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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Nona Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale Incontro di studio sul tema: “Le indagini difensive” Roma, 2 - 4 febbraio 2004 Crowne Plaza Utilizzazione e valutazione delle indagini difensive: il fascicolo del difensore, utilizzabilità in dibattimento degli atti di indagine difensiva, valutazione degli atti di indagine difensiva. Relatore Dott. Ciro RIVIEZZO Giudice del Tribunale di Lanciano
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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Nona Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale

Incontro di studio sul tema: “Le indagini difensive”

Roma, 2 - 4 febbraio 2004

Crowne Plaza

Utilizzazione e valutazione delle indagini difensive: il fascicolo del difensore, utilizzabilità in dibattimento degli atti di

indagine difensiva, valutazione degli atti di indagine difensiva.

Relatore Dott. Ciro RIVIEZZO Giudice del Tribunale di Lanciano

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Sommario

1. Le investigazioni difensive nell’evoluzione normativa.

2. Investigazioni difensive e principio di separazione delle fasi.

3. L’utilizzazione degli atti di investigazione difensiva in generale.

4. Il fascicolo del difensore e le indagini preliminari.

5. Le indagini suppletive.

6. L’udienza preliminare.

7. I riti alternativi.

8. Le indagini integrative.

9. Il fascicolo del dibattimento. Gli atti irripetibili.

10. L’utilizzazione in dibattimento degli atti a contenuto dichiarativo.

11. La valutazione delle investigazioni difensive e l’inutilizzabilità.

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1. Le investigazioni difensive nell’evoluzione normativa.

Nell’impianto codicistico del 1988, alle investigazioni difensive era riservato un

ruolo estremamente marginale. Basti al riguardo riflettere sulla sistemazione

dell’unica norma prevista al riguardo, confinata nelle disposizioni di coordinamento

(l’art. 38), la quale prevedeva che la facoltà di svolgere investigazioni difensive,

consistente nella ricerca e individuazione delle fonti di prova e nel conferire con

persone informate sui fatti, era diretta allo scopo di esercitare il diritto di prova di cui

all’art. 190 c.p.p. . In altri termini, l’esercizio dell’attività di indagine difensiva era

vista esclusivamente nell’ottica, tutta interna all’ufficio difensivo, di orientare le

scelte di strategia da spendere nelle ulteriori fasi del procedimento e quindi per

consentire una effettiva parità delle parti nel giudizio, ma non in funzione di una

utilizzazione all’esterno dell’ufficio difensivo, e quindi nel procedimento1. Tale scelta

svalutativa aveva molte cause, tutte concorrenti tra loro. Innanzitutto, alcune di

ordine culturale. La classe forense, all’alba del nuovo sistema, era ancora legata a

strategie difensive frutto di inveterate abitudini acquisite durante l’applicazione del

rito inquisitorio, consistenti soprattutto nel contraddire e tentare di demolire la tesi

dell’accusatore, piuttosto che accettare la sfida che poneva l’introduzione di un rito

prevalentemente accusatorio, nel quale ciascuna parte porta dinanzi al giudice la

propria tesi per confrontarla con quelle delle altre parti e tentare di falsificarle; in altri

termini costruisce una prospettiva alternativa che possa aiutare il giudice, nel

confronto tra tutte le proposte ermeneutiche della realtà probatoria che provengono

dalle parti, a discernere quella più attendibile e che sia accettata dalla comunità come

la più plausibile. Non va nemmeno sottovalutata la diffidenza dell’avvocatura a

sottoporsi ad una regolamentazione autoritativa dell’attività difensiva, vista come

1 Cass., sez. I, 26 aprile 1994, Cagnazzo, in Cass. pen., 1995, 115, con nota di Carcano.

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possibile vulnus alla libertà della funzione, e come pericolo di essere attratti in

un’ottica para-pubblicistica. Le discussioni che, soprattutto nell’associazionismo

forense, hanno animato il dibattito sulle possibili riforme delle investigazioni

difensive sono durate per anni. A tutto ciò si aggiungeva una iniziale sfiducia del

legislatore, ed in parte della comunità giudiziaria nel suo complesso, sulla affidabilità

dell’elemento di prova raccolto dal singolo difensore, per sua natura portatore di un

interesse di parte, rispetto a quello raccolto dalla “parte” pubblica, non a caso spesso

definita, con una voluta contraddizione in termini, imparziale, il cui prodotto

investigativo era comunque tutelato dalle norme che ne prevedevano la

responsabilità, anche penale, a garanzia della correttezza del suo operato. Anche sotto

questo profilo, non era ancora entrata nella cultura comune a tutti gli operatori del

diritto la consapevolezza che l’atto di indagine, in quanto tale, a prescindere dalla

parte che lo raccoglie e dalle eventuali patologie che possono riscontrarsi in concreto,

è ontologicamente differente dalla prova, proprio per il meccanismo connaturato alla

sua formazione di matrice unilaterale2. Ma, al di là di questi fattori di ordine

culturale, nell’iniziale sottodimensionamento della normativa regolante l’esercizio

del diritto ad investigare del difensore, vi erano anche plausibili ragioni di natura

sistematica. Infatti, com’è noto, l’attuale codice di rito ha costruito la fase delle

indagini preliminari come diretta unicamente allo scopo di consentire al pubblico

ministero di prendere in maniera consapevole le sue decisioni in ordine all’esercizio o

meno dell’azione penale: il principio della separazione delle fasi, cardine di tutto il

sistema, implica una naturale sottovalutazione dell’importanza delle garanzie

difensive all’interno delle indagini preliminari, proprio per la (tendenziale)

impermeabilità del dibattimento rispetto alle acquisizioni di conoscenza in esse

ottenute. Ed anzi, paradossalmente, proprio l’assenza di presidi difensivi è vissuta

come garanzia di non utilizzabilità degli elementi di indagine come prova. La

centralità del dibattimento, e quindi del principio del contraddittorio nella formazione

2 Vedi le considerazioni sul punto di Giostra, Analisi e prospettive di un modello probatorio incompiuto, in Quest. Giust., 2001, 1128 ssg.; per le confusioni tra utilizzabilità degli elementi offerti dal difensore e loro valutazione, tra genuinità della documentazione e attendibilità di quanto viene documentato, vedi Frigo, L’indagine difensiva da fonti dichiarativa, in AA. VV., Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, Padova. 2001, 172.

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della prova, trova oggi la sua espressione più solenne nell’art. 111 della Carta

Fondamentale. Sotto questo profilo, la scelta minimalistica del codificatore trovava

certamente una giustificazione teorica, che racchiudeva sotto il suo ombrello

protettivo timori e diffidenze che erano senz’altro presenti, tanto che anche il minimo

spazio che era stato aperto dall’art. 38 disp. att. c.p.p., non veniva di fatto sfruttato

nell’esperienza forense concreta. Così come le indagini del pubblico ministero

servivano ad aiutarlo a determinarsi in ordine all’esercizio dell’azione penale,

l’inchiesta difensiva serviva all’avvocato per preparare le future mosse nel

dibattimento.

Non si era, però sufficientemente considerato che anche nella fase delle indagini

preliminari le investigazioni difensive possono essere molto utili soprattutto sotto tre

distinti profili: innanzitutto, in vista di un’utilizzazione endoprocedimentale, in

relazione ad atti che trovano la loro naturale, e prevalente, collocazione in questa

fase, e che sono particolarmente invasivi rispetto ai diritti di libertà fondamentali

dell’individuo (si pensi, ad esempio, alle misure cautelari ed alle intercettazioni

telefoniche); nella definizione del procedimento medianti i riti dell’alternativa

inquisitoria, e soprattutto nel rito abbreviato e nell’applicazione della pena su

richiesta, che possono essere favoriti dalla completezza delle indagini, intesa anche

come apporto di conoscenza proveniente da tutti i soggetti del procedimento. Infine,

ai fini dell’esercizio del diritto alla prova nel dibattimento, rispetto al quale la ricerca

e l’individuazione dell’elemento di prova favorevole alla propria tesi, ma anche il

collaudo della “tenuta” dell’elemento stesso, rappresentano un corollario importante.

I primi anni di esperienza concreta, e gli orientamenti giurisprudenziali che si

andavano via via formando, sembravano in realtà confermare la validità della scelta

legislativa. Le innovazioni normative del 1992 segnavano una involuzione di stampo

inquisitorio del processo penale, e nel contempo la giurisprudenza si orientava

coerentemente nello svalutare gli apporti conoscitivi della difesa, attraverso la teoria

dell’obbligo di “canalizzazione” delle risultanze delle investigazioni difensive

attraverso l’ufficio del pubblico ministero, autentico dominus della fase delle indagini

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preliminari3. Una prima svolta si è avuta con la l. 8 agosto 1995, n. 332, la quale,

nell’aggiungere due commi all’art. 38 disp. att. c.p.p, aveva introdotto due importanti

principi: la possibilità per il difensore di presentare gli elementi di prova raccolti

direttamente al giudice, sconfessando, quindi, la necessità di passare necessariamente

attraverso il pubblico ministero; l’inserimento degli atti di investigazione difensiva

nel fascicolo delle indagini, a sottolineare un valore analogo a quelli degli atti di

indagini del pubblico ministero, ed aprendo la strada all’utilizzabilità degli atti a

contenuto dichiarativo nel dibattimento, ai fini delle contestazioni. La l. 16 dicembre

1979, n. 479 ha proseguito in questo percorso, prevedendo specifici momenti in cui

gli atti di investigazione difensiva trovano il loro espresso riconoscimento di

utilizzabilità4. Restava, però, il problema della mancata procedimentalizzazione delle

investigazioni difensive, che comunque incideva sulla spendibilità dei relativi risultati

nelle varie fasi del procedimento, e ne sminuiva la portata. A tanto ha ovviato la l. 7

dicembre 2000, n. 397, con l’introduzione nel codice di una ampia normativa. Al di là

delle singole disposizioni, ciò che preme in questa sede sottolineare è che il nuovo

art. 327 bis c.p.p., che disciplina l’attività investigativa del difensore in via generale,

è stato collocato simbolicamente tra l’art. 327 c.p.p., che affida la direzione delle

indagini preliminari al pubblico ministero, e l’art. 328 c.p.p., che delinea la figura del

giudice per le indagini preliminari, davanti al quale, quindi, si presentano in posizione

di parità tutti i soggetti portatori di un interesse di parte.

2. Investigazioni difensive e principio di separazione delle fasi.

Come spesso accade nelle cose umane, ed in particolare nella legislazione in materia

di processo penale, il pendolo che inizialmente pendeva da una parte, è stato spostato

dalla parte diametralmente opposta, ed alla sottovalutazione degli apporti difensivi

nella fase delle indagini, si è passati all’eccesso opposto, non solo prevedendo una

corposa disciplina dei momenti procedimentali dell’attività investigativa del

3 Cass. sez. fer., 18 agosto 1992, Buffarato, in Riv. It. Dir. Proc. pen., 1993, 1169, con nota di Scella. 4 Su questi specifici aspetti, vedi Galantini, Il ruolo della difesa, in AA.VV., Il nuovo processo penale davanti al giudice unico, Milano, 2000, 159.

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difensore, ma anche eccedendo nella possibilità di utilizzare nel dibattimento le

risultanze delle investigazioni stesse. Partendo dal presupposto che l’impianto

codicistico prevede un eccessiva permeabilità della fase dibattimentale rispetto agli

atti di indagine della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, si è cercato di

controbilanciare tale situazione, prevedendo analoghi, ed in alcuni casi maggiori,

poteri per il difensore di far transitare nelle fasi successive gli elementi raccolti nel

corso delle sue indagini. Alla predominanza della figura del pubblico ministero nelle

indagini preliminari si è risposto con la previsione di un doppio, anzi plurimo,

gigantismo di tutti i soggetti coinvolti, contribuendo ulteriormente alla violazione, in

qualche misura, della regola aurea della separazione delle fasi, principio

fondamentale del processo di tipo accusatorio. E’ bene chiarire che l’errore di

impostazione del legislatore non è consistito nella scelta di meglio regolamentare

l’esercizio della facoltà investigativa della difesa, ma quello che proiettarla

eccessivamente verso il valore di prova piena, che invece andrebbe costruita solo in

sede dibattimentale. Come tutte le scelte guidate da un ideologismo ottuso, anche

questa ha causato squilibri al sistema di difficile composizione5. Basti pensare, a

titolo di esempio, al diritto del difensore (non riconosciuto al pubblico ministero) di

procedere con incidente probatorio all’acquisizione di una fonte dichiarativa

nell’ipotesi di rifiuto della persona informata sui fatti di rendere dichiarazioni (art.

391 bis comma 10 c.p.p.), svincolato da qualsiasi presupposto, il quale consente, in

sostanza, di ridurre notevolmente l’operatività del principio di immediatezza che

dovrebbe regolare, insieme a quelli della concentrazione e dell’oralità, il

dibattimento. Oppure, in modo ancora più grave, alla disciplina degli atti e degli

accertamenti tecnici irripetibili che, per la sommarietà delle previsioni, si presta ad

essere interpretata in modo da consentire una “corsa” all’elemento di prova da parte

dei vari soggetti, non tutti con i medesimi doveri di rispettare il diritto delle altre parti

a partecipare. Ed i problemi si aggravano sol che si rifletta sul fatto che le medesime

facoltà sono concesse anche al difensore della persona offesa, di tal ché si rischia, per

5 Vedi le considerazioni sul punto di Mazza, fascicolo del difensore e utilizzabilità delle indagini difensive, in Giur. it, 2'002, 1758, che ricorda come la dottrina più attenta avesse da tempo messo in guardia il legislatore dal raddoppio dell’abuso epistemologico.

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tale via, attraverso l’amplificazione delle facoltà di indagine difensiva, di portare un

vulnus al diritto di difesa dell’indagato6. In realtà, tutta la legge n. 397 del 2000

sconta il fatto di essere stata pensata in funzione di un rapporto a due tra difesa

dell’indagato e pubblico ministero, e quindi risente del tentativo continuo di

riequilibrare le loro posizioni, soprattutto con riguardo alla naturale diversità di mezzi

di cui dispongono. Sennonché, la disciplina favorevole si applica anche alla difesa

della persona offesa, la quale si trova ad usufruire di facoltà che eserciterà,

ovviamente, in danno dell’indagato, e nel procedimento vi possono essere indagati in

posizioni di contrasto tra loro, per cui il problema delle garanzie rispetto agli atti di

indagine difensiva si pone in alcuni casi in modo drammatico.

Questa situazione impone di tentare di trovare delle chiavi ermeneutiche generali

della nuova disciplina, rispettose dei parametri costituzionali, che consentano di

guidare l’interprete nella lettura delle singole disposizioni, spesso dal significato

oscuro oppure mal coordinate tra loro. Un primo criterio è certamente quello della

parità delle parti, e della tutela della posizione di ciascuno rispetto all’altro. Va poi

garantito il principio del contraddittorio, inteso in senso oggettivo, come metodo di

ricerca della verità, così come disegnato dal nostro legislatore costituzionale7, e va

quindi rifiutata una visione sportiva e competitiva del processo penale. Infine, il

principio di non dispersione degli elementi di prova, inteso in questo caso non nel

senso nel quale questa locuzione è stata utilizzata a volte nella giurisprudenza

costituzionale di recupero degli atti di indagine a fini di prova, ma come divieto per

tutte le parti di sottrarre un elemento di prova al patrimonio comune di conoscenza.

Problema che il codificatore aveva affrontato con la dovuta attenzione, e risolto, con

riguardo alle indagini della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, con

previsioni normative anche complesse8, ma che è rimasto molto in ombra nella

disciplina delle investigazioni difensive, laddove invece avrebbe meritato maggior

6 Si pensi, per riprendere l’esempio sopra fatto, alla possibilità per la difesa della persona offesa di ricorrere all’incidente probatorio (ciò che non gli è consentito in via ordinaria), utilizzando il rifiuto delle persone informate sui fatti di rendere dichiarazioni per cristallizzare senza limiti gli elementi di carico, svuotando il valore del dibattimento, che invece dovrebbe essere il momento centrale di formazione della prova. 7 Si rimanda ancora a Giostra, op. cit.. 8 ci si riferisce agli artt. 354 e 360 c.p.p. e 113, 117, 223 disp. att. c.p.p. .

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approfondimento, se messo in relazione alla naturale facoltatività dell’utilizzazione

delle relative risultanze. Per la verità, sembra potersi affermare, in via generale e

salvo approfondimenti per le singole situazioni, che nel disegno della l. n. 397 del

2000, la discrezionalità del deposito degli atti di investigazione da parte del difensore

è elisa solo laddove in essi sia in qualche modo coinvolta l’Autorità Giudiziaria,

pubblico ministero o giudice, ma questa impostazione, come si vedrà, può portare a

soluzioni difficilmente accettabili.

3. L’utilizzazione degli atti di investigazione difensiva in generale.

La regola generale di utilizzazione delle risultanze delle attività di investigazione

difensiva è contenuta nell’art. 327 bis c.p.p., il quale, dopo aver affermato che il

difensore ha facoltà di compiere le investigazioni difensive sin dal momento

dell’incarico professionale, stabilisce al secondo comma che tale facoltà può essere

attribuita per l’esercizio del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento,

nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione. La norma, quindi, fa

riferimento ad ogni stato e grado del procedimento, inteso come comprendente sia la

fase delle indagini preliminari, sia quella dell’udienza preliminare, sia quella del

giudizio, nonché le fasi successive. In realtà, il codice prevede espressamente la

possibilità di svolgere indagini difensive, seppure con alcuni limiti, anche in relazione

ad un procedimento non ancora instaurato, ed in vista di questo, e cioè la possibilità

di espletare indagini preventive (art. 391 nonies c.p.p.), e vedremo più avanti quale

sia la possibilità per il difensore di utilizzare la relativa documentazione. La

disciplina relativa alla utilizzazione degli atti di investigazioni difensiva è contenuta,

principalmente, nel Titolo VI bis del Libro Quinto, relativo ad indagini preliminari e

udienza preliminare, ma pare utile in questa sede ripercorrere brevemente, senza

pretesa di esaustività, le disposizioni del codice, diverse da quelle contenute nel

Titolo predetto, nelle quali si fa riferimento esplicito alla possibilità di effettuare le

indagini difensive o di utilizzare le relative risultanze.

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L’art. 233 commi 1 bis ed 1 ter disciplina le facoltà che ha il consulente tecnico di

una parte privata di esaminare le cose sequestrate e di intervenire alle ispezioni o di

esaminare le cose rinvenute nel corso delle ispezioni, stabilendo particolari cautele

per evitare la modificazione dello stato delle cose e dei luoghi. L’art. 415 bis

concerne la facoltà per il difensore dell’indagato di depositare documentazione

relativa ad investigazioni difensive al momento della chiusura delle indagini

preliminari, al fine di convincere il pubblico ministero a determinarsi nel senso della

richiesta di archiviazione, anziché di quella del rinvio a giudizio. L’art. 419 comma 3

stabilisce che l’avviso dell’udienza preliminare deve contenere l’invito a tutte le parti,

e quindi anche a quelle private, a trasmettere la documentazione relativa alle indagini

eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio (cd. indagini

suppletive). L’art. 430 disciplina l’attività integrativa di indagine, anche del

difensore, compiuta dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, prevedendo

in particolare il deposito immediato della relativa documentazione, e l’art. 430 bis

stabilisce il divieto di assumere informazioni (anche) per il difensore in determinate

situazioni. L’art. 431, nello stabilire le regole di formazione del fascicolo del

dibattimento, ed il relativo contenuto, vi comprende anche i verbali di atti non

ripetibili compiuti dal difensore, prevedendo che le parti possono concordare

l’acquisizione anche della documentazione relativa alle attività di investigazione

difensiva. L’art. 433 regola la formazione del fascicolo del pubblico ministero e del

difensore dopo la formazione del fascicolo del dibattimento. L’art. 493 comma 3

stabilisce che le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il

dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonchè della

documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva. L’art. 507 comma 1

bis prevede espressamente la possibilità per il giudice, d’ufficio, di assumere gli

elementi di prova relativi agli atti unilateralmente formati che le parti abbiano

concordato di acquisire al fascicolo del dibattimento. L’art. 512 fissa il principio

secondo cui è consentita la lettura degli atti a contenuto dichiarativo, anche assunti

nel corso delle investigazioni difensive, nel caso in cui ne sia divenuta impossibile la

ripetizione per causa imprevedibili. L’art. 555 comma 4 estende la possibilità di

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concordare l’acquisizione al fascicolo del dibattimento degli atti di indagine difensiva

anche al rito a citazione diretta e l’art. 29 comma 7 d. lgs. n. 274 del 2000 prevede

espressamente tale facoltà anche nel procedimento davanti al giudice di pace.

4. Il fascicolo del difensore e le indagini preliminari.

Si è detto che l’art. 391 nonies c.p.p. prevede espressamente per il difensore della

parte privata la possibilità di procedere ad atti di investigazione difensiva in vista

dell’instaurarsi di un procedimento penale, non ancora formalmente iniziato

(investigazioni difensive preventive). La norma, però, esclude la possibilità di

compiere quegli atti che prevedano l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità

giudiziaria. Riflettendo sulla possibilità di compiere, ad esempio, accertamenti sul

luogo del fatto (si pensi ai rilievi di un incidente stradale appena accaduto, per il

quale non si sappia ancora se vi sono state lesioni personali e se sarà presentata

querela), sarà esclusa la possibilità di accesso ai luoghi privati o non aperti al

pubblico in caso di dissenso dell’avente diritto, per vincere il quale vi è bisogno

dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria (art. 391 septies c.p.p.), o di compiere

accertamenti tecnici non ripetibili, per effettuare i quali il difensore deve avvisare il

pubblico ministero, ovvero ancora di compiere atti non ripetibili, ai sensi del comma

2 dell’art. 391 decies c.p.p., poiché il pubblico ministero ha facoltà di assistervi

(comma 3 seconda parte del medesimo art. 391 decies); ovvero, non sarà possibile

assumere informazioni da una persona informata sui fatti che si rifiuti di colloquiare

col difensore, poiché in tal caso il difensore dovrebbe scegliere tra chiedere al

pubblico ministero di disporne l’audizione o attivare il giudice con una istanza di

incidente probatorio (art. 391 bis, commi 10 e 11).

La ratio della norma è chiara, in quanto da una parte si è voluto concedere alla difesa

della parte privata di compiere da subito le indagini difensive, dall’altra non sarebbe

stato semplice stabilire l’autorità giudiziaria competente ad intervenire. Della

documentazione relativa a tali indagini il difensore non può fare utilizzazione alcuna

almeno fin quando non sia iniziato il procedimento penale. Ciò si ricava non solo

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dalla logica delle cose, ma anche da alcuni espressi riferimenti normativi: l’art. 327

bis comma 2 c.p.p. delimita la possibilità di utilizzare le investigazioni difensive al

fine di esercitare il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, e quindi

all’interno di esso, e non prima del suo instaurarsi; inoltre, l’art. 391 octies comma 2

c.p.p., faculta il difensore a presentare gli elementi raccolti direttamente al giudice,

nel corso delle indagini preliminari e per il caso in cui debba essere assunta una

decisione alla quale la parte non abbia diritto di intervenire, a condizione che sia a

conoscenza di un procedimento penale9. Anche se in sede di redazione finale del

provvedimento legislativo è stato escluso l’obbligo del difensore di provare in modi

analiticamente previsti l’avvenuta conoscenza “legale” del procedimento, così come

era pure stato previsto nel progetto di legge originario, tuttavia deve ritenersi che il

difensore comunque debba dimostrare che un procedimento è stato instaurato.

Peraltro, una dottrina10 ha sostenuto che gli atti a contenuto dichiarativo raccolti in

questa fase preventiva non sarebbero utilizzabili nemmeno nel corso del

procedimento, in caso di sua instaurazione, poiché non vi sarebbe la copertura della

tutela penale contro le false dichiarazioni di cui all’art. 371 ter c.p. , ma la tesi è

contrastata dalla dottrina prevalente11.

La nuova legge ha previsto l’istituzione del fascicolo del difensore (art. 391 octies

c.p.p.), che esiste come tale sicuramente nel corso delle indagini preliminari, mentre

nella fase successiva dell’udienza preliminare dovrebbe confluire nell’unico fascicolo

delle indagini. Va notato che ciascun difensore ha diritto ad un suo fascicolo, per cui

potranno esistere nel corso delle indagini preliminari, oltre a quello delle indagini,

tanti fascicoli quante sono le parti privati presenti, ed in primo luogo indagati e

persone offese. L’utilizzazione degli atti contenuti in tale fascicolo può avvenire in

qualunque dei riti disegnati dal codice, e quindi anche in quello davanti al giudice

monocratico, ed in particolare in quello destinato a concludersi con la citazione

9 Vedi, però, Mazza, op cit. 1760, che sostiene che il g.i.p., che può non essere a conoscenza della pendenza del procedimento, deve comunque accettare il deposito del fascicolo del difensore, altrimenti rischia di rendere nulle le eventuali decisioni da assumere senza previo contraddittorio, come nel caso delle ordinanze di custodia cautelare (artt. 292 comma 2 lett. c bis, e comma 2 ter c.p.p. . 10 Arru, L’attività investigativa difensiva preventiva, in AA.VV., Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, Padova, 2001, 334.

12

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diretta a giudizio, per il quale il codificatore, com’è noto, non prevede alcuna

diversità per la fase delle indagini preliminari rispetto al rito con udienza

preliminare12. Le uniche particolarità deriveranno dal fatto che, non essendo prevista

l’udienza preliminare, le occasioni di intervento dell’ufficio del giudice per le

indagini preliminari sono naturalmente minori. Così come non pare esservi difficoltà

teorica tale da escludere la possibilità di utilizzare la documentazione delle

investigazioni difensive nella fase delle indagini preliminari nel procedimento davanti

al giudice di pace, anche in mancanza di un coordinamento preciso tra le due

normative. Va solo ricordato che le funzioni di giudice per le indagini preliminari in

quel procedimento sono svolte dal giudice di pace circondariale, ai sensi dell’art. 5 d.

lgs. 28 agosto 2000, n. 274, e quindi è a questo giudice che dovranno essere prodotti

gli elementi di prova raccolti dalla difesa per l’eventualità di un provvedimento che

debba essere emesso in quella fase, come pure è ben possibile13.

L’art. 391 octies c.p.p. distingue due ipotesi diverse, e cioè il caso in cui il giudice

debba prendere una decisione per la quale è previsto l’intervento della parte privata, e

quello in cui, invece, il difensore presenti la documentazione degli atti da lui formati

per l’ipotesi in cui il giudice debba assumere una decisione per la quale non è

previsto l’intervento della parte assistita14 (presentazione in via preventiva). In

entrambe le situazioni il difensore può presentare gli elementi di prova direttamente

al giudice, restando, peraltro, in sua facoltà anche la presentazione al pubblico

ministero (art. 391 octies comma 4). I limiti temporali massimi sono naturalmente

diversi per le due ipotesi sopra descritte: nel primo caso, la conclusione dell’udienza

preliminare; nel secondo, la chiusura delle indagini preliminari. Nella categoria degli

11 Ruggiero, Compendio delle investigazioni difensive, Milano, 2003, 341 ssg; Mazza, op. cit. , 1760: Filippi, Il fascicolo del difensore, in AA. VV. , Processo penale cit. , 298. 12 art. 549 c.p.p., come modificato dall’art. 44 l. 16 dicembre 19999, n. 479. Al riguardo, si rimanda a Riviezzo, Il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica , in AA. VV. Il nuovo processo penale davanti al giudice unico, Milano, 2000, 189 ssg. . 13 Riviezzo, Le funzioni del G.I.P. nel procedimento davanti al giudice di pace, in AA.VV. La giurisprudenza del giudice di pace , Milano, 2003, 209. Vedi anche Coppetta, Indagini della Polizia Giudiziaria e del Pubblico Ministero, in AA. VV. Il Giudice di pace nella giurisdizione penale, Torino, 2001, 164, la quale ritiene però che l’art. 19 d. lgs. 274/2000 disegni un numerus clausus di provvedimenti che il g.d.p. può emanare nel corso delle indagini preliminari, per cui esclude che possa concedere al difensore l’autorizzazione ad accedere a luoghi privati o non aperti al pubblico (art. 391 septies comma 1 c.p.p.).

13

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atti per i quali è previsto l’intervento delle parti, devono ritenersi compresi, oltre ai

procedimenti in camera di consiglio (art. 127 comma 2 c.p.p.), anche quei sub-

procedimenti nei quali non è prevista la fissazione di un’udienza, ma in cui il

legislatore abbia contemplato un contraddittorio solo cartolare (ad es. in tema di

proroga delle indagini preliminari ex art. 406 comma 3 c.p.p., in caso di accoglimento

della richiesta). Peraltro, è stato notato come vi sia un difetto di coordinamento tra le

varie norme, in quanto in alcuni casi il legislatore ha previsto la facoltà delle parti di

addurre elementi, con formulazione generica tale da comprendere certamente anche

la documentazione delle indagini difensive (art. 309 comma 9 c.p.p.), mentre in altri

casi viene prevista solo la facoltà di presentare memorie (art. 127 comma 2 e 406

comma 3 c.p.p.). La diversità, peraltro, sembra solo il frutto di un difetto di

coordinamento dettato dal tardivo inserimento nel corpo del codice della

regolamentazione delle indagini difensive, e non certo di una scelta consapevole, per

cui deve farsi prevalere il principio di carattere generale15.

Il fascicolo del difensore è formato e conservato presso l’ufficio del giudice per le

indagini preliminari. Alcuni ha sostenuto che il fascicolo viene formato a cura della

cancelleria del giudice16, ma pare più coerente con i principi generali la tesi di chi

sostiene che è il difensore a dover confezionare materialmente il suo fascicolo, e non

la cancelleria, presso la quale esso è solo conservato17.

In realtà, la distinzione più rilevante non appare quella citata, quanto l’altra, disegnata

dall’art. 391 octies comma 3 c.p.p., e relativa alla documentazione di cui il pubblico

ministero può prendere visione ed estrarre copia. Infatti, il legislatore ha statuito che

il pubblico ministero ha tale facoltà solo nel caso il giudice debba adottare una

decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento. Da ciò si ricava il

principio fondamentale che il fascicolo del difensore è coperto da segreto nell’ipotesi

in cui il giudice debba adottare una decisione di tipo diverso. Così come la

14 Ruggiero, op cit. , 310 nota una imprecisione lessicale, in quanto l’art. 391 octies comma 2 parla di parte assistita, mentre più precisamente si sarebbe dovuto dire “proprio assistito”, poiché vi rientra anche la persona offesa, che non è parte. 15 In questo senso anche Mazza, op. cit. 1761. 16 Filippi, op. cit. 295 17 Ruggiero, op. cit. 307.

14

Page 15: indaginidifensive2

conoscenza del fascicolo del pubblico ministero è interdetta alle altre parti, tranne

casi specifici (ad es. misure cautelari, dopo l’esecuzione delle stesse, incidente

probatorio), e relativamente ad atti specifici, così il contenuto degli atti delle

investigazioni difensive depositati dal difensore non sono conoscibili da parte del

pubblico ministero, tranne le ipotesi prima indicate. Esempi di casi in cui è consentito

al pubblico ministero di conoscere il contenuto del fascicolo della difesa possono

rinvenirsi nella richiesta di revoca della misura cautelare, che è un provvedimento

adottato su richiesta della difesa dell’indagato; nella decisione del g.i.p. sulla

richiesta di sequestro proposta dall’indagato o dalla persona offesa, non accolta dal

pubblico ministero e trasmessa al giudice con il parere negativo (art. 368 c.p.p.),

trattandosi di provvedimento emesso su richiesta della parte privata; nel

procedimento di archiviazione, sia nella fase ordinaria, almeno in caso di non

accoglimento dell’istanza poiché è prevista la possibilità che le parti intervengano

nell’udienza camerale ex art. 127 c.p.p. (art. 409 comma 2 c.p.p.), sia, ed a maggior

ragione, in quella susseguente all’opposizione della persona offesa (art. 410 c.p.p.);

nel sub-procedimento di proroga delle indagini preliminari, come detto, perché è

previsto l’intervento cartolare della parte privata ed anche la possibilità dell’udienza

camerale (art. 406 commi 3 e ssg. c.p.p.); nel caso di richiesta di incidente probatorio

proposta dall’indagato. Invece, casi in cui tale facoltà è interdetta al pubblico

ministero sono, ad esempio, la richiesta di misura cautelare o di intercettazioni

telefoniche o di sequestro preventivo, che possono essere proposte solo dallo stesso

pubblico ministero. Ci si è chiesti anche se l’accesso del pubblico ministero al

fascicolo del difensore possa avvenire nell’imminenza di un provvedimento che

debba essere emesso direttamente dal pubblico ministero (ad es. un sequestro, o un

fermo, o un sequestro preventivo in via d’urgenza, o una intercettazione telefonica in

via d’urgenza), ma pare che la risposta debba essere negativa, stante il chiaro tenore

letterale della norma, che fa riferimento solo ai provvedimenti che debbono essere

emessi dal giudice. Pertanto, se il difensore vuole che il pubblico ministero tenga

conto delle risultanze delle sua attività, dovrà servirsi della possibilità di produrre gli

15

Page 16: indaginidifensive2

atti direttamente a tale organo, espressamente prevista dall’art. 391 octies comma 4

c.p.p. 18.

La norma non prevede alcun meccanismo procedurale attraverso il quale il pubblico

ministero possa venire a conoscenza dell’esistenza presso la cancelleria del giudice

per le indagini preliminari di un fascicolo del difensore. Non è stabilito, cioè, nessun

obbligo di avviso a cura del medesimo difensore, né della cancelleria del giudice, e

la questione non sembra risolvibile se non in via di prassi giudiziaria19. Inoltre, la

norma tace sul diritto di accesso delle altre parti private, come, ad esempio, il diritto

della difesa dell’indagato a conoscere del fascicolo del difensore della persona offesa

o di un altro indagato. L’omissione è conseguenza del già denunciato errore di

impostazione della normativa in materia, che è stata costruita come un rapporto a due

tra difesa dell’indagato e pubblico ministero, senza riflettere adeguatamente sul fatto

che i soggetti interessati sono, invece, diversi, ed a tutti è concessa la facoltà di

compiere investigazioni difensive. Il problema si pone, in realtà, sotto due distinti

profili: se il fascicolo del difensore sia segreto per le altri parti negli stessi casi in cui

lo è per il pubblico ministero, e la risposta non pare che possa essere che positiva,

non essendo immaginabile che il silenzio della norma sul punto possa significare il

diritto di accesso illimitato a favore delle altri parte private, a pena di irrazionalità20.

Detto ciò, resta da stabilire se, al contrario, l’accesso sia garantito alle altri parti nel

caso in cui sia previsto per il pubblico ministero. La dottrina è divisa sul punto, in

quanto, nel silenzio della norma, alcuni escludono il diritto di accesso delle parti

diverse dal pubblico ministero, proprio perché altrimenti non vi sarebbe stato bisogno

di alcuna specificazione per il solo pubblico ministero21, mentre altri sostiene che vi

sarebbe un obbligo di comunicazione da parte dell’ufficio22. Va infine segnalato che

il problema del diritto di accesso delle altre parti private resta irrisolto – e questa

18 Piziali, Profili temporali dell’attività investigativa e regime di utilizzabilità, in AA. VV. Le indagini difensive, Milano, 2001, 210. Vedi anche Mazza, op. cit. , 1762. 19 Ruggiero, op. cit. , 309, adombra l’esistenza di un obbligo di informazione da parte del giudice, seppur non procedimentalizzato. 20 Mazza, op,. cit. , 1762, che denuncia però l’irragionevolezza della disciplina complessiva del segreto sul fascicolo del difensore,che ha la possibilità di tutelare la riservatezza delle sue indagini omettendone la presentazione al giudice. L’Autore paventa al riguardo un vulnus al principio del contraddittorio, tutelato anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani. 21 Piziali, op. cit. 211.

16

Page 17: indaginidifensive2

volta pare senza possibili soluzioni - anche nel caso in cui il difensore abbia optato

per la presentazione dell’elemento di prova raccolto direttamente al pubblico

ministero.

Si è detto che l’art. 391 octies c.p.p. prevede in via generale che, nel corso delle

indagini preliminari, le risultanze delle investigazioni difensive possono essere

presentate direttamente al giudice che deve adottare un provvedimento, ed in tale

dizione deve certamente ritenersi compreso anche un giudice diverso dal giudice per

le indagini preliminari, come il tribunale del riesame. Sennonché, anche in questo

caso, vi sono evidenti difetti di coordinamento tra le norme, che possono provocare

problemi pratici. In primo luogo, come detto, si può verificare l’ipotesi che il

difensore produca gli elementi direttamente al giudice del riesame, come

consentitogli dall’art. 309 comma 9 c.p.p., ma l’art. 391 octies comma 3 stabilisce

che il fascicolo del difensore è formato e conservato presso l’ufficio del giudice per le

indagini preliminari. La soluzione non pare possa essere altra che il giudice del

riesame, all’esito del procedimento incidentale, debba restituire il fascicolo del

difensore al giudice per le indagini preliminari, perché lo conservi e ne tenga conto

per eventuali successive decisioni da assumere. L’altra questione che si pone è quella

del transito degli atti presentati dalla difesa in via preventiva al giudice per le indagini

preliminari, prima dell’adozione della misura cautelare, e di cui il giudice deve tenere

necessariamente conto nell’ordinanza, a pena di nullità, se si tratta di elementi

favorevoli all’indagato. Ma il problema del transito si pone anche per gli atti

eventualmente prodotti, ad esempio, dalla difesa della persona offesa o di altri

indagati, e semmai contenenti elementi sfavorevoli all’indagato attinto dalla misura

cautelare ed utilizzati dal giudice, che ovviamente debbono poter essere esaminati dal

giudice del riesame. L’art. 309 comma 5 c.p.p. prevede l’obbligo per l’autorità

giudiziaria che procede di trasmettere al giudice del riesame entro cinque giorni gli

atti presentati a norma dell’art. 291 comma 1, e cioè gli atti posti dal pubblico

ministero a base della misura, gli elementi favorevoli e gli atti prodotti dalla difesa,

ovviamente al pubblico ministero stesso, nonché gli elementi sopravvenuti a favore

22 Ruggiero, op. cit. 309.

17

Page 18: indaginidifensive2

della persona sottoposta alle indagini. A stretto rigore letterale, in questa elencazione

non vi rientrano gli atti depositati dalla difesa al giudice in via preventiva, non

trattandosi né di atti per i quali il pubblico ministero ha l’obbligo di discovery, né di

elementi sopravvenuti, ma preesistenti all’emissione della misura. La prima

conseguenza potrebbe essere quella che la mancata trasmissione non porta alla

perdita di efficacia della misura ai sensi dell’art. 309 comma 10 c.p.p. In questo

senso, per la verità, pare orientarsi anche la giurisprudenza del S.C.23, che, con

decisione riferita però all’art. 38 disp. att. c.p.p., sostiene che, se ne ha interesse, il

difensore ha la facoltà di presentare direttamente al giudice del riesame i risultati

delle investigazioni difensive, perché ne tenga conto; inoltre, nel caso di specie, gli

atti non erano stati prodotti al tribunale per il riesame, per cui questi non aveva potuto

valutare se si trattava di elementi favorevoli all’indagato. Ma al di là di questo

aspetto, che comunque non riguarderebbe gli elementi presentati dai difensori delle

altre parti private, e che pure debbono essere tenuti presenti dal giudice del riesame,

la dottrina prevalente ritiene che sul pubblico ministero gravi l’onere di recuperare i

fascicoli del difensore presso l’ufficio del giudice per le indagini preliminari e

trasmetterli al giudice del riesame insieme agli altri atti24. Le alternative possibili

sono o che il giudice per le indagini preliminari trasmetta gli atti egli stesso, nel caso

in cui venga a conoscenza della richiesta di riesame, ovvero che sia la cancelleria del

giudice del riesame a chiedere al G.I.P. la trasmissione dei fascicoli dei difensori

presentati. In entrambi questi casi, comunque, siamo al di fuori del perimetro della

sanzione di perdita di efficacia stabilita dall’art. 309 comma 10 cit. .

Va notato che è stato sottolineato25 che laddove gli atti di investigazione difensiva

siano presentati all’interno di un sub-procedimento, la produzione deve rispettare i

tempi dettati in ordine alla singola scansione procedimentale. Ad esempio, per restare

al caso dell’udienza davanti al tribunale del riesame, nel corso dell’udienza, e non

oltre, allorché il giudice del riesame si sia riservato la decisione.

23 Cass., sez. III, 18 novembre 2002, Omologie, in Arch. N. P.P. 2003, 43. 24 Piziali, op. cit. 224; Mazza, op. cit. 1761, in nota; Ruggiero, op. cit. 312. 25 Piziali, op. cit. , 222.

18

Page 19: indaginidifensive2

Altra questione riguarda la possibilità per il difensore di produrre o meno singole

parti di un atto compiuto. Una parte della dottrina opina favorevolmente alla tesi,

sulla base della considerazione che non essendovi alcuna previsione espressa ed alcun

filtro di controllo sull’attività di deposito, nel potere dispositivo del difensore rientri

anche quello di produrre parzialmente l’atto26. La tesi non può essere accolta: il

difensore ha un obbligo espressamente stabilito di verbalizzazione non diverso dagli

altri soggetti del processo (art. 391 ter comma 3 c.p.p.), ed anche la ricezione della

dichiarazione, per le forme previste, implica che essa debba essere prodotta per

intero. Il potere dispositivo del difensore si ferma alla decisione se produrre o meno

l’atto compiuto27.

Nessun dubbio, invece, pare sussistere sul fatto che, una volta prodotto, l’atto frutto

di investigazioni difensive è acquisito al materiale di conoscenza del giudice, e non

può essere ritirato dal difensore. Il principio di acquisizione processuale è confermato

ora dal disposto dell’art. 495 comma 4 bis c.p.p., nella parte in cui prevede che si

possa rinunciare all’assunzione delle prove ammesse solo con il consenso dell’altra

parte.

Alla conclusione delle indagini preliminari, com’è noto, il pubblico ministero, se non

ritiene di dover chiedere l’archiviazione, ha l’obbligo di notificare all’indagato ed al

suo difensore il relativo avviso. Tale avviso deve contenere, come si è già accennato,

anche l’avvertimento del termine di venti giorni entro cui può essere esercitata la

facoltà di produrre, tra l’altro, la documentazione di atti delle indagini difensive. E’

nota la ratio dell’istituto: l’indagato ha la possibilità di evitare il rinvio a giudizio,

cercando di persuadere il pubblico ministero a determinarsi per l’archiviazione,

producendo memorie o atti di indagine espletati. E’ espressamente previsto che si

tratta di una facoltà, e non di un obbligo, per cui l’indagato potrà certamente

presentare i suoi elementi di prova direttamente al giudice, senza cadere in alcuna

sanzione processuale. E’ stato notato che in questa fase rimane esclusa qualsiasi

forma di partecipazione della persona offesa, che pure potrebbe avere interesse a

26 Piziali, op. cit. 209. 27 Mazza. op. cit. 1761.

19

Page 20: indaginidifensive2

contrastare, semmai con atti compiuti nell’ambito delle proprie indagini difensive, gli

elementi di prova addotti dall’indagato28. Ma in realtà l’esclusione è perfettamente

coerente col sistema complessivo: infatti, la persona offesa, in questa fase, non ha

interesse ad intervenire, poiché il pubblico ministero si sta determinando nel senso

della richiesta di rinvio a giudizio; e se dovesse mutare opinione e richiedere

l’archiviazione, si aprono comunque per la persona offesa, che abbia chiesto di essere

avvisata di questa evenienza, gli spazi garantiti dal procedimento di opposizione alla

richiesta di archiviazione, nell’ambito del quale certamente la persona offesa potrà

produrre gli atti di indagine difensiva.

L’art. 391 octies comma 3 ultima parte c.p.p. stabilisce che dopo la chiusura delle

indagini preliminari il fascicolo del difensore è inserito nel fascicolo di cui all’art.

433 c.p.p. . Si tratta di una disposizione infelice, poiché è evidente che il legislatore

ha fatto riferimento a due momenti ben diversi tra loro: la chiusura delle indagini

preliminari, che si verifica al momento in cui il pubblico ministero notifica

all’indagato il relativo avviso, e la formazione del fascicolo del pubblico ministero,

all’esito dell’udienza preliminare e della formazione da parte del giudice del fascicolo

del dibattimento ex art. 431 c.p.p. . Tra i due momenti intercorre un lasso

procedimentale notevole, che comprende tutta la fase che porta all’udienza

preliminare e l’udienza stessa. In realtà la disposizione pare solo il frutto di una

tecnica normativa approssimativa. Esclusa l’ipotesi secondo la quale dopo la chiusura

delle indagini preliminari possano sopravvivere separati i fascicoli di ciascuna parte,

come avviene nel corso delle indagini preliminari, pare giocoforza dover ammettere

che l’unico fascicolo, chiamato da alcuni “fascicolo delle indagini” costituisca il

contenitore di tutti i fascicoli di parte fino ad allora formati29. Il riferimento all’art.

433 c.p.p., quindi, va inteso come puntato verso il fascicolo delle indagini

preliminari, in quel momento esistente. Peraltro, non si tratta certo dell’unica

confusione lessicale sulla denominazione dei fascicoli contenuta nel codice. Si pensi,

28 Filippi, op. cit. 303 29 Filippi, op. cit. 303. Nello stesso senso anche Mazza, op. cit. 1763 e Ruggiero, op. cit. 314. Le incongruenze sistematiche che produrrebbe una soluzione diversa, che volesse posticipare l’unificazione dei fascicoli delle parti ad un momento successivo all’emissione del decreto di rinvio a giudizio sono segnalate da Piziali, op. cit. 212.

20

Page 21: indaginidifensive2

ad esempio, all’art. 447 c.p.p., che chiama “fascicolo del pubblico ministero” il

fascicolo delle indagini preliminari nel corso delle indagini stesse, quando, cioè,

tecnicamente un fascicolo del pubblico ministero non esiste ancora, in quanto si

forma solo all’esito dell’udienza preliminare; oppure l’art. 552 comma 1 lett. g)

c.p.p., che, viceversa, qualifica fascicolo relativo alle indagini preliminari, quello che

residua dopo la formazione del fascicolo del dibattimento nel rito a citazione diretta,

e cioè allorché è già avvenuta la trasformazione in fascicolo del pubblico ministero30;

ovvero allorché l’art. 391 decies comma 4 c.p.p. prevede l’inserimento di alcuni atti

ed accertamenti irripetibili nel fascicolo del pubblico ministero, mentre nel corso

delle indagini preliminari, come detto, tale fascicolo non esiste ancora.

Vale la pena di sottolineare che, anche dopo l’unificazione, in realtà il fascicolo del

difensore conserva una sua individualità, come si desume dal medesimo art. 433

c.p.p., che al comma 3 distingue il fascicolo del pubblico ministero da quello del

difensore al fine dell’inserimento degli atti di investigazione ex art. 430 c.p.p., e dal

riferimento contenuto nell’art. 391 decies comma 1 c.p.p., relativo alla possibilità di

utilizzare gli atti contenuti nel fascicolo del difensore al fine di operare le

contestazioni e le letture nel corso del dibattimento. Per cui nel fascicolo del pubblico

ministero (che a quel punto sarebbe stato più corretto denominare “fascicolo delle

parti”31) va inserito l’intero fascicolo del difensore, unitariamente considerato, e non i

singoli atti in esso contenuti.

5. Le indagini suppletive.

L’art. 419 comma 3 c.p.p. prevede che l’avviso della fissazione dell’udienza

preliminare deve contenere, tra l’altro, l’invito a tutte le parti a trasmettere la

documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di

rinvio a giudizio. E’ noto che la giurisprudenza costituzionale, interpretando tale

norma prima della modifica introdotta con la l. n. 397/2000, aveva ritenuta infondata

30 Gli esempi sono tratti da Piziali, op. cit. 216. 31 Piziali, op. cit. 217.

21

Page 22: indaginidifensive2

la relativa questione di legittimità nella parte in cui la disposizione non prevede che la

trasmissione ed il deposito della documentazione degli atti di indagine successivi alla

richiesta di rinvio a giudizio avvengano immediatamente dopo la ricezione del

relativo invito, in quanto, ove le indagini suppletive del pubblico ministero

sopravvengono in tempi tali da non consentire un'adeguata difesa, spetta al giudice di

regolare le modalità di svolgimento dell'udienza preliminare anche attraverso

differimenti congrui alle singole, concrete fattispecie, così da contemperare l'esigenza

di celerità con la garanzia dell'effettività del contraddittorio32. Peraltro, la S.C. aveva

stabilito che la omessa trasmissione ed il mancato deposito degli atti di investigazione

suppletiva producevano come conseguenza la inutilizzabilità della relativa

documentazione33.

Alla luce di questi principi, occorre esaminare le problematiche sottese alla

produzione degli elementi di indagine suppletiva del difensore.

In primo luogo, non pare si possa fissare un termine finale per le indagini stesse, non

essendo esso previsto espressamente, e quindi le indagini certamente si possono

espletare fino alla conclusione dell’udienza preliminare. Ma la questione

maggiormente problematica è diversa, e riguarda se esiste un termine per il difensore

di depositare le indagini eventualmente espletate, sia dopo la richiesta di rinvio a

giudizio, e prima della celebrazione dell’udienza preliminare, sia in precedenza. Il

quesito si pone in quanto la lettura dell’art. 391 octies c.p.p. parrebbe legittimare il

difensore a presentare gli elementi di prova raccolti direttamente in udienza

preliminare, ignorando l’invito rivoltogli ex art. 419 comma 3 c.p.p. . In realtà, tale

soluzione è sembrata incongrua ad una dottrina34 attenta ai problemi del

contraddittorio e della pari discovery degli elementi di prova, che ha suggerito di

interpretare la norma nel senso che impone un immediato deposito degli atti al

difensore. In questa costruzione, la presentazione degli atti direttamente all’udienza

preliminare dovrebbe trovare una giustificazione in ragioni di carattere oggettivo,

come la necessità di nuove acquisizioni probatorie a seguito di attività istruttoria

32 Corte Cost. 3 febbraio 1994, n. 16, in Giur. cost. 1994, 120. 33 Cass., sez. VI, 11 maggio 1998, Di Zenzo, CED 210523. 34 Mazza, op. cit. 1763.

22

Page 23: indaginidifensive2

espletata nel corso dell’udienza preliminare, ex art. 421 bis o 422 c.p.p., oppure la

spendita di argomentazioni nuove sugli elementi di prova già acquisiti. Quindi,

comunque, una esigenza difensiva sopravvenuta e controllabile come tale. Tale

interpretazione, secondo l’Autore, avrebbe vari vantaggi di carattere sistematico, tra

cui quello di imporre a tutte le parti una simultanea discovery, in ossequio ai principi

di fair play processuale e di elidere i problemi relativi alla produzione di atti di

indagini difensivi a sorpresa, in vista della richiesta di giudizio abbreviato. La

violazione del dovere di deposito immediato del fascicolo da parte del difensore

comporta, secondo la suddetta dottrina, la sanzione di inutilizzabilità degli atti.

Altra dottrina35, invece, distingue tra gli effetti del deposito tardivo degli atti di

indagine espletati, e dell’omissione dello stesso: nel primo caso il giudice dovrebbe, a

tutela del principio di parità delle parti, concedere un termine alle altre parti per poter

procedere alle proprie indagini del caso, secondo le indicazioni sopra citate fornite

dalla Corte Costituzionale; invece, la sanzione di inutilizzabilità sarebbe riservata

solo all’omissione del deposito. Da ciò, peraltro, si dovrebbe dedurre che, comunque,

l’omesso deposito degli atti nell’udienza preliminare dovrebbe comportare, ad

esempio, l’impossibilità di utilizzare nel dibattimento ai fini delle contestazioni gli

atti a contenuto dichiarativo assunti nel corso delle indagini preliminari.

Al riguardo va osservato che certamente l’art. 419 comma 3 c.p.p. contiene una

chiara indicazione di metodo: le parti che intendono avvalersi della documentazione

relativa alle indagini espletate (anche) dopo la richiesta di rinvio a giudizio, devono

depositarla, in modo da metterla a disposizione delle altre parti, con una chiara

avversione per le prove “a sorpresa”. La previsione della facoltà per le parti di

esaminare gli atti e le cose depositate (art. 131 disp. att. c.p.p.), va anch’essa nel

senso di garantire il pieno dispiegarsi del diritto al contraddittorio sugli elementi di

prova utilizzabili ai fini delle decisioni che possono essere assunte nell’udienza

preliminare. E ciò, si badi, vale anche, ed a maggior ragione, per il caso in cui si tratti

di indagini difensive espletate dalla difesa della parte offesa, ovvero da quella di un

coindagato in posizione di contrasto con l’indagato: in questi casi si comprende bene

35 Rombi, L’indagine suppletiva del difensore, in Processo penale cit. , 409 ssg.

23

Page 24: indaginidifensive2

come l’esigenza di parità tra le parti ha immediati riflessi sul diritto di difesa

dell’indagato che devono indurre ad adottare soluzioni che privilegino la correttezza

dei comportamenti, e che evitino che possa prevalere una visione sportiva e

competitiva del processo. Peraltro, non si può nascondere che va certamente ripensato

un orientamento giurisprudenziale che, in questo come in altri casi, si è rivelato

eccessivamente permissivo nei confronti dei comportamenti del pubblico ministero,

in funzione dell’esigenza di non disperdere elementi di prova comunque acquisiti. La

scelta ermeneutica, quindi, pare debba essere tra il sanzionare di inutilizzabilità la

produzione tardiva, o addirittura omessa, e quella di prevedere, invece, comunque

spazi in cui si possa spiegare appieno il diritto di contraddire delle altre parti.

6. L’udienza preliminare.

Si è già accennato al fatto che l’art. 391 octies c.p.p. prevede espressamente che il

difensore può presentare direttamente al giudice gli elementi tratti dalle

investigazioni difensive anche nell’udienza preliminare. Tale elementi serviranno,

innanzitutto, ai fini delle decisioni di integrazione istruttoria che il giudice deve

assumere ai sensi degli artt. 421 bis e 422 c.p.p. . E poi ai fini della decisione da

prendere al termine dell’udienza preliminare, nel senso della sentenza di non luogo a

procedere ex art. 425 c.p.p., ovvero del decreto di rinvio a giudizio ex art. 424 c.p.p. .

Oltre, ovviamente, che per essere spesi nei riti alternativi che si possono innestare

nell’udienza stessa.

Si è già trattato nel precedente paragrafo del problema del momento in cui deve

essere depositata la documentazione delle indagini espletate dalla difesa prima

dell’inizio dell’udienza preliminare. Basti qui ricordare che, se si ammette che la

parte privata abbia diritto a presentare gli elementi di prova raccolti direttamente in

udienza preliminare, certamente alle altre parti deve essere riconosciuto il diritto ad

un termine per poter contraddire in proposito, ed espletare le eventuali indagini che

si rivelassero necessarie.

24

Page 25: indaginidifensive2

La previsione della possibilità per la difesa di produrre elementi di prova in tale fase

va raccordata con l’attuale struttura dell’udienza preliminare, e quindi con l’aumento

dei poteri integrativi di indagine del Giudice dell’Udienza Preliminare. In

quest’ottica, generalmente36 si ammette che il giudice possa verificare ex art. 422

c.p.p. gli elementi di prova addotti dalle difese in udienza preliminare, e quindi, ad

esempio, possa risentire le persone le cui dichiarazioni siano state assunte o ricevute

dal difensore, e la cui documentazione sia stata depositata al giudice. A confortare

tale opinione soccorre il disposto del novellato art. 507 c.p.p., il quale prevede

espressamente che il giudice possa assumere d’ufficio mezzi di prova in relazione

agli atti unilateralmente formati dalle parti, ed acquisti al fascicolo del dibattimento

su consenso di tutte le parti (artt. 431 comma 2 e 493 comma 3 c.p.p.). A maggior

ragione tale potere non può essere negato al giudice di fronte ad atti che sono

utilizzabili in questa fase per il solo fatto di essere depositati dalla parte privata, a

prescindere dall’atteggiamento, di consenso o meno, che assumano al riguardo le

altre parti. Ancora una volta, per comprendere i rischi insiti in una soluzione diversa,

si pensi al caso della persona sentita dal difensore della parte offesa, che costituisca

un elemento di carico per l’indagato.

7. I riti alternativi.

Si è già accennato al fatto che il deposito degli atti di investigazioni difensive può

essere compiuto in relazione alla possibilità di utilizzarli nei riti alternativi che si

innestano nell’udienza preliminare.

E’ chiaro che i maggiori problemi riguardano il rito abbreviato, in quanto per

l’applicazione della pena su richiesta non si pongono eccessive questioni, se non la

già citata esigenza di consentire alle altri parti di contraddire gli elementi di prova

eventualmente addotti a sorpresa dal difensore. Peraltro, la previsione della necessità

del consenso del pubblico ministero sulla richiesta di applicazione della pena

proveniente dall’indagato, mette al riparo da possibili manovre della difesa. E,

36 Filippi, op. cit. . 309.

25

Page 26: indaginidifensive2

viceversa, in ordine agli elementi di prova eventualmente prodotti dalla difesa della

persona offesa o di un altro indagato.

Da autorevole dottrina37, è stata messa in dubbio la possibilità di utilizzazione degli

atti di investigazione difensiva nel rito abbreviato, sulla base della considerazione che

l’art. 111 Cost. comma 5 non obbliga il pubblico ministero a prestare il consenso

sugli atti formati unilatelarmente dalla difesa, come avverrebbe nel caso in esame, ma

solo ammette, in violazione del principio del contraddittorio, che l’imputato consenta

l’utilizzazione di atti formati dal solo pubblico ministero. In un’ottica in cui il

principio del contraddittorio viene visto come garanzia oggettiva di attendibilità del

risultato probatorio, si può convenire che il consenso all’utilizzo probatorio dell’atto

compiuto dalla controparte può valere come rinuncia concordata al contraddittorio,

purché sia chiaro che, nonostante il silenzio della norma, questo meccanismo opera

nel senso che l’atto di indagine difensiva può essere utilizzato come prova soltanto se

il pubblico ministero dà il consenso. Ineludibile corollario di questa impostazione è

l’incostituzionalità dell’attuale disciplina del rito abbreviato nella parte in cui

ammette, su richiesta del solo imputato, che siano utilizzate come prove anche le

risultanze investigative della difesa (arg. ex artt. 391 octies comma 3 e 442 comma 1

bis c.p.p.). Inoltre, viene speso anche un argomento testuale: si nota che l’art. 442

comma 1 bis cpp, prevede che siano utilizzati gli atti trasmessi ai sensi dell’art. 416

comma 2, 419 comma 3 c.p.p. e le prove assunte in udienza, ma non contiene alcun

espresso riferimento agli atti di indagine difensiva. In realtà, tale richiamo sarebbe

stato inutile: infatti, si è detto che gli atti contenuti nel fascicolo del difensore, alla

chiusura delle indagini preliminari, e quindi prima della trasmissione all’ufficio del

G.I.P., vengono riversati nel fascicolo delle indagini, l’unico fascicolo allora

esistente, e quindi sono compresi negli atti relativi alle indagini espletate, di cui parla

l’art. 416 comma 2 c.p.p. . Inoltre, l’art. 419 comma 3 c.p.p., come detto, messo in

relazione al comma 2 della stessa norma, contiene il riferimento all’attività di

indagine (suppletiva) compiuta sia dal P.M. che dai difensori, per cui non vi era

necessità di alcuna ulteriore specificazione nell’art. 442 c.p.p. .

37 Giostra, Analisi e prospettive di un modello probatorio incompiuto, in Quest. Giust., 2001, 1136

26

Page 27: indaginidifensive2

Peraltro, si è osservato che sarebbe ingiustamente penalizzante escludere

l’utilizzabilità delle investigazioni difensive nel rito abbreviato, almeno nel caso in

cui, sin dal primo momento, l’imputato abbia mostrato di optare per un rito

alternativo. Infatti, le indagini difensive prodotte prima della conclusione elle

indagini preliminari, o in occasione di questa, consentono al pubblico ministero di

verificare liberamente gli elementi di prova addotti, non vigendo in questa fase il

divieto posto dall’art. 430 bis c.p.p. . Quindi, il pubblico ministero, nello scegliere di

chiedere il rinvio a giudizio nonostante gli elementi di prova addotti dalla difesa, ha

dimostrato di ritenere che il quadro probatorio è sufficientemente solido da poter

affrontare il severo parametro posto dall’art. 425 c.p.p., ed in tal modo ha accettato

gli effetti delle fonti di prova prodotte dalla difesa dell’indagato38. Viene in tal modo

superato il problema del consenso ai fini della utilizzabilità degli elementi di prova

unilateralmente formati, che costituisce un succedaneo del non verificarsi del

contraddittorio.

Si è posto il problema se è ammissibile che il difensore subordini la richiesta di rito

abbreviato all’acquisizione di elementi di prova assunti nell’ambito delle

investigazioni difensive. La risposta non può che essere positiva, ma sembra in realtà

che si tratti di un falsa questione: infatti, il difensore ha diritto di produrre la

documentazione delle indagini difensive, che dovrà comunque essere valutata dal

giudice, e semmai ritenuta inutilizzabile o irrilevante in sede di decisione. Non c’è,

quindi, alcuna necessità per il difensore di subordinare la richiesta di rito abbreviato

all’acquisizione degli atti di indagine difensiva, esponendosi così ad un rigetto per

eventuale ritenuta non necessità (o, molto più difficilmente, contrasto con l’economia

del giudizio): il difensore può produrre gli elementi, e poi chiedere il rito abbreviato

non condizionato, ottenendo così il medesimo risultato. D’altro canto, viceversa,

l’eventuale ammissione al rito condizionato non garantisce certo la difesa dalla

possibilità che il giudice ritenga inutilizzabili gli elementi di prova ai fini della

38 Di Dedda, Il consenso delle parti nel processo penale, Padova, 2003, 38

27

Page 28: indaginidifensive2

decisione, non risolvendosi certo l’ammissione al rito in una sorta di sanatoria dei

vizi dell’atto.

Anche rispetto al rito abbreviato si pone la medesima questione, già affrontata in sede

di esame delle disposizioni sull’udienza preliminare, della possibilità per il giudice di

verificare gli elementi di prova addotti dalla difesa nell’ambito dei poteri officiosi di

integrazione probatoria concessigli dall’art. 441 comma 5 c.p.p., ad esempio

risentendo le persone che hanno reso dichiarazioni al difensore. E pure in questo

caso, per gli stessi motivi già esplicitati, la risposta non può che essere positiva. Una

situazione particolare si può verificare allorché il difensore abbia sentito il coindagato

o la persona indagata di reato connesso, o assimilati, ai sensi dell’art. 210 c.p.p.,

secondo quanto gli è consentito dall’art. 391 bis comma 5 c.p.p. . Potrebbe, infatti

darsi che il giudice intenda risentire tale persona nell’ambito dell’attività ex art. 441

comma 5 c.p.p., e che questa, presentatasi, rifiuti di rispondere alle domande, nelle

ipotesi in cui ciò le è consentito. Ad esempio, se si tratta delle persone di cui all’art.

197 bis comma 2 c.p.p. (imputato in procedimento connesso ex art. 12 comma 1 lett.

c) o di reato collegato ex art. 371 comma 2 lett. b), non ancora giudicate con sentenza

irrevocabile. A tali persone, infatti, non potrà essere stato dato l’avvertimento di cui

all’art. 64 comma 3 c.p.p., poiché esso non è previsto nel catalogo degli avvisi che il

difensore deve rivolgere alla persona che rende informazioni, per cui essi non

possono assumere la veste di testimoni assistiti, con la conseguente perdita del diritto

al silenzio. Peraltro, nessuna norma dispone la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese

in precedenza dalla persona in questione, tranne che non si tratti di elementi di prova

di carico per l’indagato (ad esempio, prodotto dalla difesa della parte civile), poiché

in tal caso si potrebbe sostenere che vige il divieto previsto dall’art. 111 comma 4

Cost, e ribadito dall’art. 526 comma 1 bis c.p.p. . Pertanto, le dichiarazioni precedenti

saranno di norma utilizzabili ai fini della decisione, salva ovviamente la valutazione

di attendibilità che ne deve dare il giudice in conseguenza del rifiuto di rispondere39.

39 Nel senso della utilizzabilità anche delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari da persone che nel rito abbreviato si sono avvalse della facoltà di non rispondere: Cass., sez. V, 23 settembre 2002, Einaudi, in Cass. pen. 2003, p. 3474, con nota di Di Bitonto, Sottrazione volontaria all’escussione orale e giudizio abbreviato.

28

Page 29: indaginidifensive2

8. Le indagini integrative.

Conclusasi l’udienza preliminare con il decreto di rinvio a giudizio, pubblico

ministero e difensori possono proseguire le attività di indagine, al fine di presentare le

proprie richieste al giudice del dibattimento. Unica eccezione, gli atti che prevedano

la partecipazione dell’imputato o del difensore di questi40. Si tratta dell’attività di

indagine parallela al dibattimento, che si può svolgere anche nel corso di questo. Ciò

si ricava dal disposto dell’art. 430 bis c.p.p., il quale vieta sia al pubblico ministero

che al difensore di sentire persone indicate nella lista di cui all’art. 468 c.p.p., nonchè

quelle ammesse dal giudice ai sensi dell’art. 507 c.p.p.41, con la conseguenza che fino

a questo momento è certamente possibile continuare nell’attività di indagine

difensiva, senza che l’apertura del dibattimento, e la richiesta di ammissione delle

prove, possano costituire un limite insuperabile. Del resto, in questo senso si era

orientata anche la giurisprudenza di legittimità in riferimento all’attività d’indagine

del pubblico ministero, prima della riforma42.

La norma prevede che la documentazione delle attività investigative integrative

debba essere immediatamente depositata nella segreteria del pubblico ministero, a

disposizione delle altre parti. Quindi, gli atti depositati vengono inseriti in un

fascicolo, da alcuni denominato “terzo fascicolo”43, in attesa di transitare nel

fascicolo del pubblico ministero una volta utilizzati per le richieste al giudice del

dibattimento, nell’ipotesi ovviamente che esse siano accolte. La previsione

dell’obbligo di deposito immediato, in riferimento al difensore, non può essere inteso

nel senso di costringere il difensore a depositare qualunque attività di indagine

espletata, compresa quella relativa ad elementi sfavorevoli al proprio assistito, per il

40 Mazza, op. cit. 1762 nota che anche in questo caso la formula è infelice, poiché, ovviamente, interpretata alla lettera vieterebbe al difensore dell’imputato di svolgere qualsiasi indagine, alla quale deve necessariamente partecipare. E, del resto, è pacifico che il difensore non possa compiere atti che prevedano la raccolta del contributo conoscitivo del proprio assistito. Il senso della disposizione, invece, è quello di voler escludere gli atti per i quali è necessaria la presenza dei coimputati o dei loro difensori. 41 In precedenza, la S.C. ammetteva, seppure sottolineandone la non ortodossia, la possibilità per il P.M. di assumere informazioni dalla persona ammessa ai sensi dell’art. 507 c.p.p.: Cass, sez. I, 9 dicembre 1998, Caronfolo, in Cass. pen. 2000, 1759 e 2384. 42 Cass., sez. V, 2 luglio 1996, Muto, in Cass, pen. 1998, 211. Per i limiti di utilizzazione di detti atti di indagine: Cass., sez. VI, 12 giugno 1996, Aragozzini, in Giust. Pen. 1997, III, 698; Corte Cost. 3 aprile 1998, n. 95, in Cass, pen. 1996, 2470.

29

Page 30: indaginidifensive2

generale principio stabilito dall’art. 327 bis c.p.p. . E, comunque, la questione non

avrebbe riflessi concreti dal punto di vista processuale, essendo ipotizzabile la

sanzione massima della inutilizzabilità dell’elemento di prova non depositato, che,

nel caso di elementi sfavorevoli alla parte assistita dal difensore investigante, non

avrebbe ovviamente senso logico alcuno. La norma, piuttosto, intende stabilire un

obbligo di deposito”immediato” degli elementi di prova che si intendono utilizzare, al

fine di consentire alle altre parti di poterne prendere conoscenza. Ancora una volta,

siamo di fronte ad una disposizione che tende a imprimere correttezza all’agire

processuale dei vari protagonisti, ed ad imporre regole a tutela del diritto al

contraddittorio. Si è già detto che il legislatore costituzionale ha costruito il principio

del contraddittorio nella formazione del contraddittorio non solo come una garanzia

per l’imputato, ma soprattutto come un metodo di ricerca della verità ritenuto il più

efficace possibile. In questo senso, vi è una evidente avversione per quegli

atteggiamenti che tendano ad introdurre nel processo elementi di prova “a sorpresa”,

non sottoposti in precedenza al vaglio delle altre parti, e quindi alla possibilità di

contraddire in proposito. In realtà, la libertà lasciata alla difesa di produrre senza

limiti temporali gli elementi di prova raccolti, con il solo rispetto della propria

strategia difensiva, si scontra inevitabilmente con il diritto al contraddittorio. Ma la

disciplina positiva sul punto è incerta e confusa, come si è già visto a proposito delle

indagini suppletive, proprio perché il legislatore non si è voluto far carico del

problema, ed affrontarlo esplicitamente. Di conseguenza, spetta all’interprete di

tentare di ricostruire il sistema in modo da renderlo coerente con il dato

costituzionale, anche se, come già si è visto, ciò non sempre è possibile.

Si pone, quindi, il tema degli effetti della violazione dell’obbligo di deposito

immediato stabilito dall’art. 430 c.p.p. . Una parte della dottrina44 distingue tra le

attività compiute prima della presentazione delle liste testimoniali, e dopo di esse.

Nel primo caso, la violazione dell’obbligo di deposito immediato avrebbe come

conseguenza la impossibilità di utilizzare le precedenti dichiarazioni ai fini delle

43 Rainò, Le nuove prospettive dell’attività di indagine integrativa, in Processo penale cit, , 430. 44 Rainò, op. cit. 431.

30

Page 31: indaginidifensive2

contestazioni e delle letture, argomentando dall’art. 493 comma 2 c.p.p., che ammette

la possibilità di acquisire prove non indicate nelle liste, a condizione che la parte

dimostri di non averle potute indicate tempestivamente; infatti, se il difensore

depositasse la documentazione della attività integrativa d’indagine compiuta prima

della presentazione delle liste, ammetterebbe che non sussiste il requisito di novità

che legittima la richiesta tardiva. Ed analoghe considerazioni vengono fatte per le

richieste ex art. 507 e 523 comma 6 c.p.p. . Quindi, i risultati delle investigazioni

difensive integrative non tempestivamente prodotte potrebbero avere una

utilizzazione solo interna all’ufficio della difesa, ma non essere usate per le

contestazioni o essere lette. Secondo questa tesi, anche per le attività compiute dopo

la presentazione delle liste vale l’obbligo immediato di deposito, ed il giudice dovrà

porre in condizione le altre parti di poter contraddire in proposito ed esercitare il

diritto alla controprova, anche concedendo le congrue dilazioni temporali.

Invece, altri Autori ritengono che, al di là dei profili di responsabilità disciplinare del

difensore, dal mancato rispetto dell’obbligo immediato di deposito non discendano

sanzioni di inutilizzabilità dell’atto tardivamente prodotto45.

Comunque, pare certo che gli atti di indagine integrativa tempestivamente prodotti

possano essere utilizzati pienamente, sia per le contestazioni, sia, in caso di

sopravvenuta imprevedibile impossibilità di ripetizione, ai sensi dell’art. 512 c.p.p. . I

problemi di utilizzabilità di questi atti non sono diversi da quelli che riguardano, in

generale, gli atti di indagine difensiva, e che saranno esaminati in appresso.

9. Il fascicolo del dibattimento. Gli atti irripetibili.

L’art. 391 decies c.p.p. regola l’utilizzazione in dibattimento degli atti di indagine

difensiva. Particolarmente importante è la disciplina degli atti ed accertamenti tecnici

irripetibili che, com’è noto, in quanto acquisibili al fascicolo del dibattimento e, per

tale via, utilizzabili ai fini della decisione, costituiscono una deroga al principio della

45 Mazza, op. cit. 1762; Ruggiero, op. cit. 320, che auspica un uso attento del giudice di concedere congrui termini a difesa alle altre parti in caso di deposito non tempestivo.

31

Page 32: indaginidifensive2

separazione delle fasi e della impermeabilità del dibattimento rispetto agli atti

unilateralmente formati dalla parti, cristallizzato dall’art. 111 Cost. . In realtà, proprio

in quest’ambito, la disciplina è farraginosa e confusa, e provoca problemi

interpretativi di non poco momento.

La disposizione in esame distingue innanzitutto tra atti non ripetibili diretti alla

raccolta di dati (atti non ripetibili compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi:

comma 2), da quelli diretti alla valutazione dei dati raccolti (accertamenti tecnici non

ripetibili: comma 3). Altre distinzioni da tenere presenti al fine di esaminare la

disciplina in parola sono quelle tra accertamenti tecnici compiuti su una situazione

soggetta a modificazione (art. 360 c.p.p.), ed accertamenti tecnici che determinano

essi stessi la modificazione delle cose, persone o luoghi, in modo tale da rendere

l’atto non ripetibile (art. 117 disp. att. c.p.p.); e quella tra accertamenti non ripetibili,

ma differibili senza pericolo di dispersione della prova, ed accertamenti indifferibili,

a pena di perdita dell’elemento di prova (art. 360 comma 4 e 354 comma 2 c.p.p.).

La disposizione di carattere generale è contenuta nell’art. 431 comma 1 lett. c) c.p.p.

che prevede l’inserimento nel fascicolo del dibattimento degli atti non ripetibili

compiuti, tra l’altro, dal difensore. L’art. 391 decies c.p.p., in particolare, tratta,

innanzitutto (comma 2), degli atti non ripetibili compiuti in occasione dell’accesso ai

luoghi, senza distinzioni soggettive, e quindi riferiti anche all’attività compiuta da

soggetti diversi dal difensore e dal sostituto, come i consulenti tecnici e gli

investigatori privati. La disposizione si apre con una clausola di esclusione (fuori dei

casi in cui è applicabile l’art. 234 c.p.p.), che già presenta aspetti problematici. E’

noto, infatti, che l’art. 234 si riferisce ai documenti formati al di fuori del

procedimento penale, mentre le attività di indagine difensiva sono certamente atti del

procedimento, e quindi sembrerebbe che le due tipologie non possano mai

confondersi, con la conseguenza che la disposizione dovrebbe ritenersi il frutto di un

errore del legislatore, peraltro innocuo46. Alcuni hanno tentato di fornire una

giustificazione alla disposizione. Così, si è sostenuto47 che il richiamo all’art. 234 è

46 Mazza, op. cit. 1764. 47 Ruggiero, op. cit. , 356.

32

Page 33: indaginidifensive2

riferito all’ipotesi in cui l’atto compiuto sia irripetibile per essersi esso stesso risolto

nell’acquisizione di uno scritto o di una pellicola cinematografica, o di una audio

registrazione o di un qualunque mezzo, secondo quanto previsto dall’art. 234 c.p.p., il

quale fa riferimento espressamente all’idea stessa di acquisizione, ossia del recupero

effettivo e materiale di un determinato oggetto. Al riguardo, però, sembra potersi

affermare che in questo caso irripetibile non sarebbe l’atto di investigazione

difensiva, ma l’oggetto dell’attività di investigazione, concretizzatasi

nell’acquisizione di un documento attestante una attività irripetibile. Ancora, si è

proposto, non senza perplessità, di riferire la dizione “al di fuori dei casi in cui è

applicabile l’art. 234” agli atti di investigazione difensiva preventiva compiuti in

occasione di accesso ai luoghi, assimilabili, “sia pure con una certa

approssimazione”, ai documenti, perché effettuati prima dell’instaurazione del

procedimento, e quindi al di fuori di esso48. Oppure, ai documenti formati al di fuori

del procedimento e delle indagini difensive, come una fotografia dello stato dei

luoghi eseguita da un reporter che si trovava casualmente sul posto. La deduzione è

logica, ma non si vede l’utilità dell’inserimento di una clausola di salvezza di tal

genere nell’ambito delle indagini difensive. In realtà, pare molto più lineare pensare

ad una semplice confusione del legislatore, determinata da una mancata

consapevolezza del significato tecnico dei termini utilizzati, peraltro senza

conseguenze pratiche49.

Altri problemi, e più seri, nascono dal combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art.

391 decies c.p.p. . Infatti, come detto, il comma due destina, in via generale, gli atti

irripetibili di cui si è detto all’inserimento nel fascicolo del dibattimento. Senonchè, il

comma quattro precisa che la documentazione di tale attività viene inserita nel

fascicolo del difensore ed in quello del pubblico ministero, se questi ha esercitato la

facoltà di assistervi, concludendo con un ulteriore richiamo all’art. 431 comma 1 lett.

c). La farraginosità della disposizione è dovuta, verosimilmente, all’incedere dei

48 Arru, op. cit. 337. 49 Piziali, op. cit. 237

33

Page 34: indaginidifensive2

lavori parlamentari50. Ma, dovendo dare un senso alla norma, si potrebbe affermare

che essa stabilisce l’obbligo per il difensore di depositare il verbale dell’attività

irripetibile, se ad esso ha partecipato il pubblico ministero, a prescindere dall’esito

dello stesso, mentre, nel caso in cui il pubblico ministero non sia intervenuto, il

difensore conserva la facoltà di depositare o meno l’atto compiuto. Se ciò avviene,

l’atto è inserito nel fascicolo del dibattimento51. La norma non chiarisce in che modo

il pubblico ministero venga a conoscere del fatto che il difensore sta compiendo un

atto irripetibile. Alcuni52 ritiene che il difensore debba avvisare il P.M. dell’accesso ai

luoghi al fine di consentirgli di esercitare la facoltà di intervenire. Il problema si pone

in modo drammatico per quegli atti di raccolta della prova che determinano di per sé

stessi la irripetibilità, coma la rilevazione di una impronta digitale o la raccolta di

residui di polvere da sparo53. Se, infatti, il pubblico ministero, non avvisato, non

partecipa all’atto, o comunque se ritiene di non parteciparvi, il difensore conserva la

disponibilità della prova che, se in ipotesi abbia portato ad un risultato sfavorevole al

proprio assistito, può omettere di depositare, sottraendo così un elemento di prova

alla conoscenza del giudice. In tal modo interpretata, la disposizione sollecita

numerosi dubbi di compatibilità costituzionale. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi,

tutt’altro che remota, di un atto irripetibile compiuto dalla difesa della persona offesa,

che dimostri l’innocenza dell’indagato, e che potrebbe essere lecitamente sottratto

alla conoscenza comune. La normativa, infatti, dovrebbe prevedere, in primo luogo, il

divieto di attività che non tendano alla conservazione dell’elemento di prova (ciò che

dovrebbe essere comunque consentito), ma che invece abbiano come diretta

conseguenza la sua distruzione. E, comunque, l’obbligo di avviso del compimento

dell’attività e di deposito delle relative risultanze, a prescindere da qualsiasi altra

presenza e dall’esito. Il difensore, a differenza del pubblico ministero, è libero di

effettuare o meno una attività d’indagine. Ma se la compie, e se in tal modo rende

50 Piziali, op. cit. 230; Per una sintesi dei lavori parlamentari, vedi Dalia, in Il nuovo ruolo del difensore nel processo penale, 588. 51 Mazza, op. cit. 1764; Ruggiero, op. cit. 362. 52 Scillitano, Il fascicolo del difensore, in Il nuovo ruolo cit. , 316 53 gli esempi sono di Campanella, L’attività difensiva di ricerca e di individuazione degli elementi probatori: l’accesso ai luoghi. , in Processo penale cit. , 285

34

Page 35: indaginidifensive2

irripetibile l’atto, deve avere l’obbligo di offrire l’elemento di prova al patrimonio

comune di conoscenza.

Si deve segnalare che una dottrina, attenta a questi profili di tutela del contraddittorio,

sulla base del principio “a nessun soggetto processuale può essere consentito di

distruggere le fonti di prova”, sostiene che il difensore è abilitato a compiere atti

urgenti finalizzati alla raccolta dei dati, anche tecnici, soggetti a modificazioni

naturali, ma che non implicano né una valutazione di tali dati, né una modificazione

dello status quo. L’esempio portato è quello della fotografia di un luogo soggetto a

modificazioni54.

Questioni concettuali non dissimili si pongono in ordine al disposto dell’art. 391

decies comma 3 c.p.p., che riguarda gli accertamenti tecnici non ripetibili. In questo

caso, la norma obbliga il difensore a darne avviso, senza ritardo, al pubblico

ministero per l’esercizio delle facoltà previste, in quanto compatibili, dall’art. 360

c.p.p. . In primo luogo, non è ben chiaro cosa si intenda per esercizio delle facoltà di

cui all’art. 360 c.p.p. . A prima lettura, la disposizione sembrerebbe riferirsi alla

facoltà per il pubblico ministero di partecipare con propri consulenti tecnici ai lavori,

ai sensi dell’art. 360 comma 3 c.p.p., e di esprimere la riserva di incidente probatorio,

di cui all’art. 360 comma 4 c.p.p. , in una sorta di posizione speculare a quella delle

parti private nell’ipotesi inversa. Ma, in realtà, quest’interpretazione non tiene conto

del fatto che se il pubblico ministero procede ai sensi dell’art. 360 c.p.p., ha l’obbligo

di avvisare tutti gli interessati, indagato e persona offesa, in modo da rendere

opponibile anche a loro l’esito dell’accertamento, e di consentire il pieno dispiegarsi

del contraddittorio in un momento così delicato come quello del compimento di un

atto che, per sua natura, è destinato a confluire nel fascicolo del dibattimento, ed a

costituire una prova utilizzabile ai fini della decisione. Quindi, prima conclusione cui

si può giungere è che, una volta avvisato, il pubblico ministero deve a sua volta

avvisare tutti gli interessati perché possano partecipare all’accertamento. Ma i

problemi non si fermano qui: infatti, se la disposizione dovesse essere interpretata nel

54 Focardi, Estesa anche alle parti private la possibilità di compiere attività tecniche irripetibili, in Processo penale cit. , 378, 380, 384.

35

Page 36: indaginidifensive2

senso che al difensore è consentito effettuare accertamenti tecnici irripetibili senza

alcuna limitazione, si porrebbero serissimi dubbi di compatibilità costituzionale.

Infatti, il richiamo alle “facoltà” del pubblico ministero sembra escludere un obbligo

di partecipare all’accertamento, per cui potrebbe ben verificarsi l’ipotesi in cui il

difensore da solo compia un accertamento non urgente e non indifferibile, ma che

comporti la modificazione dello stato dei luoghi, cose o persone. In questo caso -

sembra dedursi dalla lettura dell’art. 391 decies comma 4 c.p.p. - il difensore è

comunque obbligato a depositare il relativo verbale, che viene acquisito al fascicolo

sia del difensore che del pubblico ministero (rectius, in questa fase, delle indagini),

per poi transitare in quello del dibattimento. Per cui, saremmo in presenza di un atto

compiuto da un difensore, al quale gli altri difensori non hanno partecipato, e del

quale non sono stati nemmeno avvisati per poter partecipare. E l’inserimento nel

fascicolo del dibattimento sembra preludere ad un’utilizzazione piena

dell’accertamento, a prescindere dal fatto che le altri parti (diverse dal P.M.) siano

state o meno messe in condizioni di partecipare. Si rifletta sulle conseguenze che tale

impostazione avrebbe nell’ipotesi in cui l’accertamento fosse compiuto dalla difesa

della persona offesa, o da quella di un indagato in posizione di contrasto con altri

indagati. Né si può dedurre l’esistenza di una situazione simile nel caso in cui sia il

pubblico ministero a procedere all’accertamento tecnico non ripetibile: la differenza

sostanziale sta nel fatto che il difensore non deve - ed anzi spesso non è nemmeno in

grado di - avvisare tutte le altre parti, la cui tutela, quindi, è affidata all’intervento del

P.M., che se decide di intervenire, provvederà agli avvisi di cui all’art. 360 c.p.p. .

Pensare – per tornare all’esempio di cui sopra – che in caso di accertamento tecnico

irripetibile compiuto dalla difesa della persona offesa o di altro indagato in posizione

di contrasto, la tutela della posizione dell’indagato è affidata al suo interlocutore

naturale, e cioè al pubblico ministero, non sembra certo il risultato auspicato da chi si

è battuto per l’inserimento nel corpo del codice della regolamentazione delle attività

d’indagine difensiva. Quindi, la differenza tra il P.M. e la difesa, in questo caso, non

sta nella loro posizione, ma negli obblighi cui sono soggetti, a tutela di tutti gli

interessati.

36

Page 37: indaginidifensive2

Ma, forse, una possibile chiave di lettura diversa esiste. Infatti, si deve ricordare che

l’art. 233 comma commi 1 bis e 1 ter c.p.p. stabilisce che nel caso in cui il

consulente tecnico della parte privata sia autorizzato a esaminare le cose sequestrate

nel luogo in cui si trovano, il giudice impartisce le disposizioni necessarie per la

conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi, oltre che per il rispetto

delle persone. Il che significa, senza ombra di dubbio, che in quel caso non possono

essere eseguiti accertamenti o esami che comportano una modificazione dello stato

delle cose. Ed allora, per salvare la disposizione di cui all’art. 391 decies comma 3

c.p.p. dai dubbi di legittimità costituzionale, si potrebbe optare per una

interpretazione che vieti in ogni caso l’attività del difensore, laddove essa stessa

comporti la modificazione dello stato dei luoghi o delle cose55. Resta, ovviamente,

l’ipotesi in cui lo stato dei luoghi o delle cose sia soggetto comunque a modificazioni:

è questa l’ipotesi alla quale si riferisce l’art. 391 nonies comma 3 c.p.p. : in questo

caso, il difensore ha diritto di evitare la dispersione dell’elemento probatorio, ma, per

tutelare il diritto a partecipare di tutti gli interessati (che egli, verosimilmente

nemmeno conosce), deve avvisare il pubblico ministero che procede a sua volta agli

avvisi di cui all’art. 360 c.p.p. , e può anche avanzare riserva di incidente probatorio,

così impedendo al difensore di procedere oltre nell’accertamento. Se si ritiene che il

pubblico ministero in questo caso sia obbligato ad intervenire ed effettuare gli avvisi

alle altre parti, non pare vi siano problemi ulteriori, anche se sarebbe stato meglio che

la disposizione fosse stata più chiara in proposito; se, invece, si ritiene che un obbligo

di tal fatta non esiste, residua il problema se il difensore può comunque procedere,

ovvero se debba fermarsi e richiedere un incidente probatorio. Comunque, gli

dovrebbe essere consentito di procedere agli accertamenti tecnici che non possono

essere differiti perchè altrimenti non possono essere più utilmente compiuti (cd.

accertamenti indifferibili; art. 360 comma 4 ult, parte c.p.p. ), poiché in tal caso il

difensore tende a conservare un elemento di prova che altrimenti andrebbe perso56. In

55 In questo sembra orientarsi anche Focardi, op. cit. 385 ssg. 56 Invece Focardi, op. cit. ritiene che in questo caso non sia applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 360 comma 4 ult. parte c.p.p., per cui il difensore dell’indagato (ma non quello della persona offesa) avrebbe solo la possibilità di chiedere di procedere ad incidente probatorio, sperando che l’accertamento sia ancora utilmente esperibile nei tempi tecnici necessari ad instaurare il contraddittorio.

37

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tal caso, è obbligatorio il deposito del relativo verbale nel fascicolo del difensore e

del pubblico ministero, e poi in quello del dibattimento, a prescindere dall’esito

dell’accertamento.

Ci si rende conto che questa ricostruzione interpretativa trova ostacoli letterali di non

poco rilievo, ma sembra l’unica in grado di restituire coerenza al sistema, di evitare la

“corsa” all’elemento di prova sulla base della logica del “primo arrivato, meglio

servito”57, e di salvare la norma da sospetti di costituzionalità.

Una volta inserito nel fascicolo del dibattimento il verbale dell’accertamento tecnico

non ripetibile eseguito dalla difesa, si pone il dubbio se il consulente tecnico della

parte possa essere citato anche dalle altre parti, e se, citato, possa opporre il segreto

professionale di cui all’art. 200 c.p.p. . Nonostante alcuni dubbi in proposito58, si

deve concordare con quella dottrina59 che sottolinea come il consulente tecnico nello

svolgere un accertamento irripetibile, che va inserito obbligatoriamente nel fascicolo

del dibattimento, assuma l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria in proposito, e

quindi non abbia diritto di opporre il segreto professionale. Del resto, ragionando in

modo diverso, sarebbe evidente l’irrazionalità di una disciplina che prevede

l’inserimento del verbale nel fascicolo del dibattimento, e quindi lo rende utilizzabile

ai fini della decisione, e poi consenta al consulente tecnico di non rispondere

all’esame ed al controesame.

Va infine notato come non risultino disciplinate le investigazioni difensive cd.

atipiche, come ad esempio un pedinamento rispetto alle quali, secondo una dottrina60,

non sarebbe consentita alcuna forma di impiego processuale delle conoscenze così

acquisite.

10. L’utilizzazione in dibattimento degli atti a contenuto dichiarativo.

57 L’espressione è di Focardi, op. cit. 392. 58 Focardi, op. cit. 398. 59 Ruggiero, op. cit. 364. 60 Mazza, op. cit. 1764.

38

Page 39: indaginidifensive2

Per quanto riguarda l’utilizzazione in dibattimento degli atti di indagine difensiva a

contenuto dichiarativo, l’art. 391 decies comma 1 c.p.p. stabilisce che delle

dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore le parti possono servirsi a norma

degli artt. 500, 512 e 513. Anche questa disposizione, pur nella sua sinteticità,

presenta aspetti problematici.

In via generale, può affermarsi che la disciplina predetta si applica sia alle

dichiarazioni ricevute dal difensore o dal sostituto, sia da quelle da loro assunte,

senza alcuna distinzione. Inoltre, pare certo che non solo il difensore che le ha

ricevute o assunte, ma tutte le parti possono servirsi delle predette dichiarazioni, sulla

base del principio di acquisizione processuale, secondo il quale l’elemento di prova,

una volta ammesso, appartiene al processo e non alla parte. Principio che, come detto,

ora trova il suo riconoscimento normativo nella disposizione di cui all’art. 495

comma 4 bis c.p.p. .

Ci si può ora soffermare sul significato da attribuire ai richiami contenuti nella norma

citata. Quello all’art. 500 c.p.p. sembra essere il meno problematico. Infatti, esso si

riferisce sia all’utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, una volta contestate

all’esaminando, ai sensi del comma 3, al fine di valutare la credibilità della persona

esaminata, sia per la acquisizione al fascicolo del dibattimento, in caso di accertato

inquinamento probatorio, ai sensi dei commi 4 e 561.

Non risulta, invece richiamato l’art. 503 c.p.p. , che è relativo all’esame delle parti

private, che pure possono essere sentite nell’ambito delle investigazioni difensive (ad.

es., parte civile). La dottrina sul punto è divisa: alcuni, argomentando sulla base della

considerazione che l’art. 503 comma 3 c.p.p. consente di utilizzare le dichiarazioni

precedentemente rese, e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, ai fini delle

contestazioni, nota che anche le dichiarazioni contenute nel fascicolo del difensore

sono a loro volta contenute nel fascicolo del pubblico ministero formato ai sensi

dell’art. 433 c.p.p., per giungere alla conclusione che l’art. 503 comma 3 è applicabile

61 In sede di lavori parlamentari era stata ipotizzato l’obbligo di preventiva discovery dei risultati dell’investigazione difensiva, laddove il difensore intendesse avvalersene in dibattimento ai fini dell’art. 500 c.p.p., e si statuiva l’immediato inserimento di tale documentazione nel fascicolo del pubblico ministero: Di Chiara, Le risultanze dell’indagine difensiva nella fucina del contraddittorio dibattimentale: gli scenari della regola-ponte ex art. 391 decies comma 1 c.p.p., in Processo penale cit. , 346.

39

Page 40: indaginidifensive2

al caso in esame62. Altri oppone che la norma va riferita esclusivamente alle

dichiarazioni inserite ab origine nel fascicolo del pubblico ministero, per cui

l’omissione del richiamo all’art. 503 nel primo comma dell’art. 391 decies c.p.p.,

sarebbe significativa63.

Non sembra vi siano dubbi, invece, sul fatto che non sia applicabile l’art. 503 comma

5 c.p.p., che prevede l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni

rese alla polizia giudiziaria ed al pubblico ministero, ed alla quali il difensore aveva

diritto di assistere, se utilizzate per le contestazioni: in questo caso l’esclusione del

difensore dal novero dei soggetti che hanno formato l’atto elimina in radice ogni

problema.

Qualche piccola imperfezione lessicale si rinviene anche nel coordinamento tra l’art.

391 decies comma 1 c.p.p. e l’art. 512 c.p.p.: infatti, mentre nel primo si parla di

dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore, nel secondo si dispone che sia data

lettura delle dichiarazioni divenute irripetibili in modo imprevedibile, ed assunte

(anche) dai difensori delle parti private. La differenza non è in realtà significativa,

posto che le dichiarazioni, come noto, possono essere ricevute o assunte solo dal

difensore e dal sostituto, e non dagli altri soggetti abilitati alle indagini difensive,

come l’investigatore privato ed il consulente tecnico. Questi, anche se partecipano

alla redazione materiale dell’atto, non sono mai le persone che assumono le

dichiarazioni. Inoltre, se anche è il sostituto a ricevere od assumere le dichiarazioni,

l’atto è sempre riferibile al difensore, inteso come ufficio difensivo.

Non vi sono differenze ontologiche rispetto all’atto assunto dal pubblico ministero o

dalla polizia giudiziaria quanto al requisito della imprevedibilità della irripetibilità,

che consisterà in una valutazione fatta a posteriori dal giudice per verificare se al

momento della formazione dell’atto era prevedibile che l’atto sarebbe divenuto

irripetibile nel dibattimento, e così sanzionare con l’inutilizzabilità dell’elemento

probatorio la scelta erronea del difensore di non ricorrere all’incidente probatorio,

con maggiore prudenza. Per la verità, la medesima sanzione colpisce anche l’atto di

62 Di Chiara, op. cit. 356. 63 Ruggiero, op. cit., 349. Pare optare per la soluzione negativa anche Piziali, op. cit. 234.

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Page 41: indaginidifensive2

investigazione difensiva della parte offesa la quale, pur prevedendo la irripetibilità

dell’elemento probatorio, non ha la possibilità di ricorrere all’incidente probatorio,

ma solo quella di sollecitare il pubblico ministero, il quale può anche rifiutare di

ricorrervi. C’è forse la possibilità di una questione di legittimità costituzionale, per

violazione del diritto di difesa.

Manca nell’art. 391 decies comma 1 c.p.p. il richiamo all’art. 512 bis c.p.p., che

riguarda le letture di dichiarazioni rese da persone residenti all’estero, ma la

genericità della formulazione della norma sembra consentire l’applicabilità di tale

previsione64.

Risulta, invece, richiamato l’art. 513 c.p.p. . In questo caso i problemi nascono,

all’inverso, perché tale norma, a differenza dell’art. 512 c.p.p., non risulta modificata

dalla novella, per cui ancora oggi essa si riferisce alle dichiarazioni assunte dal

pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega di questi, ovvero dal Giudice

nelle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, senza alcuna menzione del

difensore. Per vero, anche a voler ritenere non applicabile alle indagini difensive il

primo comma dell’art. 513 c.p.p., che si riferisce alle dichiarazioni rese dall’imputato,

essendo pacifico che il difensore non può assumere informazioni dal proprio assistito,

non vi sono, invece, ragioni sistematiche per escludere il riferimento al comma

secondo della norma, laddove si riferisce alle dichiarazioni delle persone indicate

nell’art. 210 c.p.p., dalle quali, com’è noto, è consentito assumere informazioni o

ricevere dichiarazioni (art. 391 bis comma 5 c.p.p.). In alternativa, per giustificare la

mancata modifica dell’art. 513 c.p.p., si potrebbe pensare che il richiamo a tale norma

contenuto nel comma 1 dell’art. 391 decies c.p.p. si riferisca alle dichiarazioni di

imputato o di soggetto ex art. 210 comma 1 c.p.p., rese al pubblico ministero, alla

polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice, esistenti in altri

procedimenti, e prodotti dalla difesa ex art. 238 c.p.p., ma la tesi non appare

convincente, per cui si deve ritenere che la omessa modifica dell’art. 513 c.p.p. non

sia significativa, anche in funzione del principio di parità delle parti65. In questa ottica

64 Mazza, op. cit. 1766; Piziali, Op. cit. 233. 65 Di Chiara, op cit. 363, 366.

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Page 42: indaginidifensive2

si potrebbe valorizzare il richiamo, contenuto nel comma 2 dell’art. 513 c.p.p. all’art.

512 c.p.p. : attraverso tale sistema si estenderebbe l’applicabilità dell’art. 512 c.p.p.,

espressamente prevista dall’art. 391 decies comma 1 c.p.p., anche all’art. 513 c.p.p.66

.

Una dottrina che si è occupata specificamente dell’argomento67 sostiene che gli atti

dichiarativi di investigazioni difensive preventive non sono utilizzabili ex artt. 500,

512, 513 perché non rientrerebbero nella tutela penale ex art. 371 ter c.p. , in quanto

il comma 2 dell’art. 371 ter cit. parla di “procedimento nel corso del quale sono

assunte le dichiarazioni”, con ciò presupponendo che un procedimento sia comunque

in corso. Ciò sembrerebbe all’Autore coerente con il fondamento costituzionale della

previsione della sanzione penale per il falso informatore, che sarebbe giustificato,

unitamente all’obbligo di deporre, dall’esercizio del diritto di agire in giudizio a

tutela dei propri interessi (art. 24 Cost.). Peraltro, questo argomento non sembra di

per sé decisivo.

Altro problema che si può porre in sede dibattimentale è quello della testimonianza

de relato sul contenuto degli atti assunti dall’ufficio difensivo. La questione si pone

in quanto l’art. 197 lett. d) c.p.p. pone l’incompatibilità a testimoniare, tra gli altri, del

difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e di coloro che hanno

formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi

dell’art. 391 ter c.p.p. . Tra questi soggetti sono certamente compresi anche il

sostituto, nonché quelle persone di fiducia che abbiano prestato ausilio materiale al

difensore nell’assunzione delle dichiarazioni, e quindi anche del consulente tecnico o

dell’investigatore privato che abbiano ricoperto tale ruolo. Il concetto di

documentazione è più ampio di quello di verbalizzazione, per cui vi rientra anche la

redazione della relazione che accompagna la ricezione delle dichiarazioni68. Restano,

invece apparentemente fuori della disposizione limitativa gli investigatori privati e i

66 Mazza, op, cit. 1766, che tuttavia non si nasconde come rimanga irrisolto il nodo dei rapporti diretti tra l’art. 391 decies comma 1 e 513 c.p.p. . 67 Arru, op. cit., 335. 68 Ranieri, L’incompatibilità a testimoniare del difensore, in AA.VV. Il nuovo ruolo del difensore nel processo penale, Milano, 2002, 125. L’Autore precisa che l’incompatibilità a deporre non colpisce di per sé le persone che hanno formato la documentazione dell’atto, ma riguarda solo il contenuto di quelle dichiarazioni, citando la giurisprudenza che

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Page 43: indaginidifensive2

consulenti tecnici che abbiano avuto con la persona informata sui fatti un colloquio

non documentato ai sensi dell’art. 391 bis comma 1 c.p.p. . Per la verità, la Corte

Costituzionale aveva dato una precisa indicazione in proposito, affermando che

interpretazioni della disciplina dell'incompatibilità a testimoniare degli investigatori

privati che consentissero di aggirare le regole di esclusione probatoria si sarebbero

poste in contrasto con l'art. 111, quarto comma, Cost.69. Invece, la Corte di

Cassazione, in un recente obiter dictum70, ha affermato che “la possibile deposizione

testimoniale, salvo ad opporre il segreto professionale ex articolo 200 c.p.p.,

dell’investigatore privato, non destinatario della previsione d’incompatibilità di cui

all’articolo 197 comma 1 lettera d) c.p.p., sui colloqui informali intrattenuti, pur

apparendo una scelta non felice, finisce col ricadere nella disciplina di cui all’articolo

195 commi 1-2-3 c.p.p., il che non determina alcuno squilibrio del sistema, che, in

questo specifico caso, non impone alcuna regola “tipica” per la spendibilità

processuale del contenuto di tali “colloqui” (al di là di ogni considerazione sulla

rilevanza del contenuto degli stessi, se non seguiti da “dichiarazione scritta” o

“informazioni” documentate dei soggetti sentiti)”. In sostanza, la S.C. compie una

equiparazione tra la deposizione de relato della polizia giudiziaria, consentita

laddove non vi sia l’obbligo di verbalizzazione, e quella degli investigatori privati che

effettuano il colloquio informale, per il quale non solo non è prevista, ma è addirittura

vietata ogni forma di documentazione. Tale orientamento, peraltro, è stato

fondatamente contestato in dottrina71. Si osserva, in particolare, che ammettere la

testimonianza de relato dell’investigatore privato sul contenuto del colloquio

informale non documentato, e non seguito da formale assunzione di informazioni o

ricezione di dichiarazione da parte dei soggetti autorizzati (difensore e sostituto),

comporterebbe un sostanziale aggiramento del sistema che prevede, in caso di rifiuto,

ha affrontato l’analogo problema in relazione agli ausiliari del giudice o del pubblico ministero: Cass. 17 gennaio 1994, Tigiani, in Cass. pen. 1995, 1964. 69 Corte Cost., 26 febbraio 2002, n. 32, in Cass. pen. 2003, 819, con nota di Giannuzzi, La testimonianza indiretta della polizia giudiziaria: un ritorno al passato nell’attuazione del giusto processo. 70 Cass. sez. un. 24 settembre 2003, Torcasio. 71 Suraci, La testimonianza de relato del detective quale fonte di prova, in D&G n. 46 del 27 dicembre 2003, p. 97.

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Page 44: indaginidifensive2

l’onere per il difensore di rivolgersi al pubblico ministero o al giudice, ai sensi dei

commi 10 e 11 dell’art. 391 bis c.p.p., facendo rifluire il contenuto del colloquio

informale tra il materiale utilizzabile ai fini della decisione attraverso la

testimonianza dell’investigatore privato. E ciò in violazione del principio generale

della separazione delle fasi, che tutela il contraddittorio, e della impermeabilità del

dibattimento rispetto agli atti unilateralmente acquisiti72. La deposizione

dell’investigatore privato, quindi, sarebbe ammissibile solo allorché la ripetizione

della dichiarazione sia divenuta impossibile, ad esempio per il decesso della fonte

subito dopo o comunque prima che potessero essere attivati i meccanismi succedanei

previsti dalla legge.

Peraltro, va citata quella dottrina che ammette la deposizione de relato

dell’investigatore privato e del consulente tecnico, nonchè del sostituto, che abbiano

effettuato il colloquio non documentato, in quanto l’art. 197 comma 1 lett. d) c.p.p. si

riferisce esclusivamente ai difensori, nonché a coloro che hanno formato la

documentazione dell’atto, e va interpretato restrittivamente. Il sostituto, a differenza

del difensore, non sarebbe di per sé incompatibile, ma solo se ha formato la

documentazione dell’atto73.

Resta ovviamente fermo che, invece, la deposizione di investigatori privati e

consulenti tecnici è ammessa allorché essi debbano riferire non su dichiarazioni

comunque ricevute, ma su fatti cui hanno assistito (enunciati rappresentativi e non

narrativi), come del resto accade per la polizia giudiziaria.

All’assunzione di informazioni ed alla ricezione di dichiarazioni possono assistere

anche persone diverse da quelle che formano la documentazione dell’atto, in funzione

passiva. Ciò lo si ricava dall’art. 391 bis comma 8 c.p.p., che vieta la presenza solo a

determinate categorie di soggetti (persona sottoposta alle indagini, persona offesa e le

altre parti private). Le persone che assistono, siano essi sostituti, investigatori privati

o consulenti tecnici, ovvero soggetti che non fanno parte dell’ufficio difensivo, non

72 Nel senso della inutilizzabilità assoluta del risultato del colloquio non informale, sulla base del principio di corrispondenza attività tipica/utilizzabilità processuale delle indagini difensive, Mazza, op. cit. 1767. 73 C. Conti, Due nuove ipotesi di incompatibilità a testimoniare: il difensore che ha svolto investigazioni difensive e l’ausiliario che ha verbalizzato l’intervista, in Processo penale cit. , 33, ,.

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Page 45: indaginidifensive2

sono colpiti da alcuna incompatibilità a deporre. Se si tratta di avvocati, investigatori

privati o consulenti tecnici, essi potranno opporre il segreto professione, ai sensi

dell’art. 200 comma 1 lett. b) c.p.p. (ad esempio se venissero chiamati a deporre da

una parte diversa da quella assistita), altrimenti saranno obbligati a deporre. Una

dottrina ritiene addirittura auspicabile la presenza di terze persone al colloquio

documentato, ricordando come negli Stati Uniti sia previsto come deontologicamente

corretto che il colloquio tra difensore e informatore avvenga alla presenza di persone

che possano poi riferire in dibattimento sul contenuto del colloquio stesso, a garanzia

della attendibilità della futura deposizione testimoniale della persona intervistata74.

Si è anche notato che il divieto non dovrebbe valere nel processo a carico

dell’informatore, in ipotesi accusato di aver reso false dichiarazioni alla difesa nel

colloquio informale (art. 371 ter c.p.p.)75.

11. La valutazione delle investigazioni difensive e l’inutilizzabilità.

Si è già visto in sede di introduzione come per lungo tempo la giurisprudenza abbia

guardato con sospetto all’attendibilità degli atti di investigazioni difensive,

soprattutto in funzione della mancata formalizzazione della documentazione di tali

atti e della almeno ridotta responsabilità del difensore al riguardo. Queste posizioni

ormai appartengono al passato, poiché dal sistema complessivo si evince con

chiarezza che il codice ha voluto attribuire eguale valore probatorio a tutti gli atti

unilateralmente formati dalle parti, in particolare nella fase delle indagini preliminari,

per cui non è consentito più compiere differenziazione alcuna. Ciò è stato sottolineato

dalla Suprema Corte, che ha affermato che gli elementi di prova raccolti dal difensore

sono equiparabili, anche quanto a forza probatoria, e quindi di idoneità a fondare il

convincimento del giudice, a quelli raccolti dal pubblico ministero e, pertanto, il

giudice al quale essi siano stati direttamente presentati non può limitarsi ad acquisirli,

ma deve valutarli unitamente a tutte le altre risultanze del procedimento, spiegando -

74 Conti, op. cit. 37. 75 Mazza, op. cit. 1767.

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Page 46: indaginidifensive2

ove ritenga di disattenderli - le relative ragioni con adeguato apparato

argomentativo76.

Gli atti di investigazione difensiva, ovviamente, sono valutabili ai fini della decisione

a condizione che non siano colpiti da inutilizzabilità. Finora si è discusso,

prevalentemente, della cd. inutilizzabilità fisiologica, e cioè di quella derivante dal

principio di separazione delle fasi del procedimento penale. E’ necessario qualche

accenno alle ipotesi di inutilizzabilità patologica, e cioè derivante da violazione delle

regole che presidiano al corretto svolgimento dell’attività di indagine difensiva.

Una prima sanzione di inutilizzabilità espressa è stabilita dall’art. 391 bis comma 6

c.p.p., che prevede che la violazione di una delle disposizioni di cui ai commi

precedenti comporta la inutilizzabilità delle informazioni assunte o delle dichiarazioni

ricevute, oltre a costituire illecito disciplinare. La formulazione della norma è tale che

qualsiasi violazione della disciplina imposta produce la inutilizzabilità dell’intero

atto, anche se la violazione non è collegata al contenuto della dichiarazione.

Cosicché, ad esempio, anche l’omissione di un avvertimento che, nel concreto, si

rivelasse innocuo perché il soggetto non si trovava nella condizione prevista

dall’avvertimento stesso, produce la inutilizzabilità dell’intero atto77.

La sanzione di inutilizzabilità come detto, è posta al comma 6, e riguarda le

disposizioni di cui ai commi precedenti. Sennonché, nei due commi successivi la

norma pone altri divieti, come quello di assumere dichiarazioni da persone detenuta

in assenza dell’autorizzazione del giudice, nonché di assumere informazioni alla

presenza dell’indagato, della persona offesa o di un’altra parte privata. In assenza di

disposizioni specifiche sul punto, pare debba farsi ricorso alla clausola generale

contenuta nell’art. 191 c.p.p., che in via generale vieta l’utilizzabilità delle prove

assunte in violazione di un divieto di legge, certamente applicabile anche alle

indagini, oltre che alle prove78.

Altra sanzione di inutilizzabilità espressa è contenuta nell’art. 391 bis comma 9 c.p.p.

. Essa riguarda l’ipotesi in cui nel corso dell’assunzione di informazioni da persona

76 Cass. sez. 2, 9 aprile 2002, Pedi, in Arch. N.P.P. 2002, 441. 77 Mazza, op. cit. 1767; G.I.P. Trib. Bari, 12 marzo 2001, in Giur. merito 2001, 685. 78 Ruggiero, op. cit. 398.

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non imputata o non indagata, emergano indizi di reità a suo carico. In tal caso il

difensore o il sostituto interrompe l’assunzione e le precedenti dichiarazioni non sono

utilizzabili contro la persona che le ha rese. Si tratta della situazione speculare a

quella descritta nell’art. 63 c.p.p., anche se la disciplina prevede qualche limitata

differenza. Gli indizi di reità possono anche consistere nel fatto stesso di rendere

dichiarazioni false o di infrangere il divieto derivante dalla segretazione imposta dal

pubblico ministero. Dal tenore letterale della norma sembra evincersi che essa

riguarda solo l’assunzione delle dichiarazioni, e non il colloquio non documentato, e

nemmeno la ricezione delle dichiarazioni, che il difensore si limita, appunto, a

ricevere già complete, e per la quale non è possibile alcuna interferenza da parte

sua79. La precisa dizione della norma fa ritenere che l’obbligo di interruzione riguarda

solo la persona che non sia già indagata o imputata, nel quale caso, invece, anche se

la persona rende dichiarazioni autoindizianti, il difensore investigante non deve

interrompere l’assunzione, in quanto il soggetto dichiarante è assistito dal suo

difensore, che saprà consigliarlo al riguardo. L’inutilizzabilità delle dichiarazioni

precedentemente rese è di carattere relativo dal punto di vista soggettivo, poiché

riguarda solo chi le ha rese, mentre le dichiarazioni possono valere nei confronti delle

altre parti, ed anche della persona assistita dal difensore che ha effettuato l’intervista,

sia a favore che contro.

Se era noto sin dall’inizio che la persona sentita era indagata o imputata, si possono

ipotizzare due situazioni: se si tratta di indagato o imputato di reato connesso o

collegato, allora il soggetto aveva diritto ad avere le garanzie difensive, a pena di

inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese (art. 391 bis, commi 5 e 6 c.p.p.). Se,

invece, si tratta di indagato o imputato per reati diversi, può essere sentito come

informatore, ma non sui fatti che implicano una sua responsabilità, perché altrimenti

scatta l’obbligo di interruzione di cui all’art. 391 bis comma 9 c.p.p. .

Altra inutilizzabilità espressa è contenuta nell’art. 430 bis c.p.p. . Tale norma riguarda

il divieto di assumere informazioni dalle persone ammesse a deporre ai sensi dell’art.

79 Paolozzi, Fase prodomica della difesa ed efficacia persuasiva degli elementi di prova. , in Le indagini difensive cit. 32.

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507 c.p.p., o indicate nella richiesta di incidente probatorio o ai sensi dell’art. 422

comma 2, ovvero nella lista presentata dalle altre parti ai sensi dell’art. 468. Il

divieto, è d’uopo ricordarlo, riguarda anche pubblico ministero e polizia giudiziaria.

Esso cessa dopo l’assunzione della testimonianza e nei casi in cui questa non sia

ammessa o non abbia luogo. Peraltro, si è notato in giurisprudenza come l’assunzione

di dichiarazioni non possa risolversi nella mera ripetizione dell’atto già espletato in

contraddittorio, al fine di minarne i risultati, a pena di inattendibilità dell’atto

unilateralmente espletato80.

Infine, vi sono certamente dei casi in cui l’inutilizzabilità non risulta espressamente

comminata, ma si ricava dal sistema81. Tra di essi, si possono ricordare le

investigazioni svolte nonostante il decreto di differimento del PM ex art. 366 comma

1 e 2 c.p.p. (esempio: esame di cose sequestrate nel luogo in cui si trovano, in

violazione del decreto di differimento); le dichiarazioni rese nonostante la

segretazione imposta dal pubblico ministero alla persona sentita ai sensi dell’art. 391

quinquies c.p.p.; gli atti compiuti in occasioni di accesso ai luoghi privati o non aperti

al pubblico senza autorizzazione, laddove necessaria i sensi dell’art. 391 septies

c.p.p., ed in occasione di accesso ad abitazioni e pertinenze avvenuti senza il

consenso dell’avente diritto; l’attività di investigazione difensiva preventiva che

avrebbe richiesto l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria (sempre che

si ritenga che l’attività preventiva effettuata nei casi consentiti possa essere utilizzata,

altrimenti il problema non si porrebbe nemmeno).

Infine, va notato che nel caso previsto dal comma 10 dell’art. 391 bis c.p.p., vengono

estese anche alle informazioni richieste dal difensore in quella situazione le

disposizioni di cui all’art. 362 c.p.p., per cui sussistono tutti i divieti che

incontrerebbe il pubblico ministero, e possono essere opposte anche al difensore le

facoltà di non rispondere che potrebbero essere fatte valere nei confronti dell’organo

pubblico82.

80 Trib. Bari. cit. . 81 Ruggiero, op. cit. , 400, dal quale sono tratti i casi riportati. 82 Ruggiero, ibidem.

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