Date post: | 16-Mar-2016 |
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«….pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3, 15)
Periodico del Gruppo Esperienza Parrocchia Santa Teresa del Gesù Bambino
Anno 17 - Aprile 2013 Via Eduardo Nicolardi - Napoli
http://www.lesperienza.it/il-sicomoro/
C on il ritiro delle
segreterie di Roma,
Napoli e Di Teggiano
è arrivato anche
quest’anno il tempo in cui il
Signore chiede alle nostre 3
comunità di fermarsi, mettersi in
ascolto, fare verifica. All’inizio
ero un po’ in ansia con la mente
e con il cuore rivolti al Signore
affinché ci donasse una Parola
chiara sul nostro oggi, in cui mi
sembrava avessimo perso di
vista alcuni punti essenziali
sull’appartenenza alla stessa
storia: convocati da strade
diverse per essere la chiesa
“altra” che Gesù ci ha
annunziato. La prima sera, per
quel che ci sembrava un fatto
pratico, gli incontri di preghiera
sono stati invertiti, ed il
messaggio era tutto centrato sul
“cercare la volontà di Dio”.
Come dice Francesco (il
Manico!) “Il Signore è un
professionista”: la
Parola donataci dai
fratelli di Roma infatti
è stata Rm 12, 1-3, in
cui Paolo esorta a stare insieme
per confessare la stessa fede e
confermarsi nella stessa storia.
Ogni parola letta era la via da
intraprendere, non senza fatica,
nelle ore successive, ribadendo
ciò che sembrava scontato: Dio
non voleva creare comunità
conformi ad un unico modello
ma comunità diverse e vive che
operassero nel loro “qui e ora”
storico, che realizzassero la
(Continua a pagina 2)
di Lella Gallo IL RITIRO DELLE SEGRETERIE DI ROMA, NAPOLI
E TEGGIANO
“Siate ferventi nello Spirito, servite il Signore” (Rm, 12, 11)
Il Sicomoro - Aprile 2013 Pag. 2
propria vocazione secondo
carismi specifici lì dove sono
sorte, altrimenti cadrebbe la
necessità di Gesù di inviare i
suoi discepoli nel mondo a
creare comunità diverse …ne
sarebbe bastata una sola!
Ognuno di noi è chiesa, parte
attiva di un unico corpo che è
la sua comunità, ma possiamo
dire che ogni comunità è
membro di un unico corpo che è
la Chiesa universale, in cui la
linfa vitale la fede in Gesù
Cristo. Fabrizio ci diceva che
“un servizio va misurato sul
carisma, valutando che non sia
l’esigenza di un singolo ma
facendo serio discernimento sul
carisma comunitario”. La storia
che ci unisce, la nostra comune
vocazione, deve custodire
essenzialmente il kerigma, il
percorso formativo che ci
permette di conoscere Dio per
essere sempre più di Cristo e
incarnare lo stile evangelico.
Ognuna di queste dimensioni fa
parte di un tutto, ci rende
cristiani dopo l’incontro con il
Signore, ci guida alla santità;
nessuna di esse può prescindere
dalle altre o assolutizzarsi.
Diversi sono i carismi a cui
siamo chiamati ma bisogna
sempre vigilare che i carismi
specifici non soddisfino
l’aspetto antropologico a scapito
di quello teologico sfociando sul
fare e non sull’essere. Ciò che
non deve mancare per essere
forti nelle tribolazioni e
perseveranti nel seguire la
volontà di Dio è l’amore
fraterno, è il gareggiare nello
stimarci a vicenda. Il gareggiare
presuppone uno sforzo per
arrivare ad un traguardo che è
quello della comunione, della
custodia reciproca durante il
cammino, di non voler imporre
il carisma specifico a tutto il
corpo ma attraverso tutti i
carismi dare pienezza al corpo.
La giornata del sabato è trascorsa
nel rincontrarci in ciò che
sembrava volesse separarci: ed è
stato solo dopo questo confronto
che potevamo pregare sul passo
del vangelo proposto dai fratelli
di Teggiano: Mc 10, 46-52…
essere luce…quella vera…non
quella dei neon!!
Ho capito che come per Bartimeo
il ritiro è stato provvidenziale: il
luogo dove sostare con Gesù,
non ci siamo fatti fermare
dalla “folla delle nostre
certezze”, non abbiamo
avuto paura nel comunicarci
le diversità, i conflitti.
Bartimeo mi ha insegnato a
gridare: “Signore fa che io veda
di nuovo”…e subito vide di
nuovo, e seguiva Gesù lungo la
strada. Quest’uomo non era cieco
dalla nascita, e forse - come era
accaduto a lui – anche a noi era
successo che le logiche del
mondo, le nostre proiezioni sulla
comunità, sulla chiesa, e il
peccato che è sempre pronto ad
“incrostarci” gli occhi, non ci
facevano più vedere chiaramente
la sua via. Ma quando andiamo da
Gesù e con fede gli chiediamo di
guarirci, lui è sempre pronto. Il
ritiro si è concluso nel calore e
nella gioia dello spirito. Eravamo
pronti a proseguire “dietro Gesù”.
(Continua da pagina 1 - “Il ritiro delle segreterie” di Lella Gallo)
Se la fede ci fa essere credenti,
e la speranza ci fa essere credibili,
è solo la carità che ci fa essere creduti.
(“Essere creduti” di Don Tonino Bello)
Se io fossi un contemporaneo di Gesù, se fossi uno degli
Undici ai quali Gesù, nel giorno dell'Ascensione, ha
detto: "Lo Spirito santo verrà su di voi e riceverete da lui
la forza per essermi miei testimoni in Gerusalemme e in
tutta la Giudea, la Samaria e fino all'estremità della
terra" (At 1,8), nell'atto di congedarmi dai fratelli,
sapete cosa avrai preso con me? Innanzitutto il bastone
del pellegrino e poi la bisaccia del cercatore e nella
bisaccia metterei queste cinque cose: un ciottolo del lago;
un ciuffo d'erba del monte; un frustolo di pane, magari
di quello avanzato nelle dodici sporte nel giorno del
miracolo; una scheggia della croce; un calcinaccio del
sepolcro vuoto. E me ne andrei così per le strade del
mondo, col carico di questi simboli intensi, non tanto
come souvenir della mia esperienza con Cristo, quanto
come segnalatori di un rapporto nuovo da instaurare con
tutti gli abitanti, non solo della Giudea e della Samaria,
non solo dell'Europa, ma di tutto il mondo: fino agli
estremi confini della terra. Ecco, io prenderei queste
cose. Ma anche il credente che voglia obbedire al
comando missionario di Gesù dovrebbe prendere con sé
queste stesse cose.
(“La bisaccia del cercatore” di Don Tonino Bello)
Il Sicomoro - Aprile 2013 Pag. 3
R ingrazio il Signore per tutto, non solo perché
sto qua (alla 40° Esperienza) ma lo ringrazio
perché mi ha cambiato la vita, sicuramente al
positivo, e perciò sto qua per conoscerlo
meglio...volevo conoscere cioè l’uomo che mi ha
cambiato la vita...E’ stata davvero una bella esperienza:
ho imparato tante cose, ma la cosa più importante che
ho capito è che Dio sta vicino a noi ...ma dobbiamo
cercarlo nel profondo di noi stessi! Noi dobbiamo
andare avanti e guardare sempre il lato positivo delle
cose, della vita, in qualsiasi priva in cui dovessimo
trovarci….. Ho imparato poi che ogni cosa che ci
accade, avviene per una ragione, nulla succede per
caso, e se Dio non ci concede ciò che chiediamo
sicuramente Egli ci darà la cosa migliore per noi perché
solo Lui sa cosa è il meglio per noi! In questa
esperienza ho sentito e ho visto il mio brutto passato,
ma questo mio passato è passato e non voglio in alcun
modo farlo tornare più! Perché da questa esperienza
che ho vissuto devo cominciare a guardare e andare
avanti sempre con l’aiuto del Signore. Non voglio
ringraziare voi tutti, ma desidero ringraziare il Signore
perché mi ha consentito di conoscervi, e di conoscere
meglio anche Lui.
IL MIO RINGRAZIAMENTO
...Dio sta vicino a noi!
I n principio ero un piccolo granello di sabbia in un
oceano sconosciuto, un piccolo germoglio non
ancora sbocciato…Gesù di Nazareth si è rivelato!
È con me …. è
dentro di me
con amore! Ho un lungo cammino da percorrere, e
sono...anzi, spero di essere pronta ad iniziare con amore,
insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle questo
cammino. Preparatevi a su-sopportarmi!!!
PREPARATEVI A SUPPORTARMI
...insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle
di Farid Talhami
H o fatto la scelta giusta ma di questo ne ero
consapevole prima di venire qui! Negli ultimi
anni avevo dimenticato cosa fosse l’amore,
un abbraccio ...cose di cui ho sempre avuto enorme
bisogno. Ma la cosa di cui avevo bisogno davvero, e che
avevo perso di vista, era dare amore. Ero arrabbiata con
il mondo intero. Ora invece ho aperto il mio cuore ed ho
trovato mille cuori
aperti, ma la cosa straordinaria è che il mio cuore si è
aperto a Cristo, ed un’onda d’amore mi ha travolto!
Spero e credo che questa onda d’amore non mi lasci mai,
e Dio farà l’impossibile perché ciò non accada. Con tutta
me stessa voglio donare questa bellezza di tutto questo a
quanti mi sono vicini, e con un po’ di forza in più anche
a quelli che non lo sono.
Finalmente dopo 55 anni di vita sto imparando piano
piano a pregare.
MILLE CUORI APERTI
...un onda d’amore mi ha travolto!
di Eleonora Marino
“E come potranno
credere, senza averne
sentito parlare?
E come potranno
sentirne parlare senza
uno che lo annunzi? E
come lo annunzieranno,
senza essere prima
inviati?”
(Romani 10, 14-15)
di Roberta Virtuosi
Il Sicomoro - Aprile 2013 Pag. 4
N on so da dove cominciare
….per me questi giorni
trascorsi alla 40° Esperienza
sono stati una vera e propria bomba ad
orologeria che mi è esplosa proprio nel
cuore, e che forse ha fatto sì che questo
mio cuore ritornasse a battere forte. Mi
ero chiuso a riccio…, scottato dalla
vita...Mia madre mi ripete sempre che
sono arrabbiato con l’intero mondo...e
quelle parole non fanno che ferirmi ogni
volta! Tutto quello che vorrei è solo un
po’ più di affetto … Ho partecipato
all’Esperienza e credo non “per caso”,
perché il mio assenso
alla partecipazione è stato troppo facile
ed immediato! Oggi è il terzo giorno
dell’esperienza, e sento che il Signore ha
portato in me la Pace...mi sento ...non so
spiegarlo...come se fossi “svuotato”, con
un grande nodo in gola. Riassumere le
sensazioni provate in questi 3 giorni è
davvero difficile: ma forse una cosa mi
ha segnato in particolar modo! Nel corso
della giornata di Sabato (il 2° giorno
ndr), dopo tanti mesi o forse qualche
anno, ho partecipato alla Cena del
Signore! Mentre ero in fila mi ripetevo: “
Signore, come ho fatto ad allontanarmi
da Te! Non merito di stare qui,
alla Tua Cena!”. Poi, quando
Padre Fabrizio mi ha detto
“Fabio, il Corpo e il Sangue di Cristo”
mi sono sentito disorientato, ma subito
quel nodo alla gola si è sciolto in lacrime
e ho sentito una grande serenità e pace.
Oggi poi, dopo le testimonianze sulla
bellezza dello stare insieme e nel vedere
immagini e foto di persone felici perché
si amano l’un l’altro, mi sono detto forte:
“Cosa mi sono perso!” Forse da oggi il
mio modo di vedere la vita è cambiato:
se Dio mi ha perdonato io devo fare la
medesima cosa con le persone che mi
hanno ferito...sì, forse è il perdono il mio
più grande limite. Oggi mi sento
veramente libero e felice!
S ono stati 3 giorni davvero intensi.
Ho sempre avuto fede, ed anche
quando circa 9 mesi fa il mio
piccolo mondo ovattato mi è crollato
sotto i piedi, la mia è stata una sofferenza
d’amore, una sofferenza per problemi di
cuore. Ho pianto, e credevo di aver
superato la fase della tristezza. Ma non
era così! In
questo
percorso ho
sentito varie testimonianze di vita, ed
ognuna è diventata parte di me. Mi è
stato chiesto di essere come un chicco di
grano che solo morendo produce
frutto…. L’ultimo giorno di questa
esperienza sono arrivata a comprendere il
vero significato di questa frase….e ora
voglio morire per risorgere nell’Amore
di
Cristo! Spero di avere al mio fianco,
presto, qualcuno che mi ami e sia
disposto ad essere mio compagno di vita.
Ho paura della solitudine, ma ho la
consapevolezza - oggi - di non essere più
sola: voglio Dio parte attiva nella mia
vita!
UNA BOMBA AD OROLOGERIA
Oggi mi sento libero e felice! di Fabio Spurio
COME UN CHICCO DI GRANO
Morire e risorgere all’Amore di Cristo
M i è difficile descrivere i
sentimenti che in questi
giorni sono sorti in me. Ho
riscoperto un Dio che è al mio fianco,
che è sempre dalla mia parte anche se io
l’ho tralasciato. Ho ricoperto l’altro che
dona nonostante esista un mondo che sa
solo prendere, ed ho stretto a me persone
sconosciute che in 3 giorni sono
diventati miei fratelli. Ho scoperto una
“chiesa” senza automatismi, ma con
gesti, memorie che portano a Dio. Per
anni da ragazzo ho partecipato
all’adorazione, ma per la prima volta in
questi giorni ho capito chi adoravo e
perché adoravo, e ho ringraziato Dio…
la mia esperienza è iniziata con il
sorteggio del mio compagno di stanza, e
lì in quel momento ho capito che ero al
posto giusto per capire le cose giuste.
Dopo tanti anni ho scoperto la
confessione che mancava da 10 anni
perché nessuno sapeva dare senso a
questo sacramento. Ma Lui, dopo 10
anni di attesa ci è riuscito. In questi
giorni il Signore con la sua equipe ha
dissodato, arato e “riseminato” la mia
fede, ora con il suo aiuto spero di farla
germinare.
DIO AL MIO FIANCO
Far germinare la mia fede...
Q uesta esperienza mi è servita
tantissimo. Non nascondo il mio
scetticismo appena arrivato, io
che ho sempre avuto una visione un po’
difficile della fede in Dio, che ho sempre
creduto a modo mio, che pregavo e
chiedevo aiuto a Dio solo nel
momento del bisogno. Oggi grazie a
questa esperienza ho avuto il piacere di
conoscere tanti fratelli, di aprirmi a loro,
di condividere le loro esperienze.
Finalmente posso dire che oggi Gesù è
entrato nella mia vita per restarci per
sempre, ora ne ho bisogno sempre, anche
nelle cose più semplici, quindi un grazie
vorrei dirlo a Dio.
IL MIO GRAZIE A DIO
Dio nella mia vita
di Giorgio Formisano
di Simone Maglione
di Paola Annuale
Il Sicomoro - Aprile 2013 Pag. 5
I n questi 3 giorni ho provato
tanto...troppo! Uno stato di grande
confusione e smarrimento dove mi
sono posta domande nuove mai prese in
considerazione: “Dove mi trovo?”…
Ecco, questa è una domanda che non mi
sono mai posta in vita mia, fino a
venerdì 2/11/2012...la risposta ancora
non l’ho trovata! Ma spero che un
giorno riuscirò a darmi la giusta
collocazione, quella scelta dal Signore
per me. Poi senza controllo ho cercato di
donarmi, dando una piccola parte di me
(cosa che non credevo assolutamente
possibile), mi sono raccontata o per lo
meno ho cercato di
condividere un pezzo
importante della mia vita
con questi nuovi compagni, che oggi
voglio chiamare fratelli. Non avrei mai
creduto di poterlo fare un giorno,
aprirmi a degli estranei, a persone che
non conoscevo, eppure ho trovato dentro
di me la voglia e la volontà di farlo, il
coraggio. Poi sabato una catastrofe! Ho
pianto quasi tutto il giorno ma ne è valsa
la pena...durante l’Eucaristia, le
emozioni hanno toccato il massimo,
sono state immense, indescrivibili...lì ho
sentito l’amore, l’amore di Cristo,
proprio nel momento in cui tutti mi
hanno abbracciata, lì mi sono sentita
amata! Amata da tutti! Che sensazione
indescrivibile e forte! Questa esperienza
mi sta cambiando la vita, avrei ancora
altro da dire, altre sensazioni, altri miei
pensieri da raccontare ma questo foglio
non basterebbe! Oggi, una prima scelta
“libera” l’ho presa… voglio, vorrei,
continuare questo cammino,
avvicinandomi alla comunità dove ho
amici carissimi che mi hanno invitata a
vivere questi 3 giorni con voi. Voglio
continuare a percorrere questa strada
verso il Signore. Vi abbraccio.
OGGI VI CHIAMO FRATELLI
Per condividere un pezzo di me!
U na marea di emozioni mi
assalgono. Mi sento in una
dimensione che non avevo mai
provato prima e questo mi paralizza...ma
fa un po’ paura perché tutte le cose
nuove fanno un po’ paura….
Fuori piove, a me la pioggia mette
sempre tristezza ed invece oggi godo di
una gioia infinita, un sentimento che non
avevo mai provato fino ad ora, non che
non avessi mai gioito ma questo è
certamente un sentimento diverso, a me
del tutto nuovo!
Penso che solo l’amore di Dio è capace
di tutto ciò, un amore che è stato capace
di unire persone che fino a qualche
giorno fa non si conoscevano, ognuno
con la sua immensità! Un amore che ci
ha uniti tutti in un abbraccio ...il più
bell’abbraccio che io abbia mai sentito,
perché fatto dalla unione di tanti abbracci
più piccoli.
Se poi mi fermo a pensare a come sono
arrivata alla Esperienza, a questa 40°
Esperienza, allora davvero non posso
non pensare che Dio esiste e che è qui,
vicino a me anche se spesso ho dubitato
della sua presenza.
Spero di cuore che questo abbraccio
continui per sempre.
di Francesca Fioretti L’AMORE DI DIO
Un amore che ci unisce tutti in un abbraccio
di Valentina Rho
T estimoniare la vita di Gesù con
la propria vita non è un gioco da
ragazzi, e non nel senso di età
(anzi! quanti esempi giovani di
Uomini di Dio ho incontrato, e continuo
ad incontrare in Comunità!), ma nel
senso che non ci sono regole che una
volta imparate ti consentono di fare la tua
parte. Certamente, è importante imparare
la dottrina, ma il mio cuore mi sussurra
con forza che testimoniare, “rendere
ragione della Speranza che è in noi”,
vuol dire altro! È come quel raggio di
sole che dopo la notte desta il girasole e
gli indica la luce; come il primo volo
degli uccelli, un lancio nel vuoto che
nasce dal sapere che quel dono è innato
dentro di sé, e dallo sguardo che ammira
gli altri fratelli che davanti a te volano
alto… Testimoniare con la vita è come
quell’attimo prima che l’uccello prenda il
volo, in cui senti che non puoi fare a
meno di dare conto alla tua natura, al tuo
essere figlio, ad un Uomo che ha donato
la sua vita per noi. Scatta una scelta. Una
scelta di Amore... le braccia sono aperte
verso il cielo... si vola! Dall’altro lato,
consapevolmente o meno (il più delle
volte per me), si può trovar riparo
dall’Amore di Gesù aprendo l’ombrello
“del mondo che così va”, che da tutto
ripara, fornisce ragioni, giustificazioni fai
-da-te e accomodamenti “usa e getta”. Ci
si mette al riparo da una esperienza che
oggi mi ha cambiato la vita... quella di
accettare di essere bagnati del suo
Amore, gettare gli ombrelli delle varie
occasioni, e camminare lungo la strada
(Continua a pagina 6)
“RENDERE RAGIONE DELLA SPERANZA CHE È IN NOI”
Come un lancio nel vuoto...
di Antonio Scarpati
Il Sicomoro - Aprile 2013 Pag. 6
La mia vita è sempre stata segnata, negli
eventi e nelle date, da un susseguirsi di
coincidenze alle quali, con il tempo, ho
imparato a non dare più importanza;
quella stessa vita che sin dal mattino da
quando è iniziato il mio turno di guardia
mi è ripiombata addosso con gli impegni
e le vicissitudini di sempre.
All’arrivo sul posto di lavoro ad
attendermi dinanzi la porta c’era un
anziano sacerdote. «Caspita» mi sono
detto «incominciamo bene!!»
Ho chiesto: «Don, come va? Tutto
bene?» «Eh no!» mi ha risposto ...«sono
venuto perché vi devo confessare una
cosa».
Dopo essermi guardato intorno per
accertarmi di non essere vittima di una
candid camera, l'ho invitato ad entrare, e
nella privacy dell’ambulatorio gli ho
chiesto cosa avesse. «Sapete» mi dice
«ho un peso, un’angoscia dentro, poiché
è morta Rita Levi Montalcini a 103
anni».
E dalla mia bocca, anziché le
solite frasi fatte del tipo
“Questa è la vita, la morte ci
appartiene“ ecc.ecc., sono uscite queste
parole di conforto: «Non vi angosciate,
pensate invece che per tanto tempo è
stata lo strumento dello Spirito Santo per
rendere migliore la vita di tutti, una
persona che ha rinunciato ad essere
donna, sposa e madre, per aiutare con la
ricerca il prossimo».
Mi ha risposto: «E’ vero, non ci avevo
pensato» e dunque tranquillizzatosi,
siamo rimasti a fare due chiacchiere.
La mia seconda visita è stata a domicilio
di un’anziana, depressa per la tristezza
con cui aveva e stava trascorrendo questi
giorni di festa. Dopo i soliti controlli
clinici di routine, sul tavolo noto
un’immagine di Madre Teresa di
Calcutta, che quasi mi invita a leggere un
suo pensiero stampato sul retro.
La signora mi dice «Dottò, allora che mi
segnate?... nel frattempo vi preparo un
caffè?»
Replicai: «No grazie, ma avrei piacere di
leggere insieme questo pensiero di
Madre Teresa», che cosi recitava: “Fate
che chiunque venga a voi se ne vada
sentendosi meglio e più felice. Tutti
devono vedere la bontà del vostro viso
nei vostri occhi, nel vostro sorriso. La
gioia traspare dagli occhi, si manifesta
quando parliamo e camminiamo. Non
può essere racchiusa dentro di noi,
trabocca. Ogni opera d’amore fatta con
il cuore avvicina a Dio.”
E anche la signora aveva capito che la
medicina di cui aveva bisogno era un
semplice sorriso. Sono andato via
ripensando all’ennesima coincidenza e
svoltato l’angolo della casa, dinanzi ad
un supermercato, un mendicante
chiedendomi elemosina mi dice: «Ti
prego fai che siano felici anche per me
questi giorni». Dopo avergli donato
alcune monete, guardando in cielo ho
detto ad alta voce, tra lo sguardo confuso
e sbigottito del poverino: «Eh no…
quando è troppo è troppo…».
IL MIO QUARTO GIORNO
Quando è troppo è troppo!
di Luigi Coronoto
con una dolce sensazione: sentire che la
Sua mano è sempre sul mio capo, non
tanto vicino da accarezzare i capelli, non
tanto lontano da non proteggermi, intrisa
di Amore come quello racchiuso in una
carezza invisibile che fa piegare, ad
occhi chiusi, il capo dell’amato verso
essa.
Per me testimoniare la vita di Gesù vuol
dire allora essere al servizio dell’Amore,
con un tenero sguardo nel fare
quotidiano che partendo dall’anima
scuote l’agire con un slancio premuroso
verso l’altro, che non guarda un
abbraccio nello specchio, che batte il
tempo della vita con un cuore vivo e non
con le lancette dell’orologio, dell’attesa
di una qualche aspettativa... Non per
cinismo!... Ma per il coraggio di credere
nell’amore oltre ogni logica, oltre sé
stessi, oltre ogni utilità davanti a Colui
che ha portato con sé le mie “passioni”
umane su quella croce, sacrificando la
sua vita per la vita stessa, per la mia vita
già intravista oltre 2.000 anni fa. Come
fare tutto ciò lo ha suggerito ancora il
Papa Emerito Benedetto XVI all’ultima
udienza generale ricordando ”che uno
riceve la vita proprio quando la dona”.
Come la vedova di Luca 12, 41-44: «E
sedutosi di fronte al tesoro, osservava
come la folla gettava monete nel tesoro.
E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma
venuta una povera vedova vi gettò due
spiccioli, cioè un quattrino. Allora,
chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In
verità vi dico: questa vedova ha gettato
nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché
tutti hanno dato del loro superfluo, essa
invece, nella sua povertà, vi ha messo
tutto quello che aveva, tutto quanto
aveva per vivere». Un servizio che si
testimonia con il dono di sé, della
propria vita, una sola semplice moneta
(neanche due!), non preoccupandosi se
silenziosa, se non rimbomba nella
cassetta delle elemosine dinanzi al
tempio, nonostante l’ostinata assurdità di
un mondo che spesso ci vuol far credere
che non è così che va e che, come canta
Ligabue, “Non è tempo per noi e forse
non lo sarà mai”. È in quel “forse” che
piazzo la mia vita con l’aiuto del
Signore, e che apro la finestra della
speranza dell’Amore sforzandomi di
donarla, e rispondendo alla domanda
«Perché lo fai?» con «Solo per Amore».
(Continua da pagina 5 - “Rendere ragione della Speranza” di Antonio
Scarpati)
Il Sicomoro - Aprile 2013 Pag. 7
L’Esperienza non si scorda mai, un po’ come il primo amore. Ed è quest’ultima parola che userei per descriverla. Ma andiamo con ordine.
Il mio cammino di fede è iniziato con le catechesi settimanali di preparazione alla Prima Comunione: ricordo quegli anni con immensa gioia! Il campetto vicino la chiesa era un’oasi di felicità, fatta di giochi e i sorrisi dei tanti bambini come me riempivano il mio cuore, colmando il senso di profonda solitudine derivato dall’essere figlia unica.
Ma poi l’impegno, sempre crescente, della scuola e l’inizio di un’attività sportiva a livello agonistico, mi hanno progressivamente allontanato dalla Chiesa.
Conosco Silvana (Coco ndr) da oltre vent’anni e considerando che ne ho ventisette, mi sembra un’eternità! Siamo cresciute insieme, volendoci un gran bene, legato forse più agli anni che abbiamo trascorso a tre piani di distanza all’interno dello stesso palazzo che ad una reale condivisione della quotidianità, col tempo andata scemando. Nonostante questo, posso ricordare con estrema lucidità di averla avuta al mio fianco, e così la sua famiglia, ogni qualvolta mi sono trovata in difficoltà.
Ho deciso che pochi giorni dopo la laurea sarei partita per l’Australia per rimanerci sei mesi. È stata una decisione importante, perché non chiedendo nessun aiuto di tipo economico, avrei finalmente dimostrato di sapermela cavare da sola, di essere cresciuta. Di “investire” i risparmi di anni faticosi di studio e lavoro.
Evidentemente era una pretesa troppo grande da parte mia, perché la sorpresa che mi hanno regalato i miei genitori ha distrutto la mia aspettativa, facendomi desiderare, in un certo senso, di tornare bambina.
Il giorno della mia laurea non ho fatto un solo sorriso. Sentivo che sarebbe stata l’ultima grande occasione in cui li avrei visti insieme. E così è stato. Sono partita per la “grande
avventura” salutando la mia famiglia. Imperfetta, ma pur sempre famiglia.
Mio padre è andato via di casa dopo un mese esatto dalla partenza. Iniziava un lungo periodo di sofferenza.
Mia madre riversava addosso a me il suo dolore, che ha trovato il suo culmine nella frase, ripetuta più volte: “Se papà è andato via, è per colpa tua”. Era un modo sbagliato di amarmi e di farmi capire che per lei c’ero solo io?!? Di contro, io ero sempre pronta ad assorbire tutti i suoi sbalzi d’umore come una spugna.
Fin quando ho iniziato ad usare l’egoismo come arma per non soffrire. E l’egoismo mi ha portata a rifiutare la sua depressione e a dirle che la consideravo un’estranea. Ero incapace di aiutarla. Chi avrebbe aiutato me? Avevo solo rabbia dentro. Forme sbagliate di amore, di due persone sofferenti, per niente in grado di farsi forza vicendevolmente.
In questi anni le persone che amavo (tutte, senza eccezioni) si sono allontanate. O è stata colpa mia? In fondo, dicendo la verità, avevo fatto andare via mio padre, forse stavo facendo lo stesso con tutti gli altri.
Quell’orrenda frase detta da mia madre mi ha portato a chiudermi in me stessa, in un guscio di falsi assensi e con una paura crescente di esprimere le mie opinioni agli altri,
per timore che scappassero via da me.
Mi è sempre piaciuta l’immagine del bruco che diventa farfalla: ecco, mi sentivo una farfalla, ma con le ali di ghiaccio, incapace di volare.
Nella separazione di due genitori cos’è che per un figlio pesa maggiormente: i lunghi anni di litigi, il gesto in sé o le conseguenze che ne derivano?
Non potendo condividere quel peso con qualcuno che, avendolo vissuto
con me, potesse capirlo a pieno, mi vedevo condannata a portarmelo dietro, sempre più insostenibile.
Ho iniziato ad avere problemi di salute, probabilmente un modo di attirare l’attenzione dei miei genitori, e allo stesso tempo rifiutare la realtà che vivevo.
Avevo deciso di cedere, di lasciarmi andare, di arrendermi alla pretesa di un controllo giudicato fino a quel momento infallibile, ma che non lo era affatto. Se non mi amavano i miei genitori, come avrei potuto amarmi e amare qualcuno? Ma soprattutto, mi avrebbe mai amato qualcuno?
È esattamente così che mi sentivo lo scorso anno, convinta più che mai che in fin dei conti tutti siamo e
saremo sempre soli, con tante, troppe domande in testa e poca voglia di riavvicinarmi ad una fede che ero convinta non facesse più parte di me.
Quello di Silvana non è stato un invito a partecipare all’Esperienza, quanto una forma di “ricatto”.: in ballo c’era la partecipazione al suo matrimonio, pochi mesi dopo. Non avevo nulla da perdere; di contro, tre giorni fuori casa!
Non so se sono in grado di spiegare
cosa abbia provato durante quei tre
giorni, ma di certo si è trattato di
emozioni forti e allo stesso tempo
fortemente contrastanti. L’entusiasmo
iniziale dovuto alla curiosità e
all’energia dei ragazzi che mi hanno
accolta è durato poco: ho lasciato
(Continua a pagina 8)
Durante il III secolo, Cipriano, futuro vescovo di Cartagine, scriveva ad un
amico:
«Questo mondo è malvagio, Donato,
incredibilmente malvagio. Ma vi ho
trovato delle persone tranquille e sante
che hanno scoperto un grande segreto.
Hanno trovato una gioia mille volte più
grande di tutti i piaceri di una vita di
peccato. Esse sono disprezzate e
perseguitate, ma ciò non li scoraggia.
Queste persone, Donato, sono i
cristiani... e ormai ne faccio parte».
L’ESPERIENZA NON SI SCORDA MAI!
...non sono più figlia unica, ma parte di una fratellanza di cui ringrazio Dio
di Michela Piraino
Il Sicomoro - Aprile 2013 Pag. 8
Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse
Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse in avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro,
poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo. Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a
casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. (Lc 19, 1-6)
Il sicomoro è l’albero su cui sale Zaccheo; è ciò che gli permette di vedere oltre il proprio punto di vista e i propri limiti,
e di lasciarsi “guardare” e scegliere da Gesù.
Perché testimoniare Cristo?
Perché è vero, e ne siamo certi, che affrontare la vita nella memoria continua dell’incontro con
Cristo è più intelligente, è più gioioso….in una parola: è più umano!!
Tratto dalla catechesi del Cardinale Carlo Caffarra alla GMG di Madrid del 19 agosto 2011
che ad esso si sostituisse presto il
più familiare senso di esclusione e
vittimismo. Ero quasi invidiosa di
vedere quell’amore fraterno. Ce n’era
troppo per chi, come me, non lo
meritava.
Così rabbia e invidia hanno formato
la miscela esplosiva che il terzo
giorno ha spezzato la mia rigidità.
Ho pianto di rabbia, di invidia e
ancora di rabbia. Ma c’era qualcosa
di sorprendentemente diverso dal
solito: mi sono lasciata andare
davanti a tutti, aprendo un
impercettibile spiraglio del mio cuore
blindato ormai da anni. Ero sicura
che il pianto avrebbe portato le
persone intorno a me a giudicarmi e
a scappare dalla mia debolezza, ma
non potevo fare a meno di darne
sfogo.
Inaspettatamente, l’effetto è stato
contrario: tutti si sono stretti a me, ad
asciugare quelle lacrime, che sono
diventate di gioia.
Durante la messa del terzo giorno ho
capito che il pianto è servito ad
accettare le mie debolezze, e, nel
momento in cui ho perdonato me
stessa, ho sentito la vicinanza del
Signore attraverso gli abbracci
rassicuranti dei fratelli, che con il loro
calore hanno scongelato le ali di
quella farfalla non più capace di
volare. Non ero più figlia unica, ma
parte di una fratellanza di cui
ringrazio Dio ogni giorno, da allora.
Il mio quarto giorno è iniziato da poco
più di un anno, con lo scetticismo che
dimostro inevitabilmente nei confronti
delle cose nuove, quasi a voler
comprovare di aver avuto ragione
quando all’invito che mi è stato fatto
ho risposto “non fa per me!”. Solo a
distanza di mesi ho compreso
appieno il dono che mi è stato fatto
dal Signore, che ha messo accanto a
me un angelo di nome Silvana. La
sua ostinazione altro non era che
premura nel sincerarsi che una volta
cambiata casa, ci fosse un legame
profondo e solido ad unirci per
sempre.
Con l’amore riconquistato e la gioia
contagiosa dei fratelli ho portato
avanti il cammino di equipe, che ha
condotto alla IX Esperienza di Roma.
Non è stato sempre facile mantenere
l’impegno preso e debellare la
stanchezza, ma mai quanto in questi
mesi ho capito che ogni fratello ha la
propria croce da portare, e nel
condividerne ciò che questo
comporta, ciascuno di noi è chiamato
con responsabilità a farsene carico in
piccola parte, rendendogli meno
arduo il cammino.
Il senso comunitario è venuto fuori
con forza durante l’adorazione,
quando le numerose candele accese
davanti all’altare mi sono apparse
come tutti noi, stretti in Cristo e
animati da un fuoco vivo e
costantemente acceso.
Ho faticato molto a capire come mai
fossi stata chiamata a far parte
dell’equipe della IX Esperienza di
Roma: ho convissuto per tre giorni
con un senso di inadeguatezza al
ruolo, ma di nuovo, durante la messa
del terzo giorno, il Signore si è
manifestato attraverso gli occhi dei
nuovi ragazzi, verso i quali ho sentito
forte il senso di responsabilità. Io, un
anno prima scettica, ero lì a
testimoniare quanto amore è pronto a
riservarci il Signore, nonostante le
imperfezioni e in modo del tutto
incondizionato.
Ho capito, attraverso la parabola del
figliol prodigo, di aver provato ad
allontanare mia madre e mio padre,
escludendoli dalla mia vita, volendo a
tutti i costi crescere; ma crescere non
vuol dire questo, quanto piuttosto
fare i conti con le proprie debolezze e
quelle dei genitori, riuscendo ad
accettare di avere ancora bisogno di
loro.
Su un libro ho letto che “molto
spesso, ciò che blocca l’azione della
grazia divina nei nostri cuori non
sono poi tanto i nostri peccati o i
nostri errori, quanto piuttosto la
mancanza di assenso alla nostra
debolezza. […] Per ‘liberare’ la grazia
nella nostra vita e permettere dei
cambiamenti profondi e spettacolari a
volte basterebbe semplicemente dire
“sì” – un sì ispirato alla dalla fiducia in
Dio – ad aspetti della nostra
esistenza verso i quali abbiamo una
posizione di rifiuto interiore”.
Io ho detto “sì” grazie all’Esperienza,
cercando ogni giorno, come ha detto
qualcuno, di rendere le cose
ordinarie in maniera straordinaria,
non dimenticando mai che i “se” sono
il marchio dei falliti, e che nella vita si
diventa grandi con i “nonostante”.
Non dimenticando quindi, nonostante
tutto, la meraviglia di esserci!
(Continua da pagina 7 - Articolo di Michela Piraino della Comunità di
Roma)