Il VII centenario della venuta di Dante in Lunigianadi Giuseppe Benelli
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Se la vita dell’Alighieri offre vaste zone d’ombra,ciò vale soprattutto per gli anni del suo lungo esilio,riguardo al quale frammentarie sono le notizie e pochi i dati certi, anche se si tratta del periodo più fecondo della sua attività letteraria.La Lunigiana è la terra che forse più di ogni altra è ricca di tradizioni e memorie dantesche.
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La pacificazione raggiunta fra i Malaspina ed i ve-
scovi di Luni segna un punto fermo per la storia
della Lunigiana, che si identifica, come sostiene
Giovanni Sforza, nell’ampio territorio «compreso fra il Me-
diterraneo e la cresta di Pizzo d’Uccello, dell’Alpe di Mom-
mio, di Sassalbo, di monte Orsaio e della Cisa fino al Got-
tero, territorio diviso dalla Liguria da un tratto di monta-
gna la quale, diramandosi dal Gottero, mena direttamente
alla marina tra Levanto e Sestri»1.
La venuta di Dante in Lunigiana e gli atti della pace di Ca-
stelnuovo sono della massima importanza per ricostruire
le vicende degli anni del travagliato esilio. Fra i dati certi
di quel periodo, che ha visto Dante spostarsi di città in cit-
tà, è da annoverare la venuta in Lunigiana nel 1306 per trat-
tare la pace fra i marchesi Malaspina e il vescovo di Luni.
La lunga disputa è nata dalle legittime rivendicazioni dei
Malaspina sulle terre ereditate dagli Obertenghi e ora sot-
to il diretto dominio vescovile.
La scoperta dei due atti notarili, cioè la procura di France-
schino Malaspina e l’atto finale della pace, è avvenuta grazie
a Manfredi Malaspina, l’ultimo marchese di Terrarossa, che
alla metà del Settecento, volendo rivendicare certi suoi di-
ritti sul feudo di Treschietto, ha fatto eseguire accurate in-
dagini in tutti gli archivi della Lunigiana. I documenti luni-
gianesi, pubblicati nel 1767 da Giambattista Lami sulle fio-
rentine «Novelle letterarie», vengono definiti dallo Zingarel-
li «la scoperta più importante dell’esilio di Dante».
Franceschino Malaspina di Mulazzo, il 6 ottobre 1306 «an-
te missam», nella piazza Calcandola di Sarzana, per rogito
del notaio Giovanni di Parente Stupio, a nome suo e dei con-
giunti Moroello e Corradino, nomina Dante procuratore
per dirimere col vescovo di Luni, Antonio Nuvolone da
Camilla, annose questioni di diritti vantati sui castelli di Sar-
zana, Carrara, Santo Stefano e Bolano. Subito dopo il poe-
ta sale al paese di Castelnuovo e nel palazzo vescovile, «in
ora tertia», stipula l’auspicata pace favorevole ai Malaspina.
Ma come Dante ha avuto l’incarico? E quale ruolo realmente vi svolge? Secondo Livio Ga-
lanti, l’ipotesi più valida per giustificare la venuta di Dante in Lunigiana potrebbe trovare
risposta in una precedente conoscenza del marchese Moroello Malaspina attraverso il co-
mune amico Cino da Pistoia2. Moroello Malaspina è un signore cortese e poco importa a
Dante se lo stesso marchese di Giovagallo, capo dei lucchesi alleati dei neri fiorentini, ab-
bia guidato questi ultimi, qualche anno prima, alla vittoria contro i bianchi pistoiesi. Gli
ha aperto il proprio castello, dove egli lavora alla Commedia, da quando ha deciso di ab-
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RIin basso
Leopoldina ZanettiBorzino, Dante e ledonne fiorentine”. N. inv. GAM 400.
Alle pagg. 36-37Antonio Varni, “Dante e Virgilio incontranoSordello”. Genova,Museo AccademiaLigustica di Belle Arti.
A fronteGenova, Galleria d’ArteModerna.Tammar Luxoro,“Paesaggio”(Dante sull’Entella,1865). N. inv. Gam 29.
Giuseppe Frascheri,“Dante e Virgilioincontrano Paolo e Francesca” 1846.Genova, Galleria d’ArteModerna. N. inv. GAM 3.
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bandonare il Convivio. L’episodio narrato dal Boccaccio del ritrovamento in Firenze dei
primi 7 canti dell’Inferno, affidati da Gemma a Dino Frescobaldi, il quale li recapita a Mo-
roello perché persuada l’autore a riprendere il lavoro interrotto con l’esilio, «si può collo-
care tanto nell’autunno del 1306 quanto in un tempo immediatamente precedente»3. È An-
drea, figlio della sorella di Dante che ha sposato Leone Poggi, a raccontare a Boccaccio del
ritrovamento e come abbia provveduto a far leggere i sette canti a Dino Frescobaldi, che
poi li ha fatti pervenire al loro autore attraverso uno dei marchesi Malaspina del quale è
ospite in Lunigiana. Dante nel momento in cui rientra in possesso dell’inizio del suo poe-
ma, oltre a volgerlo in volgare, lo adatta alla sua condizione di esule, alimentato di una nuo-
va linfa nella quale si scioglievano le sofferenze quella condizione4.
«Se Dante accetta la nomina a procuratore, - scrive Petrocchi - vuol dire che egli è sul posto
da qualche tempo per poter fruire della fiducia di tutti e tre i rami dei Malaspina, e già do-
veva aver svolto altre meno importanti incombenze consiliari»5. Sulla data del suo arrivo al-
la corte dei Malaspina sempre Galanti dimostra con evidenza che si possa fissare all’aprile del
1306. Nel canto VIII del Purgatorio l’anima di Corrado, per fissare il termine entro il quale
Dante sarebbe stato accolto in Lunigiana, dice: «il sol non si ricorca / sette volte nel letto che
il Montone / con tutti e quattro i pie’ cuopre ed inforca». Per Galanti si deve leggere: il sole
non si ricorca sette volte nel segno zodiacale dell’Ariete, cioè nel significato di «uscire dalla
costellazione». Per cui l’incontro fra Dante e Corrado nella valletta dell’antipurgatorio «si
sarebbe svolto nel far della sera del 10 aprile del 1300». «Il sole, dunque, sarebbe tramontato,
avrebbe cioè lasciato la costellazione dell’Ariete, dove allora si trovava, appena dieci giorni
dopo, cioè il 20 dello stesso mese; il che comporta che la prima uscita si verificava nello stes-
so anno in cui avveniva il colloquio, cioè nel 1300: e, se la matematica non è un’opinione, ne
sarebbe uscito per la settima volta sei anni e dieci giorni dopo, cioè il 20 aprile del 1306, che
è il termine ad quem dell’arrivo di Dante alla corte dei Malaspina in val di Magra»6.
Non c’è dubbio che Dante deve aver accettato l’incarico delle trattative col vescovo di buon
grado, poiché la pace con Antonio da Camilla consente di rafforzare la posizione dei Mala-
spina nei riguardi del guelfismo toscano, costituendo un elemento di speranza per il ritorno
di Dante a Firenze. I Malaspina, infatti, assumono un prestigio notevole, «in un momento in
cui il nuovo papa, Clemente V (eletto il 5 giugno del 1305), potrebbe ancora presentarsi in
Italia, il che invece non farà né in questi momenti, né poi, con ulteriore cruccio di Dante»7.
Sarzana. Seminario,dipinto ottocentescoraffigurante Dante almonastero di SantaCroce al Corvo.
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Il ruolo che l’Alighieri ha avuto in queste trattative, deve es-
ser stato molto delicato. Nella procura, intatti, si parla di mi-
sfatti ed irregolarità compiute da Franceschino, dai fratelli
Moroello e Corradino e loro seguaci contro il vescovo, la
sua diocesi, amici, sudditi ed alleati.Anche nel trattato di pa-
ce si parla di omicidi, ferimenti, stragi, incendi, che hanno
dilaniato la Lunigiana: si citano inimicizie, guerre, incendi,
danneggiamenti, ribellioni, ferimenti ed omicidi perpetrati
contro la Chiesa di Luni e il venerabile vescovo. Al vescovo è
fatto solo l’obbligo di riconoscere come suoi amici gli amici
dei signori Malaspina, di restituire a costoro ciò che ha avuto o riscosso in loro nome durante
l’occupazione da lui fatta di alcuni tenitori ad essi già appartenenti, e di annullare ogni condan-
na o sentenza emessa contro di loro e i loro seguaci dai suoi tribunali e dalla sua curia tem-
porale e spirituale. Queste colpe, di cui i Malaspina sì ritengono responsabili verso il vesco-
vo, la diocesi e suoi seguaci, vanno inserite in quel processo storico di sgretolamento che an-
che quei marchesi, come il nascente comune di Sarzana e soprattutto quello di Lucca, anda-
vano svolgendo ai danni dell’ormai malsicuro potere temporale dell’antica diocesi di Luni8.
Così stando le cose, Galanti ipotizza che sia stato proprio il vescovo da Camilla a sollecita-
re questo trattato coi signori di Val di Magra allo scopo di assicurarsi le spalle ed avere le
mani completamente libere per arginare l’ingordigia territoriale di Lucca. Che il presule di
Luni fosse particolarmente interessato a questo atto di riconciliazione e di concordia tra-
spare chiaramente dal fatto che egli non avanzi richiesta alcuna di riparazione morale e
materiale dei danni subiti, che sia disposto a mantenere i patti conclusi anche nell’ipotesi
che l’assente marchese Moroello non volesse ratificarli e che non ponga nessuna pregiudi-
ziale sulle future decisioni sulla sorte dei contesi castelli della Brina e di Bolano.
Dal canto loro i Malaspina hanno tutto l’interesse ad aderire alla richiesta, in quanto il do-
minio temporale della pacifica diocesi di Luni viene a
costituire un cuscino su cui può riposare tranquilla anche
la loro integrità territoriale9. I Malaspina, infatti, vogliono
una pace generale che permetta loro di consolidare i loro
feudi, come appare dalle due clausole, che vincolano mo-
ralmente le due parti in causa: il reciproco riconoscimento
dei loro amici e seguaci, e la necessità che anche questi ad-
divengano ad una scambievole, definitiva rappacificazione.
In questa incerta situazione, l’opera diplomatica di Dante
si destreggia fra le giuste rivendicazioni morali e materiali
avanzate dal vescovo e la necessità di dover salvaguardare
l’orgoglio di una famiglia, tenacemente attaccata ai suoi di-
ritti feudali e per nulla disposta ad essere menomata della
sua dinastica dignità. Il merito principale è proprio quello
di averlo fatto accettare dalle due parti, ridando per il mo-
mento pace alle popolazioni di Val di Magra.
Dante, dunque, non soggiorna poco tempo in Lunigiana e
rende omaggio alla casata che tanto generosamente lo ospi-
ta, immaginando di incontrare in una piccola valle fiorita
dell’antipurgatorio Corrado Malaspina di Villafranca, ni-
pote del capostipite Corrado “l’Antico” che da Oramala in
val Staffora ha trasferito la sua corte a Mulazzo10. Corrado
espia nell’antipurgatorio l’eccessivo amore portato alla sua
casata e di lui scrive Eugenio Branchi che «gravemente am-
malatosi in Villafranca, nel 28 settembre 1294 dettando a Ser
Percivallo Delfinello da Pontremoli le ultime sue disposizio-
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Mulazzo. Targa e monumento a Dante.
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ni, lasciò ogni suo feudo, ragioni e beni allodiali, ai fratelli e nipoti, la concordia e l’unione
pel mantenimento della grandezza delle famiglie raccomandandogli». Ed è forse per aver
omesso nel testamento la moglie, la figlia Spina e Bastardo, che Dante gli fa dire: «Ai miei por-
tai l’amor che qui raffina». Cioè, Corrado sconta il troppo amore per la sua casata che ai suoi
più stretti di sangue gli ha fatto anteporre i consorti11.
Il Litta nei suoi alberi genealogici dice che «Corrado aveva riputazione di essere uomo di gran-
de cortesia e di grande bontà, ovunque grandemente onorato, sempre magnifico, e molto
amico degli infelici, che le guerre civili moltiplicavano»12. Si sa che è stato partecipe alle varie
lotte che la sua famiglia nella seconda metà del secolo XIII ha sostenuto contro il vescovo di
Luni, Enrico di Fucecchio. In lui Dante celebra il rappresentante di quel mondo cavalleresco
ideale improntato a grandi valori di giustizia e pace che devono governare gli uomini.
Numerosi sono i lunigianesi che hanno dato contributi significativi agli studi danteschi:
da Giovanni Talentoni di Fivizzano a Niccolò Giosafatte Biagioli di Vezzano, da Adolfo
Bartoli di Gragnola a Giovanni Sforza di Montignoso, da Paride Chistoni di Pontremoli
a Achille Neri di Sarzana. In particolare sotto la guida del Bartoli, professore di storia del-
la letteratura italiana a Firenze nel secondo Ottocento, gli studi danteschi universitari han-
no preso un indirizzo positivo ispirato al «metodo storico», in cui si fondevano la tradi-
zione erudita tiraboschiana e la filologia germanica13. Ma per conoscere i rapporti tra Dan-
te e la Lunigiana e per approfondire la presenza della val di Magra nell’opera dantesca,
fondamentale è il contributo di Livio Galanti, cui è dedicato il Museo Dantesco nella tor-
re trecentesca di Mulazzo. Proprio rifacendosi agli studi del Galanti, Mirco Manuguerra,
fondatore e direttore del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, ha fatto degli studi lu-
nigianesi su Dante una vera e propria branca disciplinare. «Quando noi ci domandiamo
- scrive Manuguerra - quali siano le ragioni che stanno alla base dell’eccezionale elogio
dei Malaspina in Purgatorio VIII; quando noi cerchiamo di stabilire l’autenticità, e a mio
avviso ci riusciamo, dell’Epistola di frate Ilaro del Monastero del Corvo di Ameglia ad
Uguccione della Faggiuola; quando noi ci interroghiamo su quella leggenda singolare, tra-
Nicolò Barabino, “Danteincontra Matelda”.Bozzetto per il dipintodi Palazzo Orsini,Genova 1876-1887.Genova, Galleria d’ArteModerna, n. inv. Gam683.
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A fronteCastelnuovo Magra,Torri del PalazzoVescovile.
Ameglia, busto di Dantee lapidi commemorativemurate nel monasterodi Santa Croce al Corvo.
Castelnuovo Magra.Lapide posta sulpalazzo Vescovile.
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mandataci dal Boccaccio, secondo cui i primi sette canti
dell’Inferno sarebbero stati miracolosamente rinvenuti in
Firenze, dopo l’esilio, e dunque rimessi nelle mani del Poe-
ta proprio qui in terra Lunigiana, per il tramite dell’ospi-
te stesso, il marchese Moroello Malaspina di Giovagallo; e
quando poi analizziamo gli Atti della Pace di Castelnuo-
vo, unica testimonianza certa della presenza di Dante in
un dato luogo nel corso del lungo esilio; e, ancora, quan-
do noi prendiamo a definire con rigore le memorie e i luo-
ghi danteschi di Lunigiana, stabilendo metodi e principi
di indagine volti ad eliminare per quanto più possibile ana-
lisi forzate e sterili campanilismi, e quando poi infine in-
sorgiamo, ribellandoci a quella Sindrome di Castelnuovo
per cui ancora oggi osserviamo con disarmante regolari-
tà le referenze dantesche lunigianesi essere trattate con scar-
sa considerazione e talvolta con nessun rispetto, quando
noi facciamo un qualcosa di tutto ciò, non facciamo altro
che compiere un atto in ordine ad un dominio di indagi-
ne e di conoscenza ben preciso che noi indichiamo con il
termine di Dantistica Lunigianese».
Note
1 G. Sforza, Studi archeologici sulla Lunigiana ed i suoi scavi dal 1442
al 1800, Modena 1896, pp. 20-21.2 L. Galanti, Il soggiorno di Dante in Lunigiana, Pontremoli 1985,
p. 44.3 G. Petrocchi, Vita di Dante, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 101.4 A. Altomonte, Dante. Una vita per l’imperatore, Rusconi, Milano
1985, p. 311-14.5 G. Petrocchi, op. cit., p. 99.6 L. Galanti, op. cit., pp. 59-60.7 G. Petrocchi, op. cit., pp. 99-100. Clemente V, eletto con l’appog-
gio di Filippo il Bello, trasferisce la sede pontificia ad Avignone, ri-
ducendola alle dipendenze del sovrano francese. Dante, che aveva
ritenuto che dopo Bonifacio non ci sarebbe stato un papa altret-
tanto dannoso per la Chiesa, deve riconoscere che Clemente lo è si-
curamente di più. Nessuna sorpresa, dunque, di trovare nel Pur-
gatorio Ugo Capeto che allude alle colpe di quel suo lontano di-
scendente, Filippo, o a sentire nell’Inferno il nome di Clemente V
in bocca, come Bonifacio VIII, a un altro papa simoniaco, Niccolò
III. Cfr. A. Altomonte, op. cit., p. 310.8 Cfr. G. Volpe, Toscana medievale, Firenze 1964, p.520.9 L. Galanti, op. cit., p. 45. V’è un altro elemento ad entrare nel dis-
corso lunense di Dante: è la cosiddetta epistola del monaco Ilaro ad
Uguccìone della Faggiuola (su cui vedi Enciclopedia Dantesca, alla
voce Ilaro); ma nell’uno o nell’altro giudizio che si può dare del te-
sto esso comprova esternamente il folto indice di frequenza dei rap-
porti tra Dante e la terra di Luni, per i quali occorrerebbe prospet-
tare un secondo passaggio del poeta almeno un cinque-sei anni
dopo, se non all’epoca della primavera del ‘12, dopo la sosta a Pisa.10 R. Piattoli,Malaspina, Corrado I detto l’Antico, in Enciclopedia dan-
tesca, vol. XI, Biblioteca Treccani, Mondadori, Milano 2005, p. 72.11 E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Pistoia 1898, Vol. II.
pp. 11 s.12 P. Litta, famiglie celebri italiane, Malaspina, tav. IV.13 Cfr. G. Benelli, Le celebrazioni dantesche del 1906 in Lunigiana, tra
storiografia erudita e nuovi orientamenti culturali, XXX-XXXI (2000-
2001), pp. 5-38.
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