerre e lottesociali da cui si attendono solo guai e lapossibile perdita delle loro riserve private;e che tendono a “far girare indietro laruota della storia” non appena nelle lottesociali emerge l’avanzata del movimentoproletario e rivoluzionario dalla quale essitemono, giustamente, di perdere tutto eper sempre.

Questi strati sociali di piccola emedia borghesia, ai quali va associatal’aristocrazia operaia che condivide con lapiccola borghesia privilegi e mentalitàreazionaria, - perennemente oscillanti fragrande borghesia e proletariato, nellamisura incui i lorointeressiprivati appaianopiù in pericolo se calpestati dall’una odall’altra classe - sono storicamente gliassertori più sfegatati dellaDEMOCRAZIA, ossia di quell’ambitopolitico e sociale che, secondo l’ideologiaborghese, permetterebbeadogni individuo,

ad ogni persona o ditta, di agire“liberamente” senza subire danni,consegnando alla legge del mercato leproprie fortune e allo Stato - perciòconsiderato al di sopra delle classi - ladifesa delle cosiddette libertà individuali,sul piano personale come su quellodell’attività di commercio o di produzionedella famosa ditta. Questi strati socialisono numerosi, formano effettivamenteuna massaconsiderevole- neipaesiarretratisoprattutto di origine contadina, nei paesisviluppati soprattutto di origine cittadina -, e amano l’ idea della maggioranza,convinti che grazie alla loro maggioranzapossono contare “di più”; nello stessotempo sono innamorati della “coscienzaindividuale” dalla quale fanno discendereil bene e il male, il progresso o il regresso,la pace o la guerra, il benessere o la miseria.Quindi, sono gli strati che hannoeffettivamente assimilato tutti i pregiudizie le illusioni dell’ideologia borghese sullalibertà, sull’eguaglianza, sulla fratellanza,e ai quali pregiudizi e illusioni - dato che larealtà li mette continuamente indiscussione - aggiungono una dosemassiccia di superstizioni e di fatalismocon cui credonodi poter combattere megliole disgrazie quotidiane o di migliorare d’uncolpo le proprie condizioni di esistenza,come in una lotteria. Alla fine della vitamateriale individuale vedono volentieri, ingenerale, un aldilà in cui tutte le ingiustizie“terrene” vengono riparate e tutti i sacrificiindividuali premiati. Non è un caso infattiche la piccola borghesia costituisca ilterreno di coltura più fertile per ogni generedi superstizione e di pregiudizio: essa vivecostantemenete nell’illusione secondo laquale tutto ciò che esiste e succede “dovevaesistere” e “doveva succedere” per volontàdi un entità “superiore” - uomo geniale,uomo della provvidenza, dio stesso, omadonna democrazia -, dato che la vita

L’OPPORTUNISMO:

* significa accettare e condividere il modo diproduzione capitalistico e le sue leggi non solo comebase ma anche come fine ultimo della società umana

* significa rappresentare gli interessi economici dellapiccola e media borghesia, piccola e media proprietàagricola, (artigianale, industriale, c o m m e r c i a l e ,produttiva e distributiva) che la società capitalisticaanche supersviluppata non sopprime, ma alimentacostantemente

* significa premere sui fattori sociali e politici perdifendere lo “spazio economico” che lo stessosviluppo ineguale del capitalismo lascia a disposizionedellemezzeclassi, considerandolo vitale per lapropriasopravvivenza

* significa resistere al progredire tecnologico eproduttivo nella misura in cui tale progresso toglieloro il terreno su cui sopravvivono precipitandolenelle condizioni di senza riserve, proletarizzandole

* significa conciliare interessi che si presentanoopposti e/o antagonisti, sottomettendosi all’interessepiù forte

* significa far proprie le ragioni degli interessi piùforti chiedendo in cambio un minimo di partecipazionealla gestione politica

* significa combattere le spinte eccessive e violentedegli interessi di parte per realizzare un progressivo egraduale miglioramento con mezzi pacifici e legalitari

* significa condividere con la classe dominante, equindi con la grande borghesia, ogni lotta per laconservazione sociale - ideologica e pratica - e ogniguerra guerreggiata per la difesa del “territorioeconomico” nazionale (e coloniale) dal benessere delquale dipendono le proprie condizioni parassitarie

* significa occupare fisicamente nei diversi ambitispazi intermedi, fra grandi borghesi e proletari (nellecittà e nelle campagne, nelle istituzioni, nellaburocrazia, nelle aziende) considerando la piccolaproprietà individuale (anche intellettuale), la piccolaattività, la piccola azienda, la famiglia, il paese o ilquartiere, come la “giusta” dimensione della vitasociale

* significa confondersi in generale con la “massa”, la“gente” per il timore di dover pagare troppo a qualcuno(privato, fornitore, Stato), e per il timore di prendersiresponsabilità per conto di altri esponendosi “troppo”senza una particolare convenienza personale; e, nellostesso tempo,

* significa distinguersi dalla “massa” (massa di senzariserve e di nullatenenti) grazie ai propri privilegi ebenefici

in politica

nel sociale

in economia

(da pag. 7)

Page 9: Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali;

IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '99 9

LE NUOVE FORME DI COLLABORAZIONISMO INTERCLASSISTA NON CONTRADDICONO LASOSTANZIALE INVARIANZA DELL’ OPPORTUNISMO POLITICO E SINDACALE

IL PROLETARIATO DEVE RIBADIRE LA SUA INVARIANZA CLASSISTA:LOTTA DI CLASSE INDIPENDENTE DA OGNI POLITICA CONCILIATRICE

E DA OGNI APPARATO COLLABORAZIONISTA, SUL TERRENOIMMEDIATO COME SU QUELLO POLITICO PIU’ GENERALE

sociale, nello spazio e nel tempo, èconcepita come la proiezione della proprialimitatissima e miserabile vita individualedi piccolo proprietario, piccoloprivilegiato che lotta “da solo contro ilmondo intero”.

Come nel lungo periodo storicoche ha visto l’emergere della nuova classeborghese di fronte all’ aristocrazia e alclero, strati degenerati - nel sensoeconomico e sociale, non tanto nel sensomorale - di aristocrazia resistevano allafine storica del feudalesimorappresentando una reazioneparticolarmente tenace alla nuova societàcapitalistica e alle nuove classi chetendevano a liberarsi dei vincoli feudali,così nel periodo storico che vede al centrola tendenzadellaclasseproletaria a liberarel’intero genere umano dai vincoli di classedella società divisa in classi antagoniste,gli stratidi piccolaborghesia rappresentanouna specifica reazione (e la massareazionaria mobilitabile) ad ognimovimento di classe indipendente delproletariato, poiché in questo movimentoriconosce la propria definitiva fine (mentrerispetto alla grande borghesia essa, pursubendone la pressione e temendo leconseguenze di miseria che possonoderivare dalla concentrazione dellericchezze sociali in mani sempre menonumerose, sente di non dover temere lafine come strato sociale privilegiatoperché non scompaiono il mercato, laproprietà, e non scompaiono le classi,dunque nemmeno il proletariato dal cuisfruttamento deriva la massa di plusvaloresu cui sopravvivono tutti gli strati sociali ele classi parassitarie).

La piccola borghesia ha, d’altraparte, una sua identità storica nell’ambitodella società capitalistica, che è inerenteal suo specifico ruolocontrorivoluzionario. Sappiamo, damarxisti, che la piccola borghesia non hapotenzialità di classe storiche definite eindipendenti dalle altre classi sociali. Glistrati sociali che compongono quello chechiamiamo sinteticamente “piccolaborghesia” sono in realtà mezze classi,ossia non sono portatori di un modo diproduzionedistintoda tuttigli altri, equindinonsonoportatori di rivoluzioni edi societàdiverse da quelle conosciute finora; sonostrati sociali che debbono la propria vita ela propria sopravvivenza soltanto allasocietà borghese, basata sull’estorsionedel plusvalore dal lavoro salariato,plusvalore che va a costituire quella massadi profitto che la borghesia ripartisce nellasocietà accaparrandosene il completocontrollo e la quasi totale quantitàdisponibile. Ciò non toglie che nellosviluppo dei contrasti sociali, e della lottadi classe, la piccola borghesia - per nonrimanere completamente schiacciata fral’incudine della classe dominante e ilmartello del proletariato - tenda adassumere un ruolo che le permetta didifendere in qualche modo la propriasopravvivenza inquantopiccola borghesia.

Il ruolo sociale di questi stratipiccolo borghesi, è storicamentecontrorivoluzionario. Ciò nonsignifica chequesti strati non abbiano dato in unadeterminata fase della rivoluzioneborghese un contributo alla rivoluzioneborghese stessa: l’hanno dato, ma sempresottoposti alle forze storiche impersonalidel capitalismo che combatteva contro lavecchia società e di cui la borghesiapropriamente detta rappresentava lanecessità politica oltre che economica.Finita la fase storica delle grandirivoluzioniborghesi direttedalla borghesiastessa - in Europa occidentale giungiamoal 1848, in Europa orientale, e in Russia inparticolare, giungiamo al 1905 e in Cina al1911 -, la piccola borghesia assumenecessariamente il ruolocontrorivoluzionario pur partecipandospesso ai movimenti rivoluzionari, dicarattere borghese o proletario.

L’ OPPORTUNISMO - che èdunque l’ espressione politica della piccolaborghesia e dei diversi strati sociali che lacompongono - traccia la sua tendenzastorica oscillando tra il ruolocontrorivoluzionario anti-proletario e ilruolo controrivoluzionario anti-borghesiarivoluzionaria. In questo senso la tendenzaconservatrice e reazionaria della piccolaborghesia, a seconda della fase storica edelle zone geostoriche diverse, prendecaratteristiche differenti: per combatterecontro il proletariato rivoluzionarioessa si appoggia sulla grande borghesia esulle forze reazionarie legate alla vecchiasocietà precapitalistica, e sulle forzedell’imperialismo borghese interessato acontrastare il movimento rivoluzionarioindipendente del proletariato (es.: già conla Comune di Parigi del 1871, e poi con imovimenti proletari in Europa durante ilfebbraio e il giugno 1848; poi contro imovimenti proletari in Russia nel 1905 enel 1917); per combattere contro laborghesia rivoluzionaria essa si appoggiasulle forze reazionarie legate alla vecchiasocietà precapitalistica e sulle forzedell’imperialismo borghese interessato acontrastare il movimento borghesenazionale tropporadicale, nondisdegnandodi cercare l’appoggioanchedel proletariatoma alla condizione di averlo disarmatodella propria indipendenza di classe (es.: laCina non solo del 1911 e di Sun Yat Sen,ma anche del 1927 di Chang Kai Shek, ilMessico del 1911 di Zapata e Pancho Villa,e tutti i movimenti nazionali borghesianticoloniali negli anni ’20 e nel secondodopoguerra - Congo, Algeria, per nonparlare dell’ Angola e Mozambico, dellaRodhesia o del Sudafrica).

Dato il suo comportamentopolitico e sociale congenitamentecontrorivoluzionario, la piccola borghesiaper proprio conto, nella fase borghese nonpiù storicamente rivoluzionaria, non puòche esprimere e difendere interessi chevanno esclusivamente nella direzione dellaconservazione sociale e della reazione. Aquestoscopolagrandeborghesia lautilizza,e la alimenta: la piccola borghesia, proprioper la sua caratteristica di mezza classe e diimpotenza storica, si aggrappanecessariamente a tutto ciò che la illude diessere o poter diventare una vera e propriaclasse sociale, con un programma storicodistinto da ogni altra classe esistente. E ciòa cui si aggrappa è inevitabilmentel’ideologia borghese, ora nelle versioniradicali ora nelle versioni moderate, oranelle versioni reazionarie. L’ invarianzadell’opportunismo sta tutta qui: ruolosociale e politico conservatore econtrorivoluzionario. Nello svolgerequesto ruolo, e tentare di avere “peso”nella società, la piccola borghesia si basasulle proprie condizioni materiali che lalegano drammaticamente alla piccolaproduzione, alla piccola proprietà di cuidifende interessieconfini, eda cui derivanole posizioni politiche immediatiste,autonomiste, bigotte e razziste che lacaratterizzano.

La vicinanza di gran parte deglistrati piccolo borghesi al proletariato,d’altra parte, consente alla piccolaborghesia di trasmettere al proletariatostesso - e quindi di influenzarlo - le proprieposizioni, le proprie illusioni, le propriesuperstizioni, le proprie paure, le proprieambizioni. Per la conservazione sociale ela difesa degli interessi borghesi generaliquesta opera di influenzamento delproletariato si è dimostrata molto preziosae, in molte fasi della lotta fra le classi,determinante. Alla grande borghesia,direttamente, non riuscirebbe di ottenereil risultato di rincretinire e isterilire cosìcapillarmente e durevolmente le masseproletarie come invece riesce alla piccolaborghesia; con la grande borghesia, con igrandi padroni, con i potenti l’antagonismosociale emerge in modo più evidente; alcontrario, con la piccola borghesia, anche

per effetto dell’ entrare nei ranghi proletaria causa delle crisi e della rovina economicaconseguente di questi strati, e di uscirnenei periodi di espansione e di ripresaeconomica del capitalismo, l’antagonismosociale - soprattutto nei paesicapitalisticamente sviluppati - è molto piùconfuso e impalpabile e spesso vieneperecepito come antagonismo individualepiù che sociale.

Mentre la grande borghesia, difronte alle acute crisi economiche e socialiha dimostrato di “scoprire le carte” edichiarare la sua dittatura di classe senzamolti scrupoli - come nei mille casi didittatura militare o nei casi di dittaturafascista - assumendo direttamente icontenuti “riformistici” cari all’opportunismo e utili al controllo socialedel “popolo”, macaratterizzando la propriagestione del potere politico con lasistematica repressione di ogni attivitàcosiddetta “illegale”, “antistatale”,“antinazionale”, la piccola borghesia alcontrario ha bisogno della democrazia edell’ambiente democratico come l’aria perrespirare. Nell’ ambiente democratico lapiccola borghesia ha la possibilità disfruttare al massimo tutte le sue doti diruffianeria e mediazione, così da gonfiarein proporzioni geometriche gli spazipolitici, sociali ed economici che losviluppo della società capitalisticapermette; e non è un caso che la piccolaborghesia, nei paesi a capitalismosviluppato e perciò più industrializzati,sguazza nel settore del commercio, deicosiddetti servizi, dell’amministrazione,della burocrazia, della cultura,dell’informazione, della religione, dellosport, più che nel settore dell’artigianato,della piccola produzione, dell’agricoltura.In questi ultimi settori, sempre per i paesicapitalistici sviluppati, e che attengonoancora al mondo della produzione, cifiniscono piuttosto ex operai cacciatiritiratisi dalle fabbriche, nell’ illusione diprolungare il mestiere di produttore“mettendosi in proprio”, avviandoun’attività individualeacarattereartigianaleo agricola.

Ma la DEMOCRAZIABORGHESE di oggi non è più quella dellaprima fase storica della borghesiarivoluzionaria, e nemmeno quella dellaseconda fase della borghesia liberale. GiàMarx ed Engels avevano svelato non solo ilimiti ma la sostanziale falsità, pur nellasua evoluzione, della democrazia borghesecome pretesa formula definitiva dellagestione politica della società.

Con la prima, e soprattutto con laseconda guerra mondiale, la democraziaborghese è diventata sempre più la facciatapolitica ed ideologica della classedominante senza alcuna possibilità dimodificare anche solo in sensoriformistico le condizioni di sopravvivenzadella stragrande maggioranza dellapopolazione.

Essa maschera sempre piùmalamente la reale dittatura di classe dellaboghesia. Essa è sempre più una colossaleMENZOGNA. La libertà tantoinvocatadaidemocratici e da ogni borghese si riduce,nella realtà della società capitalistica, nellalibertà di ciascuno di vendere la propriaforza di lavoro e nella libertà di altri dicomprarla: per la maggior parte degliuomini questa “libertà” si traduce inuna tragica necessità, avendo comealternativa la totale miseria e la fame.Questa menzogna è però la linfa vitaledell’ideologia borghese, e la piccolaborghesia non ha altra fonte ideologicaa cui abbeverarsi: se ne nutre, se neinnamora, se la fa “sua”, la invoca, larivendica, supplica i potenti di noncalpestarla, e la difende con le unghie econ i denti perché in essa identifica ilproprio prestigio sociale e la propriadifesa economica e politica.

L’ OPPORTUNISMOnonpotevabasare le proprie posizioni, e le proprierivendicazioni, che sulla democrazia.Dunque la democrazianonèsoloil “migliormetodo di governo della classedominante borghese”, perché riesce acoinvolgere il proletariato nella difesadegli interessi generali del capitalismo(vedi Lenin), ma è anche lo strumentocontrorivoluzionario specifico chel’opportunismo utilizza nei confronti delproletariato per deviarlo dal terreno dilotta classista e, soprattutto, dal terrenorivoluzionario.

E tale strumentocontrorivoluzionario è utilizzato in tutte lesituazioni e in tutte le fasi della lotta diclasse; soprattutto dopo la seconda guerraimperialistica mondiale e le esperienzedel fascismo e del nazismo, viene usatoanche come azione preventiva rispetto aitentativi del proletariato di riconquistare ilsuo terreno di lotta classista e diriorganizzarsi in associazioni di difesaclassiste.

La democrazia liberale riuscì aportare il proletariato delle diverse nazionialla carneficina della prima guerraimperialistica mondiale, ma non riuscì aprevenire, o comunque a debellare fin dalloro nascere, i movimenti proletaririvoluzionari e comunisti che negli annidal 1917 (ma quello tedesco fin dal 1915,e quello russo fin dal 1905) in poi scosserola dominazione borghese mondiale a talpunto da vincere in Russia, e dal potervincere anche in Europa occidentale oltreche in Asia. Ci volle il fascismo italiano,prima, e il nazismo tedesco poi, per darealla borghesia dominante strumenti dipotere forti e concentrati tali da potercondurre un’azione repressiva a vastoraggio e per lungo tempo: vent’anni inItalia, dodici anni in Germania, ai quali siaggiunsero il militarismo nordamericanoe giapponese (sebbene uno democratico el’altro imperiale) e lo stalinismo in Russiae su tutto il movimento proletario ecomunista mondiale. Ebbene, l’azionecombinata del fascismo - ossia delladittatura borghese e imperialistica aperta edichiarata - e dello stalinismo - ossiadella degenerazione democratica enazionale del movimento rivoluzionario ecomunista mondiale - ha prodotto lasconfitta più atroce che il proletariatoabbia mai subito nella storia del suomovimento di classe.

Dal testo di partito “Il corsostorico del movimento di classe delproletariato. Guerre e crisiopportunistiche” (Tesi della Sinistra, in“Prometeo” n.6, Marzo-Aprile 1947):

“Con la parola ‘opportunismo’non si volle esprimere, negli anni 1914-1919, un semplice giudizio morale sultradimento dei capi del movimentorivoluzionario, che, nel momento decisivo,si rivelarono agenti della borghesia,diffondendo parole d’ordinediametralmente opposte a quelle dellapropaganda che avevano svolta per anni.L’opportunismo è un fatto storico esociale, è uno degli aspetti della difesadi classe della borghesia contro larivoluzione proletaria; anzi può dirsiche l’opportunismo delle gerarchieproletarie è l’arma principale di questadifesa, come il fascismo è l’armaprincipale della strettamente connessacontroffensiva borghese; sicché i duemezzi di lotta si integrano nello scopocomune”.

Dunque, l’opportunismo è unodegli aspetti della difesa di classe dellaborghesia, e la corruzione delle gerarchieproletarie risulta storicamente l’armaprincipale di questa difesa. Quindil’opportunismo risponde sempre adun’azione preventiva (azione di difesa,appunto) della classe dominante

borghese, e in quanto azione preventivaprepara il terreno per la controffensivaborghese (il fascismo) che si scatenerà inpresenza di un movimento di classerivoluzionario in grado di aggredire ilpotere centrale. I due mezzi di lotta dellaborghesia si integrano, appunto, nelloscopo di difendere e conservare il dominioborghese sulla società.

Ma come agisce effettivamentel’ opportunismo?

Rileggiamo ancora il testo oracitato:

“La caratteristicadell’opportunismo è data dal fenomenoper il qualenei momenti critici della societàborghese, che erano appunto quelli in cuisi intendeva lanciare la parola per lemassime azioni proletarie, gli organidirettivi della classe operaia ‘scoprono’che è invece necessario lottare per altriobiettivi, che non sono più quelli di classe,ma che rendono necessaria una coalizionetra le forze di classe del proletariato eduna parte di quelle borghesi”.

In questa definizione troviamo lacaratteristica di fondo dell’opportunismo,ma non se ne deve concludere che l’opportunismo emerga, si presenti alproletariato soltanto nei momenti criticidella società borghese. Dicevamo che essoè fatto storico e sociale, che ha dunquebasi materiali e sociali per una funzionepermanente nella società borghese.

E che cosa ottiene l’opportunismo dal suo agire?

“Poiché la coscienza politica deilavoratori riposa soprattutto nella vigoriae nella continuità di azione del loro partitodi classe, allorché i capi, i propagandisti, lastampa di questo, improvvisamente, all’aprirsi di situazioni decisive, parlano l’inatteso linguaggio che viene loroispirato dalla riuscita manovra dellamobilitazione degli opportunisti daparte della borghesia , segue ildisorientamento delle masse , ed ilfallimento pressochè sicuro di ognitentativo di azione indipendente”.

Quindi lo scopo reale dell’azionedell’opportunismo nei confronti delmovimento di classe del proletariato èquello di disorientarlo, deviarlo, spezzarloe portarlo al fallimento. Se si tratta dieffettivo movimento di classe, vuol direche la sua azione è indipendente dallapolitica (e quindi dagli obiettivi, dai metodie dai mezzi della conciliazioneinterclassista) e dagli apparati dellacollaborazione fra le classi. Perciò per farfallire ogni tentativo di azione classista daparte del proletariato, la borghesia habisogno che la direzione opportunista delmovimento proletario lo renda dipendentedagli obiettivi, dai metodi e dai mezzi dellaconciliazione interclassista, quindi dagliobiettivi, metodi e mezzi borghesi. Ed èciò che essa ha ottenuto grazie alle diversefasi dell’ opportunismo, fino allostalinismo e al post-stalinismo odierno.

C’è stata una fase storica, quellarivoluzionaria borghese iniziale, in cui laborghesia ha combattuto non solo controil feudalesimo e le sue sovrastrutturepolitiche, ma anche contro le primeassociazioni operaie indipendenti (vedi leleggi napoleoniche contro la costituzionedi libere associazioni di lavoratori); nellafase storica successiva, di consolidamentoed espansione capitalistica nel mondo, laborghesia (l’epoca del riformismo) le hatollerate, le ha autorizzate e lasciatecrescere tentando comunque di catturarleideologicamente e politicamenteattraverso dosi sempre più crescenti di“democrazia”. Ma nella terza fase storica,quella dell’ imperialismo l’atteggiamento

(Segue a pag. 10)

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IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '9910

dato la spinta ad un certo corporativismoall’ interno dello stesso Coordinamentounitario e di tutte le organizzazioni deidisoccupati. La rivendicazione che deveesprimere un Coordinamento che tendead essere realmente unitario deve essereprincipalmente la richiesta di unSalario, contro lavoro o non lavoro chesia. Il problema di “come”, non è unproblema dei proletari, non è un problemanostro, ma è un problema dei borghesi,delle loro istituzioni e del loro Stato. Ilnostro problema, il problema dei proletariè quello di imparare a lottare, a lottare sulterreno classista a difesa esclusiva delleproprie condizioni materiali di vita, edi lavoro, grazie alla quale lotta ci siriconosce come classe antagonista delleclassi borghesi e del loro Stato. Le“soluzioni definitive” per pochi sono soloun’ illusione che serve a spaccare ilmovimento, e la questione della “raccoltadifferenziata” rispondefedelmentea questogioco.

Il movimento cosiddetto di“destra” è nato immediatamente eparallelamente allo sviluppo delCoordinamento unitario. Esso harappresentato e rappresenta unaprevenzione ad una eventuale “esplosione”della piazza; chequindiè data per possibile.Un dialogo e un confronto chiarificatoreverso queste sigle sarebbe stato e lo ètuttora il solo modo per controbatterequesta politica. Ma la strategia degliopposti estremismi, storicamentecollaudata con successo, sarà ancora lascelta politica mirante all’ inibizione dellacrescita di un reale movimento di classe.

Il 20 dicembre si riunivano aNapoli varie realtà, cosiddette antagoniste,diMilano, Livorno, Roma,Acerra, Caserta,Frosinone, Napoli, ViboValentia, Cosenzaed i rappresentanti dei sindacati di baseUSI, SinCobas, Coordinamento NazionaleCobas. Riunitisi già precedentemente inun paio di preassemblee, l’ ultima del 15novembre a Frosinone, queste realtà siformalizzavano in Coordinamentonazionale nell’ intento di far fare un saltodi qualità al movimento e consentirgli unacerta continuità ed incisività, superandodunque “una battaglia - si legge nel lorovolantino - finora costretta nei limiti diepisodicità contingente”; allaformalizzazione organizzativa non siaccompagnava però una piattaformarivendicativa intorno alla quale le diverserealtà chiamate ad aderirvi avrebberodovuto riconoscersi e quindi assicurare,ognuna nelle proprie sedi, omogeneità diimpostazione e di azione.

Il volantino era firmatoCoordinamento Nazionale LSU/LPU. All’apparenza sembrava che in un mese siriusciva a concretizzare a livello nazionalequello che localmente non si era mairiusciti a fare. Ci fa certamente piacereche esista un Coordinamento nazionale,ma ci chiediamo come sia possibile un’organizzazione nazionale se prima non siriescono a superare certe contraddizioni alivello locale. Anche se nelle intenzionidelle varie avanguardie il Coordinamentonazionale è aperto a tutte le realtà, di fattoesso tende a portare ad un certoallontanamento le organizzazioni deidisoccupati.

Questo Coordinamentonazionale, in effetti, compartimenta LSU edisoccupati, estraniando gli uni dagli altri.La firma “Coordinamento nazionale”sembra dare più forza e fattibilità allarivendicazione dell’ assorbimento degliLSU nelle piante organiche dei vari enti ecomuni, ma estranea completamente idisoccupati, che partono da unaangolazione diversa. Manca, comedicevamo, una piattaformarivendicativaaggregante che nonpuò mai prescinderedal principio del diritto a campare,lavoro o non lavoro, e che investe quindianche i senza lavoro. Le manifestazionisuccessive avvalorano la nostra tesi.

La giornata di mobilitazioneterritoriale degli LSU del 13 gennaio,coordinata a livello nazionale (ovviamenteda questa iniziativa sono esclusi gli LSUcosiddetti sindacalizzati, ossia manovratida CGIL, CISL, UIL) si traduceva a Napolinell’ occupazione del Collocamento. IlCoordinamento nazionale chiedeva unincontro col ministro Bassolino a Roma.

Il movimento napoletanodei senza lavoro e dei senza salario

Mentre il 16 gennaio toccava aicentri sociali assieme al “Movimentodisoccupati in lotta per il lavoro”, idisoccupati di Acerra e lo SLAI Cobas,promuovere una manifestazione dicarattere nazionale a Napoli sul tema del“Lavoro o Salario garantito” e dei “Servizisociali gratuiti” per i disoccupati contro lastrategia d’ attacco del governo. Allamanifestazione aderivano comunque,anche se non promotori, gli studenti, ilMovimento di Lotta LSU ed altri spezzonidi movimento. Il corteo era molto nutritoe percorreva le strade principali del centrostorico. La tensione saliva subito alta. Avia Duomo venivano incendiati i soliticassonetti della spazzatura e lasciati alcentro della strada. Più avanti, nei pressi dipiazza Cavour,ungruppettodimanifestantisi sganciava dal corteo e, penetrando nelMuseoNazionale, raggiungeva labalconataprincipale dove sventolavano le bandiereeuropea e nazionale; queste venivano tirategiù ebruciate, mentreal loropostovenivanoissati simbolicamente una bandiera rossaed uno striscione. Anche se tra moltatensione, il corteo riusciva comunque aconcludersi. Qualche giorno dopo, com’era prevedibile, partivano formalmentealcune denunce per gli autori del gesto alMuseo Nazionale.

Per il 21 gennaio gli LSUcoordinati a livello nazionale ottenevano l’agognato incontro a Roma, non conBassolino, ma col sottosegretario Viviani.Le notizie che giungevano da Roma eranole solite: il governo rimaneva attestatosulla stessa posizione mostrando il “pianoper l’ occupazione”già definitodalla Legge

468. La lotta degli LSUcontinuava a livelloterritoriale con diverse scadenze.Pensiamo che, dai loro cortei meno accesie comunque molto meno carichi ditensione, traspaia una valutazioneottimistica della situazione dovuta allaquestione del 30% riservata agli LSU einerente le assunzioni nella PubblicaAmministrazione. A parte il fatto cheattualmente non ci sono novità al riguardo,se non l ‘impegno di Bassolino amonitorare le piante organiche, bisognaessere cauti per non cedere a cattiveinterpretazioni. Assunzioni con contrattoa tempo indeterminato sono possibili inlinea teorica soprattutto se utilizzatepoliticamente come risposta strategica adun forte movimento di piazza. Ma bisognaconsiderare l’ aspetto generale dellapolitica governativa di precarizzazione eflessibilità del lavoro che continuaindisturbata.

Un’altra iniziativa a Napoli, presaall’ inizio di febbraio dal “Movimentodisoccupati in lotta per il lavoro”assiemeai centri sociali, circa 200 persone, siconcretizzava con l’ occupazione dell’ANM, azienda dei trasporti pubblici, aFuorigrotta. L’ iniziativa metteva in primopiano la rivendicazione di servizi socialigratuiti e, nell’ occasione, intendevaottenere un incontro con il direttore, poiaccordato. Questo direttore dichiarava di“stare coi disoccupati” ed era propenso a“trovareunasoluzione”.Parechecidovesseessere un successivo incontro alla presenzadi un’ istituzione locale, ma, come al solito,non se ne è saputo più nulla.

Dal pacchetto Treu, alla stessa468, i patti territoriali ed i contratti d’area,arriviamo al nuovo decreto che sta perpartire sul part-time e la riduzione d’ orariocontrattata, le nuove direttive che sarannoinviate a Italia Lavoro (erede della Gepi),nella fattispecie ad Alter, sua derivatasocietà pubblica inerente l’ avviamentodegli LSU al lavoro interinale (lavoratoriin affitto); la conseguente riforma delcollocamento con l’ abolizione delle listee l’ istituzionediuna anagrafedei lavoratorie le regole sul collocamento privato; losvuotamento degli LSU con la lorotrasformazione in LPU - lavori di pubblicautilità -, ovvero “aumento dell’ orario dilavoro a parità di salario”; tutto questo nontranquillizza certo i lavoratori, a parte poiil fatto che non si capisce che finefarebbero, e soprattutto comereagirebbero, i restanti lavoratori LSU cherimarrebbero fuori.

Aggiungendo l’ ulteriorechiusuradelle fabbriche, la crisi latente nei servizicon la massa in mobilità di migliaia dilavoratori, il prepensionamento deicinquantenni, il quadro che abbiamo difronte è di sicuro peggioramento dellecondizioni di vita e di lavoro per i proletari.Qualsiasi “soluzione” sarà comunquefittizia ed inerente alla politica dicontenimento dello scontro sociale cheappare sempre più acuto e tendenzialmentefrontale.

Cosa dire dei disoccupati che,divisi politicamente per sigle, riesconoattualmente a mettere in campo un numeroesiguo di manifestanti ed esserepraticamente in balìa del corporativismo edella conseguente repressione ecriminalizzazione.

La manifestazione dell’ 11febbraioèemblematicaal riguardo.Giovedìmattina un corteo del “Movimentodisoccupati in lotta per il lavoro” partiva dapiazza Mancini diretto verso la sede dellaRegione. Con loro sfilavano i centri socialiSka ed Officina 99, i disoccupati di Acerrae Caivano. La manifestazione andava lisciafino a Santa Lucia, sede della Regione,dove la tensione saliva. L’ orario per cui ladelegazione doveva essere ricevuta erapassato da un po’ e la polizia si schierava inassetto antisommossa intorno al palazzo. Idisoccupati iniziavano a protestarevivacemente, qualche spintone in pochiminuti si trasformava in scontro vero eproprio. Un giovane disoccupato, colpitoda varie manganellate, finiva a terra, ma icelerini continuavanoa picchiarloconcalcial volto e al ventre ingiuriandolo. Imanifestanti tentavano di scappare ma

venivano inseguiti e ancora caricati. Scenedrammatiche in cui le donne non venivanorisparmiate. I disoccupati in quel momentosi rendevano conto della situazione edessendo pochi e disorganizzati sirifugiavanonei palazzi, mentre i negoziantispaventati abbassavano le lorosaracinesche. Ilgiovanedisoccupatovenivaaccompagnato all’ospedale; le contusionigli coprivano parte del corpo mentre ilvolto gli veniva incerottato.

Dopo il bastone arriva la carota.Placati i tafferugli intorno alle h.15,00 unadelegazione veniva ricevuta dal nuovopresidente della Regione. La risposta,analoga agli LSU di Roma, era ovviamenteinsoddisfacente. Nessuna prospettivaconcreta per i disoccupati, forse unallargamento negli LSU. Di fronte alladebolezza del movimento la controparte siirrobustisce e non teme di dare risposteelusive. Alla luce di questo episodioincontriamo in serata nella loro sede idisoccupati e riusciamo a spingere per uncorteo unitario contro la repressione. Nellenostre intenzioni c’era il tentativo, in parteriuscito, di stimolare, attraverso l’ incontrotra le varie avanguardie, un rilancio delCoordinamento unitario che da troppe partiviene osteggiato. Non ci sembra un caso,infatti, che il sabato mattina, 13 febbraio,alla manifestazione erano presenti eneanche formalmente solo alcunirappresentanti sprovvisti di striscione diappartenenza. L’incontro comunquescaturito tra i vari rappresentanti lasciasperare.

Per concludere, dobbiamosegnalare un episodio inquietante ma chedà l’idea del clima che si respira a Napoli.Nella nottata di venerdì 22 gennaio, la sededella redazione napoletana del “IlBolscevico”, organo del “Partito marxista-leninista italiano”, viene colpita edanneggiata da un attentato incendiario.“Degli ignoti - si legge nel volantino dellaloro cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli -agendo nel buio come topi di fogna, dopoaver versato della benzina sotto lasaracinesca hanno appiccato il fuocodandosi alla fuga”. Dallo stesso volantinosi evince che quella sede abbia già ricevutoin passato delle provocazioni con scritte“nazifasciste”.Quella“cellula”organizzavaun presidio a piazza del Gesù il lunedì 8febbraio “contro l’ attentato terroristicointimidatorio” al quale partecipavano unpo’ tutti i rappresentanti di movimento.Questo episodio avvalora ulteriormente lanostra tesi sulla strategia degli oppostiestremismi. Il proletariato napoletano lasta ricollaudando sulla propria pelle.

(da pag. 2)

Niente di buono per il futuro dei lavoratori

della borghesia è cambiato ancora.Leggiamo ancora dal testo citato:

“Nello stadio imperialistico ilcapitalismo, come cerca di dominare inuna rete centrale di controllo le suecontraddizioni economiche e di coordinarein una elefantiasi dell’apparato statale(“spazio” in cui sguazza la piccolaborghesia) il controllo di tutti i fatti socialie politici, così modifica la sua azione neiriguardi delle organizzazioni operaie.(...) in un terzo tempo essa comprende chenon può nè sopprimerle, nè lasciarlesvolgere su piattaforma autonoma, e sipropone di inquadrarle con qualunquemezzo nel suo apparato di Stato, inquell’apparatoche,esclusivamentepoliticoagli inizi del ciclo, diventa nell’etàdell’imperialismo apparato politico edeconomico al tempo stesso,trasformandosi lo Stato dei capitalisti edei padroni in Stato-capitalista e Stato-padrone. In questa vasta impalcaturaburocratica si creano dei posti di dorataprigionia per i capi del movimentoproletario. Attraverso le mille forme diarbitrati sociali, di istituti assistenziali, dienti con apparente funzione di equilibriofra le classi, i dirigenti del movimentooperaio cessano di essere poggiati sullesue forze autonome, e vanno ad essereassorbiti nella burocrazia dello Stato.Com’è comprensibile, questa gerarchia,mentre demagogicamente adopera illinguaggio dell’azione di classe e dellerivendicazioni proletarie, divieneimpotente ad ogni azione che si pongacontro l’apparato del potere borghese”.

Ecco dunque come l’ondataopportunista che corrisponde alla terzafase storica del ciclo borghese, quelladell’imperialismo, si caratterizza: si trattadi un movimento di integrazione nelloStato borghese delle organizzazionioperaie, in primis le organizzazionipolitiche e a seguire le organizzazionieconomiche e sindacali.

Rispetto alle precedenti ondateopportuniste, lo stalinismo - cherappresenta le forze del capitalismonazionale russo spinte a svilupparsigrandementedopola distruzionedeivincoliprecapitalistici presenti nel grande paese -si trova di fronte ad una situazione storicain cui l’emergere del movimento politicocomunista internazionale (l’ Internazionaledi Lenin) e le potenzialità rivoluzionariedel proletariato in Europa occidentale, enon solo, mette in gravissima crisi laresistenza dei poteri borghesi dominanti -e quindi dello stesso partito del capitalismonazionale russo, lo stalinismo appunto, checerca con ogni mezzo di conquistare ilpotere politico in Russia strappandolo alproletariato rivoluzionario -. Esso si poneperciò lo scopo prioritario di distruggereil partito di classe più forte e influente almondo, il partito bolscevico di Lenin: è,questo, compito vitale dellacontrorivoluzione borgheseinternazionale; è la versione “russa” dellacontroffensiva borghese che in Italia e inGermania si chiamò fascismo e nazismo,solo che in Italia e in Germania il fascismorappresenta la controffensiva borghese delcapitalismo maturo, internazionale chesvolge azione “nazionale”, seguita all’azione preventiva dell’ opportunismosocialdemocratico e socialpatriottico neiconfronti di un proletariato che avevadimostrato grandi potenzialitàrivoluzionarie ma non avevavittoriosamente disarcionato la borghesiadal potere politico; mentre in Russia - e neiconfronti di tutti i movimenti rivoluzionaridel mondo sui quali il partito bolscevico el’Internazionale avevano grande influenza- rappresenta la controffensiva del giovaneeancora fragilecapitalismonazionalerussoche si appoggia sulla forza dell’imperialismo mondiale, il quale, una voltache lo stalinismo è riuscito a sgominare lavecchia guardia bolscevica e a disorientaree spezzare il movimento proletariointernazionale, non avrà nessuna validaragione per assalire e abbattere il poterestalinista come invece cercò di abbattere

con ogni mezzo la dittatura comunista delpartito bolscevico di Lenin. S ec’era bisogno di una “controprova” sullacaratteristica controrivoluzionaria dellostalinismo, eccola.

Improvvisamente, col pretestodelritado della rivoluzione proletaria inEuropa, lo stalinismo “scopre” un nuovoobiettivo, diametralmente opposto a quelloche l’Internazionale e il partito bolscevicostesso avevano fino a poco primapropagandato e difeso: il nuovo obiettivodella “costruzione del socialismo in unpaese solo”, il che significò abbandonarela prospettiva e la lotta della rivoluzioneproletaria internazionale, fare quadratointorno al potere statale nazionale,abbandonare ogni movimentorivoluzionario (proletario, come in Europaoccidentale, o nazionale-borghese comequelli anticoloniali in Asia e in Africa) allapropria sorte; di più, ciò significòcombattere contro la prospettiva dell’Internazionale di Lenin (e del marxismo) econtroogni tentativodiazione indipendentedi classe, in qualsiasi parte del mondoavvenisse. Questo obiettivo si associòinevitabilmente con la ricerca dellacoalizione tra forze proletarie e forzeborghesi pretese “progressiste” da opporrealla coalizione delle forze borghesi pretese“regressive” e della supposta “reazionefeudale”; è ovvia la conseguente ricerca dicoalizione fra Stati contro altri Staticoalizzati in un fronte opposto. Il partito diclasse, nella cui “vigoria e continuità diazione” ilproletariatoha l’ unicapossibilitàdi trovare la sua coscienza politica, equindila corretta azione di classe sul terrenodella lotta rivoluzionaria per la conquistadel potere politico come sul terreno dellalotta di difesa immediata, era l’ ostacoloprincipale che andava abbattuto: non ciriuscì del tutto la socialdemocraziasocialpatriottarda, ci riuscì invece lostalinismo, questa nuova e micidiale formadi opportunismo che fece combaciare ladifesa della democrazia (e quindi dellaborghesia “democratica” e degli Stati“democratici”) dal pericolo del fascismo (interpretato come unica espressione dellarepressione statale e restaurazione deipoteri preborghesi) con la “lotta per ilsocialismo” e “per la pace”.

Il disfattismo nei confronti dellalotta proletaria di classe ha raggiunto, conlo stalinismo, un livello ancor più alto chenon con le precedenti ondate opportuniste.E questo fatto contribuisce a spiegare laprofondità che la controrivoluzionestaliniana ha raggiunto rispetto allecontrorivoluzioni borghesi precedenti. Ladistruzione del partito di classe, ladistruzione degli stessi sindacati classisti,la completa falsificazione della teoriamarxista sono le tre grandi sconfitte delproletariato mondiale, sconfitte che lohannofatto indietreggiarediventenni (bastavedere con quale facilità passano lesistematiche misure antioperaiesoprattutto nei paesi a capitalismosviluppato).

Ad esempio, l’opportunismodella 2a Internazionale “scoprì” che gliobiettivi del socialismo ( e quindi anchedella lotta proletaria contro la guerraborghese) dovevano essere messi da parte,e che si doveva invece passare a combattereper quelli borghesi dell’ indipendenzanazionale o della democrazia occidentale(in Germania si doveva lottare per la civiltàcontro la barbarie asiatica e la reazionezarista); ma non ebbe l’ ardire di andareoltre, e affermò che si trattava di una“tregua”nella lottadiclasseeche, terminatala guerra, la lotta di classe e l’internazionalismo sarebbero stati rimessiin primo piano. Si sa che questa promessaera del tutto demagogica: già contro laRussia proletaria e rivoluzionaria dell’Ottobre 1917, i capi opportunisti si unironoalle rispettive borghesie nazionali ereazionarie per combattere la rivoluzione,cosa che fecero dappertutto (vedi, ad es.,Noske e Sheidemann contro Luxemburg eil proletariato tedesco). Il disfattismosocialdemocratico nei confronti delproletariato si formulava dunque nella“tregua della lotta di classe”, resanecessaria dalla pretesa lotta perl’indipendenza nazionale minacciata dapoteri barbari; il disfattismo

LE NUOVE FORME DICOLLABORAZIONISMO INTERCLASSISTA

NON CONTRADDICONOLA SOSTANZIALE INVARIANZA

DELL’ OPPORTUNISMOPOLITICO E SINDACALE

(da pag. 9)

Page 11: Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali;

IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '99 11

nazionalcomunista nei confronti delproletariato si è formulato invece nella“collaborazione in guerra e in pace” tra leforze proletarie e le forze “progressiste”della borghesia, resa necessaria dallapretesa lotta contro il pericolo fascistache si voleva rappresentasse le forze piùretrive e antistoriche della società.

La socialdemocrazia continuò adusare le concezioni marxiste pur piegandola loro terminologia alla prospettiva delgraduale sviluppo sociale verso ilsocialismo, del parlamentarismodemocraticoutilizzabilecome“alternativa”alla via violenta e insurrezionale dellaconquista del potere, del sindacalismoriformista come arma di pressione neiconfronti della “lotta parlamentare edemocratica”. Non osava strapparecompletamente il marxismo e farne gettito.Lostalinismo, e il suonazionalcomunismo,andò molto oltre nell’uso raffinato dellademagogia: esso si impossessò di tutto(partito, soviet,Stato, Internazionale, teoriamarxista), mantennenomi, simboli, parole,e falsificò tutta la sostanza. Nella piùoscena opera di “restyling” marcantile, lostalinismo strappò - molto più di quantonon fece il fascismo nei confronti delcomunismo rivoluzionario e soprattuttodel riformismo socialista - al proletariatorivoluzionario e comunista le sue bandiere,le sue parole d’ ordine, le sue prospettive,le rimodellò in funzione degli interessinazionali del capitalismo russo e forgiò lanuova terminologia, come: “costruzionedel socialismo in un solo paese”, perdipiùarretrato, “sovranità nazionale della patriasocialista”, mercato “socialista”, “guerrapartigiana antifascista”, “coesistenzapacifica”traunpresunto“camposocialista”e “campo capitalista”, ecc.

Lasocialdemocraziapensòaduna“tregua della lotta di classe”, lotta di classeda riprendere a guerra imperialistaterminata; lo stalinismo pensò ad una“coesistenza pacifica” perenne con laborghesia imperialista, aduna lottadiclasseda superareattraverso la “lotta per la pace”,attraverso soprattutto la tenacecollaborazione di classe a tutti i livelli finoalle istituzioni internazionali tipo Onu,affinchè il “mostro nazista” non sollevimai più la testa!

Il vero obiettivo era un altro: sivoleva che il proletariato non risollevassemai più nè testa nè braccia. Per questo, lostalinismo non si limitò a stravolgerecompletamente partito, soviet, Statoproletario, Internazionale, teoria marxista,non si limitò a “chiudere” le frontiere perpoter sviluppare il proprio capitalismonazionale al di fuori delle posibiliingerenze degli altri voracissimicapitalismi nazionali più sviluppati, non silimitò ad abbandonare ogni prospettivarivoluzionaria e internazionalista; fecetuttoquesto accompagnandolo conl’eliminazione fisica sistematica dellavecchia guardia bolscevica, e di tutti gli“oppositori” noti e sconosciuti, attivi opotenziali. Questa vigliacca e spietatarepressione del proletariato rivoluzionarioe comunista non ha nulla da invidiare alledittature sudamericane e alle migliaia didesaparecidos o al cosiddetto “olocausto”.Da più parti si parlò di 1 milione almeno dimorti ammazzati durante le famose“purghe” e la “collettivizzazione”.L’imperialismotacque, coprì lacarneficinastalinista sistematica, non volle “vedere”,non volle “sapere”. La carneficinaimperialista del 1939-1945 era alle porte,e parla da sola. L’importante era che ilproletariato, russo in particolare, e ingenerale il proletariato del mondo intero,non rialzasse la testa, perdesse ognisperanza di possibile vittoria; l’importanteera che scomparisse, anche grazie allamistificazione e alle colossalifalsificazioni, l’esempio vivente dellavittoria rivoluzionaria del proletariatointernazionale: l’Ottobre bolscevico, ilpartito di Lenin, l’Armata rossa guidata daTrotsky, l’ Internazionale comunista! Aquesto doveva servire lo stalinismo primadi tutto: se avesse ottemperato a questa“missionestorica” che la controrivoluzioneborghese e imperialista gli affidò e che lostalinismo per sua natura non poteva cheprendersi a carico, allora avrebbe potutodedicarsi alla costruzione del capitalismoe del mercato nazionale senza dover temereda parte delle forze dell’imperialismo,almeno per un certo tempo, assalticolonizzatori. Lo stalinismo il suo sporcolavoro lo fece evidentemente bene (e siprese il gusto di ammazzare l’isolato ecertamente non più “temibile” Trotsky nel1940 in Messico), tanto che lacollaborazione imperialistica nellaseconda guerra mondiale - e il rinnovatotimore da parte borghese di sollevazioniproletarie e di moti anticoloniali - gettò lebasi non solo per la collaborazioneimperialistica nel successivo periodo di“pace”, e soprattutto di “ricostruzione

postbellica” (alla quale il proletariatoavrebbe dovuto essere convinto ad offrireil massimo delle proprie forze per ilminimo di sopravvivenza, e lo stalinismopensò a convincerlo), ma anche per laspartizione del mercato mondiale in duemastodontiche“zonedi influenza” (i beceri“campi” di cui sopra).

Ebbene, il ruolodell’opportunismo staliniano non solo infunzione“russa”masoprattutto infunzioneinternazionale - ruolo partecipato fino in

fondoda tutti i partitidiretti e sovvenzionatida Mosca, quindi dainemicissimi Togliatti,Thorez e compagnia, compresi i figli e inipoti che abbiamo tra i piedi oggi - hasvolto un compito che nessuna forzadichiaratamente borghese avrebbe maipotuto svolgere, dimostrando così il suovalore storico decisivo per laconservazione borghese e per lacontrorivoluzione.

(1 - continua)

Guerra: * partecipazione alla guerra borghese in coalizioni “democratiche”contro coalizioni “reazionarie” e “naziste” - quindi, ammissionedell’ alleanza non solo fra classi “povere” (operai e contadini) efrazioni borghesi “democratriche e progressiste”, che noi abbiamosemprechiamatoCOLLABORAZIONEINTERCLASSISTA,maanche fra Stati.

* sostegno ai moti di “liberazione nazionale” dei movimentirivoluzionari borghesi anticoloniali, ma solo alla parte delle forzepiù moderate e malleabili rispetto agli interessi dello “Stato guida”cosiddetto socialista. In entrambi i casi la posizione, che ammettela violenza e la guerra, va soltanto nella direzionecontrorivoluzionaria, sia rispetto al proletariato che rispettoalla borghesia rivoluzionaria dei paesi coloniali. E’ quindicontro l’indipendenza del movimento del proletariato, e controi suoi obiettivi rivoluzionari specifici.

* sostenitori della pace, in generale, dopo la fine di ogni guerra (odi ogni conflitto sociale) cui ha partecipato e fatto partecipare lemasse proletarie sul fronte borghese - quindi, pace tra le classi sianella guerra borghese che nella successiva ricostruzioneborghese. Il modo di produzione capitalistico non viene messo indiscussione, capitale e lavoro salariato, merci profitto eplusvalore restano le categorie valide della società,demagogicamente suddivise in “capitaliste” “socialiste”.

* sostenitori della “coesistenza pacifica”, sia tra le classi che tra gliStati, come obiettivospecificodella lotta proletaria: l’opportunismorusso “post-stalinista” coniò la formula della “coesistenzapacifica” definendola nel 1960 “forma mondiale della lottadi classe”; allora si usava ancora una terminologia “classista”, e siammetteva l’esistenza della lotta di classe. Rispondemmo che “lacoesistenza pacifica è la forma mondiale della collaborazionedi classe”. Infatti, “Coesistere, per i russi, significacompartecipare alla spartizione del gigantesco bottino costituitodal plusvalore estorto al proletariato mondiale, in società perazioni con i già consolidati centri della produzionecapitalistica” (dalla RG di Casale, 9-10/7/1960: “L’irreversibilecorso capitalistico dell’URSS”). In quel periodo, l’estremismocinese - forma più infantile di opportunismo - fu contrario allaformula russa della “coesistena pacifica” perchè la Cina dell’epocasi trovava nelle stesse condizioni della Russia staliniana del 1928:edificazione della società capitalista, del mercato nazionale, erafforzamento dello Stato nazionale. “Coesistere, per i cinesi,

significa sottostare al diktat dei soci più vecchi e più forti, amantidell’immobilismo, nemici giurati di qualunque rivoluzione (...)L’atteggiamento cinese di oggi nei confronti dell’imperialismo,in particolare USA, è comune a quasi tutti gli Stati che stannoentrando nel clima dell’indipendenza nazionale. E’ comune aquello russo dell’epoca dei primi piani quinquennali...”.In ognicaso, la posizione pacifista dell’opportunismo esprime la tendenzaadevitare (anchecon la forzadelloStato,della polizia edell’esercito,se necessario) che la lotta di classe divampi sull’unico terrenopossibile, quello degli antagonismi di classe esistenti nella societàborghese; e la tendenza a deviare (con qualsiasi mezzo ideologico,politico, sociale) la lotta di classe, nel caso divampi comunque, dalcorretto terreno dello scontro fra le classi in cui la classe proletariaprende coscienza della necessità di organizzarsi in modoindipendente, e non solo sul piano immediato ma anche sul pianopolitico più generale. Il pacifismo demagogicamente sostienel’evitabilità delleguerre: in realtà persegue tenacemente l’evitabilitàdella rivoluzione!

* l’opportunismo, in generale, esprime un sentimento contraddittorionei confronti dello Stato: lo adora, in quanto preteso “ente superpartes”, organismo aldisopra delle classi al quale si richiede diderimere tutti i vari conflitti sociali, ma soprattutto di difendere iprivilegi di classe conquistati; lo odia, in quanto esattore di tasse erepressore.

* l’opportunismo delle gerarchie politiche e sindacali “operaie”individua nello Stato, e nel suo apparato, il luogo, lo “spazio” daoccupare e nel quale ottenere prebende, favori, privilegi; comeindividua nelle istituzioni parlamentari il luogo, lo “spazio” in cuidifendere i più diversi e contrastanti interessi piccolo borghesi e diaristocrazia operaia che esso rappresenta

* l’opportunsimo non sarà mai veramente contro lo Stato, comenon è mai veramente contro la guerra, contro la magistratura,contro le forze dell’ordine costituito, anche se nel suo svolgersicontraddittorio presenta fasi di estremismo e di infantilismocontemporaneamente a fasi di moderazione e di genuflessionetotale alle necessità del capitale. Ma ciò proprio grazie alla suanaturale adesione agli interessi del capitalismo nazionale, e alruolo di difesa di questi interessi borghesi nelle file delproletariato.

* come nei confronti dello Stato, l’opportunismo è per un partito “aldi sopra delle classi”, è contrario fondamentalmente al partito diclasse: perciò esige la democrazia. Nella democrazia, esso ha lapossibilità di trasformare le differenze di classe in differenzedi”categorie”, di “persone”, di “gruppi” i quali, riconoscendo loroil “diritto” di essere tutti rappresentati, trovano nel partitoopportunista il luogo più adatto per farsi rappresentare. Lacollaborazione interclassista è esigenza vitale della conservazionesociale borghese, sia in pace che in guerra, e spinge quindi le forzedell’opportu-nismo a privilegiare tutti quegli aspetti, tutti quei

comportamenti, tutte quelle rivendicazioni che più efficacementerappresentano quella collaborazione. Ma le contraddizioni sociali,e di classe, esistono, continuano ad esistere e, pur con alti e bassi,si rendono in fasi diverse più o meno acute; perciò l’opportunismo- che ha per compito spcecifico quello di deviare il proletariatodalla lotta di classe e di spezzarne ogni tentativo indipendente - non

può prescindere dal fatto di dover organizzare masse proletarie per influenzarle econtrollarle meglio: e di queste masse per lungo tempo ha dovuto in qualche modorappresentare, almeno sul piano immediato, rivendicazioni anche specifiche.

* La collaborazione dell’opportunismo consiste:a) nei periodi di espansione economica e di “pace” nel giustificare verso la borghesia

dominante nazionale le “garanzie” e le rivendicazioni di “miglioramento” per ilproletariato data l’abbondanza di briciole che il capitale è disponibile a gettare aiproletari, e verso il proletariato nel giustificare l’alleanza e la complicità con laborghesia e con lo Stato borghese dato il supposto “maggior peso” delle masselavoratrici in parlamento e nella società, a coronamento di una presunta “giustiziasociale” da ottenere attraverso i mezzi pacifici e legalitari;

b) nei periodi di recessione e di crisi, nel giustificare verso il proletariato le richiestedella classe dominante nazionale e del padronato in genere quanto a maggiori sacrificiin termini di sforzo lavorativo e di abbassamento salariale, come in termini didisoccupazione, a causa della poca competitività delle merci nazionali rispetto allaconcorrenza straniera e mondiale, e verso la borghesia dominante nazionale nelgiustificare il proprio ruolo di controllore e pacificatore sociale da contraccambiarecon un maggior coinvolgimento delle gerarchie opportuniste nella gestione dei poteri,centrali e periferici;

c) nei periodi di crisi di guerra e di guerra guerreggiata, la collaborazione interclassistasposta tutto il proprio peso sul fronte della borghesia nazionale a difesa degliinteressi specifici del capitalismo nazionale contro i soliti “aggressori” stranierie contro i soliti “disfattisti” interni, fino ad assumere direttamente la gestione delpotere politico per conto delle classi borghesi, diventando partito di governo. Versoil proletariato l’azione dell’opportunismo è direttamente controrivoluzionaria, etanto più lo è quanto più si accanisce nella difesa della “democrazia”: in questo caso ildisegno prevede la continuità nel tempo e nello spazio del metodotricolore, del metodo collaborazionista, quindi della lotta della borghesia contro ilproletariato fatta con altri mezzi che non la repressione pura e semplice. Inogni periodo, comunque, la funzione del collaborazionismo interclassista èdirettamente proporzionale alle necessità di difesa del potereborghese e della conservazione sociale.

* allo stesso modo in cui tutta la sovrastruttura politica borghese si adegua alla nuova faseimperialistica dello sviluppo capitalistico, così anche i partiti opportunisti cambianoveste e organizzazione allo scopo di aderire in modo sempre più efficace alle nuove,o rinnovate, esigenze della società borghese. In questo modo essi si dispongono,molto più che in precedenza e con molta più rapidità, a cambiare programma politico,tesi, statuto, alleanze, simboli, personale, parole d’ordine, rivendicazioni, obiettivi equant’altro possa servire per riuscire nello stesso tempo gradito ai poteri costituiti eutile a infinocchiare i proletari. La continua ricerca del “nuovo”, della “novità”, delle“situazioni impreviste” è l’altra parte di “lavoro” che l’opportunismo fa: di fronte asituazioni “nuove” ed “impreviste” esso ha più possibilità di giustificare il cambio dirotta, l’obiettivo opposto a quello precedente, il passo indietro!

* Ma, rispetto a situazioni in cui il partito di classe esiste ed agisce con una certa influenzasul proletariato, i partiti dell’opportunismo - perdendo in questo modo peso e credibilitànei confronti della loro “clientela primaria” - si pongono anche un altro compito: quellodi corrompere, con ogni mezzo, il partito di classe anche se ciò significa abbandonareperun certoperiododi tempolapiù tranquilla,piacevoleeapertaattivitàcollaborazionistasotto le ali protettrici del padronato e dello Stato borghese. Essi sanno, per esperienzastorica, che senza la direzione decisa, cosciente e coerente del partito di classe, ilmovimento proletario sbanda, si spezza e infine si rovina completamente. A questoscopo il fronte opportunista è capace di “rompersi” in cento pezzi, in cento tendenze,ognuna conposizioni e rivendicazioni particolari, dallepiù pacifistebigottee reazionariealle più estremistiche; ognuna di essa agisce nel tentativo di catturare una parte delmovimento proletario, staccandola dal movimento generale di classe, mettendola incompetizione con le altre parti del proletariato: e tutto ciò riuscendo anche ad agitarerivendicazioni “classiste”, forti, fino a quelle di tipo terroristico e armato.

Pace:

Stato:

Partito:

BANDITISMO IMPERIALISTAIN IRAK

inglesi hanno dichiarato con fierezza chegliospedali avrebberopotuto farpartedegliobiettivi da bombardare, qualora fosseroutilizzati per nascondere armi!) non fannosolo un favore agli americani...

Dopo l’ ultima crisi, gli Stati Unitiavevano quindi dichiarato che si sarebberoriservati il diritto, la prossima volta, diagire senza l’ intermediazione dell’ ONU.Poco tempo dopo, abbandonando per laprima volta la retorica “onusiana” sullaricerca di “armi di distruzione di massa”che l’ Iraq nasconderebbe (la polizia e l’esercito iracheno sono autorizzati apossedere armi unicamente utilizzabilicontro la propria popolazione e contro icurdi), la ministra americana degli Affariesteri ha affermato che gli Stati Uniti nontoglieranno mai l’ embargo finché SaddamHussein - che l’esercito americanovittorioso ha volontariamente lasciato alpotere - sarà in vita! Non restava altro dafare che provocare un’altra crisi e lanciarel’attacco (se la procedura per l’impeachment non avesse paralizzato ilgoverno) per far accantonare di nuovo, eper un bel pezzo, qualunque idea di porrefine all’ embargo. Se vi sono lettoripreoccupati per la sorte dell’orco SaddamHussein, sappiano che è molto più utileagli Stati Uniti da vivo che da morto...

Gli imperialismi europeiprotestano con discrezione o appoggianodebolmente gli Stati uniti, salvo la GranBretagna che molto interessatamente staal fianco di Washington. Ma attenzione anon sbagliarsi! Anche gli imperialismieuropei sono responsabili della disastrosasituazione in cui vivono le masse irachene.Se oggi prendono le distanze daWashington è solo perché ambiscono allericchezze del sottosuolo iracheno e aivantaggi della ricostruzione del paese.

Tanto per gli uni quanto per glialtri, la sorte delle popolazioni è l’ ultimadelle preoccupazioni; le diatribe contro ilregime di Bagdad non possono far

dimenticare che essi si sono adeguati aquesti metodi, a questi misfatti e a questicrimini finché hanno potuto fare affari conlui o servirsene al meglio per i propriinteressi. L’ odore del petrolio nasconde l’odore del sangue, sia del sangue versato daeserciti e bombardieri democratici, siaquello sparso per mano dell’ esercito edella polizia della dittatura irachena.

Per fermare questa interminabileserie di crimini, di atti di banditismo, pervendicare le vittime innocenti che cadonosotto le bombe o che muoiono di miseriae di fame, esiste un solo mezzo: la lottaproletaria indipendente einternazionale contro il sistemacapitalistico, prima di tutto contro ladittatura capitalistica dei paesiultrasviluppati e democratici, qui danoi nell’ opulenta Europa; la dittatura diSaddam Hussein non è che l’altra facciadella medaglia degli imperialismidemocratici occidentali che l’ hannoforaggiata, protetta, sostenuta quando ilmaggiore pericolo per i loro interessi intutta l’area mediorientalesembrava venissedal khomeinismo, oltre che dal fantasioso“impero del male” sovietico.

Disfarsi ora di un così tenace,ambiziosoesanguinario rappresentantedelcapitalismonazionale irachenonon è facilenemmeno per la potentissima Casa Bianca.E non è detto che prima o poi non ce lafaccia. Ma il prezzo che pagherà lapopolazione irachena, e soprattutto ilproletariato e le masse diseredate dellecampagne, sarà un prezzo sempre troppoalto. La lotta proletaria di classe,indipendente da ogni politicanazionalista e falsamenteantimperialista, è la strada sulla qualesi deve incamminare lo stessoproletariato iracheno, superando gliostacoli etnici, religiosi, nazionalisti chele diverse frazioni borghesi irachenefomentano fra le masse allo scopo di potercontinuare a succhiarne il pluslavoro, equindi il plusvalore, anche nella situazionedrammatica in cui il perdurare dell’embargo getta l’ intero paese.

(da pag. 1)

Rispetto al problema della guerra e della pace, le posizioni dell’ opportunsimosono:

Page 12: Il movimento napoletano dei senza lavoro e dei senza salario · paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali;

IL COMUNISTA N° 64-65 Aprile '99

Il programma del Partito comunista internazionaleIl Partito Comunista Internazionale è

costituito sulla base dei seguenti principistabiliti a Livorno nel 1921 alla fondazionedel Partito Comunista d’Italia (Sezionedella Internazionale Comunista).

1. Nell’attuale regime sociale capitali-stico si sviluppa un sempre crescentecontrasto tra le forze produttive e i rapportidi produzione, dando luogo all’antitesi diinteressi ed alla lotta di classe fra proleta-riato e borghesia dominante.

2. Gli odierni rapporti di produzionesono protetti dal potere dello Stato borghe-se che, qualunque sia la forma del sistemarappresentativo e l’impiego della demo-crazia elettiva, costituisce l’organo per ladifesa degli interessi della classe capitali-stica.

3. Il proletariato non può infrangere némodificare il sistema dei rapporti capitali-stici di produzione da cui deriva il suosfruttamento senza l’abbattimento violen-to del potere borghese.

4. L’organo indispensabile della lottarivoluzionaria del proletariato è il partitodi classe. Il partito comunista, riunendo insé la parte più avanzata e decisa del prole-tariato, unifica gli sforzi delle masselavoratrici volgendoli dalle lotte per inte-ressi di gruppi e per risultati contingentialla lotta generale per l’emancipazionerivoluzionaria del proletariato. Il partitoha il compito di diffondere nelle masse lateoria rivoluzionaria,diorganizzare i mezzimateriali d’azione, di dirigere nello svol-

gimento della lotta la classe lavoratriceassicurando la continuità storica e l’unitàinternazionale del movimento.

5. Dopo l’abbattimento del potere capi-talistico il proletariato non potràorganizzarsi in classe dominante che conla distruzione del vecchio apparato statalee la instaurazione della propria dittatura,ossia escludendo da ogni diritto e funzionepolitica la classe borghese e i suoi individuifinché socialmente sopravvivono, e basan-do gli organi del nuovo regime sulla solaclasse produttiva. Il partito comunista, lacui caratteristica programmatica consistein questa fondamentale realizzazione, rap-presenta organizza e dirige unitariamentela dittatura proletaria. La necessaria difesadello Stato proletario contro tutti i tentativicontrorivoluzionari può essere assicuratasolo col togliere alla borghesia ed ai partitiavversi alla dittatura proletaria ogni mez-zo di agitazione e di propaganda politica econ la organizzazione armata del proleta-riato per respingere gli attacchi interni edesterni.

6. Solo la forza dello Stato proletariopotrà sistematicamente attuare tutte le suc-cessive misure di intervento nei rapportidell’economia sociale, con le quali si effet-tuerà la sostituzioneal sistema capitalisticodella gestione collettiva della produzione edella distribuzione.

7. Per effetto di questa trasformazioneeconomica e delle conseguenti trasforma-zioni di tutte le attività della vita sociale,

andrà eliminandosi la necessità dello Statopolitico, il cui ingranaggio si ridurrà pro-gressivamente a quello della razionaleamministrazione delle attività umane.

* * * * *

La posizione del partito dinanzi allasituazione del mondo capitalistico e delmovimento operaio dopo la seconda guerramondiale si fonda sui punti seguenti.

8. Nel corso della prima metà del secoloventesimo il sistema sociale capitalistico èandato svolgendosi in campo economicocon l’introduzione dei sindacati padronalitra i datori di lavoro a fine monopolistico ei tentativi di controllare e dirigere la pro-duzioneegli scambi secondopiani centrali,fino alla gestione statale di interi settoridella produzione; in campo politico conl’aumento del potenziale di polizia e mili-tare dello Stato ed il totalitarismo digoverno. Tutti questi non sono tipi nuovi diorganizzazione sociale con carattere ditransizione fra capitalismo e socialismo,né tanto meno ritorni a regimi politici pre-borghesi: sono invece precise forme diancora più diretta ed esclusiva gestione delpotere e dello Stato da parte delle forze piùsviluppate del capitale.

Questo processo esclude le interpreta-zioni pacifiche evoluzioniste e progressivedel divenire del regime borghese e confer-

ma la previsione del concentramento edello schiramento antagonistico delle for-ze di classe. Perché possano rafforzarsi econcentrarsi con potenziale corrisponden-te le energie rivoluzionarie del proletariato,questo deve respingere come sua rivendi-cazione e mezzo di agitazione il ritorno alliberalismo democratico e la richiesta digaranzie legalitarie, e deve liquidare stori-camente il metodo delle alleanze a finitransitori del partito rivoluzionario di clas-se sia con partiti borghesi e di ceto medioche con partiti pseudo-operai a program-ma riformistico.

9. Le guerre imperialiste mondiali di-mostrano che la crisi di disgregazione delcapitalismo è inevitabile per il decisivoaprirsi del periodo in cui il suo espandersinon esalta più l’incremento delle forzeproduttive, ma ne condiziona l’accumula-zioneaduna distruzionealterna emaggiore.Queste guerre hanno arrecato crisi profon-dee ripetutenella organizzazionemondialedei lavoratori, avendo le classi dominantipotuto imporre ad essi la solidarietà nazio-nale e militare con l’uno o l’altroschieramento di guerra. La sola alternativastorica da opporre a questa situazione è ilriaccendersi della lotta interna di classefino alla guerra civile delle masse lavora-trici per rovesciare il potere di tutti gli Statiborghesi e delle coalizioni mondiali, con laricostituzione del partito comunista inter-nazionale come forza autonoma da tutti ipoteri politici e militari organizzati.

10. Lo Stato proletario, in quanto il suoapparato è un mezzo e un’arma di lotta inun periodo storico di trapasso, non trae lasua forza organizzativa da canoni costitu-zionali e da schemi rappresentativi. Lamassima esplicazione storica del suoorganamento è stata finora quella dei Con-siglidei lavoratori apparsanella rivoluzionerussa dell’Ottobre 1917, nel periodo dellaorganizzazione armata della clsse operaiasotto la guida del partito bolscevico, dellaconquista totalitaria del potere, della di-spersione dell’assemblea costituente, dellalotta per ributtare gli attacchi esterni deigoverni borghesi e per schiacciare all’in-terno la ribellione delle classi abbattute,dei ceti medi e piccolo borghesi e dei partitidell’opportunismo, immancabili alleatidella controrivoluzione nelle fasi decisive.

11. La difesa del regime proletario daipericoli di degenerazione insiti nei possi-bili insuccessi e ripiegamenti dell’opera ditrasformazione economica e sociale, la cuiintegrale attuazione non è concepibile al-l’interno dei confini di un solo paese, puòessere assicurata solo da un continuo coor-dinamentodellapolitica delloStatooperaiocon la lotta unitaria internazionale delproletariato di ogni paese contro la propriaborghesia e il suo apparato statale e milita-re, lotta incessante in qualunque situazionedi pace o di guerra, e mediante il controllopolitico e programmatico del partito comu-nista mondiale sugli apparati dello Stato incui la classe operaia ha raggiunto il potere.

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assicurare, ovviamente, ogni tipo di merceo in quantità. Quando la situazioneinternazionale mise alle corde ilcapitalismo sovietico, e con lui icapitalismi nazionali di tutti i paesi chegravitavano intorno a Mosca, ed esploserole contraddizioni di un imperialismo chenon riusciva a dominare economicamentel’area di paesi che aveva militarmentesottomesso secondo gli accordi di Yalta edi Potsdam, allora ogni tipo di spintacentrifuga fino a quel momento soffocatadal peso dell’imposizione militare si liberòe prese a correre in ogni direzione, ad“allinearsi” sullo schieramento cheappariva come il più sicuro difensore degliinteressi particolari sprigionati dalla crisi.Ciò cheavvennedal 1989 inpoi nei territoridell’ex-URSS, a cominciare dai paesibaltici per finire ai paesi caucasici (altrobel groviglio di problemi etnici, nazionali,religiosi, sociali ed economici), avvenneanche nei territori della ex-Yugoslavia.

Gli imperialismi occidentali, equelli orientali di Giappone e Cina, comeavevano interesse a che dalla ex-URSS nonuscisse una Russia troppo potente - il cheavrebbe rimesso in gioco gli equilibripolitici, ed econimici, che si stavanoavviando nell’ area estremo-orientale - cosìavevanointeresseachedallaex-Yugoslavianon uscisse una Serbia troppo potente, cheavrebbe rimesso in gioco gli equilibripolitici, ed economici, dell’ intera areabalcanico-mediorientale. Gli imperialistipiù potenti sanno che i più piccoli possonoavere soltanto un modo per imporre i propriinteressi nell’ area incui esistono epossonosperare di svilupparsi: quello della politicamilitaresca, dell’uso sistematico al propriointerno e alle frontiere della forza e dellaviolenza guerresca. L’ Irak, stretto com’èfra Israele, Arabia Saudita, e soprattuttoIran, non ha altre vie da percorrere se vuoleimporre la forza del proprio capitalismonazionale se non quella della pressione diguerra, pressione che all’interno ha risvoltimicidiali in termini di fame, miseria emorte di cui soffrono soprattutto le masseproletarie e contadine. La Serbia, strettacom’è fra Turchia, Russia, Austria e Italia,non ha altre vie da percorrere se non quelledella “difesa territoriale” armi alla mano.Gli sbocchi al mare sono già poca cosa daquando la Croazia si è accaparrata laDalmazia, poichè alla Serbia resta l’alleato(fino a quando?) Montenegro e il suosbocco sull’Adriatico; ogni altra viaeconomica e commerciale è complicatada ben 7 paesi confinanti Ungheria,Romania, Bulgaria, Macedonia e Grecia,Albania,Bosnia eCroazia.Tra la situazionein cui è venuto a trovare l’ Irak e quelladella Serbia vi è una certa somiglianza,

KOSOVO : l’umanitarismo peloso degli imperialismi occidentali, e ilcinico terrorismoantialbanese del capitalismostraccione serbo,

sono due facce della stessa medaglia

anche nell’ atteggiamento arrogante,spavaldo e oppressore delle popolazioni alproprio interno (in Irak contro i curdi, inKosovo contro gli albanesi); entrambi sicimentanocontro i più potenti imperialismiper imporre nella propria area la propriainfluenza e la propria politica, e resisterequindi alla pressione di tipo “colonialista”dei grandi imperialismi mondiali, a partiredagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, masenza dimenticare la Germania, l’ Italia e lastessa “amica” Francia. Tale attitudinesedicentemente “antimperialistica” haindotto spesso sedicenti comunisti (comei trotskisti, ad esempio, o come l’OCI) asostenere la causa dell’ Irak contro gliUSA o della Serbia contro le potenzeoccidentali, dimeticandosi casualmenteche l’attitudine dei rivoluzionari comunistiè il disfattismo in pace come in guerra neiconfronti di tutti gli Stati borghesi e lalotta contro la politica di pace o di guerradella “propria” e dell’ altrui classedominante.

Il Kosovo rappresenta una veraspina nel fianco della Serbia, e non tantoper ragioni etniche o religiose (anche sedifferenze etniche e religiose esistono datoche i kosovari non sono slavi e sonomusulmani). La vera ragione è politica,poichè, soprattutto dopo la dissoluzionedella ex-Yugoslavia, la Serbia per imporreil proprio predominio sui territori cheoccupa militarmente - come la Voivodinaa nord e il Kosovo a sud - ha bisogno di unaforte e compatta unione nazionalistica enon può permettersi il lusso di autonomietroppo avanzate perchè queste potrebberorappresentare un pericolo per l’ unionenazionale sotto lo stesso Stato serbo. Nel1974 il Kosovo, che già poneva problemiallo Stato federale, diventava “regioneautonoma” all’interno della repubblica diSerbia. Dopo la morte di Tito, e sull’ondadi manifestazioni nazionalistiche albanesiche rivendicavano l’indipendenza delKosovo, Belgrado, dopo aversistematicamente represso questemanifestazioni, e dopo le prime fasi diguerra contro Slovenia e Croazia chearmano la propria indipendenza statale,giungeasopprimere,nel 1990, l’autonomiadel Kosovo stabilita dalla Costituzione del1974. Da quel momento inizia il calvarioper la popolazione albanese del Kosovo (il90%) vessata, repressa, scacciata,espropriata, bombardata dall’ esercitoserbo che ha il compito di piegarla allavolontà, e agli interessi, della classeborghese dominante serba.

Come di fronte al bagno di sanguesviluppatosi in Bosnia, così di fronte albagno di sangue sviluppatosi in Kosovo, l’opulenta e saziaborghesia europea si limitaper anni ad inorridire, a lamentare i dirittiumani calpestati, a denunciareall’ opinione

pubblica, cioè a tribunali inesistenti, icrimini pepetrati dai serbi e le rappresaglieche i miliziani dell’UCK (letteralmenteEsercito di Liberazione del Kosovo,apparso tra il 1995 e il 1997) realizzanocontro poliziotti e soldati serbi. L’opulentae sazia borghesia europea, come nel casodella Bosnia, non sa che pesci prendere espera in cuor suo che la situazione inKosovo non prenda una consistenzainternazionale tale da dover decidere unaqualche forma di intervento che non sia lasolita, e assolutamente impotente,dell’ONU o dei cosiddetti “osservatoriinternazionali”. Ma la situazione siaggroviglia, diventa acuta; il papa dalVaticano lancia appelli alla pacificazione,Washington si lancia a difendere lacosiddetta pace di Dayton del 1995,Belgrado ammassa truppe nel Kosovo per“stanare ed eliminare” i soliti “terroristi”dell’ UCK, e l’ Europa... sta a guardare.Naturalmente, dal nostro punto di vista,tutto questo risponde ad una logica cheproviene dai rapporti di forza fra le diversepotenze imperialistiche e dalle situazionidi crisi che nel disordine mondiale delpost-1989 si creano in continuazione. Inverità un “nuovo ordine mondiale” non c’èancora; non è stata ancora definita unanuova spartizione del mondo fra le potenzeimperialistiche, ma è questa la direzioneche hanno preso da tempo e nella qualeinciampano continuamente. Per intantosono gli Stati Uniti, col fido alleatobritannico, a dettare le condizioni del“nuovo ordine mondiale”: così per l’ Irak,così per la Somalia, così per la Palestina,così per la Serbia. Ma sono “condizioni”che nemmeno con i bombardamenti diBagdad, o con le strette di mano fra Arafate Netaniau, o con la voce grossa neiconfronti dei Signori della guerra somali,gli Stati Uniti sono riusciti effettivamentea imporre fino in fondo. E con le minaccedi interventi aerei, o con i bombardamentiveri e propri spesso promessi, sullepostazioni serbe in Kosovo per ridurre latenacia di Belgrado a più miti consigli, èancora improbabile che Washington riescaad ottenere una sua “vittoria”: per una voltaancora Washington non riuscirà a far fareagli Stati più deboli ciò che ritiene debbaessere fatto per assicurare al mondo unapacificazione democratica, ma soprattuttoper vantare sul mondo la propria egemoniaimperialistica. La “debolezza” politica ediplomatica degli imperialisti europei (chel’incontro nel castello di Rambouillet alleporte di Parigi ha solo confermato) rispettoalle situazioni dicrisidi guerranellediversezone tempestosedel mondo, e inparticolarenei paesi balcanici che sono una parte dell’Europa stessa, trasferisce obiettivamentedebolezza anche presso l’ imperialismostatunitense il quale, non avendo nei

confronti del Kosovo gli stessi vitaliinteressi come quelli rappresentati daipozzi petroliferi del Kuwait o dell’ Irak,non ha la spinta e il motivo fondato perintervenire militarmente con decisione etempestività. Ciò non significa che gli aereiamericani nonandranno a sganciare bombein Kosovo per colpire i “serbi”, ma che l’intervento militare delle potenzeimperialistiche in Kosovo non saràrisolutivo, come si immaginano invece iborghesi e i pacifisti di tutte le risme chefanno il tifo da tempo per l’intervento Natoo almeno americano attraverso il qualevorrebbero che fosse “fermata” l’ azionerepressiva della Serbia contro i kosovari.

La tragedia del Kosovo non stasoltanto nel fatto che la popolazione diorigine albanese è da tempo oggetto divessazioni e repressione da parte diBelgrado; e non sta soltanto nel fatto che lasua “difesa” in termini di “diritti umani” èstata presa dai peggiori briganti imperialistiche esistano al mondo e la cui “missione”non nè mai quella di venire in soccorso deipopoli oppressi, ma quella di intervenireper stabilire il proprio dominio politico emilitare nei diversi paesi. La tragediaprofonda, e storica, sta nel fatto che lespinte nazionalistiche, combinate colmicidiale coktail dell’ autonomia e dellademocrazia, dominano completamente sulproletariato kosovaro, come hannodominato ieri sul proletariato bosniaco, edominano sui proletari serbi. I proletarisono in realtà ostaggi in mano alle variefazioni borghesi che si scontrano per loroesclusivi interessi di dominio su territori,miniere, campi, fiumi, fabbriche epopolazioni.

La liberazione dall’imprigionamento nelle maglie degliopposti nazionalismi o confessionalisminon potrà mai esserci in virtù dellapacificazione imperialistica, delle “libereelezioni”, degli accordi fra briganti grandie piccoli intorno ad una torta spartita inmodo diverso dal periodo precedente:potrà esserci soltanto se i proletari dell’uno e dell’ altro versante oggi contrappostiimboccheranno la strada della rotturadecisa e definitiva con la propriaborghesia, della rottura dell’ unione sacraintorno alla bandiera nazionale e, quindi,borghese, della rottura con ogni politica eogniorganizzazionechedellaconciliazionedegli interessi proletari con quelli borghesine ha fatto e ne fa la propria caratteristica.

Data la situazione di unione sacrachesi è creata fra proletari serbi eborghesiaserba nei confronti degli albanesi delKosovo - come ieri nei confronti dellaguerra contro i croati o gli sloveni - ilprimo compito che spetta ai proletari serbiè quello di tagliare ogni tipo di solidarietàe complicità con la propria borghesia,lottando perchè l’esercito serbo vengaimmediatamente ritirato dall’azione dipolizia in kosovo e perchè ai kosovari chesono per la stragrande maggioranza diorigine albanese sia lasciato il “diritto” discegliereanche la separazionedalla Serbia;ma, nellostessotempo,ai proletari kosovari

diciamo che non miglioreranno la lorosituazione e le loro condizioni se il Kosovosi separa dalla Serbia: rimarranno sempredei lavoratori salariati cheverrannosfruttatidirettamente dai borghesi kosovari i quali,dopo averli utilizzati come massa dimanovra e d’urto per ottenere l’ autonomiaborghese da Belgrado, provvederanno aspremerli molto di più di quanto non siaavvenutofinora.Perciò, i proletarikosovarinon potranno mai contare sulla borghesiakosovara per migliorare le propriecondizioni di vita e di lavoro, ma dovrannocontare sui fratelli di classe, serbi o diqualsiasialtranazionalità perchè incomunehanno il fatto di essere sfruttati allo stessomodo sebbene da borghesie diverse e fra diloro in accanita concorrenza.

Noi non crediamo che la viadell’emancipazione proletaria in Kosovoe in Serbia sia quella della lotta diliberazione del Kosovo: questa “lotta diliberazione” è tutta borghese, e rispondeesclusivamente ad interessi borghesi. Lavia dell’emancipazione proletaria inKosovo e in Serbia è quella della lotta diclasse , che già i proletari serbiimboccarono con grande vigore edeterminazione negli anni Venti. Se noiavessimo la possibilità pratica di fargiungere le nostre parole ai proletarikosovari e serbi, e di intervenire presso diloro, non potremmo che sostenere questeparole d’ordine:

Contro l’intervento militaredell’esercito serbo in Kosovo, e per ilritiro immediato delle truppe serbe dalKosovo.

Contro l’intervento diplomaticoe militare della NATO o di qualsiasi altroStato borghese.

Contro la “guerra di liberazione”propugnata dall’ UCK, o da qualsiasi altraformazione nazionalista albanese.

Contro l’unione sacra fraproletariato e borghesia, nel campo serbocome in quello kosovaro.

Per la rottura di ogni forma dicollaborazione interclassista, sia a livellopolitico che economico, sindacale emilitare.

Per la riorganizzazione e l’unificazione classista dei proletari, al disopra delle nazionalità di origine, in difesadegli esclusivi interessi immediati egenerali della classe proletaria.

Per la ripresa della lotta di classeperchè è la sola che possa fermare la guerraborghese, fermare gli eccidi e la “puliziaetnica”.

Per la formazione del partitocomunista rivoluzionario, sulla base delprogramma marxista dalla nostraorganizzazione ripropostointernazionalmente, atto a costituirepunto di riferimento politico di tutti iproletari al di sopra di ogni confine eindirizzo della loro lotta verso larivoluzione e la conquistarivoluzionaria del potere politico.

(da pag. 1)


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