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IL PERSONAGGIO L’iridato di Roma vive dal 1989 … · za di tempo, ma Monza ha qualco-sa in più....

Date post: 01-Aug-2018
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SPORT I GIOVEDÌ 9 NOVEMBRE 2017 I IL CITTADINO DI MONZA E BRIANZA I 39 ca, che continuano a lavorare. Ma so che le difficoltà non sono po- che, a livello nazionale e quindi anche locale. Esistono problemi logistici per le famiglie, mancan- za di tempo, ma Monza ha qualco- sa in più. Questa città è casa mia, anche se sono calabrese al 100 per cento». Panetta ricorda da do- ve è partito, ma la città che l’ha adottato ha memoria del suo ap- porto? «Non mi sono mai fermato a pensare alla riconoscenza e sin- ceramente non me ne importa. A dirla tutta, non so neanche se si debba essere riconoscenti. Ma una città che ha avuto tante ec- cellenze, dovrebbe certamente “sfruttarle” di più. Non è da tutti, ad esempio, avere a disposizione un Gianni Bugno, giusto per fare un esempio…». Boston e il muro delle 2 ore Nel podismo, tra gli altri, Monza ha vissuto di riflesso l’alba agonistica di Mebrathhom Keflezighi, vincito- re nel 2009 della Maratona di New York, eritreo d’America e argento olimpico ad Atene nel 2004 dietro Stefano Baldini. Scolaro alle ele- mentari Volta, con la maestra An- gela Lippi, vincerà nel 2014 l’edi- zione 118 della Maratona di Boston, la prima dopo gli attentati che fe- cero 3 morti e 264 feriti. Monza che lo scorso maggio ha visto, oltretutto Eliud Kipchoge correre al di sotto del primato mondiale in autodromo, con un tempo non omologabile. Per soli 25” non era riuscito a infrangere il muro delle due ore sulla distanza dei 42 chilometri in un evento vo- luto dalla Nike. SPORT e Dintorni di Sergio Gianni La vita e un treno in corsa L’antologia podistica di Monza è fatta di tante pagine. E si può non essere uno scrittore, ma nella scrit- tura emerge quel che si è. L’auto- biografia di Francesco Panetta è schietta, a volte ruvida, senza or- pelli e giri di parole. Panetta grattu- gia 20 anni di corse, senza farlo di corsa. Perché, come lui stesso spie- ga: «Un pegno in questa lunga sto- ria l’ho pagato. […] Mi è mancata la quotidianità, durante tutto quel pezzo di vita in cui correvo dietro alla mia anima e il mondo mi scor- reva via veloce. Era come osser- varlo da un finestrino di un treno in corsa». La dimensione intro- spettiva della corsa, in fondo, è proprio la chiave per aprire i segre- ti del cuore del Frank. «Correre è uno stato d’animo, è un modo di es- sere. […] Io sono stato la corsa! […] Sì, ho scritto bene, sono stato. Per- ché a un certo punto quella scintil- la nell’anima è sparita e quella ma- gia svanita». E ancora. «Sono pre- suntuoso? Si, lo sono è questo che mi ha reso, che mi rende diverso soprattutto agli occhi di chi non è come me. […] Fareste i complimen- ti agli uccelli perché sanno volare? Sono solo stato fortunato, un pre- destinato». Scrivere di sé, per Pa- netta, è quindi pagare un tributo alla propria storia: «Uscirò da que- sto guscio, farò uno sforzo perché lo devo al mio mondo». Non c’è bisogno di raccontare Panetta, lo fa lui stesso, in questo “Io corro da solo” (Gemini grafica editrice, 143 pagine, 12 euro). Sotto i suoi piedi e nelle sue parole scor- rono le vicende umane e, voluta- IL PERSONAGGIO L’iridato di Roma vive dal 1989 vicino al Parco: «Nello sport è una città privilegiata» Panetta, un “pirata” a Monza di Stefano Arosio Una figlia 14enne che gioca nell’Inter femminile, un bimbo di 10 che i calci al pallone li tira nel San Fruttuoso. Strade identiche, ma diametralmente diverse a quelle di papà. Uno in grado di conquistare un titolo mondiale e uno europeo, oltre che altrettanti argenti, nei 3000 siepi. Le scelte dei suoi ragazzi non misurano la distanza dal suo passato. Perché Francesco Panetta, “il Pirata”, le scelte le fa e non le subisce. «Riconoscenza? Non ci penso» «Vivo a Monza dall’89, è una città che gode di un territorio privile- giato. Il Parco l’ho consumato in lungo in largo, ma oggi con il lavo- ro sono spesso lontano da casa». Il suo sguardo sulla realtà sporti- va cittadina, forse anche per que- sto, ha quel disincanto che gli per- mette di analizzare con lucidità. «Ci sono realtà, anche nell’atleti- mente, non quelle sportive. Intese come elenco di gare e medaglie. Ci sono i volti di Alberto Cova, Gelin- do Bordin, Alessandro Lambru- schini e Giorgio Rondelli. Golf club, Brianza e cotechino Ci sono strappi, come quello cla- moroso con la Pro Patria, ma so- prattutto ci sono le riletture di fatti noti al grande pubblico e gli aned- doti che ridanno bollicine a vicen- de annacquate dal tempo. E c’è una Brianza che rivive nei test sulla mezza maratona nel Parco di Mon- za, nel 1982, alla sfida sotto l’Aren- gario con il primatista mondiale Steve Jones, o nella Nova Milanese di Mario Ruggiu, fisioterapista de- terminante per la carriera di Pa- netta. «Mario e io sotto gli occhi vi- gili di Giorgio Gandini ogni mattina andavamo sul prato del Golf club di Monza e cominciavamo cammi- nando», racconta ancora Panetta, front runner in gara come nelle pa- role che sceglie per raccontare de- gli inizi difficili, senza soldi e con tanta fame. Metaforica e non. «So- no io che mangio cotechino e len- ticchie con Gaetano Erba nel no- stro appartamento il giorno di fer- ragosto a Milano. Senza un soldo in tasca […] e quel cotechino in scato- la con lenticchie avanzato dal Na- tale precedente che ci levò la fame almeno per pranzo». Cross, mezzo- fondo e tartan non hanno portato Panetta a darsi risposte, quando si è trattato di selezionare il suo mo- mento più alto. «Un singolo passo non significa nulla, se non seguito dal successivo. Ecco perché ho cor- so e un giorno ho smesso. Un solo passo non mi bastava». Dalla pipì sul muro dell’ambasciata america- na, pochi minuti dopo aver vinto il titolo mondiale, alle schegge nel- l’alluce prima della Cinque mulini, nel libro di Panetta si sfogliano i contributi di chi l’ha visto diventa- re un’icona dello sport di fine mil- lennio: da Guido Alessandrini a Franco Bragana, da Walter Bram- billa a Giorgio Cimbrico, Fausto Narducci e Daniele Perboni. n Un’immagine di un giovane Francesco Panetta nel Parco di Monza. È il 1982 e “Frank” si appresta a diventare uno dei massimi esponenti dell’atletica italiana e internazionale IL LIBRO Io corro da solo Un racconto in prima persona Francesco Panetta è nato a Siderno (Reggio Calabria) il 10 gennaio 1963. Aneddoti, emozioni e tante pagine di storia sportiva. Resistendo però alla tentazione di fare solo un elenco dei risultati agonistici. 1963 Zucchetti veterano a 20 anni Lui che al Prato preferisce la pista «Largo ai giovani». La formula, molto accattivante, nel nostro Pae- se spesso rimane un ipocrito pro- clama. Anche in campo sportivo, del resto, diventa diffici- le affidare grandi re- sponsabilità a chi pos- siede una carta d’identi- tà poco datata. Al Team- Service Hockey Roller Club Monza, invece, so- no stati coerenti e hanno appunto rinnovato la formazione di serie A1puntando su un gruppo di giova- nissime promesse. Lo hanno detto e l’hanno fatto. Può così succedere che Matteo Zucchetti, 20 anni, sia il più «veterano» di questa pattuglia di ragazzi terribili. Matteo, toscano di Prato, la sua anzianità di servizio in serie A1 l’ha infatti maturata sul campo, attraverso una stagione vissuta con il Pieve 010 e la seconda che sta appunto trascor- rendo con il club monzese. Qui a Monza, attuale capo- linea di un’avventura sportiva che l’ha già porta- to dalla Toscana alla pro- vincia di Cremona, l’ex gio- catore del Prato 54 si trova benissimo. Abita a Lissone e lavora come impiegato per una compagnia assicurativa. «A cinque anni – spiega – ho inizia- to a giocare a hockey a Prato. E l’hockey è sempre stato il mio sport preferito». Il monzese di Prato ha già arricchito il curriculum giocan- do nelle nazionali Under 15, 17 e 20. Nelle selezioni giovanili ha anche avuto come allenatore Colamaria, tecnico dell’Hrcm. «Lui – aggiunge – è un tecnico molto bravo. In Brianza mi trovo bene e resterei volentieri anche per i prossimi anni. C’è un bel palazzetto e c’è l’incitamento dei ti- fosi. Faccio parte di un gruppo uni- to. Mi sento come a casa mia e non ho rimpianti». Matteo, il più «esper- to» dei giovani monzesi, non ha dubbi nemmeno sulle potenzialità della squadra. E punta in alto. «Ri- tengo che ci manchi solo un po’ di esperienza. Ma c’è una gran voglia di vincere. Considero questo grup- po all’altezza dei playoff». «Il mio sogno – conclude – è la convocazio- ne nella nazionale maggiore». Matteo Zucchetti
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SPORT I GIOVEDÌ 9 NOVEMBRE 2017 I IL CITTADINO DI MONZA E BRIANZA I 39

ca, che continuano a lavorare. Maso che le difficoltà non sono po-che, a livello nazionale e quindianche locale. Esistono problemilogistici per le famiglie, mancan-za di tempo, ma Monza ha qualco-sa in più. Questa città è casa mia,anche se sono calabrese al 100per cento». Panetta ricorda da do-ve è partito, ma la città che l’haadottato ha memoria del suo ap-porto? «Non mi sono mai fermatoa pensare alla riconoscenza e sin-ceramente non me ne importa. Adirla tutta, non so neanche se sidebba essere riconoscenti. Mauna città che ha avuto tante ec-cellenze, dovrebbe certamente“sfruttarle” di più. Non è da tutti,ad esempio, avere a disposizioneun Gianni Bugno, giusto per fareun esempio…».

Boston e il muro delle 2 oreNel podismo, tra gli altri, Monza havissuto di riflesso l’alba agonisticadi Mebrathhom Keflezighi, vincito-re nel 2009 della Maratona di NewYork, eritreo d’America e argento olimpico ad Atene nel 2004 dietro Stefano Baldini. Scolaro alle ele-mentari Volta, con la maestra An-gela Lippi, vincerà nel 2014 l’edi-zione 118 della Maratona di Boston,la prima dopo gli attentati che fe-cero 3 morti e 264 feriti.

Monza che lo scorso maggio havisto, oltretutto Eliud Kipchoge correre al di sotto del primato mondiale in autodromo, con un tempo non omologabile. Per soli 25” non era riuscito a infrangere il muro delle due ore sulla distanza dei 42 chilometri in un evento vo-luto dalla Nike.

SPORT e Dintorni di Sergio Gianni

La vita e un treno in corsaL’antologia podistica di Monza è fatta di tante pagine. E si può non essere uno scrittore, ma nella scrit-tura emerge quel che si è. L’auto-biografia di Francesco Panetta è schietta, a volte ruvida, senza or-pelli e giri di parole. Panetta grattu-gia 20 anni di corse, senza farlo di corsa. Perché, come lui stesso spie-ga: «Un pegno in questa lunga sto-ria l’ho pagato. […] Mi è mancata laquotidianità, durante tutto quel pezzo di vita in cui correvo dietro alla mia anima e il mondo mi scor-reva via veloce. Era come osser-varlo da un finestrino di un treno in corsa». La dimensione intro-spettiva della corsa, in fondo, è proprio la chiave per aprire i segre-ti del cuore del Frank. «Correre è uno stato d’animo, è un modo di es-

sere. […] Io sono stato la corsa! […] Sì, ho scritto bene, sono stato. Per-ché a un certo punto quella scintil-la nell’anima è sparita e quella ma-gia svanita». E ancora. «Sono pre-suntuoso? Si, lo sono è questo che mi ha reso, che mi rende diverso soprattutto agli occhi di chi non è come me. […] Fareste i complimen-ti agli uccelli perché sanno volare?Sono solo stato fortunato, un pre-destinato». Scrivere di sé, per Pa-netta, è quindi pagare un tributo alla propria storia: «Uscirò da que-sto guscio, farò uno sforzo perché lo devo al mio mondo».

Non c’è bisogno di raccontarePanetta, lo fa lui stesso, in questo “Io corro da solo” (Gemini grafica editrice, 143 pagine, 12 euro). Sottoi suoi piedi e nelle sue parole scor-rono le vicende umane e, voluta-

IL PERSONAGGIO L’iridato di Roma vive dal 1989 vicino al Parco: «Nello sport è una città privilegiata»

Panetta, un “pirata” a Monza

di Stefano Arosio

Una figlia 14enne che giocanell’Inter femminile, un bimbo di10 che i calci al pallone li tira nelSan Fruttuoso. Strade identiche,ma diametralmente diverse aquelle di papà. Uno in grado diconquistare un titolo mondiale euno europeo, oltre che altrettantiargenti, nei 3000 siepi. Le sceltedei suoi ragazzi non misurano ladistanza dal suo passato. PerchéFrancesco Panetta, “il Pirata”, lescelte le fa e non le subisce.

«Riconoscenza? Non ci penso»«Vivo a Monza dall’89, è una cittàche gode di un territorio privile-giato. Il Parco l’ho consumato inlungo in largo, ma oggi con il lavo-ro sono spesso lontano da casa».Il suo sguardo sulla realtà sporti-va cittadina, forse anche per que-sto, ha quel disincanto che gli per-mette di analizzare con lucidità.«Ci sono realtà, anche nell’atleti-

mente, non quelle sportive. Intesecome elenco di gare e medaglie. Ci sono i volti di Alberto Cova, Gelin-do Bordin, Alessandro Lambru-schini e Giorgio Rondelli.

Golf club, Brianza e cotechinoCi sono strappi, come quello cla-moroso con la Pro Patria, ma so-prattutto ci sono le riletture di fattinoti al grande pubblico e gli aned-doti che ridanno bollicine a vicen-de annacquate dal tempo. E c’è unaBrianza che rivive nei test sulla mezza maratona nel Parco di Mon-za, nel 1982, alla sfida sotto l’Aren-gario con il primatista mondiale Steve Jones, o nella Nova Milanesedi Mario Ruggiu, fisioterapista de-terminante per la carriera di Pa-netta. «Mario e io sotto gli occhi vi-gili di Giorgio Gandini ogni mattinaandavamo sul prato del Golf club diMonza e cominciavamo cammi-nando», racconta ancora Panetta, front runner in gara come nelle pa-role che sceglie per raccontare de-gli inizi difficili, senza soldi e con tanta fame. Metaforica e non. «So-no io che mangio cotechino e len-ticchie con Gaetano Erba nel no-stro appartamento il giorno di fer-ragosto a Milano. Senza un soldo intasca […] e quel cotechino in scato-la con lenticchie avanzato dal Na-tale precedente che ci levò la famealmeno per pranzo». Cross, mezzo-fondo e tartan non hanno portato Panetta a darsi risposte, quando siè trattato di selezionare il suo mo-mento più alto. «Un singolo passo non significa nulla, se non seguitodal successivo. Ecco perché ho cor-so e un giorno ho smesso. Un solo passo non mi bastava». Dalla pipì sul muro dell’ambasciata america-na, pochi minuti dopo aver vinto iltitolo mondiale, alle schegge nel-l’alluce prima della Cinque mulini,nel libro di Panetta si sfogliano i contributi di chi l’ha visto diventa-re un’icona dello sport di fine mil-lennio: da Guido Alessandrini a Franco Bragana, da Walter Bram-billa a Giorgio Cimbrico, Fausto Narducci e Daniele Perboni. n

Un’immagine di un giovane Francesco Panetta nel Parcodi Monza. È il 1982 e “Frank”si appresta a diventare uno dei massimi esponenti dell’atletica italiana e internazionale

IL LIBROIo corro da soloUn racconto in prima persona

Francesco Panettaè nato a Siderno (Reggio Calabria) il 10 gennaio 1963. Aneddoti, emozioni e tante pagine di storia sportiva. Resistendo però alla tentazione di fare solo un elenco dei risultati agonistici.

1963

Zucchetti veterano a 20 anniLui che al Prato preferisce la pista

«Largo ai giovani». La formula, molto accattivante, nel nostro Pae-se spesso rimane un ipocrito pro-clama. Anche in campo sportivo, del resto, diventa diffici-le affidare grandi re-sponsabilità a chi pos-siede una carta d’identi-tà poco datata. Al Team-Service Hockey Roller Club Monza, invece, so-no stati coerenti e hannoappunto rinnovato la formazione di serie A1puntando su un gruppo di giova-nissime promesse. Lo hanno detto el’hanno fatto. Può così succedere che Matteo Zucchetti, 20 anni, sia ilpiù «veterano» di questa pattuglia di ragazzi terribili. Matteo, toscano

di Prato, la sua anzianità di servizioin serie A1 l’ha infatti maturata sul campo, attraverso una stagione vissuta con il Pieve 010 e la seconda

che sta appunto trascor-rendo con il club monzese.Qui a Monza, attuale capo-linea di un’avventurasportiva che l’ha già porta-to dalla Toscana alla pro-vincia di Cremona, l’ex gio-catore del Prato 54 si trovabenissimo. Abita a Lissonee lavora come impiegato

per una compagnia assicurativa. «A cinque anni – spiega – ho inizia-to a giocare a hockey a Prato. E l’hockey è sempre stato il mio sportpreferito». Il monzese di Prato ha già arricchito il curriculum giocan-

do nelle nazionali Under 15, 17 e 20.Nelle selezioni giovanili ha anche avuto come allenatore Colamaria, tecnico dell’Hrcm. «Lui – aggiunge –è un tecnico molto bravo. In Brianzami trovo bene e resterei volentieri anche per i prossimi anni. C’è un belpalazzetto e c’è l’incitamento dei ti-fosi. Faccio parte di un gruppo uni-to. Mi sento come a casa mia e non ho rimpianti». Matteo, il più «esper-to» dei giovani monzesi, non ha dubbi nemmeno sulle potenzialità della squadra. E punta in alto. «Ri-tengo che ci manchi solo un po’ di esperienza. Ma c’è una gran voglia di vincere. Considero questo grup-po all’altezza dei playoff». «Il mio sogno – conclude – è la convocazio-ne nella nazionale maggiore».

Matteo Zucchetti

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