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IMPORT - EXPORT

ORTOFRUTTICOLI

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3 EDITORIALE Dal vino segnali forti alle imprese

4 AGROALIMENTARE Una carta d'identità per l'extravergine 5 DIETA MEDITERRANEA Tagliare gli enti inutili per salvarla

6 SICUREZZA ALIMENTARE Nasce il marchio di qualità di produzione integrata

7 MECCANIZZAZIONE AGRICOLA Ruolo chiave per le filiere agroalimentari

8 VITIVINICOLTURA Più sostenibilità nel vigneto e in cantina con il progetto "Magis"

10 AGROALIMENTARE Ghigi, la prima e unica filiera di pasta tutta italiana

11 AGROALIMENTARE Coltura&Cultura: dai libri alla rete

12 EVENTI Coltura&Cultura presenta l'ultimo nato: la fragola

16 TALK SHOW La sicurezza alimentare non può essere garantita solo dagli agricoltori

18 RICERCA Nei geni tutti i segreti di melo e fragola

19 VITICOLTURA •Vino e tappo di sughero, connubio ideale - Piero Antinori •In un libro la storia dei vitigni dimenticati - Attilio Scienza

20 L'EXPORT DEL VINO Con i vini bianchi cresce l'export del vino italiano nel mondo

22 AVICOLTURA Benessere galline ovaiole, no alla proroga

AGRILINEA NEWS Anno IV - n. 18 - 2011 Direttore responsabile: Sauro Angelini In redazione: Francesca Siroli Grafica copertina: Attilia Bertotti Immagini: Archivio Agrilinea News; Claudio Biondi; volume La fragola, collana Coltura&Cultura Responsabile commerciale: Raffaele Pascucci Segreteria: Silvia Brigliadori Webmaster: Damiano Galassi Registrazione: Tribunale di Forlì n. 30 del 20/12/06 Stampa: Modulgrafica Forlivese - Forlì Redazione e pubblicità Piazza Modigliani, 43 47522 Pievesestina di Cesena (Forlì-Cesena) Tel. 0547.318939 - Fax 0547.417560 Email: [email protected] Internet: www.agrilineanews.com, www.agrilinea.tv, www.agrilinea.fm

Sommario

Editoriale

Università italiane che hanno capacità di risolvere problemi tecnici con una ricerca applicata sul campo, accompagnando il prodotto lungo tutta la filiera per essere poi commercializzato. Occorre formare i giovani per la gestione del prodotto attraverso piattaforme organiz-zate per la ventilazione dei prodotti agroali-mentari freschi. Giovani capaci, in grado di vendere sui mercati stranieri. Oggi nonostante le difficoltà economiche il vino italiano vede aumentare l'export. Prendiamo esempio dalle aziende organiz-zate. Siamo sempre più convinti che i pic-coli possano esistere se si mettono insieme, stando ognuno a casa propria ma uniti con un marchio italiano che li accomuni. Agrilinea può aiutarvi attraverso le sue conoscenze nel risolvere i problemi legati alla comunicazione: studio di un marchio commerciale, logo, sito internet, radio, televisione ... e perché no anche alla com-mercializzazione delle produzioni ortofrut-ticole . Oggi grazie alla rete abbiamo iniziato una collaborazione con otto Università italiane per quanto riguarda la formazione di se-condo livello, grazie alla sinergia di docenti e imprenditori del mercato agroalimentare, saranno formati gli specialisti del futuro. Tutti gli articoli proposti in questo numero sono una sintesi delle interviste televisive che potete visionare online sui siti www.agrilinea.tv e www.agrifil.it. Per quanto riguarda la formazione stiamo predisponendo un sito internet apposita-mente dedicato: Its.agroforum.eu. L'agroalimentare italiano può essere strate-gico per fare business, mettiamo insieme idee e produzioni di qualità. Il mercato mondiale saprà premiarci.

Sauro Angelini Direttore responsabile

Gente, tanta gente ha affollato le corsie del Vinitaly, che si è concluso di recente a Verona. Sono rima-sto solo due giorni,

ma devo dire che questa rassegna può davvero essere certificata come quella più rappresentativa del mondo del vino. Alcune regioni italiane hanno organiz-zato interi padiglioni dedicati alle can-tine e ai percorsi enogastronomici del proprio territorio. Come al solito i con-vegni sono stati poco trafficati, ma alcu-ni incontri, specialmente le conferenze stampa, molto interessanti. Nel corso della rassegna il nuovo mini-stro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Saverio Romano e quello del Turismo Michela Vittoria Brambilla hanno presentato un protocollo di inte-sa per una promozione congiunta tra agricoltura e turismo. Mangiare e bere, d'altronde, è uno dei principali motivi per venire a passare le vacanze in Italia e raccontare la storia di un vino signifi-ca raccontare le tradizioni di un popolo e di un territorio. A tal fine, saranno stanziati 118 milio-ni di euro per la promozione del turi-smo enogastronomico. Il primo bando prevede il finanziamento di 10 milioni di euro per la promozione delle produ-zioni nazionali agricole di eccellenza. Si è sempre voluto abbinare alla nostra Italia il territorio, anche se in molti casi i risultati non sono mai arrivati, vedi i marchi (Dop, Igp, Igt). Agrilinea si mette a disposizione per le aziende agroalimentari per creare im-portanti sinergie tra produzione e pro-mozione, avvicinando al mercato le aziende agroalimentari. Oggi noi ope-ratori della comunicazione (intesa come documenti redazionali cartacei, video, radiofonici, etc) vogliamo, insieme alle manifestazioni fieristiche, accompagna-re i produttori ai mercati. Agrilinea vuole segnalare i risultati della ricerca, mettere in contatto i produttori con le

Dal vino segnali forti alle imprese

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Agroalimentare www.agrilineanews.com

Una carta d'identità per l'extravergine Un altro colpo alla contraffazione. L'olio extravergine d'oliva ora ha la sua carta di identità: un vero e proprio documento messo appunto dal Cnr-Consiglio nazionale delle ricerche, associando la fotografia calorimetrica alle informazioni "anagrafiche", che comprendono anche le caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del prodotto. Il documento così ottenuto (denominato "Cdi Oevo") può essere esibito a ogni controllo, lungo la filie-ra di lavorazione, dall'imbottigliamen-to alla distribuzione, per attestare la conformità dell'olio all'originale. Il tutto viene raccolto e archiviato in una banca dati consultabile in rete all'indirizzo www.guidaolio.it. Si tratta di uno strumento semplice a disposizione dei produttori e del con-sumatore a garanzia della tracciabilità del prodotto. La novità è stata presen-tata al Sol, salone internazione dell' olio extravergine di qualità che si è svolto a Verona in contemporanea con Vinitaly. «Siamo riusciti a creare una carta d’identità per l’olio extra vergine di oliva, con proprietà e finalità del tutto simili al documento di iden-tità che identifica le persone fisiche — ha spiegato Elpi-dio Tombari, responsabile dell' unità operativa di Pisa dell' Istituto per i processi chimici-fisici del Cnr —. Questo obiettivo è stato raggiunto applicando agli oli la metodologia dell’ana-lisi calorimetrica. Attraver-so una serie di riscaldamen-ti e raffreddamenti si produ-ce una curva caratteristica e specifica che "fotografa" in modo univoco e inalterabile il campione analizzato. As-sociando questa fotografia alle informazioni di produ-zione e di origine, il docu-mento permette di ricono-scere senza margine di erro-re l’olio, con le sue qualità e provenienza geografica, attestando la conformità all’originale lungo tutta la filiera di lavorazione, dal-l’imbottigliamento alla di-stribuzione».

Ogni modifica della composizione chimica «provocherebbe immancabil-mente un cambiamento della "fotografia" calorimetrica, per cui qualunque caso di tentata contraffa-

zione, apposizione sul prodotto di un’etichetta falsa, sostituzione o adul-terazione del prodotto stesso, sarebbe facilmente rilevabile ripetendo l’anali-si e confrontando i risultati con quelli sulla carta d’identità che accompagna il prodotto», rileva Tombari. La calorimetria non era mai stata uti-lizzata per realizzare un test di confor-mità e di origine, applicabile facilmen-te nell’industria e nel commercio dell' olio d’oliva a costi estremamente più bassi delle tecniche finora utilizzate e a impatto ambientale zero. «Il brevet-to ha valenza anche ecologica — ha sottolineato —, la tecnica calorimetri-ca, infatti, non prevede l’utilizzo di reagenti chimici di sorta, non inquina e può essere effettuata a un costo vera-mente contenuto nel giro di qualche decina di minuti a garanzia delle pro-duzioni italiane di qualità. La fase di trasferimento tecnologico è iniziata circa un anno fa, grazie alla collabora-zione con produttori, consorzi, asso-

ciazioni di categoria e il supporto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali». Quest'ultimo ha contribui-to a finanziare in parte lo studio. Questo nuovo sistema consente inoltre di mappa-re le zone geografiche di produzione degli extraver-gine. «Dall’analisi dei ter-mogrammi dei prodotti tipici di una certa zona — ha concluso Tombari — si definisce un termogramma medio che, insieme alla composizione varietale e ai parametri chimico-fisici e organolettici di tali pro-dotti, forma la mappa di riferimento della produzio-ne di una data zona. Di-sponendo di una mappa rappresentativa delle prin-cipali zone di produzione si potrà risalire, con un test appropriato, all’origine geografica». L’obiettivo del progetto "Cdi Oevo" è di analizza-re, nell’arco di due anni, circa tremila partite di olio di provenienza certificata.

Mediterranean Diet Forum Il Forum sull'Alimentazione Mediter-ranea riconosciuta a Nairobi nel 2010 patrimonio mondiale culturale imma-teriale dall'Unesco e il ruolo che in essa riveste l'olio d'oliva, saranno i temi centrali affrontati il 6 e 7 maggio a Imperia. I paesi invitati a parteci-pare sono: Albania, Algeria, Croazia, Francia, Grecia, Israele, Libano, Marocco, Montenegro, Portogallo, Siria, Slovenia, Spagna, Tunisia e Turchia. In quell'occasione i Paesi oleicoli del Mediterraneo costituiran-no la Rete EuroMediterranea delle Città dell'Olio con il sostegno del Consiglio Oleicolo Internazionale.

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Dieta mediterranea www.agrilineanews.com

Tagliare gli enti inutili per salvarla

La pasta è un piatto base della dieta mediterranea

Dieta mediterranea, questa sconosciuta! Italiani bocciati a tavola: sei su dieci non conoscono la dieta mediterranea né la piramide alimentare, in cui sono sintetizzate le proporzioni corrette dei vari gruppi di cibi per una sana ali-mentazione. E' quanto rivela uno studio presentato al Congresso nazionale della Società italiana per la prevenzione cardiovasco-lare.

Il 16 novembre 2010 è una data storica per la dieta me-diterranea: l’Unesco l'ha dichiarata "patrimonio im-materiale dell’Umanità". Ad Agrifil un team di esper-ti, coordinati dal giornalista Luigi Caricato, ha discusso su come rendere questa "certificazione" tangibile sulle tavole italiane. Il dibat-tito è subito scaturito in una proposta molto concreta: l’istituzione di un comitato scientifico che trasformi in fatti ciò che l’Unesco ha sancito. Simbolo di questo comitato, presieduto dal Centro ricerche e nutrizione del Mediterraneo, è la cele-bre immagine di Alberto Sordi che mangia gli spa-ghetti nel film “Un america-no a Roma”. L’obiettivo: far tornare la dieta mediter-ranea davvero sulle tavole degli italiani, in un periodo di globalizzazione, crisi economica, grande distribu-zione che cerca il prezzo più basso (e quindi il pro-dotto meno “tipico”), agri-coltura in perenne “perdita” e di uno stile vita che porta spesso a pranzare con un panino veloce al bar. L’incontro è partito subito con una provocazione: e se il prestigioso riconoscimen-to dell’Unesco non fosse altro che il canto del cigno di un modo di mangiare che è anche stile di vita e cultu-ra? Se la vera dieta mediter-ranea non fosse ormai un ricordo sulle tavole degli italiani o una brutta copia dell’originale? Ne hanno convenuto tutti i partecipan-ti che però hanno proposto soluzioni e contromisure concrete. Una di queste: eliminare tutti gli enti inutili in Italia e destinare quei fondi all’agricoltura. Ad aprire il dibattito è stato Enrico Lupi, presidente dell'associazione nazionale Città dell’Olio, realtà im-

portante che raccoglie 355 Comuni distribuiti in tutta Italia, paese che sta perden-do la “cultura” dell’olio d’oliva extravergine, causa anche la crisi che fa sceglie-re oli extravergini a costi ridicoli. Lupi ha richiamato alla coesione dei popoli del Mediterraneo «allo scontro tra la cultura del burro e quella dell’olio. E’ l’olio d’oliva che trascina tutta la dieta mediterranea». Per Nicola Manfredelli, presidente del Centro ricer-che e nutrizione del Medi-terraneo, «dobbiamo lavora-re per dare tangibilità a quanto sancito dall’Unesco. Con questa certificazione gli scenari possono cambia-re significativamente, do-

vremmo coniugare il locale con il globale, la tradizione con la competitività». Il primo passo è la costitu-zione di un comitato scien-tifico e culturale, la prima riunione è stata proprio la tavola rotonda ad Agrifil, il cui compito è quello di por-tare avanti ricerca scientifi-ca, tradizione e mercato. «La globalizzazione serve a sfamare il mondo – afferma Massimo Cocchi, sempre del Centro ricerche del Me-diterraneo – ma fa perdere l’identità dei prodotti locali e quindi della dieta mediter-ranea. C’è troppa confusio-ne tra il prodotto tipico e quello che invece non lo è. Bisogna creare forti linee di demarcazione». La Dop

(Denominazione di origine protetta) non basta. E’ la grande distribuzione che deve fare una seria riflessio-ne su ciò che offre. Inoltre, fare chiarezza su tutta la disinformazione riguardan-te proprio la dieta mediter-ranea. «La nostra ricerca scientifica – continua Coc-chi – è iniziata dieci anni fa, in Basilicata, regione incon-taminata ricca di nutrienti strategici della nostra dieta. Non a caso in quella regio-ne l’incidenza di malattie cardiovascolari e di cancro è leggermente inferiore alla media italiana. La dieta mediterranea non è un pa-trimonio immateriale ma è fatta di prodotti “concreti” che nascono dalla terra. Devono essere classificati: se il pomodoro è un alimen-to della dieta mediterranea, il suo “fratello” cinese non può far parte della nostra dieta». Franco Verracina, presi-dente nazionale di Copagri, ha rincarato la dose. «C’è un made in Italy che si fa senza un prodotto italiano? Bisogna eliminarlo — ha detto —. Vogliamo garanti-re ai produttori un reddito per poter sopravvivere. I tagli che l’Unione europea vuole applicare al settore non sono possibili e pensa-bili. I soldi si possono trova-re» Come? Verracina sugge-risce di tagliare gli enti inu-tili, che «oggi sono 7.500, abbiamo comunità montane sul mare, consigli di ammi-nistrazione con un presiden-te e un dipendente, 400mila dipendenti pubblici in enti che non servono. Se chiu-diamo solo il 30 per cento di questi avremo un rispar-mio di 4,5 miliardi da rinve-stire nella ricerca e nel setto-re agricolo. Se Dalla Valle ristruttura il Colosseo, noi possiamo ristrutturare l’Ita-lia».

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Sicurezza alimentare www.agrilineanews.com

Nasce il marchio di qualità di produzione integrata Per i consumatori italiani una garan-zia in più di sicurezza e tutela alimen-tare dei prodotti ortofrutticoli made in Italy. A breve nascerà infatti il mar-chio che identificherà il Sistema di qualità nazionale di produzione inte-grata, basato sull'utilizzo di tutti i mezzi produttivi e di difesa delle pro-duzioni agricole dalle avversità, nel pieno rispetto dei principi ecologici, tossicologici ed economici. Il marchio di produzione integrata aggiunge quindi un nuovo e importante tassello a supporto della garanzia delle produ-zioni ortofrutticole italiane, fronteg-giando i tentativi di contraffazione e fornendo al consumatore maggiore tutela anche in termini di salute e igie-ne alimentare. L'importanza di un marchio nazionale che identifichi la produzione integrata è emersa anche da una recente ricerca condotta da Ismea per conto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e fore-stali, sul rapporto tra i consumatori e produzione integrata. La maggior parte dei consumatori ha dichiarato infatti di apprezzare il valore dell'ap-plicazione di un marchio che potrebbe guidare la scelta finale dei prodotti ortofrutticoli. Per celebrare la recente istituzione del Sistema di qualità nazionale di produ-zione integrata, le Giornate Fitopato-logiche - punto di riferimento nazio-nale per il confronto e l'aggiornamen-to delle tecniche e dei mezzi di difesa per la prevenzione e il contenimento delle avversità delle piante - hanno organizzato il convegno "I valori del-l'ortofrutta italiana. La produzione inte-grata e la sicurezza alimentare", che si è tenuto a Rimini nell'ambito del salone della filiera agroalimentare Agrifil. L'incontro, moderato dalla giornalista Rai Silvia Vaccarezza, ha cercato di fornire risposte chiare e concrete sul valore delle produzioni agroalimentari italiane, approfondendo le tematiche relative all'uso corretto dei mezzi tec-nici indispensabili per la salvaguardia delle colture dalle avversità biotiche. «Le tecniche di produzione integrata sono da tempo adottate in Italia attra-verso un coordinamento interregiona-le — è intervenuto per il Ministero delle Politiche agricole Giuseppe Bla-si —. Il Sistema di qualità nazionale di produzione integrata, recentemente

istituito dalla legge sull'etichettatura e la qualità dei prodotti alimentari, con-sentirà all'Italia di anticipare ulterior-mente i provvedimenti comunitari che introdurranno l'obbligo della difesa integrata a partire dal gennaio 2014». La direttiva, incentrata sulla necessità di trovare un ambito di utilizzo di fitofarmaci maggiormente ecososteni-bile, impone a partire dal 2014 alcuni obblighi in relazione ai criteri generali della difesa integrata. Nello specifico, prevede un monitoraggio dei dati me-teorologici e delle avversità delle col-tura, l'elaborazione dei dati di monito-raggio per i servizi di preavviso e av-vertimento, il coordinamento dell'assi-stenza tecnica e il controllo sui criteri obbligatori: si tratta in sostanza di quegli obblighi che costituiscono la

base del processo di produzione inte-grata. «Tale sistema riveste un impor-tante ruolo — ha proseguito — fina-lizzato a garantire una qualità del pro-dotto significativamente superiore in termini di sanità pubblica, salute delle piante, benessere degli animali e tute-la ambientale». Aderire al sistema «vorrà dire adottare la modalità di produzione integrata, volta a tutelare ulteriormente la salute dei consumato-ri e l'ambiente, grazie a un uso soste-nibile degli agrofarmaci, sottoponen-dosi alle verifiche da parte di un orga-nismo di controllo autorizzato, che certificherà le produzioni e ne permet-terà la commercializzazione, facendo uso dell'apposito distintivo del Siste-ma di qualità nazionale di produzione integrata», ha ribadito Blasi.

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Meccanizzazione agricola www.agrilineanews.com

Ruolo chiave per le filiere agroalimentari L'evoluzione necessaria all'agricoltu-ra? L'agromeccanico. E' questo il mes-saggio emerso dal convegno "La mec-canizzazione nelle filiere agroalimentari. La professionalità dell'agromeccanico", che si è tenuto nel corso di Agrifil. «Parlare della filiera del futuro senza includervi come parte integrante gli agromeccanici è come dipingere un lago senza l'acqua», ha evidenziato il presidente di Unima-Unione naziona-le imprese di meccanizzazione agrico-la Aproniano Tassinari. L'incontro aveva lo scopo di inquadrare la pro-fessionalità del contoterzista nell'am-bito delle filiere in un'ottica di certifi-cabilità e salvaguardia dell'am-biente e della salute dei consumatori. Una categoria che in Italia interviene per il 70 per cento delle operazioni colturali meccanizzate, con picchi del 95 per cento per la raccolta dei cereali, che in Italia è composta da almeno 8mila imprese ma che non ha ancora avuto un riconoscimento adeguato. A un inquadramento della categoria ci sta pensando Unima che ha di re-cente presentato alle istituzioni nazio-nali e comunitarie una proposta di legge per la qualificazione incentrata sulla certificazione volontaria delle imprese che desiderino competere sul mercato con la qualifica di agromec-canici professionali. L'Italia, insieme alla Polonia, è l'unico paese in Europa a non avere ancora una legge in mate-ria. Il riconoscimento legislativo di questa figura diviene fondamentale anche nella lotta della categoria con-tro la concorrenza sleale e nella possi-bilità di vedere riconosciuto il proprio diritto all'accesso di alcuni aiuti eco-nomici finora esclusiva prerogativa dell'agricoltore. «Se vogliamo parlare di agricoltura del futuro in un'ottica di filiera — ha proseguito il presidente di Unima — dobbiamo parlare di semi-na, raccolta, lavorazione e stoccaggio. La qualità non può essere tracciata solo all'uscita dell'industria di trasfor-mazione ma deve iniziare dal campo e dal seme. Considerando i costi at-tuali delle macchine e i relativi tempi di ammortamento, di fatto la catego-ria degli agromeccanici è quella che consente a gran parte degli agricoltori di rimanere competitivi». Nella filiera agroalimentare del futuro, l'agromec-canico potrebbe dunque ricoprire il

ruolo di certificatore delle lavorazioni effettuate in campo. Dal convegno è emerso come la cate-goria agromeccanica abbia già inizia-to degli esperimenti di integrazione con la filiera con risultati incoraggian-ti. Roberto Guidotti, coordinatore dei direttori di Unima, ha decritto l'agro-meccanico come un «soggetto in con-tinua evoluzione, in cui la capacità di sfruttare al massimo le tecnologie a sua disposizione e la conoscenza di ogni aspetto dei processi colturali so-no incrementati da un continuo per-corso formativo, portato avanti attra-verso una frequente interazione tra imprenditori agromeccanici, associa-zioni territoriali o nazionali e produt-

tori di macchine e fitofarmaci». Altra questione su cui da tempo l'Uni-ma pone l'accento è quella dei contri-buti. «Dato il ruolo che gli agromecca-nici svolgono nel settore primario, non si può continuare a negare loro l'accesso ai Piani di sviluppo rurale», ha rilevato Guidotti, sostenendo la necessità di rivedere radicalmente tale politica di finanziamento che «non incide significativamente sul sistema produttivo, in quanto i due terzi delle risorse vengono destinate alle misure agroambientali e tolte al reale sviluppo, con i fondi negati agli agromeccanici e dispersi, attraverso la loro destinazione ai piccoli agricolto-ri».

Il 95 per cento delle operazioni di raccolta cereali è effettuata dagli agromeccanici

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Vitivinicoltura

Più sostenibilità nel vigneto e in Un vino non solo buono ma anche sostenibile. Per la prima volta, produt-tori di vino, comunità scientifica, eno-logi, associazioni e industria lavorano insieme per migliorare e garantire la sicurezza e la sostenibilità del vino italiano. Per andare incontro nel mo-do più concreto alle richieste dei con-sumatori. Per differenziare la produ-zione italiana in base a parametri og-gettivi. Ma anche per razionalizzare l’attività delle aziende, quindi renderle più competitive. E' l'obiettivo del pro-getto "Magis" (parola latina che vuole dire di più), promosso dall'Unione italiana vini e dall'Università di Mila-no, con la collaborazione di Associa-zione enologi ed enotecnici italiani (Assoenologi) e di Bayer CropScien-ce, con il contributo di Ispa-Cnr di Bari, del Deiafa dell'Università di To-rino, del Deistaf dell'Università di Firenze, dei maggiori esperti nella protezione delle colture appartenenti al mondo accademico e della ricerca e di Image Line. "Magis" trasferisce nella pratica le risoluzioni che l'Oiv-Organizzazione internazionale della vigna e del vino, ha tracciato in questi anni per produr-re in modo ecocompatibile, adottando tecniche colturali che oltre alla qualità garantiscano la salubrità delle uve, il rispetto dell'equilibrio vegeto-produttivo delle piante, la tutela del-l'ambiente e la salute dell'uomo. A tal

fine sta creando un protocollo operati-vo valido per mettere in pratica i con-cetti della viticoltura plurisostenibile: un documento di carattere pratico mutuato dalla medicina, dove ha avu-to un eccezionale successo in termini di miglioramento della qualità dell’as-sistenza, che per la prima volta mette a disposizione di ogni operatore le migliori competenze esistenti. Una novità assoluta non solo nel panora-

Un momento della presentazione dei risultati del progetto "Magis", che si

è svolta nel corso di Agrifil, salone della filiera agroalimentare, a Rimini. Sotto i rappresentanti delle 73 azien-de vitivinicole premiati con i "Magis

ad honorem". Il riconoscimento è stato loro consegnato dal direttore

generale dell'Oiv Federico Castellucci.

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cantina con il progetto "Magis" ma vitivinicolo, ma in quello agroali-mentare. Proprio come il protocollo di cura in medicina, il protocollo di sostenibilità viene costantemente ag-giornato per valutare e accogliere tutte le novità via via fornite dalla ricerca e dall’esperienza delle migliori aziende e dei migliori enologi, e poi messo a disposizione delle aziende partecipan-ti. I risultati della sperimentazione nelle

73 aziende, selezionate in tutto il Pae-se tra cui figurano le eccellenze della vitivinicoltura italiana, sono stati pre-sentati ufficialmente nel corso dell' evento "In Vino Magis", nell'ambito di Agrifil, il 22 febbraio scorso. Imponen-te la mole dei dati raccolti, circa 70-mila, inseriti all'interno di una piatta-forma informatica che consente all'im-presa di seguire in tempo reale i pro-cessi in campo e di confrontare gli andamenti produttivi dell'insieme dei partecipanti. Analizzando l'evoluzione del rapporto fra produttore e consumatore, Attilio Scienza dell'Università di Milano, uno dei massimi esperti mondiali di viticoltura, ha spiegato che il consu-matore è oggi il «vero motore dell'in-novazione» e chiede «localismo, infor-mazioni, salute, ambiente e responsa-bilità del produttore». Con questo progetto si è voluto «anticipare un desiderio che è ormai percepibile in tutti i campi: tutto viene comunicato all'insegna dell'ecocompatibilità e del rispetto dell'ambiente». Il professor Scienza ha spiegato che è forte l'esi-genza di colmare la faglia tra il mon-do della ricerca, della produzione e del consumatore, che spesso non cre-de nelle opportunità offerte dal pro-gresso scientifico. «E' un punto crucia-le — ha sottolineato — perché il con-sumatore non si fida della scienza: la vede come un alleato delle multina-

zionali e del produttore che vuole a tutti i costi intensificare la propria produzione e fare profitto alle sue spalle». Un mito da sfatare con un'in-formazione più completa e affidabile. «Il consumatore deve sapere che non è possibile fare un'agricoltura da "presepio" — ha aggiunto —. Per un'agricoltura compatibile nel mondo, è necessario fare in modo che i ritro-vati della ricerca possano rapidamente andare a vantaggio della produzione nel rispetto dell'ambiente e del produt-tore». In questo contesto si collocata il progetto "Magis", che «vuole miglio-rare l'efficienza economica della filie-ra della vite-vino nel rispetto delle risorse ambientali attraverso i progres-si sviluppati dalla ricerca scientifica», ha concluso Scienza. I vantaggi sono dunque un minor impatto ambientale e sicurezza sul consumatore, abbat-tendo i costi e addizionando un forte contenuto innovativo. Tutto questo senza andare a scapito della qualità, ma consolidando la consapevolezza dei prodotti di perseguire obiettivi non solo odierni ma anche in linea con quelli che daranno gli stili di vita. Nel corso dell'evento sono stati conse-gnati dal direttore generale dell'Oiv Federico Castellucci i "Magis ad honorem": non un semplice "pezzo di carta" bensì la possibilità di trasforma-re in valore la partecipazione dell' azienda vitivinicola a "Magis".

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Agroalimentare

Ghigi, la prima e unica filiera di pasta tutta italiana

Pastificio Ghigi, una storia che dura dal 1870 La produzione della pasta di semola di grano duro Ghigi inizia nel lontano 1870 a Morciano di Romagna, paese dell’entroterra di Rimini al centro della Valconca, quando il fornaio e commerciante Nicola Ghigi, per far fronte ad un mercato loca-le in espansione, fondò una piccola fabbrica artigianale. In poco tempo il mercato si allargò a tutta la Romagna e da piccola bottega artigianale il pastificio si tra-sformò in un industria che espanse la sua attività grazie anche alla costruzione di un mulino e un mangimificio che, utilizzando i sottoprodotti di lavorazione, andò a completare il ciclo produttivo integrato della Ghigi. La crescita fu continua fino agli anni 60 quando il pastificio arrivò ad avere circa 400 dipendenti e a produrre giornalmente 220 quintali di pasta, un record per quell'epoca. Premiato per l’alta qualità della sua pasta, in particolare per quella all’uovo, e grazie a numerose iniziative promozionali, fra cui la collaborazione con Fausto Coppi, il pastificio Ghigi raggiunse il suo massimo splendore in quegli anni divenendo il terzo d’Ita-lia dopo Barilla e Buitoni. Ma con l'uscita della famiglia Ghigi dalla proprietà aziendale, il pastificio negli ultimi vent'anni e fino al 2007, pur mantenendo un' elevata tradizione nel fare un'ottima pasta, non è riuscito ad essere competitivo in un mercato sempre più aggressivo e il vecchio management ha dovuto gettare la spugna.

La prima e unica filiera di pasta tutta italiana in mano agli agricoltori. «Il progetto "Ghigi" presenta nel panora-ma imprenditoriale italiano della pa-sta caratteristiche assolutamente nuo-ve. Il controllo della filiera da parte degli agricoltori, per tramite dei Con-sorzi agrari, rappresenta un modello economico unico e rivela la grande attenzione rivolta al territorio italiano, alla qualità delle materie prime, alla sicurezza dell'attività produttiva», ha dichiarato Filippo Tramonti, presi-dente di Ghigi Industria Agroalimen-tare e del Consorzio agrario di Forlì-Cesena e Rimini, nel corso della pre-sentazione alla fiera Agrifil a Rimini. Alla base del progetto, la filosofia del "chilometro zero": le materie prime, di provenienza esclusivamente locale, vengono coltivate, lavorate, confezio-nate e distribuite negli stessi stabili-menti di produzione. «Un progetto di filiera che parte dalla campagna e arri-va fino al consumatore, dalla semina del grano alla distribuzione del pro-dotto finale — ha sottolineato Tra-monti —. Ci differenziamo dagli altri in quanto garantiamo un prodotto fatto con il 100 per cento di grano italiano proveniente da Emilia-Romagna, Marche e Toscana, una filiera Ogm free e il ridotto impatto ambientale garanzie all'utilizzo di impianti di cogerazione a olio vegeta-

le». Nato grazie alla cordata d'investitori che ha rilevato strutture produttive, marchio e attività dello storico pastifi-cio, il progetto "Ghigi" è oggi gestito da soggetti agricoli e industriali. I pri-mi, rappresentati dal capofila del pro-getto, il Consorzio agrario di Forlì-Cesena e Rimini, e da Consorzi agrari aderenti a Consorzi agrari d'Italia, figurano nel piano come un'irrinun-ciabile garanzia di qualità e controllo dell'intera filiera produttiva. Il pastifi-cio salernitano Antonio Amato & C. Molini e Pastifici, realtà economica di assoluto rilievo nel panorama italiano, è invece la componente industriale del piano. Non mancano grandi aspettati-ve. «Quest'anno partiamo con una produzione di 1.800 ettari per arrivare a regime a 14mila ettari di contratti di coltivazione — ha proseguito —. Ad oggi siamo presenti in un centinaio di negozi e siglato un paio di contratti con la grande distribuzione organizza-ta, che ha dimostrato grande attenzio-ne al nostro progetto. Inoltre per e-sportare il vero made in Italy, abbiamo costituito la società "Ghigi food Usa" che comprende oltre alla pasta anche il pomo-doro». Il comparto industriale del pastificio Ghigi si trova nel comune di San Cle-mente (in provincia di Rimini): il pro-getto della prima "Food Valley" italia-

na si estende su una superficie di circa 100mila metri quadrati e prevede un centro di stoccaggio con capacità complessiva di circa 150mila quintali di cereali, 14mila metri quadrati desti-nati al nuovo pastificio, per una pro-duzione di circa 500mila quintali di pasta (entro i prossimi cinque anni), un nuovo mulino per la produzione diretta anche delle semole e la realiz-zazione di uno spaccio aziendale per la commercializzazione diretta dei prodotti e per la promozione di pro-dotti alimentari del territorio. «Non c'è dubbio — ha dichiarato l'as-sessore all'Agricoltura dell'Emilia-Romagna Tiberio Rabboni — che il futuro sia l'agricoltura contrattualizza-ta, che dia valori di riferimento al mondo agricolo e non lo collochi più in una posizione subalterna nei rap-porti con gli altri soggetti della filie-ra». Rabboni ha ricordato che la Re-gione guarda con grande interesse ai progetti di filiera, destinando loro una parte consistente dei finanziamenti del Piano di sviluppo rurale. «Ad oggi sono stati 67 i progetti finanziati con 106 milioni di euro per un investimen-to complessivo di 280 milioni e 8.450 imprenditori coinvolti — ha detto —. Esperienza che vorremo ripetere in occasione del bando per il lattiero-caseario, dove ci sono in ballo 17 mi-lioni di euro».

Il presidente di Ghigi Industria Alimentare e del Consorzio agrario di Forlì-Cesena e Rimini Filippo Tramonti, con in mano alcuni pacchi di pasta

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www.agrilineanews.com Coltura&Cultura: dai libri alla rete

I libri della collana Coltura&Cultura, realizzata da Bayer CropScience ed edita da Art. Ognuno è lega-to a una produzione agroalimentare italiana. Già pubblicati: Il grano, Il pero, La vite e il vino, Il mais, Il pesco, Il melo, Il riso, L'ulivo e l'olio, Il carciofo e il cardo, L'uva da tavola, Il pomodoro, La fragola. In preparazione: La patata, Le insalate, Gli agrumi, Il susino e l'albicocco, Il ciliegio, La frutta secca, Il cocomero e il melone, L'orzo e la birra.. Per informazioni: www.colturaecultura.it.

Agricoltura vera, agricoltura immaginata Da molto tempo ormai vediamo erodersi, anno dopo anno, i margini della vitalità economica della nostra agricoltura. Se que-sta erosione dovesse continuare, non è diffi-cile comprendere che la stessa produzione comincerà a risentirne, e che rischiano di venir meno anche le basi della nostra indu-stria agroalimentare di trasformazione. È difficile che questa potrà continuare a dirsi “italiana” se le sue materie prime – come in parte sta già avvenendo – non lo saranno più. Il nostro Paese continua a vantare molte delle migliori produzioni alimentari del mondo, ma queste (…) realizzano sempre più raramente dei profitti. Come altri settori della nostra economia, infatti, il mondo agricolo e agroalimentare italiano non sta affrontando come dovrebbe le sfide lanciate dalla globalizzazione dei mercati, e perde competitività. Allo stesso tempo, fatica a coglierne le opportunità, come quella di esportare i nostri modelli alimentari nei nuovi paesi emergenti.

Il settore agricolo nazionale, infatti, è in larga misura ancora strutturato come ser-viva esserlo qualche decennio fa, quando poteva contare anche su ricche sovvenzioni comunitarie. Ha poi accumulato impor-tanti sacche di inefficienza, frutto anche di una politica che non ha voluto essere selet-tiva (…). Non aiuta in questo senso una certa cultu-ra – diffusa fra i cittadini come nei media e nella classe dirigente – che vede nelle cam-pagne dei “musei” da preservare in una dimensione statica e a-storica, in realtà mai esistita. Avviene così che l’agricoltura immaginata da chi non la vive tutti i gior-ni diventa sempre più distante da quella vera. E che ci sia qualcosa di fondamental-mente sbagliato nel nostro modo di produr-re ciò che mangiamo sembra diventato una di quelle “verità” comunemente accettate e raramente messe in discussione che alli-gnano numerose nei nostri discorsi pubbli-ci. Rischiamo così di cristallizzare le pro-duzioni, ingabbiandole in disciplinari troppo rigidi che rischiano di perdere il

contatto con la realtà tecnica e dei mercati, oltre a quello più generale di prendere deci-sioni sbagliate. Da sempre, infatti, una coltura non cresce se non con l’aiuto di una cultura che ne sa interpretare la tradizione per tenere un fisiologico ritmo di rinnovamento e restare al passo coi tempi, cosa che oggi si può e si deve fare servendosi del dato scientifico (…). Non ci nascondiamo ... deve essere lo stesso mondo della ricerca a doversi rimettere al centro, abbattendo gli steccati che ancora dividono fra loro i settori disciplinari e gli specialisti, e soprattutto tornando a occu-parsi concretamente dei problemi di chi produce. Ma il problema è più generale. Troppo poco ha fatto finora tutto il mondo agroalimentare per comunicare che cos’è e deve essere l’agricoltura “vera”, cioè pro-duttrice di cibo, sicurezza, ambiente e salu-te (…).

Attilio Scienza, Carlo Cannella, Dario Casati, Renzo Angelini

Il network di Coltu-ra&Cultura, che conta oltre 600 esperti e 12 volumi mo-nografici legati a una produ-zione agricola italiana, ha presentato nel corso di Agri-fil il Manifesto dell'agricoltura del futuro. L'ideatore della collana, Renzo Angelini di Bayer CropScience, ha sot-tolineato come l’impegno della ricerca abbia un preci-so obiettivo, quello di «lavorare per creare, attra-verso l’innovazione e lo sviluppo, una condizione ottimale per una vita sociale migliore». La collana di libri è nata per riunire le migliori compe-tenze nella ricerca con l' esperienza di chi le applica concretamente, per comuni-care le conoscenze e i valori dell'agricoltura italiana, non solo all'interno del settore ma soprattutto verso i me-dia e i consumatori. Tra i firmatari del documento (di cui pubblichiamo una parte) figura anche il celebre nu-trizionista Carlo Cannella, scomparso di recente.

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Eventi

Coltura&Cultura presentaEsperti della comunità scientifica, produttori, storici, nutr

Fragola: per i latini "fragranza", per Shakespeare il cibo delle fate, tanto che le dedicò un verso. E’ con un evento dedicato a questo dolce frutto che Agrifil, il primo salone dedicato alla filiera agroalimentare che si è svolto in contemporanea con Sapore tasting experience al quartiere fieristico di Rimini, ha chiuso i battenti il 22 febbraio scorso. Un convegno. "Valori e valore della fragola", incentrato sul volume La fragola, l’ultimo edito da Art per Coltura&Cultura, collana edito-riale di Bayer CropScience. Esperti della comunità scientifica, ricercatori, produttori, comunicatori, storici, nu-trizionisti, si sono avvicendati sul pal-co, allestito con una suggestiva sceno-grafia, per spiegare le caratteristiche di questo frutto che è soprattutto un set-tore agricolo che vede l’Italia fra i maggiori Paesi europei produttori, ma anche una sempre maggiore competi-tività a livello internazionale. Nel cor-so dell'incontro sono stati affrontati vari temi, dalle specifiche realtà terri-toriali italiane al mercato globale, dai suoi valori nutrizionali (è in cima alla lista dei frutti che contrastano l’invec-chiamento) alle suggestioni che da sempre ha portato nelle culture. «A livello mondiale la produzione di fragole è aumentata costantemente anche se in Europa, il principale baci-no produttivo, il trend nell'ultima de-cade è pressoché stabile — ha analiz-zato Walther Faedi, coordinatore scientifico del volume e uno dei mas-simi esperti del settore —. Fra i Paesi in cui si registra il maggior incremen-to produttivo si trovano quelli con il minor costo unitario della manodope-ra e quelli caratterizzati da inverni a clima più mite. In molti Paesi, fra cui l'Italia, la coltura della fragola rappre-senta un'importante fonte di reddito soprattutto per piccole e medie azien-de a conduzione familiare e inoltre svolge un ruolo con forti riflessi occu-pazionali e sociali». Faedi ha spiegato come da diversi anni si stia mirando sempre più alla destagionalizzazione del consumo di questo prodotto, per cui «si assiste non solo all'intensifica-zione delle produzioni precoci o di quelle più tardive di fine primavera, ma anche di quelle "fuori stagione"

estivo-autunnali ottenibili sia con nuo-vi genotipi rifiorenti sia con sempre più sofisticate tecniche colturali che interessano anche il fuori suolo». Fragola, questa sconosciuta Piccole e delicate, un lusso quasi sco-nosciuto fino a qualche generazione fa, le fragole sono oggi alla portata di tutti. Nonostante costino mediamente il doppio rispetto agli altri frutti, sono così buone che l'80% delle famiglie le compra almeno una volta all’anno, per un consumo complessivo che toc-ca le 73.500 tonnellate. Tre italiani su dieci si dichiarano infatti “ghiotti” di fragole e le mangiano ogni volta che è possibile, altri due le mangiano più volte a settimana. A quasi tutti piacciono dolci o molto dolci. Forse la tentazione al cospetto di un cestino di fragole è alta per col-pa di quel rosso scarlatto che sembra dire “sono rossa, buona e dolce”, ma spesso il sapore ci delude, così quasi un italiano su due le condisce con

La fragola è la dodicesima uscita della collana Coltura&Cultura. Il volume, curato da 64 autori con il coordinamento scientifico di Walther Faedi del CRA-FRF di Forlì, approfondi-sce tutti gli aspetti fondamentali della pianta, dalla botanica alle tecniche di coltivazione, dall’alimentazione alle possibili utilizzazioni, ma anche i meno conosciuti ruoli in fitoterapia e in medi-cina, nella storia e nell’arte. Pagine 548, illustrazioni 1.195, prezzo 64 euro. www.colturaecultura.it

In primo piano la nuova varietà Pir 5, in produzione nei fragoleti della Basilicata del Gruppo Piraccin

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a l'ultimo nato: la fragola rizionisti e comunicatori a convegno nel corso di "Agrifil"

zucchero e limone. Per noi una fragola è una fragola. Non capiamo perché i sapori, le for-me e i colori delle fragole cambino così tanto. Ci vengono in mente chissà quali sospetti quando le troviamo al mercato fuori dal loro periodo “canonico”, la tarda primavera. O se ci sembrano troppo grosse. In realtà, la fragola la conosciamo davvero po-chissimo. L'invenzione della fragola Per i botanici, la fragolina di bosco si chiama Fragaria vesca, dal latino fragus (fragranza) e vescus (molle, di consi-stenza). Proprio perché tanto piccola e delicata, anche se profumatissima, la fragolina non ha le carte in regola per conquistare il mercato ortofrutticolo. Quella che oggi chiamiamo fragola non esiste infatti fino a due secoli e mezzo fa, quando qualcuno finalmen-te la “inventa”. Ma come si fa a in-ventare un frutto? Nel 1712 Amédée François Frézier, ingegnere e ufficiale

sua creatura Fragaria x ananassa – no-me che conserva tuttora – perché ha un gradevole sapore di ananas. Nella sua opera Histoire Naturelle des fraisiers, Duchesne ricostruisce anche un albe-ro genealogico delle specie di fragola da lui utilizzate per gli incroci, antici-pando di quasi un secolo la teoria del-l’evoluzione biologica di Darwin. Riflettendo sulla distanza che separa il Cile dal Nord America, e quella tra le Americhe e l'Europa, appare chiaro che sarebbe stato impossibile per quel-le due specie di fragole mettere in co-mune i rispettivi patrimoni genetici. Possiamo allora definire la fragola, uno dei frutti più buoni e desiderati sulla Terra, quasi un "Ogm". Il secon-do della storia dopo il grano. Campionessa antinvecchiamento Lo scrittore, filosofo e scienziato fran-cese Bernard le Bovier de Fontenelle (1657-1757) campò cent'anni esatti: un fatto straordinario per l’epoca. Al-trettanto straordinaria, però, era la sua passione per le fragole. E oggi sappia-mo che forse non è stata pura coinci-denza. La fragola è infatti particolar-mente ricca di sostanze antiossidanti, come olii essenziali, tannini e flavoni. Oltre a conferirle colore e profumo caratteristici, queste sostanze sono in grado di contrastare l'azione dei radi-cali liberi, molecole altamente reattive coinvolte in molti meccanismi di de-generazione e invecchiamento dell'or-ganismo al livello più fondamentale, quello genetico e cellulare. Tutti i frutti e gli ortaggi contengono sostanze con proprietà antiossidanti, ma fare un paragone sulla base del contenuto di ciascuna di esse è diffici-le perché queste sostanze interagisco-no fra loro in modi che non conoscia-mo ancora bene. Per facilitare la com-parazione tra diversi alimenti, quindi, è stato sviluppato un metodo che ne valuta l'attività antiossidante totale (TAA o Total Antioxydant Activity) indipendentemente cioè dal contenuto percentuale di questa o quella moleco-la. I risultati sono distribuiti su una piramide: gli alimenti alla base hanno una buona TAA, quelli al secondo piano posseggono un'alta TAA, men-tre la posizione all'apice indica un'al-

francese, matematico, spia ed esplora-tore, raccoglie in Cile una specie di fragola coltivata dagli indigeni Mapu-che: la Fragaria chiloensis, dai frutti insolitamente grandi ma poco sapori-ta. E al suo ritorno ne fa dono a sua maestà Luigi XIV, proprio il Re Sole. Questa curiosa fragola viene piantata e coltivata nei giardini di Versailles per mezzo secolo, fino a quando, nel 1766, il botanico Antoine Nicolas Duchesne si accorge che dall'incrocio di una pianta di Fragaria chiloensis e una di Fragaria virginiana, una specie dai frutti piccoli e gustosi proveniente dalle colonie in Nord America, è nata una pianta con le migliori qualità di entrambi i genitori: frutti di grandi dimensioni dalla prima e sapore eccel-lente dalla seconda. L’antenata di tutte le fragole di oggi è dunque un ibrido, che al contrario degli altri ibridi fra specie diverse si rivela fertile. È un evento unico, che non si ripeterà per i successivi due secoli e mezzo. Duchesne chiama la

i. La varietà è stata prodotta in sinergia con il CRA-Unità di ricerca per la frutticoltura di Forlì

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Eventi «La fragola che cresce sotto l'ortica, rappresenta l'eccezione più bella alla regola, poiché innocenza e fragranza sono i suoi nomi. Essa è cibo da fate».

William Shakespeare

tissima TAA. Dove sono collocate le fragole? In cima naturalmente, insie-me a mirtilli, cavoli verdi, barbabieto-le e prugne nere. Le fragole si trovano in vetta anche alla scala ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity), che quantifica il contenuto di sostanze antiossidanti in base alla capacità di un alimento di mantenerci giovani. Le fragole sono collocate nel terzo grup-po, quello che riunisce gli alimenti che hanno l’effetto più potente. E so-no posizionate molto meglio dei più noti pomodori, mele, pesche, pere, uva, arance e kiwi. La fragola protegge dall’infarto e dai tumori Negli ultimi anni, diverse ricerche hanno accertato che il frutto a forma di cuore ha anche altre due qualità speciali: fa bene al cuore, per l'appun-to, e protegge dai tumori. La fragola protegge il cuore e la circolazione per-ché contiene grandi quantità di com-posti polifenolici come antocianine, catechine e quercetina, che inibiscono l'ossidazione del colesterolo LDL (quello “cattivo”) promuovono la sta-bilità delle placche che causano il re-stringimento delle arterie e la riduzio-ne del flusso sanguigno verso organi vitali, e migliorano la funzione dell'endotelio vasale (lo strato di cellu-le che riveste l'interno dei vasi sangui-gni) con il risultato di diminuire il rischio di trombosi. Il polifenolo più abbondante nella fragola, l’acido ellagico, ha dimostra-to in vitro un'attività antitumorale bloccando la carcinogenesi, ma anche rallentando la progressione e la proli-ferazione dei tumori. Una recente ricerca americana, pubblicata sulla rivista scientifica International Journal of Cancer nel 2008, ha messo le fragole ai primi posti fra la frutta e la verdura a bassi tassi di morte per cancro. O grande, o buona? Per quasi cento anni si è cercato di aumentare le dimensioni e la consi-stenza dei frutti della fragola. Ancora negli anni Settanta, un frutto pesava mediamente 10-14 grammi, ma dopo 25 anni di attività di breeding i frutti pesano in media 30-31 grammi. Tanto che c’è persino qualcuno che pensa che subiscano chissà quale trattamen-to per essere così “gonfiate”. In realtà, si tratta di varietà geneticamente ca-

ratterizzate da frutti molto grossi. Tutto questo sforzo di miglioramento genetico serve innanzitutto per abbas-sare i costi di raccolta, che incidono per ben oltre il 50% sui costi di produ-zione. Nel 1985 uno studio dimostra-va che l'aumento di un solo grammo nel peso del frutto consentiva al pro-duttore di risparmiare un milione di vecchie lire per ogni ettaro di raccolto. L’aumento della consistenza ha poi permesso di ridurre gli scarti, molto alti con un frutto in origine così fragi-le, e di allungarne la “vita” dopo la raccolta Il problema è che nella fragola il con-tenuto in zuccheri diminuisce con l'aumentare delle dimensioni del frut-to. E che per avere un frutto più gran-de e consistente è necessario che le pareti delle sue cellule siano più spes-se, con lo svantaggio di trattenere le molecole responsabili degli odori e dei sapori al loro interno. Risultato: fra-gole grandi e turgide, ma meno buo-ne. Per fortuna, non siamo condannati ad avere fragole grandi che sanno di po-co. Gli istituti di ricerca per la frutti-coltura, come quello del CRA di For-lì, un Istituto pubblico che coordina

vari progetti sia pubblici che privati con organismi produttivi e commer-ciali, stanno ormai riuscendo a risol-vere la dicotomia "o grande o buona". E i breeder italiani non sono soli: in ben 50 Paesi ci sono istituti di ricerca impegnati nel miglioramento genetico della fragola. La nuova varietà spa-gnola Candonga, ad esempio, adatta alla coltivazione nelle regioni meri-dionali, produce frutti grandi ma di gusto eccellente. Frutti grandi e di gusto buono sono già prodotti anche da varietà italiane più “settentrionali” come Clery, Tecla e Queen Elisa. Il valore sociale della fragolicoltura In Italia si producono fragole dall’Al-to Adige alla Sicilia, passando per l'Emilia-Romagna che vanta la tradi-zione più lunga. Ovunque, la fragoli-coltura aiuta economicamente le fa-miglie perché si tratta di un’attività ad

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altissima intensità di manodopera. Un ettaro a fragole richiede infatti dalle 3.500 alle 4mila ore di lavoro, il 70% delle quali concentrate nel periodo della raccolta, quando anche casalin-ghe, studenti e persone disoccupate possono trovarvi un’occasione di gua-dagno. E poi c’è l’indotto. I soli vivai, che ogni anno forniscono ai produtto-ri oltre 300 milioni di nuove piante, hanno un fatturato di oltre 40 milioni di euro. Non può quindi che preoccupare il progressivo ridimensionamento del settore fragolicolo nel nostro paese. I 14mila ettari destinati a fragole a fine anni Settanta si sono ridotti a circa 6mila, e moltissime aziende, spesso familiari, hanno dovuto abbandonare il mercato. Con le nostre 153mila ton-nellate di produzione annua siamo così scesi al quarto posto (dopo Spa-gna, Polonia e Germania) nella classi-fica della produzione fragolicola euro-pea. Se infatti ancora nel 1999 l’Italia era un esportatore netto di fragole, con oltre 20mila tonnellate e 35 milioni di euro in attivo, oggi ne importiamo per circa 20 milioni di euro l’anno, rifor-

nendoci per due terzi dalla Spagna e per il resto da Egitto, Israele e Tur-chia. La fragola globale Se fosse vivo, Antoine Nicolas Du-chesne potrebbe essere fiero della sua “invenzione”. Dagli anni dal 1980 al 2000 la produzione mondiale di frago-le è aumentata dell'83%, e dal 2000 al

2008 è lievitata di un altro 24%, così oggi il pianeta produce ogni anno più di 4 milioni di tonnellate di fragole, un terzo delle quali in Europa (35%), un po' meno in Nord America (29,1%) e il resto in Asia (18,5%), Sud America, Africa e Oceania. Con l’eccezione della Germania, i Paesi che hanno segnato il maggiore aumento di produzione (Egitto +184%, Turchia +100%, Messico +47% e Germania +45%) hanno po-tuto contare su manodopera a basso costo e inverni miti. Le produzioni tendono infatti a meridionalizzarsi: le regioni con clima mite generano oggi oltre il 60% della produzione mondia-le, contro il 35% del 1980. Anche la competizione globale ha contribuito a questo spostamento, per via della ricerca di un basso costo del-la manodopera. Basta vedere cos’è avvenuto a due delle maggiori produ-zioni mondiali: quella californiana tende a spostarsi in Messico, e quella spagnola è parzialmente migrata in Marocco. I consumi però non sono equamente distribuiti tra tutte le aree del pianeta, perché si nota ancora una netta con-centrazione dei consumi. Due terzi dell'intera produzione mondiale ser-vono infatti a soddisfare le richieste dei 27 Paesi dell'Unione Europa, che confermano di avere una passione smodata per le lacrime di Venere. Ma chi non ce l'ha!

Spunti tratti da La fragola di Giovanni Carrada e Mauro Mennuni

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Talk show

La sicurezza alimentare non può esLa definizione di sicurezza alimentare si è sviluppata nel corso dei secoli. Non si tratta di un concetto assoluto, ma in continua evoluzione. Per alcuni è soprattutto una questione di legalità: la rispondenza tra ciò che è identifica-to in etichetta e ciò che realmente è. Per i consumatori rappresenta sempli-cemente la serenità quando ci si siede a tavola. Il dibattito è stato approfon-dito nel talk show "Sicurezza alimenta-re: percorsi di filiera garantiti", condotto dalla giornalista Rai Camilla Nata e da Sauro Angelini di Agrilinea, che si è svolto all'interno del quartiere fieri-stico di Rimini nel corso della prima edizione di Agrifil, salone della filiera agroalimentare. Introducendo l'incon-tro, Camilla Nata ha dato una sua definizione di sicurezza alimentare: «quella coscienza che tutti i responsa-bili della filiera dovrebbero avere, in sinergia l'uno con l'altro, per portare sulla tavola un prodotto salubre». Per Gian Luca Bagnara, assessore alle Politiche agroalimentari della provincia di Forlì-Cesena e membro del Comitato consultivo del Copa-Cogeca, è «l'applicazione nei vari Pae-si a fare la differenza». Un'impostazio-ne che è chiara in Europa è l'attenzio-ne sulla filiera. «La sicurezza alimen-tare al consumatore è data da un siste-ma di controllo lungo tutta la filiera partendo dall'azienda agricola — ha spiegato Bagnara —. Nell'ultimo pac-chetto qualità è stato infatti imple-mentato l'Haccp, il sistema di control-lo della sanità anche a livello dell'a-zienda agricola. Non c'è sicurezza se c'è qualche anello scoperto lungo la filiera. E questo ha costruito un'eco-nomia diversa rispetto a tanti Paesi extraeuropei». Cosa ben diversa avvie-ne negli Stati Uniti, dove «non c'è invece attenzione per la filiera, né per dove arriva il prodotto agricolo e dove viene trasformato». Tra i più rigidi nell'Ue («con un rapporto da 1 a 10»), il sistema di controllo italiano porta però inutili sovrapposizioni, da qui l'esigenza di «una razionalizzazione». Più carente, al contrario di altri Paesi, l'aspetto che riguarda l'informazione e «il primo a volersi nascondere è pro-prio il mondo agricolo», ha rilevato l'assessore. Altra nota dolente per il Belpaese è «la contrapposizione tra funzione pubblica e gestione del priva-

to, che non è finalizzata a un percorso di miglioramento», ha detto Bagnara. «Molti strumenti dell'Ue sono finaliz-zati all'accompagnamento dell'azien-da per crescere, sostanzialmente a un sistema di qualità — ha spiegato — . Quando però queste direttive vengono tradotte nelle normative italiane, ecco che il monitoraggio si trasforma in un controllo. Ma voler co-struire un percorso di cre-scita dell'azienda basando-lo sul concetto di penale, che scatta quando l'ispe-zione evidenzia delle irre-golarità, significa far chiudere le im-prese». I sequestri di prodotti avariati che finiscono sulle prime pagine dei gior-nali allarmano non poco i consumato-ri, ma per Luigi Tozzi, responsabile sicurezza alimentare e qualità di Con-fagricoltura, «quando si parla di pesti-cidi nel piatto si fa odiens ma si dico-no tante stupidaggini. Più del 99% dei prodotti ortofrutticoli controllati lo scorso anno sono infatti risultati a

norma. Un terzo dei controlli eseguiti dalle Forze dell'ordine vengono fatti sulla produzione primaria. Nel 2010 meno del 3 per cento delle aziende agricole controllate hanno evidenziato irregolarità, e nella maggioranza dei casi si è trattato di questioni ammini-strative». Esistono dei finanziamenti europei a

cui attingere per migliorare il proprio prodotto e come ci si arriva? «I fondi euro-pei gestiti dalle Regioni tendono a tutelare la cono-scenza tradizionale del ter-

ritorio e non tanto il prodotto in sé — ha esordito Roberta Centonze di Me-ritPartner, esperta di finanziamenti europei —. L'attenzione è incentrata sulla produzione primaria che si ag-grega e costruisce la filiera. I fondi europei ad accesso diretto e indiretto, invece, non possono essere focalizzati su prodotti territoriali specifici. Per la tutela di queste filiere di qualità esisto-no due opportunità: i fondi riservati agli enti pubblici per creare percorsi di

Un momento del talk show dedicato alla sicurezza agroalimentare che si è svolto nel corso di Agrifil

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sere garantita solo dagli agricoltori valorizzazione del territorio dal punto di vista agricolo e turistico, oppure i finanziamenti per tutelare le produ-zioni di qualità laddove si riesca a conciliarle con delle innovazioni». Per certificare un prodotto o un pro-cesso lavorativo viene in aiuto un vali-do strumento qual è il marchio collet-tivo, la cui registrazione «è concessa a quei soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di un prodotto, come ad esem-pio i consorzi, e che possono conce-derne l'uso a quei produttori che ri-spettino determinati requisiti», ha spiegato Stefania Berta dello Studio Torta di Bologna. Il potere di questa strumento è certamente la possibilità di coinvolgere più soggetti: l'unione fa la forza anche in questo caso. Un per-corso a cui in Italia a volte «ci si arri-va con una fatica sproporzionata a causa delle perplessità e gelosie che si scatenano tra i soggetti coinvolti». Oltre ad aver anticipato il progetto di un pane biologico, totalmente rintrac-ciabile, in collaborazione con Coop Italia, Augusto Verlicchi, coordinato-re commerciale di Op Cereali Emilia Romagna, ha descritto l'innovativa tecnica dei silobags: metodo di stoc-caggio orizzontale dei cereali in tubi di polietilene. «Si tratta di piccoli lotti di 240 tonnellate cadauno che garanti-sce l'individuazione qualitativa e la sicurezza alimentare — ha detto —. Inoltre costano il 60 per cento in me-no di quelli in muratura». Verlicchi ha poi portato l'attenzione sulla ricerca, evidenziando la necessità che sia fi-nanziata da tre soggetti: «pubblico, privato e industria devono partecipare a quello che è un nuovo modo di pro-durre la filiera». Su questo fronte Ba-gnara invita a giocare la carta dell'in-novazione. «Investire e tenerci in casa le innovazioni — ha ammonito —. Non come fatto in passato, vendendo le scoperte genetiche e tecnologiche all'estero per poi importare i prodotti ortofrutticoli». Amaro il commento di Sauro Zoffoli del Gruppo Trasversale Agricoltori, per cui «la sicurezza alimentare la pagano solo gli agricoltori poiché de-vono produrre a prezzi sempre più bassi». Gli fa eco il presidente di Oro-gel Fresco Giuseppe Maldini, che ha rilevato come «da una parte si vuole

sicurezza nelle nostre aziende e poi in modo ipocrita si deve portare nelle tavole degli italiani un prodotto a un prezzo non adeguato. E oggi non ci sono attività, a livello europeo e na-zionale, che segnino una svolta». Del-lo stesso avviso anche Alberto Ricci della Collina Toscana, azienda che in collaborazione con l'Università di Parma ha registrato un brevetto inter-nazionale che preserva al 90 per cento le caratteristiche del fresco delle erbe aromatiche. «Se la grande distribuzio-ne organizzata — ha criticato — non si rende conto che il valore di un pro-dotto va ripartito tra il produttore, trasformatore e distributore, tireremo sempre più il collo ai nostri agricolto-ri». Ricci lamenta poi il frazionamen-to di produzioni troppo piccole, quali Dop e Igp, che secondo lui non porta-no lontano. L'amministratore delegato di Molino Boschi, Emilio Antonellini, ha ricor-dato invece l'incongruenza che riguar-da gli organismi geneticamente modi-ficati. «In Italia non è possibile colti-vare gli Ogm, però possiamo tranquil-lamente alimentare i nostri animali con quelli che provengono dall'estero. Non è così semplice sedersi a tavola con tranquillità», ha osservato. Non va dimenticato che la qualità di un prodotto parte innanzitutto dal campo, dove acquista sempre maggio-re importanza la meccanizzazione. «Anche nella raccolta meccanica ci sono state negli ultimi anni tantissime novità tecnologiche — ha evidenziato Virginio Cesana di New Holland —. Se una volta quello che si chiedeva alla macchina era la produttività pura, quindi potenza, volumi e peso, oggi invece rappresenta qualcosa che può garantire all'interno della filiera una migliore raccolta del prodotto, cercan-do di abbattere i danni che normal-mente si verificano durante questa fase di lavorazione, garantendo così una migliore conservabilità del pro-dotto». A sorpresa è intervenuto nel corso del talk show l'ambasciatore del Regno di Thailandia a Roma, Somsakdi Suri-yawongse, in visita al padiglione delle Città dell'Olio, il quale ha sottolineato l'interesse per la sicurezza dell'alimen-tazione italiana, di gran successo nel suo Paese di origine.

, all'interno dei padiglioni della fiera di Rimini

Ue, olio "deodorato" per colpa di un refuso Un banale errore di traduzione aveva messo in allarme il settore olivicolo italiano, inducendo a pensare che la legge europea legalizzasse la commer-cializzazione di condimenti difettosi "taroccati". Ma in realtà non è così. L'Unione europea ha infatti corretto il refuso nella versione italiana del regolamento 61/2011 (a salvaguardia della genuinità dell'olio extravergine di oliva), in vigore da aprile, che au-mentava erroneamente la quantità di alchil esteri (riportando il limite di tolleranza sotto una soglia di 75 Mg/Kg), composti chimici che si formano nei prodotti di scarsa qualità. Per Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura del Parla-mento europeo, la rettifica del regola-mento rappresenta «una vittoria schiacchiante della qualità e del ruolo dell'Europa nel difenderla».

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Nei geni tutti i segreti di melo e fragola Ricerca www.agrilineanews.com

La decodifica dei geni è una nuova lingua nel campo della ricerca e apre strade infinte. «Si è aperta una nuova porta, è comparso un universo. Que-sta sarà la lingua della biologia del futuro». Francesco Salamini, presi-dente dell'Istituto agrario di San Mi-chele all'Adige-Fondazione Edmund Mach (Iasma), è sicuro che a questa nuova lingua dovranno uniformarsi tutti i biologici per non essere tagliati fuori da una parte rilevante della ricer-ca del futuro. L'argomento è stato approfondito nel convegno "Genomi e dintorni" che ha inaugurato gli eventi di Agrifil. Presen-te all'incontro anche il presidente della Commissione agricoltura del Parla-mento europeo, Paolo De Castro, già consigliere dello Iasma, per cui la ri-cerca genetica «è una delle frontiere più importanti su cui occorre investi-re, tra l'altro in un periodo in cui il tasso di crescita della domanda mon-diale di cibo è doppio rispetto all'offer-ta». Nel corso del convegno si è parla-to dei risultati conseguiti col sequen-ziamento dei genomi e delle applica-zioni pratiche conseguenti, in partico-lare per quanto riguarda il migliora-mento genetico. Non a caso i risultati di entrambi i progetti di sequenziamento, melo e fragola (che seguono quello della vi-te), sono stati pubblicati, a pochi mesi di distanza - il primo nell' agosto 2010

e il secondo lo scorso gennaio - sulla prestigiosa rivista Nature Genetics. Per quanto riguarda la fragola, la de-codifica è stata messa a punto da un consorzio internazionale che raggrup-pa 25 enti di ricerca di cui lo Iasma è l'unico partner italiano. I ricercatori hanno scoperto che la fragolina di bosco, varietà Hawaii, si compone di circa 30mila geni. Il risultato, di por-tata mondiale, sosterrà la ricerca nel campo della fragola e dei piccoli frutti al fine di ottenere in tempi rapidi nuo-ve varietà, accelerando i tempi del miglioramento genetico convenziona-le e ottenendo piante che si autodifen-dono dalle malattie e dagli insetti e in grado di produrre frutti più salubri e gustosi. Il sequenziamento del genoma del melo (per l'esattezza della varietà Gol-

den Delicious, tra le più coltivate al mondo) ha contribuito a svelare diver-si lati oscuri della storia evolutiva di questa pianta da frutto. Ben 57mila geni, il numero più elevato tra le pian-te studiate finora, e 992 responsabili della resistenza alle malattie. Anche in questo caso l'obiettivo è co-stituire varietà che riducano gli inter-venti agrotecnici, realizzando così una produzione più sostenibile: un filone di ricerca che la Fondazione Edmund Mach persegue da alcuni anni. Dallo studio e dal raffronto di diverse varie-tà di mele e altri tipi di piante, come la papaia e il riso, i ricercatori hanno messo a punto l'evoluzione del Dna nel tempo e scoperto che all'incirca 50 milioni di anni fa, i cromosomi sono passati da 9 a 17. Non solo, è stata confermata l'ipotesi che il melo arri-

vasse dalla Cina, preci-samente dal Kazaki-stan. All'incontro, coordina-to da Silviero Sansavi-ni dell'Università di Bologna, sono interve-nuti i ricercatori di San Michele, Riccardo Ve-lasco e Michela Trog-gio che hanno parlato rispettivamente di ge-noma del melo e gene-tica comparata delle rosacee, Stefano Tar-tarini e Silvio Salvi dell'Università di Bolo-gna, che hanno illustra-to lo sviluppo di mappe e marcatori molecolari e la selezione assistita da marcatori nell'era post-genomica.

La Fondazione Edmund Mach L'Istituto agrario San Michele all'Adige, dal 2008 Fon-dazione Edmund Mach (nella foto), svolge attività di ricerca scientifica, istruzione e formazione, sperimentazio-ne, consulenza e servizio alle imprese nei settori agricolo, agroalimentare e ambientale. Fondato nel 1874 quando la Dieta regionale tirolese di Innsbruck deliberò di attiva-re a San Michele una scuola agraria con annessa stazio-

ne sperimentale per la rinascita dell'agricoltura del Tirolo, negli anni ha conseguito impor-tanti traguardi a livello internazionale sia nel campo della ricerca che nella formazione. L'ente si articola nei Centri istruzione e formazione, ricerca e innovazione, trasferimento tecnologico. L'azienda agricola, con funzioni di produzione e trasformazione, ma anche di supporto alla didattica e alla sperimentazione, comprende circa 100 ettari di terreni colti-vati a vite e melo, una cantina e una distilleria.

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Viticoltura www.agrilineanews.com

Vino e tappo di sughero, connubio ideale Anche se la novità è quello in plastica, non vi è dubbio che stappare una bot-tiglia di vino e annusare il tappo di sughero rende ancora più piacevole il consumo. «Un grande vino non può che essere tappato con il sughero — è convinto Piero Antinori dei Marchesi Antinori —. Oltre all'aspetto emozio-nale, c'è anche quello tecnico: il su-ghero assolve la funzione di agevolare l'invecchiamento, aiuta il vino a re-stare vivo e a evolversi nel tempo pre-servandone correttamente il gusto».

Oltre a proteggere la qualità del vino, è forte nei consumatori la percezione che questo materiale naturale ricco di virtù (è totalmente riciclabile) sia espressione della tradizione e di aiuto all'ambiente, attraverso la salvaguar-dia delle foreste di querce. Il sughero è la corteccia della pianta che viene raccolta periodicamente per potersi riprodurre nuovamente. «Sono piante abbastanza resistenti che la natura ha dotato di corteccia subero-sa, che le ripara perfino dagli incen-

di», ha raccontato Pietro Luciano, preside della Facoltà di Agraria di Sassari. «In Italia si contano circa 220 mila ettari di sugherete, di cui il 90 per cento è localizzato in Sardegna — ha precisato —. Nel bacino del Medi-terraneo esistono circa 2,5 milioni di ettari, di cui 1,8 milioni è localizzato in Europa». La decurtazione della corteccia è un'operazione che richiede tempi molto lunghi (25-30 anni). «Ma è difficile accelerare i tempi, si può però recuperare gestendo bene il patri-monio che abbiamo oggi — ha evi-denziato Luciano —. Il bosco puro di sughera è il risultato dell'attività dell'uomo. In origine infatti il bosco è misto, composto da sughera, leccio o roverella a seconda delle quote alle quali vegeta». La modalità di gestione delle sughere-te è fondamentale per evitare proble-mi di deperimento delle piante e un aiuto finanziario, in questo senso, arriverà dai Piani di sviluppo rurale, «che dovrebbero consentire investi-menti per la riforestazione per la ge-stione sostenibile di questi boschi». Il preside della Facoltà di Agraria sot-tolinea poi «l'importanza della certifi-cazione di sostenibilità della sughereta così come quella del sughero, in quan-to si tratta di un prodotto naturale».

In un libro la storia dei vitigni dimenticati Nessun paese come l'Italia è ricco di viti selvatiche che hanno ancora un forte lega-me con i vitigni oggi colti-vati. La storia di questi viti-gni dimenticati viene riper-corsa nel libro "Origini della viticoltura", presentato nel corso di Vinitaly, che racco-glie gli atti dell'omonimo convegno internazionale ospitato nelle cantine di Podere Forte (editore del volume) a Castiglione d'Or-cia il 25 giugno dello scorso anno. Attilio Scienza del Centro interdipartimentale per la ricerca e l'innovazio-ne in viticoltura ed enologia dell'Università di Milano, cui è affidata l'introduzione, ha portato l'attenzione

sull'interesse e l'attualità della vite selvatica nello studio dell'origine dei viti-gni coltivati. «Il segreto delle origini della nostra viticoltura — ha affermato Scienza — è nelle viti selva-tiche, nell' analisi degli indi-vidui ancora presenti nei luoghi della primigenia di domesticazione, ancora frequenti nell'Italia centrale, confrontandoli con i vitigni antichi di quelle zone, è forse possibile ricostruirne l'origine geografica, le fasi della loro coltivazione, la successiva migrazione verso altri luoghi». La collabora-zione di più discipline, quali archeologia, antropologia e biologia molecolare, è stata

decisiva per evidenziare il rapporto che lega il luogo di domesticazione e il momen-to in cui questa è avvenuta. «Gli sviluppi della biologia molecolare e le ipotesi sul-l'origine della popolazioni umane — ha spiegato — hanno recentemente confer-mato che le varietà coltivate in Occidente non sono solo il risultato di fenomeni di migrazione, ma il risultato di puntiformi fenomeni di paradomesticazione che hanno in epoche molto lon-tane, generazione dopo ge-nerazioni, agito sulle popo-lazioni selvatiche orientan-done la struttura genetica». Il libro raccoglie, tra gli al-tri, i contributi degli esperti

provenienti da paesi in cui sono stati ritrovati, studiati e selezionati esemplari di vitis silvestris, la madre di tutte le viti: Italia, Georgia, Spagna, Francia, Germa-nia.

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L'export del vino

Con i vini bianchi cresce l'expoLa stella del vino italiano nel mondo brilla sempre più. Il trend dell'export delle cantine del Belpaese è in cresci-ta, segnando un + 23 per cento nelle esportazioni extra Ue. E questo nono-stante i volumi siamo calati in termini di valore (- 5,4 per cento). Si è dunque respirato un clima di grande ottimi-smo nella 45° edizione di Vinitaly, la rassegna che rappresenta il palcosceni-co internazionale del vino made in Italy nel mondo. «Non possiamo lamentarci, il vino italiano ha fatto passi da gigante negli ultimi trent'anni» ha confermato Piero Antinori, a capo dell'omonimo grup-po fiorentino (con il supporto delle figlie Albiera, Allegra e Alessia) che vanta 2mila ettari di vigna e un export che supera il 60 per cento del prodot-to. «Da una situazione veramente drammatica siamo passati ad avere una posizione invidiabile e molto soli-da — ha proseguito Antinori, la cui famiglia si dedica alla produzione vinicola da più di seicento anni —. Abbiamo perfino superato i francesi in diversi mercati importanti, quali Stati Uniti, Germania, Svizzera, Austria: tutti mercati dove il vino italiano è il numero uno. L'obiettivo ora è che lo diventi anche in quei mercati emer-genti». Il 2010 ha visto in particolare una forte accelerazione, con tanto di sor-passo, delle vendite dei vini bianchi rispetto ai rossi. Un ribaltamento nel gradimento rispetto ad alcuni anni fa, che si potrebbe spiegare forse con ele-menti legati alla moda, a nuovi gusti oppure all'esigenza, sempre più diffu-sa fra i giovani, di bere vini con mino-re gradazione alcolica. Secondo l'ana-lisi di Assoenologi, i vini bianchi co-prono il 60 per cento dei consumi in-ternazionali di vino made in Italy. Non esaltanti invece le notizie che arrivano dal fronte del consumo do-mestico di vini e spumanti, che lo scorso anno è calato di 3,4 punti per-centuali, rappresentando il 3,1 per cento della spesa complessiva interna agroalimentare. In generale, le vendite di vino confezionato sono scese dello 0,9% a volume. E' indubbio che una forte spinta nella diffusione del vino è arrivata dalla grande distribuzione organizzata, che ha consentito a un numero sempre

maggiore di consumatori di avere una scelta sempre più vasta, con prezzi e qualità diverse. «Anche i vini impor-tanti possono trovare una loro collo-cazione all'interno dei supermercati, a patto che si specializzino sempre più», ha rilevato Piero Antinori. Alla prestigiosa manifestazione vero-nese erano presenti, come sempre, le cantine italiane d'eccellenza. Vignaioli

4mila espositori, 92mila metri quadrati di esposizione,156mila visitatori, di cui 48mi-la esteri. Sono i numeri da record dell'edi-zione 2011 di Vinitaly, che si è svolta a Verona dal 7 all'11 aprile. Nel corso della manifestazione è stata presentata la "Bottiglia dell'Unità d'Italia": da un blend di 20 vini in purezza rossi e da 20 in purez-za bianchi, rappresentativi di una varietà di ognuna delle regioni italiane, sono stati creati due vini celebrativi, simbolo delle varietà e anche dell'unicità del Belpaese.

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ort del vino italiano nel mondo che oggi hanno ritrovato una consape-volezza del rispetto della natura. All'uso massiccio della chimica in vigna, come in cantina, si va infatti sostituendo l'adozione di pratiche che rispettino il ciclo naturale ed evitino il più possibile l'impatto con prodotti artificiali. Una scelta ambientalista che comporta sensibili risparmi e ha il vantaggio di proporre prodotti di mi-gliore qualità e quindi sempre più ap-prezzati dal pubblico. Ne è esempio la casa vinicola Zonin, che quest'anno festeggia il traguardo del 190° anni-versario dalla fondazione dell'azienda. Il gruppo è forte delle sue nove tenute in Italia in sette regioni a vocazione viticola (per un totale di 1.820 ettari) e della Barboursville vineyards in Virgi-nia, negli Stati Uniti (circa 100 ettari), un fatturato consolidato stimato in oltre 100 milioni di euro, 24 milioni di bottiglie prodotte, il 60 per cento delle quali esportate in oltre 90 Paesi. Ma Zonin non si ferma qui. «Siamo alla ricerca di un continuo miglioramento della qualità dei nostri prodotti nel rispetto della risorsa più importante che abbiamo: i nostri territori — ha confermato il responsabile agronomi-co Carlo De Biasi —. Per questo mo-tivo da tre anni siamo coinvolti in un progetto di sostenibilità aziendale che riguarda sia la produzione dell'uva che del vino. Siamo in rete con un pool di aziende che condividono la nostra stessa missione e con cui c'è uno scambio di informazioni e dati per rendere questo progetto di viticol-tura responsabile e sostenibile più concreto e forte». Lavorare insieme, condividere sforzi e risorse per rag-giungere lo stesso obiettivo. «Anche se siamo aziende rivali non c'è alcun conflitto tra di noi — precisa De Biasi —. Ognuno infatti ha le proprie pecu-liarità e condividere le linee di lavoro crea vantaggio competitivo per tutto il mondo del vino italiano». Protagonista a Vinitaly anche i Vivai Cooperativa Rauscedo, leader inter-nazionale per la produzione e com-mercializzazione di barbatelle, le pianticelle da cui hanno origine il vi-gneto. «Con una produzione di 60 milioni di barbatelle all'anno e 4mila tra varietà, cloni e portainnesti pro-dotti, rappresentiamo una buona parte di quello che il vigneto internazionale

La vitivinicoltura in Italia Nel 2010 la produzione stimata di vino, secondo Assoenologi, è stata di 45,5 milioni di ettolitri e 674 milioni gli ettari coltivati. Con 3,9 miliardi di euro per più di 20 milioni di ettolitri di vino, è la prima voce dell'export agroalimentare nazionale. La filiera del vino vale circa 13,5 mi-liardi di euro, cui si aggiungono circa 2 miliardi di euro di indotto (dati Area research/Banca Mps 2010). Le aziende sono 770mila per un totale di 1,2 milione di occupati. Sul fronte dei riconoscimenti europei, il Belpaese vanta 330 Doc, 56 Docg e 118 Igt.

sta utilizzando», ha affermato il diret-tore Eugenio Sartori, che ha espresso soddisfazione per il positivo momen-to. «Il vino italiano ha ripreso forza, migliorando le proprie posizioni sulla piazza — ha detto —. E' vero che la superficie vita-ta in Italia sta diminuen-do, ma questo è un fatto naturale considerando che è calata in quasi tutti quei Paesi con una viticoltura matura, mentre si sta espandendo in quelli di nuova viticoltura. Vedo il futuro con un certo ottimismo sia per noi vivaisti che per i viticoltori». Molto dinamica è l'attività di miglio-ramento genetico, che per la vite è

connaturata con la sua stessa coltiva-zione. «Nel caso della Vitis vinifera si stanno cercando, anche a livello di selezione clonale di ogni varietà, quei cloni a grappolo più aperto e dunque

meno sensibile alla botrite — ha spiegato Sartori —. Quello che è certo però è che la Vitis vinifera non è resistente alla peronospo-ra o all'oidio. In particola-re si stanno facendo degli

ibridi per inserire dei geni di resisten-za nel Merlot e nel Cabernet. L'obiet-tivo è di produrre novità vegetali che abbiano resistenza alle malattie, che comporterebbe dunque meno impatto ambientale».

Ue a 27: in frenata le superfici Nel 2010 i 27 Paesi dell'Ue potrebbero perdere tra i 60 e i 70mila ettari, se-gnando una flessione dell'1,8 per cento e portando la superficie vitata comuni-taria a circa 3.640mila ettari. Conti-nua dunque l'erosione delle superfici destinate alla produzione di uva da vino, che nell'anno precedente aveva già registrato un trend negativo di 97mila ettari. Anche nel 2009/2010 prosegue la lunga marcia all'estirpazione dei vi-gneti comunitari, sollecitata in manie-ra indiretta dalla possibilità di benefi-ciare di contributi previsti dalla nuova Organizzazione comune di mercato.

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Avicoltura www.agrilineanews.com

E' ormai iniziato il conto alla rove-scia: dal 1° gennaio 2012 le disposi-zioni comunitarie imporranno nuove regole per la costruzione e gestione degli allevamenti di ovaiole. La nor-mativa (l'implementazione della diret-tiva 74/99 CE) prevede la riconversio-ne di tutti gli allevamenti che devono dotarsi di sistemi a terra con gabbie arricchite e regolamentate. Secondo le stime, un adeguamento di questo tipo comporterà un aumento dei costi di produzione tra il 10 e il 12 per cento e investimenti ingenti che forse non tutti gli allevatori riusciranno a soste-nere. Nonostante questo, l'Ue ha conferma-to che saranno rispettati i tempi di entrata in vigore della riforma sul be-nessere animale della galline ovaiole. «Non ci sarà alcuna proroga dopo il primo gennaio 2012, i Paesi che si sono già messi in regola stanno facen-do forti pressioni al riguardo», ha av-vertito Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura e svi-luppo rurale del Parlamento europeo nel corso di FierAvicola, rassegna forli-vese di riferimento per l'avicoltura italiana. De Castro ha rassicurato gli allevatori presenti informandoli che si prevede di individuare formule transi-torie per quelle aziende che alla sca-denza non saranno ancora in regola ma dimostreranno di aver avviato un processo di adeguamento. Le regole comunitarie sul trattamento, gestione e condizioni di vita delle gal-line ovaiole sono finalizzate a un mi-gliorato status dell'animale, con effetti positivi anche sulla qualità della pro-duzione. «Questo passaggio — ha sottolineato l'assessore all'Agricoltura dell'Emilia-Romagna Tiberio Rabbo-ni — sarà un punto di svolta per tutta l'industria avicola. Nonostante gli sforzi che vengono richiesti a livello internazionale e il ciclo economico certamente non positivo, il settore sta tenendo bene». L'onorevole De Castro ha ricordato come la filiera avicola sia forte e ben strutturata. «L'Italia — ha detto l'euro-deputato — è tra le prime regioni d'Europa per quanto riguarda il setto-re avicolo. Riesce ad attestarsi sul 100 per cento di approvvigionamento, garantendo quindi anche un alto valo-re di export. Questo trend è in crescita e ci auguriamo di riuscire a essere sempre così competitivi».

Sono quasi 10 milioni le galline ovaiole allevate in Italia con sistemi alternativi alle gabbie

L'Italia fa il pieno di uova La produzione agricola italiana di uova ammonta a 1,1 miliardi di euro, pari a 13 milioni di tonnellate. Il fatturato delle vendite del prodotto finito si attesta sui 1,5 miliardi di euro. Circa il 45% della produzione è uti-lizzata nell'indu-stria alimentare (gli ovoprodotti). Il 50% di questa produzione è con-centrata soprattut-to nel Nord Italia: 17% in Lombar-dia, 16% rispetti-vamente in Veneto ed Emilia-Romagna. L'Italia è autosuf-ficiente per il con-sumo di uova per il 106%, che è pari a 12,6 chilogrammi procapite, contro i 14,2 chilogrammi nell'Unione europea a 25 Paesi. La produzione italiana, prima in Europa, è fornita da oltre 49 milioni di galline, di cui quasi 10 milioni allevate già con siste-mi alternativi, quali terra, biologico, volie-re.

Pollo e uova tra i preferiti degli italiani Sono la carne di pollo e le uova a fare la parte del leone nei consumi di prodotti avicoli. Quelli di uova sono aumentati dello 0,5% e quelle di carne di un interval-

lo tra lo 0,6% e il 4,6%. Lo rileva un'indagine Ismea -Istituto di servizi per il mercato agri-colo alimentare, presentata nel cor-so di FierAvicola. Altro dato signifi-cativo è l'aumento di coloro che effet-tuano acquisti nei periodi promozio-nali. Lo stesso avviene per la car-ne cunicola, men-tre è in lieve flessio-ne il consumo di

carne di tacchino e di coniglio. È stato inoltre tracciato il profilo del consumatore medio di carni avicole: proviene dall'Italia centro-meridionale, ha un reddito medio-basso e fa ricorso alla Gdo, trascurando progressivamente i negozi al dettaglio. Questo permette di individuare il mercato più favorevole a questo tipo di produzione.

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