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IlGuitto 02

Date post: 22-Jul-2016
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Guitto N° 2 - GIUGNO 2015 La mostra “Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo” è un evento epocale perché, allestita nel Braccio di Carlo Magno in piazza San Pietro, cuore della cristianità, rende noti agli studiosi e al grande pubblico straor- dinari capolavori di oreficeria sacra rea- lizzati per la munificenza di committenti laici ed ecclesiastici, spesso poco co- nosciuti perché custoditi nelle sacrestie o conservati nelle raccolte diocesane, nelle Abbazie (Casamari e Montecassi- no) e in istituti religiosi. - Pag. 2 di Alessandro Potenziani EDITORIALE di Elisa Potenziani il PAG. 8 Il lago di Canterno PAG. 6 Il Maestro d’arte De Santis PAG. 16 I fantasmi del castello Rivista dell’Associazione Culturale Il Guitto Delle molteplici opere di arte ecclesiastica della provincia di Frosinone salvatesi dalle requisizioni av- venute a causa del trattato di Tolentino (1797) e dalle spoliazioni esercitate durante la Repubblica Romana (1798-1799), il caso del San Sebastiano in argento, pregevole statua del santo patrono di Fumone, rappresenta un esempio non raro di opera riscattata dagli abitanti mediante un gravoso sborso economico. Nell’ambito delle mie ricerche riguardanti Fumone ho avuto la fortunata sorpresa di rintracciare un documento inedito che, illustrando la genesi e la relativa vicenda economica della statua del San Seba- stiano, permette di restituire a pieno titolo l’opera al suo artefice, fino ad oggi soltanto ipotizzato.Tale documento riguarda un conto pagato per la statua di un “S. Bastiano” all’illustre argentiere forlivese Giovanni Giardini (Forlì 1646 - Roma 1721) di cui però manca il bollo distintivo sulla statua, rappre- sentato da un canestrino di fiori stilizzato allusivo al suo cognome. Il culto di san Sebastiano a Fumone è di origine antichissima e le due reliquie del santo conservate nella chiesa collegiata della SS.ma Maria Annunziata sono costituite da una parte del capo e un frammento del braccio: la prima reliquia era posta all’interno di un busto in bronzo dorato con la testa di argento, donato dalla comunità di Fumone in epoca molto antica; la seconda era posta all’interno di un manu- fatto artistico in argento dorato a forma di braccio. Entrambi i reliquiari furono poi trafugati in tempi diversi e, nel 1806, i marchesi Longhi, in qualità di “festaroli”, donarono alla comunità fumonese un busto del santo analogo al precedente nel quale venne riposta la reliquia del braccio. - Pag. 2 Martirio e Santità La statua argentea del san Sebastiano di Fumone L’oreficeria laziale in mostra al Vaticano
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GuittoN° 2 - GIUGNO 2015

La mostra “Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo” è un evento epocale perché, allestita nel Braccio di Carlo Magno in piazza San Pietro, cuore della cristianità, rende noti agli studiosi e al grande pubblico straor-dinari capolavori di oreficeria sacra rea-lizzati per la munificenza di committenti laici ed ecclesiastici, spesso poco co-nosciuti perché custoditi nelle sacrestie o conservati nelle raccolte diocesane, nelle Abbazie (Casamari e Montecassi-no) e in istituti religiosi. - Pag. 2

di Alessandro Potenziani

EDITORIALE

di Elisa Potenziani

ilPAG. 8

Il lago di CanternoPAG. 6

Il Maestro d’arte De SantisPAG. 16

I fantasmi del castello

Rivista dell’Associazione Culturale Il Guitto

Delle molteplici opere di arte ecclesiastica della provincia di Frosinone salvatesi dalle requisizioni av-venute a causa del trattato di Tolentino (1797) e dalle spoliazioni esercitate durante la Repubblica Romana (1798-1799), il caso del San Sebastiano in argento, pregevole statua del santo patrono di Fumone, rappresenta un esempio non raro di opera riscattata dagli abitanti mediante un gravoso sborso economico.Nell’ambito delle mie ricerche riguardanti Fumone ho avuto la fortunata sorpresa di rintracciare un documento inedito che, illustrando la genesi e la relativa vicenda economica della statua del San Seba-stiano, permette di restituire a pieno titolo l’opera al suo artefice, fino ad oggi soltanto ipotizzato. Tale documento riguarda un conto pagato per la statua di un “S. Bastiano” all’illustre argentiere forlivese Giovanni Giardini (Forlì 1646 - Roma 1721) di cui però manca il bollo distintivo sulla statua, rappre-sentato da un canestrino di fiori stilizzato allusivo al suo cognome. Il culto di san Sebastiano a Fumone è di origine antichissima e le due reliquie del santo conservate nella chiesa collegiata della SS.ma Maria Annunziata sono costituite da una parte del capo e un frammento del braccio: la prima reliquia era posta all’interno di un busto in bronzo dorato con la testa di argento, donato dalla comunità di Fumone in epoca molto antica; la seconda era posta all’interno di un manu-fatto artistico in argento dorato a forma di braccio. Entrambi i reliquiari furono poi trafugati in tempi diversi e, nel 1806, i marchesi Longhi, in qualità di “festaroli”, donarono alla comunità fumonese un busto del santo analogo al precedente nel quale venne riposta la reliquia del braccio. - Pag. 2

Martirio e SantitàLa statua argentea del san Sebastiano di Fumone

L’oreficeria laziale in mostra al Vaticano

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segue da pag. 1 - La statua di San Sebastiano, presa in esame in questa sede, fu realizzata tra il 1696 e il 1697 come «custodia d’argento rappresentante il Santo per servare in essa la reliquia del medesi-mo»: essa mostra la figura del santo, in argento, avvinta a un tronco in bronzo dorato per mezzo di raffinate cordicelle metalliche. In bronzo dorato sono anche tutti gli altri elementi della composizio-ne presenti nel basamento: il sontuoso elmo pretoriano e lo scudo, il quale reca incisa l’iscrizione «COMMVNI-TAS FVMONIS PROTECTORI SVO DICAVIT AN°: 1697» che restituisce tut-to il senso della dedizione popolare al suo santo patrono. Tra l’elmo e lo scudo si no-tano alcune frecce e una faretra dalle singo-lari fattezze di un muso di un cane. Parte integrante dell’opera è il piedistallo in le-gno dorato realizzato nel 1750 insieme al baldacchino processionale dall’intagliatore tirolese Jean Stoltz: nella faccia anteriore è incastonata la teca di rame dorato che con-tiene la reliquia del capo del santo.L’origine della commissione della statua è da ricondursi a una delle frequenti visite apostoliche che i governatori generali ef-fettuarono nelle varie province dello Stato Pontificio tra il 1688 e il 1697, per la revi-sione dei conti e la formazione delle liste per le nomine del magistrato. Il 7 novembre 1689 il governatore di Cam-pagna e Marittima Niccolò Grimaldi si recò a Fumone e, fra i molti decreti emanati in tale circostanza, ne troviamo uno relativo alla festività del santo patrono nel quale il governatore ordinò che, dei dodici scudi stabiliti in tabella ogni anno per solennizzare la festa, nove fossero annualmente devolu-ti dal Comune alla Compagnia di San Sebastiano, accumulandoli fino ad ottenere una somma cospicua da impiegare «in qualche pezzo d’Argento coll’Arme della Comunità, da servire nella festa, et altri giorni solenni» anziché spenderli per l’antica usanza della “panarda” che solitamente veniva distribuita nel giorno della festa del santo. Il governatore ordinò l’elezione di un “depositario” con il compito di detenere il denaro ricavato e dispose anche la conver-

sione della “mezza coppa di grano”, contribuita dai cittadini ogni anno per la “panarda”, in denaro da devolvere «per un’opera simile, di cui sempre ne goderanno, et havranno merito da Dio Benedet-to». Per la commissione della statua il marchese Pietro Longhi fece certamente da intermediario tra la comunità di Fumone e l’argen-tiere Giardini, visto che il conto è proprio a lui intestato; come depositario fu designato invece suo fratello Filippo. Quest’ultimo

trasferiva la somma annua al fratello Pietro a Roma che, a sua volta, la depo-sitava al Sacro Monte di Pietà, il quale avrebbe poi pagato l’argentiere. Il marchese Longhi rivol-gendosi direttamente a Giardini piuttosto che alle tante maestranze, che pur con merito operavano a Roma in quel tempo, mirò ad assicurarsi un artefice di assoluto prestigio che, già nominato argentiere del Palazzo Apostolico, di lì a poco, nell’anno 1698, sarebbe divenuto anche il fonditore ufficiale della Reverenda Camera Apo-stolica. Giovanni Giardini era l’orafo-argentiere di maggior rilievo tra i ma-estri del tardo Seicento, distinguendosi per l’alta capacità interpretativa nel-le diverse discipline legate alla lavorazione dei metalli,

di cui ricordiamo il suo famoso libro di modelli per argentieri inti-tolato Disegni diversi, una raccolta di disegni tradotti in incisioni dal praghese Maximilian-Joseph Limpach, nel 1714: l’opera fu ripub-blicata nel 1750 con il titolo Promptuarium artis argentariae influen-zando notevolmente il gusto del tempo in ambito romano e nelle regioni d’Oltralpe. Le numerose commissioni ricevute sia dalle più alte gerarchie ecclesiastiche romane, e non solo, sia da aristocratici

segue da pag. 1 - Fa gli onori di casa la superba statua equestre del sant’Ambrogio martire di Ferenti-no, un’opera a noi familiare che conserva tutta l’imponenza del Marco Aurelio del Campidoglio.

La mostra e il re-lativo catalogo sono il risultato di una lunga at-tività di ricerca svolta all’interno della Soprinten-denza per i Beni Storici Artistici e Etnoantropolo-gici del Lazio e degli Uffici Beni Culturali delle Diocesi laziali: tale sinergia ha condotto all’or-

ganizzazione dell’esposizione curata da Anna Imponente e Be-nedetta Montevecchi e allestita nella prestigiosa sede per volontà del Direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci.

In tale occasione si vuole porre l’attenzione sul Lazio come “mu-seo diffuso” in cui l’arte suntuaria – e non “minore”, si badi bene – ha un posto rilevante: le alte com-mittenze, il prestigio di certi artisti e la devozione popolare sono stati i fattori che hanno innescato pro-cessi storici tali da dotare molte chiese laziali di manufatti di alto valore in cui si rileva l’influenza di culture artistiche diverse. Sono esposte oltre cento opere di grande pregio tra statue, reliquiari a busto, a braccia, a croce, a cas-sa, croci astili, pastorali, urne, cali-ci, ostensori e suppellettili liturgi-che di vario genere, appartenenti tutte a un periodo compreso tra il XIII e il XVIII secolo, di proprietà di enti ecclesiastici: esse restano co-munque numerose nonostante le

razzie operate durante le vicende storiche che hanno riguardato il territorio laziale e il perpetuarsi di furti sacrileghi, soprattutto nelle province meridionali.Sono opere parlanti perché testi-moniano l’ardore della fede dei santi e l’efferatezza dei loro marti-rii, esempi da venerare nelle chie-se e imitare nel quotidiano per-ché di inestimabile valore sarà la ricompensa e niente lo comunica in modo più persuasivo dell’oro, dell’argento, delle pietre preziose che adornano i resti dei paladini del cristianesimo. L’occasione di ammirare que-sti manufatti a una distanza così breve è unica: le loro dimensioni e il grado di rifinitura richiedono una lettura attenta e lenta, volta a cogliere nei particolari dettagli

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sbalorditivi. Ben due opere provenienti da Fu-mone, e in particolare dalla chie-sa della Santissima Annunziata, sono esposte negli ambienti vati-cani: una croce astile in argento e la statua del santo patrono, san Sebastiano. La croce, pregevole prodotto dell’oreficeria sulmonese, risale alla fine del XIV secolo: sul recto campeggia l’immagine del Cristo morente tra san Giovanni Battista, un santo monaco, la Maddale-na che abbraccia il Crocifisso e un santo vescovo benedicente; sul verso, i simboli degli Evange-listi posti alle quattro estremità della croce, due busti di santi e la rappresentazione dell’Agnello mistico entro un clipeo, circonda-no la figura della Madonna con il

Bambino. Tale esemplare rimane, per ora, un’opera isolata nel panorama artistico laziale ed è caratterizza-ta da un dislivello stilistico: della raffigurazione sul recto si rilevano i tratti elementari e arcaici nonché la rigidità delle pose che informa alcuni personaggi mentre il verso mostra uno stile più evoluto. Ri-guardo al san Sebastiano realiz-zato da Giovanni Giardini nel 1697 rimando all’articolo di Alessandro Potenziani, in questo stesso nume-ro: a lui, giovane studioso, si deve il ritrovamento del documento di pagamento che, con una prova schiacciante, ristabilisce definiti-vamente la paternità dell’opera. All’uscita della mostra, con gli oc-chi ancora abbagliati da tanta bellezza, si lascerà Piazza San Pie-

tro con la suggestione ben espres-sa dalle parole di san Bernardo di Chiaravalle: «Gli occhi sono colpi-ti dalle reliquie coperte d’oro. Si mostra qualche immagine bellis-sima di santo o di santa, e i santi son creduti tanto più santi, quanto più vivamente son colorati».

di alto rango giustificano pienamente la sua grande reputazione. Il conto dell’argentiere, conservato tra i fondi della Società Roma-na di Storia Patria, porta la data del 22 aprile 1697: nel documento viene descritta la statua, vengono enumerate le varie lavorazioni occorse e si dichiara l’impiego di poco più di 3 chilogrammi d’ar-gento e circa 10 chilogrammi di bronzo per una spesa totale di 268 scudi, poi pattuiti in 254. Va sottolineato che tale spesa fu affron-tata grazie ad un prestito della somma di 100 scudi concesso dalla Compagnia del Rosario di Fumone, prestito autorizzato dapprima da monsignor Stefano Ghirardelli, vescovo della diocesi di Alatri, e successivamente, su richiesta della comunità di Fumone, approvato dalla Sacra Congregazione del Buon Governo con la clausola che la Compagnia fosse risarcita «delli scudi nove ogn’anno sino alla detta summa». Finora non ci è dato sapere quando la preziosa statua giunse a Fu-mone. È certo, invece, che la spesa per l’opera risultò maggiorata di 25 scudi per i quali la comunità di Fumone, nel 1698, chiedeva alla Sacra Congregazione del Buon Governo di potersi sdebitare «col danaro de sopravvanzi», concessione che fu accordata. Se al prezzo concordato di 254 scudi ne furono richiesti 25 in più, possiamo dunque credere che la somma effettivamente pagata fu di 279 scu-di, cifra davvero ragguardevole per la piccola comunità di Fumone che può essere giustificata dalla grande devozione popolare al suo santo patrono. A questo punto è necessario menzionare anche l’artista che rea-lizzò il modello in terracotta del San Sebastiano, l’illustre scultore milanese Camillo Rusconi (Milano 1658 - Roma 1728), al quale in passato è stata spesso attribuita la paternità, in toto, della scultura conservata a Fumone. È doveroso dunque ristabilire il ruolo che pertiene a ognuno dei due personaggi coinvolti nella realizzazione della statua argentea di Fumone. La fusione di una scultura in metallo richiedeva l’utilizzo di un modello, realizzato da uno scultore, il cui costo era in genere specificato nel conto dell’argentiere a meno che quest’ultimo non avesse già un modello a sua disposizione o che il committente ne fornisse uno.Nel conto per il San Sebastiano di Fumone non è specificato alcun prezzo per il modello e ciò fa presumere che l’argentiere l’avesse già nella sua bottega. In effetti da alcuni inventari, redatti dopo la morte di Giardini, si evince la presenza di «un San Sebastiano di greta modello del Signor Camillo Rusconi»: questa indicazione rappresenta un indizio fondamentale che mette in relazione i due

artefici riguardo alla medesima opera. D’altra parte, l’inventario del 1770 conservato presso l’Archivio storico parrocchiale di Fumone riferisce che la statua è «opera del celebre Rusconi», informazione che conferma la derivazione della statua argentea dal modello dello scultore milanese. Che Rusconi abbia realizzato un modello di San Sebastiano risulta anche da al-cune biografie dell’epoca tra cui la più precisa è quella compilata da Francesco Saverio Baldinucci (1663-1738) che, oltre a descrivere il modello, è l’unica a fornire notizie sia su una diversa committenza, quella del marchese Niccolò Maria Pallavicini, noto mecenate e collezionista di opere d’arte, sia sulla fusione in argento del model-lo. La discordanza riscontrata nella committenza può essere spie-gata ipotizzando che la statua di Fumone rappresenti una seconda fusione, data l’assenza della spesa del modello nel conto: la prima fusione sarebbe dunque quella realizzata per il marchese Pallavicini e, quasi certamente, fusa dallo stesso Giardini in virtù del fatto che il mecenate fu il principale committente privato dell’argentiere. È accertato infatti che, sia Rusconi sia Giardini, furono entrambi pro-tégés dello stesso mecenate. Della prima statua, quella del Pallavicini, si era persa traccia già alla morte del marchese nel 1714, non com-parendo nell’inventario dei suoi beni: il San Sebastiano di Fumone è pertanto, finora, la sola opera plasmata sul modello del Rusconi e forgiata da Giovanni Giardini.La restituzione di questo capolavoro di oreficeria barocca a Gio-vanni Giardini amplia dunque l’esiguo numero delle opere note dell’artista.La recente partecipazione della statua del San Sebastiano alla mo-stra “Sculture preziose, oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo”, tenutasi presso la prestigiosa sede del Braccio di Carlo Ma-gno in Vaticano, ha certamente contri-buito a far conosce-re questo eccezio-nale manufatto a un pubblico più vasto e deve essere moti-vo di orgoglio per la comunità fumonese, la cui storia e la cui tradizione legata al santo patrono vanta un culto millenario.

Durata della mostra: 30 marzo – 30 giugno 2015.Ingresso gratuito.Orari di apertura: lunedì-venerdì dalle ore 9,30 alle 17,30 – mercoledì dalle 13,30 alle 17,30 – sabato ore 10-17. Domenica e festività vaticane chiusa. Piazza San Pietro, Braccio di Carlo Magno – Tel. 06 69884095.

Fonti e riferimenti bibliografici

Fumone, Archivio storico comunale

Fumone, Archivio storico parrocchiale SS.ma Maria Annunziata

Roma, Archivio di Stato

Roma, Società Romana di Storia Patria

A. Potenziani, Una statua barocca a Fumone: il San Sebastiano di Giovanni Giardini e Camillo Rusconi, «Latium» XXX-XXXI (2013-2014), pp. 133-168 con bibliografia precedente.

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Quella che leggerete è la storia di un emigrato fumonese, Eleuterio Mastromoro - nato nel piccolo borgo ciociaro il 21 aprile 1903 da Francesco Mastromoro ed Eleonora Caponera - attraverso i ricordi di suo nipote Larry Ma-stromoro che oggi vive in Texas e con il quale ho intessuto una corrispondenza (grazie a un social network) che dura da qualche anno.

Eleuterio era il più grande di cinque figli (Giovanni, Loretta, Marina e Angela) e, in cerca di una vita migliore, con le speranze, la grinta e l’energia che abitualmente carat-terizzano gli adolescenti, partì per gli Stati Uniti nell’ottobre 1920 e tornò nel ‘Bel Paese’ soltanto un paio di volte. Secondo i registri conservati a Ellis Iland, New York, il giovane Eleuterio lasciò l’Italia salpando da Napoli sulla nave a vapore Giuseppe Verdi, viaggiando in terza classe con Filippo (Phi-lip) Caponera, suo cugino. Il biglietto per raggiungere New York era intestato a Eleu-terio Caponera: cambiò il suo cognome

probabilmente per poter ottenere degli ap-poggi dai suoi lontani parenti materni che erano già emigrati negli Stati Uniti qualche anno prima. Era il 27 ottobre 1920 quan-do il giovane fumonese scese dalla nave con meno di cinquanta dollari in tasca, con pochissimi legami famigliari e senza cono-scere una parola della lingua di quella che, quattordici anni dopo, sarebbe diventata uf-ficialmente la ‘sua’ nuova nazione di appar-tenenza (Eleuterio avrebbe ottenuto la cit-tadinanza americana il 10 settembre 1934). Il primo periodo americano, dunque, non deve essere stato affatto semplice per Eleu-terio che, con tutta probabilità fu ospitato da uno zio - Luigi Bellotti – al quale si fa riferimento sul biglietto della nave e che si trovava a Buffalo, nello stato di New York. Il giovane italiano dapprima iniziò a lavorare come operaio nella parte occidentale dello stato di New York e successivamente si tra-sferì nella zona centrale dello stesso stato, in una piccola borgata chiamata Saint John-

sville, dove probabilmente viveva qualche parente della famiglia materna, i Capone-ra. Saint Johnsville si trova nel cuore della regione Mohawk Valley di New York e il fiume Mohawk scorre in una valle pano-ramica; qui, quando Eleuterio vi si trasferì, si trovavano molte piccole aziende e fab-briche e la ferrovia in costruzione – dove il giovane fumonese iniziò a lavorare come operaio e cuoco – attraversava la valle. Con un matrimonio combinato Eleuterio spo-sò Bertha Pietrasanti nel 1928, nella chiesa cattolica di St. Johnsville, dove acquistò una casa che sistemò alla maniera italiana: pian-tò un giardino, coltivò un vigneto, mise su un piccolo pollaio e costruì un camino, un marciapiedi e una cantina. Dal matrimonio nacquero tre figli, John, Norman e Nora Jean, tutti cresciuti a St Johnsville. Ben pre-sto Eleuterio riuscì a trovare lavoro come bidello nella scuola del paese; tutti i suoi colleghi ne apprezzavano la cordialità, la gentilezza, l’ilarità e le ottime doti culina-

La promessa di una nuova vitaStoria di un fumonese emigrato nei ricordi di suo nipotedi Chiara Mastromoro e Larry Mastromoro

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rie. Racconta Larry, suo nipote: «Ero molto legato a mio nonno e con lui ho trascorso tantissimo tempo seduto nel suo giardino, dove sorseggiavamo insieme del vino che lui faceva da sé e che teneva in una botte di rovere, conservata nella cantina di casa sua; ero solito bere in un bicchiere che lui conservava per queste occasioni di incontro. Una delle immagini più care dell’infanzia è quella di noi due seduti insieme ai suoi amici a parlare dell’Italia e della sua famiglia d’origine, che non ha mai dimenticato. Un altro ricordo che custodisco gelosamen-te nel mio cuore è quello del nonno che, dopo una lunga giornata di lavoro nel giar-dino, cucinava una grande ciotola di pasta e, mangiandola davanti la televisione, guar-dava le gare di lotta insieme a me urlando e tifando per il suo lottatore preferito. La nonna si arrabbiava tanto con lui quando alzava la voce davanti alla tv. Mio nonno fumava sigarette che confezionava da sé arrotolando il tabacco nella carta Zippo e amava bere la birra a temperatura ambien-te perché sosteneva che la bevanda fredda

avrebbe fatto male al suo cuore; mi diceva sempre che nelle gelide mattine invernali era molto importante bere bevande calde e mi ha insegnato una cosa che tutt’ora fac-cio, mettere cioè le mani attorno alla tazza colma di caffè, latte o qualsiasi altra bevan-da calda per riscaldarle. Mio nonno amava cucinare e andava a raccogliere funghi per alcune delle sue ricette che non ha mai tra-scritto e che sono andate perdute con la sua morte, sopraggiunta nel 1985. Anche mia nonna ammetteva che in cucina era più bravo di lei. Ricordo che il nonno spesso metteva a cuocere la salsa di pomodoro nel camino sul retro della casa quasi per una giornata intera. Io sono stato il suo primo nipote e mi sento ancora molto legato a lui che mi ha insegnato a diffidare delle per-sone che parlandoti non ti guardano ne-gli occhi; inoltre mi diceva sempre di non esagerare col cibo e di spostarmi dal tavo-lo non appena mi fossi sentito sazio. Non dimenticherò mai il suo amore per la fa-miglia, la sua generosità e la sua completa dedizione al lavoro. Quando tornava dalle

sue poche visite in Italia non mi raccontava nulla: soffriva molto per la lontananza dai suoi cari e dal paese natìo. Ho imparato a capire i suoi stati d’animo ed emozioni solo guardandolo in viso». Un piccolo pezzo di Italia e di Fumone sono emigrati insieme ad Eleuterio Mastromoro negli Stati Uniti. Tante, come emerge dal racconto di Larry, sono le cose che ci riportano indietro nel tempo, nell’Italia ancora rurale del dopo-guerra, a partire dalla costruzione di quella casa rigorosamente affiancata da un orto, dove poter coltivare i frutti della terra, pas-sando attraverso l’abitudine tutta ciociara di sorseggiare insieme agli amici del buon vino fatto in casa, all’ombra di un albero, giungendo infine alla tradizionale prepara-zione della conserva di pomodoro cotta sul fuoco acceso sul retro della casa.L’immigrazione torna ciclicamente a riem-pire i quotidiani italiani, ci tocca da vicino ma spesso ci lasciano del tutto indifferenti i racconti di gente che in valigia ha mes-so molta più speranza che vestiti, proprio come fece Eleuterio un centinaio di anni fa.

il Guitto - Rivista di cultura fumonese e ciociara

Direttore: Elisa Potenziani - Direttore artistico: Francesco Caponera Hanno collaborato a questo numero: Mariano D’Agostini, Giuseppe Gatta, Bruno Mastromoro, Chiara Mastromoro, Larry Mastro-moro, Stefano Petri, Federico Pica, Alessandro Potenziani.

[email protected] facebook: www.facebook.com/ilguittodifumone

La famiglia Mastromoro in una foto d’epoca

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«La pittura di Benedetto De Santis non si manifesta violenta allo sguardo dell’osserva-tore ma si fa gustare o meglio centellinare in virtù di una carica emozionale sottile sempre presente in ogni quadro. Il colore del De San-tis è sonoro, vibratile, reso da una tavolozza che gioca su accordi nobilmente armoniosi e la composizione è calcolata, equilibrata. I pia-ni sono trattati molto sinteticamente con una tendenza al geometrico».

Con queste parole la pittrice Renata Minu-to descriveva il modus pingendi di Benedet-to De Santis. Ma chi era davvero Benedetto? Dire “un” artista è riduttivo. De Santis era l’artista, il maestro d’arte e di vita, il maestro dei colo-ri, colui che ha fuso l’astrattismo, il cubismo, l’espressionismo e da essi ha creato dei mo-vimenti nuovi, completamente suoi. Di origini ciociare si laureò all’Accademia di Belle Arti di Bologna e lavorò come arti-sta in tutta Italia lasciandoci un patrimonio di opere d’arte d’avanguardia e d’inestima-bile valore, non solo economico ma soprat-

tutto affettivo. Abbiamo chiesto notizie sul suo conto a coloro che in vita lo hanno conosciuto e apprezzato come uomo e artista. Incontria-mo Giulia, che è stata la compagna di vita di Benedetto per ben tredici anni. Siamo ad Alatri, passeggiando tra i palazzi sbiaditi e severi del centro storico. La piazza principale è gremita di turisti e nonostan-te l’emozione nel ricordare Benedetto sia molta, la signora Giulia non esita a rilasciar-ci una breve intervista. «Ci siamo conosciuti a Frattocchie – ci dice – e siamo stati sposati per tredici anni. Dal nostro matrimonio sono nati due figli. Sono stati degli anni fantastici quelli trascorsi con Benedetto, non molti certo, ma sono stati comunque anni in-tensi e stracolmi di emozioni». Cos’è che ricorda di più di suo marito? «La sua bontà d’animo, l’immensa ed in-finita passione per l’arte, la creatività e il buon gusto. Benedetto amava dipingere, manovrare la realtà con i colori, creare emozioni giocando con tele e pennelli».

La pittura ha occupato un posto importan-te nella vita di Benedetto: come riusciva a conciliare passione e lavoro? «Non c’è cosa più bella di svolgere un lavoro che è anche passione. Quando la passione sposa il lavoro e si fonde con esso si entra in universi di profonda gra-titudine verso se stessi, verso gli altri e verso la società».Benedetto ha promosso la sua arte in tutta Italia. Quale dei suoi lavori artistici preferi-sce e ricorda con più amore? «Sono davvero molti. Ricordo con im-menso piacere le opere realizzate per la chiesa di S. Maria Regina Mundi a Roma. Nella chiesa dipinse un ciclo evangelico nel solco della tradizione dell’arte religiosa».Quelle realizzate da Benedetto per la chiesa di S. Maria Regina Mundi a Roma sono opere piene di personalità. Prevale ora il verde, ora il rosso, ora il blu. Il fondo risulta a primo impatto caotico, le scene si deli-neano man mano che lo sguardo si con-centra ed emerge un alone di spiritualità.

La pittura e la storia del maestro d’arte Benedetto De Santis

Viaggio nei ricordi dell’artista.

di Giuseppe Gatta

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Le tele della chiesa romana congiungono forma e contenuto e il piacere estetico si fonde delicatamente con culto e preghie-ra: lo vediamo nella Cena di Emmaus (fig. 1) e nell’Orto degli Ulivi (fig. 2), realizzate entrambe per la chiesa di S. Maria Regina Mundi. Ora incontriamo due pittrici che hanno collaborato per molto tempo con Bene-detto De Santis: Roberta Fanfarillo e Sa-brina Faustini in arte Sabrì. Rivolgiamo la stessa domanda ad entram-be: Chi era per voi Benedetto? «Di lui ricordo, con grande affetto e ri-conoscenza – racconta Roberta – i due anni di insegnamento e, successivamen-

te, fino alla sua scomparsa, la costante disponibilità nel giudizio critico, onesto e scevro da sterile buonismo ogni qual-volta sottoponessi i miei lavori artistici al suo parere.

Riconosco un pregio nel suo insegna-

mento, libero da schemi e molto affine alla mia indole, che mirava a interpre-tare ed esternare piuttosto che ripro-durre, lasciando spazio al fruitore: ca-ratteristiche senza le quali non avrei mai intrapreso e proseguito un percorso pittorico. È stato un maestro, un dono prezioso che auguro a chiunque inten-da intraprendere un percorso d’arte».«Il mio percorso artistico – racconta Sa-

brì – è stato segnato dall’incontro con il maestro d’arte Benedetto De Santis; l’averlo incontrato è stato fondamenta-le, un avvenimento che ha cambiato il corso della mia vita.Grazie al suo insegnamento infatti, ho potuto esprimere le mie potenzialità e la mia attitudine per la pittura. Diceva: «Bisogna sempre essere se stessi», per-ché la sua filosofia di vita è stata sem-pre l’autenticità e la coerenza!Era l’anno 1996. Nel suo studio, duran-te il corso di pittura da lui tenuto, era riuscito a creare con il gruppo di allie-vi un’atmosfera da vera bottega d’arte come Giotto e i suoi allievi, dove non solo si dipingeva ma si parlava anche d’arte contemporanea, di filosofia e di letteratura. Con il suo modo di dipinge-re, fatto prevalentemente di macchie di colore, unico e originale nel suo gene-re, ha sapientemente alternato nei suoi quadri colori caldi e freddi giungendo a un equilibrio eccezionale. Di lui ho un ricordo straordinario che porterò con me, sempre».

«V’è quindi, nell’artista, una motivazione “ultima”, non dell’arte per l’arte che sarebbe ben altra cosa, ma dell’artista per l’arte, in cui l’un termine, come il “serpente egizio” giustifica l’inizio dell’altro e la fine di sé» (G. L. Biagioni Gazzoli, L’Osservatore Ro-mano)

Cena di Emmaus

Orto degli ulivi

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Nel territorio di Fumone si trova uno dei bacini carsici più estesi del Lazio: il lago di Canterno.Esso è compreso fra i territori dei co-muni di Ferentino, Fiuggi, Fumone e Trivigliano, ha un’estensione di circa 1,1 km2, un perimetro di 5 km e una profondità variabile tra i 15 e i 30 m circa (CARTA GEOMORFOLOGI-CA n. 389 ANAGNI scala 1:50000). Adagiato in una depressione carsica su un altopiano al quale fanno da cornice i monti Ernici, è circondato da un am-biente quasi lunare con sponde prive di alberi di alto fusto. Ciò che vediamo oggi è il risultato di un processo geomorfologico – ossia l’e-voluzione delle caratteristiche del ter-reno e i fattori che l’hanno influenzata – non molto lontano nel tempo, tan-to che il lago di Canterno può essere considerato uno dei bacini lacustri più giovani del Lazio. Dalla lettura di una carta topografica del 1778, conservata presso il seminario di Ferentino, emerge che il lago a quel tempo non esisteva ancora, in quanto il Fosso del Diluvio, unico immissario naturale, riversava le proprie acque nel-la grotta di Bocca di Muro detta anche Sgolfo (in prossimità dell’area sotto-stante alla chiesa della Madonna della Stella). L’area oggi occupata dal lago era inte-ramente coltivata, ad eccezione della zona più depressa attorno all’inghiotti-toio, chiamato il Pertuso (che presenta una forma simile a una porta alta 2,50 m e larga 1,50 m) il quale drenava le acque del versante settentrionale di Monte Maino. Tale con-figurazione si mantenne fino al 1816, anno in cui si verificò la prima ostruzione dello Sgolfo: in quella circostanza il Fos-so del Diluvio prolungò il suo percorso superando lo stretto di Monte Corniano fino a immettere le proprie acque nella conca di Canterno, dando luogo così a un primo episodio la-custre di breve durata. Ostruitosi lo Sgolfo una seconda volta nel 1821 e non più riattivato, le acque raggiunsero il Pertuso: la progressiva chiusura di quest’ultimo, grazie anche all’opera dell’uomo, portò rapidamente alla formazione del lago (fig. 1). A partire da questo momento, a intervalli regolari, lo sfonda-mento del diaframma, lo svuotamento del bacino e il succes-sivo trasporto di materiali detritici diedero origine a un lago “intermittente”.

Le cosiddette “scomparse” del lago – della durata di pochi giorni o di parecchi mesi (le fonti sono discordanti a tal proposito) – sarebbero state dodici, di cui l’ultima nel 1925. Nel 1942 la Società Elettrica Romana prosciugò il lago per realizzare una condotta artificiale in galleria lunga circa 2 km e utilizzare, dunque, le acque lacustri per scopi idroelettrici sfruttando un salto di circa 300 m. Affinché l’inghiottitoio del Pertuso continuasse la sua funzione regolatrice del deflusso delle acque fu costruita una torre di presa, creando così una sorta di diga in mezzo al lago. Per favorire un apporto idrico maggiore fu realizzato, inoltre, un canale in galleria a pelo libero di oltre 6800 m proveniente da Guarcino. Il canale con-vogliava nel lago sia parte delle acque del fiume Cosa in certi periodi dell’anno, sia, attraverso un sistema di pompe, le acque

di Stefano Petri

Fig.1 - Asfr, Catasto Gregoriano, mappa ridotta di Monte Maino, sezione II, serie IV, s. d., [1818-1820]Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - Archivio di Stato di Frosinone.

È vietata ulteriore riproduzione.

Canterno: un lago giovaneNascita ed evoluzione di un bacino lacustre

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piovane che si accumulavano in una depressione adiacente a Canterno chiamata “Laghi Lattanzi” (il nome trae origine dal cognome della famiglia proprietaria dell’area), nel territorio di Trivigliano.Il lago di Canterno, pur restando un bacino “trasformato” per scopi idroelettrici, è diventato parte integrante della Riserva naturale regionale (L.R.29/97) istituita per preservare un’area

paesaggisticamente rilevante, ricca di flora e fauna: quest’ul-tima, in particolare, ha registrato l’arrivo di uccelli tipici di zone umide come l’airone cenerino, la gallinella d’acqua, l’ai-rone rosso, lo svasso maggiore, la folaga e il germano reale.Si è inoltre cercato di aumentarne la fruibilità creando sen-tieri attrezzati e aprendo recentemente, nel territorio del co-mune di Trivigliano, una struttura lungo la riva orientale con annessa un’area pic-nic.Ci auguriamo che la strada intrapresa per la valorizzazione e la salvaguardia dell’area tenga sempre conto di quell’equi-librio che i nostri avi conoscevano bene, avendo di questo luogo sempre il massimo rispetto.

Fonti e riferimenti bibliograficiP. Giacchi, Il lago di Canterno e la sua evoluzione, tesi di laurea, Università degli Studi di Roma, Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, Corso di laurea in scienze naturali, a.a. 1970-1971, rel. E. Lupia Palmieri.

Sitografiawww.progettodighe.itwww.riservanaturaledicanterno.it

Fig.2 - Asfr, Catasto Gregoriano, mappa ridotta di Monte Maino, sezione II, serie IV, 1827 aggiornata fino al 1861.Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - Archivio di Stato di Frosinone.

È vietata ulteriore riproduzione.

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La cucina tradizionale ciociara è antica e attuale allo stesso tempo, come un prezio-so reperto appena strappato alla polvere dei secoli. Celata, fuori dai confini provinciali, dalla fama delle celeberrime fettuccine, la cu-

cina di questa zona del Lazio meridionale custodisce invece un mosaico di sapori, di particolarità di primissimo ordine e di in-

sospettabile varietà come la molteplicità dei popoli che hanno abitato la Ciociaria.La sua matrice contadina è innegabile. Va però considerato anche un altro aspetto. Il territorio ciociaro contribuisce in modo cospicuo all’arricchimento della cucina

regionale e, d’altra parte, annovera tra i suoi piatti tradizionali alcune delle specialità comuni anche ad altri territori della re-gione, come pure di quel-li confinanti.Per fare un esempio, le varietà di zuppe del tipo “pane sotto” sono tante e meriterebbero un volu-me apposito. La minestra di pane, fatta con il pane

ormai rinsecchito di giorni, si prepara so-vrapponendo sottili fette di pane in un grosso tegame nel quale viene versata la

minestra vegetale, preparata con verdure tipiche di stagione: fagioli, ceci, cavoli, cipolle ecc. Lasciata riposare per qualche ora, viene servita appena tiepida. Questi piatti, tipici per la loro semplici-tà, erano, spesso, primi e secondi insie-me. Piatto unico e classico della cucina ciociara invernale è la polenta con spun-tature di maiale e salsicce, una pietanza che riunisce gli amici in grandi tavolate, il tutto accompagnato da un buon bic-chiere di vino rosso. Al ritorno dai campi o nei giorni di festa trascorsi insieme alla famiglia e agli amici, la polenta spesso ve-niva versata sulla spianatoia con le spun-tature che facevano bella mostra nel mez-zo: si dava il “buon appetito” e solo il più veloce o vorace riusciva ad aggiudicarsi qualche pezzo di carne in più, tracciando un sentiero nella polenta fino ad arrivare all’ambito “premio”. La ricchezza della cucina ciociara è una

Non solo fettuccineLa varietà dei primi piatti nella cucina ciociara

Minetrsa di pane “pane sotto”

di Federico Pica

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vera e propria scoperta per quanti vi si interessino. Si pensi per esempio alla va-rietà delle paste fresche e delle salse e su-ghi a base di vegetali o carni. Ce ne sono di proverbiali ma anche di sconosciute ai più, tutte di altissimo livello grazie a sem-plici segreti: la qualità, la varietà e la par-ticolarità dei prodotti e degli ingredienti.Le paste fresche della tradizione ciociara conosciute al di fuori della regione sono poche e, tutto sommato, si tratta delle meno caratteristiche. Ci riferiamo, ovviamente, alle fettucci-ne, ampiamente presenti anche in altre zone. Meno noti sono i maccheroncini di pasta all’uovo (“fini fini”) e i malta-gliati: quest’ultima varietà di pasta è stret-tamente collegata alla preparazione delle fettuccine, nel momento in cui la sfoglia viene arrotolata e quindi tagliata a strisce sottili. La parte di sfoglia rimasta, trop-po corta per ricavarne delle tagliatelle perché si tratta generalmente dei bordi, viene tagliata in modo irregolare tanto da ricavarne pezzetti di pasta del tutto

disomogenei, i maltagliati. Trattandosi per lo più delle aree perimetrali della sfo-glia, anche lo spessore è di-somogeneo: insomma sono pezzetti di pasta all’uovo che si differenziano per forma, dimensione e spessore. L’uso più classico dei maltagliati è con la minestra di fagioli, esistono comunque nume-rose ricette, per lo più pove-re, che ne prevedono l’utilizzo. Anche i semplici impasti di sola acqua e farina si trovano in varietà cospicue ma sempre in dimensioni di “sagne” che possiamo defi-nire fettuccine maltagliate: esse si prepa-rano rigorosamente a mano, utilizzando farina integrale nel caso di “sagne pelo-se”. È il taglio di questo impasto a dare la forma alle “sagne”, con un movimento preciso e veloce si incidono sulla sfoglia tagli obliqui. Infine ci sono gli “strozzapreti” ma c’è anche chi li chiama “cecapreti”. Di certo

questo particolare tipo di pasta porta già nel nome quel sentimento anticlericale che era diffuso in molte zone d’Italia e in particolare nel Frusinate, territorio che per secoli è stato sottoposto all’egemonia dello Stato Pontificio che esercitava su-gli abitanti divieti e oppressioni: si narra che le massaie augurassero ai religiosi di soffocare con questa pietanza quando ne avrebbero fatto incetta. Gli strozzapreti

sono molto semplici da preparare e tan-to gustosi da mangiare. Il loro impasto è composto di farina di grano duro, uova e acqua. Il viaggio nella cucina ciociara è sorpren-dente dal punto di vista culinario e lascia tracce di storia ad ogni boccone… Non siate mai sazi!

Sitografia:www.ciociariaturismo.itwww.giallozafferano.itwww.ricettedellaciociaria.com

Polenta con spuntature

Minestra di maltagliati e fagioli

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Un documento in possesso del Maestro Paolino Cialone redat-to intorno agli anni Sessanta da suo padre, il sig. Tullio Cialone, allora sagrestano della Collegiata Santa Maria Annunziata, men-ziona quasi tutte le cerimonie religiose che in essa si svolgevano durante l’anno. Negli anni in cui venne prodotto il documento, la vita quotidiana degli abitanti di Fumone era cadenzata dal suono delle campane. A quei tempi le cerimonie religiose ordinarie con cadenza giornaliera venivano celebrate solo in paese, nella chiesa principale, e il piazzale antistante diventava un importante punto d’incontro dove, prima dell’inizio delle funzioni religiose, si parlava del più e del meno. Di seguito si trascrive il contenuto del documento integrale.

“Sacre funzioni e Processioni che si praticano durante l’anno nella collegiata in Fumone”

1 gennaio – Canto “Veni creator spiritus” – Solenne benedizione.6 gennaio – Funzione e bacio del Bambino – Solenne benedizione.10 gennaio – Incomincia la novena del Protettore – Benedizione.13 gennaio – Anniversario del terremoto del 1915 – canto di ringraziamento del “Te Deum ”.17 gennaio – Sant’Antonio Abate – Processione all’interno della chiesa.19 gennaio – Esposizione della statua del Protettore San Sebastiano – La sera si officiano i “1° Vespri” con processione all’interno della chiesa con il busto del Santo.20 gennaio – Festa del Protettore – Processione con la statua del Santo fuori il paese – Esposizione delle Sacre Reliquie – Pomeriggio “2° Vespri”.27 gennaio – Ottava del Santo Protettore – Canto del “Te Deum” – Esposizio-ne solenne del “Santissimo” – Bacio della reliquia del Santo Cranio.2 febbraio – Benedizione della Candelora – Benedizione e imposizione olio San Biagio.3 febbraio – Domenica di quinquagesima – Lunedì e martedì successivi fun-zione detta “Carnevale Santificato”.*Tutti i venerdì di marzo e di Quaresima “Pio esercizio della Via Crucis”.16 marzo – Triduo in onore di San Giuseppe – Benedizione Eucaristica.* La Domenica delle Palme benedizione delle palme nella parrocchia di San Michele e processione alla Collegiata.*Durante la Settimana Santa tutte le sacre funzioni liturgiche.30 aprile – Incomincia il mese di maggio – Benedizione Eucaristica.8 maggio – Supplica alla Madonna di Pompei – Benedizione Eucaristica.

di Bruno Mastromoro

Le antiche cerimonie religioseCelebrazioni nella chiesa di Santa Maria Annunziata di Fumone

Fumone - Processione della Madonna del Perpetuo Soccorso

F.Caponera

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*Nei 3 giorni antecedenti l’Ascensione, rogatio e benedizione dei campi.*Giovedì prima di Pentecoste triduo solenne allo Spirito Santo – Esposizione solenne. *Giorno di Pentecoste “Comunione generale” – ore 14.00 esposizione della statua del Santo Protettore pomeriggio “1o Vespri” e processione con il busto del Santo fuori la chiesa.*Lunedì di Pentecoste festa votiva del Santo Protettore – Messa solenne – Processione solenne fuori il paese. Pomeriggio 2° vespri e tradizionale bene-dizione della palma sul sagrato della chiesa.*Lunedì successivo – ottava: canto del “Te Deum”- Benedizione solenne e bacio della reliquia.*Mese di Giugno consacrato al cuore di Gesù.*Giorno della S.S. Trinità – Processione di penitenza alla chiesa rurale della “Madonna delle Grazie”.*Festa del Corpus Domini – Processione con il “ Santissimo” all’interno del paese.*Domenica dell’ottava – Processione solenne con partecipazione del Terzo Ordine fuori dal paese e benedizione dei campi.* Giovedì dell’ottava del Corpus Domini – Processione serale dentro il paese transitando anche per Via Covoni, Via Colli, Via Del Fico e Via Milano.* 16 luglio – Festa Della Madonna del Carmine – celebrazione della messa all’altare dedicato .*1 e 2 agosto – Celebrazione del Perdono D’Assisi.*7 agosto – novena della Madonna dell’Assunta – Benedizione Eucaristica.*Mercoledì antecedente la I domenica di settembre – Triduo in onore della Madonna del Perpetuo Soccorso, con predica e benedizione solenne.*Sabato prima della festa celebrazione della I Comunione e Santa Cresima con comunione generale – a sera solenne cerimonia con l’esposizione della sacra immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso, benedizione solenne e processione con la reliquia all’interno del paese in via Regina Margherita.* I domenica di settembre – solenne festa della Madonna del Perpetuo Soc-corso, con processione solenne fuori il paese e partecipazione di tutte le asso-ciazioni. A sera funzione con esposizione solenne.*All’ottava, funzione con benedizione del Santissimo Sacramento con espo-sizione e processione all’interno della chiesa e reposizione dell’immagine.

* III domenica di settembre – festa della Madonna Addolorata, preceduta dal triduo.*Ottobre, mese del Rosario, benedizione con la pisside.*I domenica di ottobre – Supplica alla Madonna Di Pompei, benedizione san-tissima.*4 ottobre – Festa di san Francesco D’Assisi con messa cantata, preceduta dal triduo.*1° novembre – pomeriggio processione al cimitero – la settimana successiva è dedicata ai defunti con messa alle ore 5 e con la benedizione con la pisside.*III domenica di novembre – Festa in onore del Sacro Cuore di Gesù prece-duta dal triduo. La festa verrà celebrata con la messa cantata e l’esposizione Eucaristica con l’adorazione delle 40 ore conclusa con la processone all’inter-no della chiesa – l’adorazione verrà garantita a turno dall’Azione Cattolica.*29 novembre – incomincia la novena dell’Immacolata Concezione – benedi-zione con il Santissimo.*16 dicembre – incomincia la novena del Santo Natale – benedizione con il Santissimo.* 31 dicembre – Funzione di ringraziamento con “Te Deum” solenne e be-nedizione solenne.Tutti i giorni dell’anno recita del Santo Rosario e visita a Gesù Sacramentato con benedizione con la pisside.Tutti i 1o venerdì messa vespertina.

Il documento descrive i riti di ringraziamento e di intercessione che venivano celebrati nei vari mesi dell’anno, rispettando le cadenze stagionali di un mondo contadino: emblematica è la “Benedizione dei campi” celebrata tre giorni prima dell’Ascensione e “nell’ottava del Corpus Domini” ovvero otto giorni dopo la ricorrenza del Cor-pus Domini. Le ricorrenze di San Sebastiano e della Madonna Del Perpetuo Soccorso, santi protettori del paese, erano particolarmen-te sentite e venivano festeggiate, dopo una meticolosa preparazione, con molta devozione. La maggior parte degli appuntamenti religiosi descritti nel docu-mento oggi non viene più celebrata.

F.Caponera

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Fumone, feudo dei marchesi Longhi, faceva parte della provincia pontificia di Marittima e Campagna, nel territorio della diocesi di Alatri. Le strade strette e scoscese spesso impercor-ribili, le case malsane e umili, le estenuanti condizioni di vita e di lavoro, la miseria e la precarietà, resero questo territorio una zona di attiva partecipazione al brigantaggio di fine Settecento. Il 5 febbraio 1798, con l’«Atto del popolo sovrano», nasceva la Repubblica romana; po-chi giorni prima le truppe francesi avevano occupato Castel Sant’Angelo. Lo Stato pon-tificio venne diviso in otto dipartimenti tra cui quello del Circeo, con capoluogo Ana-gni, che comprendeva le antiche province di Marittima e Campagna: Fumone, non aven-do una propria municipalità, venne aggre-gata - insieme ai paesi di Vico, Collepardo e Trivigliano - a quella della vicina Alatri. In ogni paese fu innalzato, al posto della croce, l’albero della libertà, simbolo del potere del nuovo governo: a Fumone fu piantato il 14 maggio 1798 nella piazza del paese mentre alla presenza del commissario Francesco Sil-vestri, Francesco Longhi figlio del marchese Pietro, Carlo del Monte e le altre autorità costituite giuravano fedeltà alla Repubblica. Ciriaco del Monte, comandante della Guar-dia civica, era considerato dai compaesani il capo dei repubblicani, coadiuvato da Isidoro Magliocchetti, comandante della Piazza ma tranne il gruppo che ricopriva incarichi per la Repubblica, il resto degli abitanti mal sop-portava la nuova istituzione. L’imposizione di un più duro regime fiscale peggiorò le già

esasperanti condizioni di vita della popola-zione: la promulgazione di leggi, editti e no-tificazioni da applicare in tutte le città inne-scarono una reazione a catena che, a partire da Alatri e da Veroli, provocò l’insorgenza di tutti i paesi del dipartimento. Il 26 luglio 1798 insorse anche Fumone: Giovanni Lucia, Domenico Antonio, Gio-vanni del Monte, Costantino Caponera ed Epifanio Longhi bruciarono l’albero della libertà ripiantando, al suo posto, la croce; il suono delle campane del paese chiamò a raccolta la popolazione mentre una par-

te degli insorti si recò, probabilmente, sotto Ferentino ad attendere l’esercito nemico. Ai francesi furono sufficienti pochi giorni per sconfiggere i ribelli ed entro il 2 agosto ven-ne definitivamente sedata ogni resistenza: essi ripristinarono le istituzioni e i simboli della Repubblica abbattuti dalla furia popolare; istituirono, inoltre, una commissione militare per processare i partecipanti all’insorgenza.Unico arrestato e processato di Fumone fu Domenico Antonio del Monte, scarcera-to subito dopo. Giovanni Lucia, Giovanni del Monte, Costantino Caponera, Epifanio

I briganti di FumoneStorie di brigantaggio a Fumone tra il 1798 e il 1806di Elisa Potenziani

Il generale Louis Alexandre Berthier entra a Roma con le truppe dell’Armata d’Italia l’11 febbraio 1798

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Longhi e Francesco Casola si sottrassero all’arresto con la fuga ma vennero inseriti nella lista degli emigrati dal territorio della Repubblica romana. Intanto l’armata france-

se depredava la popolazione di quasi tutti i suoi beni: dagli abitanti di Fumone vennero prelevate 10 rubbia di grano e parecchi ani-mali da macello riducendo il paese alla fame. Alla fine del 1798 il re napoletano Ferdinan-do entrò a Roma e occupò la città ma in pochi giorni i francesi la riconquistarono: a queste vicende seguirono una serie di effe-ratezze commesse dagli occupanti che altro effetto non sortirono se non quello di offrire valide motivazioni agli insorgenti che inva-sero, a più riprese, il territorio della Repub-blica romana. In questa fase estremamente turbolenta, ricomparvero a Fumone tutti i protagonisti dell’insorgenza del 1798, guidati dal sacerdote Pietro Corneli e collegati con Gaetano Mammone sotto l’egida del quale i ribelli fumonesi, il 17 luglio 1799, saccheg-giarono e incendiarono Affile, uno dei pochi paesi che non si erano piegati agli insorgenti. Alla fine del settembre 1799 la Repubblica cessò di esistere tuttavia questo non bastò a garantire l’ordine: il 16 giugno 1806 il luo-gotenente generale delle province di Marit-

tima e Campagna, Francesco Tritoni, ordinò l’arresto di Domenico Antonio del Monte, Michele Bellotti, Epifanio Longhi, Giovanni del Monte e Giovanni Lucia accusandoli di «oblocuzioni sediziose e allarmanti, e pessi-me qualità»: in effetti essi erano già cono-sciuti in paese per essere stati «fieri briganti e ladri nel tempo passato dell’anarchia» e avevano, più volte, pronunciato discorsi se-diziosi. Il processo istituito contro i cinque imputati si concluse tuttavia con la loro as-soluzione. Fu il gruppo degli insorgenti a “gestire” il potere nel paese durante la fase finale, estre-mamente convulsa, della Repubblica: l’espe-rienza repubblicana, per quanto breve e con-traddittoria, aveva condizionato e stravolto la vita dell’intera comunità e aveva messo in discussione una cultura costruita su princi-pi ritenuti, fino ad allora, immodificabili; si insorse contro il cambiamento che metteva in pericolo equilibri già precari: la ribellio-ne, condotta da persone appartenenti a classi subalterne, era la disperata difesa di una cul-tura e di abitudini che assicuravano identità e rifugio, era il tentativo di difendere il popo-lo dalla disgregazione. La Repubblica aveva violato l’ordine morale, sociale ed economi-co del paese. I fatti, qui brevemente espo-sti, vedono il paese partecipare attivamente all’insorgenza in un momento delicatissimo della storia della penisola in cui andava pren-dendo corpo tanto faticosamente l’idea stes-sa di “Italia”.

Fonti e riferimenti bibliografici

G. Fiori, Storia politica del brigantaggio della Pro-vincia di Marittima e Campagna, «Il Sangue della Redenzione» II (1976), pp. 125-166.L. Tombolesi, L’insurrezione del luglio 1798 nel dipartimento del Circeo, «Latium» XV (1998), pp. 67-170

L. Topi, Fumone: un paese nell’insorgenza del dipartimento del Circeo (1798-1806), «Dimensioni e problemi della ricerca storica» I (2003), pp. 197-222.

L’albero della libertà

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Varcando Porta Romana si erge, possente, lo storico Castello di Fumone. Lì, nel cuore del centro storico – perla millenaria e olim-po di Ciociaria – nel Castello Longhi De Paolis, la storia e il tempo si fondono con leggende che, a buon diritto, possono essere ormai annoverate tra le principali attrazioni del borgo ciociaro.L’antica rocca di Fumone, di proprietà della Chiesa fino al XVI secolo, fu successiva-mente ceduta alla famiglia Longhi, attuale proprietaria del maniero. Come ogni castello che si rispetti, anche qui echeggiano presenze inquietanti. Il ros-so sangue delle pareti, le scale in pietra viva, rumori e movimenti sospetti lasciano poco spazio all’immaginazione. Fantasmi? Ov-viamente! E la presenza non sembrerebbe essere una soltanto… Una delle leggende ci riporta indietro nel tempo fino all’intrigante storia

delle sette sorelle, tutte appartenenti alla fa-miglia Longhi. Il marchese e sua moglie, Emilia Caetani, ebbero sette figlie femmine e all’ottavo par-to la donna diede alla luce il figlio maschio

tanto desiderato che fu chiamato France-sco: l’erede, alla morte dei genitori, avrebbe

ottenuto il castello e i possedimenti ad esso connes-si, estromettendo di fatto le sorelle, come prescrive-vano le usanze del periodo. Le sorelle però non si arre-sero e decisero di intervenire: som-ministrando pic-

cole ma letali dosi di arsenico, il bambino veniva avvelenato, boccone dopo boccone. La madre, in preda a un dolore lancinan-te, non solo fece ritoccare tutti i dipinti del Castello in modo che da essi trapelasse il

grave lutto che aveva colpito la famiglia ma prese una decisione ancora più inquietan-te: far imbalsamare il corpo del figlioletto deceduto, ancora conservato in una delle sale del castello. La tradizione vuole che da allora, ogni notte a mezzanotte, il fantasma della duchessa Emilia Caetani vada a cullare il piccolo Francesco. Un’altra leggenda narra della presenza infe-stante del fantasma di Gregorio VIII, l’anti-papa murato vivo nel castello: il suo corpo non è mai stato ritrovato e si dice che il suo spirito inquieto ancora vaghi tra le stanze dell’ex prigione pontificia. Leggenda o realtà? Difficile dirlo ma cer-tamente la suggestione del luogo e la sua storia offrono tutti gli elementi necessari per credere, almeno per un istante, che sia tutto vero.

I fantasmi del castelloDal bambino imbalsamato all’antipapa: storie di spiriti inquietidi Giuseppe Gatta

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A un anno dalla nascita e a pochi mesi dalla presentazione uf-ficiale, avvenuta l’8 dicembre 2014 presso la sala consiliare del Comune di Fumone, l’Associazione culturale IL GUITTO ha organizzato il suo primo evento culturale: un trekking urbano.L’iniziativa, svoltasi il lunedì di Pasquetta, ha consentito ai par-tecipanti di visitare Fumone in un modo nuovo riscoprendo e valorizzando non solo il sentiero che, anticamente, dalle pen-dici del monte conduceva al castrum ma anche il paesaggio e l’ambiente circostante. La successiva visita al borgo è avvenuta percorrendo i vicoli meno conosciuti che hanno permesso di

respirare atmosfere antiche di un migliaio di anni. L’evento è stato documentato con un reportage fotografico che troverete sulla nostra pagina facebook.L’interesse riscontrato nei partecipanti ci ha indotto a program-mare altri eventi culturali allo scopo di trasmettere a un pubbli-co più vasto le peculiarità di un paese piccolo ma sorprenden-temente ricco. Ringraziamo quanti hanno partecipato al primo appuntamento, quanti hanno collaborato alla sua organizzazione e tutti coloro che ci sostengono in vari modi e con vari mezzi.

Passo dopo passoScoprire Fumone con il trekking urbano

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Raccontare l’esistenza con tre fotografieLa prima edizione del concorso fotografico di Fumone

Quante volte non riusciamo a esprimerci se non con un’im-magine! Nient’altro. Solo un’immagine, anzi quell’immagine. Il 19 aprile l’Azione Cattolica di Fumone presso i locali del-la chiesa San Pietro Celestino V (località Pozzi), in occasione della Giornata dedicata alla famiglia, ha organizzato il primo concorso fotografico stabilendo tre temi ai quali i partecipanti dovevano attenersi: “Luce e natura”, “il Padre vi ama” e “la Memoria”.Una giuria composta da tre membri, tenendo in considerazio-

ne anche le preferenze del pubblico, ha designato i tre vinci-tori: Sofia Calicchia, Jacopo Angelucci e Rita Petrucci. Sono stati loro a immortalare nel modo migliore un’emozione, un concetto, un’intuizione: le foto parlano da sé. Per allietare la giornata si è svolta, contestualmente al con-corso fotografico, una gara di pasticceria alla quale si poteva partecipare realizzando un tiramisù: è stata coronata vincitrice Lorena Del Monte e alla fine della “competizione” i presenti hanno degustato gli oltre trenta tiramisù in gara.

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È tradizione consolidata che ogni estate la Pro Loco di Fumone, in sodalizio con il Comune, metta in programma spettacoli e iniziative che riscuotono sempre più successo da parte di residenti e turisti. La cura con la quale il Consiglio Direttivo sceglie le manifestazioni rende il programma agognato e seguito anche dagli abitanti dei paesi vicini.Verranno replicate le rinomate serate di “Cantine aperte” durante le quali, lungo un percorso prestabilito, si potranno degustare piatti tipici allietati da musiche folk. Nella serata di teatro, per promuovere e far conoscere la cultura ciociara, si darà spazio a gruppi locali. Due serate saranno dedicate al cabaret alle quali parteciperanno artisti ospiti abituali di famosi varietà. Sarà riproposta anche la settimana della “Piazzetta delle storie”: ogni sera il cantastorie Cataldo Nalli trascinerà un pubblico composto da bambini e adulti in un mondo favoloso e incantato. A fine agosto verrà replicata la manifestazione dell’ “Incontra bande”, giornata in cui bande musicali provenienti da altri paesi allieteranno il pubblico in vari angoli del centro storico e si ritroveranno, tutte insieme, per il concerto finale in piazza Guglielmo Marconi. E’ ancora da stabilire, invece, la data della IV edizione di “Fumone in fiore”, manifestazione durante la quale i balconi, i davanzali e le piazzette del paese verranno addobbati con fiori per un concorso a premi. L’evento inedito di quest’anno sarà la “Notte bianca” prevista per il 14 agosto durante la quale in tutte le piazzette di Fumone si esibiranno gruppi musicali, artisti di strada e cantastorie fino al mattino del ferragosto. Il dettaglio del programma è il seguente:

di Mariano D’Agostini

Una lunga estate… fumonese!Il programma della Pro Loco per l’estate 2015

25 LUGLIOIV EDIZIONE CANTINE APERTE

13 AGOSTO SERATA TEATRALE

14 AGOSTO NOTTE BIANCA

16 AGOSTO CABARET CON MARCO PASSIGLIA (MADE IN SUD)

22 AGOSTOIV EDIZIONE CANTINE APERTE

23 AGOSTOCABARET CON MARCO TANA

24 - 30 AGOSTOPIAZZETTA DELLE STORIE

29 AGOSTOincontra bande

FUMON-ESTATE 2015

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