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LA SALUTEVIEN MANGIANDO
IL PIRULOINNAMORATO
COSì COME FECEROGLI ANTICHI
pag. 4 pag. 22 pag. 23
110Luglio-Agosto 2015
mensile di informazione in distribuzione gratuita
IL PIRULO INNAMORATOIL PIRULO INNAMORATO
l’EditorialeSO
MMAR
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Champagne per brindare a un’amoratoria
La salute vien mangiando
Cesare Battisti
I Giovani, la Scuola, la Famiglia tra Internet e Tv
Il Teramo delle mele Annurche
Raffaele, vita e tagli di un acconciatore
Il libro del mese
L’inchiostro simpatico di Mister Brucchi
La sonda Rosetta
Il pirla nell’ostrica
Note linguistiche
Intervista a Mario Rusconi
Idee e proposte per una scuola veramente buona
L’Oggetto del desiderio
Il Piccolo Principe
Musica
Questa Rai verrà polverizzata
San Bernardino
Il pirulo innamorato
Così come fecero gli antichi
Le Pinciaie
Cinema
Dura Lex sed Lex
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Shop Art
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Floriana Ferrari, Carmine Goderecci, Maria Cristina Marroni, Piero Natale, Orbilius, Leonardo Persia, Sergio Scacchia, Rossella Scandurra, Zapoj Tovariš, Susanna Turco.
Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressione di chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazione né l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche solo parziale, sia degli articoli che delle foto.
Impaginazione: Imago ComunicazionePeriodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. GabrieleOrgano Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa AdriaticoPer la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738Teramani è distribuito in proprio
110diMimmoAttanasiiChampagne per
brindare aun’amoratoria
A dargli retta a quei potentati puttanieri
del cazzo bisognerebbe per prima cosa
chiedere scusa al complemento di spe-
cificazione del capoverso. Dopo sì che ci se
la può prendere di brutto per le loro vessanti
reprimende a sproposito di meritocrazia e
altre virtù; che se poi vai a guardare bene per
la passera devono ogni volta pagare vari sup-
plementi e rilevanti benefit sennò è col com-
plemento di specificazione di cui sopra che
gliela danno. Sempre e comunque aderendo
rigidamente al protocollo d’intesa a seconda
del ruolo di potere che in quel momento
i puttanieri potentati esercitano contro le
fasce sociali più deboli. Al Corriere della Sera
è stata riassunta la diagnosi
di Roger Abravanel e Luca
D’Agnese su scuola e lavoro:
“La disoccupazione giovanile
nel nostro paese ha cause
ben più profonde e lontane
della crisi economica. I ragazzi
italiani non sono preparati al
lavoro del ventunesimo seco-
lo. E la scuola e l’università,
con poche eccezioni, non
riescono a insegnarlo” (La
ricreazione è finita, Rizzoli). Per il governo a
generare la disoccupazione è la mancanza
di investimenti. Altri economisti si rifanno
all’uomo flessibile del sociologo Richard Sen-
net secondo cui l’esempio calzante sarebbe
quello dei panettieri di New York che, dopo
essere stati licenziati, si sono messi a pro-
durre scarpe poiché oltre alla pala sapevano
usare il mouse e le icone sul desktop. Quindi,
glielo ripeto ancora una volta di non dispera-
re e tenere duro al diciassettenne che mi ha
inviato in privato una lunga mail nella quale
implora una moratoria sulle raccomandazioni
politiche che proverò a sintetizzare usando
le frasi più evocative della lettera stessa: “E
proprio mo che sto a finire la scuola, che
un posto fisso papà già me l’ha trovato con
uno che dice lui, che scoppia lo scandalo di
la maffia capitale e che pure Renzo vuole
mettere a posto tutto. Prubbie mo lu te’ a
fa?, ‘ngule comba’ quande so’ sfurtunate!”.
Lo dico adesso e lo ripeterò
poi su queste pagine che
la sedicente meritocrazia
sbandierata metodicamente
da politici corrotti è la foglia
di fico propagandistica a
copertura del ritorno a logiche
censitarie, autoritarie e
oligarchiche. “Il primato della
parola evita la perpetuazione
della disuguaglianza tra ricchi
e poveri” (don Milani).
4 Eventin.110
nelle scuole e al convegno finale che si è svolto nell’aula magna del
Liceo classico. Un ringraziamento particolare va al giornalista e critico
enogastronomico Antonio Paolini che è stato un ottimo referente per i
ragazzi e uno splendido moderatore durante il convegno.
Quali sono i messaggi che avete voluto veicolare ai ragazzi?
Grazie ad un gruppo così eterogeneo di esperti è stato possibile ap-
procciare il problema da più punti di vista, riuscendo a rispondere con
competenza a tutti gli interrogativi che sono arrivati dai ragazzi. Abbia-
mo scelto di legare un tema vasto e complesso come quello della salute
a tavola alle tematiche ambientali, in linea con il percorso tracciato da
Expo 2015. Il rapporto tra cibo e salute, necessario per prevenire i di-
sturbi dell’alimentazione, è stato il filo conduttore gli incontri, che hanno
trattato temi attuali, come l’utilizzo dell’olio di palma, la qualità delle ac-
que, la riscoperta del “chilometro zero” e dell’olio di oliva come alimento
principe della dieta mediterranea fino ad arrivare a parlare delle malattie
connesse alla cattiva alimentazione, come l’obesità e l’anoressia.
Secondo i vostri dati i disturbi alimentari sono molto diffusi tra i
giovani?
Il percorso intrapreso dalla Asl di Teramo, da sempre in prima linea nel
combattere i disturbi alimentari, nasce anche dai dati preoccupanti a no-
stra disposizione: l’Abruzzo è la quarta Regione in Italia per la presenza
dell’obesità infantile, un problema che interessa 10 mila famiglie. C’è poi
l’altra faccia della medaglia, i disturbi della condotta alimentare, come
anoressia e bulimia, che colpiscono sempre più i giovanissimi. Nel corso
degli incontri abbiamo raggiunto 10 scuole e 500 ragazzi, raccogliendo
dati non proprio rassicuranti: ad esempio sono pochissimi, appena uno
su 100, quelli portano lo spuntino da casa per la ricreazione; la maggior
parte dei ragazzi preferisce merendine, soprattutto quelle delle marche
più pubblicizzate o panini e cornetti comprati al bar della scuola. Una
grossa fetta, circa il 30%, ha affermato di non fare colazione prima di
andare a scuola e tra quelli che la fanno solo il 10% afferma di mangiare
prodotti preparati in casa, solo il 5% di utilizzare biscotti da forno al
posto di quelli industriali. Nessuno ha affermato di fare colazione o
merenda con la frutta e appena il 2% legge le etichette dei prodotti. Per
questo stiamo pensando ad una seconda edizione del progetto.
iovani e alimentazione: un tema sempre più dibattuto. Ai tempi
dei social network è difficile per gli interlocutori istituzionali
riuscire a veicolare un messaggio univoco e a smentire le tante
leggende metropolitane che circolano in rete. La Asl ha scelto
di lanciare una campagna incisiva nelle scuole della provincia di Teramo
con il progetto “La salute vien mangiando”. Abbiamo chiesto al direttore
amministrativo della Asl, Maurizio Di Giosia, di illustrare questa iniziativa.
“La salute vien mangiando”, un progetto di cui la Asl è capofila.
Quali sono gli altri protagonisti?
Per la prima volta la Asl è riuscita a mettere in sinergia tutti gli attori che
a vario titolo si occupano di alimentazione, come il Gal appennino tera-
mano, l’Università di Teramo, l’assessorato alle Politiche agricole della
Regione, lo Slow Food, la Camera di Commercio. Gli esperti di questi
Enti ed associazioni hanno affiancato quelli della Asl che si occupano a
vario titolo di nutrizione: Maria Maddalena Marconi, Direttore del Sian,
Servizio aziendale di igiene degli alimenti e della nutrizione, Elisabetta
Modestini, Responsabile del Centro di Auxologia endocrinologia e nutri-
zione dell’età evolutiva ad Atri, Maria Giovanna Nespoli, Responsabile
del Centro di Fisiopatologia della Nutrizione a Giulianova, ma anche il
dottor Tommaso Migale, che ha curato per anni le mense degli asili nido
teramani e la psicologa Emiliana Finizii, che fa parte dell’equipe multidi-
sciplinare del dottor Mario Di Pietro, che hanno preso parte alle lezioni
G
La salutevien mangiandoIntervista a Maurizio Di Giosia
al carnefice austriaco.
Il Dott. Battisti – laureato in lettere presso l’Università di Vienna – appa-
rentemente aveva poco da spartire con la terra d’Abruzzo, lui italiano a
tutti gli effetti, ma austroungarico per cultura e residenza.
Aveva poco da spartire con una città, che era collocata non solo
fisicamente, ma culturalmente quasi agli antipodi rispetto alla ricca e
mitteleuropea Vienna.
Eppure Cesare Battisti ritenne di dover visitare la nostra città per far
comprendere agli italiani tutti la necessità di recuperare all’Italia le terre
irredente.
Animato da forti ragioni patriottiche e dotato di ottime capacità oratorie
attraversò la penisola in lungo e largo con l’intento di fare proseliti alla
causa della guerra, lasciando in Tirolo la giovane moglie Ernesta Bittani,
che poi lo raggiungerà con la famiglia a partire dall’agosto 1914
In ogni città in cui si recava aveva necessariamente contatti con
interventisti del posto ed a Teramo Battisti trovò un valido appoggio in
Giorgio Romani – avvocato di Torricella, che ben volentieri organizzò con
altri il Comizio interventista, che si tenne il 14 febbraio del 1915 nel
Teatro Apollo di Teramo.
Anche Romani era un uomo di grandi ideali, di grandi passioni ed ama-
va la patria così ardentemente da sacrificare per essa la carriera ed il
calore della famiglia dal cui tepore fu tolto poi dolorosamente nel 1917.
Il comizio di febbraio fu affollatissimo. Il giornale Il popolo abruzzese
nella edizione del 16 febbra-
io 1915 sottolineava con
enfasi come nel Cinema
Apollo potessero contarsi
oltre duemila persone tra
cui un numeroso pubblico
femminile, che rimase
affascinato dalle suadenti
e convinte parole, nonché
dalla giovanile esuberanza
di Cesare Battisti.
Ancora Il Popolo Abruzzese
scriveva “…Il suo discorso
fu assai suggestivo e
smagliante nella forma,
denso di ragione…” E fu
sicuramente condiviso dal
pubblico presente, perché
fu “…fragorosamente
applaudito...” anche se non
mancarono le contesta-
zioni per altro misurate dei socialisti presenti – contrari alla guerra. Il
Popolo citava tra i presenti anche l’On. Guido Celli.
Di per sé la notizia può sembrare marginale e di colore istituzionale,
ma il Celli - deputato giornalista, nato a Teramo nel 1878 - vicino per
nascita alla terra d’Abruzzo era già noto alle cronache locali dell’epoca,
perché era stato uno dei sei Onorevoli che si era recato tempestiva-
mente nella Marsica subito dopo il tremendo terremoto del 13 gennaio
1915 (ore 7:50), che aveva raso al suola la città di Avezzano, provocato
danni ingenti e morti nella vicina Sora (FR) ed era stato avvertito fin
nelle Marche.
Segue…
l 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra contro l’Austria dopo una
aspra tensione interna tra neutralisti ed interventisti, che con varie
argomentazioni difendevano l’una o l’altra posizione.
Da un lato le ragioni di chi riteneva che la guerra fosse inutile e
pericolosa per la gente comune e vantaggiosa solo per il capitalismo
imperante; per altri il desiderio era quello di mostrare i muscoli di uno
Stato forte o di recuperare pezzi di una Italia che al nord est era ancora
in mano austriaca .
Oggi la percezione comune è che la città di Teramo fosse decentra-
ta e quasi ignara di quanto accadeva nel resto della penisola, ma,
camminando tra le vie cittadine, scavando in parte nella memoria dei
nostri centenari ed in parte tra le carte ingiallite, si scopre che anche la
sorniona Teramo fu
luogo di attenta e
qualificata parteci-
pazione al dibattito
nazionale per la
Grande Guerra.
Pochi ormai hanno
modo di notare in
quell’edificio, che
una volta ospitava
il cinema Apollo, la
lapide commemo-
rativa, che è stata salvata dall’oblio in primis dall’accortezza dell’ing
Gianpiero Castellucci e poi dalla passione che il prof. Franco Di Felice ha
per il corpo degli alpini.
Quel candore segnato di nero fa bella mostra di sé in fondo al porticato,
che è stato ricavato sulla destra dell’ex Cinema Apollo, per ospitare le
vetrine di vari esercizi commerciali, ma la gente passa spesso distrat-
tamente vicino a quella pietra bianca, degnandola solo di uno sguardo
fugace.
Eppure quel pezzo di marmo rimesso in sito dopo la ristrutturazione
del cinema avvenuta a più riprese negli ultimi 30 anni rappresenta un
momento importante della storia teramana degli inizi del novecento:
un momento di grande commozione e partecipazione per quei grandi
ideali, che trovavano le loro radici addirittura nelle guerre risorgimentali
dell’ottocento.
Un nome campeggia in nero sul fondo bianco: Cesare Battisti. Offertosi
6n.110
CesareBattisti
I
La nostra Storia
di
Dirigente Scolastico ITC Pascal – Comi Teramo PieroNatale
La propaganda interventista nel teramano
7n.110
New media, Nuove generazioni
deglialunni della V b della Scuola Primaria San Giuseppe di Teramo
I Giovani, la Scuola, la Famiglia tra internet e tv
SI social network, istruzioni per l’uso
basato su relazioni effimere e superficialità
estrema. “Nella bacheca i commenti scivo-
lano via veloci spinti da altri commenti”.
Gianluca Pomante ha spiegato l’uso dei
social network, soprattutto di Facebook, ha
fatto vedere diversi video dove c’erano per-
sone così prese dall’uso del cellulare e a cui
accadevano cose spiacevoli per distrazione,
come inciampare per le scale o cadere in
una fontana. È piaciuto molto ai bambini il
video con la canzone di Caparezza “Tu sei
pazzo, mica Van Gogh”.
Filippo Lucci, invece, nel suo intervento ha
spiegato che i social sono molto utili se
usati correttamente.
Infine ha ripreso la parola Rusconi il quale
ha detto che i cellulari in classe possono
essere usati, ma solo per le emergenze e
non per giocare e messaggiare.
È intervenuta al dibattito anche una pro-
fessoressa del “Pascal” che ha espresso
le sue opinioni spesso non condivise dai
relatori. La stessa professoressa in seguito
ha ribadito che molte scuole della nostra
città non sono attrezzate adeguatamente
per poter fare lezioni in modo più moderno
e approfondire argomenti attraverso l’uso di
LIM e computer.
Questo convegno è piaciuto molto agli
studenti che hanno avuto modo di imparare
ad usare correttamente queste nuove tec-
nologie. Essi hanno capito di quanto siano
utili e allo stesso tempo pericolose.
abato 23 maggio 2015, gli alunni
delle classi quinte della scuola pri-
maria “San Giuseppe”, alle ore 9:30
si sono recati alla sala San Carlo del
Museo Archeologico “Savini” di Teramo per
assistere al convegno “New media, Nuove
generazioni: i Giovani, la Scuola, la Fa-
miglia tra internet e tv. I social network,
istruzioni per l’uso”, organizzato dall’Asso-
ciazione Culturale Project San Gabriele.
Erano presenti anche gli studenti della
scuola secondaria di primo grado della
“Savini” e quelli della secondaria di secondo
grado del “Pascal”.
I relatori erano: Mario Rusconi, Presidente
dell’Associazione Nazionale Dirigenti Sco-
lastici; Filippo Lucci, presidente del Co.Re.
Com Abruzzo; Gianluca Pomante, avvocato,
esperto in internet e nuove tecnologie;
Gabriele Di Francesco, docente di socio-
logia generale all’università “D’Annunzio”
Chieti-Pescara.
Gli argomenti trattati sono stati apprez-
zati e capiti dagli alunni presenti i quali
hanno avuto modo di poter discernere tra
l’uso proprio e improprio della rete e dei
social-network.
All’inizio l’organizzatore Giancarlo Puritani
ha introdotto gli argomenti del convegno e
ha presentato i relatori.
Mario Rusconi ha portato subito qualche
esempio di episodi accaduti nella sua
scuola dove alcuni ragazzi spavaldi ed
incivili hanno fatto ubriacare un loro amico,
lo hanno portato in bagno, messo in una
vasca e dopo averlo rasato su tutto il corpo,
lo hanno bagnato con urina. Di tutto questo
hanno fatto un video e postato sui social
network, poi sono stati scoperti e puniti.
Ha raccontato anche di quando da giovane
professore andò a guardare la sua cartella
personale custodita dal suo preside e dove
c’era il giudizio sul suo operato.
L’intervento di Di Francesco ha coinvolto
molto i presenti in quanto è sceso dalla
cattedra e si è recato in mezzo agli studenti
facendo loro domande personali riguardo
ai vocaboli usati sui social network. Poi ha
iniziato a spiegare che cosa significa buona
educazione. Lui la definisce così: “vuol
dire rispettare le regole“. “Amico è quella
persona che sta dentro un gruppo e che ti
aiuta nei momenti difficili”. “Nemico invece
è la persona che non ti rispetta e che non ti
aiuta nei momenti difficili”. I ragazzi hanno
capito che il concetto di social network è
8n.110
Accade a Miami (da noi si pronuncia Maiemi)
di
Il Teramo delle mele annurche
esperti. E, guarda caso, proprio sulla neutralità
della rete. “Se io pago per connettermi alla rete
con una certa qualità di servizio, e tu paghi per
connetterti con la stessa (o una migliore) qualità
di servizio, allora possiamo iniziare una comu-
nicazione con quel livello di qualità. Questo è
tutto. I fornitori di accesso a internet (ISP) hanno
il compito di interagire tra loro affinché questo
avvenga” (Sir Tim Berners-Lee, inventore del
World Wide Web e direttore del World Wide Web
Consortium). Su Google: “La network neutrality
è il principio per cui gli utenti di internet dovreb-
bero avere il controllo su cosa possono vedere
e quali applicazioni vogliono usare su internet”.
Edward Joseph Snowden, due anni dopo avere
innescato il terremoto del Datagate, che ha por-
tato alla limitazione dei poteri della Nsa, canta
vittoria: “Le differenze sono profonde. Il mondo
dice no alla sorveglianza” (New York Times, 7
giugno 2015). Anche l’Onu ha dichiarato che
la sorveglianza di massa è una violazione dei
diritti umani. L’Apple
ha dotato i propri
prodotti di protezioni
come la crittografia.
Un cambiamento nella
consapevolezza globale.
Dal 2013 le istituzioni in
Europa hanno stabilito
che simili attività sono
illegali imponendo
ancora limitazioni agli
intrusi con licenza di
spiare. “Anche se molta strada è stata fatta, il
diritto alla privacy è ancora minacciato. Quando
leggete queste parole online, il governo Usa ne
prende nota” (Edward Snowden). Ed è per que-
sto motivo che il periodico “Teramani” stampa
inchiostro su carta. Guai se la Nsa (National
Security Agency) dovesse scrutare la fantasma-
gorica idea con cui questa free press si accinge
a chiudere un articolo per aprire la stagione
estiva. Una stoccata di genio pari al Silent party.
Perché non allestire piccoli spazi ricavati nelle
piazze, nei campetti di periferia, in ogni angolo
aperto come quando da ragazzi per strada si
tirava il pallone sulle portiere delle macchine
in sosta? Sì, ma non per la solita e inflazionata
partita di calcetto. Che dire di un torneo di
pallamano. Con qualche squadra straniera va
a finire che un giorno ci si ritrovi fra le mani un
trofeo messo in palio da una città stretta fra
due fiumi che declina alla marina: Interamnia.
Ecco fatta La Coppa Interamnia.
Originale, non vi pare?
entre Jules Verne è dal 1873 che ci
fa circumnavigare virtualmente il
mondo attraverso il londinese Phileas
Fogg e il suo servitore francese Pas-
separtout, l’assessorato alla cultura annuncia la
maestosità di eventi futuri attraverso speaker
che esaltano figure colorate di gente festosa in
attesa della replica del “Silent party”. “Questa
amministrazione intende sostenere iniziative
che valorizzino e promuovano il Comune di
Teramo sotto il profilo culturale, turistico e com-
merciale oltre a rappresentare momenti di forte
aggregazione sociale che vedano protagonisti i
cittadini...”. Sarà per questo che una delle idee
più gettonate sia stata proprio la festa muta. A
raccontarla giusta, a parte l’innegabile successo
riscosso, tutto è assomigliato al great moments
from the movie dell’adolescenza anni ottanta. In
quel tempo, da Parigi in tour, piombò nelle sale
cinematografiche italiane “La boum” (Il tempo
delle mele), con Sophie Marceau. La scena in
cui Mathieu mette le cuffie del walkman a Vic,
nel mezzo di un ballo scatenato, per potersi
così isolare e danzare abbracciato a lei sulle
note struggenti e i versi immarcescibili di
“Dreams are my reality”. Et
voilà le jeux sont fait! Ecco
come si riempie una piazza
snobbata dai piccioni. Non
dalle cornacchie. “Quanto
tempo ci vuole per diventare
giovani”. Un aforisma di
Picasso sparato come un bit.
“As a European, which is the
message you will take back
from the US? What can we replicate in Europe?”
Qual è il messaggio che porterà in Europa?
Questa, la prima domanda posta da Alexandros
Koronakis all’onorevole Tancredi, Vicepresiden-
te alle Politiche europee alla Camera dei depu-
tati, membro della Commissione parlamentare
“The bill of rights di Internet”, alla II edizione del
Telecommunications and Media Forum of 2015
tenutosi a Miami e addirittura unico speaker
europeo presente alla conferenza, facilmente
riconoscibile nella foto come il solo relatore che
indossa le cuffie. La risposta dell’esperto tera-
mano sulla rete è che “the problem we face, in
Europe, is that the debate is being treated in a
too simplistic way. The discussion is focused on
Internet rights, the the-
ory of the Net neutrality,
freedom, user’s privacy
and so on... “; traduco da
quel poco che intuisco
attraverso la cuffia men-
tre scrivo: “Il problema
che abbiamo di fronte, in
Europa, è che il dibattito
è stato trattato in modo
troppo semplicistico. La
discussione è incentrata
sui diritti di Internet, la teoria della neutralità,
la libertà, la privacy dell’utente Net e così
via... “. Sempre con un bit saltiamo alla chiosa
sull’intervista confezionata ad arte dall’esperto
europeo inviato a Miami: “To understand what
kind of debate is going on in
Europe today, just see the
result of the Parliamentary
committee that I belong to: a
work too often impalpable”.
L’auricolare fa i capricci.
Comunque, più o meno il
concetto è questo: “Per
capire che tipo di dibattito
è in corso oggi in Europa,
basta vedere i risultati della commissione par-
lamentare a cui appartengo: un lavoro troppo
spesso impalpabile” (http://www.neurope.eu/
article/paolo-tancredi-taking-telecom-forward/).
Dai lavori impalpabili dell’onorevole Tancredi,
in un byte, cioè in 8 bit, balziamo a orecchie
ritte ad ascoltare le posizioni ideologiche di altri
Mche poi si mangiano negli strudel fatti in casa
9n.110
Persone
di
www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio
Vita e taglidi un acconciatore
URaffaele Meo festeggia i 50 anni di attività.“Questo è uno dei lavori più belli”
walzer, duettando col cliente, ammaliandolo,
per poi inserirle energiche e con maestria tra i
capelli del ragazzo.
Però il lavoro oggigiorno è più semplice “e
non come ai tempi dei Duran Duran quando le
acconciature erano più architettate, adesso i
giovani paiono essere più chiari nei gusti e più
sbrigativi, se non più pragmatici. Taglia tutto,
mi dicono, senza tanto ripensarci, mente
prima se iniziavano a cadere i capelli era un
vero e proprio dramma”. “Ho due figli fanta-
stici, Marco e Anna” e gli si infiammano cuore
ed occhi, rilevatori di uno spirito indomito,
forte e presente come quando fu di fronte
alla morte di suo padre: se ne andò per un
cancro beccato sul posto di lavoro per via del
maledetto eternit.
Per Raffaele yin e yang si alternano con il
ronzio di una giostra giubilante e fanciullesca.
“La vita mi ha dato tanto; io sono felice; sto
bene nel mondo; gli amici vengono a trovarmi
perché in definitiva il cliente è un amico che ti
ha scelto”. Tra le begonie ha sviluppato il suo
credo fatto di luce e di chiacchiere, di amore
del suo lavoro e di clienti che non sono da
spolpare,ì come invece è scritto nei manuali
delle migliori filosofie aziendali.
Sempre in camice e cravatta, mai
d’umore smargiasso, col ghigno
bonario e trasognante di chi per-
cepisce che la vita è un’occasio-
ne meravigliosa per non sprecarla
in vittimismi e rimpianti. Gli occhi
sono monelli e la scelta di vita
resta quella ancorata alle sue be-
gonie, a sua moglie e alla famiglia:
“Il giovedì e la domenica resto
chiuso, scelgo la qualità della mia
esistenza”. La vita gli ha arriso
benessere, gli ha portato felicità
e dolore, lo ha ripagato dei lutti.
E se le stelle di carta stagnola
volgono al cielo con gli occhi dei
clienti che si concedono sdraiati
sulla poltroncina, lui continua ad inondare con
la solita iridescenza le cose della vita. Non
smetterà mai di raccontare, non può, è più
forte di lui, chiede solo che l’amico che è nel
cliente non tradisca mai la sua fiducia. “Que-
sto è uno dei lavori più belli al mondo” termi-
na nel biancore lattiginoso del suo salone. La
saracinesca emette il suo solito cigolio delle
sette e mezza di sera. Raffaele alza il bavero
e riprende la sua solita via al tramonto. “Non
avevo nulla, ora ho casa…”.
n attimo di sospensione poi i suoi oc-
chi inclinano all’allegro, come al soli-
to: “L’unico che mi prende per il naso
è il mio barbiere, diceva una volta
Giulio Andreotti”. A riferirlo è Raffaele Meo, 70
anni e da 50 coiffeur o forse, anche meglio,
acconciatore. Nel suo negozio che scintilla
un biancore lattiginoso, dove neon e specchi
sfavillano storie incredibili, rimbalzano trote
imbalsamate sulla parete e foto senza cornici.
“I miei maestri durante il lavoro erano soliti
restare sempre in camice e cra-
vatta” e lui, ghigno bonario che
apre a impetuosi sorrisi, come di
tempesta, non vuole essere da
meno. “Questo è uno dei lavori
più belli perché sei sempre a
contatto con la gente”, sprigiona
gaia inquietudine con i suoi occhi
malinconici e vividi che tardano
a posarsi su qualcosa di ben
definito. Non riesce a smettere di
parlare al cliente, è più forte di lui,
ma in 50 anni di attività ha tante
cose da dire, da quel 18 marzo
del 1965: dieci cambiali per 300
mila lire e l’attività di Corso De
Michetti divenne sua. Raffaele
non è tanto un acconciatore, è
piuttosto uno che ti regala un pensiero, che
ti fa stendere sul suo lettino da psicanalista,
che letteralmente ti salva anche la vita, com’è
capitato un giorno con un uomo che ebbe un
infarto proprio nella sua barberia: gli praticò
un massaggio cardiaco visto in tv solo pochi
giorni prima e lo fece tornare dai suoi cari. Ep-
pure lui alla vista del sangue potrebbe anche
svenire, come quando dovette testimoniare a
riguardo di un famoso omicidio di quei tempi.
“Che vuoi dalla vita?” si chiede. “Niente, a set-
te anni sono stato male, dovevo morire allora,
poi fui costretto a rimanere a letto per diversi
mesi”. Più in là con l’età ha superato un
brutto male: “Sono soddisfatto - dice - però
‘sta cosa m’ha fregato, ero sempre ottimista
ora sono un po’ più malinconico anche se
mia moglie, Amalia Di Sante, la pittrice, dice
sempre che sono felice”.
Raffaele si mantiene in forma con i fiori, con
l’orto da coltivare: “Ho già piantato le begonie,
i fiori di vetro, le petunie, colorate molto
delicate”. Per lui i clienti sono altrettanti steli
e boccioli da curare e innaffiare tutti i giorni:
“Ne ho uno di 99 anni, un ex economo del
Comune di Teramo, viene da me dal 1967”.
L’acconciatore ha iniziato a 12 anni come
apprendista (“ora non ne vengono più”)
nel salone di Nicola Angelini in Via Mario
Capuani. Prima si contavano 52 attività, oggi
siamo a quota 27: “Nessuno più vuole fare
questo mestiere” grugnisce con amarezza. Le
forbici nella sua mano paiono compiere giri di
10n.110
Niente di nuovosul fronteoccidentale
C
Il libro del mese
di
[email protected] CristinaMarroni
Il soldato Bäumer
puro. Egli assurge “al ruolo di giudice simbolico di una situazione sto-
rica vissuta, senza possibilità di rivolta, dal popolo. I suoi compagni di
guerra sono osservati in tutte le manifestazioni, debolezze, tentazioni
e sussulti che il fronte impone anche agli uomini più corazzati”. Paul
morirà, proprio alla fine della guerra, in un giorno placido, quel giorno
era stato annotato: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.
L’autore sceglie una prosa oggettiva, lasciando che il lettore rilevi
dai fatti un’interpretazione autentica, lontana dalla parzialità dei
commenti personali. A scene caratterizzate da un crudo realismo si
alternano momenti commoventi nel ricordo della pace di un tempo.
In questo modo la polemica antimilitarista “non riaffiora nei termini
metafisici cari agli espressionisti, ma secondo lo stile distaccato della
Neue Sachlichkeit (“Nuova oggettività”)”.
Elemento costante dell’opera di Remarque è il richiamo alla respon-
sabilità morale degli uomini. Nella guerra si vive un disorientamento
morale devastante: “Andando avanti diventiamo belve, poiché solo in
tal modo sentiamo di poterci salvare. Vogliamo vivere a ogni costo, e
perciò non possiamo ingombrarci di sentimenti,
che, decorativi in tempo di pace, sarebbero
quasi assolutamente fuori luogo”.
“L’orrore del fronte sparisce quando gli voltiamo
le spalle: ne parliamo con freddure volgari e
rabbiose: anche quando uno muore, usiamo
un’espressione triviale; e così tutto. È un modo
come un altro di non impazzire”.
Il corpo potrà essere ferito, ma la coscienza,
sebbene lacerata, troverà in sé la forza, il biso-
gno di amore supererà anche l’esperienza più
tragica. “Non sono mai stato tanto attaccato alla
vita”, scriverà Ungaretti, vegliando il cadavere
di un commilitone. Un inno alla vita, alla forza
morale dell’uomo. Nell’esperienza più feroce
o si soccombe privandosi della vita stessa o si
trova il coraggio per sopravvivere.
Il romanzo raggiunge la Spannung, la mas-
sima tensione morale, quando Paul Bäumer,
rifugiatosi nel cratere prodotto da una granata,
pugnala un soldato francese, partecipando angosciato alla sua morte.
“Compagno - gli dice - io non
volevo ucciderti. Se tu saltassi
un’altra volta qua dentro io
non ti ucciderei… Ma prima
tu eri per me solo un’idea,
una formula di concetti nel
mio cervello, che determina-
va quella risoluzione. Io ho
pugnalato codesta formula.
Soltanto ora vedo che sei un
uomo come me... Perdonami,
compagno!”.
“Allora, a che scopo la
guerra?” domanda il soldato
Katzinski. L’altro alza le spalle:
“Ci deve essere gente a cui la
guerra giova”.
In “Niente di nuovo sul fronte occidenta-
le” di Erich Maria Remarque, che appena
diciottenne aveva partecipato alla Grande
Guerra rimanendovi ferito, la tragica
esperienza personale dell’autore, diventa sim-
bolo di “una generazione distrutta dalla guerra
anche se sfuggita alle bombe”.
Remarque denuncia le cause del conflitto come
conseguenze di una politica aggressiva; ancor
di più si scaglia contro l’educazione faziosa e
corruttrice che i giovani hanno ricevuto nelle
scuole. Paradigmatiche a tal riguardo le figure
del professore che incita gli allievi ad arruolarsi
attraverso una smaccata retorica militarista e il
sergente che li addestra prima dell’esperienza
diretta con il fronte. Anche a loro lo scrittore
addebita la responsabilità del destino funesto e
della perdita di coscienza di quei giovani.
“Fuoco tambureggiante, fuoco d’interdizione,
cortina di fuoco, bombarde, gas, tanks, mitragliatrici, bombe a mano:
sono parole, parole, ma
abbracciano tutto l’orrore del
mondo”.
Precipitati all’improvviso
nell’esperienza della guerra,
alcuni giovani tedeschi ne
scoprono tutto l’orrore. La
guerra non è una questione di
orgoglio e di eroismo. La guer-
ra è un inferno senza ritorno:
anche se da quel baratro si
riuscirà a risalire verso la luce,
la vita ne sarà comunque
compromessa. Il protagonista
del racconto è il soldato Paul
Bäumer, di umile estrazione
sociale e ragazzo dal cuore
11n.110
Il caso del giorno
di
www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio
L’inchiostro simpatico di Mister Brucchi
CIl caso meno simpatico delle strisce pedonali biancorosse
Romagna, della Lombardia, del Veneto,
fornirsi di attraversamenti colorati di verde
e di azzurro: pur tuttavia il nuovo codice
della strada resta inflessibile nelle sue con-
vinzioni. Sicché quando iniziò il fenomeno,
dal Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti furono emanate delle direttive
per metterle al bando come da parere n.
1379 dell’undici marzo 2011, dove dice
in modo chiaro e univoco con circolare
ministeriale che tale segnaletica orizzon-
tale non è conforme, infatti un eventuale
incidente derivante da tale irregolarità
potrebbe provocare delle richieste danni,
da esporre l’amministrazione al rischio di
risarcimenti cosi come ribadisce il Mini-
stero dei Trasporti nel parere n. 1379/11,
in cui sostanzialmente si parla di come la
vernice sul fondo delle strisce bianche sia
vietata perché scivolosa in quanto farebbe
diminuire l’attrito tra i pneumatici e l’a-
sfalto, allungando tempi e spazi di frenata.
Ma alla base di ogni scelta c’è sempre
un fondo di ideologia oppure di amore,
quello per il quale ad esempio in Padania
alcuni borgomastri hanno fatto dipingere
gli attraversamenti pedonali di verde in
onore alla fede federalista e secessioni-
sta, di questi tempi, in onore all’Auditel
e dei sondaggi, convertita in anti-Rom e
anti-Euro, due materie che di questi tempi
tirano sempre e che hanno portato Salvini
a doppia cifre di
preferenze. Altro
che soldi da Mosca
o da Washington
nei tempi dei
petrodollari e della
scarpa di Nikita
Kruscev battuta sul
tavolo dell’Assem-
blea delle nazioni.
E poi, in fondo, se
non fosse per l’eventualità dei risarcimen-
ti milionari, che male ci sarebbe per un
rosso fuoco-diavoloinB che metterebbero
in risalto passaggi pedonali (e non solo
quelli) che ormai nella nostra città stanno
scomparendo del tutto, a colpi di una ver-
nice sempre più sbiadita e resistente solo
per alcune settimane. Infine, nell’epoca
della cinesizzazione tout-court, che cosa
ci si potrebbe aspettare da una mano di
vernice passata dalla Team: che fosse
inchiostro simpatico!?
i sono strisce pedonali e strisce
pedonali. Ci sono quelle di Abbey
Road, dove gli scarafaggi Beatles
salutavano e se ne andavano, tutto
su di una copertina di un ellepì di vinile a
33 giri, roba del periodo Giurassico in con-
fronto agli odierni
mp3 e Youtube. Ci
sono quelle fai-da-
te dipinte con la
bomboletta spray
da un certo Franco
Nisticò che esaspe-
rato dalla titubanza
del suo comune
ha pensato bene
di mettere lui in
sicurezza la Statale
Jonica. E poi ci sono quelle minacciose di
Barcellona che conservano delle diciture in
cui si ricorda che in quell’attraversamen-
to pedonale è morto il signor tal de’ tali,
dunque cuidado, attenzione! Infine ci sono
quelle di Teramo, prima biancorosse poi,
ravveduto, ancora bianconere (o meglio
bianche e asfalto). Qui un sindaco, in onore
della promozione della locale squadra
di calcio nella serie cadetta, dapprima
preleva dalle tasche dei cittadini svariate
migliaia di euro, poi provvede a colora-
re con tanto di B impresse sull’asfalto
Emmenthal smunte strisce zebrate, invise
a tutta la tifoseria in funzione dei colori
sociali dell’odiato
avversario Ascoli
Picchio. Per qualche
giorno non ci sono
ripercussioni di
sorta, finché dalla
questura qualcuno
solleva il dubbio
della costituzionali-
tà delle zebre bian-
corosse. E si fa sentire. Il sindaco Brucchi
si cosparge il capo di cenere (rigidamente
bianco e nero) e dà la colpa alla Team che
avrebbe aperto i rubinetti per sponsoriz-
zare i goal di Lapadula & Donnarumma
finanziando il rosso al posto del canonico
nero-asfalto, quello
segnalato nel
codice della strada.
E se una signora ha
citato l’amministra-
zione comunale
perché in zona
mercato è caduta
su una foglia di
insalata incauta-
mente lasciata in
strada dalla Team
(Teramo Ambiente sempre lei, come Dio
toglie e dispone), con la vernice bianco-
rossa si sarebbero
aperte autostrade
per risarcimenti
milionari da parte
di automobilisti che
avrebbero avuto
incidenti proprio su
tali attraversamenti
pedonali: la vernice,
si sa, favorisce gli
scivolamenti dei
pneumatici in caso di frenata. E in queste
settimane di situazione di pre dissesto
finanziario non era proprio il caso di insi-
stere con la zebra a
colori. Anche se la
fantasia negli otto-
mila comuni italiani
non manca mai - è
il nostro oro nero -,
tanto che in questi
anni abbiamo visto
strade dell’Emilia
12 Universo
La sonda è in buona salute e continua a trasmettere inviando nuovi dati
n.110
di
[email protected] GabriellaDel Papa
La sonda Rosetta raggiunge Philae per captarne i segnali radio
analisi e modelli dettagliati della forma della cometa al fine di determinare la
migliore traiettoria di avvicinamento, tenendo in considerazione i controlli di volo
e l’astrodinamica, i requisiti della missione e gli elementi associati all’atterraggio.
Il 6 agosto, le nostre domande troveranno una risposta “.
Ormai siamo ad un passo dalla meta, sta per concludersi il primo conto alla rove-
scia dell’appuntamento della navicella Spaziale Europea Rosetta con la cometa
67P/C-G. Intanto si moltiplicano le immagini del corpo celeste che è ormai a
portata di mano.
Siamo al 6 agosto, Rosetta ha raggiunto la cometa e ha cominciato le manovre
per avvicinarsi.
Il 14 novembre si dà il via libera all’attivazione del trapano italiano che perforerà
la superficie della cometa obiettivo della missione Rosetta. “Si è deciso di
caricare la sequenza che attiverà lo strumento”, ha detto all’ANSA il coordina-
tore scientifico dell’Asi, Enrico Flamini, dal centro di controllo del lander Philae a
Colonia. La decisione è stata presa considerando che le batterie potrebbero non
durare a lungo. Nella scomoda posizione in cui si trova, Philae è infatti illuminato
da un unico pannello solare.
Arriviamo al 15 giugno. Nella notte il lander Philae invia altri dati dalla superficie
della cometa sulla quale la missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa)
lo aveva portato il 12 novembre 2014. ‘’Abbiamo avuto un nuovo contatto, un po’
più lungo rispetto al primo ma molto instabile’’, ha detto all’ANSA Mario Salatti,
responsabile del lander per l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) con i colleghi delle
agenzie spaziali tedesca (Dlr) e francese (Cnes).
Siamo al 17 giugno 2015, la sonda Rosetta, dopo una lunga manovra, si è avvi-
cinata alla cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko sulla quale si trova il lander
Philae, in modo da mettersi in una posizione più favorevole per ascoltarne i se-
gnali. Il lander nella notte fra il 13 e il 14 giugno si era svegliato dallo stato di iber-
nazione nel quale si trovava dallo scorso 14 novembre 2014, ed è stato in grado
di farlo dopo più di sei mesi, grazie alla temperatura più alta che c’è ora sulla
cometa, che ha consentito di alimentare i pannelli solari attraverso cui Philae
ricarica le sue batterie. Abbiamo avuto la prima comunicazione dopo il risveglio
ed è durata 85 secondi, aspettiamo ora che mandi altri segnali. Il lander dal suo
arrivo sulla cometa il 12 novembre, era rimasto attivo
per quasi sessanta ore prima di finire in una zona
d’ombra che ha impedito alle sue batterie solari di
ricaricarsi, facendolo ibernare per sette mesi.
Le operazioni della sonda Rosetta sono costan-
temente monitorate dal centro di controllo della
missione a Darmstadt, mentre quelle del lander sono
seguite dal centro di Colonia.
“Philae adesso è pronto per l’attività scientifica, per
scoprire l’origine dei fossili cosmici, e per indagare
sulla nascita del sistema solare”, hanno detto in con-
ferenza stampa i ricercatori della missione congiunta
dell’agenzia spaziale tedesca (Dlr), quella italiana (Asi)
e quella francese (Cnes), anticipando che ad agosto, quando la cometa sarà più
vicina al sole, il lander riceverà più energia.
Durante questo cammino ci interrogheremo sulle motivazioni scientifiche di
questo progetto, in altre parole, su cosa possano dirci le comete; ma anche, cosa
dicevano, sia pure in un diverso contesto e con diverse motivazioni, ai nostri
antenati che hanno spesso cadenzato la loro storia sull’andare e venire di questi
misteriosi messaggeri del cosmo.
Non ci resta, dunque, che attendere le prossime puntate, ci regaleranno sicura-
mente immagini e notizie incredibili intorno a questa straordinaria rincorsa alla
cometa.
osetta è il satellite europeo destinato entro l’anno a depositare il suo
lander Philae sul nucleo della cometa CG (il nome completo è 67P/
Churyumov-Gerasimenko). Ne abbiamo seguito le vicende durante i
mesi precedenti, sino al conseguimento dell’obiettivo che era previsto
per novembre, quando Philae aveva iniziato a perforare la superficie del corpo
celeste.
Ripercorriamo brevemente la meravigliosa avventura spaziale nata da un’idea,
da un’intuizione, da una passione, coltivata, sviluppata, maturata e messa in
pratica elaborando un ben congeniato piano d’azione.
Riprendendo gli avvenimenti più eclatanti ricordiamo il risveglio di Rosetta: dopo
31 mesi la sonda ci comunica i primi segni di disgelo.
C’era aria di attesa il 20 gennaio di quest’anno, a Darmstadt, nella sala Controllo
di ESOC (European Space Operations Control). Ro-
setta era stata programmata a quel sonno, quando,
superato Giove, si era addentrata in un’orbita troppo
lontana dal Sole per trarne sufficiente energia a
mantenere cariche le sue batterie e accesi i suoi
strumenti.
È il 20 giugno 2014, Rosetta si avvicina alla cometa, vi
sono attese, preoccupazioni, speranze, ma soprattut-
to tante cose da fare.
Procede l’avvicinamento di Rosetta alla sua meta,
ora visibile ed a maggior risoluzione.
Avvicinandosi alla sua meta, Rosetta svela dettagli
significativi del corpo celeste.
Le prime immagini della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko hanno rivelato
agli scienziati una forma straordinariamente irregolare. Dagli scatti, presi il 14
luglio con la fotocamera ad angolo stretto Osiris da una distanza di 12mila km,
si direbbe che, proprio come per il suo nome, la cometa 67P/C-G è composta da
due parti.
Il responsabile della missione, Fred Jansen, afferma: “Attualmente vediamo
immagini che suggeriscono una forma alquanto complessa ma resta ancora
molto da apprendere prima di poter trarre delle conclusioni, non solo per quanto
riguarda la scienza delle comete, ma anche per quello che sarà necessario al
fine di definire l’orbita di Rosetta e l’atterraggio di Philae. Dovremo condurre
R
13Accade in Italia
di
Il pirlanell’ostrica
RContinua a crescere
n.110
Note Linguistiche [email protected] GabriellaDi Flaviano
L’accordodei nomi collettivi
“U
di
fame nel mondo. Ma non fatto nulla, non ho rotto
o danneggiato nulla” (http://autocorriera/notizie/
cronaca/15_maggio_02/padre-ragazzo-no-expo-
mattia-pirla-prendere-sberle-come-ha-fatto-
mamma-baltimora-b239ad36-f0d6-11e4-a840-
81cad89c3055.shuttle). Il falso e il vero non sono
che forme di esistenza intellettuale. La sedicente
meritocrazia sbandierata metodicamente da poli-
tici corrotti è la foglia di fico propagandistica a co-
pertura del ritorno a logiche censitarie, autoritarie
e oligarchiche. I sospetti non conducono sempre
all’accertamento della verità dei fatti contestati.
Dai tempi di Heinrich Böll, se una cosa appare ra-
gionevole viene subito derisa come utopia. Baste-
rebbe provare a dissotterrare il senso dell’umiltà
quando si maneggia l’informazione. Non sarà
certamente dalla politica che giungerà l’input per
la ricerca di indicazioni rischiaranti. Purtroppo,
la politica è ostaggio di pressioni e intenzioni a
breve scadenza; la sovranità popolare subisce il
tormento inesauribile dell’essere eletti da parte
di chi indossa fetide grisaglie. In Gran Bretagna,
dalla crisi del 2008 il governo si è concentrato
sull’economia e le questioni ambientali, il cambia-
mento del clima sono passate in seconda fila. La
quinta delle estinzioni di massa che hanno segna-
to la storia della vita sulla terra si è consumata 65
milioni di anni fa: scomparvero i dinosauri, tutto
cambiò. Se allora decisivi furono gli effetti della
caduta di un asteroide, adesso che è in atto la
sesta estinzione, dice il teologo anglicano Richard
Bauckham, siamo noi uomini l’asteroide.
icordate la bella sigletta dei telefilm
presentati da Alfred Hitchcock? Bene,
quella è la “Marcia funebre per una
marionetta” di Gounod. Con questo
sottofondo musicale in testa ora spegnete la luce.
Immersi nel buio della mente provate a ricordare
i tratti inquietanti del profilo di quel grassone
inglese genio del thriller. E godetevi la 269ma
puntata della serie televisiva statunitense: “Alfred
Hitchcock Presents”. In balia di un passeggero
scompiglio mentale, un pirla protagonista della
real sit comedy messa su da una televisione
commerciale inizia a disquisire senza capo
né coda sull’Expo 2015 e, se avanza, di etica
negli atti vandalici: “Minchia!, ma la banca è
l’emblema della ricchezza. Cioè, se non do fuoco
a una banca sono un coglione”. Probabilmente,
sottolinea la voce narrante, un Oscar Wilde di
passaggio davanti alla telecamera intervistato
per esprimere un parere sulle dichiarazioni dello
sventurato giovane avrebbe aggiustato il “De
Profundis” in altro modo: “Bisogna dire che né
il ragazzo né suo padre avrebbero mai potuto
rovinare un pirla di 21 anni. E a rovinarsi è stato
lui stesso. E che nessuno, grande o piccolo,
può essere rovinato da una mano diversa dalla
propria”. Questo ragazzetto, che per esigenze di
copione chiameremo Bosie come il compagno
di Wilde, non ci ha messo molto a frugare tra i
ricordi di scuola. Proprio alla maniera di Giovanni
Mosca quando, nel suo libro letto e riletto da
generazioni di scolaretti, ha raccontato di essersi
sintonizzato con gli alunni della sua classe alle
elementari sfidando il bulletto di turno nella
caccia ai mosconi con l’elastico. Il maestro colpì
l’insetto e il rispetto di tutti gli si attaccò addosso
quanto la carta moschicida. I flashback in quel
libro, “Ricordi di scuola” appunto, sono stati fatti
propri da Federico Fellini e annusate da Achille
Campanile. E di conseguenza, Bosie non ha vo-
luto essere da meno: “Io le rivoluzioni le ho lette
soltanto sui libri di scuola e mi sembrava di farne
parte in quel momento. Lottare per chi muore di
no stormo di aerei si è alzato in volo”, o “uno stormo di
aerei si sono alzati in volo?”
In ogni frase, come si sa, il soggetto si accorda con il
predicato, ma, quando ad avere la funzione di soggetto
è un nome collettivo, questo normalmente si accorda con il predicato
secondo il proprio numero. “La folla gremiva la piazza”, “gli eserciti
combattevano duramente”. Talvolta, però, nell’uso pratico della lingua,
poiché il nome collettivo dal punto di vista del significato indica una
pluralità di elementi, la regola di concordanza non viene rispettata e si
fa un accordo “a senso”: soggetto (nome collettivo singolare) + predi-
cato plurale. “uno stormo (singolare) di aerei si sono (plurale) alzati in
volo. Questo tipo di accordo, che in passato era considerato un grave
errore, oggi viene accettato, ma
solo quando il nome collettivo è
seguito dalla specificazione degli
elementi dell’insieme cui il nome
si riferisce (uno stormo di aerei)
e quando il verbo si trova vicino
a questa specificazione. Non si
potrà pertanto dire “nella cam-
pagna pascolavano un gregge di
pecore”.
14 Scuola
Riforma dai mille pregi. “Gli insegnanti non vogliono essere giudicati”
n.110
di
da l’Espresso On Line del 29 aprile 2015SusannaTurco
La “buona scuola”?
“S
“E pensa che non l’abbia fatto? Ma gli ispettori sono sempre stati troppo
pochi. Intervengono nei casi più gravi: per le violenze, ad esempio, non per la
didattica. Ma le faccio un altro esempio: oggi se un preside deve spostare un
bidello da un edificio a un altro, deve avere il parere dell’Rsu, cioè del sindaca-
to, altrimenti non può muovere proprio niente. Lei capisce, ai sindacati questo
piace molto. Ma è una vergogna, perché io, sentito il consiglio di istituto, devo
poter disporre del personale. Devo però anche essere valutato per ciò che
faccio: se poi viene fuori che mi sono mosso per ragioni clientelari, devo poter
pagare”.
E come paga, il preside, secondo la “Buona scuola”? Chi lo valuta?
“I criteri precisi purtroppo non ci sono, perché come si sa questa è una legge
delega: contiene i principi generali, e per attuarla ci vorranno dieci-quindici
decreti attuativi. Comunque i criteri saranno chiari, trasparenti, verificabili,
insomma rigorosi”.
Ma secondo lei questa norma dei presidi-sindaci arriverà in fondo così
come è?
“Non so, ho dei dubbi. Complessivamente, è entrato in Parlamento un cavallo
temo finirà per uscirne un ircocervo, un patchwork di novità e di marce
indietro. Come già comincia a vedersi con gli emendamenti presentati in
commissione alla Camera”.
I sindacati protestano, uniti come non accadeva da un’eternità. Dicono
che Renzi non li ha ascoltati.
“In questo momento gli insegnanti seguono il sindacato come un pifferaio: ed
è comprensibile. Però non è vero che i sindacati non sono stati ascoltati: lo
sono stati, a tutti i livelli. Discorso diverso è dire che stavolta le loro richieste
non sono state accolte”.
Diceva che la riforma ha pregi e difetti. Quali sono i
difetti?
“Il difetto maggiore è che non è chiaro da dove prende i
soldi e che non affronta direttamente il problema dell’e-
dilizia scolastica, che è drammatico. Dei 42 mila edifici
scolastici, 22 mila sono completamente fuori norma, an-
drebbero chiusi domani. E le risorse stanziate per l’edilizia
sono totalmente insufficienti: si parla di 2-300 milioni di
euro, servirebbero 10-15 miliardi”.
Per quel che riguarda gli insegnanti?
“Non si affronta il nodo della loro carriera. In un primo mo-
mento Renzi parlava dei famosi 60 euro per gli insegnanti
meritevoli. Ma quella non è carriera, sarebbe solo un emo-
lumento miserevole. Servirebbe ben altro. È inaccettabile
che, ora come ora, un insegnante che lavora per quattro
venga trattato come chi non fa nulla”.
Le nuove assunzioni risolveranno il problema degli
organici?
“Intanto c’è un problema di numeri, perché non si capisce
ancora quante saranno: prima si diceva 140 mila, adesso
100 mila. Ma, ammesso che siano anche solo 50 mila,
esiste un problema di realizzabilità: a nostro parere non ci sono i tempi tecnici
per metterli in ruolo per l’anno prossimo”.
Nemmeno se la riforma dovesse essere approvata per giugno, come
dice la ministra Giannini?
“A giugno è già troppo tardi: ci sono le ferie estive e bisogna, fra l’altro, che
ciascun istituto dica di quante unità ha bisogno. Anche se immettessero i 50
mila per decreto, mi chiedo: li si butta nelle scuole così, non gli si fa nemmeno
un minimo di aggiornamento?”
mettiamola di credere che tutti i docenti siano bravi e tutti i
presidi fascisti”. Parla Mario Rusconi, vicepresidente dell’Asso-
ciazione Presidi, e difende la norma di Renzi. Ma avverte: per le
nuove assunzioni il 2015-2016 è già andato.
“Sa cosa c’è, fra l’altro, dietro tante proteste contro la “buona scuola”? Che gli
insegnanti, cioè coloro che continuamente valutano gli studenti, non vogliono
essere valutati. A suo tempo il ministro Berlinguer venne mandato a casa
proprio quando provò a introdurre uno straccio di valutazione. Ma per loro
vale Caterina Caselli: nessuno mi può giudicare, eccetera. Invece sarebbe ora
di cambiare: l’Italia, come la Grecia, è tra i pochissimi Paesi dell’Ocse in cui né
i presidi, né gli insegnanti, vengono valutati. Ed è indecoroso, è indecente”.
Mentre i sindacati preparano lo sciopero epocale del 5 maggio contro la
“Buona scuola”, Mario Rusconi, vicepresidente dell’Associazione nazionale
presidi, nell’occhio del ciclone per via di quella norma che vuol aumentare i
poteri alla sua categoria, dando per esempio il diritto di scegliere gli insegnanti
dagli Albi regionali, difende senza timori una riforma che “ha mille difetti, ma
milleuno pregi”.
Immagino che la questione dei presidi-sceriffi la consi-
deri una novità positiva.
“Intanto proviamo a uscire dalla visione manichea per cui
gli insegnanti sono tutti bravissimi, e i presidi tutti cattivi
e fascisti. Io nella mia lunga carriera ho conosciuto inse-
gnanti che hanno rovinato intere generazioni di studenti, e
presidi che hanno fatto altrettanto con le loro scuole. Per
cui partiamo da noi.
Nella riforma di Renzi si prevede che i presidi siano valutati:
è una bella novità. E che siano anche licenziati, se è il caso:
bene anche questo. Però ritengo positivo non il cosiddetto
preside sceriffo, ma dare maggiori competenze al preside
in quanto garante dei risultati della scuola. Perché io, per
garantire sui risultati, devo poter valutare le persone che
questi risultati portano avanti. Anche i leader sindacali si
scelgono la propria squadra, no?”.
Dicono che così si finirà per fare delle scuole feudi
personali, dove invece che per merito si proceda per
preferenze, parentele.
“Io comprendo le proteste: si pensa che lo Stato non sia
in grado di garantire la bontà delle istituzioni, percepite come corrotte. Però:
lei lo sa come funziona ora? I presidi non hanno competenze sugli insegnanti.
Io, da preside, ho avuto una professoressa di filosofia che diceva in classe
che Hitler era una brava persona. Un’altra che raccontava di aver girato il
Sud America con Che Guevara: e passi per Che Guevara. Ma diceva pure che
l’America l’avevano scoperta gli egiziani, che erano approdati in Brasile. Avevo
migliaia di esposti. E sa cosa può fare un preside in questi casi? Niente”.
Beh può chiamare gli ispettori ministeriali.
15Scuoladi
Idee e proposte per una scuola veramente buona!
Ddall’Associazione Nazionale Presidi
n.110
L’oggetto del desiderio
Il mondotra le mani
G
di
con rigore professionale questioni
poste all’attenzione della opinione
pubblica solo in misura minima.
Pur trattandosi di problematiche di
grande evidenza e ben conosciute da
molti cittadini di altri Paesi europei
(quali Francia, Germania e UK).
In Italia invece, in questi mesi, si sta
discutendo quasi esclusivamente di
“preside sceriffo” e dei suoi “mega-
poteri”!
Come se uno studente ben preparato
alla vita universitaria o al mondo del
lavoro non interessasse se non mini-
mamente gli addetti ai lavori.
Riteniamo, dunque, opportuno ripor-
tare il discorso sui binari professio-
nali, sottoponendo all’attenzione dei
nostri lettori alcune considerazioni e
proposte.
a anni in ANP ci battiamo per
una scuola di qualità, avendo
come obiettivo prioritario il
miglioramento della formazio-
ne dei nostri studenti.
Le delusioni accumulate nel corso
degli anni sono derivate in gran parte
dalla deprimente considerazione
che, quando si parla di scuola, ci si
riferisce per lo più a posti di lavoro:
dei bidelli, degli insegnanti, talvolta
dei presidi.
Come siano preparati i nostri ragazzi
diventa una componente quasi resi-
duale del dibattito che si accende ad
ogni iniziativa del governo di turno
sul nostro sistema formativo.
La nostra associazione ha affrontato
Una leggenda narra che da una sfera d’oro appartenu-
ta ad Alessandro Magno venne offerta dai Magi a Gesù
insieme ad altri doni. Il Globo rappresenta da sempre il
mondo, è fatto di oro e di gemme, diviso in quarti da due
bande perpendicolari tra di loro. Da sempre simbolo di sovranità,
originariamente era ornato da vittorie, ma nell’epoca Cristiana una
croce riccamente gemmata con pietre preziose ne prese il posto,
così da unire all’universalità sferica, l’aura spirituale cristiana che
ne esaltavano il simbolismo e il suo significato. Fu adottato a pieno
titolo tra le regalie del Sacro Romano Impero come espressione
dell’intento di dominare su stati tra loro eterogenei, unificati nella
fede, rivendicando una investitura Divina del potere imperiale, in
quanto sua forma, priva di inizio e di fine, rappresenta Colui la cui
potenza e virtù tutto pervade: cielo e terra. Cesare Vecellio nella
sua descrizione lo definisce come la “Palla che denota il governo
del mondo”. Sormontata dalla croce. Indica il governo sui Cristiani,
per cui si può definire Regalità, Provvidenza Divina ed Eternità dello
stesso. Nei ritratti degli imperatori, il Globo è emblema di dignità
imperiale; nelle mani di Cristo è simbolo del dominio spirituale e
della sua funzione di Redentore. Esso compare anche nelle rappre-
sentazioni della Giustizia e della forza come attributi regali, a volte
è posto anche sotto i piedi della Verità, come nell’iconologia del
Ripa, a significare che si erge superiore a tutte le cose mondane e
assai più preziosa di esse, in quanto cittadina del cielo.
16 Curiosità
“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
n.110
di
[email protected] GabriellaDel Papa
Il piccolo principe
di farlo, l’uomo d’affari conta le stelle del cielo pensando che
gli appartengano, il geografo sta seduto alla sua scrivania ma
non conosce il suo pianeta e il lampionaio deve accendere le
luci a un ritmo forsennato, preoccupato di non lasciare al buio
i suoi concittadini (e trasformandosi così nell’unico essere
altruista della lista).
Una volta sul nostro pianeta, s’imbatterà in un serpente, poi
in un enorme roseto, a dispetto dell’unicità universale di cui si
vantava la sua rosa, e infine in una volpe, che gli chiederà di
essere addomesticata, in nome dell’amicizia. Tra altri mille in-
contri e piccole avventure, passa un anno e il Piccolo Principe
dai capelli dorati si prepara a tornare a casa, con la pecora e la
fidata volpe, per prendersi cura della sua rosa.
Ecco cosa succede tra le parole di quelle pagine, contempora-
nee come solo i grandi libri sanno essere. Con un messaggio
perfetto per i lettori di ogni età: occuparsi degli altri. Certo,
ci vuole molto, ma molto coraggio per attraversare intere
galassie a caccia dei ferri del mestiere, ma nel viaggio, si sa, si
cresce. Anzi, senza quel viaggio, così lungo e ingarbugliato, il
protagonista non avrebbe mai potuto incontrare la sua volpe.
I valori che si riscoprono nel libro, da non dimenticare mai,
sono: godere della bellezza, fare ricerca in se stessi, prendersi
cura dell’amore, coltivare l’amicizia e non perdere la speranza.
Tra le varie traduzioni di quest’opera, riscritta anche in latino
e greco, e nei vari dialetti italiani, mancava il nostro, quello
abruzzese, in particolare teramano.
Segue l’intervista al traduttore in
dialetto del libro, lo scrittore e poeta
Bruno di Pasquale.
Ecco quanto emerso dall’incontro con
il nostro Autore:
“Il Piccolo principe” cittadino
teramano
Cominciamo l’intervista con una
domanda diretta. Perché “Il piccolo
principe” nel dialetto del terama-
no?
“Del teramano” è vero in parte; o
magari lo si definisce tale per oppor-
tunità editoriale. È così limitato il terri-
torio dove lo si colloca, che forse è più
un canzanese-teramano. La sorte dei
dialetti è legata ai luoghi dove si svi-
luppano e resistono; e da noi variano
nel giro di pochi chilometri.
Il “perché” è presto detto. Tu sai,
e qui la deontologia reclamerebbe
il “lei”, che mi dedico al dialetto
da molti anni: poesie o pseudotali,
recite scolastiche, teatro amatoriale,
TV locale; con il pensionamento sono passato a una sorta di
ricerca continua e sempre più convinta. Non ricerca scienti-
l Piccolo Principe, libro scritto da Antoine de Saint-
Exupéry è un capolavoro di poesia narrativa per giovani
lettori, ma che sa appassionare anche i grandi, perché
parla dritto al cuore di tutti, dai 6 ai 100 anni. Un classico,
insomma, dal linguaggio universale, comprensibile a qualunque
latitudine, tanto che vanta ormai edizioni in oltre 200 lingue
(lo scrittore Alessandro D’Avenia lo
usa come souvenir: in ogni luogo del
mondo in cui si trova, ne acquista
l’edizione locale).
È una metafora del passaggio all’età
adulta, questo libro è un piccolo
gioiello di narrativa, ad alto tasso di
poesia.
La storia comincia nel Sahara, dove
un aviatore precipita con il suo aereo
e incontra un curioso bambino che gli
chiede di disegnargli una pecora. A
poco a poco il bambino racconta di se
stesso e rivela di essere il principe di
un pianeta lontano, l’asteroide B612,
un luogo inconsueto in cui viveva
da solo con una rosa scorbutica e
vanitosa di cui si prendeva cura. La
lontananza gli fa scoprire l’amore per
la sua rosa e il rapporto profondo che
esisteva tra loro. Per questo gli serve
una pecora: deve mangiare tutti i rami
di baobab che stanno crescendo, per
evitare che soffochino il pianeta (e la
sua rosa).
Prima di arrivare sulla terra, il Piccolo
Principe ha vagato per diversi pianeti,
incontrando personaggi strani e
assurdi, ma ognuno capace di insegnargli qualcosa: il re vuole
comandare, gli ubriaconi bevono per dimenticare la vergogna
I
ampiamente. È una lettura che scorre,
colorita e gradevole e quasi si parte-
cipa alle vicende del “principino” con
insperata gioia.
In fondo “il principe” è un alter ego
dell’autore e forse di ciascuno di noi.
Guardarci allo specchio, talvolta, può
fare molto bene.
Dopo quest’avvio positivo, pensi di
volgere lo sguardo a qualche altra
opera con l’obiettivo di tradurla in
dialetto?
Ci ho pensato molto. La cosa non mi
dispiacerebbe. In verità, sto provando
a trasferire in “teramano” il Vangelo
di Matteo. A leggerlo sembra sempli-
cissimo, quasi scontato. Ma appena si
prova a variarne i connotati son dolori.
È tremendamente difficile renderne lo
spirito alle persone che volessero leg-
gerlo. È una nuova sfida. L’impegno c’è
tutto. Il risultato lo decideranno i lettori,
se ce ne saranno. E intanto... a tutto
“princepe zulle”!
Ringraziamo Bruno di Pasquale per la
cortese disponibilità e gli auguriamo un
proficuo lavoro.
Concludo con una delle bellissime
affermazioni di Saint-Exupéry “Non ti
chiedo miracoli o visioni, ma la forza di
affrontare il quotidiano. Preservami dal
timore di poter perdere qualcosa della
vita. Non darmi ciò che desidero ma ciò
di cui ho bisogno. Insegnami l’arte dei
piccoli passi.”
17n.110
ficamente intesa, ma recupero delle
parole, dei modi di dire, compresi nella
realtà contadina. E da qui strumenti di
lavoro, misure agrarie, oggettistica di
cerimonie varie... Ho sempre cercato di
far partecipi del mio umile lavoro amici,
conoscenti, professionisti. Tra questi
ultimi ho avuto la fortuna di trovare il
dott. Ricciotti, frequentatore assiduo di
bancarelle, librerie, biblioteche, che mi
ha proposto la traduzione nel nostro
dialetto del libro, già tradotto in molti
dialetti di altre regioni. Mi sono fatto
rosso come il piccolo protagonista:
io non sono un traduttore, non saprei
come orientarmi... Provaci, la sua sen-
tenza. E ci ho provato.
Evidentemente aveva le sue buone
ragioni, il dottor Ricciotti.
Non sono io a poter giudicare. A lui è
subito piaciuto e si è attivato per cerca-
re un editore che volesse considerare
un tale azzardo.
È stato faticoso trasporlo dal francese
al dialetto nostrano?
La prima drammatica riflessione è stata:
come rendere le atmosfere, i ritmi,
le situazioni in una lingua parlata da
qualche migliaio (esagero?) di perso-
ne? Come trasferire l’anima di alcune
espressioni in un linguaggio certo
colorito e grondante energia, ma pur
sempre di piccola statura?
E allora ho deciso di non tradurlo alla
lettera, ma di variare, ove possibile, sul
tema; innestando anche ètimi superati
ma efficacissimi. L’editore è stato entu-
siasta del risultato e convinto si tratti di
un ottimo lavoro. Me lo auguro per lui e
per i lettori.
Già, i lettori. Come pensate di pubbli-
cizzarlo?
Credi si debbano interessare le scuole,
dove insegnanti ed alunni hanno da
tempo adottato quest’opera universale,
quindi gli Enti locali e magari proporlo
su internet. Come farlo, sarà impegno
dell’editore. Sono convinto che la cu-
riosità per questo tipo di lavoro aprirà
grandi prospettive. Molti lo aspettano
già con trepidazione.
Credi che i lettori avranno vita facile
nella lettura non proprio convenzio-
nale del dialetto?
Il primo impatto, immagino, non sarà
dei più semplici. Il dialetto si parla anco-
ra (meno i più piccoli) e lo si capisce
quasi totalmente. Leggerlo è sicura-
mente difficoltoso, esige impegno,
costanza, riscoperta di espressioni un
po’ abbandonate; ma se si supereranno
queste difficoltà iniziali si sarà ripagati
in scena il basso e la voce (soprattutto) di Greg Lake (poi confluito negli
ELP-Emerson, Lake & Palmer), cambio di atmosfera, lenta, dolce, tran-
quilla, il flauto di McDonald in grande evidenza, i tamburi e le spazzole di
Giles sono da manuale. Un autentico ‘diluvio’ di mellotron inonda la già
citata Epitaph, including March For No Reason/Tomorrow And Tomor-
row, straordinaria, il canto epico di Greg (ancora), Fripp che incanta
con le chitarre (acustica/elettrica), testi che spaziano tra il profetico e il
distopico “The Fate Of All Mankind I See – Is In The Hands Of Fools”, la
musica è un’autentica ‘sinfonia’, tocca i punti più reconditi della mente
e dell’anima, suggestiona fortemente e, non lascia insensibili in alcuni
‘crescendo’ superlativi, che goduria! Repeat, please! Ogni strumento e
note al posto giusto, le rullate micidiali di Michael hanno fatto scuola, e
ancora, il carpet sonoro onirico e metafisico, austero, solenne, sacro, la
voce di Greg, puro raso. Il lato B (del vinile in mio possesso, copia intatta,
ancora perfetta nonostante i reiterati ascolti), inizia con l’ennesimo
cambio di passo e ritmo: Moonchild (04), divisa in alcuni movimenti,
The Dream/The Illusion, il ‘Sogno’ con voce, chitarre e percussioni soft,
‘l’Illusione’ finisce per scemare d’intensità nei 10’ di durata, fase molto
sperimentale, pochi e sobri (nonché magistrali) tocchi: piatti, spazzole,
vibrafono, brevi scariche elettriche, atmosfera lunare e surreale, la vena
più sperimentale di Fripp, note chitarristiche ‘minimali’ e cerebrali, sfini-
mento e deliquio in tema, ricordiamoci del luglio 1969: primo uomo sulla
luna! Il CD si conclude con la title track: In The Court Of The Crimson
King including The Return Of The Fire Witch/The Dance Of The Puppets,
l’apoteosi, inizia con atmosfere epiche, classicheggianti, maestose, La
Corte Del Purpureo Re è fantastica (il testo questa volta è di McDonald),
arpeggi magistrali, il mellotron esplode letteralmente, il flauto da par
suo, con note di velluto, 3 voci (Lake, Giles e McDonald) all’unisono, il
sapido intermezzo delle ’marionette’ precede il rientro alla grande di
tutti gli altri strumenti, coralità fantascientifica e parossistica dispiegata
lungo i 9’ e 12’’ del brano. Che dire?
La magia di queste registrazioni
effettuate nei mitici Wessex Sound
Studios di Londra, è intatta, attualis-
sima e non solo in ambiti Prog, ma
dell’intera letteratura discografica.
Le recordings vennero condotte
dagli stessi musicisti, insoddisfatti
dell’opera di Tony Clarke (Moody
Blues), su registratore Ampex a 8
tracce, Ingegnere del suono Robin
Thompson, da rimarcare ancora
una volta come ogni musicista, sia
padrone del proprio strumento/i,
tecnica, perizia, creatività. Incisione
di 46 anni fa, attualissima, nitida,
dinamica, perfetta, rimasterizzata a
24 bit (si sente), da Simon Heyworth. Il CD contiene l’esaustivo booklet
di 12 pagine con ph e articoli tratti dalle testate dell’epoca, tutti i testi e
altre originali illustrazioni di Godber, il formato 31,5x31,5 è però un’altra
cosa, vinyl docet! Dicevo della desert island, forse esagero, stravedo per
Robert Fripp e, mi sento di consigliarvi qualche altro titolo: In The Wake
Of Poseidon e Lizard (1970), Island (1971), Lark’s Tongues In Aspic (1973),
In The Court… rimane però la pietra miliare, inarrivabile, insuperabile,
vetta mai più raggiunta e… meglio così. Voto: 10!
18 Write about... the records!
1969 - CD/Original Master Dgm Panegyric / Universal - Time: 43’ 52’’
di
King Crimson“In the Court of the Crimson King”
E
n.110
nnesimo, affascinante flash-back discografico, di più, uno dei
primi cento dischi da portare nell’isola deserta! Il prototipo per
antonomasia del Progressive Inglese, con palesi rimandi alla
musica classico-sinfonica, Jazz, Rock & Avantgarde. Robert Fripp
(16 maggio 1946, Wimborne Minster, UK), autentico genio e deus ex ma-
china, occhialuto chitarrista-multistrumentista, ancora in (fertile) attività,
come solista e nelle varie incarnazioni del Re Cremisi. Degni comprimari
di questo debut album mozzafiato: Ian McDonald (flauto, sax, clarinetto,
mellotron, vibrafono, voce…), Greg Lake (voce solista e basso), Michael
Giles (batteria, percussioni e voce), Pete Sinfield (autore delle liriche,
illuminazione). La line-up dei KC (la prima), straordinariamente efficace,
non si ripeterà più, macchina
perfetta e rodata per assecondare
l’ego infinito di Mr. Fripp, candida
ammissione: l’ascolto ‘folgorante’ di
Epitaph, 8’ e 47’’ sulle onde medie
di Radio Luxenbourg, oltre 45 (!)
anni fa, mi procurò brividi incredibili
e, mi spinse alla ricerca del mitico
vinile import, trovatolo, rimasi
sbalordito sin dalla cover, tra le più
belle in assoluto della discografia
di tutti i tempi, ‘opera’ d’arte del
pittore Barry GODBER, Program-
matore di 23 anni, scomparso
prematuramente l’anno successivo,
il dipinto originale è conserva-
to dallo stesso Fripp. La traccia
d’apertura è relazionata alla mitica copertina: 21st Century Schizoid
Man, siamo nell’era della Summer of Love californiana e, arriva questo
autentico incubo, la voce effettata e filtrata, canta di Vietnam e bombe
al Napalm, il sound esplode letteralmente tra echi jazz (free) e hard rock,
bordate assassine di sax, distorsioni chitarristiche e breaks repentini,
ritmi sincopati e fragorosi, autentico delirio, la ‘bocca cavernosa’ ingoia
tutto e tutti, ambient e rumori di fondo, brano precursore di tanta
musica ‘colta’. Dopo la follia, la calma: I Talk To The Wind (02), entrano
19n.110
La Rai
di
www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio
Questa Raiverrà polverizzata
QParlano i guru: la tv come noi la intendiamo sparirà
un canone da pagare che nessuno più vuol
vedere tanto che l’evasione ha raggiunto
la vetta del 30% in Italia. Sicché l’idea che
sembra tentare palazzo Chigi è quella di
arrivare a un’abolizione della tassa più
antipatica d’Italia: per centrare l’obiettivo
ci sarebbe la strada dell’inserimento nella
fiscalità generale, che renderebbe meno ini-
qua la vessazione. Si parla da molto tempo
di riformare il servizio pubblico televisivo,
del resto l’ultima riforma della Rai risale
al 2004: è davvero tempo di cambiare, la
prossima scadenza della concessione è
prevista per il 2016. “Il servizio pubblico,
per il quale i cittadini pagano il canone –
spiega Antonio Preto, commissario AgCom
- dovrebbe garantire qualità dell’offerta, va-
rietà dei generi, contenuti e temi, capillarità
e qualità della diffusione, innovazione dei
contenuti, capacità di intercettare i nuovi
bisogni del pubblico. C’è bisogno, in sostan-
za, che il servizio pubblico torni a investire
in prodotti culturali e che si faccia carico
dell’alfabetizzazione digitale della popo-
lazione e non solo di quella più anziana.
Sappiamo sfruttare ancora poco le enormi
potenzialità che ci offrono
le nuove tecnologie, come
le smart tv. Nei Paesi dove il
servizio pubblico raggiunge
elevati standard di qualità,
tutto il sistema ne beneficia
e s’innesta una corsa al
rialzo da parte delle emittenti
commerciali. Il finanziamento
del servizio pubblico è cru-
ciale per il sistema: occorre
maggiore trasparenza nella
gestione del canone e un
utilizzo corretto delle risorse
pubblicitarie”. Da evitare
anche lo spreco biblico come
ai tempi della foto dell’Agenzia Ansa che,
nel novembre del 2014, ritrasse la selva di
microfoni dei giornalisti al seguito del pre-
mier Renzi al Consiglio al G20 di Brisbane,
Australia. Allora, si mossero in contempo-
ranea inviati del Tg1, Tg2, Tg3, Rai News 24,
e della radio. Tutti intenti a confezionare il
loro bel servizio. La tv di Stato ha staccato
per quelle 13 persone un assegno da 60
mila e 500 mila euro tra aerei, alberghi,
pranzi e costi tecnici. Il guru Hastings l’ha
vaticinato: se questa tv resterà così verrà
polverizzata in un batter di ciglio.
uale sarà il futuro della Rai? Per
rispondere al quesito ce ne dovre-
mo porre uno altrettanto arduo, al
limite dell’escatologia (chi siamo,
dove andiamo, da dove veniamo), cioè
comprendere appieno come sarà davvero
la tv tra 10, 20, 30 anni. Secondo Reed Ha-
stings, il boss e guru di Netflix (il fenomeno
sociale della tv che sarà e che è già realtà
negli Usa), entro 15 anni la tv tradizionale,
quella cosiddetta lineare, con palinsesti ri-
gidi, non esisterà più. Nel 2030, in sostanza,
tutta la tv, a eccezione degli
eventi in diretta, inizierà su
richiesta dello spettatore e
sarà distribuita via Internet. E
appunto la distribuzione sulla
rete permette di far partire il
programma tv su richiesta e
di visualizzarlo con qualun-
que dispositivo collegato
ad internet, che sia un
televisore, una console per
videogiochi, uno smartphone
o un tablet. E c’è un dato di
uno studio americano che sta
anticipando il futuro: per la
prima volta nel 2014 il tempo
medio passato davanti a uno schermo
smart (tablet o smartphone) da un singolo
individuo oltreoceano ha superato quello
speso davanti alla tv tradizionale. Davvero
la tv come la intendiamo oggi è destinata
a morire? David S. Cohen, firma storica del
magazine americano Variety, la pensa così:
“Tutti noi conosciamo la litania. La tv tradi-
zionale è troppo costosa da mantenere. Gli
ascolti scendono. Il pubblico si polverizza. I
più giovani stanno perdendo l’abitudine di
stare davanti alla tv. I telespettatori che so-
pravvivono non ne possono più di sorbirsi
tutta quella pubblicità (…). Le previsioni di
Reed Hastings di certo si avvereranno se la
tv tradizionale resterà immobile, legata a
vecchie tecnologie e a vecchie abitudini di
visione”.
Ecco, da noi in Italia la situazione è ancora
cristallizzata ai tempi di Craxi e Martelli,
ante monetina all’Hotel Raphael, con
Raidue socialista, la Uno diccì e la Tre
comunista. E dall’altra parte il suo amico
Berlusca che ha sempre gigioneggiato
tra un dentifricio ed un panettone con la
filosofia molto liberal-mortadella del non
calpestiamoci i piedi, non facciamoci del
male: arriviamo indenni alla legge Gasparri.
Una visione, questa della Rai, che ha
attraversato il digitale, restando tuttora
confinata al giurassico, sia per quanto
riguarda il prossimo futuro che il presen-
te di per sé attanagliato a programmi
scadenti, informazione al tempo di internet
che risulta essere libera come quella del
Gambia, format acquistati dalla Spagna,
latitanza estiva dei programmi sostituita dai
fondi di magazzino di film di Carosone ed
della grande basilica.
Accade a sei anni dal disastro, dopo oltre settecento giorni di can-
tieri e qualcosa come tredici milioni di fondi.
Mi racconta Antonio De Petris, vispo settantenne, davanti a un bel
bicchiere di birra nel chiosco accanto alla chiesa, che i resti di San
Bernardino, per tornare a casa, hanno sfilato giorni prima per la
città, scortati da un nugolo di cittadini, tra fanfare di alpini, autorità,
confraternite e ordini religiosi locali.
“C’erano tricolori ovunque - racconta ridendo sguaiato - neanche ci
fosse stata la nazionale di calcio”.
Certo mi sarei aspettato una serie di bandiere con il monogramma
bernardiniano:il sole raggiante in campo azzurro, le lettere IHS, le
prime tre del nome di Gesù in greco e, sopra la lettera H, un allun-
gamento dell’asta a rappresentare la croce di Cristo.
Fu questa la grande intuizione di Bernardino, impiantata in lui dallo
Spirito Santo, un emblema che si diffuse grandemente e aiutò la
devozione e la sequela del Cristo, prendendo il posto di stemmi e
blasoni di antiche corporazioni.
“Tutti guardavano in alto e quando gli occhi si abbassavano erano
pieni di lacrime inespresse”- continua Antonio con animo sorpren-
dentemente poetico.
C’è da capire queste
parole!
Il capolavoro del soffitto
ligneo, all’interno, opera
settecentesca di Ferdi-
nando Mosca, è tornato a
brillare sulle teste grazie ai
soldi pesanti dei fondi Cipe
e della Carispaq, la cupola
all’esterno sembra nuova,
rinata dopo le gravissime
lesioni, la torre campanaria
crollata in parte, è stata
mirabilmente rinforzata
con una serie di consolida-
menti conservativi di ulti-
ma generazione. Restano,
quanto prima, da restituire
u, o Gesù, onore dei credenti, forza di coloro che
operano. Tu sostegno dei deboli, per Te i malati sono
sanati, le colpe perdonate e coloro che soffrono sono
irrobustiti”.
(Sermone 49 dagli scritti di San Bernardino da Siena)
Un bel sole illumina il bianco splendente della facciata quattrocen-
tesca di San Bernardino all’Aquila, opera del grande Cola dell’A-
matrice. I tre mirabili livelli architettonici di ordine dorico, ionico e
corinzio, si mostrano quasi inediti.
L’ultima volta la stessa facciata non l’avevo vista, imbracata com’e-
ra ovunque, avvolta in una morsa inaudita di giganteschi ponteggi,
tubi chilometrici e grandi lamiere. Ricordo che quel giorno c’era
una pioggia giallina di scirocco e nuvole grosse e grigie in cielo.
Oggi, al contrario, i raggi del sole primaverile spargono speranza a
profusione.
Un’anziana signora, dai capelli bianchi candidi, scende lungo la
scalinata d’ingresso stringendo la mano del piccolo nipote. Ha il
viso paonazzo di chi si è visibilmente commosso.
Un’emozione forte questa, per tutti gli abitanti del capoluogo
abruzzese.
Finalmente in una città martoriata, un segno di ripresa che si con-
cretizza nel riappropriarsi di uno dei tanti suoi gioielli, in attesa di
riavere anche la splendida
Collemaggio e le spoglie di
Celestino V al loro posto
secolare.
Questa severa basilica
fu costruita tra il 1454 e
il 1472 per custodire le
spoglie mortali del grande
Bernardino, francescano
senese, a cui il popolo aqui-
lano attribuisce da secoli
miracoli per chi è capace
di pregarlo intensamente
davanti alla salma.
E le spoglie del grande
santo ora sono tornate di
nuovo al loro posto sotto
il presbiterio, lato destro
In giro
Restituita agli aquilani
di
http://paesaggioteramano.blogspot.itSergioScacchia
FinalmenteSan Bernardino!
“T
20n.110
e il Mausoleo di Bernardino a forma di
grossa arca quadrata che ha, nella parte
inferiore, l’urna con le spoglie miracolose
del santo. Un’occhiata al singolare Altare
Maggiore in pietra e marmi, la inutile ricer-
ca della Pala in terra cotta di Andrea Della
Robbia che pare sia in restauro anch’essa
ed è già ora di ripartire.
Proprio come deve assolutamente ripartire
L’Aquila!
ARRIVARE ALL’AQUILA
Da Roma (A1, per chi viene da Nord e da
Sud)
Autostrada A24 Roma-L’Aquila-Teramo.
Da Giulianova ( A14, per chi viene da
Nord)
Bretella autostradale Giulianova-Teramo /
Autostrada A24 Teramo-L’Aquila.
Da Pescara ( A14, per chi viene da Sud)
Autostrada A25 Roma-Pescara, in direzio-
ne Roma ed uscire al casello di Bussi.
Seguire le indicazioni stradali per L’Aquila
(circa 60 km).
Per mangiare: io ho gustato un fantastico
carpaccio al filetto di agnello e un dolce
strepitoso a pochi chilometri dalla città via
lago di Vetojo.
La Cartiera del Vetojo Ristorante
INFORMAZIONI 0862.028260 -
333.3887848 | B&B: 339.1490136
ai visitatori e fedeli le cappelle laterali, ma
questo, giurano, accadrà presto.
E pazienza se qualcuno sicuramente avrà
lucrato da questi grandi interventi in città.
Importante, troppo importante ricomincia-
re anche se a piccoli passi.
La riapertura della basilica risorta dalle
macerie è il trionfo della vita, ha detto quel
giorno, con sguardo di padre e pastore, il
vescovo Giuseppe Petrocchi.
Il monsignore, visibilmente commosso ha
continuato facendo riferimento al Vangelo
come benedizione di un tralcio potato che,
nella misteriosa sapienza di Dio, patisce
grandi perdite per avere presto frutti so-
vrabbondanti. Lo Spirito Santo, insomma,
ha i suoi disegni ma forse per gli aquilani
questi sono un tantino contorti.
A me piace semplicemente pensare che
la vita è come l’acqua di un fiume, a volte
stagna in qualche oscuro laghetto ma poi
arriva sempre al mare e ci arriva purifi-
cata!
Le antiche campane ora suonano a distesa
per l’Angelus del mezzodì. I loro rintocchi
riempiono l’aria del centro storico, danno
una lieta parvenza di normalità a una
città che normale non è più da sei lunghi
anni, da quando il terremoto del 2009 ha
sconvolto la geografia non solo dell’Aquila
ma di tutto l’Abruzzo.
La basilica già nel 1703 aveva rischiato
di essere rasa al suolo ma quel lunedì
santo del sei aprile, alle famose ore 3:32,
ha cambiato la geografia dell’Abruzzo
intero, ha sconvolto le vite di tutti: chiese
distrutte o danneggiate profondamente, i
conventi francescani di San Bernardino e
San Giuliano, di enorme importanza storica
e religiosa per la santità dei frati che vi
hanno soggiornato, con danni incalcolabili.
E poi, come dimenticare le trecento e
nove vittime, gli oltre duecento feriti gravi?
Non ci si abitua mai ai terremoti neanche
dopo averne subiti tanti, come quello
disastroso del 13 gennaio di cento anni fa,
11esimo grado Mercalli che causò nella
vicina Marsica più di 30 mila vittime.
Devo dire che gli aquilani sono tosti, gente
di montagna che si piega, si flette ma non
si spezza. Potrebbero scrivere un’enciclo-
pedia della sofferenza e della disperazione,
la durezza della vita li segna periodica-
mente nel corpo, nella personalità, nello
spirito, ma essi non si rompono neanche
davanti a una botta terribile di magnitudo
6,3.
Entro in basilica e mi prende un groppo
alla gola. L’emozione mi fiacca le gambe,
mi toglie il fiato.
Molte persone si aggirano col naso in su:
studenti di arte, fedeli, turisti dell’ultima
ora, curiosi. La pianta a croce latina è di-
visa in tre navate con sei cappelle laterali.
Il grande organo settecentesco sta suo-
nando sotto le mani esperte di un frate. Il
soffitto dona colore e luce all’ambiente.
Al centro della volta trionfa finalmente il
grande Monogramma Bernardiniano.
Il santo senese non aveva creato questo
disegno a caso. Tutto in quel logo antico
aveva un significato: il sole centrale a rap-
presentare il Cristo fonte di vita che irradia
amore e carità; i dodici raggi a richiamare
gli Apostoli inviati dal Cristo a portare la
Parola; gli ulteriori otto raggi a ricordare le
Beatitudini e la felicità dei Beati; il celeste
dello sfondo come simbolo di fede e le
parole in latino tratte dalla Lettera di San
Paolo alla comunità di Filippi: “Nel Nome di
Gesù ogni ginocchio si pieghi sia dagli es-
seri celesti che dei terrestri e degli inferi”.
Peccato per il Sepolcro di Maria Campo-
neschi, la donna piegata dal dolore per la
perdita della figlioletta, icona di tutte le
tragedie di questa città mirabile ma eter-
namente sfortunata. La cappella è ancora
in restauro.
Posso consolarmi ammirando il Coro in
stalli di noce, opera di Giancaterino Ranalli
21n.110
22 Accade a Teramon.110
di
[email protected] Tovariš
Il solitariopirulo innamorato
a raso, lo costringe a fare “il giro del meschino” per tornare in
piazza ed entrare in quello sotterraneo. Tutte cose che hanno
fatto dimenticare come quella stessa sia stata testimone della
nascita dei primi e ormai attempati amori adolescenziali e dove
tanti ragazzini e ragazzine si sono scambiati il primo timido
bacio. Oggi, quella piazza che da tempo avrebbe dovuto essere
riqualificata a verde è divenuta un parcheggio di periferia a
servizio di ben altri “fatti” non meglio definiti ma noti a tutti. Noi,
però, inguaribili ottimisti, siamo fiduciosi nel futuro visto che
un solitario “pirulo” ha trovato posto da tempo nel bel mezzo
della Piazza, messo lì con il consenso di qualche illuminato
amministratore, sempre a guardia e protezione di una delle
sgangherate grate che arieggiano il parcheggio sotterraneo e
che aspettano che gli stessi amministratori facciano cessare in
qualche modo le cause della loro presenza. Resta però in noi
la speranza che “il solitario Pirulo innamorato” trovi presto una
compagna.
a un bel po’ di tempo campeggiano in Piazza Dante nu-
merosi “piruli” incatenati e posti sopra alle grate presenti
a lato del Liceo Classico e che arieggiano il sottostante
parcheggio. Piazza Dante era tra le più belle piazze di
Teramo prima che le attrezzature a servizio del parcheggio sot-
terraneo la stuprassero, senza contare l’ignobile ingresso nella
piazza che ha più che dimezzato la strada proveniente dagli ex
Tigli e che, non trovando l’automobilista posto nel parcheggio
D
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di
Così come fecerogli antichi
SE come fare soldi (degli italiani) con l’Expo
n.110
Le accuse di imitazione sono ridicole.
“Un albero è un albero, proprio come un
grattacielo è un grattacielo: sono spesso
simili, siano essi a New York o Shanghai.
Non è possibile avere il copyright sulla
forma di un albero”. L’installazione
nata appunto dalla direzione creativa di
Marco Balich e dal design dello Studio
Giò Forma è una composizione architet-
tonica di acciaio e legno che si erige per
37 metri di fronte a “Palazzo Italia”. A
Singapore invece hanno creato i “Super-
trees Grove”, una foresta di super alberi
finti. Alberi fotovoltaici interrati in un
bosco artificiale in grado di accumulare
il calore del sole e produrre l’energia
necessaria per la propria illuminazio-
ne. La pazza idea è venuta a un team
internazionale di ingegneri, architetti e
paesaggisti della Wilkinson Eyre e della
Grant Associates
che, fondendo tec-
nologie rinnovabili
e botanica, hanno
quindi realizza-
to un progetto
ambizioso ma non
impossibile. Insom-
ma, come hanno
fatto sempre gli
antichi: “Se la cosa
riesce, va bene.
Sennò... “.
embra proprio che sia andata in
questo modo. Quel discolo ed
eterno bambino di Michael Jack-
son si sarebbe messo davvero di
sotto il gomito sporto apposta dal banco
per potere sbirciare di nascosto sul
pentagramma del noto compositore e
cantante di Cellino San Marco, Al Bano. Il
plagio ha radici secolari. Primo elemento
di parole composte della terminologia
scientifica, con il significato di “inclina-
to”, “obliquo”. E se non ci si accorge per
tempo di chi esercita l’attribuzione al
proprio ingegno di un’opera altrui o di
parti di essa, a proposito di secolarità
e affini, di “inclinato” piuttosto che di
“obliquo”, bisogna rassegnarsi ad attua-
re comportamenti assai simili a quelli
attesi sempre degli antichi: “Se fice da
‘ngule!”. Nella fattispecie dell’Expo 2015,
lo si sarebbe attuato, il presunto plagio,
per soli 8 milioni di euro. Marco Balich
sostiene che “L’Albero della Vita” è sen-
za ombra di dubbio un’opera d’arte che
rappresenta, al contempo, scultura, in-
stallazione, edificio
e monumento, con
chiari rimandi al Ri-
nascimento italiano
e alla struttura pa-
vimentale di Piazza
del Campidoglio
a Roma creata da
Michelangelo nel
XVI secolo. Un pro-
getto che non ha
nulla a che fare con
quello di Singapore.
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Fin dai primi decenni del 1900 le pinciaie, case di terra estre-
mamente povere e immagine della miseria, erano numerose
nella fascia adriatica del teramano.
Si può ben dire che queste case, simili a quelle costruite al
tempo degli Etruschi, erano comuni nel settecento sia in Ro-
magna che nelle Puglie.
La tecnica costruttiva pare sia stata mutuata, nel secolo scor-
so, anche dalle popolazioni slave.
Le abitazioni erano realizzate in aperta campagna con argilla e
paglia e costituivano mirabili esempi di architettura dell’”arran-
giarsi” per contadini, braccianti e pastori.
Erano caratterizzate da fondamenta pressoché inesistenti e
poggiavano su tronchetti di legno infissi nel terreno per dare
una parvenza di stabilità.
Eppure, a dispetto di una fragilità estrema, le case raggiun-
gevano una certa consistenza, con un piano terra adibito a
cucina dal pavimento in terra battuta, camino, camera da letto
e magazzino per attrezzi e stalla.
In più, spesso, c’era anche un piano superiore con altri letti.
Finestre minime, locali
maleodoranti e umidi,
freddo pungente, di certo
la vita nelle pinciaie era
difficile.
I suoi abitanti beccavano
di tutto, dalle malattie
polmonari, alla tuberco-
losi.
Eppure queste strutture
sono la storia di quelli
che prima di noi hanno
abitato la nostra terra e
costituiscono l’espres-
sione di un mondo antico
che stiamo dimenticando.
Oggi le pinciaie sono in
disfacimento! C’è biso-
gno di qualche progetto
uesto articolo l’ho scritto a quattro mani con un grande
amico, innamorato dell’ambiente, del movimento dolce
in bici, che ha sempre cercato di far conoscere la cultu-
ra dello “slowtravel”: il professore Lucio De Marcellis.
Oggi, che ci ha lasciato, ricordo con nostalgia le sue parole:
“Chi spinge sui pedali e fa correre veloci o lente, due ruote,
spalanca davanti ai suoi occhi orizzonti infiniti e colleziona
qualcosa di prezioso, alberi, profili montuosi, distese di campi,
corsi d’acqua. In pratica inventa paesaggi ogni volta diversi”.
Cresce sempre di più, nella nostra Provincia, la voglia d’itinera-
ri che colleghino emergenze storico-architettoniche con luoghi
d’interesse paesaggistico e naturalistico.
Nella vallata del Vibrata, cuore della provincia teramana, ricca
di paesaggi agresti notevoli e di centri storici preziosi, esiste
un percorso nel Comune di Sant’Omero, da poco corredato di
apposita segnaletica.
Si presta a essere utilizzato a piedi, in mountain bike o a caval-
lo: è la Via delle Pinciare.
Il nome, come si può intuire, deriva da alcuni affascinanti casali
realizzati in terra cruda (le pinciare o pinciaie), tipici dell’archi-
tettura “povera” abruz-
zese, che s’incontrano
lungo il percorso.
Il dislivello e la difficoltà
sono minimi, il fondo in
asfalto e, in parte, in terra
battuta. Costituisce un
esempio, per tutti gli altri
comuni, di come si possa
valorizzare un percorso
esistente, con poca spesa
visti i tempi di ristrettez-
ze economiche.
Può costituire il primo
ramo di una rete di vie
alternative, famose green
ways in grado di regalare
agli utenti ambiente e
storia di un popolo.
In giro
L’architettura dell’arrangiarsi!
Sulla viadelle pinciaie
Q
24n.110
dihttp://paesaggioteramano.blogspot.ithttp://www.abruzzoinbici.it
Sergio Scacchiae Lucio De Marcellis
Gesù, vestito con una tuni-
ca fermata ai fianchi da un
drappo, tiene una minusco-
la sfera nella mano sinistra.
La Vergine velata indossa
una tunica coperta da un
manto stellato. L’opera è at-
tribuita ad un maestro igno-
to di provenienza umbra.
Sono numerose le leggende
che popolano questo luogo
dal quale si dominano le
valli del Vibrata e Salinello.
Storie fantastiche di chioc-
ce con uova d’oro, di tesori
nascosti sotto terra e di
tumuli bi millenari di grandi
personaggi dai corredi
funerari ricchissimi.
Il fascino del luogo però risiede nella
storia secolare che custodisce.
Info:
La Via delle Pinciare è una tra le dira-
mazioni secondarie della Fondovalle
del Salinello. Per le bici da corsa invece
(che richiedono percorsi interamente
asfaltati), una delle alternative potrebbe
essere la Via delle Terme. Il nome ci
rievoca immediatamente l’antica Roma
le cui vestigia riaffiorano ovunque in
questi luoghi. In località Vallorina di
Sant’Omero, nel 1823 fu rinvenuto un
cippo miliario che testimonia che qui
passava l’antica Via Metella:
http://www.abruzzoinbici.it/documenti/
Testo%20integrativo%20di%20Nicco-
la%20Palma%20sul%20tracciato%20
della%20Via%20Metella%20
tra%20l’Abruzzo%20e%20
il%20Lazio,%20detto%20
anche%20Tracciolino%20
di%20Annibale.pdf
http://www.comune.santo-
mero.te.it/27-percorsi_turi-
stici.html
Per raggiungere Sant’Omero
in provincia di Teramo:
Dall’autostrada Adriatica
A14 (da nord: direzione
Ancona; da sud: direzio-
ne Pescara), uscire a Val
Vibrata, continuare sulla SP
259 in direzione di Pescara,
seguire le indicazioni per
Sant’Omero.
per recuperare urgente-
mente i caratteristici casali
di terra cruda che soffrono
il tempo che passa. Cre-
diamo sia opportuno che si
faccia tutto il possibile per
preservare questi manufatti
dalla loro scomparsa.
L’ultime tempeste d’acqua
dello scorso inverno hanno
fatto franare una delle case
rimaste, altre sono molto
malridotte, inoltre uno
degli affluenti del Vibrata
è sempre più sporco, una
discarica a cielo aperto,
una bomba ecologica.
Non lontano dalla Via delle
Pinciaie, si trova S. Angelo
in Abbamano, una località agreste di
Sant’Omero, un tempo ubicata su di
una via molto usata dai romani per
condurre gli eserciti nel Pretuzio e nel
Piceno ascolano.
Nei tempi antichi, esisteva una sorgen-
te di acque sulfuree, oggi prosciugata.
Pare che fosse utilizzata per curare le
artrosi.
Il luogo era denominato Sant’Angelum
ad Puteum probabilmente proprio
per l’odore nauseabondo dell’acqua
termale.
Oggi su quella che era una massiccia
costruzione romana di bagno pubbli-
co o forse di enorme cisterna, sorge
l’incantevole chiesina dedicata al culto
di San Michele Arcangelo, con le sue
semplici strutture romaniche senza
fondamenta.
Questa ipotesi costrutti-
va, dettata da più di uno
storico, pare suffragata dalla
presenza di un mosaico, sul
lato destro del tempio, co-
perto da uno strato di ghiaia
minuta, fatto di piccole
tessere chiare, che dove-
va costituire il pavimento
dell’edificio superiore del
bagno termale. Proprio su
questo mosaico è fondata la
base del muro della chieset-
ta, che in alto è di mattoni
rinforzati.
Sull’ingresso della chiesa
inoltre, volto a occidente, il
gradino della soglia non è
altro che un frammento di
epigrafe il quale reca incise
delle lettere a grandi caratteri imperiali.
Il luogo oggi è solitario ma un tempo
doveva essere molto frequentato. Si
deduce dai ritrovamenti di scheletri di
animali e di ossa umane.
A poca distanza, c’è anche la possibilità
di visitare un antico frantoio dove le
tecniche di realizzazione dell’olio sono
rimaste davvero quelle di un tempo.
In un paese come Sant’Omero, mar-
toriato dai continui trafugamenti dei
tombaroli, non si capisce bene come
non sia stata rubata anche una splendi-
da Madonnina lignea gotica, che fino a
qualche anno fa impreziosiva il piccolo
tempio contadino. L’opera, che ora è
custodita nel Museo Nazionale d’Abruz-
zo dell’Aquila, rappresenta la Madonna
seduta su uno scanno in posizione
frontale mentre sorregge con il braccio
sinistro il Bambino in piedi. Il piccolo
25n.110
26n.110
Cinema
L’ultimo film di Nanni Moretti
di
La mia materà penser
D
momento come questo, venga a rappresentare l’ordine, la razionali-
tà, la narrazione, la passione e la com-passione. Un ordinario negato
esattamente come il finto straordinario, anche se esibiti. Contrap-
posti a un mondo tutto finto che, ammantandosi di continuo di tali
parole, le nega e le ostacola costantemente.
Quella madre costituisce una fede, soprattutto politica, negata e
combattuta da fedi e politiche d’altri segni, bigotti e conservatori, mi-
stificatori e manipolatori. Eppur liberi(sti). E, certo, è anche il cinema,
mater à penser controcorrente, regina di morti e immortali, mater(ia)
di cui sono fatti i sogni. A Nanni Moretti interessa mettere in lotta
questa contrapposizione, questa divisione tra verità e menzogna.
Non soltanto la contraddizione sin troppo insi(sti)ta anche in lui, la
contraddizione che rimane una possibile conseguenza del doppio.
E che si svela nella militanza Pd, partito, specchio dell’ex Pdl, in
larga misura responsabile della catastrofe che il film mostra (afasia,
impotenza, scoramento, senso di inutilità e incapacità di qualsivoglia
narrazione, politica sociale estetica). E ancora incredibilmente segui-
to da tanti uomini e donne. Sia pure dall’uomo/donna, e forse anche
dal cineasta, Moretti.
Qui si entra nello specifico del suo ci-
nema. La sua risposta in merito a quel
che descrive è coerentemente incoe-
rente, espressa attraverso un sociale
scisso, un pubblico parlato principal-
mente attraverso il privato, l’intimo,
persino ohibò ombelicale (proprio in
senso letterale). Questo tipo di regia,
o perlomeno di forma cinematografica
(in)espressa nella sua totalità, rincorre
una deriva, una fuga, un baratro di
follia, incarnato non esclusivamente
dal personaggio dell’attore Barry / John
Turturro (si veda la scena, genialmen-
te gratuita, in cui balla con la troupe
del film nel film: un momento che ripete altri momenti-movimenti
gratuiti e altrettanto geniali dei suoi film precedenti). Gratuito appare
anche l’episodio dalla mamma in fuga dall’ospedale: una scena che
non sappiamo se reale o immaginata, sognata. Cosa importa? Tutto
il film, ogni film, non soltanto di Nanni Moretti, è reale immaginato
sognato. Il vero è falso, il falso è vero. Take me back to reality!
Si cerca (invano?) di incartare tutto
questo «sfuggente», questa ineffa-
bile fuga continua, con un ordine di
scrittura e di linearità narrativa. A
dispetto dei flashback, gli andirivie-
ni mnemonici, gli squarci onirici, il
metalinguaggio. Non solo è impossibile
la lotta, ma anche la descrizione della
lotta. Lotta lutto. Nondimeno Guy
Debord introduceva i suoi Commentari
sulla società dello spettacolo (1988)
citando Sun-Tzu: «Per quanto critiche
a piccoli, soli e smarriti, incompleti e curiosi, si chiama la
mamma. Se si continua a farlo quando si è adulti, secondo la
vulgata corrente qualcosa non va. Vi accuseranno di essere
nevrotici, dissociati, ritardati, al più mammoni, un mot juste
che fa parte del dizionario dei luoghi comuni sugli italiani. Nanni
Moretti, nei suoi personaggi alter ego, non lo ha mai negato, sin
dall’inizio: di essere idiosincratico, im-
maturo, dipendente. Ed era la messa in
scena del proprio io a compensare, re-
gisticamente, lucidità, maturità (parola
orrenda), talento, professionalità (altra
parolaccia), indipendenza. Il doppio.
Consistente in quest’altra parte di sé
non allineata all’adultità, alla ragione,
all’ordine.
Essere doppi come essere completi,
scissi pazzi o scissi creativi. Ne era
convinto pure Fassbinder, perenne-
mente impietoso con sé stesso e i suoi
personaggi, eppur tenero, con l’amata/
odiata madre Lilo Pempeit dentro i
suoi film (e il film della sua vita). Il confronto, doloroso e necessario,
con la propria parte femminile, madre o/e figlia (figlio). Dovrebbero
farlo tutti, non soltanto gli omosessuali. Maschile/femminile, dicoto-
mia al pari di realtà/fiction, perlustrati osservati in un’epoca in cui la
barra-confine (mentale) è stata in gran parte abbattuta, nonostante il
segno contrario del Potere e dell’Ordine, che traveste sempre le sue
repressioni in democrazia. O democrazy.
Per cui il doppio esiste e viene
tollerato, appartenendo però a freaks
pazzi e scombinati, scoglionati. Deve
pur esserci una ragione per cui diversi
d’ogni risma vengono esibiti in quanto
riconosciuti. In tv, e non solo. Come
tante Lola Montes dive e fenomeni da
baracconi al contempo. Quindi non ap-
pare contraddittorio se quella mamma
morettiana, così criticata, simbolo di
ripiego depoliticizzato, peraltro in un
anarchica e collettivamente
legata alla forma e all’autorità
(alla mamma?). Todo cambia
e nulla cambia, storia vecchia.
Allo stesso tempo, l’ossessione
per il potere risultava rovescia-
ta in una paura dello stesso
riletto alla luce di un punto di
vista cechoviano, alla maniera
dello scrittore più politicamen-
te privato di sempre. Interno
e intorno alla frustrazione, al
comico tragico, all’impossibi-
lità di via d’uscita, al deficit di
accudimento. Il lieto fine di quel film era
sdoppiato ulteriormente in una tragica fine.
Liberatoria, certo. Ma imprigionante perché
neppure utopica, semplicemente a-topica.
Senza luogo, territorio, paese, politica a cui
fare riferimento. In cui appoggiarsi. Nuvola
da cui non arriva(va) alcuna pioggia.
Per questa via adesso si evoca,
o forse soltanto si rievoca, un
logos, perduto come il latino, la
militanza. L’alunna della madre
insegnante invita Margherita a
non essere gelosa, sua madre
era più «nostra» che «mia»,
una pedina del Noi siamo qui,
film nel film. Eppure «mio» era
il Lenin dei tre canti vertoviani,
«mia» la Mat di Pudovkin. Cioè
la speranza nel domani. Un
domani che, nel finale, si legge
nell’espressione abbattuta e «vuota» di
Margherita/ Buy. Quel domani non c’è più:
goodbye, good Buy.
Forse è un addio, una resa dei conti. Tutto
quanto precedentemente, direttamente vis-
suto è diventato ormai solo una rappresen-
tazione. Ma cosa succede se la
rappresentazione stessa diventa
irrappresentabile? Se il primum
mobile, cioè la madre, è venuto
a mancare? Per questo, bisogna
confidare nel Moretti/mondo
che verrà dopo, la prova del
nove. La Tellus Mater, proprio
un terremoto, necessariamente
abbatte, distrugge, fa tabula
rasa. Poi (ri)porta i minerali,
il nascituro, il nuovo. Mater
Matuta, è (sarà) la madre di un
nuovo avvenire. Dopo la Mater
Tenebrarum, una Mater Clari-
tatum. Avremo un altro Moretti
bambino, discolo e anarchico.
27n.110
possano essere la situazione e
le circostanze in cui vi trovate,
non disperate; è proprio nelle
occasioni in cui c’è tutto da
temere che non bisogna temere
niente; è quando siamo circon-
dati da pericoli di ogni tipo che
non dobbiamo avere paura; è
quando siamo senza risorse
che dobbiamo contare su
tutte; è quando siamo sorpresi
che dobbiamo sorprendere il
nemico». È quando ci ritrovia-
mo a invocare, verso il cielo, la
mamma e la manna. Non poter (più) legare
l’immagine alla cosa, la copia all’originale,
direbbe Feuerbach, sempre per via Debord,
è il dramma di Moretti, di questa sua Mia
madre. Nel dativo possessivo latino, men-
zionato in uno dei momenti chiave, infatti,
il soggetto non è più il possessore, lo è la
cosa (la cosa!).
È giusto ricordare che durante
i ’60 e ’70, la mamma veniva
resa all’opposto, negata nel
ruolo mitico e mitopoietico di
myrionymus nutrice. Sepolta
nella sabbia (Jodorowsky),
uccisa (insieme a tutta la
famiglia: Bellocchio), archetipiz-
zata e giustificata come mostro
terzomondista (la Medea del
Pasolini semper devoto alla
mamma), spostata su un piano
horror di bad mamas (il Dario Argento
delle tre madri, e non soltanto quello,
l’ultima delle quali, giunta agli anni 2000,
si scindeva nuovamente, come qui, in una
madre amorevole che cerca di dar forza a
una figlia precipitata in un caos pubblico e
personale). Negli anni ’80, quando la messa
era finita (si era appena agli inizi
della fine), alla madre (suicida)
si chiedeva per quale ragione
fosse giunta a tanto, smettendo
di colpo la narrazione (quel libro
che non aveva finito di leggere).
Adesso un’intera parete di libri,
di fedi costanti, si dice qui, finirà
dove?
In Mia madre, Nanni Moretti
sembra fuggire ancora. Oppure
no. Eppure no. La scissione, si è
detto, consiste anche in questa
radicale contraddittorietà in un
mondo che proclama feticci di
unità e coerenza. Il suo papa
(papà?) incarnava una dimissione dall’im-
pegno (politico? un piddino sottrattosi alla
responsabilità?). Adesso confessa, con la
consueta serie di travestimenti di racconto
(non è questo il ruolo del narratore? stare
accanto e non con il personaggio, persino
con la storia?), la propria sconfitta, la
propria ammissione di colpa. In un rifugio
apparentemente tutto privato, già in parte
ammesso nell’insincero e insicuro La stan-
za del figlio (2001).
In Habemus papam (2011), Moretti descri-
veva, giocosamente pungendo, quanto
la nostra Italia fosse individualmente
leader nella stampa Free Press teramana e nell’Organizzazione di Grandi Eventi Culturaliricerca
agente pubblicitarioIl candidato ideale possiede:- Diploma di Scuola Media Superiore o Laurea;- Esperienza maturata nella Vendita di Spazi Pubblicitari o Servizi alle Aziende;- Grandi Doti Organizzative;- Spirito di Iniziativa e spiccate Capacità Relazionali;- Auto propria.
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28n.110
Negoziazioneassistita
Per quanto attiene alla procedura, essa inizia con l’informativa, da
parte dell’avvocato al proprio cliente, della possibilità di ricorrere alla
convenzione.
Chi intende fruire della convenzione invia alla controparte, tramite il
proprio legale, un invito a stipularla che deve essere sottoscritta e, come
già detto, indicare l’oggetto della controversia, con l’avvertimento che
la mancata risposta o il rifiuto, entro il termine di trenta giorni, potrà
comportare motivo per il giudice adito di valutare ciò ai fini dell’addebito
delle spese di giudizio, con condanna al risarcimento per lite temeraria
ex art. 96 c.p.c. e con esecuzione provvisoria ex art. 642 c.p.c.
Se, invece, l’invito viene accettato, si dà svolgimento alla negoziazione
vera e propria e nel caso di raggiungimento di un accordo, lo stesso do-
vrà essere sottoscritto dalle parti e dagli
avvocati che le assistono.
Oltre alla negoziazione facoltativa esiste
quella obbligatoria prevista per le azioni
riguardanti il risarcimento del danno da
circolazione dei veicoli e natanti e per le
domande di pagamento a qualsiasi titolo
di somme purché non eccedenti € 50.000
e non soggette alla disciplina della media-
zione obbligatoria.
Infine, tale procedimento esiste anche per
le soluzioni consensuali di separazione
personale, di cessazione degli effetti civili
o di scioglimento del matrimonio, di modi-
fica alle condizioni di separazione o divorzio, con procedimento distinto
a seconda che vi sia prole autosufficiente o meno.
La negoziazione assistita in ambito familiare opera solo in forma
facoltativa e riguarda controversie già esistenti tra i coniugi negli ambiti
appena elencati.
Naturalmente, tutto quanto sopra detto, è da ritenere non sufficiente-
mente esaustivo in quanto l’argomento della negoziazione assistita pre-
senta novità e criticità che non possono essere affrontati solo in questa
sede necessitando di un successivo ampliamento giuridico.
l D.L. n. 132/2014, convertito in Legge n.
162/2014, ha introdotto il nuovo istituto
della negoziazione assistita finalizzata
a portare fuori dalle aule dei tribunali
i contenziosi, ponendo così un freno al
continuo aumento dei processi e nello
stesso tempo costituendo un’alternativa
stragiudiziale all’ordinaria risoluzione dei
conflitti.
In questa sede esamineremo, sommaria-
mente, in che cosa consiste la convenzione
di negoziazione ed il relativo procedimento.
La negoziazione può essere intesa come
l’accordo con il quale le parti in lite con-
vengono di collaborare, in buona fede e lealtà, al fine di risolvere in via
amichevole una controversia con l’assistenza di avvocati.
Essa deve contenere: 1) il termine concordato dalle parti per svolgere
tale procedura, che non può essere inferiore a un mese e superiore a
tre; 2) l’oggetto della controversia che non può riguardare né i diritti
indisponibili né materie di lavoro.
Secondo quanto stabilisce l’art. 2 del D.L. n. 132/2014, la convenzione
deve essere redatta in forma scritta e conclusa con l’assistenza di uno o
più avvocati, a pena di nullità.
I
Dura Lex Sed Lex
di
29n.110
Sportdalla
PallamanoI
della pallamano non solo teramana ma anche
nazionale ed internazionale. Franco Chionchio
oltra che esserne la guida tecnica ha assunto la
responsabilità della dirigenza
della società. Nella stessa che
disputerà il campionato di
serie B, è confluito un nutrito
gruppo di amici anch’essi
rappresentanti della pallamano
teramana e che hanno vissuto
un glorioso passato. Tutto ciò
rappresenta il presupposto che
la squadra sarà ben guidata e
soprattutto potrà conseguire
risultati assenti ormai da troppi anni a Teramo. In
serie B militerà anche la Lions Teramo ed anche
qui in B ci sarà un Derby tutto teramano che già
nella passata stagione ha riscosso grande succes-
so di pubblico.
La Team Teramo e la N.H.C. Teramo hanno dispu-
tato la Coppa Interamnia nella Categoria over 18.
classificandosi entrambe al terzo posto. La Coppa
è stata dominata dalle squadre danesi che si sono
aggiudicate tutte le categorie, tranne la Over 18
maschile vinta dall’Uzbekistan e la Under 18 fem-
minile, vinta dalla rappresentativa brasiliana.
La Nuova H.F. femminile ha chiuso la
stagione con l’incontro casalingo valido per
la semifinale play off scudetto perso in malo
modo contro Cassano Magnago non sfrut-
tando per ben due volte su tre il vantaggio del fat-
tore campo. Resta comunque la soddisfazione di
aver concluso il campionato fra le prime quattro,
risultato che le dava il diritto di poter disputare
una delle Coppe Europee alle quali comunque la
società ha rinunciato. L’incognita per la prossima
stagione è legata ad eventuali partenze di
alcune giocatrici e all’arrivo di
sostitute all’altezza. Restano
comunque da verificare gli
obiettivi societari.
Per quanto concerne invece
la Team Teramo promossa
in A1, possiamo confermare
che La Brecciosa Serafino
sarà ancora alla guida tecnica
della squadra ampiamente riconfermata nei suoi
elementi base, potendo garantire ad essa una
profonda conoscenza non solo degli elementi
facenti parte della stessa, il
cui organico dovrà comun-
que essere arricchito da una
straniera e da un portiere che
sostituirebbe Daniela Dovesi,
atleta di grande valore, tornata
al Cassano Magnago sua
società di origine per motivi
extra sportivi, ma anche del
campionato che la squadra
stessa andrà ad affrontare. La
presenza in A1 di entrambe le società teramane
garantirà per il prossimo campionato il derby
cittadino che si preannuncia sicuramente foriero
di maggiore interesse per la
Pallamano in genere.
In campo maschile la
grossa novità è rappresen-
tata dal fatto che la Team
Teramo si è trasformata
in N.H.C. Teramo e che
sarà guidata da Franco
Chionchio, bandiera e gloria
30n.110
Shop arttuale di Floriana Ferrari. Una bella performance quella di Silvia
D’Anastasio, di Spazio Tre Teatro, che ha letto il racconto ideato per
i piccoli. L’Assessore alla Pubblica Istruzione Piero Romanelli che ha
promosso e inaugurato l’Evento e le famiglie dei 48 bambini, con il
loro sostegno, hanno decretato il grande coinvolgimento emotivo di
tutti i partecipanti. Il laboratorio artistico-sperimentale ha consentito,
con lo strumentario di ORFF, la scoperta dei suoni, in una dimensione
multisensoriale e creativa. L’arte e la musica hanno stimolato nei
bambini la crescita cognitiva ed emotiva, la comunicazione verbale
e la socialità. Nelle antiche botteghe dell’arte applicata al tessuto, i
cittadini teramani hanno potuto scorgere un pezzetto dell’antico e
prezioso ricamo delle
nonne, con le Scuole
di ricamo di: Atri “Mani
fatate” di Lodi Rizzini
Dalmazia; Castiglione
M. Raimondo: “Punti
e Spunti” di Wanda
Esposito; Gambettola
(Forlì): “L’Antica botte-
ga” Pascucci 1826, tele
Romagnole stampate
a mano. Un pubblico
scelto di critici e artisti
ha visitato la mostra del pittore Antonio Brandimarte, un giovane di
talento e già accademico, a cura di Grazia Ricci. I quadri di Bran-
dimarte sono scenografici, trompe l’oeil, finestre aperte sull’arte
antica, strizzando l’occhio a quella contemporanea. Che dire, poi, del
pomeriggio culturale del Recital di poesie a tema “Fiori e vita”, a cura
di Maria Di Blasio Ricci, per nutrire di bellezza tutti gli intervenuti.
Dulcis in fundo “Il Balcone più fiorito”, davvero difficile la scelta!!!
Nell’augurarvi buone vacanze, vi aspettiamo a Shop Art il 3 ottobre
2015, con nuovi Eventi Artistici e Culturali.
na giornata quella di SHOP- ART, all’insegna dell’arte e della
creatività degli artisti. Un evento che la città ha gradito, tanti
sono stati i protagonisti che hanno vivacizzato un’iniziativa
particolare dove l’arte ha sconfinato nell’artigianato e nel
connubio tra le arti. Un giorno speciale da vivere in via D’Annunzio,
recuperando il tempo della lentezza, aggirandosi tra gli spazi espo-
sitivi, entusiasmandosi per gli eventi. Bravissimi i piccoli musicisti in
erba del Micronido di
Teramo che nel conte-
sto di Shop-Art, nella
Galleria di Arte Antica,
hanno presentato con
successo, il laborato-
rio di musicoterapia
“La valigia dei sogni”,
coadiuvati dalle mae-
stre: Adelina Ragonici,
Elisabeth Lorenz,
Marzia Catitti, Antonella
Pepe, Giuseppina Di
Silvestre, Lidia Merlini, dalle collaboratrici Barbara Andreoni e Monica
Graziano, dalle musiciste dell’Istituto “G. Braga” di Teramo: Ilaria
Profeta e Maria Vittoria Eliani, con la Direzione Artistica e Proget-
U
Sabato 6 Giugno 2015
di
Le Vie dell’Arte e dell’Artigianato a Teramo