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IL REALISMO FA N TA S T I C O - toninosicoli · si oppone un certo impres-sionismo della pittura...

Date post: 19-Oct-2020
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16 Domenica 7 febbraio 2010 Domenica 7 febbraio 2010 17 21 L’ippodromo di Agnano, 1895 Villa Caracciolo Lattarico (Cs); sotto a destra Palazzo Lisanti, 1882 Ferrandina; a sinistra Rocco Ferrari Rocco Ferrari Nato a Montalto Uffugo, fu apprezzato autore anche di numerose opere di arte sacra IL REALISMO FANTASTICO U n pezzo di Calabria all'Opera di Pari- gi. Ruggero Leoncavallo aveva am- bientato il suo melodramma “I Pa- gliacci” a Montalto Uffugo, paese dove aveva vissuto alcuni anni della sua infanzia (1862-68) e che voleva riprodurre nella messa in scena così come l'aveva visto da piccolo e come lo ricordava. Aveva scritto da Mentone sulla Costa Azzur- ra al sindaco del paesello calabrese: «Vorrei fa- re una messa in iscena a Parigi della più gran- de verità, anzi una vera costruzione dei luoghi e dei costumi del paese. Per cui mi rivolgo alla Sig.ria Vostra per avere una riproduzione esatta del viale della Madonna della Serra, cioè il viale guardando dalla facciata della Chiesa verso i campi collo sfondo delle montagne. Questa riproduzione vorrei fatta in colori. Co- me pure in colori vorrei fatta la riproduzione dei costumi dei campagnuoli e delle campa- gnuole calabresi, nonché delle donne e degli uomini di S. Benedetto come io li vidi verso il 1864-65 a Montalto. Se occorre pagare qual cosa per questi lavori io sono pronto farlo. Quello che importa è che io li abbia al più pre- sto per poter far dipingere le scene e fare ese- guire i costumi. Voglio far vivere a Parigi la Montalto di quell'epoca». (lettera del 9 giugno 1902, in: L. Bilotto, Rocco Ferrari. Il romanzo della sua pittura, Montalto Uffugo, 2007) E il sindaco Ignazio Alimena aveva ben pen- sato di segnalare al grande musicista il pittore montaltese Rocco Ferrari, che quando aveva dieci anni era stato addirittura avviato al dise- gno proprio dalla madre di Leoncavallo, Vir- ginia d’Auria. Il pittore ricordava ancora la moglie del giudice Vincenzo Leoncavallo e il loro figliolo di tre anni più piccolo di lui. Entrambi erano due maturi artisti che si ri- trovavano a collaborare con il loro diverso ba- gaglio di esperienze ma accomunati dal mede- simo attaccamento alla società tradizionale e ai sentimenti di un mondo antico. «Io mi auguro - scriveva Leoncavallo a Fer- rari - che il Progresso (!) tanto nemico di tutto ciò che è artisticamente pittoresco non abbia del tutto distrutto i tipici e bei costumi calabre- si, e che al bel sole di Mezzagosto splenderan- no ancora i bottoncini color d’acciaio scuro che adornavano le casacche ed i pantaloni cor- ti di velluto di quegli uomini tagliati ne le querce e che sul loro capo poserà sempre l’ar- tistico cappello a punta con le fettucce di vellu- to cadenti! Mi auguro che le donne di S. Bene- detto si tessano ancora le gonne di raso azzur- ro e rosso e che sulla loro greca testa il pezzetto della stessa stoffa di raso ricamata d’oro e d’ar- gento che la mia povera mamma (artista pit- trice nata, figlia del pittore Raffaele D’Auria) tanto ammirava! Faccia an- che di quelli di Rose che co- me giustamente osserva vengono in pellegrinaggio, ma se il progresso ha mo- dernizzato per carità acco- modi e torni all’antico a quell’antico in cui (come ella dice) mia madre avviava al disegno la sua nascente gio- vinezza». Leoncavallo era rimasto molto colpito da un fatto di sangue realmente accaduto a Montal- to e ne aveva tratto spunto per la tragica storia di Canio e Nedda narrata ne “I Pagliacci”. Ne era nato uno dei melodrammi più popolari dell’epoca, già diretto nel 1892 a Milano da Ar- turo Toscanini e diventato nella interpretazio- ne di Enrico Caruso il primo disco ad aver su- perato il milione di copie vendute. Per il debutto parigino Ferrari preparò boz- zetti scenografici e di costumi popolari, in- viando a Leoncavallo anche cappelli a cono per gli uomini, grembiuli di cuoio per le contadi- ne, tamburelli per le coriste. Per essere il più aderente possibile al vero si procurò materiali del costume popolare calabrese, cercandoli ac- curatamente. «È stato un correre su e giù continuo - ri- spondeva Ferrari a Leoncavallo in una lettera del settembre 1902 - Ove ho saputo che eravi il più vecchio possessore delle più antiche ed au- tentiche scarpe, un velo, un ornamento, o la più formosa giovinetta di 50 anni fa!» Gli scenografi e costumisti francesi realiz- zarono così sulla base dei disegni di Ferrari gli allestimenti ambientali e confezionarono i co- stumi di scena, che furono apprezzati sia dal sovrintendente dell’Opera Gaillard sia dalla stampa parigina. Di quel lavoro resta oggi traccia solo nelle immagini di qualche cartolina, che il pittore aveva fatto riprodurre pri- ma di inviare i disegni in Francia. Ferrari era nato a Montal- to Uffugo nel 1854, figlio di un sarto di idee liberali con qualche trascorso di attivi- tà antiborbonica. Rimasto orfano di madre era stato af- fidato alle cure di una zia materna, la quale, svolgendo servizi domesti- ci a casa Leoncavallo, lo aveva fatto prendere a ben volere dalla signora Virginia, figlia del pittore napoletano Raffaele D’Auria. Il giova- ne Rocco studiò poi presso un sacerdote e i fra- ti cappuccini e, a partire dal 1864, sotto la gui- da di Carlo Santoro, intagliatore di statue, de- coratore e fotografo, padre del più noto Ru- bens Santoro. Nel laboratorio dei Santoro Fer- rari aveva sviluppato la sua passione artistica lasciando intravedere a tutti un marcato ta- lento. Suo padre, non potendosi permettere di far- lo studiare, fece domanda di sussidio all’Am- ministrazione Provinciale di Cosenza, che sempre nel 1864, gliene concesse uno. Fu così che per qualche anno il giovane talentuoso po- té frequentare la Scuola Tecnica cosentina fi- no a quando nel 1867 ottenne il pensionato per recarsi a studiare al Regio Istituto di Belle Arti di Napoli. Qui ebbe come maestro di Disegno di Ornato Ignazio Perricci, già affermato de- coratore e specialista in trompe l'oeil, che ben presto lo fece collaborare ad importanti realiz- zazioni. Infatti dal 1870 al 1872 Farrari lavorò con il maestro al Castello Ducale di Corigliano Cala- bro, alla realizzazione del Salone degli Spec- chi, un sontuoso esempio di arte decorativa napoletana, in cui il soffitto simula una balau- stra con affacciati personaggi in costume co- riglianese sotto un intenso cielo stellato. Ferrari fu assistente di Perricci anche a Roma tra il 1873 e il 1879 per affrescare il Salone da Ballo, la Sala de- gli Specchi e altre stanze del Quirinale; e a Napoli, per de- corare la cupola del Duomo, lavori durante i quali cadde dall’impalcatura salvando- si per miracolo. Partendo dalla lezione dei classici con annesso gusto per l’ornamento murale e le grottesche, Ferra- ri apprese da Perricci il senso dell’illusione, della prospettiva dal basso, della pittura che inganna l’occhio e si fa gioco dell’apparenza. Il realismo è un espediente per catturare l’atten- zione, per suscitare la meraviglia, per far cre- dere vero ciò che è solo simulazione. Ripresosi dall’incidente capitatogli a Napo- li l’artista montaltese continuò a lavorare da solo e nel 1888 venne incaricato di realizzare le decorazioni di palazzo Lisanti a Ferrandina, in provincia di Matera. Similmente al soffitto del Palazzo Ducale di Corigliano, anche qui dalle balaustre dipinte si affacciano due nobil- donne con ombrellino, un uomo e una nutrice con bambina, in atmosfere luminose, che ri- traggono una serena quotidianità e scene di vita familiare. La virtualità dell’immagine ri- produce una tridimensionalità con effetti di rilievo degli elementi architettonici e delle fi- gure che sembrano sporgersi per davvero. Co- me i puttini dei fregi, che paiono star seduti sul cornicione o sorreggere i medaglioni lun- go la decorazione, in alto, della sala consiliare nell’ex Municipio di Cosenza, ora Case delle Culture (1889). La galleria di ritratti che attor- nia la figura della Bretia, la grande madre ca- labrese, comprende i grandi personaggi della Calabria: Gioacchino da Fiore, Bernardino Te- lesio, Aulo Giano Parrasio, Galeazzo di Tarsia, Tommaso Cornelio, Sertorio Quattromani e tanti altri che hanno segnato la storia regio- nale. Realismo fantastico e verismo illustrati- vo si intrecciano in questi saggi di pittura pub- blica che si sviluppa anche in direzione dell’ar- te sacra, di cui Ferrari fu apprezzato autore. Il suo intervento fu richiesto nella chiesa di S. Maria della Serra nella natia Montalto, per una Sacra Famiglia; nella chiesa di S. Maria Maggiore ad Acri, in cui eseguì la Natività del- la Vergine (1888); nella chiesa di San Domeni- co a Cerisano (1893), dove realizzò un ciclo di dipinti murali che raffigurano scene religio- se, vite di santi, episodi di storia della Chiesa; nella chiesa dell’Immacolata a Pietrafitta (1893); nella chiesa di San Benedetto a Cetraro (1898), con racconti biblici e immagini degli apostoli; nella chiesa di San Giovanni Battista a Belsito (1905); nel Duomo di Cosenza con una Madonna del Rosario e nella chiesa di S. Ippolito, sempre a Cosenza (1911). Nelle decorazioni dei palazzi, invece, Ferra- ri si attenne agli insegnamenti di Perrici, rag- giungendo risultati di lievità e di generoso or- namento, con inserti di figure allegoriche e deliziosi racconti di vita quotidiana. Ne è pro- va il soffitto di Villa Caracciolo a Lattarico, vi- cino Cosenza, oggi in grave stato di degrado, che raffigura scene campestri, episodi di cac- cia, immagini di barche e pescatori, coppie d’innamorati, vedute di Venezia e dell’Ippo- dromo di Agnano. La descrizione in queste pitture è sobria e ariosa, con influenze di pae- saggismo da Scuola di Posillipo mischiate a quelle più francesizzanti da Scuola di Resina. Al classicismo e al simbo- lismo della pittura pubblica si oppone un certo impres- sionismo della pittura “da cavalletto” che, negli acque- relli e nei rari oli, usa la ste- sura a macchie e assume to- ni romantici. Pur avendo conseguito a Napoli il titolo di professore di disegno per gli istituti magi- strali, Ferrari non esercitò mai la professione di insegnante. Partecipò anche ad alcune esposizioni come la Prima Mostra d’Arte Cala- brese, organizzata da Alfonso Frangipane a Catanzaro nel 1912. Nel 1911 si trasferì a Paola, sul Tirreno, per seguire il figlio Nicola, impiegato nelle ferro- vie. In questo periodo eseguì le decorazioni di Palazzo Miceli Picardi a Paola, di Palazzo Giu- liani a San Lucido e dei Palazzi Valenza e Vac- caro a Fuscaldo, tutte opere, queste ultime, andate completamente distrutte. La morte lo colse il 17 maggio 1917. di TONINO SICOLI Sopra Perricci e Ferrari, Soffitto del Castello ducale di Corigliano, 1872; in alto Ferrari, L’abate Gioacchino, 1889, Casa delle culture (Cs) Leoncavallo lo chiamò per le scenografie dei suoi “Pagliacci” Decorò con maestria il soffitto nel Castello di Corigliano Calabro
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  • 16 Domenica 7 febbraio 2010 Domenica 7 febbraio 2010 17

    21

    L’ippodromo di Agnano, 1895 Villa Caracciolo Lattarico (Cs); sotto a destra Palazzo Lisanti, 1882 Ferrandina; a sinistra Rocco Ferrari

    Rocco FerrariNato a Montalto Uffugo, fu apprezzato autoreanche di numerose opere di arte sacra

    IL REALISMOFA N TA S T I C O

    Un pezzo di Calabria all'Opera di Pari-gi. Ruggero Leoncavallo aveva am-bientato il suo melodramma “I Pa-gliacci” a Montalto Uffugo, paesedove aveva vissuto alcuni anni della

    sua infanzia (1862-68) e che voleva riprodurrenella messa in scena così come l'aveva visto dapiccolo e come lo ricordava.

    Aveva scritto da Mentone sulla Costa Azzur-ra al sindaco del paesello calabrese: «Vorrei fa-re unamessa iniscena aParigi dellapiù gran-de verità, anzi una vera costruzione dei luoghiedeicostumi delpaese.Percui mirivolgoallaSig.ria Vostra per avere una riproduzioneesatta del viale della Madonna della Serra, cioèil viale guardando dalla facciata della Chiesaverso i campi collo sfondo delle montagne.Questa riproduzionevorrei fatta incolori. Co-me pure in colori vorrei fatta la riproduzionedei costumi dei campagnuoli e delle campa-gnuole calabresi, nonché delle donne e degliuomini di S. Benedetto come io li vidi verso il1864-65 a Montalto. Se occorre pagare qualcosa per questi lavori io sono pronto farlo.Quello che importa è che io li abbia al più pre-sto per poter far dipingere le scene e fare ese-guire i costumi. Voglio far vivere a Parigi laMontalto diquell'epoca». (lettera del9 giugno1902, in:L.Bilotto, RoccoFerrari. Ilromanzodella sua pittura, Montalto Uffugo, 2007)

    E il sindaco IgnazioAlimena aveva ben pen-sato di segnalare al grande musicista il pittoremontaltese Rocco Ferrari, che quando avevadieciannierastato addiritturaavviatoaldise-gno proprio dalla madre di Leoncavallo, Vir-ginia d’Auria. Il pittore ricordava ancora lamoglie del giudice Vincenzo Leoncavallo e illoro figliolo di tre anni più piccolo di lui.

    Entrambi eranodue maturi artisti chesi ri-trovavanoacollaborarecon il lorodiversoba-gaglio di esperienze ma accomunati dal mede-simo attaccamento alla società tradizionale e

    ai sentimenti di un mondo antico.«Io mi auguro - scriveva Leoncavallo a Fer-

    rari - che il Progresso (!) tantonemico di tuttociò che è artisticamente pittoresco non abbiadel tutto distrutto i tipici e bei costumi calabre-si, e che al bel sole di Mezzagosto splenderan-no ancora i bottoncini color d’acciaio scuroche adornavano le casacche ed i pantaloni cor-ti di velluto di quegli uomini tagliati ne lequerce e che sul loro capo poserà sempre l’ar -tistico cappello a punta con le fettucce di vellu-to cadenti! Mi auguro che le donne di S. Bene-detto si tessano ancora legonne diraso azzur-ro e rosso e che sulla loro greca testa il pezzettodella stessa stoffa di raso ricamata d’oro e d’ar -gento che la mia povera mamma (artista pit-trice nata, figlia del pittore Raffaele D’Auria)tanto ammirava! Faccia an-che di quelli di Rose che co-me giustamente osservavengono inpellegrinaggio,ma se il progresso ha mo-dernizzato per carità acco-modi e torni all’antico aquell’antico in cui (come elladice) mia madre avviava aldisegno la sua nascente gio-vinezza».

    Leoncavallo era rimasto molto colpito da unfatto di sangue realmente accadutoa Montal-to e ne aveva tratto spunto per la tragica storiadi Canio e Nedda narrata ne “I Pagliacci”. Neera nato uno dei melodrammi più popolaridell’epoca, già diretto nel 1892 a Milano da Ar-turo Toscanini e diventato nella interpretazio-ne di Enrico Caruso il primo disco ad aver su-perato il milione di copie vendute.

    Per ildebutto parigino Ferraripreparò boz-zetti scenografici e di costumi popolari, in-viando a Leoncavallo anche cappelli a cono pergli uomini, grembiuli di cuoio per le contadi-ne, tamburelli per le coriste. Per essere il più

    aderente possibile al verosi procurò materialidel costume popolare calabrese, cercandoli ac-curatamente.

    «È stato un correre su e giù continuo - ri-spondeva Ferraria Leoncavallo in unaletteradelsettembre 1902- Oveho saputoche eravi ilpiù vecchio possessore delle più antiche ed au-tentiche scarpe, un velo, un ornamento, o lapiù formosa giovinetta di 50 anni fa!»

    Gli scenografi e costumisti francesi realiz-zarono così sulla base dei disegni di Ferrari gliallestimentiambientali econfezionarono ico-stumi di scena, che furono apprezzati sia dalsovrintendente dell’Opera Gaillard sia dallastampa parigina.

    Di quel lavoro resta oggi traccia solo nelleimmagini di qualche cartolina, che il pittore

    aveva fatto riprodurre pri-ma di inviare i disegni inFrancia.

    Ferrari era nato a Montal-to Uffugo nel 1854, figlio diun sarto di idee liberali conqualche trascorso di attivi-tà antiborbonica. Rimastoorfano di madre era stato af-fidato alle cure di una zia

    materna, laquale, svolgendoservizidomesti-ci acasa Leoncavallo,lo avevafatto prendereaben volere dalla signora Virginia, figlia delpittore napoletano Raffaele D’Auria. Il giova-ne Rocco studiò poi presso un sacerdote e i fra-ti cappuccinie, apartire dal1864, sottola gui-dadi CarloSantoro, intagliatoredi statue,de-coratore e fotografo, padre del più noto Ru-bens Santoro. Nel laboratorio dei Santoro Fer-rari aveva sviluppato lasua passione artisticalasciando intravedere a tutti un marcato ta-lento.

    Suo padre, non potendosipermettere di far-lo studiare, fece domanda di sussidio all’Am -ministrazione Provinciale di Cosenza, che

    sempre nel 1864, glieneconcesse uno. Fu cosìche per qualche anno il giovane talentuoso po-té frequentare la Scuola Tecnica cosentina fi-no a quando nel 1867 ottenne il pensionato perrecarsi a studiare al Regio Istituto di Belle Artidi Napoli. Qui ebbe come maestro di Disegnodi Ornato Ignazio Perricci, già affermato de-coratore e specialista in trompe l'oeil, che benpresto lo fece collaborare ad importanti realiz-zazioni.

    Infatti dal 1870 al 1872 Farrari lavorò con ilmaestro al Castello Ducale di Corigliano Cala-bro, alla realizzazione del Salone degli Spec-chi, un sontuoso esempio di arte decorativanapoletana, in cui il soffitto simula una balau-stra con affacciati personaggi in costume co-riglianese sotto un intenso cielo stellato.

    Ferrari fu assistente diPerricci anchea Romatra il1873 e il 1879 per affrescareil Salone da Ballo, la Sala de-gliSpecchi ealtre stanzedelQuirinale; e a Napoli, per de-corare la cupoladel Duomo,lavori durante i quali caddedall’impalcatura salvando-si per miracolo. Partendodalla lezione dei classici con annesso gustoper l’ornamento murale e le grottesche, Ferra-ri apprese da Perricci il senso dell’illusione,della prospettiva dal basso, della pittura cheinganna l’occhio e si fa gioco dell’apparenza. Ilrealismo è un espediente per catturare l’atten -zione, persuscitare lameraviglia, per far cre-dere vero ciò che è solo simulazione.

    Ripresosi dall’incidente capitatogliaNapo-li l’artista montaltese continuò a lavorare dasolo e nel 1888 venne incaricato di realizzare ledecorazioni di palazzo Lisanti a Ferrandina,in provincia di Matera. Similmente al soffittodel Palazzo Ducale di Corigliano, anche quidalle balaustre dipinte si affacciano due nobil-

    donnecon ombrellino,un uomoe unanutricecon bambina, in atmosfere luminose, che ri-traggono una serena quotidianità e scene divita familiare. La virtualità dell’immagine ri-produce una tridimensionalità con effetti dirilievo degli elementi architettonici e delle fi-gure che sembrano sporgersi per davvero. Co-me i puttini dei fregi, che paiono star sedutisul cornicioneo sorreggere i medaglioni lun-go la decorazione, in alto, della sala consiliarenell’ex Municipio di Cosenza, ora Case delleCulture (1889). La galleria di ritratti che attor-nia la figura dellaBretia, lagrande madreca-labrese, comprende i grandi personaggi dellaCalabria: Gioacchino da Fiore, Bernardino Te-lesio, Aulo Giano Parrasio, Galeazzo di Tarsia,Tommaso Cornelio, Sertorio Quattromani etanti altri che hanno segnato la storia regio-nale.Realismofantastico everismoillustrati-vo si intrecciano in questi saggi di pittura pub-blica che si sviluppa anche in direzione dell’ar -te sacra,di cui Ferrarifu apprezzatoautore. Ilsuo intervento fu richiesto nella chiesa di S.Maria della Serra nella natia Montalto, peruna Sacra Famiglia; nella chiesa di S. MariaMaggiore ad Acri, in cui eseguì la Natività del-la Vergine (1888); nella chiesa di San Domeni-co a Cerisano (1893), dove realizzò un ciclo didipinti murali che raffigurano scene religio-se, vite di santi, episodi di storia della Chiesa;nella chiesa dell’Immacolata a Pietrafitta(1893); nella chiesa di San Benedetto a Cetraro(1898), con racconti biblici e immagini degliapostoli; nella chiesa di San Giovanni Battistaa Belsito (1905); nel Duomo di Cosenza conuna Madonna del Rosario e nella chiesa di S.Ippolito, sempre a Cosenza (1911).

    Nelle decorazionidei palazzi, invece, Ferra-ri si attenne agli insegnamenti di Perrici, rag-giungendorisultatidilievità edigenerosoor-namento, con inserti di figure allegoriche edeliziosi racconti di vita quotidiana. Ne è pro-va il soffittodi VillaCaraccioloaLattarico,vi-cino Cosenza, oggi in grave stato di degrado,che raffigura scene campestri, episodi di cac-cia, immagini di barche e pescatori, coppied’innamorati, vedute di Venezia e dell’Ippo -dromo di Agnano. La descrizione in questepitture è sobria e ariosa, con influenze di pae-saggismo da Scuola di Posillipo mischiate a

    quellepiù francesizzantidaScuola di Resina.

    Al classicismo e al simbo-lismo dellapittura pubblicasi oppone un certo impres-sionismo della pittura “dacavalletto”che, negli acque-relli e nei rari oli, usa la ste-suraamacchie eassumeto-ni romantici.

    Pur avendo conseguito a Napoli il titolo diprofessore di disegno per gli istituti magi-strali, Ferrarinon esercitòmai laprofessionedi insegnante. Partecipò anche ad alcuneesposizioni come la Prima Mostra d’Arte Cala-brese, organizzata da Alfonso Frangipane aCatanzaro nel 1912.

    Nel1911 sitrasferìaPaola, sulTirreno,perseguire il figlio Nicola, impiegato nelle ferro-vie. In questo periodo eseguì le decorazioni diPalazzoMiceli Picardia Paola,di PalazzoGiu-liani aSan Lucidoe deiPalazzi Valenzae Vac-caro a Fuscaldo, tutte opere, queste ultime,andate completamente distrutte. La morte locolse il 17 maggio 1917.

    di TONINO SICOLI

    Sopra Perricci e Ferrari, Soffitto del Castello ducale di Corigliano, 1872; in alto Ferrari, L’abate Gioacchino, 1889, Casa delle culture (Cs)

    Leoncavallo lo chiamòper le scenografiedei suoi “Pagliacci”

    Decorò con maestriail soffitto nel Castellodi Corigliano Calabro


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