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In ascolto della Parola - WebDiocesi · 7 le ai sensi a tal punto da farsi ascoltare, vedere e...

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DONATO NEGRO Arcivescovo In ascolto della Parola LETTERA PASTORALE Otranto 2007
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DONATO NEGROArcivescovo

In ascolto della Parola

LETTERA PASTORALE

Otranto 2007

In copertina: Cristo Pantocrator. Bulgaria.

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«Il mio vero programma di governo èquello di non fare la mia volontà, dinon perseguire le mie idee, ma di met-termi in ascolto, con tutta quanta laChiesa, della parola e della volontàdel Signore e lasciarmi guidare daLui, cosicché sia Egli stesso a guida-re la Chiesa in questa ora della nostrastoria».

BENEDETTO XVI, Omelia nella Messa per l’ini-zio del Ministero petrino, Roma, 24 aprile 2005.

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Carissimi fratelli e sorelle,

l’inizio della Quaresima è un’occasione favorevo-le, un autentico “kairós”, per rinnovare i nostripropositi di fedeltà al Signore Crocifisso e Risortoe rilanciare il nostro impegno di Chiesa locale.

Così, mentre guardiamo al passato e ringraziamoDio per quanto ha già realizzato nella nostra vita,sentiamo anche la necessità di guardare in avanti,poiché, a dispetto di ogni miope rassegnazione, lanostra comune vocazione, nella diversità dei cari-smi e dei ministeri, è sostanzialmente finalizzata amostrare ad ogni uomo i segni del Regno cheirrompe dall’imprevedibile futuro di Dio.

Volgendo lo sguardo al futuro ed esprimendosentimenti di calorosa speranza, mi permetto,carissimi, di invitarvi a condividere quanto ho rac-colto in questa Lettera Pastorale meditando suquella straordinaria esperienza di Chiesa che ci èstata consegnata dalla tradizione giovannea:

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«Ciò che era fin da principio,ciò che noi abbiamo udito,ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato,ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianzae vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo.Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta»

(1Gv 1,1-4).

Queste parole affiorano da un’esperienza assolu-tamente contemplativa e, ancor prima di esibiredei contenuti, ci suggeriscono l’essenziale in ordi-ne all’essere della Chiesa. Nella sua mistica sempli-cità, il ripetuto «noi» giovanneo abbraccia in un’u-nica comunione l’eterno e il tempo, l’impenetrabi-le distanza del mistero e la sua tangibile prossimi-tà agli uomini. Queste parole, insomma, narrano lastraordinaria esperienza che è fondamento dellaChiesa; dicono che la Vita, ossia il più radicale edintimo degli attributi, si è resa visibile e disponibi-

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le ai sensi a tal punto da farsi ascoltare, vedere etoccare.

Questa esperienza concreta della Parola dellaVita, che istituisce il «noi» originario della Chie-sa e travalica i tempi, giunge sino a noi, qui eoggi, senza aver perso nulla della freschezzadegli inizi. Il suo darsi nella forma del racconto edella testimonianza autorevole non veicola un’in-formazione, ma ci colloca in un’esperienza arche-tipa, preservandoci dal rischio di comprendere lenostre comunità ecclesiali secondo una sterileconformità alla lettera o, peggio, secondo criteridi mera esteriorità. Infatti, la rivelazione perso-nale e tangibile della Parola di Vita è il fonda-mento radicale della Chiesa, la cui esistenza haquindi senso nella misura in cui riferisce perma-nentemente se stessa all’originaria testimonianzadi coloro che hanno mangiato e bevuto con Lui(cf. At 10,41).

Si tratta, in altre parole, di un’esperienza chenon è un resoconto, ma un invito a partecipare o,meglio ancora, una proposta di comunione concoloro che furono testimoni «fin dal principio» e,per loro tramite, con il Padre e con il Figlio suoGesù. In merito, non trovo migliore commentodelle parole di Agostino: «Coloro che hanno vistoci dicono: Affinché anche voi siate in comunionecon noi. Ma è dunque una cosa tanto grandequella di essere in comunione con degli uomini?Guardati bene dal prendere questo annuncio alla

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leggera. Confronta ciò che l’apostolo aggiunge: Ela nostra comunione è con il Padre e con il Figliosuo Gesù Cristo; questo vi scriviamo affinché lanostra gioia sia piena»1.

Giovanni allude, dunque, ad una Parola che è perl’amore più che per il sapere e rimarca con tratti distraordinaria finezza quella relazione in cui Parolae Chiesa sono raccolte nella comunione di ununico «noi», lasciando così intendere che solo l’a-more procede dall’amore, risponde all’amore e sicompie consumandosi nell’amore.

Ebbene, carissimi, nella logica di questa espe-rienza giovannea che istituisce in radice il sensodella Chiesa, mi permetto di proporvi la presenteLettera Pastorale affinché, docili all’ascolto dellaParola, anche il «noi» della nostra comunità localepossa rinnovarsi, crescere e portare frutto per lavita del mondo.

1 AGOSTINO, Commento alla prima lettera di San Giovan-ni, Tr. 1, n. 3.

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I

PAROLA E CHIESA

(Aspetti teologico-fondamentali)

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1. La Chiesa «nella» Parola

Le parole con cui la Costituzione dogmatica sullaDivina Rivelazione “Dei Verbum” del Concilio Vati-cano II esordisce mettono subito in evidenza lostretto legame che intercorre tra la Parola di Dio ela Chiesa, proprio là dove caratterizzano l’identitàdi quest’ultima come comunità «in religioso ascol-to della Parola di Dio»2. Il passaggio è importante emerita di essere sottolineato: la Costituzione nonallude tanto alla frequentazione di un libro, quan-to, invece, alla relazione originaria della Chiesacon la Persona del Figlio eterno di Dio, Parola edEvento di salvezza.

La Parola di Dio, infatti, non è un’inerte corpus discritti, ma la eterna Parola della Vita, la stessa cheha parlato in molti modi e in diverse forme sino aprendere carne e rendersi storicamente visibile inGesù Cristo3. Come suggerisce il concetto biblico di

2 Riferendosi a questo incipit della Costituzione ConciliareBenedetto XVI ha affermato: «Sono parole con le quali ilConcilio indica un aspetto qualificante della Chiesa: essa èuna comunità che ascolta e annuncia la Parola di Dio», Dis-corso del 16 settembre 2005.

3 In Gesù i testi del Primo Testamento acquistano e mani-festano il loro pieno significato: «Tutta la Scrittura è un librosolo e questo libro è Cristo» (UGO DA SAN VITTORE, L’arca

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«dabar», è un evento dinamico e non solo un espri-mere: è Parola efficace perché crea ciò che dice econserva nell’esistenza ciò che nominando strappaal nulla. Non solo presiede alla creazione delmondo e dell’uomo, ma anima e sostiene perma-nentemente il corso di tutta la storia della salvezza.Nella potenza di questa Parola efficace e in virtùdello Spirito che la attualizza in ogni tempo e inogni luogo, la Chiesa è costituita e continuamenterinnovata. Solo perché radicati «in» essa possiamocomprendere noi stessi come comunità di salvezzae attingere il senso proprio della nostra missionenel mondo.

Certo, ad un primo impatto, risulta un po’ diffici-le immaginarci «nella» Parola e posseduti dallaParola, dal momento che è molto più facile pensa-re la Parola nella Chiesa rispetto al più originarioradicarsi della Chiesa «nella» Parola. L’esperienzapiù immediata e consueta è quella di prendere unlibro, afferrarlo, portarlo con noi, leggerlo, chio-

di Noè, II,8). «Gesù è il Verbo di Dio, uscito dal silenzio»(IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Magnesi, 8,2). E San Massimodi Lione affermava: «Il Verbo si concentra e prende corpo…Con la sua venuta nella carne, si è degnato di concentrarsiper prendere un corpo e insegnarci nella nostra linguaumana e in parabole la conoscenza, che sorpassa ogni lin-guaggio, delle cose sante e nascoste (…). Per amore di noiche siamo lenti a comprendere, egli si è degnato di esprimer-si nelle lettere, le sillabe e i suoni della Scrittura, per trarci aseguirlo e unirci in spirito» (Ambigua, PG 91, 1285-1288).

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sarlo anziché quella di sentirsi presi, afferrati, por-tati, coinvolti da esso. Tuttavia, per quanto possa-no esserci più familiari e abituali esperienze diquesto genere, la Chiesa è e rientra in una logica ditutt’altro ordine: non porta la Parola come untreno la merce o la massaia la sportina della spesa.La Chiesa è totalmente nella Parola.

Anzi, già a livello semplicemente umano e a par-tire dall’esperienza quotidiana, la gestione delleparole e la volontà di esserne registi è più un desi-derio che una realtà. Siamo sempre aggrovigliati inuna inestricabile rete di parole e in un continuotraffico di storie, a volte sino al totale intasamento.Siamo nella parola dell’amicizia, così come nellaparola preoccupata di chi sente venir meno leforze; nella parola che promette, in quella distrattae anche in quella che è detta volutamente peroffendere; nella parola di chi ha bisogno della suaquotidiana dose di speranza, nella parola che inco-raggia, ma anche nella parola che ci dissuade dalfare il male, nella parola che illumina una scelta oproibisce un’azione che forse è sbagliata in parten-za. Siamo nella parola, dimoriamo in un grovigliodi parole e di storie: è una verità che non possiamodisconoscere né mettere in discussione. Al limite,se esiste un problema, questo è soprattutto quellodi capire come abitiamo la quotidianità dellenostre parole: consiste, cioè, nel domandarci se cisentiamo a nostro agio, se ci stiamo bene oppurecostretti; se ce ne lasciamo condurre, o decisi adettare le regole del gioco. Ma tutto questo, caris-

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simi, non smentisce, né scalfisce la verità origina-ria del nostro essere «nella» parola.

Se poi ci riferiamo alla Parola di Dio, non possia-mo che ritrovare tutto questo ad un livello di inau-dita e radicale profondità. Come singoli e comeChiesa, siamo nella Parola della creazione e dellastoria, nella Parola che riempie di bellezza il pae-saggio degli uomini e del mondo. Siamo nellaParola che sostiene il dialogo d’amore delle coppiee degli innamorati, nella Parola su cui abbiamoscommesso di gettare le reti del ministero, nellaParola che fa grondare di senso i giorni e le operedell’uomo, nella Parola che ci sollecita ad alzare gliocchi al cielo e ringraziare. Siamo nella Parola cheha aperto un sentiero nel tempo, affidando ailombi di Abramo la promessa, scolpendo la Leggeper il suo popolo e indicando a Israele l’orizzontedi un’inimmaginabile libertà. Non siamo al di fuoridi quella Parola che nei tempi bui ha animato lasperanza e ha moltiplicato l’esultanza in quelli del-l’abbondanza e della pace: siamo radicati nellaParola che ha nutrito il futuro dei profeti e chenella pienezza dei tempi ha preso stabile dimoranella carne dell’uomo. Siamo nella Parola che hatrasformato il pescatore di Galilea nella rocciaincrollabile della fede per sé e per i fratelli, nellaParola che ha vergato nell’animo di Paolo le coor-dinate della rotta verso le genti.

Per questo, carissimi, il senso forte di questoinnesto originario della Chiesa «nella» Parola, cioè

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in Cristo, esclude di per sé qualsiasi altra motiva-zione o ragione d’origine: non dobbiamo il nostroessere Chiesa ad elementi di affinità umana, a chis-sà quali sintonie di nobili ideali, a comprensibilinecessità aggregative, ad intese di umana ragione-volezza, ma alla Parola viva e vivificante che si èfatta Evento nell’esperienza di Gesù di Nazareth.Sulla base di una «non debole analogia» (LG, 8),non di fronte né accanto ma «in Lui» siamo laChiesa del Verbo incarnato, cioè il mistero dellasua continuata incarnazione nella storia degliuomini, o – per dirla ancora con il Concilio – siamo«in Lui» come un «sacramento, cioè segno e stru-mento dell’intima unione con Dio e dell’unità ditutto il genere umano» (LG, 1).

2. La Chiesa «della» Parola

Il legame originario, che come abbiamo dettoindica il meraviglioso radicamento della Chiesanella Parola, in virtù della sua intensità disegnaanche i tratti di un’altra dimensione della comuni-tà ecclesiale: quella che la istituisce come Chiesa«della» Parola. Detto a mo’ di slogan: poiché siamoChiesa «nella» Parola, possiamo comprendercianche come Chiesa «della» Parola. Ebbene, carissi-mi, mi piace leggere l’espressione di «Chiesa dellaParola» secondo un doppio registro: anzitutto nelsenso di una Chiesa che «appartiene» alla Parola; e,poi, muovendo da un coraggio maggiore, nel sensopiù impegnativo di una Chiesa che «si fa» Parola.

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2.1. La Chiesa appartiene alla Parola

Secondo il primo significato, è alquanto pacificoche la Chiesa appartenga alla Parola, anche sebisogna stare attenti a non concepire questa realtànel senso povero di un legittimo possesso o in quel-lo di una proprietà giuridicamente attribuita. Alcontrario, l’appartenenza della Chiesa alla Parola,vale a dire quell’appartenenza «teologica» che ci faChiesa della Parola, si manifesta soprattutto nelfatto che il «noi» ecclesiale procede dalla Parola. Intal senso, la nostra realtà ecclesiale è istituita dalvenire a noi di quella stessa Parola che procede dalseno del Padre. Ancora meglio, nasciamo comeChiesa da una «chiamata» che procede dall’incon-dizionata iniziativa di Dio e che, stabilita sin dall’e-ternità, si realizza nel tempo. Il senso forte e pecu-liare di questa Parola che corre dalla bocca dell’Al-tissimo e va incontro alle realtà che crea nell’attostesso di chiamarle, è indicato molto bene sia dal-l’etimo del termine ebraico – qahal – che dal grecokalein. In virtù di questo dinamismo efficace, laChiesa appartiene alla Parola perché è «con-voca-zione», cioè comunità di coloro a cui Dio rivolge ilsuo Patto e la sua proposta di salvezza. La Chiesaappartiene alla Parola perché è istituita là doveviene accolto con fede l’invito di Dio: vi è Chiesa,infatti, là dove in una vocazione riconosciamo,nello stesso tempo, l’invito ad una convocazione,una chiamata a raccolta o, come dicevano i Padri,una congregatio in unum.

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Che la Chiesa, nell’appartenere alla Parola, tra-scenda il livello del possesso giuridico, significaanche che essa partecipa realmente a questa Paro-la. La Scrittura è piena di riferimenti significativi.Dal dono della Legge, tramite cui Dio fa del popolodi Israele la sua eredità e la porzione santificata trale genti, sino alla bellissima dichiarazione del pro-feta Isaia in cui Dio incoraggia dicendo: «non teme-re(…), ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni»(cf. Is 43,1); dall’esperienza tutta votata alla Paroladell’apostolo Paolo, sino alla visione dell’angelo chesuggerisce a Giovanni di aggiungere alla lista dellibro della Vita coloro che sono invitati alle nozzedell’Agnello e destinati alla comunione escatologicacon Dio (cf. Ap 19,9). La Chiesa, infatti, partecipadella Parola a tal punto da essere la destinatariadelle promesse, elevata a segno escatologico delraduno di tutti i figli di Dio dispersi.

2.2. La Chiesa si fa Parola

Ma anche il significato di Chiesa che «si fa» Paro-la non è meno gravido di aspetti forti e rilevanti.Guardando alla storia della salvezza, osserviamoanzitutto come la Parola di Dio non venga a noicon segni di ostentata superiorità né con straordi-narie manifestazioni di potenza. Negli ultimi gior-ni, anzi, viene nella storia, uomo tra uomini, assu-me la nostra carne e la forma del servo, senza van-tare privilegi né esibire manie di grandezza. In talsenso, proclama la signoria unica di Dio, ma non

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assume la “regia” delle parole umane, vale a direnon le assorbe in sé fino a vanificarle. Certo, Egliviene come Parola che parla le parole degli uominie si dice nella stessa lingua degli uomini, senza tut-tavia sottrarsi alle regole e senza inventare altregrammatiche.

Sulla scorta di quanto abbiamo appreso dall’e-sperienza della comunità giovannea e secondo unabellissima e ardita espressione che Agostino riferi-va al sacramento, potremmo dire che la Chiesa èessa stessa «verbum visibile», parola che si vede,che si ode, che si tocca. In quanto sacramento, laChiesa è autenticamente parola visibile là dovemanifesta la Parola come la sua intima ragioned’essere e di agire, là dove, secondo una riccagamma di forme e modi, si ingegna a rendere visi-bile quella Parola che la istituisce nei segni sacra-mentali del suo agire salvifico, come pure in ognigesto feriale non strettamente legato all’ambitodella celebrazione: la Chiesa si fa parola nella soli-darietà e nell’accoglienza, nell’impegno per la giu-stizia e per la pace e in tutte quelle situazioni in cuila sua azione media in maniera liberante e traspa-rente l’unica Parola che salva.

Volendo, potremmo stabilire una significativaanalogia affermando che come l’Incarnazione è ilsì della Parola che viene a condividere la storia del-l’uomo, così la Chiesa che si fa parola è il sì degliuomini che si impegnano a condividere la Vita diDio resasi visibile in Gesù Cristo. Meraviglioso

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scambio, apostolicamente garantito dall’esperien-za archetipa che ci ha consegnato la prima Letteradi san Giovanni. Ma anche meravigliosa indicazio-ne del Concilio Vaticano II che ha intenzionalmen-te insistito sulla necessità di introdurre i fedeli nonsolo alla mensa del Pane eucaristico, ma allamensa della Parola con maggiore frequenza rispet-to ad un passato di consolidata estraneità 4.

D’altra parte, una comunità consapevole dell’ur-genza dell’annuncio non può che essere una Chie-sa che si fa Parola. Non solo, dunque, una Chiesaconvocata dalla Parola ma anche una Chiesa chia-mata a farsi Parola, attenta però a non coniugarenè a configurare se stessa secondo i criteri di unalogica sterile, formalistica e addirittura schizoide.Lo abbiamo già detto prima, ma è bene ribadirlo:là dove la Parola non è sentita come Parola dellaChiesa e là dove la Chiesa non si fa Parola possia-mo solo immaginare una sorta di associazione che«porta», nel senso più materiale e vuoto del verbo,un messaggio con cui ha poco o niente a che fare.Là dove si diffonde una logica di questo genere,

4 È ormai ampiamente acquisito che la vita della Chiesa ècontinuamente alimentata dall’unico “pane di vita”, servitodall’unica «mensa sia della parola di Dio, sia del Corpo diCristo» (Dei Verbum, 21). Qualche teologo ha osservato chequesta formula è ampiamente presente nella tradizione patri-stica e arriva sino alla “Imitazione di Cristo” (IV, 11,4). LaChiesa, allora, potremmo dire adottando un’altra formulaconciliare, è formata «Verbum Dei audientes et Eucharistiampartecipantes» (cf. Sacrosanctum Concilium, 106).

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nonostante la passione per la Scrittura e tutte lecompetenze bibliche, svanisce ogni idea di realisti-ca partecipazione, si insinuano tutt’al più pratichedi mera emulazione, si scade in attivismi di este-riore militanza.

Carissimi, la Parola è più esigente di una dottri-na o di un comando, perché non è un’informazio-ne, ma la comunicazione personale di Dio. É que-sta la ragione per cui siamo chiamati ad annuncia-re non una parola, ma la Parola che assume lacarne di ciascuno di noi, la Parola che, in un certosenso, prende la somiglianza dei nostri volti, simescola alle nostre storie e addirittura alla nostrafragilità. Bellissime, in proposito, le parole diPaolo: nelle vicissitudini del tempo, è proprio que-sto il mistero grande e paradossale che si manife-sta attraverso di noi che portiamo il tesoro inesti-mabile del Vangelo in vasi di creta, di modo cheappaia che questa «potenza viene da Dio e non danoi» (cf. 2Cor 4,7). Ma è anche questa la ragioneper cui la Chiesa ha sempre insistito – e oggidovremmo farlo più che in passato – non sul sape-re e l’imparare, ma sull’ascoltare la Parola nell’ob-bedienza della fede. Sono persuaso, infatti, chesolo a condizione di farci Parola per mezzo dell’a-scolto nella fede, le nostre comunità ecclesialipotranno comprendere di appartenere indissolu-bilmente alla Parola e, quindi, scoprirsi di giornoin giorno restituite alla gioia di essere il sacramen-to storico della visibilità e della tangibilità delSignore Risorto in un mondo che cambia.

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3. «Verso» il mondo

L’intima reciprocità della Chiesa alla Parola edella Parola alla Chiesa si apre sul vasto orizzontedel mondo. Cadono giusto a proposito le parole delcosiddetto «salutis præconium» della Dei Verbum,le quali indicano molto bene la prospettiva aperta emissionaria entro cui possiamo collocare questanostra meditazione pastorale.

Il documento conciliare, infatti, e ancora unavolta con le parole di sant’Agostino, coglie la Rive-lazione di Dio nel suo peculiare carattere di proget-to salvifico per il mondo e afferma che la Chiesaascolta religiosamente e fermamente proclama laParola di Dio «affinché per l’annunzio della salvez-za, il mondo intero ascoltando creda, credendo speri,sperando ami»5.

La bellissima sequenza di fede, speranza e caritàrende infinitamente aperta la relazione di Parola eChiesa e crea lo spazio entro cui rientra il mondo,quale importante e imprescindibile interlocutore.Nella successione coordinata dei verbi, possiamoaltresì individuare l’esplicita positività che la Costitu-zione accorda all’efficacia della missione della Chie-sa: annunciando la manifestazione del Dio vivente,la comunità che si fa Parola abilita il mondo a corri-spondere al disegno di salvezza nella dinamica delle

5 AGOSTINO, De catechizandis rudibus, IV, 8.

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virtù teologali. Accogliendo l’annuncio della Chiesa,che procede dall’ascolto profondo della Parola, ilmondo corrisponde a Dio con la riconoscenza dellafede, con l’anelito della speranza, con la dedizionedell’amore. In tal senso, grazie alla comunità eccle-siale che ascolta e vive della Parola, il mondo vienericollocato nello spazio dell’eterna proposta di Dio.

Il legame originario che radica la Chiesa «nella»Parola diventa così il costitutivo essenziale delnostro impegno e delle nostre responsabilità «nel»mondo. Pertanto, l’ascolto della Parola e l’ascolto delmondo vanno adeguatamente compresi come i duemomenti distinti e caratterizzanti dell’unica vocazio-ne ecclesiale. Per questa ragione, l’impegno ad impa-rare autenticamente l’ascolto deve condurci non soload una più profonda conoscenza della Parola, ma adiventare compagni dell’uomo ed esperti in umanità.

D’altronde, un «religioso ascolto» della Parola, cheprescindesse dal riferimento al mondo, sarebbe tantosterile quanto assolutamente inutile risulterebbe unriferimento al mondo che prescindesse dall’ascoltodella Parola. Da questo punto di vista, la necessitàdell’ascolto propone alla nostra Chiesa locale un’av-ventura ad altissima fedeltà, un’esperienza in cui,oltre ad accogliere la rivelazione di Dio, ci è dato ditrasferirci in essa, in modo tale che la stessa dinami-ca della fede non si riduca all’atto positivo della rice-zione, ma si spinga sino a quello ben più “passivo”, eperciò più radicale e fecondo, dell’abbandono.

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II

COINVOLTI NELL’ASCOLTO

(Paradigmi spirituali)

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1. La necessità dell’ascolto

È ancora al Concilio che, oltre alla chiarificazio-ne del legame originario di Chiesa e Parola, dob-biamo la riscoperta e il rilancio della centralitàdella Parola nella vita della Chiesa e, quindi, le sol-lecitazioni propriamente teologico-pastorali inordine alla necessità dell’ascolto. «La sposa delVerbo incarnato – afferma la Dei Verbum –, la Chie-sa, istruita dallo Spirito Santo, si preoccupa di rag-giungere una intelligenza sempre più profondadelle sacre Scritture, per nutrire di continuo i suoifigli con le divine parole» (DV, 23). La Chiesa, natadalla Parola e Sposa che ne ricorda tutte le parole,è anche la Ecclesia Mater che con esse nutre i suoifigli.

Grazie al Concilio, oggi le comunità possonotrarre un prezioso beneficio spirituale dalla letturadella Parola di Dio; molte conoscenze biblichesono state messe in circolo grazie ad una moltepli-cità di lodevoli iniziative; più frequente e diffusa èla pratica della lettura della Bibbia in comunità ein famiglia. Tuttavia, poiché il compito è ancoramolto lontano dal ritenersi pienamente realizzato,il ritorno al Concilio diventa urgente e opportunonon tanto per ripetere cose ormai note o per regi-strare compiaciuti il già fatto, ma per maturaresempre più i nostri atteggiamenti di Chiesa coin-

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volta nell’ascolto. In concreto, crediamo che biso-gna anzitutto negare ricorrenti e diffusi luoghicomuni per poter accedere alle sorgenti di un’au-tentica spiritualità dell’ascolto e assumere un rin-novato stile di ascolto.

1.1. Al di là dei luoghi comuni

Al di là dei dibattiti propriamente specialistici,che talvolta fanno dimenticare che la Parola –soprattutto quella scritta –, prima di essere unlibro, è anzitutto un evento a servizio della Chiesa,la correlazione di Parola e Chiesa rischia di frantu-marsi a causa di una insufficiente e inadeguataeducazione all’ascolto. Non è raro sentire lamente-le sul fatto che si tratta sempre degli stessi testi,distanti dalla sensibilità della nostra epoca e perciòpoco o niente significativi. Altrettanto frequente ediffusa è la confusione tra la Parola di Dio in quan-to Rivelazione personale di Dio e la Sacra Scrittu-ra in quanto testimonianza scritta di essa6. Comepure diventa sempre più difficile condividere l’ar-dita idea di Agostino secondo cui ascoltare la Paro-la è nutrirsi di Cristo, dal momento che il contestoodierno risulta segnato da tutt’altre convinzioni:

6 La Scrittura, infatti, contiene la Parola di Dio (cf. DV, 24),ma evidentemente non la esaurisce; piuttosto ne è come iltestimone: è il sacramento in cui la Parola di Dio può essereascoltata. La Scrittura è dunque «tabernacolo della Parola diDio».

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prima tra tutte, la superficiale idea di fondo secon-do cui avremmo bisogno di nutrirci di ben altro enon certo di parole!

Contro questi diffusi luoghi comuni è necessarioriaffermare non solo una buona teologia dellaParola di Dio, ma anche l’assoluta necessità diimparare l’ascolto, sia a livello personale che alivello di vita comunitaria. D’altra parte, se voglia-mo dire qualcosa di veramente significativo a noistessi e agli uomini e alle donne di oggi, non pos-siamo persistere caparbiamente nel volerci atteg-giare ad annunciatori e maestri senza prima abili-tarci ad essere ascoltatori e discepoli.

Con le parole della scena evangelica di Marta eMaria, potremmo allora dire che, nell’ambito dell’e-sperienza cristiana, l’ascolto è di certo la «partemigliore», non solo in riferimento alla considera-zione quantitativa delle cose da fare e delle risorseda attivare, delle decisioni da prendere e delle atti-vità da programmare, ma soprattutto in relazione alfatto che la Parola mira a coinvolgere tutti gli aspet-ti della nostra vita e a vincere quella cattiva abitudi-ne mentale che a torto ci induce talvolta a ritenereche vi siano delle realtà che non rientrerebbero nel-l’ambito della fede e della Chiesa. Sono sicuro che,maturando un atteggiamento di ascolto, consenten-do a Dio di entrare in tutta la nostra vita, meditan-do la sua Parola e lasciando che essa sia effettiva-mente la permanente istanza critica e, nello stessotempo, la nostra forza, sapremo agire tenendoci

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attaccati alle nostre radici spirituali piuttosto chesoggiacere agli impulsi vaghi dell’emozione. Sapre-mo così coniugare al meglio i nostri impegni con lavolontà di Dio e, quindi, ricercare il bene autenticodi quanti ci circondano. Dio, infatti, si propone inogni cosa e parla attraverso ogni avvenimento, maper saperne scorgere la presenza è necessario che cieduchiamo ed esercitiamo all’ascolto.

Se a questo punto ci chiedessimo a bruciapeloperché sia così necessario ascoltare, saremmo cer-tamente in grado di fornire molte risposte e, senzadubbio, tutte interessanti. Ma se insistessimo, poi,nel domandare quale tra esse sia quella veramenteessenziale e determinante, allora, sulla base diquanto abbiamo meditato sino a questo punto, larisposta dovremmo averla a portata di mano: ènecessario ascoltare per essere Chiesa. Al pari diquella eucaristica, anche quella della Parola èinfatti una «mensa», una relazione conviviale dacui attingere e nutrire la dimensione ecclesiale delnostro essere cristiani, gli atteggiamenti dellacomunione e lo stile del nostro agire comunitario.Infatti, non ci stancheremo mai di sottolineare chenon siamo «con-vocati» a questa mensa per impa-rare una dottrina, ma per alimentare di infinito lanostra esperienza di Chiesa pellegrina nel tempo eper scoprire l’autentica vocazione ecclesiale adessere uomini e donne di questo tempo.

Giovanni ce lo ha ricordato senza mezzi termini:finalità ultima della Parola ascoltata, vista, toccata

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è quella di creare il «noi» ecclesiale in comunionecon il Padre, il Figlio e lo Spirito e, nello stessotempo, quale appello alla comunione con tutto ilmondo. Non si ascolta, dunque, per consumare atu per tu un’intimistica relazione con Dio, ma per-ché nel nostro animo si agitano domande ineludi-bili e fondamentali. Siamo circondati da cosemeravigliose, viviamo in un vortice di continue tra-sformazioni, siamo sedotti da grandi innovazioni eda indefinite e continue sensazioni. Le tecnologiepiù recenti hanno già messo a nostra disposizionela possibilità di conoscere tutto di tutti, tramiteimmagini, suoni e parole. Ciò nonostante, il nostrocuore sa bene che tutto questo non è sufficiente:plasmato secondo la misura eccedente dell’infini-to, il nostro cuore è straordinariamente esigente.

Da questo punto di vista, ascoltare più che un’e-sperienza di ricezione, è un protendersi, una tensio-ne di apertura verso l’altro. E, forse, non è del tuttoun caso che nel linguaggio ordinario indichiamospesso l’ascoltare come un tendere l’orecchio, quasia disegnare un movimento – un discernimento, unesodo – che ci fa uscire da noi stessi per saggiare iltono della voce dell’altro e le sfumature dei suoisentimenti. Se la parola non nasce in noi né sorge apartire da noi, se non in quanto è suscitata dall’al-tro, allora quella che oggi si indica comunementecome alterità è davvero il momento necessario equalificante di questa «e-vocazione»: l’altro –chiunque egli sia – è sempre un invito all’ascolto.Come il sorriso della madre sveglia l’identità del

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bambino, così il venire a noi della parola dell’altronell’ascolto ci desta a noi stessi. Ed è cosa veramen-te straordinaria che il primo effetto di questo veni-re a noi non sia quello di chiamarci a sé quantoinvece di destarci a noi stessi: o, almeno, di nonchiamarci a sé se non chiamandoci a noi stessi.

Non diversamente avviene nell’ascolto dellaParola di Dio che è fatta appunto per essere ascol-tata con il cuore, per essere colta nella sua assolu-ta alterità e per farci vibrare all’unisono con essa.Il suo venire a noi nella forma di Evento non puòche accendere il desiderio di una relazione d’amo-re. Ascolto e comunione sono, infatti, momentidistinti dell’unica ed esaltante esperienza di rela-zione. Ascoltare è sperimentare realmente di esse-re importanti agli occhi di Colui che ci rivolge laparola, sino alla segreta complicità del patto nuzia-le che tende al misterioso desiderio di farsi gusta-re o, addirittura, di lasciarsi prendere e mangiare.Comprendiamo così le ragioni profonde per cui laParola ci convoca ecclesialmente, per cui tendeirresistibilmente a creare il «novum» in noi, percui spesso ci spiazza rispetto alle nostre vedute e acerte consolidate abitudini, per cui ci riveste diresponsabilità, per cui sollecita i passi della nostraChiesa verso mete inedite e spazi inesplorati.

1.2. Alla sorgente dell’ascolto

Se la Parola è di Dio, il suo ascolto non può esse-re affidato solo agli sforzi dell’uomo. L’esperienza

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cristiana, che ha attraversato la prova di due mil-lenni, e l’indicazione che sin dall’inizio la comuni-tà apostolica ha messo in chiara evidenza ci indu-cono a rimarcare l’importanza dell’azione delloSpirito. Le parole dell’apostolo sono chiare eperentorie: «la lettera uccide, lo spirito dà vita»(2Cor 2,6), come a dire che, nella concreta espe-rienza della Chiesa, può sempre insinuarsi lanostalgia del ritorno al «vecchio regime della lette-ra» contro «il nuovo regime dello Spirito» (cf. Rm7,6), nel senso che è possibile tanto ascoltare unaParola viva e feconda quanto illudersi legando lapropria esistenza alla sterilità di una lettera morta.Ma, provvidenzialmente, vi è la presenza discrimi-nante dello Spirito che ci aiuta a stare dalla partegiusta7.

Lo Spirito, infatti, è il protagonista discreto maefficace dell’ascolto personale ed ecclesiale dellaParola. Secondo la promessa di Gesù, lo Spiritoche ci introduce alla verità tutta intera, non è una

7 L’ispirazione non bisogna intenderla solo come qualcosache è accaduta in un tempo limitato e che ha interessato gliagiografi dando origine ai testi ispirati, ma anche come uninflusso perenne, continuo, sempre attuale che agisce all’in-terno degli stessi libri, i quali sono e rimangono ispirati.Quello Spirito che ha riempito la Parola, con la sua attualepresenza ne assicura la “giovinezza” perenne, continua adanimarla con il suo soffio. La Parola rimane piena dello Spi-rito di Dio (ORIGENE, De principiis IV, 1,7, PG 11, 355-356)ed è di continuo fecondata miracolosamente da Lui. Cf.anche Y. CONGAR, La Parola e il soffio, Borla 1985, p. 30.

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guida esterna né un estraneo Cicerone, ma l’intimoattualizzatore della verità: non ha nulla di Sé, ma«prenderà del mio e ve lo annunzierà» (Gv 16,13);è il maestro interiore dell’ascolto, la guida infallibi-le della Chiesa e, nello stesso tempo, il divino«Ascoltatore» del Verbo in sé e in noi. Anzi, il suoattingere dal Cristo è uno dei tratti distintivi dellasua Personalità divina. Lo Spirito, però, proprio inquanto perfetto ascoltatore non attinge dall’ester-no per travasare ancora all’esterno, ma dall’intimoall’intimo: dall’intimità del Verbo all’intimità dellaChiesa, dalla divina profondità della Parola allacreata profondità del cuore ecclesiale.

È tutta qui la sua fondamentale e non delegabileabilitazione. Ed è proprio perché attinge alla inti-mità della Parola che lo Spirito può rendere pre-sente e realizzare, qui ed ora, la memoria dell’E-vento e darsi in anticipo come la caparra della pie-nezza della Vita. Prendendo a prestito le paroledalle scienze umane, potremmo anche dire che loSpirito è guida all’ascolto perché spezza i tantilegami simbiotici di convenienza per sostituirlicon un più maturo legame simbolico. Lo Spirito,cioè, non confonde, ma distingue e ci insegna adistinguere perché la nostra relazione con la Paro-la – cioè la nostra esperienza di ascolto – sia adul-ta e, ad un tempo, libera e liberante. Ecco perchélà dove non c’è ascolto secondo lo Spirito, regnasolo una gran confusione e il fascinoso agitarsi diinutili attivismi.

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Per la Chiesa l’ascolto «nello» e «dello» Spirito èuna necessità assoluta. Questa presenza continuadello Spirito ringiovanisce la Parola, introducenella contemplazione che arriva a ricevere il sensodel testo, aprendo a significati ulteriori, mai messiin luce. Il Vaticano II accoglie questo insegnamen-to quando dice che per mezzo dello Spirito la vocedel Vangelo continua a risuonare viva nella Chiesae che Dio non cessa di parlare (cf. DV, 8).

È la guida silente e discreta dello Spirito, caris-simi, che ci sollecita a camminare nella verità incontinuo e permanente atteggiamento di ascoltoanziché a sostare paurosi e preoccupati per lamera precisione formale della lettera. Egli, infatti,è lo Spirito della verità (cf. Gv 14,17) perché, ad untempo, la dice e la testimonia, la conosce e puòfarla conoscere, ne è intimo e può interiorizzarlanei nostri cuori. «È lo Spirito, allora, a farci entra-re nella verità tutta intera attraverso la porta dellaParola di Dio, rendendoci operatori e testimonidella forza liberante che essa possiede e che è cosìnecessaria a un mondo in cui spesso sembra si siaperso il gusto e la passione per la verità»8.

8 B. FORTE, La Parola per vivere, Lettera pastorale, n. 4,2006.

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1.3. Per un rinnovato stile di ascolto

A coronamento di quanto abbiamo meditato alivello teologico-fondamentale, possiamo legitti-mamente sostenere che, docile all’azione dello Spi-rito, tutto l’agire pastorale della Chiesa passa attra-verso l’ascolto. Come immaginare, infatti, di potercomunicare il Vangelo in un mondo che cambia aprescindere dalla viva esperienza dell’ascolto dellaParola? Il corredo degli atteggiamenti e delle com-petenze che realizzano quel dialogo aperto e confi-dente che è la mediazione ecclesiale non è da cimaa fondo segnato dall’esperienza dell’ascolto?

Dalla testimonianza della vita alla competenzanel leggere le Scritture, dalla conoscenza della tra-dizione ecclesiale all’impegno di rendere in ognicircostanza ragione della speranza che è in noi,dalla condivisione dell’esperienza di Dio al discer-nimento comunitario dei segni dei tempi: tuttiquesti momenti fondamentali dell’agire ecclesiale,che impegnano ciascuno di noi nell’essere all’altez-za del servizio ministeriale della Parola, hanno laloro scaturigine prima nell’ascolto.

Vale la pena, allora, sottolineare almeno treaspetti qualificanti e imprescindibili di un rinnova-to stile di ascolto. E lo facciamo non con la prete-sa di fornire una classificazione o una tipologiadell’ascoltatore ideale munito dei più nobili atteg-giamenti e delle più rare competenze, bensì trat-teggiando, in particolare e in termini più modesti,il profilo di un modello valido per ogni credente.

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1.3.1. Ascoltare è accogliere

La forma cristiana dell’ascolto non è una tecnicané una strategia, ma uno stile che, procedendo dallaParola di Dio viva ed efficace, disegna e rinnova l’i-dentità del credente e della comunità. Poiché non èper l’informazione, ma per la trasformazione, è dicapitale importanza che il nostro stile di ascolto siaanzitutto praticato in maniera costruttiva. Infatti, làdove ci impegniamo in una profonda esperienza diascolto, ci sentiamo chiamati ad accogliere non soloquanto ci viene detto – il cosiddetto contenuto – maassieme ad esso un’enorme quantità di proiezioniche, in indefinite e modulate variazioni, si riversanonella nostra stessa interiorità.

Uno stile di ascolto autentico ed efficace si giocamolto – se non totalmente – sulla gestione dellediverse proiezioni che interiorizziamo: infatti, èassolutamente determinante l’atteggiamento concui ci disponiamo ad accoglierle, evitando di pro-vocare deformazioni e deviazioni di senso. Perquesta fondamentale ragione, ci sembra che laprima e fondamentale regola di un rinnovato stiledi ascolto sia quella di accogliere con tutto il cuoreanziché razionalizzare le diverse proiezioni che laParola porta con sé.

La Parola di Dio – ma anche la parola dell’uomo– nella misura in cui procede da una ben compre-sa alterità richiede un atteggiamento di accoglien-za diametralmente opposto all’inerte e succube

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passività. Quando ascoltiamo autenticamente se,da una parte, non siamo i censori né i maestri cheintervengono con giudizi e spiegazioni, dall’altranon siamo nemmeno di quelli che stanno sempli-cemente «a sentire». Non è forse questo stile diascolto non prevenuto che ci aiuta a riconfigurareil nostro mondo secondo tratti di novità? Che ciconsente cioè di ritessere le trame di una rinnova-ta appartenenza al nostro universo di valori e direlazioni?

In tal senso, rivestire la forma cristiana dell’a-scolto vuol dire rimuovere da noi stessi tanto loschema del “complice” che quello del “maestro”, eimpegnarsi positivamente ad ascoltare profonda-mente noi stessi lungo gli inediti percorsi che laParola di Dio viene a tracciare nella nostra stessainteriorità. Da questo punto di vista diremo che l’a-scolto è un’esperienza di “approfondimento” nonsolo dell’altro, ma anche di noi stessi, vale a direun’esperienza di comprensione che potremmo sin-teticamente esprimere nella seguente dinamicaesistenziale: mentre ascoltandoti seguo il tuo rac-conto, seguo e ascolto me stesso.

1.3.2. Ascoltare è coinvolgersi

Un altro tratto della relazione che l’ascolto istitui-sce con la parola dell’altro, in quanto persona e inquanto dono è l’esperienza del coinvolgimento.Non possiamo dire di aver realizzato un ascolto

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autentico se non a partire dal coinvolgimento neltessuto e nel vissuto di una relazione significativa.Anche a tal proposito, potremmo formulare questaesperienza in termini dinamici e reciproci dicendoche quanto più intensa è la relazione tanto piùcoinvolgente sarà l’ascolto e che quanto più intensoè l’ascolto tanto più coinvolgente sarà la relazione.

Questa dinamica, che le odierne scienze umaneindicano comunemente come «specularità costrut-tiva», è un dato costante della spiritualità cristianadel passato su cui oggi dovremmo ritornare conuna certa urgenza. Anche questa forma di «ascoltospeculare», è un’attività che, a livello esistenziale,vocazionale ed ecclesiale, svolge una singolare fun-zione di orientamento. È come dire che siamotanto più coinvolti, quanto più nell’ascolto riuscia-mo a cogliere lo specchio adeguato della nostrasituazione o – come si dice comunemente – «quan-to più ci ritroviamo» in ciò che la Parola di Dio ola parola dell’altro ci propone. Ciascuno di noi,infatti, costruisce la propria immagine – o «le pro-prie immagini» – a partire dal grado di coinvolgi-mento e di interiorizzazione con cui vive l’espe-rienza dell’ascolto.

Ecco perché, fratelli carissimi, la forma cristianadell’ascolto coinvolgente ha, non a caso, il presup-posto fondamentale nella fede. D’altra parte, comepotremmo immaginare un qualche coinvolgimen-to senza aver fiducia nella persona che ascoltiamoe in ciò che essa ci racconta? Non è forse sulla base

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di questa fiducia che, ascoltando, possiamo altresìriconoscere, al di là del detto e del dire immediato,numerose domande implicite?

In effetti, non possiamo ritenere di aver piena-mente ascoltato la Parola di Dio e neppure la con-fidenza di un amico senza aver riconosciuto, al dilà e dentro le righe di ciò che ci è stato espressa-mente detto, anche domande inespresse, possibiliabbozzi di mondi differenti dal nostro, ma tuttaviainteressanti e degni di altissima considerazione.Secondo una formulazione sintetica, soprattutto inrelazione al coinvolgimento personale ed ecclesia-le nella Parola di Dio, potremmo allora dire: nell’a-scoltarti colgo un mondo che qui non è presente, maa cui credo per la fiducia che ho in te.

1.3.3. Ascoltare è comprendersi

Se Dio ci avesse imperiosamente detto «Taci!»,per noi uomini tutto sarebbe stato molto più sem-plice, ma anche terribilmente squallido e depri-mente. Se così fosse, non saremmo gravati di tantaresponsabilità, ma ci ritroveremmo più sudditi chefigli, poveri di libertà e privi di creatività. Provvi-denzialmente, Dio ha detto, invece: «Ascolta!» (cf.Dt 6,3; 7,12), e soprattutto ha accluso a questaingiunzione la promessa di una straordinariaavventura. Sappiamo bene, infatti, che le promes-se di Dio non chiedono un’attesa inoperosa e para-lizzante, ma mettono in cammino.

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Ebbene, carissimi, l’ascolto non è un atto, ma uncammino dal momento che parte integrante dellasua dinamica è il progredire della comunicazioneda livelli per così dire di partenza ad una vera epropria espressione di matura consapevolezza.Nell’ascoltare e nell’ascoltarsi non si tratta tanto diaccordarsi in merito a un determinato contenutoquanto piuttosto di imparare a comprendersi stra-da facendo. Lungo questo tracciato si snoda tuttala storia della salvezza che, al suo fondo, è il reci-proco ascoltarsi di Dio e dell’uomo e il meraviglio-so dialogo dell’altrettanto reciproca comprensione.

Al di là di ogni valutazione e giudizio, nell’ascol-to autentico maturiamo la consapevolezza di quelche siamo veramente e accediamo al senso ultimodella nostra identità umana e cristiana. Compren-diamo quel che siamo, nella misura in cui ci sco-priamo al cospetto della Parola che ci ha chiamatidal nulla all’esistenza, che ci ha invitati al dialogodi salvezza, che guida i nostri passi lungo i sentie-ri a volte sconvolgenti della sua insostituibilevolontà. Comprendendoci al cospetto della Parolaentriamo nell’intimità di Dio e sentiamo il misterodella sua vicinanza per poterla a nostra voltacomunicare. Al cospetto della Parola, infine, cicomprendiamo come figli e reciprocamente comefratelli, intensificando così il senso della nostraappartenenza alla comunione ecclesiale.

Nell’orizzonte di questa reciproca comprensioneche ha il suo snodo fondamentale nell’ascolto, met-

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terci in cammino, scommettendo su tracce incertee disponibili all’imparare sempre da capo, signifi-ca maturare la consapevolezza di essere protagoni-sti di un’avventura d’amore in cui siamo abbon-dantemente ripagati di ogni precarietà: la meta diquesto ascolto in cammino è, infatti, la conquistadella nostra più autentica identità personale edecclesiale.

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III

FREQUENTARE LA PAROLA

(momenti di ascolto)

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L’Incarnazione della Parola, che è il mistero incui la vita di Dio si è resa definitivamente manife-sta, inaugura la storia cristiana. Questa storia,però, pur ponendosi nel tempo e nello spazio degliuomini in maniera registrabile come qualsiasialtro dato di fatto, non può essere raggiunta dalbasso. È un’esperienza che è e rimane uno «scan-dalo». Non solo: è e rimane un mistero, nonostan-te che la Parola inaccessibile di Dio si sia lasciataascoltare, vedere e addirittura toccare.

Anche nelle nostre relazioni interpersonali, pos-siamo riscontrare un vedere, un ascoltare e persi-no un toccare che non sono, di per sé e immedia-tamente, un raggiungere. Ascoltare la persona chesi ama, contemplare estasiati il suo viso, sfiorarecon trepidazione la sua carne non vuol dire ancoraentrare nel mistero profondo che la costituisce inradice. Al contrario, i nostri quotidiani rapporti ciinsegnano che questo accesso al mistero dell’altrolo si guadagna nel corso di un lungo cammino:oltre alla frequentazione, sono necessarie passio-ne, apertura e disponibilità al fine di poter giunge-re a lambire almeno un po’ del mistero dell’altro.Questa, infatti, è la straordinaria natura dell’amo-re, quale continua dinamica di prossimità e didistanza, intimità e differenza, tangibilità e tra-scendenza, ma pure quale permanente esposizione

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agli estremi della banalizzazione o dell’idolatria ealla sempre presente tentazione di rendere l’altrocosì vicino da farne una ovvietà oppure così lonta-no da mistificarlo.

Ebbene, fratelli, a tirarci fuori da questi estremi-smi, gioverebbe poco l’indiscriminata moltiplica-zione dei gesti e delle parole se alla base non viponessimo una profonda esperienza di ascolto.Nell’ambito dell’esperienza ecclesiale, qualoravolessimo prescindere dall’ascolto anche mille ini-ziative e attività potrebbero di fatto non realizzarealcuna prassi, così come il singhiozzo di milleparole non darebbe vita ad alcun vero annuncio: allimite, si tratterebbe di spasimi passeggeri, ma nondi certo di quel forte vento di rinnovamento di cuiabbiamo bisogno. È questa, dunque, la ragione percui vogliamo impegnarci come Chiesa “nella” e“della” Parola a riscoprire i luoghi e i momenti del-l’ascolto: cioè, a privilegiare un silenzio che ci aiutia raccoglierci, ad educare una meditazione che ciconfiguri come “Chiesa” in cammino, a praticareuna lectio divina che ci consenta di ritrovarci comecomunità nel respiro dell’unica Parola. Vogliamo,insomma, impegnarci come Chiesa a vivere un’au-tentica spiritualità dell’ascolto. E, dicendo ciò,penso ad una spiritualità in cui l’ascolto personaleed ecclesiale della Parola più che la logica delmondo “respiri” lo Spirito di Dio.

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1. Il silenzio

Se la Parola che viene da Dio non può esserecolta semplicemente dal basso come qualsiasi altraespressione umana, allora il requisito fondamenta-le per riceverla non potrà essere un silenzio qual-siasi, ma quel silenzio che possiamo definire un«modo di essere» o, ancora meglio, quel silenzioche è reale prossimità al mistero e condizione fon-damentale dell’ascolto. Si tratta di un silenzio nonsolo particolarissimo nel suo genere, ma anche dif-ficile da realizzare senza un continuo ed insistenteesercizio. Educarci a questa modalità di silenzioimplica, anche qui, l’impegno a prendere le distan-ze dallo stile della maggioranza e a cambiare unamentalità che è sempre più incline a recepire glieventi secondo la «logica dello scalpore».

Non è un compito facile né da assumere a cuorleggero, dal momento che in questa logica delloscalpore vi siamo così assuefatti e abituati che avolte anche noi finiamo col credere che solo ciòche fa rumore sia meritevole di attenzione. Troppospesso, infatti, quando cerchiamo di evidenziareun avvenimento non è al silenzio che facciamoriferimento, ma al polverone e allo scalpore cheesso ha suscitati. Questa logica, che quasi sponta-neamente ci porta a dire che questo o quell’eventoè importante perché “tutti ne hanno parlato” o per-ché “ha avuto grande risonanza”, nasconde in real-tà una perniciosa insidia: quella di farci credereche solo quel che fa rumore sia vero e che quanto

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non fa rumore sia privo di verità! Ed è una tenta-zione che può insinuarsi anche nelle nostre comu-nità, dove il quotidiano riferirsi alla Parola puòprocurare molto rumore e addirittura impedire l’a-scolto autentico. Chi ama la Parola, sa quanto sianecessario il silenzio, interiore ed esteriore, perascoltarla veramente e per lasciare che la sua lucesi trasformi mediante la preghiera.

Certo, è risaputo che la Parola sia più del silenzio,ma è altrettanto vero che essa non può essere senzail silenzio: infatti, il Dio in cui crediamo, nonostan-te la sua definitiva autorivelazione, rimane essen-zialmente il Dio nascosto. Per questa ragione,rispetto a quella del rumore, la logica di Dio è radi-calmente altra, come ci attesta tutta la storia dellasalvezza, là dove i più significativi e decisivi inter-venti di Dio sono avvolti da altissimo silenzio: dalsilenzio che circonda la Parola della creazione, sinoal silenzio dell’evento dell’Incarnazione, sino a quelparticolarissimo silenzio dell’ultima mezza ora delmondo e che precede, come racconta l’Apocalisse,la definitiva svolta della storia. L’ascolto è il silenziofecondo abitato dalla Parola: «Il Padre pronunciòuna parola, che fu suo Figlio e sempre la ripete inun eterno silenzio; perciò in silenzio essa dev’esse-re ascoltata dall’anima»9.

9 GIOVANNI DELLA CROCE, Sentenze. Spunti d’amore, n.21, in Opere, Roma 1967.

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Per noi, Chiesa nella Parola e della Parola, ilsilenzio è, dunque, lo spazio stesso in cui dimoraDio. Non a caso, non solo noi cristiani, ma tutte letradizioni religiose dell’umanità, ritengono che ilsilenzio abbia evidenti risonanze spirituali e loconsiderano la via maestra che conduce a Dio. Maquesto universale riferimento al silenzio è anche laragione per cui non possiamo liquidare la suanecessità dicendo, in tono superficiale e rassegna-to, che esso è per persone che non hanno troppo dafare oppure limitandolo a qualche raro momentoparticolare o a un brandello di tempo strappatoagli impegni.

No, fratelli! Il silenzio è anzitutto la risposta del-l’uomo alla Parola di Dio. Una risposta che si dis-taccasse totalmente dal silenzio e ne sgretolasse ilmistero sarebbe inesorabilmente condannata adiventare chiacchiera, dal momento che per man-tenersi significativa sarebbe costretta a moltipli-carsi senza sosta sino a diventare caricatura di sestessa. Da questo punto di vista, non finiremo maidi sottolineare che se esiste un ascolto della Parolanel silenzio esiste anche un ascolto di quel silenzioche la Parola porta con sé. In quanto avvolta inquesto silenzio, la Parola sta permanentementenella Chiesa come dono e mistero, così come silen-te, misteriosa, discreta è la presenza dello Spiritoche, in quanto interprete della Parola, interiorizzae approfondisce, ma senza far rumore. Da questopunto di vista, è totalmente istruttiva per la Chiesal’esperienza della Vergine Maria che, certo, acco-

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glie la Parola rispondendo «Ecco, la serva delSignore», ma poi concepisce quella stessa Parolanel più assoluto silenzio10.

2. La meditazione

Se il silenzio, più che uno stato fisico, è quellacondizione dello spirito che ci consente di farciraggiungere dalla Parola, la meditazione costitui-sce, per così dire, il passaggio concreto e obbliga-to, o, se vogliamo, l’accesso al senso di quella Paro-la in cui da sempre siamo. In proposito, mi premesottolineare che l’accoglienza della Parola nellamodalità del silenzio è condizione necessaria, manon sufficiente. Infatti, è necessario che al momen-to dell’accoglienza segua il momento della “intelli-genza”, vale a dire il progressivo entrare nellaParola e il graduale introdurci nel mistero che essaporta con sé. È quanto la tradizione cristiana indi-ca generalmente con il termine «meditazione».

Fare silenzio nel proprio cuore perché la Parola cimetta in cammino: ecco la meditazione, anzi la spe-

10 La Madonna è immagine della Chiesa anche per il suosilenzio. Da notare però che «il suo silenzio non è solo assen-za di voci. Non è il vuoto dei rumori. E neppure il risultato diuna particolare ascetica della sobrietà. È, invece, l’involucroteologico di una presenza. Il guscio di una pienezza. Il grem-bo che custodisce la Parola» (A. BELLO, Maria donna deinostri giorni, San Paolo 1993, p. 72).

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cificità della meditazione cristiana. Anche dinanzi altesto biblico, siamo invitati a disporci al silenzio per-ché la Parola possa indicarci il cammino da percor-rere. Intesa in questa forma, la meditazione correladue momenti che altrimenti rischiano di prendere ladirezione sbagliata della divergenza schizofrenica: ilsoggettivismo e l’oggettivismo. Correla cioè ilmomento dell’interpretazione della nostra esistenza,che si compie nella comprensione di noi stessi, e ilmomento dell’ascolto di ciò che riecheggia in noi macome proveniente da lontano, che è il mistero che laParola dischiude. In breve, meditare è interpretare elasciarsi interpretare, secondo quella celebre circola-rità ermeneutica di cui parla la teologia di scuola.

Si tratta, ancora una volta, di un cammino in cuinon siamo lasciati a noi stessi, ma affidati allacompagnia dello Spirito che solo può condurci,come i discepoli di Emmaus, all’intelligenza pro-fonda di tutta l’economia della Rivelazione, com-prese le Scritture. Di questa spirituale intelligenza- «leggere dentro» - la meditazione è, ad un tempo,l’esperienza e la meta, il processo e il risultato. Intal senso, meditare non è pensare, ma “assumerein cammino” l’impegno a penetrare la Parola diDio. Meditare, cioè, significa disporsi a percorrere,nello Spirito, le tracce del mistero di quella Parolache in molti modi segna la nostra esistenza. È rian-dare, passo dopo passo, sulla nostra storia perso-nale ed ecclesiale per scoprire come e dove essa è“informata” da Dio. Più che di un esercizio diconoscenza in generale, si tratta di un percorso di

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riflessione personale e comunitaria che si avvicinapiù al metodo dell’amore che a quello del sapere, eche si realizza più con il cuore che con i libri.

Guardata secondo questa ottica, la finalità pro-pria della meditazione presenta un duplice aspetto:da una parte, essa tende al raggiungimento dellanostra identità di creature e, sulla base di questapresa di coscienza, apre il varco privilegiato al ren-dimento di grazie. Scoprirci creature e cogliere leinfinite ragioni per rendere grazie sono, pertanto,l’unico atto della medesima presa di coscienza acui approdiamo tramite l’esercizio della meditazio-ne. In tal senso, possiamo considerare riuscitaquella meditazione che ci fa scoprire il senso del-l’essere creature realmente coinvolte nella gratuitàdella Parola che le tiene in essere.

In altri termini, tramite una sana meditazionepiù che intrecciare pensieri generali sul mondo,sull’uomo e su Dio, accediamo all’alterità rispettoalla Parola, cogliamo la creaturalità in quanto dif-ferenza rispetto al Creatore, ci scopriamo nellatrama infinitamente ricca di tutte le altre creaturee comprendiamo di essere stati chiamati in questoarazzo di comunione a riflettere la forma autenti-ca del “noi” ecclesiale. In questa luce, la meditazio-ne è tutt’altro che noioso esercizio di pensiero: alcontrario, è l’arte del sapersi possedere in pienezzasuperando gli angusti confini dell’esercizio intellet-tualistico, l’arte cioè di cogliere quanto la Parolasia inseparabile da ogni espressione e frammento

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della mia e della nostra vita. Praticando autentica-mente quest’arte, scrutiamo le dimensioni dellanostra interiorità dischiudersi a momenti imprevi-sti, a relazioni inedite, a svolte non immaginate, aconsiderazioni diverse sulle nostre occupazioniordinarie, a modi radicalmente nuovi di abitare larealtà e di vivere la comunità.

3. La lectio divina

L’ascolto silente e la meditazione della Parola diDio che lo Spirito rende possibili costituiscono imomenti forti e caratterizzanti di una comunità cri-stiana impegnata a discernere la volontà di Dio e arispondere alle necessità dell’uomo. In tal senso, concautela ma anche con forza, possiamo affermaresenza tentennamenti che la lectio comunitaria puòessere annoverata a pieno titolo nella più vasta atti-vità “teologica” della Chiesa. Infatti, là dove ciincontriamo per ascoltare la Parola, per meditarlain relazione all’esistenza, per confrontarci e proget-tare la mediazione dell’annuncio, lì, in quantocomunità, diventiamo vero e proprio soggetto teolo-gico, “locus” in cui il Signore continua a rivelarsi.

D’altra parte, è così che la tradizione cristiana,prima ancora delle specializzazioni accademiche,ha integrato l’ascolto della Parola di Dio e l’ascoltodella parola dell’uomo nella forma propriamenteteologico-spirituale della lectio biblica. In tal senso,entrare in dialogo con il mondo del nostro tempo

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assumendone i nodi problematici e le risorse nonsono momenti giustapposti all’ascolto della Paroladi Dio, ma una parte integrante di esso. Se siamostati convocati per annunciare la Parola, è dunquenecessario che impariamo a parlare bene la linguadegli uomini del nostro tempo.

Da questo punto di vista, la pratica integrale dellalectio comunitaria della Scrittura ci offre una for-midabile opportunità nel rendere ancora piùautentico e più efficace il nostro essere Chiesanella Parola e della Parola. E ciò, conformementea quanto si auspicava il Concilio là dove affermache bisogna educare tutto il popolo cristiano afamiliarizzarsi con la Scrittura per incontrare laParola e pregare con la Parola (cf. DV, 25). Ora, lapratica più opportuna per accostarsi alla Scritturaè proprio la “lectio divina”11 nei suoi noti momenti

11 Scrive Benedetto XVI: «La Lectio divina consiste nelrimanere a lungo sopra un testo biblico, leggendolo e rileg-gendolo, quasi “ruminandolo” come dicono i Padri, e spre-mendone, per così dire, tutto il “succo”, perché nutra lameditazione e la contemplazione e giunga ad irrigare comelinfa la vita concreta. Condizione della lectio divina è che lamente e il cuore siano illuminati dallo Spirito Santo, cioèdallo stesso Ispiratore delle Scritture, e che si pongano per-ciò in atteggiamento di “religioso ascolto”» (Angelus, 6novembre 2005). Anche i Vescovi italiani negli orientamentiper questo decennio propongono la pratica della lectio divina«intesa come continua e intima celebrazione dell’alleanzacon il Signore mediante un ascolto orante della Sacra Scrit-tura, è capace di trasformare i nostri cuori e di iniziare ognu-no di noi all’arte della preghiera e della comunione» (CEI,Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 49).

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della meditatio, della oratio, della contemplatio edell’actio. La sapiente integrazione di questimomenti costituisce un ottimo metodo per consen-tire alla Parola di scavare nel nostro cuore e dimodellarci ad immagine del Figlio. Certo, è ancheuna pratica che serve a penetrare il senso del testobiblico e a farcene gustare la bellezza e la ricchez-za, ma la finalità propria della lectio è anzituttoquella di istituire un confronto tra la Parola e lanostra vita personale e comunitaria, di condurcialla contemplazione, di permettere a Dio di agirein noi e indicarci il percorso della conversione.

Un racconto dei Padri del deserto ci fa capire benecosa si intendeva per lectio divina. Un giovane fecevisita ad un eremita chiedendogli di restare con luiper «imparare a pregare con le Scritture». Allarichiesta del perché, il giovane rispose: «Perché è lascienza più alta che esista». Ma il monaco, con tri-stezza, gli disse che non poteva accoglierlo. Dopoqualche tempo il giovane tornò; ripetè la richiesta eaggiunse che voleva imparare a pregare con laScrittura per diventare santo. E l’eremita ancorauna volta: «Non posso accoglierti». Per la terzavolta il giovane tornò chiedendo all’eremita di inse-gnargli a pregare con la Bibbia. E alla richiesta delperché, il giovane questa volta rispose: «Perchévoglio fare esperienza di Dio». Gli occhi del mona-co si illuminarono di gioia e, abbracciando il giova-ne, acconsentì che rimanesse con lui come suodiscepolo. Ecco lo scopo della “lettura spirituale”.Non si tratta di acquistare nuovi concetti o di

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apprendere nuove verità, ma di incontrare Dio, dipoter parlare con lui, per «conoscere il volto di Dionella parola di Dio» (Gregorio Magno).

La “lectio divina” è una via semplice di letturaspirituale della Bibbia. Consiste, in primo luogo,nel leggere lentamente e con attenzione il testosacro e leggerlo in un clima di digiuno spirituale,così come se fosse la prima volta che lo leggiamo.È come se fossimo ai piedi di Gesù Maestro, e loascoltassimo per la prima volta come discepoli e cisorprendessimo di nuovo con la sua persona, e loascoltassimo con gioia, pieni di ammirazione.

Il secondo momento di questa lettura è la medi-tazione. Bisogna meditare la Scrittura per scoprireil suo senso profondo e la sua interpretazionesecondo la lunga Tradizione della Chiesa e del suoMagistero, così come la sua applicazione almomento storico attuale e alla nostra stessa vitapersonale. I Padri della Chiesa per esprimere que-sto concetto dicevano che il testo biblico deve esse-re ruminato, masticato in bocca, per poterlo quin-di calare nel cuore e farlo trasparire nella vita. Lameditazione, quindi, attualizza, incarna, la Parolanell’oggi.

Il terzo momento sarà la preghiera. Dalla letturae dalla meditazione, mediante un impulso fervoro-so, bisogna elevare il nostro cuore a Dio. Saràinnanzitutto un atteggiamento di adorazione silen-ziosa. Un momento in cui lasciamo lo Spirito diDio pregare in noi (cf. Rm 8,26). Infatti è Lui che

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ci farà provare l’amore di Dio in questa letturaorante. Sarà anche una preghiera di lode per la sal-vezza che Dio offre in Cristo, una preghiera di per-dono per i nostri peccati e per le nostre chiusure aDio. E finalmente una preghiera di supplica affin-ché possiamo ricevere il dono di aprire la porta aGesù Cristo, lasciarlo entrare nella nostra vita,lasciarci invadere da lui e permettere che lui stes-so ci trasformi mediante la forza santificatricedello Spirito.

E poi il quarto e ultimo momento è la contempla-zione. È un termine che può sembrarci lontano,poco adatto a persone abituate alla concretezza.In verità la preghiera porta sempre a trascendersi,ad andare oltre se stessi per immergersi nel miste-ro di Dio; appunto, alla contemplazione. Essa,infatti, è il sentirsi coinvolti personalmente nelmistero di Dio Uno e Trino e, in un certo qualmodo, assaporarlo misticamente. La contempla-zione non si traduce in molte parole. È sentirsidavanti a Dio e in Dio come i figli diletti. È unmomento di grande intimità, di convivenza, diadorazione e di lode. Contemplare il volto di Gesùe in lui il volto di Dio, per affidarci totalmente alui. Da questa contemplazione di Gesù Cristo escetrasformato anche il nostro modo di guardare e dicomprendere il mondo, le persone e la storia.Cominciamo a vedere e a capire tutto attraversogli occhi di Gesù. E noi stessi siamo immersi nelprocesso di trasformazione del mondo e della sto-ria che la Parola di Dio sta provocando. In defini-

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tiva, contemplare il mistero di Dio non significafuggire la vita e la storia; al contrario attua unavisione profonda di ogni realtà e ci permette dicogliere il valore eterno.

Pertanto, se vogliamo che la Parola udita, con-templata, toccata possa a sua volta essere ascolta-ta e accolta anche negli orizzonti più vasti dellacultura odierna, bisogna che ci impegniamo ariscoprire e, se necessario, ad innovare sapiente-mente questa antica pratica comunitaria. È uncompito da cui non possiamo esimerci, che non sigiustifica come dovere, ma che ha la sua ragionesostanziale in quanto conseguenza immediata delfarsi carne della Parola. Lavoro, senza dubbio, dif-ficile e impegnativo, ma anche attività affascinan-te ed esaltante che, portata avanti con competen-za e sistematicità, diventa un sicuro aiuto allacomunità nel comprendere la Parola non come unmessaggio sostanziato in un passato che non puòtornare, ma come un evento dinamicamente effi-cace nella rilettura che possiamo e sappiamofarne nell’oggi.

Non sarebbe del tutto fuori luogo, carissimi, se lenostre comunità istituissero la pratica della lectiodivina non solo per la propria crescita spirituale,ma anche per dare un reale, prezioso e capillarecontributo a quel «progetto culturale orientato insenso cristiano», su cui giustamente insiste datempo la Chiesa italiana. Ovviamente, poiché sitratta di una pratica segnatamente «teologica», èimportante che la nostra Chiesa locale si impegni

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in una lectio biblica che trascenda la semplice ripe-tizione di formule risapute e logore in direzione diuna riappropriazione autentica della Parola di Dioper l’oggi. Non dobbiamo dimenticare, infatti, chela svolta odierna richiede lo stesso coraggio che hamostrato la Chiesa delle origini allorquando hacominciato ad espandersi per portare il Vangelosino agli estremi confini della terra.

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CONCLUSIONE

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Carissimi, al termine di questa lettera più che unaconclusione da affidare alla carta, non posso farealtro che sollecitare ciascuno di noi a praticare unascolto profondo, ecclesialmente autentico epastoralmente incidente. All’inizio ho riportato lastupenda sintesi programmatica del papa Benedet-to XVI, alla fine vorrei ricordare il suggestivoimperativo di Giovanni Paolo II, di beata memoria,– Non abbiate paura! – modulandolo in un tripliceinvito.

Anzitutto, non abbiate paura della Parola! Inquanto Parola della comunione e della vita, essa èla vittoria definitiva di Dio su ogni forma di solitu-dine e di morte. È l’estasi stessa di Dio che, peren-nemente vivificata dallo Spirito, ci chiama a viverenella Chiesa e ci accompagna lungo i sentieri deltempo verso i cieli nuovi e la terra nuova del Regno.

Inoltre, non abbiate paura dell’ascolto! In quantointimità con Dio, l’ascolto è il sigillo qualificantedella fede cristiana e della fraternità ecclesiale.Non abbiate paura dell’ascolto, non solo quando èconsolazione e progetto, ma anche quando è ferita,diniego, rifiuto.

Infine, non abbiate paura del silenzio! In quantospazio che Dio riempie costantemente della sua

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presenza, esso è una dimensione essenziale dellanostra umanità! È la sporgenza estatica che cir-conda il mistero stesso di quella Parola che cimette in grado di cercare parole nuove, non abusa-te, non logore, non frutto di ripetizione. Ma paroledi vita eterna.

Carissimi, in questa Quaresima, il Signore cidoni il silenzio e l’attenzione d’amore di cui eracolma la Vergine Maria; ci doni la capacità di acco-gliere la Parola e la forza che viene dal silenzio permettere tutto il nostro essere a servizio della Paro-la di vita.

Otranto, 21 febbraio 2007Mercoledì delle Ceneri

@ DONATO NEGRO

Arcivescovo

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INDICE

I PAROLA E CHIESA Pag. 91. La Chiesa «nella» Parola » 112. La Chiesa «della» Parola » 15

2.1. La Chiesa appartiene alla Parola » 162.2. La Chiesa si fa Parola » 17

3. «Verso» il mondo » 21

II COINVOLTI NELL’ASCOLTO » 231. La necessità dell’ascolto » 25

1.1. Al di là dei luoghi comuni » 261.2. Alla sorgente dell’ascolto » 301.3. Per un rinnovato stile di ascolto » 341.3.1. Ascoltare è accogliere » 351.3.2. Ascoltare è coinvolgersi » 361.3.3. Ascoltare è comprendersi » 38

III FREQUENTARE LA PAROLA » 411. Il silenzio » 452. La meditazione » 483. La lectio divina » 51

CONCLUSIONE » 59

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Scritti e Documenti PASTORALI di Mons. Donato Negro

1. In ascolto della Parola, a servizio dei poveri, in compa-gnia degli uomini, 1994

2. Sulle orme di Cleopa, Lettera ai giovani, 1994

3. Chiesa in cammino nella storia di oggi fra compito eattesa, 1994

4. Passi verso l’amore, 1995

5. Evangelizzare gli adulti a partire dal matrimonio edalla famiglia, 1995

6. Un cuore nuovo, 1995

7. Crea in me, o Dio, un Cuore Puro, 1996

8. Servi… «fino all’orlo», 1996

9. Beati i “futuri” di cuore, 1996

10. Eucaristia, Spirito e Matrimonio, 1997

11. Lettera familiare sulla domenica, 1998

12. Il Battesimo dono dell’Amore, 1998

13. L’Amore è credibile. In cammino verso il Giubileo del2000, 1999

14. Giubileo, tempo di riconciliazione e segno di speranza,1999

15. La scena, la croce e noi giovani, 2000

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16. Il sentiero della riconciliazione, 2000

17. Segno di unità e costruttori di pace, 2000

18. La Porta Aperta, 2000

19. Vestita di luce, 2001

20. Chiesa in cammino, 2001

21. Cammino di speranza, 2002

22. Cantateci la speranza, 2002

23. Acqua nelle giare, 2002

24. L’Eucaristia al centro della comunità ecclesiale, 2002

25. Credo la santa Chiesa cattolica, 2003

26. Radicati nella carità e lanciati nella storia, 2003

27. Venite e vedrete, 2003

28. In mezzo alle case. Progetto pastorale, 2004

29. Il Giorno del Signore, 2004

30. Vengo a visitarvi nel nome del Signore, 2004

31. Il Segno dell’Amore, 2005

32. “Si alzò da tavola, depose le vesti…”, 2005

33. La fragranza del pane, 2005

34. È Natale, 2005

35. Una sola Speranza, 2006

36. In ascolto della Parola, 2007

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NOTE E RIFLESSIONI PERSONALI

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Stampa: Editrice SalentinaFebbraio 2007


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