IL VINO NELLE TRADIZIONI
POPOLARI SARDE
CLASSE 3ªB PSICOPEDAGOGICO
ISTITUTO MAGISTRALE “B. CROCE” ORISTANO
A.S. 2008/2009
2
Introduzione
“Un progetto sulle tradizioni popolari sarde legate al vino? Sarà sicuramente una scusa come un’altra per perdere qualche ora di lezione!” Forse inizialmente l’intento era proprio quello; ma noi ragaz-zi della 3ª B pedagogico siamo i primi ad affermare come spesso l’ignoranza nei confronti delle nostre tradizioni possa essere una perdita, soprattutto a livello culturale. Vorremmo raccontare il nostro viaggio alla scoperta del vino, raccontando le nostre esperienze legate a degli incontri con alcuni esperti e a una visita guidata alla cantina “Sella&Mosca”; ma nostro intento sarà anche quello di far capire l’importanza di questa esperienza. Vorremmo rivolge-re un particolare ringraziamento alla professoressa France-sca Soru per la pazienza e per la fiducia che, come in altre occasioni, è stata disposta a rivolgerci.
3
Gli incontri con gli esperti
Il primo incontro con gli esperti è stato quello con il professor Gianni Loddo, finalizzato soprattutto a farci capire da dove affiorano le radici della tradizione sarda legata al vino. La coltivazione dei vigneti risulta essere una pratica molto antica. Secondo alcune fonti la vite sarebbe stata importata in Sardegna dai Fenici, secondo altre essa sarebbe nata nella regione spontaneamente. La pratica del vino è stata da subito legata al culto religioso, basti pensare al mito di Bacco, dio del vino. Una figura un po’ particolare quella di Bacco; un essere per metà uo-mo e per metà bestia, alle volte rappresentato come un vero e pro-prio diavolo. Legate a lui e quindi alla pratica del vino, si tramandano moltissime tradizioni da un’infinità di generazioni. In seguito alla ven-demmia e alla produzione del vino si era solito alzare un po’ il gomito e successivamente andare in giro per il paese e per le campagne con dei carri provocando un frastuono di voci e rumori per niente in-differente; una volta giunti alla vigna si scavava una grande buca per poi sotterrare il proprietario, lasciandogli libera solo la testa. Tutti gli altri continuavano a ballare intorno alla sua testa.
4
La vite e il vino tra mitologia e storia
Fortunate campagne di scavo, condotte con i più mo-derni sistemi di indagine archeologica, hanno con-sentito di spostare, almeno a partire dalla fine dell'Età del Bronzo Medio (XV sec. a.C.) - inizi dell'Età del Bronzo Recente (XIV sec. a.C.), la certezza della pre-senza in Sardegna della vite e del vino. A partire da tale periodo, infatti, si intensificano e si consolidano i rapporti bilaterali, già intrapresi in precedenza, col ba-cino orientale del Mediterraneo e in particolare col mondo miceneo.
5
Il vino in Sardegna
Dal mondo miceneo le connesse tradizioni enoiche giungono in Sardegna, insieme a tutto il patrimonio mitico e tecnico che intorno a questa bevanda volta per volta si è elaborato . Ed ecco comparire Bacco-Dioniso. Il Tirso, fiume che dà il nome alla valle omonima, ci ricorda il nome del bastone di Bacco, chiamato ap-punto “il tirso”.
6
La domesticazione della vite
La viticoltura così come noi la conosciamo prende origine a par-tire dalla domesticazione della vite. Le evidenze più antiche di questa conquista culturale si ritrovano in aree montuose della Mesopotamia come nel Caucaso meridionale, e risalgono al VI-V secolo a.C. e si tratta di vasi d’argilla decorati con grappoli d’uva. Il passaggio dalla Vitis vinifera sylvestris alla Vitis vinifera sativa, quella che noi oggi coltiviamo, è il risultato di una selezio-
ne antropica che ha fissato una caratteristica diversa e molto im-portante: la vite selvatica è pian-ta dioica, con fiori maschili e femminili su piante differenti, mentre la vite domestica è pian-ta monoica, cioè con fiori erma-froditi. Scelte le piante giuste, si sono conservati i loro caratteri attraverso una moltiplicazione per via vegetativa, cioè con la talea e poi con l’innesto. Ciò ha reso stabili ed uniformi questi caratteri, permettendo di individuare e propagare i nume-rosi vitigni che rappresentano il risultato di un lungo ed esaltante processo di domesticazione della vite.
7
La Sardegna conta oltre 120 vitigni autoctoni, cioè derivati dalla domesticazione avvenuta direttamente nella nostra isola, ai quali si riconosce una diretta discendenza dalla Vitis vinifera sylvestris. Ciò testimonia la ricchezza e profondità di radici storiche e culturali della nostra viticoltura.
8
La complessità e continuità della vite come coltura si è esaltata ogni volta che si sono costruite civiltà forti e sta-bili intorno a un solido rapporto con le risorse della terra. Il declino della viti-coltura nella storia si accompagna spesso a fasi di declino o a mutamenti profondi nella dinamica delle popola-zioni, per cui essa segna ed accompa-gna in modo preciso le diverse fasi storiche che hanno spesso interessa-to anche la nostra isola.
La viticoltura
nella storia
9
Vite e vino Vite e vino Vite e vino Vite e vino
nella nostra storia
Nelle curatorie del Giudicato di Arborea, la specializzazione era cerealicola, ma anche la viticoltura era diffusa, sia pure su vigneti spesso piccoli o piccolissimi. Così il codice rurale di Mariano IV, la Car-ta de Logu, del 1327, riassumeva la gran-de attenzione per la coltura con numerosi ordinamenti che la riguardavano.
10
La cultura della vite e del vino
È come passare in un sentiero che in tanti hanno già percorso, con un insieme di orizzonti e di riferimenti che rendono agevole e solido questo passaggio, al termine del quale si raggiunge un risultato utile e significativo rispetto alle attività praticate e ai valori riconosciuti all’in-terno di una comunità umana.
11
Cosa rimane oggi di antico?
Il rapporto con la natura
Modi di coltivare, produrre e operare
Strumenti e schemi organizzativi
Terminologia, simboli, riti
12
La vendemmia
Il culmine della pratica viticola è la vendemmia. Essa
viene chiamata in sardo “Sa binnenna” che non signi-
fica solamente tagliare l’uva ma anche vinificare, in
quanto le due pratiche non esistevano come attività
separate. Nella vendemmia tradizionale, come nelle al-
tre attività agro-pastorali le feste scandivano gli ap-
puntamenti principa-
li delle pratiche
agricole; la festa
della madonna del
Rimedio segnalava
che l’estate stava
per terminare e
che si avvicinava la
vendemmia.
Il vignaiolo, quindi,
sapeva che era ne-
cessario preparare i
recipienti (su stre-
xiu) , le botti
(carradas) , i tini
(cubidinas) e la
pressa (sa prenza).
13
La tradizione
La data di assaggio del vino è la festa di San Martino 11 novem-
bre, come recita il detto “po santu Martì stuppa e bì “ (per san
Martino stappa e bevi). In tale occasione nei paesi dell’oristane-
se è grande festa, diversi gruppi preparano una lauta cena dove
si consumava “su piricciou”.
La canna fresca, che ricorda il tirso, bastone di Bacco, è simbolo
di ebbrezza, infatti quando una persona è in quello stato si dice
“est a sa canna”. La canna fresca o la palma erano anche il sim-
bolo che indicava i locali “magasinus” dove i vignaioli aprivano i
punti di mescita del vino.
14
Per la festa di San Martino, l’11
novembre, dopo lo svolgimento
di una grande cena seguirà quel-
lo di una grande bevuta e chi di
solito beve un po’ più del dovuto
l’indomani troverà sulla porta di
casa una bella sorpresa; o meglio
troverà la porta e le finestre
sbarrate da canne o palme. Di
antico, però, non rimangono so-
lamente le tradizioni, ma anche
le tecniche di raccolta e di pigia-
tura dell’uva.
Secondo i nostri antenati se si
voleva avere un vino eccellente,
si doveva effettuare la raccolta
dell’uva nelle giornate in cui ci
sarebbe stata la luna piena, co-
me se questo potesse avere un
effetto “magico” sul vino. Ricor-
rono ancora oggi i metodi antichi
di pigiatura dell’ uva coi piedi
che veniva svolta all’interno di
un grosso tino in pietra dove con
una energica pressione si separa-
va il prezioso mosto da tutto il
resto.
15
16
Piricciou, vino nuovo, novello
A volte nel nostro linguaggio, sia in lingua sarda come in italiano, usiamo alcuni termini che hanno uno specifico significato ed indicano oggetti con caratteristiche diverse. Chiariamo queste caratteri-stiche e queste differenze. Su piricciou
E’ un vino leggero che viene fatto con le vinacce rimaste dopo la vinificazione. A queste si aggiunge dell’acqua e a volte anche dello zucchero. Nella massa così ottenuta avviene la fermentazione de-gli zuccheri e da essa si ottiene un vinello leggero che viene bevuto subito, quando ancora il vino buono non è pronto. Questo vino non è di alta qua-lità e non è molto alcolico, ma si beve soprattutto il casa e tra amici nelle feste. Il vino nuovo
Tutti i vini, appena fatti, cioè dopo che è finita la fermentazione e sono diventati sufficientemente limpidi e stabili per poter essere spillati dalla botte, li possiamo definire nuovi, cioè ottenuti nella stes-sa annata della vinificazione e spesso consumati, come nella cantina domestica, senza nessun trat-tamento se non quello del travaso. Nelle grandi cantine il vino viene anche filtrato, illimpidito, stabi-lizzato, poi confezionato e avviato al consumo.
17
Il vino novello
Spesso si usa il termine di novello per indicare il vi-no nuovo; però nella terminologia attuale il vino no-vello rappresenta un oggetto specifico, che si distin-gue dai semplici vini nuovi, perché segue un proces-so tecnologico particolare. È una pratica messa a punto dai francesi poi adotta-ta da tutte le cantine che vogliono produrre un vino da mettere in commercio all’inizio dell’annata e a di-stanza di poco tempo dalla vendemmia. La tecnica si basa sul principio della macerazione carbonica. Le uve rosse, che devono essere partico-larmente sane e integre, vengono messe in un gros-so contenitore ermetico, privo di ossigeno e saturo di anidride carbonica, dove la fermentazione avvie-ne a partire dalle bucce degli acini, che cedono, in-sieme ai pigmenti rossi, tutte le sostanze che nel vi-no daranno un particolare sentore di frutta e di fre-schezza. Pigiate le uve e terminata la fermentazione il vino viene subito lavorato per essere illimpidito e stabilizzato, senza perdere le sue doti principali di fruttato, di freschezza e di colore, che devono richia-mare l’uva ed il vino appena fatto. Per dare equilibrio al vino, spesso la macerazione carbonica è fatta solo su una parte delle uve, vinifi-cando la parte restante in modo normale. L’effetto della macerazione infatti è tale da liberare una quan-tità elevata di colore e di sostanze che, se in ecces-so, danno al vino un forte sapore di fragola, di cilie-gia, di frutti di bosco, fino a livelli poco graditi al con-sumatore. L’equilibrio del novello si raggiunge perciò solo con una parte di vino da macerazione carboni-ca, in modo che il vino abbia il bel colore rosso, vivo e brillante, tipico del vino appena fatto, un contenuto alcolico non elevato, un fruttato evidente ma mai e-sagerato che richiami l’uva e i profumi floreali. Questo vino dovrebbe adattarsi al gusto dei giovani, senza essere molto impegnativo e senza costi ele-vati. È fatto per essere bevuto subito e non è adatto ad invecchiare nella bottiglia.
18
I valori moderni nella cultura della vite e del vino
La continuità di un
rapporto storico e
culturale con la vite
ed il vino e con la
terra.
L’apprezzamento
della qualità di un
prodotto che esalta
le capacità e le co-
noscenze degli uo-
mini.
L’esaltazione di un
prodotto in grado di
accompagnare i
momenti migliori
della vita degli uo-
mini.
19
Gli effetti dell’alcool
BAC
(mg/dL)
sintomi
50 euforia, rilassamento
100 depressione del SNC, mancanza di
coordinamento, difficoltà cognitive
>140 minore del flusso di sangue al
cervello
300 perdita di coscienza
400 morte possibile
> 550 morte
20
Gli effetti dell’alcool
La risonanza magnetica mette in evidenza le modi-
ficazioni cerebrali causate dall’assunzione ripetuta
di alcool attraverso l’uso di qualsiasi bevanda alco-
lica. In un individuo che ne assume abitualmente
dosi eccessive rispetto al peso e alla tollerabilità
dell’organismo, si notano, a maggior ragione se
l’individuo è giovane, danni evidenti e irreversibili
a causa della distruzione dei tessuti cerebrali.
L’uso e l’abuso di alcool tra i giovani è la causa
maggiore di incidenti stradali e di decessi concen-
trati spesso nel fine settimana, soprattutto con per-
sone di età compresa tra i 20 e i 24 anni.
21
I nostri ringraziamenti
Al Dirigente Scolastico
Prof. Giorgio Pinna
Al D.S.G.A.
Sig.ra Agnese Inconis
Ai Tecnici e al Personale
della Segreteria
Per averci aiutato
a realizzare questo progetto
I docenti esterni
Proff. Gianni Loddo,
Enrico Marceddu e
Matteo Floris.
La prof.ssa Francesca Soru
per l’instancabile
Incoraggiamento
a studiare
Tutti insieme gli allievi della
Classe Terza B sociopsicopedagogico
22
IL VINO NELLE TRADIZIONI
POPOLARI SARDE
CLASSE 3B PSICOPEDAGOGICO
Careddu Vanessa Palmas Giulio
Caria Elisa Pinna Eleonora
Cuscusa Susanna Piras Mara
Dearca Carola Pisanu Gloria
Deidda Mara Porru Miriam
Isola Rossana Serra Laura
Manca Nicoletta Sitzia Michele
Marongiu Marika Uras Cristina
Murru Alice Zucca Roberta
Pala Stefania