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Indice generale - Dipartimento di Matematicanaldi/cortograw/libroANP.pdf · Apologia di un...

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377
Indice generale Prefazione ix 0 Preliminari 1 0.1 Premessa 1 0.1.1 Insiemi, sottoinsiemi, operazioni 1 0.2 Insiemi numerici: dai naturali ai reali passando per i razionali 5 0.2.1 Estremo superiore ed estremo inferiore 11 0.2.2 Intervalli 13 0.3 Principio di induzione 15 0.4 L’alfabeto greco 17 1 Funzioni 19 1.1 Il concetto di funzione 19 1.2 Funzioni e operazioni 27 1.2.1 Funzioni e disuguaglianze 34 1.3 Funzioni elementari 38 1.3.1 Funzioni polinomiali e radicali 39 1.3.2 Funzioni esponenziali e funzioni logaritmiche 47 1.3.3 Funzioni circolari (trigonometriche) 51 2 Limiti e continuit` a 59 2.1 Limiti e calcolo differenziale 59 2.1.1 Limiti 59 2.1.2 Limite destro e sinistro 70 2.2 Continuit` a 72 2.2.1 La verifica della continuit` a 74 2.3 Verso l’infinito e oltre 76 2.3.1 Limiti all’infinito 76 2.3.2 Limiti infiniti 78 2.3.3 Asintoti 84 2.4 Importanza della continuit` a 86 2.4.1 Continuit` a, zeri, massimi e minimi 86 2.4.2 Continuit` a, successioni, monotonia 90 2.5 Alcune dimostrazioni 96
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Indice generale

Prefazione ix

0 Preliminari 1

0.1 Premessa 10.1.1 Insiemi, sottoinsiemi, operazioni 1

0.2 Insiemi numerici: dai naturali ai reali passando per i razionali 50.2.1 Estremo superiore ed estremo inferiore 110.2.2 Intervalli 13

0.3 Principio di induzione 150.4 L’alfabeto greco 17

1 Funzioni 19

1.1 Il concetto di funzione 191.2 Funzioni e operazioni 27

1.2.1 Funzioni e disuguaglianze 341.3 Funzioni elementari 38

1.3.1 Funzioni polinomiali e radicali 391.3.2 Funzioni esponenziali e funzioni logaritmiche 471.3.3 Funzioni circolari (trigonometriche) 51

2 Limiti e continuita 59

2.1 Limiti e calcolo differenziale 592.1.1 Limiti 592.1.2 Limite destro e sinistro 70

2.2 Continuita 722.2.1 La verifica della continuita 74

2.3 Verso l’infinito e oltre 762.3.1 Limiti all’infinito 762.3.2 Limiti infiniti 782.3.3 Asintoti 84

2.4 Importanza della continuita 862.4.1 Continuita, zeri, massimi e minimi 862.4.2 Continuita, successioni, monotonia 90

2.5 Alcune dimostrazioni 96

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vi Indice generale

3 Derivata di una funzione 101

3.1 La derivata: diversi punti di vista 1013.2 Regole di calcolo 1083.3 Importanza della derivata 115

3.3.1 Proprieta locali 1153.3.2 Proprieta globali 1173.3.3 Teorema di Lagrange o del valor medio 1193.3.4 Test della derivata prima 122

3.4 Derivata e convessita 1233.5 Problemi di ottimizzazione 126

4 Grafici di funzioni e approssimazioni 131

4.1 Derivate di ordine superiore 1314.1.1 Test della derivata seconda 132

4.2 Due strumenti di calcolo 1364.3 Grafico di una funzione 1404.4 Approssimazioni locali: polinomio di Taylor 148

4.4.1 Il metodo di Newton 153

5 Integrali, aree, primitive 159

5.1 Calcolo integrale: alcuni esempi 1595.2 Aree e integrale definito 163

5.2.1 Integrale definito (secondo Riemann) 1665.2.2 Condizioni di integrabilita 1695.2.3 Proprieta dell’integrale 172

5.3 Relazioni tra integrazione e derivazione 1765.4 Integrali indefiniti e primitive 181

5.4.1 Integrazione per sostituzione 1835.4.2 Integrazione per parti 1855.4.3 Integrazione delle funzioni razionali 188

5.5 Calcolo di aree e volumi 191

6 Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 199

6.1 Integrali impropri 1996.1.1 Intervallo di integrazione non limitato 1996.1.2 Funzioni non limitate 2036.1.3 Caso generale 2056.1.4 Determinazione della convergenza 205

6.2 Serie numeriche 2096.2.1 Criteri di convergenza 2146.2.2 Convergenza e convergenza assoluta 217

6.3 Serie di potenze 2196.3.1 Serie di Taylor 222

6.4 Introduzione alle equazioni differenziali 2256.4.1 Esempi introduttivi 2266.4.2 Esistenza e unicita 2356.4.3 Equazioni lineari del primo ordine 239

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Indice generale vii

6.4.4 Equazioni omogenee a coefficienti costanti 242

7 Vettori e matrici algebrici 245

7.1 Vettori e matrici 2457.1.1 Definizioni e primi esempi 2457.1.2 Matrici quadrate 246

7.2 Operazioni con matrici 2497.2.1 Somma e prodotto di matrici 2497.2.2 Prodotto scalare 2527.2.3 Proprieta algebriche 2537.2.4 Matrici particolari e proprieta 254

7.3 Inversa di una matrice 255

8 Sistemi lineari 259

8.1 Sistemi lineari e matrici 2598.1.1 Il metodo di eliminazione di Gauss 2608.1.2 Soluzioni di un sistema lineare 2648.1.3 Matrici elementari 2718.1.4 Calcolo della matrice inversa 274

8.2 Dipendenza lineare e rango 2778.2.1 Vettori ortogonali 2808.2.2 Teorema di Rouche-Capelli 282

8.3 Determinante 2848.3.1 Proprieta del determinante 2858.3.2 Calcolo del determinante 288

9 Autovalori e autovettori 293

9.1 Autovalori e determinanti 2939.1.1 I numeri complessi 2939.1.2 Definizioni 2989.1.3 Calcolo degli autovalori e autovettori 2999.1.4 Diagonalizzazione e applicazioni 3079.1.5 Matrici simmetriche 309

9.2 Minimi quadrati 3119.2.1 Nome di vettori e matrici 3119.2.2 Il problema dei minimi quadrati 3149.2.3 Retta dei minimi quadrati 316

10 Vettori geometrici, rette e piani 321

10.1 Vettori in geometria 32110.1.1 Vettori applicati 32110.1.2 Coordinate 32410.1.3 Prodotto scalare e vettoriale 32810.1.4 Rette e piani 333

10.2 Trasformazioni lineari 33710.2.1 Trasformazioni lineari e matrici 340

10.3 Funzioni di piu variabili 342

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viii Indice generale

A Logica e metodo matematico 347

A.1 Il linguaggio matematico 347A.1.1 Connettivi e quantificatori 347A.1.2 Oltre le proposizioni: i predicati 351

Indice analitico 365

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Prefazione

La Matematica ha da sempre avuto una doppia natura. Da un lato essa risultaessere uno strumento essenziale per la formalizzazione e lo sviluppo di tecnichequantitative e qualitative nelle Scienze applicate e nell’Ingegneria. A questo pro-posito, e in modo dichiaratamente provocatorio, G.C. Rota affermava che “il fineultimo di ogni Scienza e diventare Matematica...”. D’altra parte la Matematicaha un profondo valore culturale e metodologico. Come sosteneva G.H. Hardy inApologia di un Matematico, “mi si potra obiettare che la matematica non ne haalcun bisogno (di un’apologia) dato che, come tutti sanno, non esiste oggi una dis-ciplina che sia ritenuta, a torto o a ragione, piu utile o piu degna di lode”.Per la maggior parte degli studenti queste affermazioni risulteranno un po az-zardate. In ogni caso con la ridefinizione dei corsi di studi universitari si rischiaconcretamente di ridurre i pochi insegnamenti di carattere matematico al solo ruo-lo di strumenti di supporto o, nel caso peggiore, a un formulario. D’altro canto vie una crescente necessita di Matematica e di strumenti tipici del linguaggio mate-matico non solo in settori quali la fisica, l’ingegneria o l’informatica ma in settoriapparentemente “distanti”, quali la chimica, la biologia, l’economia, l’architettura,la medicina o la sociologia.

Scopo del presente testo e la presentazione delle tecniche fondamentali delCalcolo differenziale e integrale e dell’Algebra lineare attraverso molti esempi pra-tici in modo da evitare una separazione tra teoria e applicazioni. A questo fineogni argomento e stato completato da motivazioni ed esempi e, in qualche caso, daalgoritmi numerici. In supporto al testo vengono infatti forniti semplici esperimen-ti numerici, utilizzabili da quei corsi che prevedono Laboratori, che tengono contodelle piu recenti innovazioni dovute all’uso dei calcolatori ed alla visualizzazionegrafica.

La struttura base del testo si compone in modo naturale di due parti

• Calcolo differenziale in una variabile (Capitoli 1-6)

• Algebra lineare (Capitoli 7-10)

Alcuni argomenti affrontati rappresentano degli approfondimenti rispetto ad unclassico corso di base. Per esempio nel Capitolo 4 si accenna a problemi di ot-timizzazione, cosı come nel Capitolo 5 viene presentato il metodo iterativo diNewton. Il Capitolo 6 contiene inoltre una introduzione alle equazioni differenzialiordinarie. Alcuni cenni sulle funzioni di piu variabili sono contenuti nei Capitoli5, 6 e 10.

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x Prefazione

In particolare, molti degli argomenti relativi alla Statistica sono stati presentati“sul campo”, cercando di rendere operativo da subito lo studente. Lo stesso spi-rito ci ha fatto privilegiare la trattazione dell’Algebra lineare partendo da vettorie matrici intesi come concetto algebrico astratto (approccio sempre piu naturalenell’ambito della scienza dei calcolatori) prima di introdurre il corrispondente geo-metrico. Osserviamo, in ogni caso, che un testo di carattere universitario non puorinunciare, a nostro parere, alla possibilita di dare qualche spunto di arricchimentoper lo studente curioso e interessato.

Un vantaggio rappresentato dall’avere un unico testo contenente materialerelativo ad argomenti differenti permette di presentare in modo unitario diversiaspetti di un’unica disciplina. Come gia evidenziato molti esempi ed esperimentinumerici sono sviluppati e suggeriti nel caso in cui ai singoli corsi siano affiancatidei laboratori. Abbiamo scelto come linguaggio di programmazione MATLAB inmodo tale da poter usufruire di alcuni algoritmi di calcolo numerico e simbolicosenza la necessita di entrare in dettagli che fanno parte dei corsi di calcolo nume-rico o simili. Il materiale didattico relativo a MATLAB sono disponibili sul sitoWeb del libro http://www.ateneonline.it/naldi matematica

Desideriamo infine ringraziare tutti i colleghi che con i loro consigli e le loroosservazioni hanno contribuito alla realizzazione di questo testo. In particolare:Roberta Nibbi, Luigi Salmaso, Fausto Segala, Leonardo Colzani, Graziano Guerra,Silvia Braschi, Nicoletta Castellano, Paolo Pezzoni, Caterina May, Marta Calan-chi. Eventuali errori e omissioni, come sempre, sono da imputarsi solamente agliautori.

Marzo 2005

Gli Autori

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Consigli per l’uso xi

Consigli per l’uso

Desideriamo fornire qualche consiglio per l’uso di questo testo nell’ambito dei corsidi carattere matematico. Solitamente questi corsi si riducono a uno o due modulididattici nei primi due anni di corso e in alcuni casi si ha un ulteriore modulo alterzo anno o durante la laurea specialistica.

Nel seguito riportiamo qualche “ricetta d’uso” per alcune tipologie di corsi dibase. Gli argomenti contrassegnati con un asterisco indicano il fatto di essere fa-coltativi (o perche rappresentano possibili richiami di argomenti gia svolti in altricorsi o perche rappresentano potenziali approfondimenti). All’interno dei paragra-fi indicati il docente potra poi ulteriormente raffinare la tipologia del corso, peresempio scegliendo solo alcuni degli esempi riportati e saltando alcune dimostra-zioni. E evidente che tali schemi, suggeriti dalle esperienze didattiche degli autorinei diversi corsi di laurea, hanno carattere puramente indicativo.

Capitoli Ist. Mat. I Ist. Mat. Mat. Appl.

0 0.1-0.4 0.1-0.4 0.1.1∗

1 1.1-1.3 1.1-1.3 1.1∗,1.3.2∗

2 2.1-2.4, 2.5∗ 2.1-2.3,2.4.1 2.1.1∗, 2.3.1∗

3 3.1-3.4, 3.5∗ 3.1-3.44 4.1-4.3, 4.4∗ 4.1,4.3,4.2∗

5 5.1-5.4, 5.5∗ 5.1-5.4,5.2.1∗,5.2.2∗ 5.2∗

6 6.1∗, 6.2∗ 6.4, 6.2∗7 7.1-7.28 8.1.1-8.1.2, 8.29 9.1.1∗ 9.1.1∗

A A.1∗ A.1∗

Legenda: Ist. Mat. = Istituzioni di Matematica o Matematica, Mat. Appl. =Matematica Applicata.

Chiaramente i laboratori corrispondenti possono essere svolti a scelta dal do-cente, per questo rimandiamo al relativo sito web gia indicato nel precedente para-grafo. Concludiamo osservando che alla fine di ogni capitolo sono contenuti alcuniesercizi di riepilogo. Gli esercizi contrassegnati con un asterisco sono da conside-rarsi come una sfida per gli studenti piu motivati. Le soluzioni di molti esercizisono riportate alla fine del libro.

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0Preliminari

0.1 Premessa

Prima di poterci avventurare nello studio di questo testo, e importante “rispolve-rare” alcune nozioni di base necessarie per seguire una deduzione o capire appienoun esempio. Questo capitolo rappresenta in questo senso il punto di partenza na-turale di ogni percorso di studio, ossia per l’appunto un “capitolo zero”. Molti deiconcetti presentati in questa prima parte dovrebbero essere gia noti al lettore e farparte del suo bagaglio culturale, magari in una forma piu completa e approfon-dita rispetto alla trattazione sintetica che si incontrera nel seguito. In ogni caso,quanto segue e di fondamentale importanza in quanto vengono fissate molte dellenotazioni frequentemente utilizzate nei capitoli successivi.

Consigliamo inoltre di affrontare da subito l’Appendice A dove vengono trat-tate alcune nozioni di logica elementare e metodologie di base che ritornerannomolto utili nella comprensione del testo. E infatti indispensabile avere da subitole idee chiare sul linguaggio e sull’approccio della Matematica.

0.1.1 Insiemi, sottoinsiemi, operazioni

Nel linguaggio corrente usiamo la parola “insieme” per denotare una certa entitacomposta di oggetti elementari. In questo senso troviamo numerosi sinonimi tracui: “famiglia”, “aggregato”, “classe”, “collezione”. Gli oggetti che costituisconoun insieme sono detti i suoi elementi. Indicheremo solitamente gli insiemi conlettere maiuscole, A, B, C, X,. . ., mentre con lettere minuscole a, b, c, x, ...,denoteremo gli elementi che fanno parte di questi insiemi. Un insieme e definitoassegnando i suoi elementi, tutti distinti l’uno dall’altro, che si dicono appartenentiall’insieme. Se a e un elemento di A, si scrive

a ∈ A,

e si legge “a appartiene all’insieme A”, mentre se a non e un elemento di A, siscrive

a /∈ A.

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2 Capitolo 0

Un insieme particolare e l’insieme privo di elementi, detto insieme vuoto e si indicacon il simbolo ∅. La maggior parte degli insiemi che considereremo avranno comeelementi dei numeri.

Il modo piu semplice per elencare tutti gli elementi di un insieme consiste nelracchiuderli tra parentesi graffe. Per esempio l’insieme A dei nomi degli autori deltesto che state leggendo si puo indicare con

A = Lorenzo, Giacomo, Giovanni oppure l’insieme X dei numeri naturali tra 0 e 4 si scrive

X = 0, 1, 2, 3, 4 .Si noti che l’ordine in cui sono elencati gli elementi non e essenziale. Naturalmente,vi sono casi in cui un insieme non puo essere descritto completamente tramitel’elenco esplicito dei suoi elementi. Per esempio, se vogliamo indicare l’insieme deinumeri interi naturali non possiamo certamente scriverli tutti. In casi di questotipo si ricorre spesso a simboli particolari. Per indicare l’insieme dei numeri interinaturali si usa il simbolo N, l’insieme dei numeri interi si indica con Z. Possiamoquindi scrivere

N = 0, 1, 2, 3, 4, . . . ,Z = . . . , − 3, − 2, − 1, 0, 1, 2, 3, 4, . . . .

Un modo differente per descrivere un insieme, a volte l’unico praticabile, consistenel considerarlo come collezione di tutti gli elementi che appartengono a un certoinsieme piu grande E, per i quali vale una certa proprieta P. Si scrive allora

x : x ∈ E e x verifica P ,e si legge “l’insieme degli x tali che x appartiene a E e vale P”. In alternativa sipuo utilizzare la scrittura piu concisa

x ∈ E : x verifica P .Per esempio

A = 0, 1, 2, 3, 4 = x : x ∈ N e x < 5 .Si noti che non e essenziale la lettera che si sceglie per indicare la variabile (la xnell’esempio appena fatto), che viene anche chiamata variabile muta.

Esempio 0.1 (Sottoinsiemi) Abbiamo utilizzato la relazione di uguaglianza tradue insiemi. Dati due insiemi A e B, si dice che A e uguale a B, e si scrive A = B,quando A e B hanno gli stessi elementi (cioe A e B sono lo stesso insieme). Sidice invece che A e un sottoinsieme di B (oppure che A e incluso in B oppure cheB include A) e si scrive

A ⊆ B,

se ogni elemento di A e anche elemento di B. Se inoltre esiste uno o piu elementidi B che non appartengono ad A, si dice che A e incluso strettamente in B (oppureche B include strettamente A) e si puo indicare con A ⊂ B. Per esempio,

x ∈ N : x pari ⊆ N, 0,2 ⊂ 0,2,4,6.Si conviene di assumere che ogni insieme abbia l’insieme vuoto come suo sottoin-sieme. Ogni insieme A non vuoto ha due sottoinsiemi detti impropri : A stesso e∅. Gli altri sottoinsiemi sono detti propri.

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Preliminari 3

Non esiste l’insieme di tutti gli insiemi, per evitare insidiosi paradossi e opportu-no riferirsi a un insieme non vuoto da considerarsi come un insieme ambiente econsiderare solo sottoinsiemi di questo insieme “universo”. Dati due insiemi A eB, si definiscono i seguenti insiemi.

• Insieme unione, A ∪ B, e l’insieme degli x che appartengono ad A oppureappartengono a B.

• Insieme intersezione, A ∩ B, e l’insieme degli x che appartengono sia ad Ache a B.

• Insieme differenza, A \B, e l’insieme degli x che appartengono ad A ma nonappartengono a B.

• Insieme differenza simmetrica, A4B, e l’insieme degli x che appartengono adA ma non a B, oppure appartengono a B ma non ad A.

• Per A ⊆ X, insieme complementare, di A rispetto a X, A, e l’insieme degli xche appartengono a X ma non appartengono ad A.

Le definizione appena date possono essere chiarite per via grafica mediante i dia-grammi di Eulero-Venn. Un diagramma di Eulero-Venn rappresenta gli insiemicome insiemi di punti del piano, una sorta di “patate bidimensionali”. Nella Fi-gura 0.1 si mostra l’interpretazione grafica delle operazioni insiemistiche descrittee dei nuovi insiemi generati.

Esempio 0.2 (Insieme delle parti o insieme potenza) L’insieme dei sottoin-siemi di un dato insieme A si chiama insieme delle parti o insieme potenza e siindica con P(A). Se, per esempio, A = 1,2,3, l’insieme potenza P(A) risultaessere

P(A) = ∅, 1, 2, 3, 1,2, 1,3, 2,3, 1,2,3 e possiede otto elementi. Vediamo di determinare quanti elementi possiede l’in-sieme potenza P(A) nel caso in cui l’insieme A di partenza ha n elementi. Conside-riamo, per esempio, l’insieme A = a, b, c, d e prendiamo un suo sottoinsieme, peresempio S = a,b,d. Come possiamo identificare S? Procediamo in questo modo,ordiniamo gli elementi di A e assegnamo un 1 se l’elemento e nel sottoinsieme, 0se non c’e,

a b c d↓ ↓ ↓ ↓

a ∈ S b ∈ S c 6∈ S d ∈ S↓ ↓ ↓ ↓1 1 0 1

Il numero binario (composto quindi da sole cifre 1 e 0) nS = 1101 caratterizzail sottoinsieme S. Il numero di possibili numeri binari che possiamo avere con 4cifre e 24 = 16 (infatti in ogni posizione possiamo scegliere 0 oppure 1, cosı perquattro volte). In generale, se gli elementi di un inseme A sono n, il numero deisuoi sottoinsiemi (compresi ∅ e A) e 2n.

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4 Capitolo 0

BA

A ∩ B

BA

A ∪ B

BA

A \ B

BA

A ∆ B

AA

X

_

B

A

A ⊆ B

Figura 0.1 Diagrammi di Eulero-Venn in azione.

Esempio 0.3 (Prodotto Cartesiano) Assegnati due insiemi A e B possiamoprendere a ∈ A, b ∈ B e considerare la coppia ordinata (a,b), in cui a e il primoelemento mentre b e il secondo elemento della coppia. Due coppie ordinate sarannouguali quando hanno ordinatamente uguali primo e secondo elemento.

Si dice prodotto cartesiano di A e B e si indica con A×B, l’insieme delle coppieordinate (a,b) con a ∈ A, b ∈ B. Il prodotto cartesiano A×A si puo indicare con ilsimbolo A2. Possiamo anche generalizzare la costruzione del prodotto cartesianoal caso di tre o piu insiemi. In generale possiamo costruire il prodotto cartesianoA1×A2× . . .×An di n insiemi A1, A2, . . . , An costituito dalle n−ple ordinate dielementi (a1, a2, . . . , an) con a1 ∈ A1, a2 ∈ A2, ..., an ∈ An. Nel caso in cui tuttigli insiemi siano uguali all’insieme A il prodotto cartesiano e indicato con An.

Per esempio, consideriamo gli insiemi A = p,a,x e B = 1,2, il prodottocartesiano A×B risulta costituito da

A×B = (p,1), (p,2), (a,1), (a,2), (x,1), (x,2) ,

mentre il prodotto cartesiano B ×A,

B ×A = (1,p), (1,a), (1,x), (2,p), (2,a), (2,x) .

In generale quindi A×B 6= B ×A.

Concludiamo questo paragrafo riportando le principali proprieta delle operazioniinsiemistiche.

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Preliminari 5

Proposizione 0.1 (Proprieta degli insiemi) Siano A, B, C tre sottoinsieminel medesimo insieme ambiente S, allora

i) proprieta Booleane,A ∩A = ∅, A ∪A = S;

ii) proprieta associativa, commutativa, distributiva,

(A ∩B) ∩ C = A ∩ (B ∩ C), (A ∪B) ∪ C = A ∪ (B ∪ C),

A ∩B = B ∩A, A ∪B = B ∪A,

(A ∩B) ∪ C = (A ∪ C) ∩ (B ∪ C), (A ∪B) ∩ C = (A ∩ C) ∪ (B ∩ C);

iii) leggi di De Morgan,

(A ∩B) = A ∪B, (A ∪B) = A ∩B.

Il lettore attento avra riconosciuto la struttura delle proprieta tipiche delle usualioperazioni aritmetiche di somma e moltiplicazione (almeno per le prime proprietariportate sopra). Come utile esercizio si invita il lettore alla verifica di almeno unadelle proprieta tramite i diagrammi di Eulero-Venn.

0.2 Insiemi numerici: dai naturali ai realipassando per i razionali

Abbiamo gia accennato all’insieme dei numeri naturali, N = 0,1,2,3,. . . , indi-cheremo con N∗ l’insieme dei numeri naturali diversi da zero, N∗ = 1,2,3,. . . .Un numero naturale n puo essere espresso in una base β > 1, β ∈ N∗ nella forma

n = ckβk + ck−1βk−1+. . . +c1β + c0,

dove ci sono interi compresi tra 0 e β− 1, l’indice i sta ad indicare la posizione (larappresentazione sara unica se supponiamo ck 6= 0). La base usualmente adottatae la base β = 10 e le cifre ci, i = 0,. . . ,k sono dette cifre decimali. I numerinaturali possono essere rappresentati geometricamente come punti su una retta.A tale scopo si fissa un punto O sulla retta, che assoceremo al numero 0, e unsecondo punto P diverso da O, che assoceremo al valore 1. Il verso di percorrenzapositivo della retta e quello che porta dal punto O al punto P , mentre la lunghez-za del segmento OP , che indicheremo con OP , viene presa come unita di misura.Riportando i “multipli” del segmento OP sulla retta, secondo il verso positivo,otteniamo i punti associati ai numeri naturali.

0 1 2 ...

O P

Nell’insieme N e possibile introdurre una relazione di ordine. Se esiste un numeronaturale x che sommato ad a ∈ N fornisce il numero naturale b, si dice che a e

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6 Capitolo 0

minore o uguale a b e si scrive a ≤ b (se a ≤ b e a 6= b si scrive a < b). Nel casoin cui a e maggiore o uguale a b si potra scrivere anche a ≥ b (e a > b nel caso incui a 6= b). Questa relazione d’ordine totale (perche possiamo sempre stabilire perdue numeri naturali se a ≤ b oppure no) soddisfa alle seguenti proprieta

i) ∀n ∈ N, n ≤ n, (proprieta riflessiva);

ii) ∀n,m ∈ N se n ≤ m e m ≤ n allora n = m, (proprieta antisimmetrica);

iii) ∀n,m,p ∈ N, se n ≤ m e m ≤ p allora n ≤ p, (proprieta transitiva).

Nelle precedenti espressioni il simbolo ∀ si legge “per ogni” ed assieme al simbolo∃ che si legge “esiste” e detto quantificatore (si veda Appendice A).

Sommando e moltiplicando numeri naturali si ottengono numeri naturali; inoltre inumeri zero ed uno rappresentano l’elemento neutro rispettivamente per la somma,∀ a ∈ N, a + 0 = 0 + a = a e il prodotto ∀ a ∈ N, a · 1 = 1 · a = a. Se tentiamo diinvertire l’operazione di somma ci accorgiamo che la cosa non e possibile restandoin N. Formalmente, dati a,b ∈ N l’equazione

a + x = b,

dove x rappresenta l’incognita, puo essere priva di soluzione in N. Per far in modoche equazioni di questo tipo abbiano sempre soluzione occorre ampliare l’insiemeN, definiamo quindi l’insieme Z dei numeri interi

Z = . . . ,− 3,− 2,− 1,0,1,2,3,. . . .Anche in Z sussiste la stessa relazione d’ordine di N, inoltre anche in Z lo ze-ro si mantiene elemento neutro rispetto alla somma. In particolare la soluzionedell’equazione a + x = 0, con a ∈ N verra denotata con −a. L’elemento che som-mato ad a fornisce zero, quindi l’elemento −a, si chiama opposto di a. Quindianche gli interi si possono rappresentare in una opportuna base β > 1, a differenzadegli interi naturali occorre aggiungere eventualmente il segno meno. Inoltre, sea ∈ Z vale solo una delle tre alternative (legge di tricotomia),

a > 0, a = 0, a < 0.

Anche gli elementi di Z si possono rappresentare su una retta, i valori positivisaranno rappresentati come i numeri naturali mentre i valori negativi, cioe a ∈ Ze a < 0, saranno rappresentati muovendosi nella direzione negativa della retta emuovendosi con passo uguale alla lunghezza del segmento OP preso come unitadi misura.Le proprieta principali delle operazioni aritmetiche in Z (e negli insiemi numericiche considereremo in seguito) sono elencate di seguito

1) ∀ a,b,c, (a + b) + c = a + (b + c), (proprieta associativa della somma);

2) ∀ a,b, a + b = b + a, (proprieta commutativa della somma);

3) ∀ a,b,c, a · (b + c) = a · b + a · c, (proprieta distributiva);

4) ∀ a,b,c, (a · b) · c = a · (b · c), (proprieta associativa del prodotto);

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Preliminari 7

5) ∀ a,b, a · b = b · a, (proprieta commutativa del prodotto).

Osservazione 0.1 Dal punto di vista algebrico un insieme G in cui e definitauna operazione (che supporremo indicata con il simbolo “+” ma che potrebbeessere indicata con altri simboli) che ha elemento neutro (ossia ∃ a0 : ∀ a ∈ G,a + a0 = a0 + a = a) e opposto (ossia ∀ a ∈ G, ∃ a′ : a + a′ = a′ + a = a0) esoddisfa alla proprieta associativa 1) e detto gruppo. Se vale anche la proprieta 2)e detto gruppo commutativo. Per esempio N rispetto alla somma non e un gruppo(manca l’opposto), al contrario Z e un gruppo commutativo rispetto alla somma.Se sull’insieme e inoltre definita una seconda operazione che indicheremo con ilsimbolo “ · ” che ammette elemento neutro (ossia ∃ a1 : ∀ a ∈ G, a · a1 = a1 · a = a)tale che siano soddisfatte le proprieta 1)–4) allora l’insieme e detto anello. Sevale anche la 5) e detto anello commutativo. Quindi Z e un esempio di anellocommutativo1.

Nel seguito, per semplicita di notazione la moltiplicazione tra due numeri a · bsara indicata semplicemente come ab. Proviamo ora a invertire l’operazione dimoltiplicazione in Z. Consideriamo per a,b ∈ Z l’equazione

ax = b,

con a 6= 0 e x incognita da determinare. Sappiamo che questa equazione hasoluzione in Z se e solo se b e un multiplo intero di a. Per rendere sempre risolvibilequesta equazione dobbiamo ancora ampliare l’insieme in cui lavorare. Si definiscel’insieme dei numeri razionali e si indica con Q l’insieme delle coppie (p,q) con p,q ∈Z, q 6= 0. La coppia si indica come una frazione p/q e le operazioni aritmetichevanno tradotte come operazioni tra coppie (tra frazioni). Il numero p si dicenumeratore mentre il numero q si dice denominatore.

Osservazione 0.2 Per evitare che i numeri razionali non siano univocamente de-terminati, si considerano equivalenti due numeri razionali p/q e p′/q′ se pq′ = p′q,ovverosia pq′ − p′q = 0. Dal punto di vista formale dovremmo definire l’insiemedei razionali in termini di classi di equivalenza cioe raggruppando i razionali equi-valenti tra di loro. Noi eviteremo questa costruzione formale e operativamenteconsidereremo i numeri razionali m/n ∈ Q come frazioni ridotte ai minimi termini,ossia m ed n non hanno fattori comuni.

Per ogni x ∈ Q, x 6= 0 esiste quindi un elemento, denotato con 1/x ∈ Q, tale che x·(1/x) = 1. Tale elemento (1/x) si chiama reciproco o inverso di x. Algebricamentela presenza del reciproco conferisce a Q la struttura di campo. Puo darsi che nellasemplificazione ai minimi termini di una frazione il denominatore risulti ugualea 1. Per esempio 8/4 = 2/1. In questo caso potremmo identificare il numerorazionale n/1 con l’intero n. In questo senso l’insieme Z e contenuto in Q, cosıcome l’insieme N e contenuto in Z, in simboli

N ⊂ Z ⊂ Q.

Le operazioni tra numeri razionali si definiscono come

p

q+

r

s=

ps + qr

qs,

p

q· r

s=

pr

qs.

1Vedremo nel capitolo 7 un esempio di anello non commutativo: le matrici quadrate.

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8 Capitolo 0

Nel caso particolare di denominatore unitario si ritrovano le stesse operazionidefinite nell’insieme Z. Anche le proprieta delle operazioni aritmetiche sono lestesse che per Z. Per la relazione d’ordine, sia x = p/q e y = r/s, suppo-niamo inoltre che i denominatori q ed s siano positivi (non e ovviamente limi-tativo). Rappresentiamo x e y tramite frazioni con il medesimo denominatore,x = ps/qs, y = qr/qs a questo punto x ≤ y significa ps ≤ qr. Per esempio2/3 ≤ 4/5, perche 2 · 5 = 10 ≤ 3 · 4 = 12. Le definizioni per < , ≥ , > siaffrontano in modo analogo.

Esempio 0.4 (Rappresentazione decimale dei numeri razionali) Un nu-mero razionale x ammette una rappresentazione decimale, ci limitiamo alla baseβ = 10, della forma

x = ± (ck10k + ck−110k−1 + . . . + c110 + c0 + c−110−1+. . .

)

che puo essere riscritta come x = ±ckck−1 . . . c1c0. c−1. . . utilizzando il punto alposto della virgola come e consuetudine nel calcolo scientifico. Le cifre possonoessere infinite, i puntini finali stanno a indicare proprio questo: dopo la virgolapotrebbero esserci infinite cifre (dovrebbe essere intuitivo l’uso dell’indice i per lacifra ci). Per esempio

25

= 0.4,116

= 0.0625,16

= 0.1666. . . ,511

= 0.454545. . .

dove i puntini indicano che le cifre continuano indefinitivamente. Si noti che,quando nella rappresentazione decimale di un numero razionale abbiamo infinitecifre decimali, c’e un gruppo di cifre che si ripete: tale gruppo costituisce il periododella rappresentazione. Di solito si evidenzia tale gruppo sopralineando le cifre chelo costituiscono,

16

= 0.16,511

= 0.45 .

Si puo dimostrare che ogni rappresentazione decimale di un numero razionale eperiodica nel senso ora descritto, viceversa a ogni rappresentazione periodica sipuo associare una frazione che lo genera.

0 1 2

2

Figura 0.2 La diagonale di un quadrato unitario e incommensurabile rispetto al lato.

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Preliminari 9

Possiamo legare i numeri razionali al problema della misura di grandezze geome-triche. Fissato un segmento unitario, dire che un altro segmento e a/b volte ilsegmento campione significa suddividere il segmento unitario in b parti uguali epoi riportare la parte b-esima per a volte. E possibile misurare ogni segmento inquesto modo? La risposta e negativa. Consideriamo, per esempio, la misura delladiagonale in un quadrato di lato unitario, come nella Figura 0.2. Indicando con xla lunghezza di tale diagonale, dal Teorema di Pitagora si ottiene

x2 = 12 + 12 = 2.

In questo caso x non e un numero razionale, come mostra la seguente proposizione.

Proposizione 0.2 Se il numero x soddisfa x2 = 2 allora x non e un numerorazionale.

Dimostrazione. Per assurdo, supponiamo che x = p/q ∈ Q con p,q ∈ Z, q 6= 0 e p,qprivi di fattori comuni. Elevando al quadrato x si ottiene

x2 = x · x =p2

q2.

Segue che p2 = 2q2, quindi p2 e un numero pari. Pertanto anche p e un numero pari (siveda l’Appendice A, pag. 350), ossia p = 2k, per un certo intero positivo k. Pertantop2 = 4k2 = 2q2 ⇒ 2k2 = q2. Quindi anche q2 e un numero pari, ne segue che anche qe un numero pari. Siamo arrivati a dedurre che sia p che q sono numeri pari ed hannoquindi un fattore in comune, il numero 2, contraddicendo l’ipotesi che la frazione eraridotta ai minimi termini. L’assurdo e nato dall’aver supposto x razionale.

Se desideriamo mantenere una corrispondenza tra tutti i punti della retta (senzainterruzioni) e valori numerici dobbiamo estendere l’insieme dei numeri razionali.L’insieme numerico che si ottiene e l’insieme dei numeri reali indicato con R.Tale insieme rappresentera quindi un modello della retta. Esistono vari modi pereffettuare tale estensione, non vogliamo entrare nel dettaglio. Ricordiamo soloche, dal punto di vista della rappresentazione decimale, i numeri reali possono darluogo a qualsiasi allineamento di cifre dopo la virgola. In particolare allineamentifiniti o periodici fanno ritrovare, dal punto di vista insiemistico, i numeri razionali.Rappresentazioni decimali illimitate e non periodiche danno luogo a numeri realinon razionali: i numeri irrazionali. Per esempio la lunghezza della diagonale delquadrato unitario e un numero irrazionale x che verifica x2 = 2 e che indicheremocon

√2 le cui prime cifre sono

x =√

2 = 1.41421356237310 . . .

Esempio 0.5 (Numeri reali e numeri razionali) Ogni numero reale puo essereapprossimato con numeri razionali. Cosa significa? Significa che se fissiamo unatolleranza t e se x ∈ R possiamo trovare un numero y ∈ Q tale che sia vicino a xa meno di t. Vi sono vari risultati in questo senso, vediamo un caso tipico. Sianox un numero irrazionale, quindi x ∈ R \ Q, e n ∈ N∗. Allora esiste un numerorazionale y = m/n con denominatore n tale che

− 12n

< x− m

n<

12n

.

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10 Capitolo 0

Facciamo un esempio, sia x =√

2 e n = 27, consideriamo lo sviluppo approssimatodi 27 · √2 = 27 · 1. 41421. . .≈ 38.1836. . ., il numero intero che piu si avvicina aquest’ultimo valore e m = 38. Dalle scelte fatte si ottiene

−12

< 27 ·√

2− 38 <12⇒ − 1

2 · 27<√

2− 3827

<1

2 · 27.

Si possono, comunque, ottenere approssimazioni migliori.Stiamo dando per scontato che non ci siano problemi a estendere operazioni arit-metiche e relazioni d’ordine anche all’insieme dei numeri reali, dovrebbe essereintuitivo che si puo (come abbiamo esteso a Q le operazioni, con le loro proprieta,e la relazione d’ordine in modo ragionevole). La costruzione e la verifica formalepotrebbe pero non essere del tutto scontata.

Osservazione 0.3 I problemi relativi alle relazioni tra i diversi insiemi numericihanno un risvolto applicativo estremamente attuale. Fatte le dovute semplifica-zioni, ogni calcolatrice tascabile e in grado infatti di gestire solo numeri aventi unarappresentazione decimale limitata (numeri macchina). Ne deriva che si commet-tono sempre errori di calcolo usando una calcolatrice numerica. Consideriamo ilsemplice calcolo

500(

11500

+2

1500

)= 1.

I numeri razionali 1/1500 e 2/1500 hanno i valori numerici decimali 0.000666 . . .e 0.001333 . . . e non possono essere rappresentati con un numero finito di cifredecimali, mentre il risultato 1 chiaramente sı. Se avessimo una calcolatrice basatasolo su tre cifre decimali nell’eseguire il calcolo otteniamo

500(0.000 + 0.001) = 0. 5.

Ossia un’errore del 50%.

Riassumiamo le proprieta piu importanti dell’insieme dei numeri reali.

• N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R, questo dal punto di vista insiemistico.

• Le operazioni aritmetiche, con le loro proprieta, definite sui razionali si esten-dono ai reali.

• La relazione d’ordine x ≤ y dei numeri razionali si estende ai reali con analogheproprieta. Definendo con R+ e R− i sottoinsiemi dei numeri reali positivie, rispettivamente, negativi, abbiamo R = R+ ∪ 0 ∪ R−. Formalmentepotremmo scrivere

x ≤ y ⇔ y − x ∈ R+ ∪ 0 x < y ⇔ y − x ∈ R+.

L’ordinamento e totale nel senso che per ogni coppia x,y ∈ R vale una e unasola delle alternative x < y, x = y, y < x. Anziche scrivere x ∈ R+ sipuo scrivere x > 0, per x ∈ R− si puo invece abbreviare con x < 0 (si notiche abbiamo cambiato il senso del simbolo “>”, l’abbiamo in un certo senso“capovolto”). Altre proprieta della relazione d’ordine (qui riportate nel caso< ma analoghe al caso con ≤)

1) ∀x, y, z ∈ R, x < y ⇒ x + z < y + z;

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Preliminari 11

2) ∀x, y, z ∈ R, x < y, z > 0 ⇒ x · z < y · z;

3) ∀x, y, z ∈ R, x < y, z < 0 ⇒ x · z > y · z;

4) ∀x, y ∈ R, 0 < x < y ⇒ 0 <1y

<1x

.

• I numeri razionali sono densi nei reali. Questo significa quanto gia osservato:un numero reale puo essere approssimato bene quanto vogliamo da un numerorazionale. Cio implica che tra due numeri reali qualunque esistono infinitirazionali.

• L’insieme dei numeri reali e completo. Questa proprieta traduce il fatto che aogni punto della retta reale puo essere associato uno e un solo numero reale. Inaltri termini, se disponiamo tutti i numeri reali seguendo la relazione d’ordinesu una retta reale non lasciamo “buchi”. La stessa ipotetica operazione con irazionali fornirebbe invece una retta piena di buchi, per esempio per x =

√2

se ne incontrerebbe uno.

0.2.1 Estremo superiore ed estremo inferiore

Cerchiamo di formalizzare la proprieta di completezza. Occorrono alcune defini-zioni che risulteranno importanti quando tratteremo di limiti e continuita.

Definizione 0.1 (Maggiorante) Dato l’insieme non vuoto A ⊂ R, diremo cheil numero reale M ∈ R e un maggiorante per A se a ≤ M, ∀ a ∈ A. L’insieme Asi dice limitato superiormente se ammette maggioranti, illimitato superiormentese e privo di maggioranti.

Definizione 0.2 (Minorante) Dato l’insieme non vuoto A ⊂ R, diremo che ilnumero reale m ∈ R e un minorante per A se m ≤ a, ∀ a ∈ A. L’insieme Asi dice limitato inferiormente se ammette minoranti, illimitato inferiormente se eprivo di minoranti.

Un insieme che e limitato sia superiormente che inferiormente si dice limitato.Per esempio l’insieme N e limitato inferiormente ma non superiormente, l’insiemeB = x ∈ R : x ≤ 1 e limitato superiormente ma non inferiormente, l’insiemeA = x ∈ R : x = 1/2n, n ∈ N∗ = 1/2,1/4,1/8,. . . e limitato. Per l’insieme Bnotiamo che tutti i numeri reali ≥ 1 sono maggioranti, il valore M = 1 sembra peroil piu piccolo dei maggioranti. Per gli insiemi non vuoti e superiormente limitatiquesta proprieta di “minimo dei maggioranti” sussiste sempre, come vedremo dopo.

Definizione 0.3 (Massimo e minimo) Diciamo che l’insieme non vuoto A ⊂R ammette massimo se esiste un elemento x ∈ A tale che

x ≤ x ∀x ∈ A.

L’elemento x si dice massimo dell’insieme A e viene denotato con max(A).Analogamente l’insieme A ammette minimo se esiste un elemento x ∈ A taleche

x ≤ x ∀x ∈ A.

L’elemento x si dice minimo dell’insieme A e viene denotato con min(A).

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12 Capitolo 0

L’insieme A = 1/2, 1/4, 1/8, . . . ha massimo max(A) = 1/2 ma non ammetteminimo, pur essendo inferiormente limitato. Notiamo che il valore x = 0 ha unruolo particolare, non appartiene ad A, e un minorante per A e sembra non ci sianominoranti piu grandi di lui. Infatti, preso un candidato minorante s > 0, pur discegliere un esponente intero n sufficientemente grande, il valore 1/2n prima o poiscende sotto s, si veda la Figura 0.3. Formalizziamo questo caso particolare.

x=0 1/8 1/4 1/2.... ....

s1/2 n

Figura 0.3 Il valore x = 0 non e nell’insieme, e un minorante approssimabile benequanto si vuole da elementi dell’insieme A.

Definizione 0.4 (Estremo superiore e inferiore) Sia A ⊂ R un insieme nonvuoto superiormente limitato. Chiamiamo estremo superiore di A il piu piccolodei maggioranti di A (ovverosia il minimo dell’insieme dei maggioranti), deno-tiamo tale valore con sup(A). Analogamente, se A ⊂ R un insieme non vuotoinferiormente limitato, chiamiamo estremo inferiore di A il piu grande dei mi-noranti di A (ovverosia il massimo dell’insieme dei minoranti), denotiamo talevalore con inf(A).

Siamo certi che la definizione appena data abbia senso? In altri termini, sup(A)e inf(A) esistono sempre? La questione e tutt’altro che ovvia, la risposta e af-fermativa nell’ambito dei numeri reali e caratterizza il fatto che tale insieme siacompleto. Osserviamo che il numero S = sup(A), quando esiste, e caratterizzatodalle seguenti condizioni

i) ∀x ∈ A, x ≤ S (S e un maggiorante);

ii) ∀ r ∈ R, r < S, ∃x ∈ A tale che x > r (S e il piu piccolo dei maggioranti).

Analogamente per l’estremo inferiore. Queste due condizioni sono quelle solita-mente da verificare per dimostrare che un numero S e l’estremo superiore di uninsieme A. Se l’insieme non e superiormente limitato si conviene denotare l’estre-mo superiore con il simbolo +∞ che si legge “piu infinito”. In modo simile, se Anon e inferiormente limitato si conviene definire inf(A) = −∞ (“meno infinito”).Vale il seguente risultato di struttura dell’insieme dei numeri reali.

Teorema 0.1 (Completezza di R) Sia A ⊂ R, A 6= ∅, se A e superiormente(inferiormente) limitato allora A possiede estremo superiore (inferiore).

Non dimostriamo questo Teorema ma cerchiamo di rispondere a una domanda pro-babilmente spontanea: cosa c’entra questo con la completezza e con

√2? Consi-

deriamo l’insieme A = x ∈ Q : x2 ≤ 2, l’insieme non e vuoto, per esempiox = 1 ∈ A (attenzione stiamo considerando elementi x razionali). La completezza

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Preliminari 13

di R ci assicura che esiste S = sup(A) ∈ R, osserviamo infatti che A e superior-mente limitato sia in Q che in R. Non puo essere S2 < 2, altrimenti potrei trovareun razionale r tale che S2 < r2 < 2, per la densita dei razionali. Necessariamentedeve accadere che S2 = 2 (anche S2 > 2 deve essere scartato altrimenti potreitrovare un maggiorante piu piccolo). Il numero S e quindi quello che abbiamochiamato S =

√2. Dato che

√2 /∈ Q si ottiene che Q non e un insieme completo

mentre la completezza di R permette di garantire che√

2 ∈ R.

0.2.2 Intervalli

Un sottoinsieme I non vuoto della retta reale tale che ∀x,y ∈ I tutti i punticompresi tra x ed y appartengono ancora ad I si chiama intervallo. Per esempiol’insieme A = x ∈ R : x ≥ 6 e un intervallo, mentre l’insieme B = x ∈ R,x 6= 0 non e un intervallo. Tra gli intervalli limitati, se a,b ∈ R con a < b abbiamo

• intervallo chiuso [a,b] = x ∈ R : a ≤ x ≤ b,• intervallo aperto a destra (semiaperto) [a,b) = x ∈ R : a ≤ x < b,• intervallo aperto a sinistra (semiaperto) (a,b] = x ∈ R : a < x ≤ b,• intervallo aperto (a,b) = x ∈ R : a < x < b.

Tutti gli intervalli limitati descritti hanno come estremo inferiore a e come estremosuperiore b, la lunghezza di tutti gli intervalli e uguale a (b − a) (aggiungere etogliere un estremo non influisce sulla misura della lunghezza). Tra gli intervalliillimitati abbiamo

• intervallo chiuso illimitato superiormente [a, +∞) = x ∈ R : a ≤ x,• intervallo aperto illimitato superiormente (a, +∞) = x ∈ R : a < x,• intervallo chiuso illimitato inferiormente (−∞,a] = x ∈ R : x ≤ a,• intervallo aperto illimitato inferiormente (−∞,a) = x ∈ R : x < a.

Nella Figura 0.4 si mostra una rappresentazione grafica dei vari tipi di intervallo.I simboli −∞ e +∞ non indicano numeri reali, indicano solo che non vi e nessunalimitazione. Con questi simboli possiamo estendere la retta reale alla retta realeestesa R

R = R ∪ −∞, +∞dove e definita una nuova relazione d’ordine ¹ tale che

∀x ∈ R −∞ ¹ x, ∀x ∈ R x ¹ +∞,

∀x,y ∈ R x ¹ y ⇐⇒ x ≤ y.

L’intersezione di un qualsiasi numero di intervalli e un intervallo oppure l’insiemevuoto. Un altro strumento che risultera utile e quello di intorno.

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14 Capitolo 0

a)

(−∞,a)a]

(−∞,a]a(

(a,+∞)a[

[a,+∞)a b( )

(a,b)a b( ]

(a,b]a b[ )

[a,b)a b[ ]

[a,b]

Figura 0.4 Schematizzazione dei vari intervalli della retta reale.

Definizione 0.5 (Intorno) Dato un punto x ∈ R, si chiama intorno di x ognisottoinsieme di R che contiene un intervallo aperto (x− r,x + r) con r > 0.

Ovviamente ci possono essere infiniti intorni, di varia forma ed estensione. Dalpunto di vista del calcolo alcune famiglie di intorni saranno sufficientemente signifi-cative e rappresentative. Per esempio tutti gli intervalli del tipo In = (−1/n,1/n),con n ∈ N∗ sono intorni del punto x = 0. Anche Jn = In ∪ (−10,− 9) ∪ (7, +∞)e un intorno dello stesso punto, ma e intuitivo che se sono interessato a quello chesuccede nell vicinanze di x = 0 possiamo limitarci a considerare proprieta valideper la famiglia degli insiemi In.

Concludiamo con un concetto semplice legato alla valutazione della distanzatra due punti della retta reale. Dato un numero reale x chiamiamo valore assolutoo modulo di x il numero reale indicato con |x| e definito come

|x| =

x se x ≥ 0−x se x < 0.

Per esempio |5| = 5, | − 7| = 7, |0| = 0. Fissato un numero reale positivo r, lacondizione |x| ≤ r equivale al fatto che x ∈ [−r,r], ovvero −r ≤ x ≤ r. Dati poidue punti P, Q sulla retta reale, la misura della lunghezza del segmento PQ vienedetta distanza di P da Q e indicata con d(P,Q) o PQ. Se x ed y sono i valori realicorrispondenti ai due punti P e Q, risulta

PQ = |x− y|.In particolare se O e l’origine della retta, OP = |x|. Il valore assoluto ha le seguentiproprieta

1) |x| ≥ 0 per ogni x ∈ R e |x| = 0 ⇔ x = 0,

2) |xy| = |x| |y| per ogni x,y ∈ R,

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Preliminari 15

3) |x + y| ≤ |x|+ |y| per ogni x,y ∈ R.

La disuguaglianza nella 3) e importante e viene detta disuguaglianza triangolare.Per dimostrarla basta osservare che per ogni x,y in R

−|x| ≤ x ≤ |x|, − |y| ≤ y ≤ |y|,e quindi sommare membro a membro

−(|x|+ |y|) ≤ x + y ≤ (|x|+ |y|),ottenendo esattamente la disuguaglianza 3). Osserviamo che se con il simbolo√

x, x ≥ 0 indichiamo la radice quadrata di x, cioe il numero reale y ≥ 0 tale chey2 = x, allora si ha l’uguaglianza

√x2 = |x|, ∀x ∈ R.

0.3 Principio di induzione

Sappiamo che l’insieme N ⊂ R ma N e anche il piu piccolo sottoinsieme S dell’in-sieme dei numeri reali con le seguenti proprieta (insieme induttivo)

1) 0 ∈ S,

2) se x ∈ S allora (x + 1) ∈ S.

Questo metodo di concepire l’insieme dei numeri naturali porta alle cosiddettedefinizioni per induzione o definizioni ricorsive.

Esempio 0.6 (Definizione di an) Sia a ∈ R, vogliamo definire un simbolo cheidentifichi un’operazione in cui entra come parametro un numero naturale n. Peresempio la potenza n-esima an. Con a2 si intende il prodotto a · a, con a3 ilprodotto a · a · a, in generale per n > 2

an = a · a · . . . · a︸ ︷︷ ︸n fattori

.

Questa espressione puo essere riletta come

an = a · a · . . . · a︸ ︷︷ ︸n− 1 fattori

·a.

Questa nuova definizione suggerisce come calcolare an in modo ricorsivo. Notia0 = 1, a1 = a si ottiene la definizione an = an−1 · a per n > 1.

Esempio 0.7 (Un passo dopo l’altro: la dimostrazione per induzione)Consideriamo una famiglia di proposizioni2 P (n), n ∈ N con il parametro n interonaturale. Abbiamo il seguente Teorema detto Principio di induzione. Se questafamiglia verifica le condizioni

(I1) P (0) e vera;

2Ossia una famiglia di affermazioni ognuna delle quali puo essere solo vera o falsa. Si vedal’Appendice A.

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16 Capitolo 0

(I2) ∀n dall’ipotesi che P (n) e vera segue che P (n + 1) e vera;

allora P (n) e vera per ogni intero naturale n.Nel caso in cui nell’ipotesi (I1) non si parta da n = 0 ma si sappia che P (k)

e vera per un certo intero k > 0 (base dell’induzione) e l’ipotesi (I2) resta vera,possiamo dedurre che la proposizione P (n) e vera per ogni n ≥ k.

Sia, per esempio, P (n) =“la somma dei numeri naturali non superiori a n ∈ Nvale n(n + 1)/2”. Abbiamo,

• base dell’induzione, per n = 0 l’affermazione e vera: ho solo il numero interon = 0, la somma vale zero, anche la formula fornisce zero quando si ponen = 0.

• Passo induttivo. Supponiamo che per un assegnato intero n la P (n) sia vera,quindi

1 + 2 + 3 + . . . + n =n(n + 1)

2.

Consideriamo la somma dei primi n + 1 interi naturali, si ottiene

(1 + 2 + 3 + . . . + n) + (n + 1) =[n(n + 1)

2

]+ (n + 1),

dove abbiamo applicato l’ipotesi P (n). Segue che[n(n + 1)

2

]+ (n + 1) =

n(n + 1) + 2(n + 1)2

=(n + 1)(n + 2)

2,

e l’ultima espressione risulta essere l’espressione proposta per la somma conil parametro posto uguale a (n + 1). Dunque, se P (n) e vera anche P (n + 1)e vera.

• Conclusione. Grazie al Principio di induzione la proposizione P (n) e vera perogni n ∈ N.

Esempio 0.8 (Sulla serie geometrica) Supponiamo di voler calcolare 1 + q +q2 + · · ·+ qn, q 6= 1. Sia

P (n) = “la somma appena indicata vale1− qn+1

1− q”, n > 0.

• base dell’induzione, per n = 0 l’affermazione e vera:

P (0) =1− q1

1− q= 1 = q0.

• Passo induttivo. Supponiamo che per un assegnato intero n la P (n) sia vera,quindi

1 + q + · · ·+ qn =1− qn+1

1− q.

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Preliminari 17

Consideriamo la somma 1 + q + q2 + · · ·+ qn + qn+1, si ottiene

(1 + q + q2 + · · ·+ qn) + qn+1 =1− qn+1

1− q+ qn+1,

dove abbiamo applicato l’ipotesi P (n). Segue che

1− qn+1

1− q+ qn+1 =

1− qn+1 + qn+1 − qn+2

1− q=

1− qn+2

1− q,

e l’ultima espressione risulta essere l’espressione proposta col parametro ugualea (n + 1). Dunque, se P (n) e vera anche P (n + 1) e vera.

• Conclusione. Grazie al Principio di induzione la proposizione P (n) e vera perogni n > 0.

0.4 L’alfabeto greco

Nel testo si ritroveranno con una certa frequenza lettere prese in prestito dall’al-fabeto greco. In Matematica e importante saperle scrivere e riconoscere corret-tamente. Concludiamo questo capitolo riportando nella Tabella 0.1 un elenco diqueste.

Minuscole Maiuscole

Nome Nome Nome

alfa α mu µ Gamma Γbeta β nu ν Delta ∆

gamma γ xi ξ Theta Θdelta δ pi π Lambda Λ

epsilon ε,ε rho %, ρ Xi Ξzeta ζ sigma σ Pi Πeta η tau τ Sigma Σ

theta ϑ,θ phi ϕ, φ Ipsilon Υiota ι chi χ Phi Φ

kappa κ psi ψ Psi Ψlambda λ omega ω Omega Ω

Tabella 0.1 Lettere dell’alfabeto greco.

Esercizi

Esercizio 0.1 Si considerino gli insiemi

A = 1,2,3,4,5,6, B = 2,4,6,8, C = 1,3,5,7.

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18 Capitolo 0

Calcolare A∩B, A∩C, B ∪A, B ∪C, A \B, A \C, (A∪B)∩C. Si calcoli infine A×Be B × C.

Esercizio 0.2 Per ognuno dei seguenti valori reali stabilire se appartiene all’insiemedei numeri razionali Q o all’insieme dei numeri irrazionali R \Q.

(i) 2√

2, (ii) 2−√

2,

(iii) r1, r2, r1 × r2, r1 + r2, r1, r2 soluzioni di x2 − 6x + 6 = 0.

Esercizio 0.3 Dati gli insiemi

A = x ∈ R : 2 ≤ x < 7, B = x ∈ R : 3 ≤ x ≤ 5,C = x ∈ R : 3 < x < 6, D = 3, 5, 7, 9, 11,

stabilire se sono vere le seguenti relazioni

(i) B ⊆ A, (ii) C ∈ A, (iii) (A ∩B) ⊆ C

(iv) A \D = ∅, (v) (C ∪D) ⊆ A, (vi) (B \ C) ⊆ D.

Esercizio 0.4 Per ciascuno dei seguenti insiemi stabilire se e un intervallo “I” o no“N”, se e limitato inferiormente “li” oppure no “ni”, se e limitato superiormente “ls”oppure no “ns”

(i) A = x ∈ R : 3 ≤ x ≤ 7, A, B = x ∈ R : 5 ≤ x,C = A ∪B, D = A ∩B, E = B \A;

(ii) A = x ∈ R : 5 < x < 9, B = 5, 7, 9, 11, 13, 33, C = A ∪B,

D = A ∩B, D, E = A \B.

Esercizio 0.5 Per ciascuno dei seguenti insiemi stabilire se e limitato, se ammettemassimo e/o minimo, determinare estremo superiore ed estremo inferiore (ricordiamoche N∗ = N \ 0).

A = [3,7), B = N, C =

1

2n + 1, n ∈ N

,

D = [−3,3) ∪ 5, 11, E =

(−1)n 1

2n, n ∈ N∗

, F =

n2 + m2

nm, n,m ∈ N∗

Esercizio 0.6 Mostrare che gli insiemi N e Z sono completi.

Esercizio 0.7 Mostrare che ogni sottoinsieme di Z e completo.

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1Funzioni

1.1 Il concetto di funzione

Nella prima parte di questo testo ci occuperemo prevalentemente di un solo “og-getto matematico”, le funzioni del tipo

f : A ⊆ R→ R, (1.1)

con A sottoinsieme dell’insieme dei numeri reali R. Ma cosa significa questascrittura? Cosa vuol dire f : . . . → . . . ?

Prima di svelare chi e f e cosa stanno a indicare gli altri simboli premettiamoalcune considerazioni su A e R. Nella scrittura (1.1) abbiamo grandezze che siamoliberi di scegliere arbitrariamente nell’insieme A, tali grandezze si dicono variabili,e abbiamo grandezze in R che sono associate alle variabili o funzione delle variabilidi A. Per esempio

• quando comperiamo del pane sappiamo che il costo finale dipendera dallaquantita e dal tipo di pane scelto;

• oppure, il codice fiscale associato a una certa persona e univocamente deter-minato da una opportuna legge;

• ancora, la legge di Boyle per un gas contenuto in un recipiente a temperaturacostante e data da

pv = C,

dove p e la pressione del gas, v il volume occupato e C una opportuna costante.Si ottiene quindi p = C/v, ossia la pressione varia in modo inversamenteproporzionale rispetto al volume.

Tutti gli esempi fatti sono esempi di funzioni. Che ingredienti sono in gioco? Dueinsiemi A, B e una legge che associa a ogni x ∈ A uno e un solo elemento y di B.

Definizione 1.1 (Funzione) Siano A e B due insiemi non vuoti. Una funzionef definita in A a valori in B e una legge di natura qualunque che a ogni elementox di A fa corrispondere esattamente un elemento y = f(x) di B.

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20 Capitolo 1

Formalmente, per esprimere che f e una funzione definita in A a valori in Butilizzeremo uno dei due simboli

f : A → B o Af→ B.

L’insieme A si chiama dominio di f , si indichera con dom(f) e si chiamera ancheinsieme di definizione. L’insieme B in cui la funzione prende i propri valori sichiama un codominio della funzione. L’insieme di tutti i possibili valori f(x),cioe il sottoinsieme di B di elementi che sono associati ad almeno un elementodel dominio, viene chiamato immagine di f . L’immagine di una funzione f saraindicata im(f) oppure f(A) dove A e il dominio. In termini di insiemi, per f :A → B,

im(f) = y ∈ B : y = f(x), x ∈ A.Nel caso in cui B = R la funzione si dice reale, se dom(f) ⊆ R la funzione si dicedi variabile reale.

Nel caso in cui dom(f) = N la funzione si chiama successione. Di solito nonsi usa la notazione y = f(n), n ∈ N ma si preferisce scrivere yn, si dice che n el’indice dell’elemento yn. La successione stessa puo essere indicata con

y0,y1,y2,. . . oppure con ynn∈N.

Il grafico di una funzione f : A → B e il sottoinsieme dell’insieme prodotto A×Bcomposto dalle coppie (x,f(x)) per ogni x ∈ A. Il grafico di una funzione f saraindicato con graf (f), per f : A → B si ha quindi

graf (f) = (x,y) ∈ A×B : x ∈ A, y = f(x).Dal grafico di una funzione possiamo generalmente ottenere tutte le informazioniutili sulla funzione. Ribadiamo che una funzione, per essere tale, deve far corri-spondere univocamente a ogni x ∈ dom(f) un valore f(x). Osserviamo che none necessario che valori di x differenti diano valori differenti di f(x). Puo capitareche per x1,x2 ∈ dom(f), x1 6= x2 si abbia f(x1) = f(x2). Ora, sia f : A → B unafunzione; se b ∈ B, un elemento x ∈ A si chiama controimmagine di b tramite fquando f(x) = b. Se Y ⊆ B, si chiama controimmagine di Y tramite f l’insiemedenotato con f−1(Y ) costituito da tutte le controimmagini di tutti gli elementib ∈ Y ,

f−1(Y ) = x ∈ A : f(x) ∈ Y .Quando im(f) = B, la funzione f e detta suriettiva. Preso b ∈ B, se l’equazionef(x) = b per x ∈ A ha al piu una soluzione la funzione si dice iniettiva. L’iniettivitae una proprieta intrinseca di f , in realta B non la determina. Infatti l’iniettivitapuo essere scritta formalmente come

∀x,y ∈ A f(x) = f(y) ⇒ x = y

oppure, ricordando le proprieta dell’implicazione (forma contronominale),

∀x,y ∈ A x 6= y ⇒ f(x) 6= f(y)

cioe elementi distinti si trasformano in elementi distinti. Una funzione e dettabiunivoca o biettiva quando e suriettiva e iniettiva.

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Funzioni 21

è una funzione

x1

x2

x3

x4

f(x1)

f(x2)

f(x3)=f(x

4)

A Bf

NON è una funzione

x1

x2

x3

x4

è una funzione

f(x)

x

R Rf

NON è una funzione

x

Figura 1.1 Esempi di funzioni e di oggetti che non sono funzioni.

Esempio 1.1 (Funzione iniettiva) La legge che associa a ogni elemento n ∈ Nl’elemento 2n ∈ N (moltiplicazione per due) e una funzione da N in N. Essaidentifica la successione 0,2,4, . . . ossia 2nn∈N.

Il dominio e N, l’immagine e composto dagli interi naturali pari compreso lozero. Rispetto a N, la funzione non e suriettiva, qualsiasi intero dispari non eimmagine di niente, mentre la funzione e iniettiva,

f(n) = 2n = f(m) = 2m ⇔ n = m ∈ N.

Il grafico di questa funzione nel piano cartesiano usuale e composto da infinitipunti di coordinate (n,2n) con n intero naturale.

Esempio 1.2 (Funzione suriettiva) Sia I l’insieme degli italiani; la legge cheassocia a ogni elemento di I il suo gruppo sanguineo e una funzione di I nell’insiemedei simboli A, AB, B, 0. In questo caso la funzione e suriettiva ma non iniettiva(ci sono piu italiani con il medesimo gruppo sanguineo).

Esempio 1.3 (Funzione biunivoca) La funzione che associa a ogni x ∈ R ilvalore 3x + 1 e una funzione reale di variabile reale f : R → R. La funzione ebiunivoca, infatti e sia iniettiva (3x+1 = 3t+1 ⇐⇒ x = t) che suriettiva (infattif((y − 1)/3) = y, ossia (y − 1)/3 ∈ f−1(y) ∀y ∈ R e quindi im(f) = R).

La funzione che associa a ogni x ∈ R il suo quadrato x2 e una funzione realedi variabile reale f : R→ R. La funzione non e iniettiva: sia x che −x condividonoil medesimo quadrato, per esempio (−2)2 = (2)2 = 4. Si potrebbe pensare a una

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22 Capitolo 1

dom(f)

im(f)

graf(f)

Figura 1.2 Dominio, immagine e grafico nel caso di una funzione reale di variabile reale.

restrizione della stessa funzione, mantenendo la stessa regola di definizione maconsiderando un dominio differente, per esempio l’intervallo [0, +∞). In questomodo si ottiene una nuova funzione che risulta essere iniettiva, anzi scegliendocome codominio lo stesso intervallo [0, +∞) avremo una funzione biunivoca.

Vediamo ancora alcune notazioni e proprieta riguardanti le funzioni

• Da quanto detto risulta che due funzioni f,g sono uguali se e solo se dom(f) =dom(g) e ∀x ∈ dom(f) f(x) = g(x). Se si desidera mettere in evidenzal’aspetto di calcolo relativo alla funzione si puo scrivere

f(x) = . . . , x ∈ dom(f).

Altre notazioni equivalenti,

y = f(x), x ∈ dom(f) f(x), x ∈ dom(f) x 7→ f(x), x ∈ dom(f).

• Bisogna fare attenzione a non confondere la funzione con l’espressione, laformula, che la definisce1. Vediamo alcuni casi. La scrittura f(x) = 2x nondefinisce alcuna funzione, solo specificando il dominio si identifica una certafunzione. Per esempio con dom(f) = N otteniamo la funzione che associa adogni intero il suo doppio, con dom(f) = R si ottiene invece una funzione il cuigrafico nel piano cartesiano e una retta. Una funzione puo far intervenire piuformule, per esempio la funzione che associa a ogni valore reale x ∈ R il suomodulo |x| e una funzione | · | : R→ R definita con

|x| =

x se x ≥ 0−x se x < 0.

1Uno dei primi a utilizzare la parola funzione fu G.W.Leibniz (1646-1716), mentre la notazionemoderna f(x) e stata introdotta da Eulero (nome latinizzato del matematico svizzero L.Euler(1707-1783)). Per Eulero una funzione era “...ogni espressione analitica con una certa variabilez e altre quantita costanti...”, ossia una formula. La definizione di funzione oggi comunementeadottata e dovuta a G.Dirichlet (1805-1859).

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Funzioni 23

Vi sono poi funzioni non immediatamente interpretabili tramite formule. Peresempio Π(n) =“numero di interi positivi primi minori di n”, n ∈ N.2

Esempio 1.4 (Contiamo quanti sono) La domanda “Quanti sono gli elementidi un insieme?” e naturale e porta alla nozione di cardinalita. Per contare quantielementi ha un insieme uno strumento essenziale e quello di funzione biunivoca.Due insiemi A e B si dicono equipotenti quando esiste una funzione biunivocaf : A → B. L’insieme a,b,c e equipotente all’insieme 1,2,3; l’insieme N e equi-potente all’insieme dei pari con lo zero 0,2,4,6,8 . . .; anche Z e N sono equipotenti,per esempio si consideri la funzione f : Z→ N definita come

f(x) =

1 se x = 02x se x ≥ 1

−2x + 1 se x ≤ −1

Tale funzione e biunivoca; per x ≥ 1, infatti, produce gli interi naturali positivipari, mentre per x ≤ −1 gli interi naturali positivi dispari. Se esiste una funzionebiunivoca tra l’insieme A e l’insieme 1,2, . . . ,n,n ∈ N, si dice che A ha n ele-menti. Un insieme vuoto ha 0 elementi. Un insieme e finito quando esiste n ∈ Ntale che A abbia n elementi. Un insieme e infinito quando non e finito. Un’altradefinizione di insieme infinito e la seguente: un insieme A e infinito quando esisteun sottoinsieme proprio B e una funzione biunivoca f : A → B. Tra gli insiemiinfiniti esistono poi altre categorie. Un insieme A si dice numerabile quando esisteuna funzione biunivoca di N in A (o viceversa). L’insieme Z e numerabile cosıcome l’insieme degli interi positivi pari. Meno evidente il fatto che Q e numera-bile. Pur senza entrare nei dettagli, vediamo un modo per “elencare” i razionali.Disponiamo in un reticolo bidimensionale le frazioni, la prima riga con le frazio-ni con numeratore uguale a 1, la seconda riga con numeratore uguale a 2, e viadi seguito, si veda la Figura 1.3. Per elencare questi razionali basta poi leggerequesta tabella per diagonali come accennato nella Figura 1.3, saltando le frazioninon ridotte ai minimi termini, dove la frazione p/q e rappresentata dalla coppiacorrispondente (p,q). Per organizzare in successione tutti i razionali basta far se-guire ogni razionale positivo dal suo opposto. Questa costruzione e essenzialmentedovuta a G.Cantor (1845-1918). Lo stesso Cantor ha dimostrato che l’insieme deinumeri reali R non e numerabile. La non numerabilita dell’insieme R porta allascoperta, a prima vista sorprendente, che vi sono, in un certo senso, molti piu nu-meri irrazionali che numeri razionali. A questo punto, ha piu elementi l’intervallo(0,1) o la retta R? Anche qui la risposta e non intuitiva: hanno lo “stesso numerodi elementi”, ovvero sono equipotenti. Per esempio, come vedremo nei prossimicapitoli, la funzione

f(x) =2x− 1

x(1− x), x ∈ (0,1)

rappresenta una corrispondenza biunivoca di (0,1) in R.

Esempio 1.5 (Piano reale e riferimento cartesiano) Abbiamo piu volte det-to che geometricamente R corrisponde a una retta: la retta reale. Analogamenteall’insieme

R2 = R× R = (x,y) : x,y ∈ R

2Ricordiamo che dati due interi positivi m e n si dice che m e un divisore di n (o che n e unmultiplo di m) se esiste un k intero tale che n = km. Un numero intero n si dice primo se i suoiunici divisori sono n e 1.

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24 Capitolo 1

(1,1) (1,2) (1,3) (1,4) . . .

(2,1) (2,2) (2,3) (2,4) . . .

(3,1) (3,2) (3,3) (3,4) . . .

(4,1) (4,2) (4,3) (4,4) . . .

......

......

+

+

´+´´

´´

´3

´+

´+

? ´´+

´´+´

´´

´´

´´

´´

´´

´´

´3

´´

´´

´´3

Figura 1.3 Le diagonali di Cantor.

corrisponde il piano reale. Ossia un piano in cui si scelgono:

1. un punto O detto origine che corrispondera alla coppia (0,0) ∈ R2;

2. due rette distinte passanti per O dette asse delle ascisse (o delle x) e asse delleordinate (o delle y);

3. due punti P e Q, uno sull’asse delle x e l’altro sull’asse delle y, P,Q 6= O, a Pcorrisponde (1,0) mentre a Q la coppia (0,1);

4. un orientamento per entrambe le rette.

ordinate y

ascisse xO

Q

P

T

V

S(x,y)

(0,1)

(1,0)

−1 0 1 2 3−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

y1

y2

x1

x2

P1(x,y)

P2(x,y)

|P1P

2|

Figura 1.4 Piano, coordinate cartesiane, distanze.

Preso un punto S qualunque del piano sia V il punto in cui la parallela per Sall’asse y incontra l’asse della ascisse e sia T il punto in cui la parallela per Pall’asse x incontra l’asse delle ordinate. Sia x uguale alla misura algebrica delsegmento orientato OV (cioe la distanza tra due punti se il segmento orientato

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Funzioni 25

che li congiunge segue l’orientamento dell’asse, l’opposto della distanza in casocontrario). Sia y la misura algebrica del segmento orientato OT . Entrambe lemisure sono calcolate rispetto all’unita di misura determinata dai punti cui corris-pondono le coppie (1,0) e (0,1). Al punto S corrispondera quindi la coppia (x,y),come mostrato nella Figura 1.4. In questo modo abbiamo costruito un sistema diriferimento cartesiano per R2. Se gli assi sono ortogonali abbiamo un sistema diriferimento detto ortogonale. Inoltre se le distanze dei punti P e Q, coppie (1,0) e(0,1), da O sono uguali il sistema e detto ortonormale. Considereremo nel seguitosistemi ortonormali. Dal Teorema di Pitagora, la distanza tra due punti P1 e P2di coordinate (x1,y1), (x2,y2) e uguale a

P1P2 =√

(x2 − x1)2 + (y2 − y1)2.

Esempio 1.6 (Rette e grafici di funzioni) Nel piano il grafico di un’equazione(o disequazione) in x e y e l’insieme dei punti (x,y) le cui coordinate soddisfanol’equazione (o la disequazione). Per esempio parte del grafico (x,y) ∈ R2 : y = xe rappresentato nella Figura 1.5

−2 −1 0 1 2 3

−2

−1

0

1

2

3

x

yy=x

Figura 1.5 Il grafico di y = x.

Osserviamo che per ogni retta non verticale, presi due punti distinti P1(x1,y1) eP2(x2,y2) della retta stessa, il rapporto

m =y2 − y1

x2 − x1

e costante, tale rapporto rappresenta la pendenza della retta. Nella Figura 1.6 simostra il motivo: i triangoli P1AP2 e P ′1A

′P ′2 sono simili (hanno gli stessi angoli)da cui

AP2

P1A=

A′P ′2P ′1A′

= m =⇒ y2 − y1

x2 − x1=

y′2 − y′1x′2 − x′1

.

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26 Capitolo 1

A

A’

P1

P’1

P2

P’2

x

y

Figura 1.6 I triangoli P1AP2 e P ′1A′P ′2 sono simili.

Abbiamo quindi che per una retta passante per P1(x1,y1) e con pendenza m ilgenerico punto P (x,y) sulla retta soddisfera

m =y − y1

x− x1⇒ y = y1 + m(x− x1),

che e una forma dell’equazione della retta. Per una retta orizzontale, m = 0 equindi y = y1; per una retta verticale si ha invece l’equazione x = x1.

Un’equazione della forma

ax + by + c = 0,

e detta equazione lineare purche a o b 6= 0. Il grafico di tale equazione e sempre unaretta. Per b 6= 0 e una retta con pendenza −a/b, per b = 0,a 6= 0 si ha una rettaverticale x = −c/a. Due rette sono parallele se hanno uguale pendenza, mentredue rette non parallele agli assi sono perpendicolari se il prodotto delle pendenzee −1. Il grafico della funzione costante f(x) = c ∈ R, cioe che assume lo stessovalore c per tutti gli elementi del dominio, dom(f) = R, e la retta parallela all’assedelle ascisse con punti che hanno ordinata uguale a c. La funzione f(x) = mx,m 6= 0, x ∈ R rappresenta una relazione di proporzionalita diretta tra la variabileindipendente x e la variabile dipendente y. Il grafico e una retta passante perl’origine O con pendenza m.

Un altro tipo di relazione che si incontra e quella della proporzionalita inversatra x e y definita da

y =k

x, k 6= 0.

Per quali valori di x e definita? Per tutti gli x 6= 0. Il grafico della funzione erappresentato dall’iperbole equilatera che ha come asintoti gli assi coordinati, siveda la Figura 1.7. Un esempio dalla fisica e dato dalla legge di Boyle

p =C

vcon C 6= 0.

In questo caso ci limiteremo a una sua restrizione con v > 0. Tale restrizione e unanuova funzione, infatti il grafico e solo un ramo dell’iperbole. Una legge differente

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Funzioni 27

x

y

k=1

y

x

k=5

Figura 1.7 Grafico dell’iperbole y = k/x e grafico della parabola y = kx2.

e la relazione di tipo quadratico espressa dall’equazione

y = kx2, k 6= 0.

Il grafico di questa funzione, nel caso in cui si sceglie come dominio l’intera rettareale, e una parabola con vertice nell’origine e che ha come asse la retta delle ordi-nate (si veda ancora la Figura 1.7). Un altro esempio tratto dalla fisica riguarda lacaduta di un grave nel vuoto che parta da fermo. Il legame tra lo spazio s percorsodal grave e il tempo t corrispondente e di tipo quadratico

s =12gt2,

in questo caso ha senso fisico solo per t ≥ 0.

1.2 Funzioni e operazioni

Come i numeri anche le funzioni possono essere “combinate” tra di loro attraver-so operazioni aritmetiche. Consideriamo due funzioni reali f, g con il medesimodominio

f : A → R, g : A → R.

Per ogni x appartenente al dominio comune definiamo le funzioni

(f + g)(x) = f(x) + g(x) “somma di f e g”

(f − g)(x) = f(x)− g(x) “differenza di f e g”

(fg)(x) = f(x)g(x) “prodotto di f e g”

(f/g)(x) = f(x)/g(x), dove g(x) 6= 0 “quoziente di f e g”.

Nel caso in cui i domini di f e g non coincidano occorre a volte considerare domini“ridotti”, e sensato per esempio definire le operazioni in dom(f) ∩ dom(g).

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28 Capitolo 1

Esempio 1.7 (Operazioni con funzioni) Se f(x) = x2, x > 0 e g(x) = 3x +1, x > 0 possiamo considerare

(f + g)(x) = x2 + 3x + 1

(f − g)(x) = x2 − 3x− 1

(fg)(x) = x2(3x + 1) = 3x3 + x2

(f/g)(x) =x2

3x + 1

Osserviamo che il quoziente e sempre definito ∀x ∈ dom(g) = (0, +∞).

Osservazione 1.1 Abbiamo piu volte considerato restrizioni di una funzione.Formalmente, siano f e g due funzioni, diciamo che g e una restrizione di f oppureche e f e un prolungamento di g quando

dom(g) ⊆ dom(f) e ∀x ∈ dom(g) f(x) = g(x).

In termini di grafici graf (g) ⊆ graf (f). In generale f e una sua restrizione sonodue funzioni diverse. Nel caso di funzioni reali a variabile reale, quando si incontraun’espressione o una formula, se non e esplicitamente detto, si intende parlare dellafunzione definita dalla formula avente come dominio il piu grande dominio in cuitale formula abbia senso: il piu grande prolungamento possibile.

Vi sono altre operazioni che possiamo considerare per le funzioni: la composizionedi funzioni e l’inversione. Con queste operazioni si producono funzioni nuove.Consideriamo, per esempio, le operazioni di un panettiere quando ci vende il nostropane preferito. Deve svolgere due operazioni distinte da compiersi in un ordineben determinato. La prima operazione consiste nel determinare il peso del paneda vendere, la seconda operazione consiste nel moltiplicare il numero ottenuto peril prezzo unitario del tipo di pane. Abbiamo due funzioni f : F → R dove F el’insieme dei diversi tipi di pane in vendita, che associa a ogni quantita di pane xil peso f(x); g : I → R che associa a un peso y il prezzo corrispondente g(y). Ilprezzo finale e in sostanza g(f(x)). Formalizziamo la situazione.

Definizione 1.2 (Composizione di funzioni) Siano f : A → B, g : B → Cdue funzioni. Si dice funzione composta di f e g la funzione di A in C che siindica con g f e definita come

g f : A → C x 7→ g(f(x)).

Quindi (g f)(x) = g(f(x)).

La notazione dovrebbe chiarire che viene calcolata prima la f e poi la g. Abbiamoschematizzato la composizione nella Figura 1.8. Ovviamente per la composizionebasta che im(f) ⊆ dom(g) senza richiedere che il codominio di f e dominio dig coincidano. Operativamente, considereremo g(f(x)) ovunque abbia senso: cioedove f(x) ∈ dom(g).

Esempio 1.8 (La composizione non commuta) Determiniamo la funzionecomposta g f di f(x) = x + 3 e g(y) = y2. Entrambe le funzioni si considerano

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Funzioni 29

x f(x) g(f(x))

A BC

A B Cf g

g ο f

Figura 1.8 La composizione di funzioni.

come funzioni da R in R, per ogni fissato x dobbiamo prima applicare f ottenendoy = f(x) = x + 3, a questo punto applichiamo la funzione g,

z = g(y) = y2 = (f(x))2 = (x + 3)2.

Abbiamo quindi una funzione che associa a x il valore (x+3)2. Questa e la funzionecomposta (g f)(x) = (x + 3)2, dom(g f) = R, im(g f) = [0, +∞). Scambiamoadesso il ruolo di f e g (sono funzioni definite su tutto R, non abbiamo problemidi definizione). La funzione composta f g e data da

z = f(y) = y + 3 = (x2) + 3 = x2 + 3,

quindi (f g)(x) = x2 + 3. Osserviamo che dom(f g) = R, mentreim(f g) = [1,+∞). La funzione composta ottenuta e differente dalla precedente:la composizione non e in generale commutativa. Il risultato dipende dall’ordine incui si sono applicate le funzioni. I grafici di f , f g e g f di quest’esempio sonoriportati nella Figura 1.9.

Esempio 1.9 (Non sempre si puo comporre) Se studiamo la funzione com-posta di f(x) = x + 3 e g(y) = 1/y ci accorgiamo che

dom(f) = R, im(f) = R, dom(g) = R \ 0, im(g) = R \ 0.Il punto x = −3 non puo essere considerato nella composizione g f . Possiamocomunque considerare la funzione composta definita dalla formula (g f)(x) =1/(x + 3), ma facendo attenzione al dominio: dom(g f) = R \ −3. Questo eun caso in cui im(f) 6⊆ dom(g), non rinunciamo a definire la funzione composta:la definiamo solo dove ha senso farlo.

Prendiamo invece f(x) = −x2−1 e g(y) =√

y ossia la funzione radice quadratache e definita solo per y ≥ 0. Abbiamo,

dom(f) = R, im(f) = (−∞,− 1], dom(g) = [0, +∞), im(g) = [0, +∞).

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30 Capitolo 1

−6 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4−3

−2

−1

0

1

2

3

4

5

6

7

f

x −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 40

5

10

15

20

25

y

g

−6 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 40

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

g° f

x −6 −5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 40

5

10

15

20

25

30

35

40

x

f g °

Figura 1.9 Composizione delle funzioni f e g.

In questo caso im(f)∩dom(g) = ∅, non possiamo considerare la funzione compostag f . La condizione minimale da porre per parlare di funzione composta e im(f)∩dom(g) 6= ∅, in caso contrario le due funzioni non possono “passarsi” nulla.

Esempio 1.10 (Composizione, traslazioni e riscalamenti) Sia C 6= 0 unacostante reale e sia f : A ⊆ R → R, con TC : R → R indicheremo la traslazionex 7→ x+C. La composizione di f con TC che effetto produce? Volendo rappresen-tare nel medesimo riferimento cartesiano il grafico di f e di f TC , ci si accorgeche questo ultimo e traslato orizzontalmente rispetto a graf (f). In particolare etraslato verso sinistra se C > 0, verso destra se C < 0 (destra e sinistra dipendonodall’orientamento dell’asse delle ascisse). Analogamente graf (TC f) e traslatoverticalmente rispetto a graf (f): verso l’alto se C > 0, verso il basso se C < 0(ancora alto e basso in riferimento all’orientamento dell’asse delle ordinate). NellaFigura 1.10 si mostra un esempio. Ricordiamo che (f TC)(x) = f(x+C), mentre(TC f) = f(x) + C.

Fissato un numero reale C 6= 0, possiamo definire la funzione lineare SC :R → R, x 7→ Cx. Ancora una volta possiamo chiederci cosa succede per le duecomposizioni f SC e SC f . Supponiamo C > 0; se C > 1 il grafico di f SC ,definita come (f SC)(x) = f(cx), si “comprime” orizzontalmente rispetto algrafico di f avvicinandosi all’asse delle ordinate. Al contrario, se 0 < C < 1,graf (f SC) si dilata allontanandosi dall’asse delle ordinate, rispetto a graf (f).Un effetto analogo si riscontra per (SC f)(x) = Cf(x). Sempre per C > 0,quando 0 < C < 1 il grafico si comprime verso l’asse delle ascisse, mentre se C > 1il grafico di SC f si dilata allontanandosi dall’asse delle ascisse. Nella Figura

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Funzioni 31

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

x

f

f(x+c), c<0

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

f(x+c), c>0

x

f

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

x

f

f(x)+c, c>0

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

x

f

f(x)+c, c<0

Figura 1.10 Traslazione dei grafici.

1.11 si mostra un esempio. Il grafico di f(−x), quindi C = −1, si ottiene inveceriflettendo il grafico di f specularmente rispetto all’asse delle ordinate. Per C < 0,prima si opera con la riflessione e poi si procede come prima. Il grafico di −f(x)si ottiene invece “ribaltando” il grafico di f rispetto all’asse delle ascisse: si faancora una riflessione speculare. Infine il grafico di f(|x|), cioe di f | · | e ugualeal grafico di f per x ≥ 0, mentre si ottiene per riflessione speculare di quest’ultimorispetto all’asse delle ordinate per x < 0. Mentre il grafico di |f(x)| coincide conquello di f per f(x) ≥ 0, e si ottiene per riflessione speculare rispetto all’asse delleascisse quando f(x) < 0.

Abbiamo parlato di funzioni f : A → B; e possibile, in qualche senso, costruireuna funzione che riporti da B in A? Appare ovvio che in presenza di piu puntidi A che finiscono tutti nel medesimo elemento di B questo non puo avvenire: aquale elemento ritorniamo? In effetti occorre che l’equazione

y = f(x) x ∈ A, y ∈ B

abbia al piu una soluzione, ossia che la funzione sia iniettiva; potremmo allora res-tringerci all’insieme im(f) e da questo “tornare indietro”. Si noti che graficamentel’iniettivia equivale al fatto che tracciando una retta parallela all’asse delle ascissequesta interseca il grafico della funzione al piu in un punto.

Esempio 1.11 (Misurare le temperature) La scala centigrada per la misuradelle temperature e stata introdotta da A. Celsius nel 1742. In questa scala alpunto di fusione del ghiaccio viene assegnato il valore 0, mentre al punto di ebolli-zione dell’acqua il valore 100, entrambi i fenomeni considerati a pressione normale.

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32 Capitolo 1

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

f(cx), c>1

x

f

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

f(cx), 0<c<1

x

f

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

cf(x), c>1

x

f

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6−10

0

10

20

30

40

50

60

cf(x), 0<c<1

x

f

Figura 1.11 Cambiamenti di scala.

Nei paesi anglosassoni si e invece diffusa la scala di Fahrenheit, dal nome del suoideatore. In questa scala ai fenomeni fisici menzionati si assegnano i valori 32 e212, a 32 gradi Fahrenheit (32 F) fa quindi freddo non caldo. Per i gradi centi-gradi si divide l’intervallo tra 0C e 100C in 100 parti uguali, ognuna corrispondea un grado Celsius, 1C. Nell’altra scala di Fahrenheit si divide l’intervallo da 32a 212 in 180 parti uguali. Se x e la misura di una temperatura in gradi centigradie y in gradi Fahrenheit, avremo una relazione del tipo y = f(x) = mx + q, dove iparametri m e q sono tali che f(0) = 32 ⇒ q = 32, e f(100) = 212 ⇒ m = 9/5.Quindi f(x) = (9/5)x + 32. Vorremmo poter invertire tale relazione: passare daigradi Fahrenheit a quelli Celsius. Ricavando x dall’equazione y = (9/5)x + 32 siottiene x = g(y) = (5/9)(y − 32). La funzione g potrebbe chiamarsi, in modoevidente, la funzione inversa di f .

Definizione 1.3 Siano A,B due insiemi non vuoti, f una funzione iniettiva di Ain B. Si chiama funzione inversa di f la funzione da im(f) in dom(f) che associaa ogni elemento dell’immagine la sua unica controimmagine. La funzione inversadi f viene denotata con il simbolo f−1.

Elenchiamo alcune proprieta di f e f−1.

i) dom(f−1) = im(f), im(f−1) = dom(f),

ii) ∀x ∈ dom(f−1) f(f−1(x)) = x, ∀ y ∈ im(f−1) f−1(f(y)) = y,

iii)∀x ∈ dom(f) ∀ y ∈ dom(f−1) y = f(x) ⇔ x = f−1(y).

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Funzioni 33

Osservazione 1.2 Quando A ⊆ R, B ⊆ R, possiamo considerare i sottoinsie-mi descritti dalle equazioni y = f(x) e x = f−1(y), cioe i grafici di f e f−1.Dalle proprieta della funzione inversa, si nota che questi grafici sono simmetricie speculari rispetto alla retta y = x. Infatti la trasformazione che porta il pun-to P ∈ graf (f), P (x,f(x)), nel punto P ′(x,f−1(x)), e l’operazione di simmetriarispetto a questa retta. Un esempio e mostrato nella Figura 1.12.

y=x

f(x)

f−1(x)

Figura 1.12 Grafico di f e f−1.

Esempio 1.12 (Rette e funzioni inverse) Generalizzando l’esempio delle scaleCelsius e Fahrenheit, possiamo considerare la funzione y = f(x) = ax+b con a 6= 0(ossia una retta non parallela agli assi). La funzione e iniettiva, infatti

ax1 + b = ax2 + b ⇒ ax1 = ax2 ⇒ x1 = x2.

Per il calcolo della funzione inversa,

y = f(x) = ax + b ⇒ x = f−1(y) = (y − b)/a.

Verifichiamo, per esempio, che f−1(f(x)) = x

f−1(f(x)) =f(x)− b

a=

ax + b− b

a= x ∀x ∈ R.

Esempio 1.13 (Radice quadrata come inversa) La funzione f(x) = x2 none iniettiva su tutta la retta reale. Definiamo una nuova funzione F (x) = x2, x ∈[0, + ∞). Ora F e iniettiva, quindi e invertibile, indichiamo con F−1(x) la suainversa. Si ha che F−1(x) =

√x, ossia coincide con la funzione radice quadrata.

Nella Figura 1.13 mostriamo i grafici di F e di F−1. Ovviamente si poteva scegliereG(x) = x2, x ∈ (−∞,0] e considerare l’inversa G−1. Per convenzione si utilizza laprima scelta che porta alla definizione di radice quadrata. Notiamo anche che

(√

x)2 = x ∀x ≥ 0,√

x2 = |x| ∀x ∈ R.

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34 Capitolo 1

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 20

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

x2

x

Figura 1.13 Grafico di√

x come grafico di una funzione inversa.

Esempio 1.14 (Dal grafico di ... al grafico di ...) Lo studio delle proprietadel grafico di una funzione richiedera concetti e tecniche proprie dell’Analisi Ma-tematica (continuita, derivata,...) che studieremo nei prossimi capitoli. In casisemplici, dalla conoscenza del grafico di alcune funzioni elementari e possibile de-durre, tramite opportune trasformazioni, una prima forma del grafico di una datafunzione. Per esempio si voglia trovare il grafico qualitativo della funzione

f(x) = 5√−2(x + 3) − 1

per x ≤ −3. Una sequenza di trasformazioni elementari e la seguente con partenzala funzione y =

√x,

y =√

x → (cambio di scala in x e y) → y = 5√

(2x),

y = 5√

(2x) → (simmetria rispetto asse delle ordinate) → y = 5√

(−2x),

y = 5√

(−2x) → ( traslazione in x e y) → y = 5√−2(x + 3)− 1.

La sequenza e illustrata nella Figura 1.14.

1.2.1 Funzioni e disuguaglianze

Osserviamo innanzitutto che per le funzioni reali possiamo definire una relazioned’ordine: per f, g : A → R, f ≤ g significa f(x) ≤ g(x) ∀x ∈ A. In modo analogoper le altre disuguaglianze f < g, f ≥ g, f > g.

Consideriamo ora equazioni del tipo

|f(x)| = k,

con k costante reale. Per k < 0 non ci sono soluzioni (perche | · | ≥ 0), per k = 0ci si riconduce all’equazione f(x) = 0, infine per k > 0 occorre considerare le

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Funzioni 35

−6 −4 −2 0 2 4 6

−5

0

5

10

15

y=√x

y=5√2x y=5√−2x

y=5√−2(x+3)+1

Figura 1.14 Sequenza di trasformazioni elementari.

soluzioni delle due equazioni,

f(x) = k dove f(x) > 0,

−f(x) = k dove f(x) < 0.

Dal punto di vista grafico, per farsi un’idea iniziale di come possano andare lecose, conviene disegnare il grafico della funzione |f(x)| e individuare eventualiintersezioni con la retta y = k.

Esempio 1.15 (Equazioni con il modulo) Per l’equazione |x2 − 5| = 1, bastadisegnare la curva y = x2 − 5 (traslando in basso la parabola di equazione x2),quindi disegnare il grafico del modulo: dove la funzione e non negativa non cambianulla, dove la funzione e negativa basta considerare la versione simmetrica rispettoall’asse delle ascisse (si “ribalta” la parte di grafico corrispondente). Nella Figura1.15 si mostra la situazione, appaiono quattro intersezioni,

se x2 − 5 > 0, x2 − 5 = 1 ⇒ x1 =√

6, x2 = −√

6

se x2 − 5 < 0, − x2 + 5 = 1 ⇒ x3 = 2, x4 = −2.

Nel caso di disequazioni del tipo

|f(x)| ≤ k,

con k costante reale, per k < 0 non ci sono soluzioni, per k = 0 ci si riconduceall’equazione f(x) = 0 mentre per k > 0 i due casi (f(x) < 0 e f(x) > 0) sicompendiano nella formula

−k ≤ f(x) ≤ k.

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36 Capitolo 1

√5

−√5

y=1

| x2 − 5 |

Figura 1.15 Discussione grafica di |x2 − 5| = 1.

Esempio 1.16 (Disequazioni con il modulo) Per esempio la disequazione|2x− 3| ≤ 1 e equivalente a

−1 ≤ 2x− 3 ≤ 1,

da cui 1 ≤ x ≤ 2. Il lettore puo verificare graficamente tale soluzione. Si noti cheil grafico della funzione |2x− 3| potrebbe essere ricavato dal grafico della retta diequazione y = 2x − 3 “applicando” il modulo, oppure partendo dal grafico dellafunzione modulo, |x|, e applicando trasformazioni elementari del grafico (atten-zione, |2x− 3| = |2(x− 3/2)|, quindi si trasla, verso destra di 3/2, il grafico di |x|,poi si applica il fattore di scala 2).

Per la disequazione|f(x)| ≥ k,

quando k ≤ 0, tutte le x ∈ dom(f) sono soluzioni. Se invece k > 0 le soluzioni sitrovano imponendo

f(x) ≥ k dove f(x) > 0,

f(x) ≤ −k dove f(x) < 0.

Esempio 1.17 (Ancora disequazioni con il modulo) Risolviamo la disequa-zione ∣∣∣∣

x + 1x− 2

∣∣∣∣ ≥ 5.

Dobbiamo considerare il dominio della funzione, inteso come dominio piu grandepossibile, ovverosia dom(f) = R \ 2. Il quoziente e positivo quando numeratoree denominatore hanno segno concorde, in caso contrario il quoziente e negativo.Indicando con q(x) il quoziente argomento della funzione modulo, possiamo riassu-mere l’andamento del segno come nella Tabella 1.1. Dobbiamo quindi considerare

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Funzioni 37

x −1 2

(x + 1) −− ++ ++

(x− 2) −− −− ++

q(x) ++ −− ++

Tabella 1.1 Studio del segno del quoziente q(x) = (x + 1)/(x− 2).

la coppia di disequazionif(x)≥k︷ ︸︸ ︷

x + 1x− 2

≥ 5

dove f(x) > 0︷ ︸︸ ︷x ∈ (−∞,− 1) ∪ (2, +∞) ,

x + 1x− 2

≤ −5︸ ︷︷ ︸

f(x)≤−k

x ∈ (−1,2)︸ ︷︷ ︸dove f(x) < 0

.

La prima disequazione e verificata per x ∈ (2,11/4] infatti fornisce per x > 2

x + 1 ≥ 5(x− 2) ⇒ −4x ≥ −11 ⇒ x ≤ 11/4.

Mentre per x ≤ −1 non abbiamo soluzionix + 1 ≤ 5(x− 2) ⇒ −4x ≤ −11 ⇒ x ≥ 11/4.

La seconda disequazione invece e verificata per x ∈ [3/2,2). La verifica e lasciataal lettore.

In caso di situazioni piu complicate occorre, spesso aiutandosi con l’intuizionegrafica, distinguere bene i vari casi. Per esempio l’equazione

|x2 − 2| = |x− 1|ha quattro soluzioni. Graficamente sono le intersezioni tra il grafico di |x2 − 2| e|x− 1|, si veda la Figura 1.16. Per identificarle occorre considerare i vari intervallidi positivita delle due funzioni, x2 − 2, x− 1, x ∈ R.Ancora un esempio, la disequazione

|x− 2| ≤ |x− 1|.E possibile discutere algebricamente tale disequazione oppure, si veda la Figura1.17, considerare il punto di intersezione tra le due curve che avra ascissa x0. Ilgrafico della funzione |x− 2|, sta sotto al grafico della funzione |x− 1| per x ≥ x0.Dal segno delle due funzioni, il valore x0 e soluzione dell’equazione

2− x = x− 1 ⇒ x0 =32.

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38 Capitolo 1

| x2 − 2 |

| x − 1 |

1

Figura 1.16 Discussione grafica dell’equazione |x2 − 2| = |x− 1|.

| x− 2|

| x− 1|

x0 1 2 x

Figura 1.17 Discussione grafica della disequazione |x− 2| ≤ |x− 1|.

Si noti che il grafico delle due funzioni composte con la funzione modulo si trovanofacilmente traslando il grafico della funzione f(x) = |x|.

1.3 Funzioni elementari

Parleremo ora brevemente delle funzioni elementari. Non daremo una definizionerigorosa di “funzione elementare”. In modo semplicistico possiamo dire che comele tabelline servono per imparare le operazioni aritmetiche, le funzioni elementaripermettono di imparare alcune proprieta importanti delle funzioni in generale.

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Funzioni 39

1.3.1 Funzioni polinomiali e radicali

Una funzione polinomiale (o polinomio3) di grado n ∈ N ha la forma

pn(x) = a0 + a1x + . . . + anxn,

con x ∈ R. I coefficienti ak, k = 0, . . . ,n sono numeri reali assegnati. Se ak = 0 perogni k si ha la funzione identicamente nulla. Tra tutte le funzioni reali di variabilereale l’insieme P dei polinomi puo essere individuato dalle seguenti proprieta:

1. Le funzioni costanti x 7→ c dove c ∈ R e assegnato, appartengono a P;

2. La funzione identita, x 7→ x, appartiene a P ;

3. Se p1 e p2 appartengono a P, vi appartengono anche p1 + p2, p1p2;

4. La classe P contiene soltanto le funzioni che si possono costruire in base alleprecedenti regole 1, 2 e 3.

Due polinomi sono uguali se hanno lo stesso grado e hanno ordinatamente uguali icoefficienti ak del termine di grado k. Ricordiamo che ogni singolo addendo akxk sidice monomio di grado k, il numero ak si dice coefficiente del termine di grado k. Ilgrado di un polinomio e determinato dalla massima potenza di x il cui coefficientee non nullo. Nella Figura 1.18 si mostrano i grafici dei monomi x, x2, x3 e x4.

−2 −1 0 1 2−2

−1

0

1

2

−2 −1 0 1 20

1

2

3

4

−2 −1 0 1 2−10

−5

0

5

10

−2 −1 0 1 20

5

10

15

20

x x2

x3

x4

Figura 1.18 Grafici di alcuni monomi.

3Si consiglia il lettore di rivedere in qualche testo di algebra elementare le tecniche e ledefinizioni per le operazioni tra polinomi in particolare la moltiplicazione e la divisione.

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40 Capitolo 1

Dati due polinomi p(x) e q(x) una funzione del tipo f(x) = p(x)/q(x) e definitasull’insieme A = x ∈ R : q(x) 6= 0. Le funzioni costruite in questo modovengono chiamate funzioni razionali.

Esempio 1.18 (Polinomi e funzioni razionali) Per esempio p(x) = x3−2x+1e un polinomio di grado 3. Mentre q(x) = x5 + 3x4 + 2x2 e un polinomio di grado5. La funzione

f(x) =x + 1x2 − 2

e una funzione razionale. Sara definita solo su A = R\−√2,√

2 = (−∞,−√2)∪(−√2,

√2) ∪ (

√2, +∞).

Esempio 1.19 (Funzioni quadratiche) Le funzioni polinomiali di secondo gra-do (o funzioni quadratiche) si scrivono nella forma

y = a0 + a1x + a2x2, a2 6= 0.

Supponiamo per semplicita a2 = 1. Partiamo dalla funzione y = x2, il cui gra-fico e una parabola con il vertice nell’origine e la retta delle ordinate come asse.Applicando opportune traslazioni, si ottiene che il grafico della funzione

y = (x− p)2 + q

e una parabola con vertice nel punto (p,q) e con asse la retta di equazione x = p.Possiamo ottenere il grafico della funzione quadratica y = a0 + a1x + x2 partendodal grafico di x2? La risposta e positiva, basta trovare gli opportuni valori di p eq. Il quadrato di un binomio (α + β) e dato da

(α + β)2 = α2 + 2αβ + β2.

Il termine x2 +a1x e interpretabile come parte del quadrato del binomio x+a1/2,manca il quadrato del termine a1/2, quindi

(x2 + a1x) =(

x +a1

2

)2

− a12

4

da cui

a0 + a1x + x2 =(

x +a1

2

)2

− a12

4+ a0.

Abbiamo quindi trovato i valori p = −a1/2 e q = a0− (a12/4) = (4a0− a2

1)/4, cheforniscono le coordinate del vertice della parabola.

Esaminiamo ora l’effetto della dilatazione y = ax2. Per a > 0, abbiamo giaosservato che la nuova parabola sara piu “stretta” o piu “larga” a seconda chesia a > 1 oppure 0 < a < 1. Per a = −1, la parabola di equazione y = −x2 e“capovolta rispetto a quella originale”, ovvero si deve compiere una trasformazionedi simmetria rispetto all’asse delle ascisse. Nel caso generale abbiamo quindi pera2 6= 0,

y = a0 + a1x + a2x2 = a2

(x2 +

a1

a2x +

a0

a2

)

= a2

(x +

a1

2a2

)2

+ a2

(a0

a2− a1

2

4a22

)= a(x− p)2 + q,

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Funzioni 41

dove a = a2 e p = −(a1/2a2), q = a0− (a21/4a2) = −(a2

1−4a0a2)/(4a2). Possiamoquindi, attraverso una sequenza di trasformazioni elementari passare dal graficodella parabola di equazione y = x2 al grafico della funzione quadratica y = a0 +a1x + a2x

2. Pertanto il grafico di una funzione quadratica e una parabola. NellaFigura 1.19 si mostrano alcuni passaggi per raggiungere il grafico di y = −2x2 +10x − 12 = −2(x − 5/2)2 + 1/2 partendo dal grafico di y = x2. Osserviamo che

−4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5 6 7

−20

−15

−10

−5

0

5

10

y=x2

y= −2 x2

y= −2 (x− 5 / 2 )2

y= −2 (x− 5 / 2 )2+ 1 / 2

x

Figura 1.19 Come ottenere il grafico di y = −2x2 + 10x− 12 da quello di y = x2.

nella forma “trasformata” y = a(x− p)2 + q possiamo facilmente calcolare gli zeri(radici) della funzione quadratica, cioe quei valori x tali che

y = a(x− p)2 + q = 0.

Infatti, (x − p)2 = −q/a e se −q/a < 0 non abbiamo zeri, mentre se −q/a = 0abbiamo un unico zero x = p, di molteplicita due. Infine, per −q/a > 0 siottengono due zeri x1 =

√−q/a + p, x2 = −

√−q/a + p.

Esempio 1.20 (Disequazioni e parabole) Sia p(x) = ax2+bx+c una funzionequadratica con a, b, c costanti reali opportune. La discussione di disequazioni deltipo

p(x) ≤ 0, p(x) ≥ 0, p(x) < 0, p(x) > 0,

si riduce all’analisi del segno del coefficiente a di x2 e del discriminante ∆ =b2 − 4ac. Esempi di grafici della funzione p nelle varie possibilita sono riassuntinella Figura 1.20. Si noti che il caso a < 0 puo essere ricondotto al caso a > 0 (eviceversa) dato che le disequazioni precedenti sono equivalenti a

−p(x) ≥ 0, − p(x) ≤ 0, − p(x) > 0, − p(x) < 0.

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42 Capitolo 1

a>0

∆>0

a>0

∆=0

a>0

∆<0

a<0

∆>0

a<0

∆=0

a<0

∆<0

Figura 1.20 Grafici di funzioni quadratiche, ax2 + bx + c.

Dai grafici si possono dedurre le soluzioni per eventuali disequazioni. Per esempio,discutiamo il segno di

p(x) = x2 + 2x− 8.

Il coefficiente di x2 e uguale a 1 > 0, inoltre ∆ = 4 + 32 > 0. La funzione ha dueradici, x1 = −4 e x2 = 2, quindi

p(x) > 0, per x < −4, x > 2;

p(x) < 0 per x ∈ (−4,2).

Esempio 1.21 (Potenze con esponente frazionario) Per n numero naturalenon nullo e per x ≥ 0 definiamo

y = n√

x,

come il valore y ≥ 0 tale che yn = x.

Se n e un intero positivo pari la funzione xn non e iniettiva su tutta la rettareale mentre lo e la sua restrizione all’intervallo [0,+∞), la sua inversa e la funzione

x1n : x 7→ n

√x, x ∈ [0, +∞).

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Funzioni 43

Se n e dispari, la funzione xn e iniettiva e la sua inversa e la funzione

x1n : x 7→

n√

x se x ∈ [0, +∞)

− n√−x se x ∈ (−∞,0)

Occorre fare attenzione: e meglio distinguere tra la funzione x1n e n

√x. L’aspetto

“delicato” deriva dalla scelta del dominio per la n√

x che e esteso a x < 0 peresponenti dispari (si veda la Figura 1.21).

−3 −2 −1 0 1 2 3−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

x1/4

−3 −2 −1 0 1 2 3−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

−(−x)1/3

x1/3

Figura 1.21 Grafico dell’inversa di x4 e di x3.

In modo analogo per n intero positivo e x 6= 0 se n dispari oppure x > 0 pern pari possiamo definire

x−1n =

1

x1n

.

Ora se p e q sono interi positivi, che possiamo supporre ridotti ai minimi termini,poniamo per x ≥ 0 se q e pari oppure x ∈ R se q e dispari

xpq = (xp)

1q = q

√xp

mentre se escludiamo x = 0, possiamo definire

x−pq =

1

xpq

.

Per m e n interi vale la regola degli esponenti

xm · xn = xm+n,

che si puo facilmente estendere al caso di esponenti razionali,

xpq · x r

s = xpq+ r

s .

Nei seguenti esempi, per semplicita di notazioni, utilizzeremo il simbolo n√

x perindicare la funzione x

1n , ricordando che cosı facendo estendiamo il dominio ai

numeri reali negativi, quando n e dispari.

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44 Capitolo 1

Esempio 1.22 (Equazioni e disequazioni irrazionali) Nelle equazioni e dise-quazioni irrazionali intervengono le funzioni radicali. Consideriamo alcuni sempliciesempi iniziando da equazioni nella forma

n√

f(x) = m√

g(x),

con n, m interi e n > 1, m ≥ 1 (si conviene che 1√

g(x) = g(x)). Si puo cercare dirisolvere l’equazione riconducendola a un’equazione in cui non compaiono radicalimediante un opportuno elevamento a potenza di entrambi i membri. Sia p lapotenza per cui elevare i membri dell’equazione. Se p e dispari l’equazione chesi ottiene dopo l’elevamento a potenza e equivalente a quella di partenza. Peresempio per risolvere l’equazione

3√

x3 + 2− 1 = x,

si puo isolare la radice ed elevare al cubo,

x3 + 2 = (x + 1)3.

Dopo le opportune semplificazioni, l’equazione si riduce alla seguente forma

3x2 + 3x− 1 = 0.

Le due soluzioni sono

x1 =− 3−√21

6, x2 =

− 3 +√

216

.

Nel caso in cui p sia pari l’equazione di partenza e l’equazione ottenuta dopo l’eleva-mento a potenza non sono equivalenti. Quest’ultima potrebbe infatti avere un in-sieme di soluzioni piu grande. Per esempio consideriamo l’equazione A(x) = B(x)e la corrispondente equazione ottenuta elevando al quadrato entrambi i membri

A2(x) = B2(x) ⇔ (A(x)−B(x)) (A(x) + B(x)) = 0.

Di conseguenza l’insieme delle soluzioni consiste nell’unione delle soluzioni diA(x) = B(x) e A(x) = −B(x). Inoltre, la presenza nell’equazione di radici diindice pari richiede una certa cautela dovuta al fatto che il dominio di tali radicie ristretto alla semiretta [0, +∞). Risolviamo, per esempio, l’equazione

√(2x− 1) = x− 1.

L’argomento della radice quadrata deve essere non negativo, eventuali soluzionivanno quindi cercate nell’insieme delle x per cui 2x− 1 ≥ 0, quindi in [1/2, +∞).Elevando al quadrato entrambi i membri si ottiene l’equazione

x2 − 4x + 2 = 0,

che ha radici x1 = 2 +√

2, x2 = 2−√2. Entrambi i valori sono maggiori di 1/2.La sostituzione diretta porta pero a escludere x2 perche

√(2x2 − 1) > 0, x2 − 1 < 0.

L’unica soluzione, verificabile anche per via grafica, e dunque x1. La soluzionex2 poteva essere esclusa anche perche nell’equazione di partenza e implicitamentecontenuta una seconda condizione, (x − 1) ≥ 0 dato che la radice quadrata puoassumere solo valori non negativi.

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Funzioni 45

Per quanto riguarda le disequazioni consideriamo i casi

f(x) > n√

g(x), f(x) < n√

g(x).

Occorre distinguere i due casi: n dispari oppure n pari.

• n dispari. Le due disequazioni sono equivalenti alle seguenti

fn(x) > g(x), fn(x) < g(x).

Risolviamo, per esempio, la disequazione

x− 3 > 3√

(x3 + 3x2 − x− 27).

Elevando al cubo entrambi i membri si ottiene la disequazione equivalente

(x− 3)3 > (x3 + 3x2 − x− 27),

ovverosia−12x2 + 28x > 0.

Quest’ultima disequazione e soddisfatta per x ∈ (0,7/3).

• n pari. Nel caso dif(x) > n

√g(x),

occorre chef(x) > 0, g(x) ≥ 0.

Se entrambi i membri sono non negativi l’elevamento alla potenza n-esima por-ta a una disequazione equivalente. Riassumendo, la disequazione e equivalentealle disuguaglianze

g(x) ≥ 0,

f(x) > 0,

fn(x) > g(x).

Per esempio risolviamo la disequazione

x− 1 >√

5− 2x.

Abbiamo le disuguaglianze

(5− 2x) ≥ 0,

(x− 1) > 0,

(x− 1)2 > (5− 2x).

Sviluppando i calcoli si ha

1 < x ≤ 52,

x2 > 4,

da cui la soluzione x ∈ (2,5/2]. La disequazione appena risolta e visualizzatanella Figura 1.22. Dalla figura si deduce che, trovato il punto (unico) di

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46 Capitolo 1

√5−2x

x0

x−1

5/2

Figura 1.22 Discussione grafica della disequazione x− 1 >√

5− 2x.

intersezione tra le due curve, la soluzione corrisponde a x > x0. L’andamentodelle due funzioni assicura che non ci sono altre soluzioni.

Nel caso invece di disequazione

f(x) < n√

g(x),

deve essere g(x) ≥ 0. Se poi f(x) < 0 la disequazione e soddisfatta, se invecef(x) ≥ 0 la disequazione e equivalente a quella ottenuta elevando alla poten-za n-esima. Possiamo quindi concludere che la soluzione della disequazionecoincide con l’unione delle soluzioni dei sistemi

g(x) ≥ 0,

f(x) < 0,

f(x) ≥ 0,

fn(x) < g(x).

Per esempio la disequazione

x− 1 <√

x + 3

e equivalente a

(x + 3) ≥ 0,

(x− 1) < 0,

(x− 1) ≥ 0,

(x− 1)2 < (x + 3).

La prima coppia di disuguaglianze e soddisfatta per −3 ≤ x < 1. La secondainvece per

1 ≤ x <3 +

√17

2.

L’unione delle soluzioni dei due sistemi conduce alla soluzione

−3 ≤ x <3 +

√17

2.

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Funzioni 47

1.3.2 Funzioni esponenziali e funzioni logaritmiche

Nel paragrafo precedente abbiamo incontrato funzioni polinomiali (somme pesatedi monomi del tipo y = xn, con n intero e x variabile), funzioni razionali (rapportodi polinomi) e funzioni algebriche (che si ottengono dalle precedenti nel caso diesponenti razionali).

Ora consideriamo le funzioni

x 7→ ax,

con a reale positivo fissato (detto base), e facendo variare l’esponente x. La cos-truzione di queste funzioni, dette funzioni esponenziali, viene fatta definendo lafunzione dapprima sui numeri interi, estendendo poi ai razionali e infine a tutto ilcampo reale.

Ricordiamo che per n ∈ Z e a > 0 una funzione esponenziale e definita come

a0 = 1, an = a · a · · · a︸ ︷︷ ︸n fattori

, se n = 1,2 . . .

an =1

a−n, se n = −1,− 2,− 3, . . .

Come definire ax con x generico e a > 0 fissato? Se x ∈ Q sappiamo comefare, se x ∈ R \ Q possiamo pensare di approssimarlo sempre meglio con numerirazionali per ottenere un corrispondente valore approssimato di ax. Dobbiamoessere sicuri che il procedimento porti da qualche parte: questo e racchiuso nelconcetto di limite che vedremo nel prossimo capitolo. Per ora supponiamo solodi poterlo fare, per esempio operando come abbiamo fatto nella discussione sulnumero irrazionale

√2. Le funzioni esponenziali soddisfano le seguenti proprieta

per a, b > 0 e ∀x,y ∈ R

i) a0 = 1, iv) ax−y =ax

ay,

ii) ax+y = ax · ay, v) (ax)y = axy,

iii) a−x =1ax

, vi) (ab)x = ax · bx.

Nella Figura 1.23 si riportano i grafici di alcune funzioni esponenziali.Nel caso in cui a = 1, allora ax = 1x = 1 per ogni x, si ritrova una funzionecostante. Nel caso in cui a > 1, se x1 < x2 allora f(x1) < f(x2). Al contrariose 0 < a < 1, se x1 < x2 allora f(x1) > f(x2). Una funzione che ha talecomportamento e detta rispettivamente funzione crescente e funzione decrescente.Tali proprieta di crescita o decrescita si possono formalmente dimostrare partendodalle proprieta delle potenze.

Osservazione 1.3 (Caratterizzazione delle funzioni esponenziali) Le fun-zioni esponenziali hanno un’interessante caratterizzazione che mostra come talifunzioni trasformino, in un certo senso, addizioni in prodotti. Per ogni nume-ro positivo a 6= 1, una funzione esponenziale di base a e l’unica funzione reale“ragionevole”

f : R→ R+ = (0, +∞)

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48 Capitolo 1

ax

x0

1 a=1

a=2

a=3

a=4 ax

x0

1a= 1

a= 1/2

a= 1/3

a= 1/4

Figura 1.23 Esempi di grafici di funzioni esponenziali.

tale chef(1) = a, f(x + y) = f(x) · f(y) ∀x,y ∈ R.

Notiamo anche che da questa caratterizzazione discende ax > 0 ∀x ∈ R.

Per a > 0 e a 6= 1 le funzioni esponenziali ax, x ∈ R, sono funzioni iniettive. Infattiuna qualunque retta parallela all’asse delle ascisse ne interseca il grafico in un solopunto. Una funzione esponenziale, per a 6= 1, e dunque invertibile.

La funzione inversa e detta logaritmo di base a ed e indicata con loga. Per-tanto,

y = loga(x) ⇔ x = ay, a > 0, a 6= 1, x > 0.

Spesso scriveremo semplicemente loga x, omettendo le parentesi, ogniqualvolta lacosa non sia possibile fonte di equivoci. Utilizzando le proprieta di simmetria delgrafico della funzione inversa rispetto al grafico della funzione si riportano nellaFigura 1.24 i grafici di alcune funzioni logaritmiche.Ribadiamo che dom(loga) = (0, +∞), pertanto

loga(ax) = x ∀x ∈ R; aloga x = x ∀x ∈ (0, +∞).

In corrispondenza con le leggi degli esponenziali si hanno le seguenti proprieta deilogaritmi,

i) loga(1) = 0, iv) loga

(x

y

)= loga(x)− loga(y),

ii) loga(xy) = loga(x) + loga(y), v) loga(xy) = y loga(x),

iii) loga

(1x

)= − loga(x), vi) loga(x) =

logb(x)logb(a)

.

Come esercizio dimostriamo la proprieta del “logaritmo del prodotto”. Sia u =loga x, v = loga y, allora au = x, av = y. Quindi xy = au · av = au+v e dunqueloga(xy) = u + v = loga x + loga y.

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Funzioni 49

x

loga(x)

0 1

a=2

a=3

a=4x

loga(x)

0 1

a=1/2

a=1/3a=1/4

Figura 1.24 Esempi di grafici di funzioni logaritmiche.

Esempio 1.23 (Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche)Equazioni nella forma

af(x) = ag(x)

con a > 0, a 6= 1 possono essere ricondotte immediatamente alla forma equivalentef(x) = g(x). Anche le equazioni del tipo

af(x) = bg(x)

con b positivo e diverso da 1, si riconducono al caso di base uguale, infatti

bg(x) = ag(x) loga (b),

ossia f(x) = g(x) loga(b). Assegnata una funzione f , lo studio dell’equazione

f(ax) = 0

si puo svolgere con la sostituzione ax = t e studiando le soluzioni di f(t) = 0. Nelcaso in cui quest’ultima equazione abbia m soluzioni, t1, t2, . . . , tm, le soluzionidell’equazione di partenza possono essere determinate risolvendo le equazioni

ax = t1, . . . , ax = tm.

Per esempio, per risolvere l’equazione

9x + 3x+2 − 7 = 0,

conviene utilizzare la stessa base,

9x = (3x)2, 3x+2 = 32 · 3x

e la sostituzione t = 3x, da cui

t2 + 9t− 7 = 0 ⇒ t1 =− 9−√109

2, t2 =

− 9 +√

1092

.

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50 Capitolo 1

Abbiamo due equazioni esponenziali

3x = t1, 3x = t2,

ma solo la seconda ha soluzione perche t1 < 0 e quindi non appartiene all’immaginedell’esponenziale (sempre positiva). L’unica soluzione e x1 = log3 (t2).

Per disequazioni nella forma

af(x) > ag(x)

con a > 1 ci si riconduce, per via della crescita o decrescita dell’esponenziale, alladisequazione f(x) > g(x). Nel caso invece di 0 < a < 1, siamo ricondotti alladisequazione f(x) < g(x). Per esempio per risolvere la disequazione

3x2−3x > 1 (= 30),

occorre risolvere la corrispondente disequazione

x2 − 3x > 0.

Abbiamo quindi la soluzione x ∈ (−∞,0)∪(3,+∞). Anche nel caso di disequazioni

f(ax) > k

con k costante reale, posto ax = t, ci si riconduce alla disequazione f(t) > k.Eventuali intervalli della variabile t in cui quest’ultima disequazione e verificatavanno interpretati attraverso la sostituzione fatta e attraverso le considerazioniriguardanti la crescita o la decrescita di una funzione esponenziale. Per esempioper risolvere la disequazione

52x − 8 · 5x − 9 > 0,

con la sostituzione t = 5x si ottiene la disequazione

t2 − 8t− 9 > 0.

L’ultima disequazione e soddisfatta per t < −1 e t > 9. Si hanno quindi ledisequazioni

5x < −1, 5x > 9,

la prima delle quali e impossibile mentre la seconda e soddisfatta per x > log5 9.Per le equazioni e le disequazioni logaritmiche le considerazioni sono analoghe

a quelle fatte per le funzioni esponenziali. Occorre fare attenzione al dominio didefinizione, l’equazione

loga f(x) = loga g(x)

e equivalente all’equazione f(x) = g(x) nell’insieme per cui contemporaneamentef(x) > 0 e g(x) > 0. Per esempio per risolvere l’equazione

log2

√x + 1 = 3,

si impone dapprima che (x+1) > 0, quindi x > −1. In questa semiretta l’equazionee equivalente all’equazione

√x + 1 = 23 ⇒ x = 63.

Per le disequazioni logaritmiche del tipo

loga f(x) > loga g(x),

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Funzioni 51

per le proprieta di crescita di una funzione esponenziale, essa e equivalente alladisequazione f(x) > g(x) se a > 1. Nel caso invece 0 < a < 1, la disequazione eequivalente a f(x) < g(x), in entrambi i casi occorre porre attenzione al dominiodi definizione delle funzioni logaritmiche. Per esempio per risolvere la disequazione

log10 (x2 − 4x + 1) > 1si osserva che e equivalente a

(x2 − 4x + 1) > 10.

La condizione (x2− 4x+1) > 0 e quindi automaticamente soddisfatta se e soddis-fatta la precedente disequazione. Risolvendo la disequazione quadratica si ottienela soluzione

x < 2−√

13, x > 2 +√

13.

1.3.3 Funzioni circolari (trigonometriche)

Dato un sistema di riferimento cartesiano ortonormale, la circonferenza C di cen-tro l’origine e raggio 1 e l’insieme dei punti P (x,y) del piano per cui x2 + y2 = 1.Chiameremo C circonferenza goniometrica. Immaginiamo che il punto P si trovinella posizione (1,0) e inizi a ruotare su C descrivendo la parte di circonferenzacontenuta nel primo quadrante (x, y ≥ 0), diremo che P si muove in senso antio-rario. Se P descrive un arco di lunghezza t > 0 indichiamo con P (t) il punto diarrivo. Al valore t < 0 possiamo associare il punto P (t) percorrendo un arco dilunghezza |t| in senso orario, si veda la Figura 1.25.

P(t)

| t |

t > 0

(1,0) (0,0)

P(t)

| t |

(1,0) (0,0)

t < 0

Figura 1.25 Movimento di un punto sulla circonferenza goniometrica.

Per t variabile da 0 a 2π (con π, pi greca, si indica la lunghezza della se-micirconferenza di raggio unitario) il punto P (t) percorre l’intera circonferenzagoniometrica. Si definiscono allora il coseno e il seno di t mediante

cos(t) e l’ascissa di P (t) (coseno)

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52 Capitolo 1

sin(t) e l’ordinata di P (t) (seno).

Osservazione 1.4 Stiamo misurando gli angoli in radianti e non in gradi. Unangolo positivo individuato da una coppia ordinata di semirette (r,r′) uscenti dalpunto O misura t radianti quando

t =arco di C

raggio di C=

AP

R

dove C e una circonferenza di raggio R e AP l’arco di circonferenza determinatodall’angolo. Nel caso della circonferenza unitaria il raggio vale 1. Da quanto dettorisulta che, per esempio, ad angoli, in gradi, di 30, 45, 60, 180 corrispondonoin radianti misure rispettivamente di π/6, π/4, π/3, π. Insistiamo, dal punto divista dell’analisi di funzioni reali di variabile reale, la misura giusta e quella inradianti.

Nella Figura 1.26 si mostra parte del grafico delle funzioni seno e coseno. Riportia-

0 2π π −π

sin(x)

x

3π/2

π/2

−π/2

1

−1

0 2π π −π

cos(x)

x

3π/2 π/2 −π/2

1

−1

Figura 1.26 Funzioni seno e coseno.

mo nella Tabella 1.2 alcuni valori delle funzioni seno e coseno, dette anche funzionicircolari o funzioni trigonometriche elementari (il lettore ritrovi i corrispondentipunti del piano sulla circonferenza goniometrica).

Radianti 0 π/6 π/4 π/3 π/2 2π/3 3π/4 5π/6 π

Seno 0 1/2√

2/2√

3/2 1√

3/2√

2/2 1/2 0Coseno 1

√3/2

√2/2 1/2 0 −1/2 −√2/2 −√3/2 −1

Tabella 1.2 Alcuni valori delle funzioni seno e coseno.

Si possono derivare varie proprieta delle funzioni circolari. Entrambe si ripe-tono e gli stessi valori si ripresentano dopo un certo T . In particolare, dopo aver

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Funzioni 53

compiuto un giro di circonferenza, ossia per T = 2π abbiamo

sin(t) = sin(t + 2π); cos(t) = cos(t + 2π).

Le due funzioni sono funzioni periodiche, cioe esiste un numero reale positivo T > 0tale che f(x + T ) = f(x) per ogni x, x + T ∈ dom(f). Si noti il valore di T none necessariamente unico, per esempio si ripresentano gli stessi valori anche dopodue, tre o piu giri completi di circonferenza (in senso orario o antiorario). Il valorepositivo minimo per cui questo accade, se esiste, e detto periodo minimo dellafunzione. Nel caso delle funzioni seno e coseno il periodo e quindi T = 2π.

Il grafico della funzione seno e simmetrico rispetto all’origine

∀ t ∈ R si ha sin(t) = − sin(−t).

Un funzione con questa proprieta si dice funzione dispari. Quindi una funzione edispari se, ∀x, − x ∈ dom(f) si ha f(x) = −f(−x). Attenzione anche il valoreopposto, −x deve stare nel dominio per il controllo del valore di f .

Il grafico della funzione coseno e invece simmetrico rispetto all’asse delleordinate,

∀ t ∈ R si ha cos(t) = cos(−t).

Funzioni con simmetria uguale a quella della funzione coseno si dicono funzionipari. Quindi una funzione e pari se, ∀x, − x ∈ dom(f) si ha f(x) = f(−x), alsolito anche −x deve stare nel dominio di f .

Utilizzando le proprieta geometriche delle funzioni trigonometriche elementarisi possono dedurre varie proprieta, tra cui

sin2(t) + cos2(t) = 1; (Teorema di Pitagora)

cos(s + t) = cos(s) cos(t) − sin(s) sin(t)(formule di addizione)

sin(s + t) = sin(s) cos(t) + cos(s) sin(t)

cos2(t) =1 + cos(2t)

2; sin2(t) =

1− cos(2t)2

; (formule di bisezione)

cos(π ± t) = − cos(t); sin(π ± t) = ± sin(t); (angoli supplementari)

cos(π/2± t) = ± sin(t); sin(π/2± t) = cos(t). (angoli complementari)

Altre funzioni trigonometriche sono

sec(t) =1

cos(t), (secante) csc(t) =

1sin(t)

, (cosecante)

tan(t) =sin(t)cos(t)

, (tangente) cot(t) =cos(t)sin(t)

, (cotangente)

ognuna definita dove i denominatori non si annullano. I grafici di queste funzioni(che risulteranno anch’esse periodiche) sono riportati nella Figura 1.27. Dal puntodi vista geometrico, la funzione tangente misura la lunghezza algebrica del seg-mento individuato dal punto A(1,0) e dal punto che risulta come intersezione trala retta tangente alla circonferenza goniometrica in A e la retta che congiunge l’ori-gine O al punto P in movimento sulla circonferenza. Le funzioni trigonometriche,

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54 Capitolo 1

0 2π π −π

sec(x)

x

3π/2 π/2 −π/2

1

−1

0 2π π −π

csc(x)

x

3π/2 π/2 −π/2

1

−1

0 2π π −π

tan(x)

x

3π/2 π/2 −π/2

0 2π π −π

cot(x)

x

3π/2 π/2 −π/2

Figura 1.27 Altre funzioni trigonometriche.

in quanto periodiche, non sono iniettive. Tuttavia sono strettamente crescenti odecrescenti su opportuni intervalli, le restrizioni su tali intervalli sono iniettive equindi invertibili. Per ciascuna funzione si sceglie una cosiddetta regione fonda-mentale, cioe un insieme su cui la restrizione della funzione risulti iniettiva. Inogni regione fondamentale si considera la restrizione della funzione trigonometricae quindi la funzione inversa di quest’ultima.

La regione fondamentale deve garantire l’iniettivita della restrizione e il fat-to che si “copra” l’intera immagine della funzione in esame. Abbiamo riportatonella Tabella 1.3 le scelte usualmente concordate per tre funzioni trigonometricheelementari.

Funzione trigonometrica Regione fondamentale Funzione inversa

sin(t) [−π/2,π/2] arcsin(t)cos(t) [0,π] arccos(t)tan(t) (−π/2,π/2) arctan(t)

Tabella 1.3 Funzioni trigonometriche e inverse.

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Funzioni 55

Valgono inoltre le seguenti identita,

arcsin(sin(t)) = t ∀ t ∈ [−π/2,π/2]; sin(arcsin(t)) = t ∀ t ∈ [−1,1],

e analoghe identita per gli altri casi. I grafici delle funzioni inverse arcsin (funzione“arcoseno”), arccos (funzione “arcocoseno”), arctan (funzione “arcotangente”) so-no riportati nella Figura 1.28 (insieme al grafico della restrizione considerata einvertita).

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

−1 1

− π /2 π /2

π /2

− π /2

sin t

arcsin t

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

π

π

1

−1 1

cos t

arccos t

−10 −8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8 10−10

−8

−6

−4

−2

0

2

4

6

8

10

π /2 − π /2

π /2

− π /2

tan t

arctan t

Figura 1.28 Alcune funzioni trigonometriche inverse.

Osservazione 1.5 Per brevita le parentesi che caratterizzano l’argomento dellafunzione trigonometrica vengono omesse se questo non e fonte possibile di equivoco.Si scrivera dunque cos t, sin t, tan t, . . ..

Esempio 1.24 (Equazioni e disequazioni trigonometriche) Per k ∈ R fis-sato possiamo considerare le equazioni trigonometriche fondamentali,

sinx = k, cos x = k, tan x = k.

Nel caso delle funzioni seno e coseno abbiamo i seguenti casi

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56 Capitolo 1

• se |k| > 1 non ci sono soluzioni perche l’insieme immagine delle funzioni senoe coseno e l’intervallo [−1,1].

• Se |k| ≤ 1 le equazioni hanno infinite soluzioni. Scegliendo come intervallo diriferimento l’intervallo [−π/2,π/2] per la funzione seno e l’intervallo [0,π] perla funzione coseno, una soluzione x1 sara in tale intervallo (si veda la Figura1.29). Un’altra soluzione x2 sara x2 = π − x1 per il seno, e x2 = 2π − x1 peril coseno. Tutte le altre soluzioni si ottengono da x1 e x2 per periodicita,

x1 + 2mπ, x2 + 2mπ m ∈ Z.

Per l’equazione con la funzione tangente vi sara una soluzione x1 nell’intervallo(−π/2,π/2) e tutte le altre ottenute per periodicita,

x1 + mπ, m ∈ Z.

Per disequazioni del tipo

...

...

x2

x1

k

1

−1

Figura 1.29 Discussione grafica di un’equazione trigonometrica.

sinx < k, cos x < k, tan x < k,

per k valore reale costante, basta risolvere la corrispondente equazione, si tracciail grafico della funzione in esame e si determina l’intervallo (o intervalli) dellesoluzioni estendendo con periodicita. Per esempio consideriamo la disequazione

cos (2x) >

√3

2.

Iniziamo con il porre t = 2x. La disequazione cos t >√

3/2, si confronti con laFigura 1.30, e verificata nell’intervallo [−π,π] per

t ∈(−π

6,π

6

).

Ovviamente abbiamo scelto un intervallo di riferimento, tale scelta e arbitraria.Per la periodicita della funzione coseno la disequazione e verificata in tutti gli

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Funzioni 57

... ...

√3/2

x2

x1

Figura 1.30 Discussione grafica della disequazione trigonometrica cos (t) >√

3/2.

intervalli traslati di un multiplo intero di 2π rispetto all’intervallo individuato.Tornando alla variabile x, la disequazione risulta verificata per

x ∈(− π

12+ mπ,

π

12+ mπ

), m ∈ Z.

Esercizi

Esercizio 1.1 Risolvere le disequazioni

(a) |2x + 1| ≤ 5, (b)1

x + 2>

1

4, (c)

∣∣∣∣x− 1

x + 1

∣∣∣∣ < 1.

Esercizio 1.2 Risolvere le disequazioni

(a)x2 − 1

x2 + 4x + 4≥ 0, (b)

1

x≤ 1

3− x, (c) x2 − |x| − 2 > 0.

Esercizio 1.3 Interpretare graficamente e risolvere le disequazioni

(a) |x + 1| < 1 + |x− 2|, (b)∣∣x2 − 2x− 3

∣∣ < x,

(c)√

(3x− 2) < x, (d) |x− 3| <√

(x2 − 3).

Esercizio 1.4 Trovare dominio e immagine delle seguenti funzioni

f1(x) = −√

(x− 3), f2(x) = 1 + 5√

x, f3(x) =x

x− 1, f4(x) = log (sin x).

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58 Capitolo 1

Esercizio 1.5 Stabilire per quali valori dei parametri reali a e b le seguenti funzionirisultano invertibili e determinare la funzione inversa.

f1 =

2x se x ≥ 0

x + a se x < 0, f2 =

bx2 se x ≥ 0

3x se x < 0

Esercizio 1.6 Trovare f + g, fg, f/g e specificare il loro dominio quando

(a) f(x) = x3, g(x) = 2x2 − 1;

(b) f(x) =√

(x + 2), g(x) =√

(2− x).

Esercizio 1.7 Trovare g f , f g, f f , g g e specificare il loro dominio quando

(a) f(x) = 3x2, g(x) =1

x− 1;

(b) f(x) =√

(x + 1), g(x) = sin x;

(c) f(x) = log (x), g(x) = x + 1;

Esercizio 1.8 Dimostrare le seguenti proposizioni:

(a) se la funzione f ha periodo T allora la funzione f(ax + b), con a > 0, ha periodoT/a.

(b) Se la funzione f e pari (∀x ∈ dom(f), − x ∈ dom(f) f(x) = f(−x)) e la funzioneg e dispari (∀x ∈ dom(f), − x ∈ dom(f) f(x) = −f(−x)), allora la funzione fg edispari.

(c) Se f e una funzione dispari e 0 ∈ dom(f) allora f(0) = 0.

Esercizio 1.9 Utilizzando le trasformazioni elementari disegnare un grafico qualitativodelle seguenti funzioni

f1(x) = 1 +√

(x + 1), f2(x) = 1− cos 3x, f3(x) = (x− 2)4 − 1, f4(x) = −2ex−1.

Esercizio∗ 1.10 Utilizzando le proprieta delle funzioni elementari disegnare un graficoqualitativo delle seguenti funzioni

f1(x) =√

(cos x), f2(x) = x1/ log x, f3(x) = arccos (cos x), f4(x) = e−x2.

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2Limiti e continuita

2.1 Limiti e calcolo differenziale

Il calcolo differenziale e il risultato di una lunga evoluzione ed elaborazione diconcetti e metodi1. I primi problemi che portarono allo sviluppo del calcolo diffe-renziale sono stati di natura fondamentalmente geometrica e cinematica. Esempidi tali problemi: il problema delle tangenti, ossia la determinazione delle rettetangenti al grafico di una data funzione; il problema delle velocita, ossia la de-terminazione delle velocita in ogni istante di un punto mobile su una curva; ilproblema della quadratura, ossia la determinazione dell’area limitata da una datacurva.

Altri problemi coinvolgono problemi di minimo, ovvero di scelta di configura-zioni ottimali, problemi di meccanica, curve con proprieta ottimali, ecc.. Il calcolodifferenziale fornisce poi gli strumenti per trattare problemi che riguardano rela-zioni tra cambiamenti, variazioni di alcune quantita. Per esempio conoscendo lalegge di moto di un certo corpo, cioe la relazione tra posizione e tempo, possia-mo calcolare la rapidita di variazione di posizione, cioe la sua velocita. Questocalcolo avviene attraverso il calcolo della derivata che sara oggetto di studio delcapitolo successivo. Oggi il calcolo differenziale permette di trattare problemi nonsolo geometrici, fisici e ingegneristici ma anche in ambiti apparentemente lontani,per esempio in chimica, biologia, economia, architettura ecc... Il concetto cardineche e alla base di questa costruzione e il concetto di limite che affronteremo nellaprima parte di questo capitolo.

2.1.1 Limiti

Cercheremo di arrivare alla nozione di limite attraverso alcuni problemi esemplifi-cativi.

1La nascita del calcolo differenziale, in una forma analoga a quella oggi presentata in moltitesti, la si deve a I. Newton (1643-1727) e G.W. Leibniz (1646-1716). I loro risultati, legati allarisoluzione del problema delle tangenti e del problema delle velocita, furono il culmine di un grannumero di contributi di matematici e fisici quali Fermat, Pascal, Galilei, Huygens, Torricelli ealtri.

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60 Capitolo 2

Problema 2.1 (Problema A) Abbiamo gia incontrato, nella definizione dellefunzioni esponenziali, un approccio “naturale” per definire ax, x ∈ R (con a > 0,base positiva). In particolare si possono considerare una successione di valori ra-zionali rkk∈N (ossia una funzione di N in Q), r0,r1,. . . sempre piu vicini a xal crescere di k ≥ 0. Per ogni k ∈ N possiamo valutare ark . Possiamo quindiassociare a ax il valore a cui ci avviciniamo con ark? Sara necessario un simboloper indicare il tipo di operazione che si sta compiendo, tale simbolo dovra rap-presentare il fatto che stiamo osservando a quale valore ark si sta “avvicinando”.Dovremo inoltre denotare quale funzione stiamo considerando, nell’esempio la fun-zione esponenziale, ed evidenziare chi si sta muovendo: in questo caso la sequenzadegli rk ∈ Q. In simboli potremmo scrivere

limrk→xrk∈Q

ark = ax, oppure limk→∞rk∈Q

ark = ax

per indicare che ark si avvicina arbitrariamente ad ax quando rk ∈ Q tende a x.Il valore ax rappresenta il limite del procedimento.

Questa definizione e ben posta? Ovvero: cambiando la sequenza di valorirk, ma sempre approssimanti x, otteniamo il medesimo valore ax o un valoredifferente? Nella Figura 2.1 si mostra l’andamento di ark e ark per due sequenzedi esponenti razionali differenti.

0 0.5 1 1.5 2 2.5 30

5

10

15

20

25

???

Figura 2.1 Dove va a finire ark (cerchietti)? e ark (crocette)?

Problema 2.2 (Problema B) Vogliamo calcolare l’area di un cerchio di raggior utilizzando il fatto di riuscire a calcolare l’area di poligoni e triangoli. Inscri-viamo nel cerchio un poligono regolare avente n lati uguali, si veda la Figura 2.2All’aumentare di n, l’area An del poligono pare avvicinarsi all’area A del cerchio,il perimetro Pn sembra tendere alla lunghezza 2πr della circonferenza C.

Se R e S sono vertici adiacenti del poligono di centro O, allora l’area delpoligono vale n volte l’area del triangolo ROS. L’angolo ROS e bisecato dallaretta condotta da O perpendicolarmente a RS, nel punto medio M . L’angolo

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Limiti e continuita 61

M

S

RO π/n

Figura 2.2 Calcolo di un’area come limite di aree approssimanti.

ROS vale 2π/n radianti, l’angolo ROM e uguale a π/n radianti. Abbiamo quindi

RM = r sin(π/n), OM = r cos(π/n),

ne segue che l’area del triangolo ROS e

r2 sin(π/n) cos(π/n)

e An = nr2 sin(π/n) cos(π/n).Cosa possiamo dire di An al crescere di n? In simboli la domanda puo essere

scritta cosılim

n→+∞An =?

che riassume il fatto che ci stiamo chiedendo quale sia il limite di An, Ann∈N ela successione delle aree dei poligoni, per valori di n sempre piu grandi (ossia per“n che tende all’infinito”). La risposta che ci aspettiamo e

limn→+∞

nr2 sin(π/n) cos(π/n) = πr2 unita d’area.

Problema 2.3 (Problema C) Sappiamo che il grafico della retta di equazioney = x passa per l’origine, come il grafico della funzione trigonometrica y = sinx.L’espressione sin(x)/x non e definita in x = 0, possiamo pero chiederci cosa succedealla funzione f(x) = sin(x)/x per valori sempre piu prossimi a x = 0. Nella Tabella2.1 si riportano alcuni esperimenti numerici al riguardo (si riportano solo le primequattro cifre significative per i risultati numerici). Per gli ultimi due valori dellatabella le cifre differenti sono oltre la quarta cifra dopo la virgola.

Risultati analoghi si avrebbero per x < 0 (la funzione f(x) = sin(x)/x x 6= 0,e una funzione pari f(x) = f(−x) ∀x 6= 0). Da questa tabella, pur avendo pochivalori, si potrebbe ipotizzare che il rapporto sin(x)/x si avvicini sempre piu alvalore 1, per x sempre piu vicini a x = 0. Questo fatto si esprimerebbe con lascrittura

limx→0

sinx

x= 1.

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62 Capitolo 2

x sin (x)/x

0. 1250 0. 99740. 0625 0. 99930. 0312 0. 99980. 0156 1. 00000. 0078 1. 0000

Tabella 2.1 Esperimenti numerici per il calcolo di f(x) = sin (x)/x per valori di xprossimi a 0.

Questa scrittura dovrebbe ormai essere chiara per il lettore: f(x) = sin(x)/x siavvicina arbitrariamente a 1 quando x tende a 0. Notiamo infine che il ProblemaB e strettamente legato al Problema C. Infatti, posto x = π/n abbiamo che xsara sempre piu piccolo al crescere di n e si avvicinera quindi a 0. In sostanzapossiamo scrivere

limx→0

πr2 sin x

xcosx = πr2,

che appare ”ragionevole“ essendo cos(0) = 1.

Problema 2.4 (Problema D) Vogliamo trovare la retta tangente alla paraboladi equazione y = x2 nel punto P (1,1). Possiamo scrivere l’equazione di tale rettacome y = m(x − 1) + 1, dove m e la pendenza della retta e dove si impone chein x = 1 la retta abbia ordinata uguale a (1)2 = 1. L’incognita importante e m.Possiamo immaginare di approssimare tale pendenza approssimando la “posizione”della retta tangente con rette passanti per P e per un punto differente Q(x,x2) sulgrafico di f(x) = x2. Indicato con mPQ(x) la pendenza della retta PQ abbiamo

mPQ(x) =x2 − 1x− 1

, x 6= 1.

Per esempio con il punto Q(1. 5,2. 25) si ottiene

m =2. 25− 11. 5− 1

= 2. 5.

Quello che vorremmo definire e il “limite”

limx→1

mPQ(x) = m oppure limQ→P

mPQ(x) = m.

Questo limite deve ovviamente essere indipendente dalla direzione “da destra” o“da sinistra” con cui Q si avvicina a P (vedi la Figura 2.3); dal punto di vistageometrico questo appare evidente, dal punto di vista analitico non si puo dire apriori.

Cerchiamo ora di rendere rigoroso il concetto di limite introdotto negli esempiprecedenti. Ricordiamo che per un numero reale x0 e per r > 0 reale l’intervalloaperto (x0 − r,x0 + r) si chiama intorno di centro x0 e raggio r; sara indicato conI(x0,r). Con un abuso di notazione, converremo di chiamare (a, +∞) un intorno

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Limiti e continuita 63

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5−2

−1

0

1

2

3

4

5

6

7

f(x)=x2

retta tangente

P(1,1)

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5−2

−1

0

1

2

3

4

5

6

7

f(x)=x 2

retta tangente

P(1,1)

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5−2

−1

0

1

2

3

4

5

6

7

f(x)=x 2

retta tangente

P(1,1)

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5−2

−1

0

1

2

3

4

5

6

7

f(x)=x 2

retta tangente

P(1,1)

Figura 2.3 Calcolo della retta tangente come limite da destra (sopra) e da sinistra(sotto).

di +∞ e un intervallo (−∞,a) un intorno di −∞ (per entrambi a ∈ R). Data unafunzione f : A → R per quali punti sara interessante considerare limx→x0 f(x)?

Non e necessario che x0 ∈ dom(f), e pero essenziale che, comunque ci av-viciniamo a x0, ci siano punti x ∈ dom(f) in cui poter calcolare f(x). In al-tri termini, per x0 ∈ R dobbiamo essere sicuri che ∀ I(x0,r), con r > 0, ∃x ∈dom(f) ∩ I(x0,r) \ x0. Nel caso in cui x0 = +∞, vogliamo che ∀ a ∈ R,(a, + ∞) ∩ dom(f) 6= ∅; analogamente se x0 = −∞ si desidera che ∀ a ∈ R,(−∞,a) ∩ dom(f) 6= ∅. Quando x0 e in una delle condizioni descritte sopra sichiama punto di accumulazione di A.

Osservazione 2.1 Abbiamo, in un certo senso, continuato a fare un abuso dinotazioni considerando x0 = +∞ o x0 = −∞. In ogni caso due cose devono essereevidenziate

• x0 non e necessariamente un elemento di dom(f);

• x0 e un punto verso cui si “accumulano”, si “avvicinano” i valori x.

Nel caso in cui x0 ∈ A ma non e di accumulazione, il punto x0 si dice isolato. Pertali punti non ha senso porsi la questione del limite: vicino a x0 non c’e nessuno,lo lasciamo da solo e abbiamo f(x0). Sia x0 ∈ R, f : A → R, x0 punto diaccumulazione di A, abbiamo le seguenti definizioni.

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64 Capitolo 2

Definizione 2.1 (Informale) Si dice che f tende al limite L ∈ R quando x tendea x0 e si scrive

limx→x0

f(x) = L

se f si avvicina arbitrariamente a L quando x si avvicina a x0.

Sostituiamo “si avvicina” con il linguaggio degli intorni.

Definizione 2.2 (Uso degli intorni) Diremo che limx→x0 f(x) = L, con L ∈R, quando per ogni intorno I(L; ε), ε > 0, esiste un intorno I(x0; δ), δ > 0, taleche se x ∈ I(x0; δ) \ x0, x ∈ dom(f), allora f(x) ∈ I(L; ε).

Si veda la Figura 2.4 per una illustrazione geometrica della definizione che utilizzail linguaggio degli intorni. Ricordando la definizione di intorno, si confronti ancoracon la Figura 2.4, si arriva alla seguente definizione (utile per il calcolo).

Intorno di L

Intorno di x 0

x 0

ff

x 0

Intorno di x

Intorno di L

0

Figura 2.4 Illustrazione geometrica del concetto di limite tramite gli intorni.

Definizione 2.3 (Notazione ε-δ) Diremo che f tende al limite L ∈ R (o checonverge a L) per x che tende a x0 se ∀ ε > 0 si puo trovare un δ > 0 tale che

|f(x)− L| < ε se 0 < |x− x0| < δ, x ∈ dom(f).

In termini di intorni:

∀ ε > 0 ∃ δ > 0 : ∀x ∈ I(x0; δ) ∩ dom(f) \ x0 |f(x)− L| < ε.

Mentre le descrizioni informali possono aiutare nell’intuizione, l’ultima definizione“notazione ε-δ” risulta utile nella verifica e nelle dimostrazioni delle proprieta deilimiti.

Esempio 2.1 (Un esempio accademico) Proviamo a utilizzare la definizionedi limite per provare che

limx→2

(3x− 1) = 5.

Questo esempio servira solo come illustrazione della definizione formale di limite.Sia ε > 0 un dato numero reale positivo (arbitrario); dobbiamo trovare un valoreδ > 0 tale che

|(3x− 1)− 5| < ε se 0 < |x− 2| < δ.

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Limiti e continuita 65

E come un gioco a due: l’avversario gioca ε ed io devo rispondere con δ in modotale che f(x) non esca da un intervallo di raggio ε. Questo significa che δ dipenderain generale da ε, f, x0. Abbiamo

|(3x− 1)− 5| = |3x− 6| = 3|x− 2|quindi

3|x− 2| < ε,

se |x − 2| < ε/3, questo suggerisce che δ = ε/3 e sufficiente. Se l’avversario, peresempio, gioca ε = 1/10, posso rispondere con δ = 1/30 ed essere sicuro che se x evicino a 2 a meno di 1/30, f(x) non dista da 5 piu di 1/10. Notiamo che δ = ε/3 equanto basta, ma anche ε/6 o ε/100 a questo punto potrebbero essere scelti: bastafissare una strategia che per ogni ε sappia fissare un opportuno δ.

Nell’esempio appena fatto si potevano considerare le due funzioni h(x) = 3x eg(x) = 1, x ∈ R e constatare che limx→2 h(x) = 6 mentre limx→2 g(x) = 1.Sembra naturale scrivere limx→2 f(x) = limx→2 h(x)− limx→2 g(x) = 6− 1 = 5.In altre parole sarebbe estremamente riduttivo, complicato, inefficace il concettodi limite senza la possibilita di regole di calcolo che permettessero di valutare unlimite sfruttando limiti gia noti o le operazioni tra funzioni. Prima di enunciarealcune di queste possibilita ricordiamo un risultato essenziale che ci assicura chetrovato un limite non ve ne sono altri. Senza questo risultato tutte le definizioniche si basano su una operazione di limite non sarebbero ben poste.

Teorema 2.1 (Unicita del limite) Una funzione non puo avere due limitidifferenti, se limx→x0 f(x) = L, limx→x0 f(x) = L′, allora necessariamenteL = L′.

Dimostrazione. L’idea e molto semplice ed e illustrata nella Figura 2.5; se L 6= L′posso scegliere due intorni di L e L′ disgiunti, I1 = I(L; ε1), I2 = I(L′; ε2), I1∩I2 = ∅(che si possano scegliere I1 e I2 e intuibile, per esempio basta scegliere ε1 e ε2 minoridella distanza tra L e L′, divisa per due). A questo punto f(x) con x ∈ I(x0; δ) aquale intorno apparterrebbe? Si arriva quindi ad una contraddizione. Dal punto di vistaanalitico esiste δ1 tale che per x ∈ dom(f)

0 < |x− x0| < δ1, f(x) ∈ I1.

Analogamente esiste δ2 tale che x ∈ dom(f),

L

L’

x0

f

f

Figura 2.5 Illustrazione grafica dell’unicita del limite.

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66 Capitolo 2

0 < |x− x0| < δ2, f(x) ∈ I2.

Allora per x ∈ dom(f), 0 < |x − x0| < minδ1,δ2, f(x) ∈ I1 e f(x) ∈ I2, ma cio eimpossibile perche I1 ∩ I2 = ∅.

Teorema 2.2 (Leggi dei limiti) Sia c ∈ R una costante, f,g : A −→ R,A ⊆ R, A 6= ∅ e x0 un punto di accumulazione di A. Se limx→x0 f(x) = L1,limx→x0 g(x) = L2, con L1,L2 ∈ R, allora

(i) limx→x0(f(x) + g(x)) = limx→x0 f(x) + limx→x0 g(x) = L1 + L2,

(ii) limx→x0(f(x)− g(x)) = limx→x0 f(x)− limx→x0 g(x) = L1 − L2,

(iii) limx→x0(f(x)g(x)) = limx→x0 f(x) limx→x0 g(x) = L1 L2,

(iv) limx→x0(f(x)/g(x)) = limx→x0 f(x) / limx→x0 g(x) = L1/L2, purche L2 6= 0,

(v) limx→x0 cf(x) = c · limx→x0 f(x) = cL1.Inoltre, se esiste un intorno J di x0 tale che

∀x ∈ dom(f) ∩ J \ x0, f(x) ≤ g(x)allora

L1 = limx→x0

f(x) ≤ limx→x0

g(x) = L2.

Infine se limx→x0 f(x) = L1 > 0(< 0), allora esiste un intorno J(x0; r) tale chef(x) > 0(< 0) per x ∈ dom(f) ∩ J(x0; r) \ x0.Dimostrazione. Dimostriamo solo due risultati tra quelli esposti, le altre afferma-zioni sono lasciate al lettore.

Sia ε > 0, da limx→x0 f(x) = L1 segue che ∃ δ1 > 0 tale che per x ∈ dom(f)e 0 < |x − x0| < δ1, |f(x) − L1| < ε/2 (attenzione: c’e una diversita solo apparente;essendo ε arbitrario, parlare di ε/2,ε/4 o ε/100 nelle disuguaglianze coinvolte non cambiala “sostanza”). Analogamente esiste δ2 > 0 per cui x ∈ dom(f) e 0 < |x−x0| < δ2 implica|g(x) − L2| < ε/2. Posto δ = minδ1δ2, per x ∈ dom(f) e 0 < |x − x0| < δ valgonoentrambe le disuguaglianze, per cui

|(f(x) + g(x))− (L1 + L2)| = |(f(x)− L1) + (g(x)− L2)| ≤ |f(x)− L1|+ |g(x)− L2|≤ ε/2 + ε/2 = ε.

La prima disuguaglianza e dovuta alle proprieta del modulo (disuguaglianza triangolare,|x + y| ≤ |x|+ |y|).

Abbiamo quindi una strategia ε-δ che ci permette di concludere che

limx→x0

(f(x) + g(x)) = L1 + L2.

Dimostriamo ora che f(x) ≤ g(x) in un intorno di x0 (eccetto x0 eventualmente) com-porta L1 ≤ L2. Procediamo per assurdo, supponiamo L1 > L2, quindi L1 − L2 > 0.Dalla definizione di limite e dalla legge (ii) si ha

|(g(x)− f(x))− (L2 − L1)| < ε se 0 < |x− x0| < δ, x ∈ dom(f).

Scegliamo ε = L1 − L2 > 0, allora

|(g(x)− f(x))− (L2 − L1)| < L1 − L2

per certi x in un intorno I(x0; t), t > 0, x 6= x0, x ∈ dom(f). Ma, dato che a ≤ |a|per ogni valore reale a, si ottiene

(g(x)− f(x))− (L2 − L1) < L1 − L2 ⇒ g(x)− f(x) < 0 ⇒ g(x) < f(x).

Questo vuol dire che in un opportuno intorno di x0 si ha g(x) < f(x), contraddicendo ilfatto che f(x) ≤ g(x).

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Limiti e continuita 67

Esempio 2.2 (Operazioni sui limiti) Le leggi dei limiti permettono sia di cal-colare nuovi limiti che di dimostrarne l’esistenza. Per esempio, e semplice verificaretramite la tecnica ε-δ che

limx→0

x2 = 0, limx→0

cosx = 1.

Abbiamo allora

limx→0

(1 + x2) = 1 (legge (i)),

limx→0

3 cos x = 3 (legge (v)),

limx→0

(1 + x2)5 cos x = 5 (legge (iii)),

limx→0

(1 + x2)3 cos x

= 1/3 (legge (iv)).

Abbiamo tralasciato verifiche sul dominio essendo funzioni definite su tutta la rettareale, nel caso del quoziente poi il limite e diverso da zero. Anche limx→0 x2 = 0poteva essere dedotto da limx→0 x = 0, applicando la legge del prodotto per x2 =x ·x. I risultati descritti sopra dicono due cose: il limite esiste e si puo calcolare inun certo modo. Per esempio, il limite per x → 0 di f(x) = (1 + x2)5 cos x, esiste evale 5.

Esempio 2.3 (Limiti di funzioni polinomiali) Dalle regole di calcolo dei limitisi deduce che esiste il limite di ogni funzione polinomiale

p(x) = a0 + a1x + . . . + anxn,

per x → x0 ∈ R. In particolare tramite la definizione di limite e facile verificareche

limx→x0

a0 = a0, limx→x0

a1x = a1x0, . . . , limx→x0

anxn = anxn0

e quindi in generale

limx→x0

p(x) = p(x0) = a0 + a1x0 + . . . + anxn0 .

Per le funzioni polinomiali parlare di limite o di valore nel punto di accumulazionee la stessa cosa: non per tutte le funzioni la situazione e cosı fortunata.

Esempio 2.4 (A volte i limiti non esistono) Se consideriamo la funzione segnodefinita per x 6= 0,

sign(x) =|x|x

=

1 se x > 0−1 se x < 0

abbiamo che non esiste il limite

limx→0

sign(x).

Infatti in ogni intervallo del tipo (0,r) con r > 0, intorno destro di x0 = 0, si hasign(x) = 1 mentre in ogni intorno sinistro, per x ∈ (−r,0) con r > 0, sign(x) = −1.Da questo segue che se, per assurdo, il limite fosse uguale a L ∈ R posso trovareun valore ε > 0 tale per cui per ogni intorno di 0 esistono punti x appartenenti aldominio della funzione per cui |f(x)− L| > ε. Per far cio basta considerare ε piupiccolo della distanza tra L e il punto 1 oppure −1.

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68 Capitolo 2

gg

h h

f

f

x 0

Figura 2.6 Illustrazione geometrica del Teorema di compressione.

Teorema 2.3 (Teorema di compressione o dei due carabinieri)Se f, g, h : A → R, A ⊆ R, sono tali che g(x) ≤ f(x) ≤ h(x) per x ∈ I(x0,r)\x0,x0 punto di accumulazione di A, r > 0, e se limx→x0 g(x) = limx→x0 h(x) = Lallora limx→x0 f(x) = L.

Dimostrazione. Dal punto di vista geometrico la situazione e illustrata nella Figura2.6. Le due funzioni g e h “stringono” la funzione f costringendo il grafico di quest’ultimaa dirigersi verso il punto di ordinata L.Traduciamo il tutto dal punto di vista analitico. Sia ε > 0, da limx→x0 g(x) = L discende(per semplicita di notazioni daremo per scontato che le x selezionate debbano stare neldominio, supposto comune, delle funzioni in gioco) che esiste δ1 > 0 tale che

|g(x)− L| < ε per 0 < |x− x0| < δ1.

Analogamente esiste δ2 > 0 tale che

|h(x)− L| < ε per 0 < |x− x0| < δ2.

Scelto δ = minδ1,δ2, per 0 < |x− x0| < δ, allora

L− ε < g(x) < L + ε L− ε < h(x) < L + ε

e quindi per 0 < |x− x0| < minδ,r = δ

L− ε < g(x) ≤ f(x) ≤ h(x) < L + ε

da cui |f(x)− L| < ε. Ne segue che limx→x0 f(x) = L.

Esempio 2.5 (Risolviamo il Problema C) Sia 0 < ϑ < π/2; consideriamo unsettore circolare della circonferenza goniometrica con centro O e angolo al centrouguale a ϑ, si veda la Figura 2.7. La lunghezza dell’arco AB e ϑ perche stiamoutilizzando i radianti, inoltre la lunghezza del segmento BC (ottenuto tracciandola perpendicolare da B a OA) vale OB sin ϑ = sin ϑ, essendo la circonferenza diraggio 1. Dalla Figura 2.7 si deduce che

BC < AB < lunghezza(AB) = ϑ

quindi sin ϑ < ϑ o sin(ϑ)/ϑ < 1.Tracciamo ora la retta tangente alla circonferenza e passante per A, cioe

tracciamo la perpendicolare a OA per il punto A. Sia D il punto di intersezione

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Limiti e continuita 69

O

B

AC

D

θ

Figura 2.7 Discussione geometrica del rapporto sin (x)/x.

tra la retta per O e B e la retta tangente, si veda la Figura 2.7. Si ottiene2

lunghezza(AB) = ϑ < AD = OA tan ϑ = tanϑ

dove AD = OA tan ϑ per definizione delle funzioni trigonometriche e OA = 1(raggio della circonferenza trigonometrica). Abbiamo quindi

sinϑ

ϑ< 1, ϑ <

sinϑ

cos ϑ⇒ cosϑ <

sin ϑ

ϑ

per ϑ ∈ (0,π/2). Per ϑ ∈ (−π/2,0) utilizzando le simmetrie delle funzioni trigono-metriche si arriva alla stessa coppia di disuguaglianze, quindi

cos ϑ <sin ϑ

ϑ< 1, ϑ ∈ (−π/2,π/2) \ 0.

Applicando il Teorema di compressione con g(x) = cosx, f(x) = sin(x)/x, h(x) =1 si ottiene, da limx→0 cos x = 1, limx→0 1 = 1, che

limx→0

sinx

x= 1.

Esempio 2.6 (Questa volta lo zero vince) Mostriamo che

limx→0

x2 sin(

1x

)= 0.

2La disuguaglianza sin ϑ < ϑ < tan ϑ discende, si veda la Figura 2.7, dall’osservare chel’area AT del triangolo BOA, AT = (sin (ϑ) · r)/2, e minore dell’area AC del settore circolareBOA, AC = (ϑ ·r)/2. Inoltre l’area del settore circolare BOA e minore dell’area At del triangoloDOA, At = (tan (ϑ) · r)/2. In realta il problema e piu sottile in quanto abbiamo utilizzato lamisura dell’area di un settore circolare: fatto che dovrebbe discendere dal limite in esame (siveda il Problema B).

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70 Capitolo 2

Non possiamo usare la regola del prodotto,

limx→0

x2 sin(

1x

)= lim

x→0x2 · lim

x→0sin

(1x

)=?

perche non esiste il limite della funzione sin (1/x) per x → 0. Infatti in ogni intornodel punto x = 0 tale funzione assume infinite volte qualsiasi valore reale compresotra −1 e 1 e quindi non puo “avvicinarsi” a qualche valore per x prossimo a 0.Notiamo comunque che

−1 ≤ sin(

1x

)≤ 1, x 6= 0,

quindi

−x2 ≤ x2 · sin(

1x

)≤ x2, x 6= 0.

Sappiamo chelimx→0

x2 = limx→0

−x2 = 0,

da cui, per il Teorema di compressione,

limx→0

x2 sin(

1x

)= 0.

Una funzione f che per x → x0 tende a zero si dice infinitesima per x che tende ax0. Quanto fatto per il limite appena studiato potrebbe essere generalizzato nellaseguente affermazione, “Il prodotto di una funzione infinitesima per una funzionelimitata e una funzione infinitesima”. In altri termini: questa volta lo zero vince.

2.1.2 Limite destro e sinistro

Vi sono vari modi per estendere il concetto di limite, noi considereremo i seguenti

• limite destro, limite sinistro (cioe quando x tende a x0 solo da “un lato”);

• limiti all’infinito (quando x diventa arbitrariamente grande, positivo o nega-tivo);

• limiti infiniti (quando f diventa arbitrariamente grande, positiva o negativa).

In questa prima parte ci occuperemo dell’estensione piu naturale, ossia del concettodi limite da destra e da sinistra. Nel seguito affronteremo i concetti di limitiall’infinito e di limiti infiniti.

Esempio 2.7 (Limiti ed estremi) Consideriamo una funzione reale f : (0,1) →R, la definizione di limite vista fino ad ora potrebbe essere applicata anche alcaso di x0 = 0 o x0 = 1. Di fatto, pero, i valori x tali che 0 < |x| < δ oppure0 < |x − 1| < δ e appartenenti al dominio sono valori x per cui 0 < x < δ o,rispettivamente, 1− δ < x < 1.

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Limiti e continuita 71

La necessita di affrontare analiticamente situazioni come la precedente porta all’in-troduzione dei concetti di limite destro e limite sinistro, a seconda del lato da cuici si avvicina al punto di accumulazione.

Definizione 2.4 (Limite destro e limite sinistro) Sia f : A → R, A ⊆ R, x0punto di accumulazione per A. Si dice che la funzione f ha limite destro L per xche tende a x0, e si scrivera

limx→x+

0

f(x) = L

se ∀ ε > 0, esiste δ > 0 tale che

|f(x)− L| < ε quando x0 < x < x0 + δ, x ∈ dom(f).

Analogamente si dice che f ha limite sinistro L, e si scrivera

limx→x−0

f(x) = L

se ∀ ε > 0, esiste δ > 0 tale che

|f(x)− L| < ε quando x0 − δ < x < x0, x ∈ dom(f).

Nel caso di limite destro, x0 deve essere tale che ∀ δ > 0 esista almeno un x ∈dom(f) tale che x0 < x < x0+δ; analogamente, nel caso di limite sinistro, x0 deveessere tale che ∀ δ > 0, esista almeno un x ∈ dom(f) tale che x0 − δ < x < x0.

Naturalmente abbiamo limx→x0 f(x) = L se e solo se esistono il limite destro e illimite sinistro e sono uguali:

limx→x+

0

f(x) = limx→x−0

f(x) = L.

Esempio 2.8 Proviamo che limx→0+√

x = 0. In questo caso ha senso porsi ladomanda solo per il limite destro. Abbiamo, per ε > 0,

|√x− 0| < ε ⇐⇒ √x < ε ⇐⇒ x < ε2.

E quindi evidente che un candidato per δ e δ = ε2.

Esempio 2.9 Consideriamo la funzione segno, sign(x) = |x|/x, x 6= 0. Per ognix0 > 0 e evidente che limx→x0 sign(x) = 1, e viceversa ∀x0 < 0, limx→x0 sign(x) =−1. Cosa avviene per x → 0? Il limite non esiste, i valori di sign(x) restano infatticostanti e uguali al valore 1 avvicinandosi da destra a x0 = 0, restano costanti euguali al valore −1 avvicinandosi da sinistra a x0 = 0. Quindi si ha

limx→0+

sign(x) = 1, limx→0−

sign(x) = −1.

Consideriamo ora la funzione parte intera [x], x ∈ R, definita come

[x] = “il piu grande intero n ∈ Z minore o uguale a x”.

Per esempio, [4.3] = 4, [7.8] = 7, [π] = 3, [√

2] = 1, [−√2] = −2.Il grafico della funzione segno e della funzione parte intera sono riportati

nella Figura 2.8. E evidente che per x0 ∈ Z, @ limx→x0 [x], perche la funzioneparte intera ha un gradino passando per x0 e assume valori costanti diversi in unintorno destro e in un intorno sinistro di x0.

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72 Capitolo 2

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

−1

−0.8

−0.6

−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

sign(x)

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5−5

−4

−3

−2

−1

0

1

2

3

4

[x]

Figura 2.8 Funzione segno, sign(x), e funzione parte intera [x].

Possiamo invece considerare limx→x+0[x] e limx→x−0

[x]. Per esempio, limx→1+ [x] =1, mentre limx→1− [x] = 0; in generale, per x0 ∈ Z,

limx→x+

0

[x] = x0, limx→x−0

[x] = x0 − 1.

Come esercizio si consideri il comportamento di x = x − [x], funzione partefrazionaria (che risulta essere una funzione periodica di periodo T = 1).

Esempio 2.10 (Risolviamo il problema D) Vogliamo calcolare il limite destroe sinistro e verificare che

limx→1+

x2 − 1x− 1

= limx→1−

x2 − 1x− 1

.

Non possiamo applicare le regole viste sul quoziente di due limiti, in quanto ildenominatore va a zero. Possiamo pero osservare che per x 6= 1

x2 − 1x− 1

=(x− 1)(x + 1)

x− 1= x + 1.

Abbiamo quindi

limx→1+

x2 − 1x− 1

= limx→1+

(x + 1) = 2,

e analogamente

limx→1−

x2 − 1x− 1

= limx→1−

(x + 1) = 2.

2.2 Continuita

Nell’ambito dei limiti sono coinvolti solo i punti di accumulazione, in quanto nonha senso avvicinarsi a un punto se poi “viene a mancare la terra sotto i piedi”,

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Limiti e continuita 73

ovverosia se non ci sono valori differenti dal punto a cui si sta tendendo e in cuivalutare la funzione. Il limite permette di dare indicazioni proprio sul comporta-mento della funzione vicino al punto di accumulazione a cui si sta tendendo. None necessario che il punto di accumulazione appartenga al dominio della funzione(per esempio nel caso di sin(x)/x il punto x0 = 0 non appartiene al dominio dellafunzione ma sappiamo che la funzione tende a 1 per x che tende a 0). Adessocambiamo prospettiva e preoccupiamoci proprio del caso in cui il punto di accu-mulazione appartiene al dominio della funzione in esame. Quindi consideriamof : A → R, A ⊆ R con x0 ∈ A, x0 punto di accumulazione di A.

Definizione 2.5 (Funzione continua in un punto) Sia f : A → R, A ⊆ R,x0 ∈ A e x0 un punto di accumulazione di A. La funzione f e detta continua nelpunto x0 se

limx→x0

f(x) = f(x0).

Osserviamo che,

• il limite deve esistere;

• il limite deve essere finito (deve appartenere a R);

• il limite deve coincidere con f(x0).

Quando il limite e sostituito dal limite sinistro o dal limite destro si parla, rispet-tivamente, di continuita a sinistra o di continuita a destra.

La nozione di continuita e un concetto puntuale, cioe locale, ovverosia riguardail comportamento della funzione in x0 e in un intorno “vicino” a x0. Nel caso incui la funzione f sia continua in tutti i punti del dominio A si dice che la funzionee continua in A. Per esempio, se il dominio e un intervallo I = [a,b], una funzionee continua in I se e continua in tutti i punti di [a,b] dove la continuita agli estremidell’intervallo e da considerarsi come continuita a destra, per x = a, e continuitaa sinistra per x = b. Dal punto di vista del formalismo ε-δ come si traducono ledisuguaglianze della definizione di limite nel caso della continuita? La risposta aquesto punto dovrebbe essere chiara,

∀ ε > 0, ∃ δ > 0 tale che ∀x ∈ dom(f), |x−x0| < δ implica |f(x)− f(x0)| < ε.

Pertanto, non si esclude piu il punto x0 dai punti in cui effettuare il controllo dellavicinanza dei corrispondenti valori della funzione f al valore limite f(x0).

Esempio 2.11 (Continuita di funzioni lineari e quadratiche) La funzionef(x) = 3x− 1, x ∈ R, e continua in ogni punto x0 reale. Infatti, fissato un puntox0, per ε > 0, si ha

|f(x)− f(x0)| = |(3x− 1)− (3x0 − 1)| = |3(x− x0)|.Quindi, |f(x)− f(x0)| < ε per |(x− x0)| < ε/3. La scelta di δ = ε/3 va bene pertutti i casi e permette di verificare che

limx→x0

(3x− 1) = 3x0 − 1, ∀x0 ∈ R.

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74 Capitolo 2

Attenzione: in generale la scelta di δ dipende dal punto x0, non sempre si e cosıfortunati come nell’esempio appena fatto. Per esempio verifichiamo che la funzionef(x) = x2, x ∈ R e continua per x0 > 0. Infatti per ε > 0, si ha

|x2 − x20| = |(x− x0)(x + x0)| < ε.

Scelto un opportuno intorno |x − x0| < r, r > 0 segue che x0 − r < x < x0 + r equindi 2x0 − r < (x + x0) < 2x0 + r. Quindi per 0 < r < 2x0 abbiamo

|(x− x0)(x + x0)| < ε ⇒ |x− x0| < ε

|x + x0| <ε

2x0 − r.

Si conclude che per |x−x0| < δ con δ = minr, ε/(2x0−r) segue che |x2−x20| < ε

e quindi la verifica della continuita in x0. In modo analogo si potrebbe dimostrareche la funzione f(x) = x2 e continua in tutta la retta reale R. Questa voltail legame ε-δ fa intervenire in modo esplicito il punto x0 (si noti pero che ladipendenza esplicita di δ da x0 potra essere abbandonata se si considera unarestrizione della funzione quadratica ad un intervallo chiuso e limitato).

Esempio 2.12 (Un primo esempio di discontinuita) La funzione parte in-tera, f(x) = [x], x ∈ R e continua in tutti i punti x0 ∈ R \ Z cioe in tutti i puntinon interi. Questo appare evidente dal grafico della funzione perche negli intervalliaperti di estremi interi (n,n + 1), n ∈ Z la funzione e costante per cui e sicura-mente continua. Nei punti x0 ∈ Z il limite non esiste e quindi la funzione non puoessere continua, in ogni intero abbiamo un “gradino”. Potremo invece parlare dicontinuita destra in ogni punto intero (non di continuita a sinistra perche occorrefare attenzione come e definita la funzione nel punto).

Esempio 2.13 (Attenzione ai domini di definizione) Le funzioni non conti-nue in un punto x0 si dicono discontinue e tale punto e detto punto di discontinuita.Notiamo che per la verifica della continuita o della discontinuita in x0 e necessarioche sia definito il valore f(x0). Non ha senso porsi la questione della continuita nelpunto x0 = 0 della funzione segno. La funzione non e infatti definita in tale puntoe risulta continua in tutti i punti del suo dominio di definizione. Analogamente, lafunzione f(x) = 1/x, x 6= 0 e continua in tutti i punti del dominio: in x = 0 nonsi verifica nulla perche non appartiene al dominio.

Osservazione 2.2 Le funzioni continue su un intervallo corrispondono a funzio-ni che possiedono un grafico che puo essere disegnato “senza staccare la matitadal foglio”. Al contrario le funzioni discontinue mostrano un grafico “spezzato”.Torneremo nel seguito sulle conseguenze di tale proprieta.

2.2.1 La verifica della continuita

La verifica della continuita certamente non si fara sempre rifacendosi alla defini-zione e alla tecnica ε-δ. Come nel caso dei limiti e necessario e utile conoscererisultati che mettano in relazione le usuali operazioni tra funzioni e la continuita.In questo modo avremmo a disposizione, da un lato, una tecnica per la dimostra-zione o la verifica della continuita di una funzione assegnata. Da un altro puntodi vista si avrebbero a disposizione dei modi per generare nuove funzioni continuepartendo da funzioni di provata continuita. Citiamo alcuni risultati relativi alla

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Limiti e continuita 75

continuita in un punto, l’estensione al caso di continuita in domini o insiemi e im-mediata Non riportiamo la dimostrazione del teorema che segue essendo analogaal risultato simile ottenuto per i limiti.

Teorema 2.4 (Continuita e operazioni) Siano f e g due funzioni continue inx0 e definite in un intervallo contenente x0, allora le funzioni f + g, f − g, fgsono continue in x0. Se c ∈ R anche la funzione c · f e continua in x0. Se inoltreg(x0) 6= 0, la funzione f/g e continua in x0.

Esempio 2.14 (Continuita delle funzioni polinomiali) Dal Teorema 2.4 edalla verifica della continuita delle funzioni f0(x) = k costante, f1(x) = x, conx ∈ R, si deduce che tutte le funzioni polinomiali

p(x) = a0 + a1x + . . . + anxn,

sono funzioni continue su tutta la retta reale. Avevamo gia osservato infatti comeper tali funzioni valesse limx→x0 p(x) = p(x0).

Teorema 2.5 (Continuita e composizione) Siano f e g due funzioni per cuie definita la funzione composta f g. Se f e una funzione continua in y0 e se

limx→x0

g(x) = y0,

allora

limx→x0

f(g(x)) = f(y0) = f

(lim

x→x0g(x)

).

In particolare, se g e continua in x0 allora la funzione composta f g e continuain x0.

Anche questo teorema puo essere dimostrato con una attenta applicazione delladefinizione di limite.

Osservazione 2.3 La conclusione del Teorema 2.5 non e banale, la composizionedi funzioni e una operazione delicata e la verifica di una proprieta non puo esseredata per scontata. Si considerino, per esempio, le funzioni definite su tutta la rettareale,

f(y) = 0 se y 6= 0

1 se y = 0 , g(x) =

x se x ≥ 00 se x < 0 .

Scegliamo x0 = 0 e calcoliamo il limite di f g per x → x0. La funzione g tende a0 per x → 0. Seguendo le notazioni del Teorema 2.5, y0 = 0 e la funzione f tendea 0 per y → y0. Se valutiamo la funzione composta si ottiene

(f g)(x) = f(g(x)) = 0 se x > 0

1 se x ≤ 0

per la quale non esiste il limite per x → 0. Infatti la funzione f non e continua iny0 e quindi il Teorema 2.5 non poteva essere applicato.

Esempio 2.15 (Funzioni lipschitziane) La funzione valore assoluto f(x) = |x|,x ∈ R e una funzione continua in ogni punto x0 del dominio. Infatti |f(x)−f(x0)| =|x − x0| e quindi possiamo scegliere δ = ε nella verifica della continuita. Vi sonoaltre funzioni con una caratteristica simile, l’incremento della variabile x controlla

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76 Capitolo 2

l’incremento della funzione f . In altri termini, vi sono funzioni f : A → R tali cheesiste una costante L ≥ 0 per cui

∀x,y ∈ A, |f(x)− f(y)| ≤ L|x− y|.Funzioni di questo tipo sono dette funzioni lipschitziane. E ovvio che tali funzionisono continue, per L > 0 basta scegliere la regola δ = ε/L nella verifica dellacontinuita.

Verifichiamo che la funzione f(x) = sin x, x ∈ R e una funzione lipschitziana(e quindi continua). Posto y = x + h, con x, h ∈ R si ha, utilizzando formuletrigonometriche per la somma di angoli,

| sin (x + h)− sin x| = | sin x(cos h− 1) + cos x sin h|da cui, dato che | sin x| ≤ 1, | cosx| ≤ 1 e per la disuguaglianza triangolare,

| sin (x + h)− sin x| ≤ (1− cos h) + | sin h|ed ancora, dato che | sin x| ≤ |x| (stiamo misurando gli angoli in radianti),

| sin (x + h)− sin x| ≤ 2 sin2 (h/2) + |h| ≤ 2|h/2|+ |h| = 2|h|.In modo analogo la funzione f(x) = cos x, x ∈ R e una funzione lipschitziana equindi continua.

Esempio 2.16 (Altre funzioni continue) Per le proprieta delle funzioni conti-nue anche la funzione f(x) = tan (x) essendo definita come quoziente sinx/ cosxe continua in tutti punti in cui cos x 6= 0 (ossia x 6= ±π/2, ± 3π/2, . . .), e inmodo simile abbiamo la continuita di altre funzioni trigonometriche. Inoltre se fe una funzione continua anche la funzione |f | e continua, cosı come la funzionefn, con n ∈ N. Le funzioni razionali, essendo definite come quoziente di polinomi,sono continue in tutti i punti in cui il denominatore non e nullo. Altre funzionielementari continue sono le funzioni esponenziali e le funzioni logaritmiche, comeverificheremo nel seguito del capitolo

2.3 Verso l’infinito e oltre

2.3.1 Limiti all’infinito

Nel caso di successioni, cioe di funzioni f : N→ R, non ha senso porsi il problemadel calcolo di limn→m f(n) per un fissato m ∈ N perche ogni singolo punto x0 = mdel dominio risulta essere un punto isolato. La domanda piu ragionevole e invece:“cosa succede per n molto grandi”? La stessa domanda potrebbe porsi anche perfunzioni f : A → R, A ⊆ R al crescere di x.

Vorremmo trattare +∞, che per noi e solo un simbolo, come un punto diaccumulazione. In termini di intorni abbiamo gia osservato che come intorni fon-damentali di +∞ considereremo gli intervalli (a, +∞) con estremo a ∈ R; si notiche tali intervalli sono sottoinsiemi della retta reale. Sia f : A → R, A ⊆ R cosasignifica che +∞ e un punto di accumulazione per A? Vuol dire che ∀ a ∈ R si ha(a, +∞) ∩A 6= ∅. Per qualsiasi scelta di a c’e sempre qualche punto del dominiomaggiore di a.

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Limiti e continuita 77

Supponiamo che +∞ sia in queste condizioni rispetto al dominio A. Diremoche f tende al limite L ∈ R quando x tende a piu infinito, e si scrive

limx→+∞

f(x) = L,

se al “crescere di x, f si avvicina sempre piu a L”. In termini formali, se ∀ ε > 0esiste un valore a ∈ R tale che

|f(x)− L| < ε quando x ∈ A ∩ (a, +∞).

In modo analogo, per funzioni tali che per ogni a ∈ R, (−∞,a) ∩ A 6= ∅ (“−∞e punto di accumulazione per A”), si dice che f tende al limite L ∈ R quando xtende a meno infinito, e si scrive

limx→−∞

f(x) = L,

se “per valori di |x| crescenti ma negativi, f si avvicina sempre piu a L”. Ancorain termini formali, se ∀ ε > 0 esiste un valore a ∈ R tale che

|f(x)− L| < ε quando x ∈ A ∩ (−∞,a).

Ritornando alle successioni e evidente che +∞ e un punto di accumulazione ris-petto al dominio, cioe rispetto all’insieme N. La variabile si indica solitamente conn e quindi intervengono limiti per n → +∞.

Esempio 2.17 (Risolviamo il Problema B) Abbiamo iniziato fornendo unalista di problemi. Uno di questi riguardava il calcolo dell’area di un cerchio concentro nell’origine e raggio r > 0 tramite un processo di limite per le aree dipoligoni regolari inscritti con un numero crescente di lati.

Per quanto riguarda l’espressione delle aree An dei poligoni si ha

An = nr2 sin(

π

n

)cos

n

),

vogliamo calcolare limn→+∞An. Osservando che (π/n) tende a zero per n → +∞e che

nr sin(

π

n

)= πr

sin (π/n)π/n

,

dal limite di sin(x)/x per x → 0, si ottiene

limn→+∞

nr sin(

π

n

)= πr.

Dalla continuita del coseno si ottiene invece che cos (π/n) tende a 1 per n → +∞.Dalle leggi dei limiti si conclude che

limn→+∞

An = πr2 = “area del cerchio”.

Esempio 2.18 (Un esempio di verifica) Proviamo che

limx→+∞

x− 1x + 1

= 1.

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78 Capitolo 2

Preso un valore ε > 0, si ha∣∣∣∣x− 1x + 1

− 1∣∣∣∣ < ε ⇐⇒

∣∣∣∣x− 1− x− 1

x + 1

∣∣∣∣ < ε ⇐⇒ 2|x + 1| < ε,

quindi per |x + 1| > 2/ε. Considerando valori “in viaggio” verso +∞ non elimitativo supporre x + 1 > 0, da cui x + 1 > 2/ε e quindi x > 2/ε− 1. Scelto

a = max−1,

2ε− 1

,

per x ∈ (a,+∞) si ottiene |(x− 1)/(x+1)− 1| < ε. In modo analogo si prova che

limx→−∞

x− 1x + 1

= 1.

2.3.2 Limiti infiniti

Consideriamo la funzione f(x) = 1/x2, per x ∈ R, x 6= 0. Piu x si avvicina a 0, piui valori di f diventano grandi. E intuitivo e comodo descrivere il comportamentodi f vicino a 0 dicendo che f tende a crescere indefinitamente (tende a piu infinito)quando x tende a 0. Si scrive,

limx→0

1x2

= +∞.

Formalizzando la situazione: comunque scegliamo un valore M ∈ R, la funzione fassume almeno un valore piu grande di M a patto di avvicinarsi sufficientementeal punto x = 0. Di fatto i valori interessanti da controllare saranno i valori positiviM > 0. Sia f : A → R, A ⊆ R e x0 punto di accumulazione di A, diremo che ftende a piu infinito (+∞) per x che tende a x0, e si scrive

limx→x0

f(x) = +∞,

se per ogni M > 0 esiste un numero δ > 0 tale che

f(x) > M quando 0 < |x− x0| < δ, x ∈ A.

Analogamente diremo che f tende a meno infinito (−∞) per x che tende a x0, esi scrive

limx→x0

f(x) = −∞,

se per ogni M > 0 esiste un numero δ > 0 tale che

f(x) < −M quando 0 < |x− x0| < δ, x ∈ A.

Esempio 2.19 (Una semplice verifica) Consideriamo f(x) = 1/|x − 2|, x ∈R, x 6= 2, proviamo che il limite per x → 2 di f e uguale a +∞. Per un assegnatoM > 0, poniamo

1|x− 2| > M,

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Limiti e continuita 79

segue che per |x − 2| < 1/M questa disuguaglianza e vera. La scelta di δ = 1/Mpermette quindi di verificare la definizione di limite. Abbiamo quindi una strategiache trova un valore δ positivo adatto per ogni M proposto: il limite e piu infinito.

Osservazione 2.4 A volte potrebbe risultare comodo non distinguere tra piu omeno infinito e considerare semplicemente funzioni che tendono a infinito (∞)senza segno. In questo caso si intende che il modulo della funzione tende a +∞.

Le definizioni date e le estensioni del concetto di limite si possono combinare tradi loro, per esempio potremo scrivere

limx→x+

0

f(x) = ±∞, limx→x−0

f(x) = ±∞, limx→+∞

f(x) = ±∞, limx→−∞

f(x) = ±∞.

Tutte le definizioni date dovrebbero essere chiare al lettore, dal punto di vistaformale si tratta di aggiustare la scelta degli intorni corretti. In altri termini ladefinizione di

limx→x0

f(x) = L

x0

x0+δx

0−δ

M

(A)

ff

M

a

f

(B)

x0

x0−δ

−M(C)

LL+ε

L−ε

af

f

(D)

Figura 2.9 Illustrazione grafica di alcuni limiti, (A) f → +∞, per x → x0;(B) f → +∞, per x → +∞; (C) f → −∞, per x → x−0 ;(D) f → L, per x → +∞.

con x0 finito o no e L finito o no, si riassume in “per ogni intorno J di L esiste unintorno I di x0 tale che per tutti i punti x ∈ I ∩ dom(f) \ x0, f(x) appartiene aJ”. Nella Figura 2.9 si mostrano alcuni esempi grafici.

Anche i risultati di permanenza del segno possono essere rivisti per le varieestensioni. Per esempio, se f tende a +∞ per x → x0, e naturale che questo

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80 Capitolo 2

implichi che esiste un intorno di x0 in cui f(x) > 0 (tolto al solito al piu il puntox0).

Esempio 2.20 (Discontinuita) Abbiamo gia detto che una funzione f e dettadiscontinua in un punto x0 appartenente al suo dominio di definizione se in talepunto non e continua. Quali situazioni possono verificarsi? La funzione f puo avereo non avere limite per x → x0, se il limite esiste potrebbe essere finito oppure no,se il limite esiste ed e finito potrebbe coincidere con f(x0) oppure no. Indicandocon L il limite eventuale, con L+ e L−, il limite destro e il limite sinistro, l’alberodecisionale per la continuita o la discontinuita e descritto nella Figura 2.10.

£¤

¢¡

£¤

¢¡

£¤

¢¡

£¤

¢¡

£¤

¢¡

£¤

¢¡

Esiste L

L finito

L infinito

Non esiste L

Esistono L+ e L−

Non esiste L+ o L−

L = f(x0)

L 6= f(x0)

L+ e L− finiti

Uno infinito

Continuita

Discontinuita

eliminabile

Punto di infinito

Salto

Punto di infinito

Discontinuita di

seconda specie

Figura 2.10 Albero decisionale per continuita e discontinuita.

La classificazione delle discontinuita puo variare tra autori diversi, avvisiamo illettore: l’importante e che comprenda le caratteristiche delle varie discontinuita.Nella Figura 2.11 si riportano i grafici di alcune funzioni discontinue. Per esempiola funzione parte intera di x presenta infiniti punti di discontinuita di tipo salto incorrispondenza dei valori x ∈ Z. Invece la funzione definita come

f(x) =

1/x se x 6= 00 se x = 0

ha in x = 0 un punto di infinito.

Esempio 2.21 (Limiti di funzioni razionali) Per quanto riguarda il limite diuna funzione polinomiale p(x) = a0 +a1x+. . . +anxn per x → ±∞ basta calcolareil limite del termine di grado massimo. Infatti si ha, per an 6= 0,

p(x) = anxn

(1 +

an−1

anx+

an−2

anx2+. . . +

a0

anxn

)

dove tutti i termini tra parentesi dopo il termine uguale a 1 tendono a zero perx → ±∞. Quindi

limx→±∞

p(x) = limx→±∞

anxn.

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Limiti e continuita 81

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

Discontinuità eliminabile

x0

−3 −2 −1 0 1 2 30

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Punto di infinito

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3

0

0.5

1

1.5

2

Salto

−0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

−1

−0.8

−0.6

−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

x0

Seconda specie

Figura 2.11 Grafici di funzioni discontinue.

In base al segno di an, al tipo di limite, al fatto che l’esponente n sia pari o disparipossiamo avere un limite uguale a +∞ oppure a −∞, per esempio

limx→+∞

(5x3 − 2x2 + x) = +∞, limx→+∞

(−7x2 + 2x + 1) = −∞.

Sia ora f(x) = pn(x)/qm(x) una funzione razionale, dove pn e un polinomio digrado n e qm un polinomio di grado m. Per calcolare i limiti per x → ±∞ occorrecalcolare il limite del rapporto dei termini di grado massimo. Se anxn e bmxm

sono questi termini (con an,bm 6= 0) si ha

limx→±∞

pn(x)qm(x)

= limx→±∞

anxn

bmxm=

0 se m > n+∞ o −∞ se m < nan/bm se n = m

.

Nel caso di limite infinito, il segno e determinato dal segno dei coefficienti deitermini di grado massimo, dal tipo di limite e dal fatto che n − m sia pari odispari. Per esempio,

limx→+∞

5x3 + 2x2 + 1

= +∞, limx→−∞

3x5 + 2x2 + x

x2 + 2= −∞, lim

x→+∞5x2 + 3x

x4 + 1= 0.

Esempio 2.22 (Forme indeterminate) Le leggi sui limiti valgono anche per leestensioni appena fatte (anche il Teorema di compressione) salvo nei casi in cuitali leggi comportano una forma indeterminata cioe una di queste situazioni

(+∞)− (+∞), 0 · ±∞,00,

±∞±∞ .

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82 Capitolo 2

Per esempio nel caso di f(x) =√

(x2 + x), g(x) = x, si ha

limx→+∞

f(x) = +∞, limx→+∞

g(x) = +∞

e quindi non possiamo applicare la formula per il limite della differenza (f−g) perx → +∞ dato che sarebbe del tipo (+∞)− (+∞), non possiamo concludere nulladalle classiche leggi dei limiti. Per risolvere queste forme indeterminate occorronoaltri strumenti oppure un’analisi piu approfondita dell’andamento delle funzioniin gioco. Nell’esempio considerato per x > 0,

√(x2 + x)− x =

(√

(x2 + x)− x)(√

(x2 + x) + x)√(x2 + x) + x

=x√

(x2 + x) + x.

Segue quindi che (possiamo considerare x > 0),

limx→+∞

(f − g)(x) = limx→+∞

x√(x2 + x) + x

= limx→+∞

x

x(√

(1 + 1/x)) + x=

12.

Esempio 2.23 (Progressione geometrica) Dato un numero reale t > −1, perogni n ∈ N si ha

(1 + t)n ≥ 1 + nt.

La dimostrazione di questo fatto puo essere condotta con il principio di induzione.Per n = 1 l’affermazione e vera

(1 + t)1 = 1 + t = 1 + 1 · t.Supponiamo sia vera per n, si ha

(1 + t)n+1 = (1 + t) · (1 + t)n≥(1 + t) · (1 + nt).

Quindi si ottiene

(1 + t)n+1 ≥ (1 + nt + t + nt2) ≥ 1 + (n + 1)t,

quindi la proposizione e vera anche per n + 1, da cui e vera per ogni n > 0.Consideriamo la progressione geometrica an = qn con q 6= 0. Per q ∈ (0,1)

abbiamo

q =1

1 + t,

per un certo t > 0, quindi

0 < qn =(

11 + t

)n

≤(

11 + nt

)<

1nt

,

e per il Teorema di compressione

limn→+∞

qn = 0.

La stessa conclusione vale per q ∈ (−1,0). Per q = 1 ovviamente il limite pern → +∞ di 1n e uguale a 1. Per q = −1 invece tale limite non esiste perche lasuccessione oscilla tra i due valori +1 e −1. Per q > 1, posto q = (1+ t) con t > 0,si ha

qn = (1 + t)n ≥ 1 + nt,

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Limiti e continuita 83

e quindi, dal fatto che la successione bn = (1+nt) tende a +∞ per n → +∞ segueche anche qn diverge a +∞. Infine, per q < −1 i termini della successione qn

saranno alternativamente positivi e negativi mentre |q|n tendera a +∞, ne segueche non esistera il limite per n → +∞. Riassumendo

limn→+∞

qn =

0 se q ∈ (−1,1),1 se q = 1,

+∞ se q > 1,

non esiste se q ≤ −1.

Per una funzione esponenziale ax, dal confronto con i risultati appena dedotti edal fatto che a−x = 1/ax, si ottiene che

limx→+∞

ax =

0 se a ∈ (0,1),1 se a = 1,

+∞ se a > 1;lim

x→−∞ax =

+∞ se a ∈ (0,1),1 se a = 1,

0 se a > 1.

Con tecniche analoghe possiamo dimostrare anche i seguenti due limiti,

limn→+∞

n√

a = 1 a > 0, limn→+∞

n√

n = 1.

Per esempio per il primo limite e nel caso in cui a > 1, si ha n√

a > 1, quindin√

a = 1 + tn, tn > 0.

Abbiamo poia = (1 + tn)n ≥ 1 + ntn,

e quindi

0 < tn ≤ a− 1n

.

Si vede quindi che tn tende a zero per n → +∞ e dunque

limn→+∞

n√

a = 1.

Esempio 2.24 (Continuita delle funzioni esponenziali) Assegnati n ≥ 1valori reali x1, x2, . . . ,xn, la loro media aritmetica e definita ponendo

Ma =x1 + x2 + . . . + xn

n,

se poi i numeri in questione sono non negativi, possiamo definire la loro mediageometrica

Mg = n√

x1x2 · · ·xn.

Per n ≥ 2 la media geometrica non supera la media aritmetica, Mg ≤ Ma. Nelcaso in cui c’e qualche valore xk nullo la disuguaglianza e immediata. Se tutti ivalori sono positivi si puo dimostrare la disuguaglianza per induzione. Per esempionel caso n = 2 si ha

√x1x2 ≤ x1 + x2

2⇐⇒ 4(x1x2) ≤ (x2

1 + x22 + 2x1x2) ⇐⇒ (x1 − x2)2 ≥ 0.

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84 Capitolo 2

Come caso particolare per la quantita n√

ap, con 0 < a 6= 1, 1 ≤ p < n si ha

n√

ap ≤ pa + (n− p)n

,

dove supponiamo che ap si ottenga moltiplicando p fattori uguali ad a e (n − p)fattori uguali a 1. Per p = 1 si ottiene poi

n√

a ≤ 1 +a− 1

n, n ≥ 2.

Consideriamo una funzione esponenziale ax, 0 < a 6= 1, x ∈ R. Per a > 1 lafunzione e strettamente crescente ovverosia x < y implica che ax < ay. Fissiamoun punto x0 ∈ R, per x > x0 si ha

0 < ax − ax0 = ax0(ax−x0 − 1

),

dove ci limitiamo ai valori x ∈ (x0,x0 + 1). Per ciascuno di tali valori x sia n(x)l’intero definito come

n(x) =[

1x− x0

],

dove [ · ] indica la funzione parte intera. Allora

0 < ax0(ax−x0 − 1

) ≤ ax0

(a1/n(x) − 1

)≤ ax0

a− 1n(x)

,

grazie alla disuguaglianzan√

a− 1 ≤ a− 1n

.

Nel limite x → x+0 si ha n(x) → +∞, dunque il quoziente (a − 1)/n(x) tende a

zero e quindilim

x→x+0

ax − ax0 = 0,

da cui si deduce che la funzione esponenziale e continua a destra. Con ragionamentisimili si dimostra la continuita a sinistra e quindi la continuita della funzioneesponenziale. Inoltre e possibile dimostrare la continuita anche per le funzioniesponenziali con base a ∈ (0,1) in modo analogo.

2.3.3 Asintoti

Informazioni sul grafico di una funzione possono essere dedotte dai limiti infinitio dai limiti all’infinito. Se f : A → R, dove A e un intervallo di R non limitatosuperiormente e se

limx→+∞

f(x) = L ∈ R,

si dice che la retta di equazione y = L e un asintoto orizzontale (a destra).Analogamente se A non e limitato inferiormente e

limx→−∞

f(x) = L ∈ R,

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Limiti e continuita 85

si dice che la retta di equazione y = L e un asintoto orizzontale (a sinistra). Peresempio, dalla definizione delle funzioni trigonometriche elementari,

limx→+∞

arctanx = π/2,

ne segue che la retta y = π/2 e un asintoto orizzontale. Sia invece f : (a,b) → Rcon a ∈ R, se

limx→a+

f(x) = ±∞

si dice che la retta di equazione x = a e un asintoto verticale (a sinistra, cioe asinistra del grafico di f). Analogamente l’asintoto verticale (a destra) ci sara nelcaso in cui b ∈ R e

limx→b−

f(x) = ±∞

e avra equazione x = b. Per esempio la retta di equazione x = 0 e un asintotoverticale, tanto a destra quanto a sinistra, per la funzione f(x) = 1/x, x 6= 0.

Sia f definita su un intervallo I non limitato superiormente, diremo che laretta di equazione y = mx+ q, m 6= 0 (quindi una retta non parallela all’asse delleascisse) e un asintoto obliquo (a destra) se

limx→+∞

(f(x)−mx− q) = 0.

Analogamente si definisce l’asintoto obliquo (a sinistra) facendo semplicementeintervenire il limite per x → −∞. L’interpretazione geometrica e semplice, igrafici della funzione f e di un asintoto tendono ad avvicinarsi sempre di piu. Peril calcolo dell’asintoto obliquo si osserva che

limx→+∞

f(x)x

−m− q

x= 0,

da cui

limx→+∞

f(x)x

= m.

Per q invecelim

x→+∞f(x)−mx = q,

e in modo analogo nel caso di limite x → −∞.

Esempio 2.25 (Calcolo di asintoti) Dal punto di vista del calcolo si “tentano”i limiti precedenti e, nel caso il tutto vada a buon fine, si identificano i coefficientidell’asintoto obliquo. Per esempio per la funzione f(x) =

√(x2 + 1), x ∈ R, si ha

limx→+∞

f(x)x

= limx→+∞

√(x2 + 1)

x= 1,

mentre il limite per x → +∞ di f(x) − x vale 0. Abbiamo quindi un asintotoobliquo di equazione y = x. Per la simmetria della funzione, f e una funzionepari, si ottiene l’asintoto obliquo y = −x (il lettore potrebbe controllare con ilcalcolo esplicito dei limiti coinvolti). Nella Figura 2.12 si mostra parte del graficodella funzione f assieme ai due asintoti obliqui.

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86 Capitolo 2

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5−1

0

1

2

3

4

5

6

f

y=x y=−x

Figura 2.12 Asintoti obliqui per f(x) =√

(x2 + 1), x ∈ R.

2.4 Importanza della continuita

Molte quantita fisiche sono rappresentate tramite funzioni continue. La continuitacomporta infatti notevoli conseguenze sul comportamento e sul grafico della quan-tita in esame. In particolare in questo paragrafo ci occuperemo di funzioni conti-nue definite su intervalli. E ovvio che risultati analoghi possono essere consideratiper casi piu generali limitandosi alle restrizioni in particolari intervalli sottoinsie-mi del dominio di definizione. Allo scopo di rendere piu snella la trattazione, ledimostrazioni dei risultati sono state poste alla fine di questo capitolo.

2.4.1 Continuita, zeri, massimi e minimi

Abbiamo osservato che il grafico di una funzione continua in un intervallo nonpresenta interruzioni e potrebbe essere tracciato “senza staccare la matita dalfoglio”. Supponiamo nel seguito che f sia una funzione continua nell’intervallochiuso e limitato [a,b]. Quindi le ipotesi di partenza per la maggior parte deiprossimi risultati sono

(I1) f : [a,b] → R, con a,b ∈ R;

(I2) f continua in ogni punto x ∈ [a,b].

Proprio per la continuita il grafico della funzione f passando dal punto (a,f(a)) alpunto (b,f(b)) “deve” passare almeno una volta per i punti di ordinata compresatra f(a) e f(b) , si veda la Figura 2.13.In altri termini, pensando all’intervallo [a,b] come a un filo elastico, il grafico dellafunzione f e il risultato della deformazione su tale intervallo provocata dall’appli-cazione della funzione f . La continuita impedisce che nella deformazione il filo si“strappi” o si producano interruzioni. Dal punto di vista dell’insieme immaginedi f : se siamo partiti da un intervallo come dominio, anche im(f) e un intervallo.

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Limiti e continuita 87

1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 2.2 2.4 2.6 2.8 3−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

( a,f(a) )

( b, f(b) )

y=c

Figura 2.13 Il grafico della funzione f deve attraversare la retta y = c con c valoreintermedio tra f(a) e f(b).

Teorema 2.6 (Teorema dei valori intermedi) Sia f : [a,b] → R continua in[a,b], se y e un numero reale compreso tra f(a) e f(b) allora esiste un numeroreale r ∈ (a,b) tale che f(r) = y.

Possiamo tradurre la proprieta dei valori intermedi come segue, presi x1, x2 ∈ [a,b],supponiamo f(x1) < f(x2) (nel caso f(x1) > f(x2) il ragionamento non cambiabasta scambiare i due punti), e sia f(x1) < y < f(x2). Esiste allora x ∈ (x1,x2)tale che f(x) = y. Quindi l’immagine di f e un intervallo: se ci sono due puntivi sono anche tutti quelli intermedi. Sintetizzando, le funzioni continue portanointervalli in intervalli. Il prossimo teorema appare come un caso particolare delprecedente (in realta permette di dedurre il precedente).

Teorema 2.7 (Teorema di Bolzano o degli zeri) Sia f : [a,b] → R continuain [a,b], se f(a)f(b) < 0, allora esiste c ∈ (a,b) tale che f(c) = 0.

Ovviamente essendo f(a)f(b) < 0 i valori agli estremi dell’intervallo hanno segnodiscorde e 0 sara un valore intermedio. Bisogna fare attenzione al fatto che i dueteoremi appena visti non dicono nulla sull’unicita, sicuramente un punto esistenelle condizioni desiderate, ma ne potrebbero esistere altri (due, tre, ventisette oinfiniti).

Esempio 2.26 (Localizzazione degli zeri di una funzione) Il Teorema deglizeri o il Teorema dei valori intermedi e spesso utilizzato per mostrare che certeequazioni ammettono delle soluzioni. Per esempio vogliamo stabilire se esistaalmeno una radice della funzione polinomiale f(x) = x3 + x − 1. Dal fatto chef(0) = −1, f(1) = 1, si deduce, dal Teorema degli zeri, che esiste almeno unaradice tra 0 e 1. Si puo inoltre dimostrare che la funzione e iniettiva su tutta laretta reale (per ora non abbiamo gli strumenti per dimostrarlo se non affidandociall’intuito grafico) e quindi lo zero e unico.

Il Teorema dei valori intermedi e il Teorema degli zeri non stabiliscono dovesi trova lo zero o l’ascissa per cui la f assume il valore intermedio, affermano chec’e. Naturalmente, certi dell’esistenza dello zero possiamo cercare di calcolarlo o di

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88 Capitolo 2

approssimarlo. Per esempio procedendo per tentativi valutando la funzione in altripunti dell’intervallo (0,1) e osservando che la radice si trovera sempre tra due valorix1 e x2 nell’intervallo tali che f(x1)f(x2) < 0. Cosı facendo da f(1/2) = −3/8 < 0restringiamo l’analisi all’intervallo (1/2,1), da f(3/4) = 11/64 > 0 restringiamoancora a (1/2,3/4) e cosı via. La tecnica appena descritta e alla base del metododi bisezione descritto a fine capitolo.

A volte l’intuito grafico puo trovare un “conforto” dai teoremi enunciati. Siconsideri, per esempio, il problema della ricerca dei punti di intersezione tra il

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

x2

sin(x)

Figura 2.14 Dove si incontrano sin x e x2?

grafico della funzione f(x) = x2 e il grafico della funzione g(x) = sin x, entrambepensate con x variabile in tutto l’insieme R, si veda la Figura 2.14. Graficamente eevidente l’intersezione nell’origine degli assi cartesiani, per x = 0, e in un punto conascissa minore di π/2. In effetti, se consideriamo la funzione h(x) = f(x)−g(x), siottiene h(π/4) = (π/4)2 − sin (π/4) < 0, h(π/2) = (π/2)2 − sin (π/2) > 0. Quindiesiste un punto di ascissa c ∈ (π/4, π/2) tale che h(c) = 0 ⇒ f(c) = g(c).Riguardo all’unicita degli zeri, studiamo la funzione

f(x) =

0 se x = 0x sin (1/x) se x ∈ (0,1].

Si puo verificare che questa funzione e continua in tutto l’intervallo [0,1], si veda laFigura 2.15. Per x ∈ (0,1] la continuita e conseguenza delle operazioni tra funzionicontinue, mentre per x = 0 si ha

limx→0+

f(x) = 0 = f(0),

dove il limite per x → 0+ e nullo perche il fattore x tende a zero mentre il fattoresin (1/x) oscilla ma resta limitato tra i valori −1 e 1. La funzione f ha infinitizeri nell’intervallo [0,1]. Infatti sin(x) = 0 per x = kπ, k ∈ Z, considerando solo ivalori positivi si ha che sin(1/x) = 0 se (1/x) = kπ, k ∈ N∗, da cui segue che per1 > xk = 1/(kπ), k ∈ N∗, si ottiene f(xk) = 0.

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Limiti e continuita 89

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.02 0.04 0.06 0.08 0.1−0.1

−0.05

0

0.05

0.1

0 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 0 0.002 0.004 0.006 0.008 0.01−0.01

−0.005

0

0.005

0.01

Figura 2.15 La funzione f(x) = x sin (1/x) in diversi intorni destri dell’origine.

Esempio 2.27 (La continuita e necessaria) L’ipotesi di continuita e necessariasia per il Teorema 2.6 che per il Teorema 2.7. Si consideri per esempio la funzionef : [−1,1] → R definita come

f(x) = −1 se x ∈ (−1,0)

1 se x ∈ [0,1]

Ovviamente f(−1) · f(1) = −1 < 0 ma non ci sono zeri nell’intervallo (−1,1). Ladiscontinuita di tipo salto permette di “saltare” lo zero.

Un’altra proprieta che sembra evidente per una funzione continua in un intervallochiuso e l’assenza di asintoti verticali. In altri termini la funzione deve essereinferiormente e superiormente limitata. In effetti vale il seguente risultato.

Teorema 2.8 (Teorema di Weierstrass) Sia f : [a,b] → R continua in [a,b],allora esiste un numero reale positivo k tale che

|f(x)| ≤ k, ∀x ∈ [a,b].

Esistono inoltre due punti x0 (punto di minimo assoluto) e x1 (punto di massimoassoluto) tali che

f(x0) ≤ f(x) ≤ f(x1), ∀x ∈ [a,b].

Esempio 2.28 (Un semplice problema di ottimizzazione) Vogliamo valu-tare l’area di parco rettangolare piu grande che si possa recintare con una rete di

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90 Capitolo 2

lunghezza totale di 500 metri. Se i lati del parco rettangolare hanno lunghezza x eh (in metri) allora il perimetro corrispondente misura P = 2x + 2h. Poiche abbia-mo a disposizione 500 metri di rete da recinzione, 2x + 2h = 500 ⇒ h = 250− x.L’area R del pezzo di parco puo essere espressa come

R = R(x) = x · h = x(250− x).

Ovviamente x e h non possono essere negativi, quindi x ∈ I = [0,250]. Stiamo cer-cando il valore massimo di R(x) nell’intervallo I, per il Teorema 2.8 tale massimoesiste. Abbiamo che R(x) e l’equazione di una parabola, inoltre R(0) = R(250) = 0e R(x) > 0 per x ∈ (0,250). Il punto di massimo sara allora interno all’intervallo I.Il calcolo differenziale ci fornira gli strumenti per individuare tale punto di massi-mo, per la semplicita del problema possiamo pero fornire anche ora una soluzione.Abbiamo infatti,

R(x) = x(250− x) = 250x− x2 = −(x2 − 250x + 15625) + 15625

dove 15625 = 1252. Quindi R(x) = 15625 − (x − 125)2. Essendo (x − 125)2 ≥ 0per qualunque x, si ha R(x) ≤ 15625, il rettangolo piu grande sara allora ottenutoper R(x) = 15625 da cui x = 125. Si ha quindi h = 250 − x = 125, il pezzo diparco piu grande si ottiene con un quadrato di lato lungo 125 metri.

Le funzioni continue su intervalli chiusi e limitati sono quindi funzioni limitate,l’insieme immagine e un insieme limitato, inoltre sono funzioni che ammettonoalmeno un punto di minimo assoluto (globale) e un punto di massimo assoluto(globale): i due punti x0 e x1 del Teorema 2.8. Osserviamo che i punti di minimo(massimo) non sono necessariamente unici. Ancora una volta e un risultato diesistenza : c’e sicuramente un punto di minimo (massimo) ma non sappiamo dovesi trova e se e unico. Le ipotesi del Teorema di Weierstrass sono tutte necessarie.Per esempio, la funzione

f(x) =

1/x se x ∈ [−1,1] \ 00 se x = 0

risulta essere definita su un intervallo chiuso e limitato [−1,1] ma f non e limitata(x = 0 e un asintoto verticale). La f risulta avere una discontinuita del tipo puntodi infinito in x = 0. Anche la limitatezza dell’intervallo e necessaria, la funzionef(x) = x, x ∈ R, e continua ma non ha massimo e minimo sulla retta reale.Infine la chiusura dell’intervallo e indispensabile, la funzione f(x) = x, x ∈ (0,1),e limitata e continua ma non ha ne massimo ne minimo (i due punti candidatix = 0 e x = 1 non appartengono al dominio).

2.4.2 Continuita, successioni, monotonia

Abbiamo gia incontrato, nel primo capitolo parlando delle funzioni elementari,funzioni crescenti e decrescenti (per esempio le funzioni esponenziali e le funzionilogaritmiche). Nell’ambito delle successioni diciamo che

i) xnn∈N e una successione strettamente crescente se xn < xn+1, ∀n ∈ N;

ii) xnn∈N e una successione non decrescente se xn ≤ xn+1, ∀n ∈ N;

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Limiti e continuita 91

iii) xnn∈N e una successione strettamente decrescente se xn > xn+1, ∀n ∈ N;

iv) xnn∈N e una successione non crescente se xn ≥ xn+1, ∀n ∈ N.

Una successione xnn∈N e monotona se verifica una delle quattro condizioni dicrescita o decrescita scritte sopra, e strettamente monotona se verifica i) o iii).

Esempio 2.29 (Successioni monotone)

i) xn = nn∈N e una successione strettamente crescente;

ii) xnn∈N, xn = n/2 se n e pari oppure 0, xn = (n− 1)/2 se n e dispari, e unasuccessione non decrescente;

iii) xn = −nn∈N e una successione strettamente decrescente;

iv) xn = [−n/2]n∈N e una successione non crescente.

Osservazione 2.5 Nel caso delle successioni, ogni proprieta varra anche se certecondizioni non sono verificate per tutti i valori dell’indice n ma solo da un certoindice k ∈ N in avanti. In tal caso si dira che la condizione vale definitivamente.La successione xn = 1/(n + 1)n∈N converge a zero cosı come la successioney0 = 1, y1 = −2, y3 = 70, xk = 1/k, k ≥ 4. Aver cambiato un numero finito ditermini non cambia il carattere della successione.

Teorema 2.9 (Teorema delle successioni monotone) Ogni successione mo-notona ammette limite. In particolare ogni successione monotona e limitata econvergente, cioe ammette limite finito.

Dimostrazione. Vediamo la dimostrazione considerando il caso di successione nondecrescente (negli altri casi i ragionamenti sono analoghi con cambi opportuni nelle di-suguaglianze). Indichiamo con xnn∈N la successione. Nel caso di successione non de-crescente e non limitata, si ha che comunque si scelga M ∈ R, esiste almeno un xn > M .Ma, per k ≥ n la monotonia implica xk ≥ xn ≥ M . Segue che,

∀M ∈ R, ∃n ∈ N : ∀ k ∈ N, k ≥ n xk ≥ M,

quindi la successione tende a +∞ per n → +∞.Per una successione limitata (serve la limitazione superiore perche nel caso considerato lamonotonia implica la limitazione inferiore), si ha |xn| ≤ C, ∀n ∈ N, per una opportunacostante reale C. L’insieme immagine

I = xn : x ∈ Ne quindi non vuoto e limitato da cui si deduce che esiste l’estremo superiore s = sup(I) ∈R. Per ogni ε > 0, il numero s − ε non puo essere un maggiorante (altrimenti sarebbepiu piccolo di s), ne segue che esiste almeno un xn > s− ε. Per la monotonia, per k ≥ nsi ha ancora, xk ≥ xn > s − ε. Osservando che se s e maggiorante anche s + ε lo e, siconclude che

∀ ε > 0, ∃n ∈ N : ∀ k ∈ N, k ≥ n s− ε < xk < s + ε,

da cui si deduce che la successione converge a s per n → +∞.

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92 Capitolo 2

Il Teorema delle successioni monotone ora enunciato e importante perche permettedi dimostrare l’esistenza del limite di una successione e di poter porre “buonedefinizioni”. Va notato come sia indispensabile la proprieta di completezza di Rin questo contesto.

Esempio 2.30 (Il numero e va in banca) Supponiamo di investire un certocapitale x, per esempio x = 1000 (valuta in Euro), e che una data banca ci assicuraun interesse semplice del 6% annuo. Cosa significa? Significa che il nostro capitaleproduce un interesse, sempre lo stesso, per ogni anno e che l’interesse maturatoe come se venisse accumulato in un conto a parte, che non produce interessi.Percio il valore complessivo (capitale piu interessi, ovvero il montante) cresce diquantita uguali in tempi uguali ossia, graficamente, cresce secondo una retta. Nelnostro esempio maturiamo un interesse annuo di I = 60, dopo un anno avremoun montante m di m = 1060, al secondo anno di 1120 e cosı via. Non c’e nessunaragione, tuttavia, perche del denaro lasciato in deposito (capitale o interesse) nondebba dar diritto a interessi. Un modo alternativo di procedere consiste nel faraffluire l’interesse maturato nello stesso conto del capitale rendendolo fruttifero“istantaneamente”: e questa la capitalizzazione continua. In realta gli interessivengono aggiunti al capitale alla fine di periodi fissi. Nel nostro caso, se questoavvenisse ogni anno, alla fine del primo anno avremmo 1000 ·(1.06), dopo due anni1000 · (1.06) · (1.06), dopo a anni abbiamo un capitale di 1000 · (1.06)a. In generalepartendo da un capitale C0 con un tasso di interesse r, nell’esempio r = 0.06,allora dopo t anni abbiamo la bella cifra di C0(1 + r)t. Comunemente gli interessisono valutati piu frequentemente, diciamo m volte all’anno (per esempio m = 4,ovvero con scadenza trimestrale). In ogni periodo il tasso di interesse e r/m e permt periodi di conteggio in t anni abbiamo sul conto

C0

(1 +

r

m

)mt

.

Per m → +∞ stiamo, in un certo senso, calcolando l’interesse in modo continuo eil valore C(t) dell’investimento vale

C(t) = limm→+∞

C0

(1 +

r

m

)mt

= limm→+∞

C0

[(1 +

r

m

)m/r]rt

.

Posto n = m/r abbiamo

C(t) = C0 limn→+∞

[(1 +

1n

)n]rt

.

Consideriamo la successione xn = (1 + 1/n)n, n ∈ N∗. Ricordiamo la formula delbinomio

(a + b)n =n∑

k=0

(nk

)ak bn−k,

dove (nk

)=

n!(n− k)!k!

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Limiti e continuita 93

indica il coefficiente binomiale e n! il fattoriale dell’intero non negativo n definitoin modo ricorsivo come

n! =

1 n = 0n(n− 1)! n ≥ 1.

Abbiamo(

1 +1n

)n

=n∑

k=0

(nk

) 1nk

=n∑

k=0

1k!

(1− 1

n

)(1− 2

n

)· · ·

(1− k − 1

n

).

Se nell’ultima formula al posto di n sostituiamo n + 1 ognuno dei termini (tuttipositivi) della somma al secondo membro non diminuisce e il numero degli addendiaumenta, quindi (

1 +1n

)n

<

(1 +

1n + 1

)n+1

,

ovverosia la successione e monotona. Inoltre3 per n ≥ 1

2 <

(1 +

1n

)n

<

n∑

k=0

1k!

= 1 + 1 +12

+1

2 · 3 + . . . +1

2 · 3 · · ·n <

< 1 +(

1 +12

+122

+ . . . +1

2n−1

)∗=1 +

1− 12n

1− 12

< 3.

La successione e anche limitata e quindi ha limite finito, tale limite e il numeroirrazionale e (base dei logaritmi naturali o costante di Nepero) le cui prime cifresono

e = 2.71828182845905 . . .

Per il nostro investimento avremo quindi

C(t) = C0ert.

Osserviamo che come conseguenza del precedente limite abbiamo anche

limn→+∞

(1 +

λ

n

)n

= limn→+∞

(1 +

1n

)λn

= eλ, λ ∈ R.

Esempio 2.31 (Ne so una piu di Erone) Vogliamo considerare un procedi-mento per l’approssimazione della radice quadrata di un numero a > 0. Conside-riamo il caso a > 1, dato che a questo possiamo ricondurci se a < 1 dato che perb = 1/a > 1 si ha

√a = 1/

√b (l’idea che utilizzeremo risale al matematico greco

Erone). Se x0 ∈ R e un numero maggiore di√

a, allora x∗ = a/x0 sara una stimaper difetto della stessa radice, infatti

x20 > a =⇒ x2

∗ =a2

x20

<a2

a= a.

3Per l’uguaglianza∗=, si veda pag. 16 con p = 1/2.

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94 Capitolo 2

Se facciamo la media aritmetica della stima per eccesso e della stima per difetto

x0 + x∗2

=12

(x0 +

a

x0

)

si ottiene una nuova approssimazione x1 di√

a. Possiamo iterare il procedimentoe ottenere la successione definita per ricorrenza,

xn+1 =12

(xn +

a

xn

), x0 assegnato.

Supponiamo x0 ≥√

a (per esempio lo stesso valore x0 = a va bene), allora sidimostra che xn ≥ √

a, ∀n ∈ N. Infatti si ha x0 ≥√

a per ipotesi. Inoltre siosserva che

xn+1 ≥√

a ⇐⇒ x2n+1 ≥ a ⇐⇒ 1

4

(x2

n +a2

x2n

+ 2a

)≥ a.

Ora, 0 ≤ (x2n−a)2 ≤ x4

n−2ax2n+a2. Dividendo per x2

n, otteniamo x2n+a2/x2

n ≥ 2a.Pertanto la somma dei termini tra parentesi tonde supera il valore 4a e quindil’ultima disuguaglianza e vera. La successione e quindi limitata inferiormente,xn ≥ √

a, ∀n ∈ N. Dimostriamo ora che la successione e una successione noncrescente,

xn+1 ≤ xn ⇐⇒ 12

(xn +

a

xn

)≤ xn ⇐⇒ xn +

a

xn≤ 2xn ⇐⇒ a ≤ x2

n,

e l’ultima disuguaglianza e vera perche abbiamo appena dimostrato la limitazioneinferiore. La successione generata dal Metodo di Erone e limitata e monotona (nelcaso in cui x0 ≤

√a ci si riporta alle stesse condizioni perche x∗ ≥

√a) e quindi

convergente, xn → L. Utilizzando le leggi per il calcolo dei limiti, essendo L 6= 0,si ottiene

L = limn→+∞

xn+1 = limn→+∞

12

(xn +

a

xn

)=

12

(L +

a

L

),

quindi

L =12

(L +

a

L

)⇒ L =

√a.

La successione converge al valore desiderato.

Esiste un legame importante e intuitivo tra limiti di funzioni reali e limiti disuccessioni. In particolare se esiste il limite L (finito o infinito) di f per x → x0

(finito o infinito), vuol dire che indipendentemente dal modo con cui ci si avvicina ax0 il valore della funzione, prima o poi, si avvicinera a L. In termini di successioni,il limite

limx→x0

f(x) = L

esiste se per ogni successione ann∈N, a valori nel dominio di f , tale che an 6= x0

∀n ∈ N e convergente verso x0 si ha

limn→+∞

f(an) = L.

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Limiti e continuita 95

Nel caso di una funzione continua, possiamo togliere il vincolo an 6= x0 e osservareche l’operazione di limite e di valutazione della funzione possono commutare tradi loro:

limn→+∞

f(an) = f

(lim

n→+∞an

).

Esempio 2.32 (Soluzione del Problema A) Abbiamo visto che le funzioni es-ponenziali ax, a > 0 sono funzioni continue. Ne consegue che data una successionerkk∈N di numeri razionali tali che limk→∞ rk = x avremo

limk→∞

ark = alimk→∞ rk = ax.

Esempio 2.33 (Un limite che non esiste) Spesso l’equivalenza per l’esistenzadel limite con successioni viene utilizzata per dimostrare che qualche limite nonesiste. Per esempio per la funzione f(x) = sin (1/x), x > 0, non esiste il limitedestro per x → 0+. Infatti esistono due successioni ann∈N e bnn∈N che tendonoa zero ma che forniscono due differenti valori limite per f(an) e f(bn). Per esempioper an = 1/(n+1)π e bn = 1/(π/2+2nπ) si ottiene f(an) = 0, f(bn) = 1 per ognin ∈ N e quindi due limiti differenti.

Anche per le funzioni reali abbiamo vari tipi di monotonia, per una funzione fdiremo che

i) f e strettamente crescente quando ∀x,y ∈ dom(f), x < y ⇒ f(x) < f(y);

ii) f e non decrescente quando ∀x,y ∈ dom(f), x < y ⇒ f(x) ≤ f(y);

iii) f e strettamente decrescente quando ∀x,y ∈ dom(f), x < y ⇒ f(x) > f(y);

iv) f e non crescente quando ∀x,y ∈ dom(f), x < y ⇒ f(x) ≥ f(y).

Per le funzioni monotone (ossia che soddisfano una delle quattro condizioni prece-denti), in un certo senso, l’operazione di limite e sempre possibile. Sia f : (a,b) → Rcon a,b ∈ R ∪ −∞, +∞, a < b, allora se f e monotona

∃ limx→x−0

f(x), ∀x0 ∈ (a,b],

∃ limx→x+

0

f(x), ∀x0 ∈ [a,b).

Quindi una funzione monotona non potra avere punti di infinito interni ma, even-tualmente, solo salti. Puo invece accadere che ci siano degli asintoti verticali agliestremi, finiti, dell’intervallo di definizione.

Ogni funzione strettamente monotona (ossia strettamente crescente o stretta-mente decrescente) e invertibile, infatti la stretta monotonia implica l’iniettivita(se x 6= y e x,y ∈ dom(f) accadra che f(x) < f(y) oppure f(x) > f(y), in ognicaso f(x) 6= f(y)). La funzione inversa f−1 risultera essere anch’essa una funzionemonotona con il medesimo tipo di monotonia di f (crescente o decrescente). Lacomposizione di funzioni monotone risulta essere una funzione monotona. Biso-gna fare attenzione. Se f e g possiedono lo stesso tipo di monotonia allora f g

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96 Capitolo 2

e sempre o strettamente crescente (o non decrescente). Se invece f e g hannodiverso tipo di monotonia allora f g e sempre strettamente decrescente (o noncrescente).

Osservazione 2.6 Si possono incontrare nelle applicazioni disuguaglianze del ti-po

f(x) < g(x), oppure f(x) ≤ g(x),

e si vuole discutere in quale insieme A siano verificate. Alcuni esempi sono statidiscussi nel capitolo precedente. A volte si compongono entrambi i membri con unafunzione al fine di ottenere delle semplificazioni. La monotonia della composizionegioca un ruolo fondamentale. Per esempio, la prima delle disuguaglianze scritte eequivalente a f3(x) < g3(x), perche risulta dalla composizione con y = x3, x ∈ Rche sappiamo essere strettamente crescente. Al contrario, non e equivalente af2(x) < g2(x) perche la funzione y = x2 non ha lo stesso tipo di monotonia sututta la retta reale (in (−∞,0] e strettamente decrescente, mentre in [0, + ∞) estrettamente crescente).

La continuita associata alla stretta monotonia permette di dimostrare la continuitadi varie funzioni inverse.

Teorema 2.10 (Continuita della funzione inversa) Sia f : I → R una fun-zione continua, strettamente monotona sull’intervallo I ⊆ R. Posto J = f(I),insieme immagine, la funzione inversa f−1 : J → I e continua e strettamentemonotona.

Esempio 2.34 Dal teorema ora enunciato discende la monotonia e la continuitadi varie funzioni continue elementari tra cui,

• la radice n-esima, n√

x;

• le funzioni logaritmiche, loga (x), 0 < a 6= 1;

• le funzioni arcocoseno, arcoseno, arcotangente.

2.5 Alcune dimostrazioni

Per completezza consideriamo in questo paragrafo alcune dimostrazioni dei risul-tati solo enunciati nel capitolo. Se da un lato rappresentano un utile esercizioper approfondire quanto appreso, dall’altro alcune dimostrazioni sono legate adalgoritmi applicabili dal punto di vista numerico.

Teorema 2.11 (Teorema degli Zeri) Sia f : [a,b] → R continua in [a,b], sef(a)f(b) < 0, allora esiste c ∈ (a,b) tale che f(c) = 0.

Dimostrazione. (Metodo di bisezione) Diamo una dimostrazione costruttivafornendo un algoritmo che determina il punto c, utilizzeremo il procedimento di bisezione.Per esempio, non e limitativo, sia f(a) > 0 e f(b) < 0. Posto, a0 = a, b0 = b e chiamatom0 = (a0 + b0)/2 il punto medio del segmento di estremi a0 e b0, valutiamo f(m0).Avremo

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Limiti e continuita 97

• se f(m0) = 0 allora uno zero e m0, quindi c = m0;

• se f(a0)f(m0) < 0 allora uno zero sta nell’intervallo [a0,m0] = [a1,b1];

• se f(a0)f(m0) > 0 allora uno zero sta nell’intervallo [m0,b0] = [a1,b1].

Indichiamo con [a1,b1] il nuovo intervallo in cui cercheremo c, in ogni caso, a meno chef(m0) = 0, avremo per costruzione che f(a1)f(b1) < 0. Ripetiamo la stessa operazionein modo ricorsivo, calcoliamo il punto medio m1 = (a1 + b1)/2 e selezioniamo il sot-tointervallo che conservi agli estremi valori opposti della funzione f (oppure ci fermiamoperche lo zero e nel punto medio m1), si veda la Figura 2.16. Nel caso in cui non ci

0 0.5 1 1.5 2 2.5−4

−3.5

−3

−2.5

−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

a0=a

1 b

0

m0=(a

0+b

0)/2=b

1=b

2

a2=a

3

b3

Figura 2.16 Illustrazione grafica di alcune iterazioni del metodo di bisezione.

si fermi mai, perche il valore f(mk) del punto medio al passo k-esimo e sempre diversoda zero, si generano due successioni ann∈N, bnn∈N (estremi dei sottointervalli) cona0 = a, b0 = b e, per costruzione,

a = a0 ≤ a1 ≤ a2 ≤ . . . ≤ bn ≤ . . . ≤ b2 ≤ b1 ≤ b0 = b, f(an)f(bn) < 0 n ≥ 0,

inoltre, per le lunghezze degli intervalli,

bn − an =1

2(bn−1 − an−1) =

1

4(bn−2 − an−2) = . . . =

b− a

2n.

La successione ann∈N e non decrescente e limitata, ammette limite finito α. Lasuccessione bnn∈N e non crescente e limitata, ammette limite finito β. Abbiamo quindi

limn→+∞

an = α, limn→+∞

bn = β, limn→+∞

(bn − an) = limn→+∞

b− a

2n= 0,

da cui si deduce α = β. Indichiamo con c questo valore comune, per le scelte fatte

f(an) > 0 ⇒ limn→+∞

f(an) ≥ 0, f(bn) < 0 ⇒ limn→+∞

f(bn) ≤ 0,

e quindi, dalla continuita di f , f(α) = f(c) ≥ 0, f(β) = f(c) ≤ 0, da cui f(c) = 0.

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98 Capitolo 2

Teorema 2.12 (Teorema dei valori intermedi) Sia f : [a,b] → R continua in[a,b], se y e un numero reale compreso tra f(a) e f(b) allora esiste un numeroreale r ∈ (a,b) tale che f(r) = y.

Dimostrazione. Consideriamo il caso f(a) < y < f(b), al solito non e limitativo.Costruiamo la funzione g(x) = f(x)− y, x ∈ [a,b], il valore y e fissato. Abbiamo

g(a) = f(a)− y < 0, g(b) = f(b)− y > 0,

essendo g continua, differenza di f e di una funzione costante, allora possiamo applicareil Teorema degli zeri e dedurre che esiste un punto r ∈ (a,b) tale che g(r) = 0 e quindif(r) = y.

Teorema 2.13 (Teorema di Weierstrass) Sia f : [a,b] → R continua in [a,b],allora esiste un numero reale positivo k tale che

|f(x)| ≤ k, ∀x ∈ [a,b].

Esistono inoltre due punti x0 (punto di minimo assoluto) e x1 (punto di massimoassoluto) tali che

f(x0) ≤ f(x) ≤ f(x1), ∀x ∈ [a,b].

Dimostrazione. Mostriamo che f e limitata superiormente (in modo analogo sidimostra per la limitazione inferiore). Per ogni n ∈ N sia In l’insieme dei punti x tali chef(x) > n,

In = x ∈ [a,b] : f(x) > n.Supponiamo che In 6= ∅ per ogni n. L’insieme In e limitato inferiormente perche x ≥ a,segue che esiste l’estremo inferiore an = inf(In). Si ha a ≤ an ≤ b, ∀n ∈ N. Inoltref(an) ≥ n (altrimenti esisterebbe un intorno destro di an in cui f(x) < n e an nonsarebbe l’estremo inferiore). Per ogni n si ha

In+1 ⊆ In ⇒ an+1 ≥ an.

La successione ann∈N e una successione non decrescente e limitata e quindi ammettelimite finito, chiamiamolo α, per la continuita di f si ha

limn→+∞

an = α, α ∈ [a,b] =⇒ f(α) ∈ R.

Ma la successione an e tale che f(an) ≥ n per ogni n e quindi la successione f(an)n∈Nnon e limitata e non puo convergere a f(α). La contraddizione e dovuta dall’aver suppostoIn 6= ∅, ∀n ∈ N, quindi la funzione f e limitata superiormente.

Per la seconda parte del teorema, sappiamo che l’insieme

im(f) = f(x), x ∈ [a,b]e non vuoto e limitato, ammette quindi estremo superiore, s = sup(im(f)). Se ∃x0 ∈[a,b] tale che f(x0) = s, questo x0 e un punto di massimo assoluto. Se, per assurdo,f(x) 6= s, ∀x ∈ [a,b], la funzione

g(x) =1

s− f(x)

e continua in [a,b], la funzione e quindi limitata (lo abbiamo dimostrato nella primaparte)

∃C > 0 : |g(x)| ≤ C ∀x ∈ [a,b].

Da questo segue che f(x) ≤ s− 1/C, quindi abbiamo trovato un maggiorante piu piccolodi s: abbiamo una contraddizione per la definizione di s. In modo analogo si ragiona peril punto di minimo assoluto.

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Limiti e continuita 99

Esercizi

Esercizio 2.1 Calcolare i seguenti limiti

(i) limx→1

3x4 + 2x + 1

5x3 + 3x + 2, (ii) limx→2

x3−3x−2x2+x−6

,

(iii) limx→−1

[log2

x + 1√(6x2 + 3) + 3x

], (iv) limx→3+

|x−3|x−3

,

(v) limx→0

1− cos x

x2, (vi) limx→0

log (1+x)x

.

Esercizio 2.2 Calcolare i seguenti limiti

(i) limn→+∞

n4 + 2n + 1

5n3 + n + 2, (ii) limn→+∞ sin

(√x+1

x+2

),

(iii) limn→+∞ xn, xn =

1/n, se n = 2k − 1

n/(n + 1), se n = 2k,

(iv) limn→+∞

(1 +

1

n2

)n

.

Esercizio 2.3 Trovare al variare dei parametri i seguenti limiti

L1(x) = limn→+∞

x2n − 1

x2n + 1, x ∈ R;

L2(α) = limx→0

1− cos x

|x|α + x2, α ∈ R.

Esercizio 2.4 Discutere la continuita delle seguenti funzioni

f1(x) =

3 sin (2x− π) se x < 0(x− 2)2 se x ∈ [0,2)−x + 3 se x ≥ 2

; f2(x) = [sin (x)];

f3(x) =

sin (x)/x se x > cb se x = cax + b se x < c

a, b, c ∈ R; f4(x) =

0 se x ∈ Qx se x ∈ R \Q .

Esercizio 2.5 Studiare la convergenza della successione xnn∈N definita per ricorren-za come

xn =

1 se n = 0√

2 + xn−1 se n ≥ 1.

Esercizio∗ 2.6 Studiare al variare di a ∈ R le soluzioni di

ax = log

∣∣∣∣x− 1

x

∣∣∣∣ .

Esercizio 2.7 Utilizzando il Teorema dei valori intermedi trovare un intervallo in cuile seguenti equazioni hanno almeno una soluzione

(i) x2 −√x + 1 = 0; (ii) cos x− x = 0; (iii) sin x− 1 + x = 0.

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100 Capitolo 2

Esercizio 2.8 Trovare eventuali asintoti delle seguenti funzioni,

f1(x) =5x

x− 3, f2(x) =

1

x+ 3x2, f3(x) =

√(1 + x2) sin (1/x), f4(x) = xe1/x.

Esercizio∗ 2.9(1) Dimostrare che se f : [0,1] → [0,1] e una funzione continua allora esiste c ∈ [0,1] taleche c = f(c) (punto fisso).(2) Trovare una funzione iniettiva e continua f : A → R con inversa non continua.

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3Derivata di una funzione

3.1 La derivata: diversi punti di vista

Abbiamo gia anticipato nel capitolo precedente come il concetto di derivata trovigiustificazione in vari problemi di diversa natura. Sinteticamente potremmo direche parlare di derivate risulta “naturale” ogni volta che abbiamo a che fare con lostudio della variazione di una grandezza rispetto a un altra.

Esempio 3.1 (Pendenza retta tangente) Abbiamo gia individuato, parlandodi limiti, il problema della determinazione della pendenza della retta tangente inun punto al grafico di una funzione (problema D, Capitolo 2). Risulta naturalepensare la retta tangente al grafico di una funzione f come “posizione limite”delle rette secanti il grafico della stessa funzione. Sia P (x0,f(x0)) il punto in cuivogliamo valutare la pendenza della retta tangente, e Q(x,f(x)) un qualsiasi altropunto del grafico di f , x 6= x0. La pendenza m(x) della retta PQ vale

m(x) =f(x)− f(x0)

x− x0=

incremento di f

incremento di x,

questo rapporto e detto rapporto incrementale o quoziente di Newton. Con uncambiamento di variabile, x = x0 + h, h ∈ R, il rapporto incrementale si puoscrivere come

f(x0 + h)− f(x0)h

.

La pendenza limite sara dunque

limx→x0

f(x)− f(x0)x− x0

= limh→0

f(x0 + h)− f(x0)h

,

e rappresenta la definizione naturale di pendenza della retta tangente.

Esempio 3.2 (Legge del moto, velocita e accelerazione) Supponiamo cheun oggetto si muova lungo una linea retta e che la posizione y sia una funzionedel tempo t, y = s(t). La velocita media vm dell’oggetto nell’intervallo di tempo[t,t + h], h > 0 e data dalla variazione di posizione rispetto alla variazione deltempo

vm =s(t + h)− s(t)

h.

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102 Capitolo 3

Cosa accade per valori h sempre piu vicini a 0? Il limite della velocita media perh → 0 fornisce la velocita istantanea dell’oggetto all’istante t

v(t) = limh→0

s(t + h)− s(t)h

.

Si noti che a sua volta la velocita istantanea e una funzione del tempo. Abbiamoquindi che l’accelerazione media dell’oggetto nello stesso intervallo di tempo saradata dalla variazione della velocita rispetto alla variazione del tempo

am =v(t + h)− v(t)

h.

Potremo quindi definire l’accelerazione istantanea dell’oggetto come

a(t) = limh→0

v(t + h)− v(t)h

.

Esempio 3.3 (Tasso di accrescimento) La variazione di una popolazione dicellule puo essere determinata tramite un opportuno rapporto incrementale. Siap(t) il numero di cellule al tempo t, il tasso di accrescimento medio nell’intervallo[t0,t1] e uguale a

r(t1,t0) =p(t1)− p(t0)

t1 − t0.

Puo essere utile considerare la variazione istantanea ed e ragionevole definirla conil limite di r(t1,t0) per t1 che tende a t0

limt1→t0

p(t1)− p(t0)t1 − t0

= L(t0).

Se L(t0) > 0 vuol dire che al tempo t0 la popolazione sta crescendo con rapiditadi L(t0) individui/unita di tempo. Per L(t0) = 0, la popolazione al tempo t0non cambia (e stazionaria), mentre se L(t0) < 0 significa che la popolazione stadiminuendo con tasso dato da L(t0).

Dagli esempi fatti il tema ricorrente e la valutazione dell’andamento del rapportotra la variazione di due quantita attraverso un processo di limite.

Definizione 3.1 (Derivata) Sia f : I → R, I intervallo di R, e sia x0 ∈ I unpunto interno a tale intervallo. Se esiste il limite

limx→x0

f(x)− f(x0)x− x0

,

tale limite prende il nome di derivata della funzione f nel punto x0, e viene indicatocon f ′(x0). Se il limite e finito, la funzione e detta derivabile in x0.

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Derivata di una funzione 103

Osservazione 3.1 (Notazioni) La derivata di f in x0 puo essere indicata inmodi differenti1, tra cui

f ′(x0), y′,df

dx

∣∣∣∣x=x0

,dy

dx.

Normalmente utilizzeremo il primo simbolo f ′(x0) salvo quando sara comodoricorrere a un altro. Se scriviamo x = x0 + h, si ottiene la definizione equivalente

f ′(x0) = limh→0

f(x0 + h)− f(x0)h

.

Nel caso in cui I = [a,b], se x0 = a oppure x0 = b si puo parlare di derivata destraf ′+(a) in x0 = a e di derivata sinistra f ′−(b) in x0 = b se esistono i limiti

f ′+(a) = limx→a+

f(x)− f(a)x− a

, f ′−(b) = limx→b−

f(x)− f(b)x− b

,

o gli analoghi limiti per h → 0+ oppure per h → 0−. Ovviamente la derivata inx0, punto interno, esiste se e solo se esistono e sono uguali la derivata destra esinistra in x0, f ′+(x0) = f ′−(x0).

Osservazione 3.2 Nella definizione data si richiede che il limite esista. Il concettodi derivata (ma non di funzione derivabile in un punto) comprende anche derivateinfinite (ossia con limite del rapporto incrementale uguale a +∞ oppure a −∞).Dal punto di vista della retta tangente vedremo che questo significa che tale rettapotra risultare verticale e parallela all’asse delle ordinate.

Nella Tabella 3.1 riportiamo l’uso della derivata in ambiti differenti con la corris-pondente terminologia.

variabile funzione significato funzione significato derivata

t, tempo s(t) spostamento nel tempo velocitat, tempo v(t) velocita accelerazionet, tempo q(t) quantita di carica elettrica intensita correntev, volume m(v) massa volumetrica densita di massap, prodotto k(p) costo produzione costo marginalet, tempo C(t) concentrazione reagente velocita di reazione

Tabella 3.1 Alcuni significati della derivata nelle scienze applicate.

1La notazione differenziale dy/dx (oppure df/dx) cosı come la parola derivata sono dovutea G.W.Leibniz. La notazione y′ (oppure f ′(x)) fu successivamente introdotta da L.Lagrange.La notazione di Leibniz e piu diffusa nell’ambito delle scienze applicate. Si noti come in talenotazione la derivata e descritta come il rapporto tra l’incremento “infinitamente” piccolo dy(oppure df) e il corrispondente incremento “infinitamente” piccolo dx. Si tratta evidentementedi un concetto non rigoroso ma altamente espressivo.

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104 Capitolo 3

Esempio 3.4 (Calcolo di derivate dalla definizione) Calcoliamo le derivatedelle funzioni elementari, f0(x) = c (costante) in x0 = 2; f1(x) =

√x, in x0 = 1

e x0 = 0; f2(x) = sin x in x0 = 0; f3(x) = x2 in x0 = 1. Ogni funzione siaconsiderata in un intervallo contenente il punto x0 assegnato. Abbiamo

f ′0(2) = limx→2

f0(x)− f0(2)x− 2

= limx→2

c− c

x− 2= 0;

f ′1(1) = limh→0

f1(1 + h)− f1(1)h

= limh→0

√(1 + h)− 1

h=

= limh→0

(√

(1 + h)− 1)(√

(1 + h) + 1)h(

√(1 + h) + 1)

= limh→0

h

h(√

(1 + h) + 1)=

12;

f ′1,+(0) = limh→0+

f1(h)− f1(0)h

= limh→0+

√h

h= +∞;

f ′2(0) = limh→0

f2(h)− f2(0)h

= limh→0

sin h

h= 1;

f ′3(1) = limx→1

f3(x)− f3(1)x− 1

= limx→1

x2 − 1x− 1

= limx→1

(x− 1)(x + 1)x− 1

= 2.

Esempio 3.5 (Valore assoluto) Consideriamo la funzione valore assolutof(x) = |x|, x ∈ R, e x0 = 0, si ha

limx→0

|x| − |0|x− 0

= limx→0

|x|x

= limx→0

sign(x).

Sappiamo che quest’ultimo limite non esiste (vale 1 a destra e −1 a sinistra), quindif non ha derivata in 0 e non e derivabile in questo punto.

Esempio 3.6 (Equazione retta tangente) Sia f : I → R, x0 ∈ I, la ret-ta tangente in (x0,f(x0)) ha pendenza f ′(x0). Nel caso di funzione derivabile,f ′(x0) ∈ R, abbiamo per x 6= x0

f ′(x0) =y − f(x0)x− x0

,

da cui la retta tangente Tx0 ha equazione (si veda la Figura 3.1),

Tx0 = f(x0) + f ′(x0)(x− x0).

Se f ′(x0) = +∞ (o −∞), possiamo considerare come retta tangente la retta diequazione x = x0. Si osservi come nelle vicinanze del punto x0 il grafico della rettatangente Tx0 e il grafico di f siano “confondibili” tra di loro.

Sia f : I → R, possiamo considerare i punti del dominio I in cui tale funzione ederivabile e costruire una nuova funzione che associ a x il valore finito f ′(x),

x 7→ f ′(x), f derivabile in x.

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Derivata di una funzione 105

f′ (x0)= Coeff. angolare

di Tx

0

x

y f

x0

(x0,f(x

0))

Tx

0

y

Figura 3.1 La retta tangente.

La nuova funzione cosı definita si chiama funzione derivata e sara indicata conf ′(x).

Esempio 3.7 (Derivate di alcune funzioni) Se consideriamo la funzionef(x) = c (costante), x ∈ R, facilmente si verifica che f ′ e definita su tutta laretta reale e che f ′(x) = 0, ∀x ∈ R. Se f(x) = x dalla definizione otteniamosubito

limh→0

x + h− x

h= 1, ∀x ∈ R.

Consideriamo adesso la funzione valore assoluto. Per x 6= 0 la funzione f(x) = |x|e derivabile e risulta f(x) = sign(x). Infatti f(x) = x se x ≥ 0 e f(x) = −x sex < 0. Quindi dal caso precedente la derivata della funzione varra f ′(x) = 1 sex > 0 e f ′(x) = −1 se x < 0. Ossia f ′(x) = sign(x), x 6= 0.Calcoliamo ora le derivate di f(x) = x2 e f(x) = 1/x. Nel primo caso otteniamo

limh→0

(x + h)2 − x2

h= lim

h→0

2hx + h2

h= lim

h→0(2x + h) = 2x.

Nel secondo

limh→0

1x + h

− 1x

h= lim

h→0

x− (x + h)h(x + h)x

= limh→0

− 1(x + h)x

= − 1x2

.

Infine la funzione radice f(x) =√

x, x ≥ 0 fornisce

f ′(x) = limh→0

√x + h−√x

h= lim

h→0

(√

x + h−√x)(√

x + h +√

x)h(√

x + h +√

x)

= limh→0

x + h− x

h(√

x + h +√

x)= lim

h→0

1√x + h +

√x

=1

2√

x.

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106 Capitolo 3

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5−0.5

0

0.5

1

1.5

2

|x|

x

y

0

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

sign(x)

x

y

0

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

x2

x

y

0

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5

−3

−2

−1

0

1

2

32x

x

y

0

Figura 3.2 Le funzioni |x| e x2 e le rispettive derivate sign(x) e 2x.

Si noti che non sempre le funzioni f e f ′ hanno il medesimo dominio, per esempio(si vedano le Figure 3.2 e 3.3)

f(x) = |x|, x ∈ R ⇒ f ′(x) = sign(x), x ∈ R \ 0;

f(x) =√

x, x ≥ 0 ⇒ f ′(x) =1

2√

x, x > 0.

Esempio 3.8 (Derivata di un monomio) Sia ora g(x) = xp, p ∈ N, p > 0, siha

limh→0

g(x + h)− g(x)h

= limh→0

(x + h)p − xp

h,

ricordando che la differenza tra potenze ap − bp si puo scrivere come

ap − bp = (a− b)(ap−1 + ap−2b + . . . + abp−2 + bp−1),

si ottiene

limh→0

h

h

((x + h)p−1 + (x + h)p−2x + . . . + (x + h)xp−2 + xp−1

)= pxp−1.

L’ultima uguaglianza segue dal fatto che abbiamo p termini tutti convergenti axp−1 per h → 0. Si deduce quindi che la funzione derivata esiste per ogni x realee p > 0 in N

g(x) = xp ⇒ g′(x) = pxp−1.

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Derivata di una funzione 107

1/x -1/x2

−5 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 5−5

−4

−3

−2

−1

0

1

2

3

4

5

x

x

y

0

−6 −4 −2 0 2 4 6−7

−6

−5

−4

−3

−2

−1

0

1

2

x

x

y

0

√x 1/2

√x

0 1 2 3 4 5 6−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

x

x

y

0

0 1 2 3 4 5 6−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

x

x

y

0

Figura 3.3 Le funzioni 1/x e√

x e le rispettive derivate −1/x2 e 1/2√

x.

La formula precedente in realta risulta valida per tutti i valori di x e p in R per iquali e definito xp−1.

Esempio 3.9 (Esponenziale e logaritmo naturale) Abbiamo incontrato nelcapitolo precedente il numero e come limite per x →∞ della funzione

(1 +

1x

)x

.

Se nelle funzioni esponenziali e logaritmiche scegliamo a = e, con e costante diNepero, otteniamo la funzione esponenziale

y = ex, x ∈ R,

la cui inversa e detta logaritmo naturale

loge y = ln y = x, x > 0.

Tali funzioni godono di particolari proprieta che affronteremo nel seguito delcapitolo. Per ora osserviamo che il limite

limx→0

ln (1 + x)x

= 1.

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108 Capitolo 3

Segue infatti da

ln (1 + x)x

= ln (1 + x)1/x = ln(

1 +1z

)z

,

dove z = 1/x. Nel caso di limite destro, abbiamo quindi

limx→0+

ln (1 + x)x

= limz→+∞

ln(

1 +1z

)z

= ln (e) = 1,

analogamente per il limite sinistro. Questo dimostra che

d

dxln (1 + x)|

x=0= 1.

3.2 Regole di calcolo

Come nel caso dei limiti e della continuita, ai fini del calcolo e essenziale conoscere ilcomportamento dell’operazione di derivazione rispetto alle operazioni tra funzioni.Dalle proprieta dei limiti segue immediatamente il seguente teorema.

Teorema 3.1 (Regole di derivazione) Siano f, g due funzioni definite in unintervallo I e derivabili in x0 ∈ I, c una costante reale, allora

i) la funzione cf e derivabile in x0 e (cf)′(x0) = cf ′(x0);

ii) la funzione f + g e derivabile in x0 e (f + g)′(x0) = f ′(x0) + g′(x0);

iii) la funzione f − g e derivabile in x0 e (f − g)′(x0) = f ′(x0)− g′(x0);

iv) la funzione fg e derivabile in x0 e (fg)′(x0) = f ′(x0)g(x0) + f(x0)g′(x0);

v) se g(x0) 6= 0 la funzione f/g e derivabile in x0 e vale

(f/g)′(x0) =f ′(x0)g(x0)− f(x0)g′(x0)

(g(x0))2.

Dimostrazione. Riportiamo la dimostrazione solo per la regola ii) e la regola iv)come esercizio sulla definizione di derivata (tutte le regole di calcolo sono dimostrabiliattraverso la definizione). Nel caso di ii) abbiamo

limh→0

(f + g)(x0 + h)− (f + g)(x0)

h= lim

h→0

(f(x0 + h)− f(x0)) + (g(x0 + h)− g(x0))

h,

e dalla regola sulla somma di limiti l’ultimo limite vale f ′(x0)+g′(x0). Per la iv) occorresommare e togliere la quantita f(x0 + h)g(x0) al numeratore del rapporto incrementalein modo tale da “separare” il contributo incrementale di f e di g, si ottiene

limh→0

(f(x0 + h)− f(x0))g(x0) + f(x0 + h)(g(x0 + h)− g(x0))

h

= limh→0

g(x0)f(x0 + h)− f(x0)

h+ lim

h→0

f(x0 + h)(g(x0 + h)− g(x0))

h

da cui la formula desiderata attraverso le proprieta dei limiti.

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Derivata di una funzione 109

Nella dimostrazione appena fatta abbiamo sottinteso la continuita delle funzioniderivabili, per cui f(x0+h) → f(x0) per h → 0. In effetti, supponiamo f derivabilein x0, si ha

limh→0

f(x + h) = limh→0

(f(x + h) + f(x)− f(x)) ,

ma f(x) e una costante rispetto al limite, quindi

limh→0

f(x + h) = f(x) + limh→0

hf(x + h)− f(x)

h= f(x) + f ′(x) lim

h→0h = f(x).

Possiamo quindi concludere,

f derivabile in x0 ⇒ f continua in x0.

Osservazione 3.3 La derivabilita implica la continuita, il viceversa e falso. Peresempio la funzione f(x) = |x| e continua in ogni x reale ma non e derivabile inx = 0. Da un punto di vista grafico infatti il concetto di continuita equivale allapossibilita di tracciare il grafico della funzione senza staccare la penna dal foglio.La derivabilita invece e una richiesta aggiuntiva, ossia che il grafico della funzionesia “liscio” ossia non presenti, per esempio, “spigoli”.

Esempio 3.10 (Derivate delle funzioni polinomiali) Nel caso di funzioni f, gderivabili per x appartenente a un dominio comune, le regole di calcolo permettonodi costruire nuove derivate

(cf)′(x), (f ± g)′(x), (fg)′(x), (f/g)′(x) per g(x) 6= 0.

Le regole di derivazione possono anche essere utilizzate piu volte consecutivamente,in questo modo possiamo dimostrare, per esempio, che tutte le funzioni polinomialisono derivabili e vale

p(x) = a0 + a1x + a2x2+. . . +anxn ⇒ p′(x) = a1 + 2a2x+. . . +nanxn−1,

da cui si deduce che anche la funzione derivata e una funzione polinomiale di gradoalmeno uno inferiore rispetto al polinomio di partenza.

Esempio 3.11 (Derivate delle funzioni trigonometriche) Ricordando che illimite, per h → 0, di sin (h)/h vale 1 e la formula di bisezione, sin2 t = (1−cos 2t)/2,si ha

limh→0

cosh− 1h

= limh→0

−2sin2 (h/2)

h= lim

h→0(− sin (h/2))

sin (h/2)h/2

= 0.

Il limite appena trovato rappresenta la derivata della funzione coseno inx = 0, cos′(0) = 0. Vediamo ora il calcolo della derivata della funzione senoin un arbitrario punto x ∈ R,

limh→0

sin (x + h)− sin x

h=

sin x cos h + sin h cosx− sin x

h,

da cui

sin′(x) = limh→0

(sin x

cos h− 1h

+ cos xsin h

h

)= cos x.

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110 Capitolo 3

In modo analogo si ottiene cos′ (x) = − sin x.Dalle regole elementari di calcolo della derivata possiamo dedurre che la funzionetangente e derivabile, nei punti dove cosx 6= 0, e inoltre

tan′ (x) =(

sin x

cosx

)′=

cos2 (x) + sin2 (x)cos2 (x)

=1

cos2 (x).

Una delle regole piu importanti riguarda la derivata della funzione composta.

Teorema 3.2 (Derivata della funzione composta) Se f e definita in un in-torno di x0 e derivabile in x0, se g e definita in un intorno di f(x0) e derivabilein f(x0) allora la funzione composta g f (supponendo di essere nelle condizionidi poterla definire) e derivabile in x0 e

(g f)′(x0) = g′(f(x0))f ′(x0).

Dimostrazione. Accenniamo alla dimostrazione. Poiche g e derivabile in y0 si hache

limy→y0

g(y)− g(y0)

y − y0= g′(y0).

Quanto appena scritto si puo esprimere in maniera equivalente come

g(y)− g(y0) = (y − y0)[g′(y0) + ω(y)

],

dove ω(y) → 0 per y → y0.Posto y0 = f(x0), y = f(x0 + h) e h 6= 0, si deduce

g(y)− g(y0)

h=

f(x0 + h)− f(x0)

h

[g′(f(x0)) + ω(f(x0 + h))

],

da cui passando al limite h → 0 si ricava

limh→0

g(f(x0 + h))− g(f(x0))

h= g′(f(x0))f

′(x0).

Esempio 3.12 Consideriamo la funzione h(x) =√

(x2 + 1). Questa funzione puoessere vista come la composizione della funzione f(x) = x2 + 1, e g(y) =

√y, cioe

h = g f . Si ha

g′(y) =1

2√

y, y 6= 0 e f ′(x) = 2x.

Dalla formula della derivata della funzione composta si ottiene

(g f)′(x) = g′(f(x))f ′(x) = g′(1 + x2) 2x =1

2√

(x2 + 1)2x =

x√(x2 + 1)

.

Osserviamo che la derivata e definita per ogni x in R perche x2 + 1 6= 0.

Un ultimo caso riguarda la derivata della funzione inversa. Consideriamo un casoparticolare. Sia f : I → R, dove I ⊆ R e un intervallo, derivabile e invertibile,inoltre supponiamo di sapere che anche f−1 e derivabile. Dalla relazione

f−1(f(x)) = x, ∀x ∈ I,

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Derivata di una funzione 111

derivando entrambi i membri si ottiene, dalla regola di derivazione della funzionecomposta,

(f−1)′(f(x)) · f ′(x) = 1 ⇒ (f−1)′(f(x)) =1

f ′(x),

se f ′(x) 6= 0. Posto y = f(x) si ha

(f−1)′(y) =1

f ′(x)=

1f ′(f−1(y))

.

Riassumendo, “la derivata della funzione inversa e l’inverso (algebrico) della deri-vata della funzione”. Occorre fare attenzione, la relazione f−1(f(x)) = x e validain tutti i punti del dominio di f , non solo in un punto. Inoltre f ′(x) 6= 0 significache il grafico della funzione f non ha tangenti orizzontali parallele all’asse delle as-cisse. Quest’ultimo fatto si ripercuote, per la simmetria tra i grafici di f e di f−1,nel richiedere che il grafico di f−1 non abbia tangenti verticali parallele all’assedelle ordinate, si veda la Figura 3.4. Abbiamo fatto tre assunzioni: esiste f−1,f−1 e derivabile, f ′(x) 6= 0. Ricorrendo al rapporto incrementale

f−1(y)− f−1(y0)y − y0

, con y = f(x), y0 = f(x0),

si ottienex− x0

f(x)− f(x0)=

1f(x)− f(x0)

x− x0

da cui, passando al limite si ottiene il seguente teorema.

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

5

f

f −1

Figura 3.4 Rette tangenti e grafici di f e f−1.

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112 Capitolo 3

Teorema 3.3 (Derivata della funzione inversa) Sia f : (a,b) → R una fun-zione continua e strettamente monotona, se f e derivabile in x0 e f ′(x0) 6= 0,allora f−1 e derivabile in f(x0) e vale la formula

(f−1)′(y0) =1

f ′(x0), y0 = f(x0).

Esempio 3.13 (Derivate delle funzioni circolari inverse) Sia f(x) = sinx,x ∈ (−π/2,π/2), calcoliamo la derivata della funzione arcoseno. Posto y = sinx,si ha f ′(x) = cosx =

√1− sin2 x, quindi

arcsin′ (y) =1

f ′(x)=

1√1− y2

.

In modo analogo si calcolano, negli opportuni domini,

arccos′ (y) = − 1√1− y2

, arctan′(y) =1

1 + y2.

Esempio 3.14 (Derivate delle funzioni esponenziali e delle loro inverse)Vediamo il calcolo della derivata di una funzione esponenziale f(x) = ax, x ∈ Re di una funzione logaritmica loga x, x > 0. Per la funzione f(x) = ax, a > 0 siottiene

f ′(x) = limh→0

ax+h − ax

h= lim

h→0ax · ah − 1

h= ax f ′(0).

Il valore f ′(0) dipende dalla base a, ovviamente per a = 1 abbiamo la funzionecostante e f ′(0) = 0. Tra i valori della base a > 0, a 6= 1 esiste un unico valoretale che f ′(0) = 1 (quindi un’unica funzione esponenziale per cui la retta tangentenel punto di ascissa x = 0 ha pendenza 1). Ritroviamo in questo modo il valore e,costante di Nepero. Per verificare che questa base “fortunata” e proprio e, postoz = ah − 1, risulta

ah − 1h

=z

ln (z + 1)· ln a,

da cui il limite

limh→0

ah − 1h

= ln a,

ricordando il limite fondamentale limz→0 ln (z + 1)/z = 1. La derivata dell’espo-nenziale soddisfera dunque

d

dxex = ex ∀x ∈ R.

Si noti che l’esponenziale e l’unica funzione che soddisfa un’equazione del tipoy′ = y su un intervallo.

La funzione inversa dell’esponenziale e il logaritmo in base e, loge logaritmonaturale, e si indica con ln. La derivata del logaritmo naturale vale,

ln′(x) =1

eln x=

1x

, x > 0.

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Derivata di una funzione 113

Per una generica funzione esponenziale e per un generico logaritmo possiamoricondurci alla base e

ax =(eln a

)x= ex ln x, loga x =

ln x

ln a,

e, dalle regole della derivata della funzione composta,

d

dxax = ln a · ax,

d

dxloga x =

1x ln a

.

Nella Tabella 3.2 riportiamo alcune derivate di funzioni elementari.

Funzione f Derivata f ′ Dominio derivata

c (costante) 0 x ∈ Rx 1 x ∈ Ra0 + a1x+. . . +anxn a1 + 2a2x+. . . +nanxn−1 x ∈ R√

x 1/(2√

x) x > 01/x −1/x2 x 6= 0sinx cos x x ∈ Rcosx − sin x x ∈ Rtanx 1/ cos2 x x : cos x 6= 0xr rxr−1 x > 0ax ax ln a x ∈ Rloga x 1/(x ln a) x > 0

Tabella 3.2 Derivate di funzioni elementari.

Esempio 3.15 (Derivate con funzione modulo) Consideriamo una funzionedel tipo

|f(x)|,con f funzione derivabile. Dalla derivata della funzione composta abbiamo

|f(x)|′ =|f(x)|f(x)

· f ′(x) = sign(f(x)) · f ′(x) =

f ′(x) per f(x) > 0−f ′(x) per f(x) < 0 ,

ed e definita per f(x) 6= 0. Per esempio

| sin x|′ = sign(f(x)) · cosx =sin x

| sin x| · cos x, sin x 6= 0,

dove si e usato il fatto che sign(x) = |x|/x.

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114 Capitolo 3

Esempio 3.16 (Derivata logaritmica) Sia f : (a,b) → (0, + ∞), una fun-zione derivabile, allora, grazie al Teorema della derivata della funzione composta,possiamo considerare la derivata

(ln f(x))′ =f ′(x)f(x)

,

detta derivata logaritmica. Questa derivata ha il significato di tasso di variazione dif relativo al valore di f nel punto x. Questo tasso di variazione relativo puo esserepiu significativo della derivata f ′ perche si considera la variazione di f rispettoall’ordine di grandezza di f . Per esempio l’incremento annuo di 1 su un totaledi 1000 e ben diverso dell’incremento di 1 su un totale di 2. Per questo motivo,quando si e interessati alla rappresentazione grafica degli incrementi relativi siricorre a grafici a scala semilogaritmica. In tali grafici sull’asse delle ascisse sicollocano i valori x, mentre su quello delle ordinate quelli di ln f(x). Tipico eil caso di funzioni che crescono, o decrescono, molto rapidamente. Si pensi allafunzione f(x) = ex, in scala semilogaritmica tale funzione e rappresentata con unaretta passante per l’origine e con pendenza 1.Osserviamo anche che

(ln |f(x)|)′ =|f(x)|′|f(x)| =

|f(x)|f(x)

· f ′(x)|f(x)| =

f ′(x)f(x)

,

dove l’espressione trovata e valida per x tale che f(x) 6= 0.

Esempio 3.17 (Derivate di funzioni del tipo f(x)g(x)) Le funzioni del tipo

h(x) = f(x)g(x),

con f > 0, si possono scrivere nella forma

h(x) = eg(x) ln f(x).

In questo modo la derivata si puo ottenere come(f(x)g(x)

)′=

(eg(x) ln f(x)

)′= eg(x) ln f(x) · (g(x) ln f(x))′

= f(x)g(x)

(g′(x) ln f(x) + g(x)

f ′(x)f(x)

).

Per esempio(xx)′ = (ex ln x)′ = xx (lnx + 1) .

Osservazione 3.4 (Differenziale) Il quoziente di Newton puo essere indicatocon ∆f/∆x dove il simbolo ∆ indica che stiamo considerando la variazione di unacerta quantita. In un certo senso il simbolo di derivata df/dx indica il fatto cheabbiamo eseguito una operazione di limite e che stiamo facendo il rapporto trale due quantita (limite) df e dx. In realta il quoziente df/dx e senza significatoperche indicherebbe un rapporto 0/0. Per giustificare questo modo di vedere lecose possiamo considerare dx e df come nuove variabili. Il termine dx e allorauna nuova variabile indipendente (chiamata il differenziale di x) mentre df e vistacome una nuova variabile dipendente (differenziale di f) in relazione con x e dx

df = f ′(x) dx.

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Derivata di una funzione 115

Questo formalismo sara utile in seguito nell’ambito degli integrali. Se analizziamola definizione di derivabilita in x0 ∈ (a,b) per una funzione f : (a,b) → R, abbiamo

f(x0 + h)− f(x0) = f ′(x0)h + h e(h),

dove e(h) → 0 quando h → 0 (ovvero la funzione e(h) e un infinitesimo nel limiteconsiderato). L’ultima relazione indica il fatto che l’incremento della funzione fe approssimato “bene” dalla funzione lineare f ′(x0)h per h prossimo a zero (x0 efissato e quindi f ′(x0) indica una costante). Funzioni con questa proprieta si chia-mano differenziabili e il differenziale df indica la parte lineare dell’approssimazione.L’algebra delle derivate si estende anche ai differenziali, per esempio

d(f + g) = df + dg, d(fg) = g df + f dg.

Nel caso di funzione composta h = g f abbiamo

dh = g′(f(x)) · f ′(x) dx,

che puo essere riscritto come

dh = g′(y) dy, y = f(x), dy = f ′(x) dx.

Quest’ultima scrittura del differenziale si chiama invarianza di forma perche, unavolta precisate le variabili, il differenziale si valuta sempre nella stessa forma. Nelleapplicazioni risulta comodo “differenziare” alcune relazioni mantenendo il signifi-cato fenomenologico. Per esempio in termodinamica l’equazione dei gas perfettipV = nRT (p pressione, V volume, n numero di moli del gas, T temperatura, Rcostante dei gas perfetti) si puo differenziare ottenendo le relazioni tra le variazioni

p dV + V dp = nR dT,

ottenendo un’espressione valida qualsiasi sia la dipendenza di p, V, T da altrevariabili.

3.3 Importanza della derivata

Vediamo cosa puo dirci la derivata riguardo al comportamento di una funzione,distingueremo tra informazioni locali e informazioni globali. Le prime suggerisconocome approssimare una funzione in un certo intorno, le seconde permettono distabilire il comportamento qualitativo di una funzione in un intero intervallo.

3.3.1 Proprieta locali

Una proprieta locale e gia stata enunciata, la ricordiamo: se f e derivabile in unpunto x0 allora f e continua nello stesso punto. Questa proprieta e stata dedottadalla definizione di derivabilita come limite del rapporto incrementale. Vediamoaltre conseguenze dirette, sono tutte proprieta del tipo “esiste un intorno in cui...”, analizziamo quindi il comportamento del grafico della funzione f localmente.

Definizione 3.2 Sia f : I → R, I intervallo e x0 ∈ I un punto interno a I.Diremo che

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116 Capitolo 3

a) f e crescente in x0 se esiste un intorno di x0 contenuto in I tale che f(x1) ≤f(x0) ≤ f(x2) per tutti i punti x1 < x0 < x2 nell’intorno;

b) f e decrescente in x0 se esiste un intorno di x0 contenuto in I tale chef(x1) ≥ f(x0) ≥ f(x2) per tutti i punti x1 < x0 < x2 nell’intorno;

c) x0 e un punto di minimo locale se esiste un intorno di x0 contenuto in I taleche f(x) ≥ f(x0) per tutti i punti x nell’intorno;

d) x0 e un punto di massimo locale se esiste un intorno di x0 contenuto in Itale che f(x) ≤ f(x0) per tutti i punti x nell’intorno.

Nella Figura 3.5 si mostrano alcuni esempi delle proprieta locali a), b), c), d).

d1 d2 d3 c1 c2 c 3

Punti di crescita e decrescita Punti di massimo e di minimo

m1 m2 M1 M 2

Figura 3.5 Punti di crescita c1, c2, c3, decrescita d1, d2, d3, punti di minimo m1, m2,punti di massimo M1, M2.

Si osserva che le proprieta locali non implicano proprieta valide per tutto il domi-nio. Nella Figura 3.5 e evidente che il fatto di essere un punto di minimo o massimoo di crescita o di decrescita non implica che in ogni intorno questa proprieta resta.

Teorema 3.4 (Derivata e proprieta locali) Sia f : I → R, I intervallo, x0 ∈I e interno a I, f sia derivabile in x0, allora

i) se f ′(x0) > 0 (< 0) allora f e crescente (decrescente) in x0;

ii) se f e crescente (decrescente) in x0 allora f ′(x0) ≥ 0 (f ′(x0) ≤ 0);

iii) se x0 e un punto di minimo o di massimo locale, allora f ′(x0) = 0.

Dimostrazione. La dimostrazione si basa sulle proprieta dei limiti, vediamo solo ilpunto iii) perche sara utilizzato nel seguito. Supponiamo che x0 sia un punto di minimolocale (analogamente per il massimo). Per x > x0, x in un opportuno intorno di x0, siha f(x) ≥ f(x0) e (x − x0) > 0, quindi f ′+(x0) ≥ 0. Per x < x0, nell’intorno di x0, siha f(x) ≥ f(x0) e (x− x0) < 0, quindi f ′−(x0) ≤ 0. Essendo f ′+(x0) = f ′−(x0) = f ′(x0),segue che f ′(x0) = 0.

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Derivata di una funzione 117

Esempio 3.18 La funzione cos x, x ∈ R ha punti di massimo locale per x = 2kπ,con k ∈ Z e punti di minimo locali per x = (2k + 1)π. In effetti da cos′ x =− sin x, si verifica che in tutti questi punti la derivata si annulla. Inoltre, da− sin (π/2 + 2kπ) = −1 < 0 si deduce che tutti i punti dk = (π/2 + 2kπ) sono didecrescita, mentre i punti ck = (3π/2 + 2kπ) sono punti di crescita.

Il fatto che f ′(x0) = 0 non implica nulla sul comportamento della funzione in x0.Le funzioni x2, − x2, x3, − x3 hanno tutte derivata nulla in x = 0 ma in talepunto hanno, rispettivamente, un minimo locale, un massimo locale, un punto dicrescita, un punto di decrescita.

Osservazione 3.5 (Massimi e minimi) Sia f : I → R, I intervallo, e f siacontinua in I. Per trovare eventuali punti di minimo o di massimo locale (oassoluti) dobbiamo controllare tre categorie di punti,

• estremi dell’intervallo I se questi vi appartengono;

• punti di I in cui f non e derivabile;

• punti stazionari interni, cioe punti in cui f ′(x0) = 0.

Queste tre categorie caratterizzano solo i candidati, alcune potrebbero esserevuote, occorre comunque verificarle tutte. Potrebbe accadere che tutte e tre lecategorie risultino vuote, in tal caso non abbiamo massimi o minimi locali. Peresempio la funzione f(x), x ∈ (0,1), e derivabile ovunque e f ′(x) = 1 6= 0, gliestremi dell’intervallo non appartengono al dominio, questa funzione non ha nemassimo ne minimo in (0,1). La funzione f(x) = |x|, x ∈ [−4,5], ha un puntodi minimo (assoluto) in x = 0 dove non e derivabile, ha due punti di massimo inx = −4 e x = 5, estremi dell’intervallo di definizione.

Per la funzione f(x) = x3 − 3x2 + 2, x ∈ [−2,3] i candidati, per essere unminimo o un massimo, sono gli estremi x0 = −2, x1 = 3 e i punti dove si annullala derivata

f ′(x) = 0 ⇒ 3x2 − 6x = 0 ⇒ x2 = 0, x3 = 2.

Come stabilire che tipo di punti sono? Per ora possiamo guardare il grafico (cos-truito partendo dai grafici dei monomi elementari). Si sente pero la necessita diavere a disposizione strumenti adeguati.

3.3.2 Proprieta globali

Consideriamo alcune proprieta globali del grafico di una funzione, qui il termineglobali vuol dire che desideriamo studiare proprieta che valgono non in un op-portuno intorno ma in un dato intervallo o, addirittura, in tutto il dominio. Ladomanda che ci poniamo e la seguente

“Cosa dice f ′ riguardo a f?”

Incominciamo con l’attrezzarci opportunamente, e ovvio che dobbiamo avere adisposizione risultati “staccati” dalle sole deduzioni ottenute dal processo di limite.Consideriamo il grafico di una funzione f derivabile in un dato intervallo I, si vedala Figura 3.6. Fissiamo due punti P e Q di ascissa a e b sul grafico della funzionef e valutiamo le rette tangenti al grafico della funzione f nei punti tra P e Q. Ci

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118 Capitolo 3

tangente parallela corda PQ

corda PQ

f

P

Q x

y

Figura 3.6 Tangente parallela alla corda PQ.

accorgiamo, il lettore potrebbe fisicamente provare spostando in modo tangenteal grafico una matita sul grafico nella figura, che prima o poi incontriamo unatangente parallela alla corda PQ, ossia che esiste un ascissa c compresa tra a e bper cui

Pendenza retta tangente in (c,f(c)) = Pendenza corda PQ

f ′(c) =f(b)− f(a)

b− a.

Questo risultato e noto come Teorema di Lagrange, e lo dimostreremo tra breve.Per ora semplifichiamo il problema e immaginiamo che i punti P e Q abbiamo lamedesima ordinata. Viaggiamo sul grafico di f partendo da P e arrivando in Q. Siache si scenda sia che ci si alzi rispetto a P prima o poi occorre ritornare alla quotadi P , uguale alla quota di Q. Prima o poi abbiamo quindi un punto di massimoo di minimo relativo in cui la derivata e nulla e quindi la corrispondente rettatangente e parallela all’asse delle x, come la corda PQ. Abbiamo graficamentedimostrato il seguente risultato.

Teorema 3.5 (Teorema di Rolle) Sia f : [a,b] → R una funzione definitanell’intervallo chiuso [a,b] e tale che

• f e continua in [a,b];

• f e derivabile in (a,b);

• f(a) = f(b);

allora esiste almeno un punto c ∈ (a,b) tale che f ′(c) = 0.

Dimostrazione. Dato che f e continua sull’intervallo chiuso [a,b], per il Teoremadi Weierstrass possiede un punto di minimo e un punto di massimo assoluti x1, x2,f(x1) ≤ f(x) ≤ f(x2), x ∈ [a,b]. Se uno dei due punti e interno all’intervallo [a,b] allora

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Derivata di una funzione 119

la derivata in quel punto e nulla (punto stazionario), si sceglie come c tale punto interno.Se entrambi i punti sono negli estremi a, b allora f(a) = f(b) = f(x), ∀x ∈ [a,b], quindila funzione e costante e quindi f ha derivata nulla in ogni punto, si puo scegliere come cqualsiasi punto interno.

Esempio 3.19 (Numero di radici) Con il Teorema di Rolle dimostriamo chela funzione f(x) = x3 + x − 1 ha un’unica radice reale in [0,1]. Infatti dal fattoche f e continua e che f(0) = −1 < 0 e f(1) = 1 > 0, dal Teorema degli zeri sideduce che esiste almeno una radice nell’intervallo (0,1). Supponiamo che esistanodue zeri, z1 e z2. Nell’intervallo [z1,z2] potremmo quindi applicare il Teorema diRolle (infatti f(z1) = f(z2) = 0) per la restrizione della f in [z1,z2], ottenendo cheesisterebbe un punto x tale che f ′(x) = 0. Ma

f ′(x) = 3x2 + 1 > 0, ∀x ∈ R,

quindi questo non puo avvenire e la radice reale e unica.

3.3.3 Teorema di Lagrange o del valor medio

Veniamo al risultato centrale di tutto il paragrafo, questo risultato ci permette di“controllare” l’incremento di una funzione f dalle informazioni sulla sua derivata.

Teorema 3.6 (Teorema di Lagrange o del valor medio) Sia f : [a,b] → Runa funzione definita nell’intervallo chiuso [a,b] e tale che

• f e continua in [a,b];

• f e derivabile in (a,b);

allora esiste almeno un punto c ∈ (a,b) tale che

f ′(c) =f(b)− f(a)

b− a.

Dimostrazione. Basta riportarsi nelle condizioni del Teorema di Rolle con unaopportuna “rotazione” del grafico di f mantenendo fisso un estremo fino a quando ivalori f(a) e f(b) coincidano. Si ottiene una nuova funzione, legata alla precedente f , acui applicare il Teorema di Rolle. Consideriamo la funzione g(x) = f(x)− r(x) dove r(x)e l’equazione della retta che passa per i punti (a,f(a)) e (b,f(b)),

r(x) = f(a) +f(b)− f(a)

b− a(x− a).

La funzione g risulta continua e derivabile (differenza di funzioni continue e derivabili)inoltre

g(a) = f(a)− r(a) = 0, g(b) = f(b)− r(b) = 0.

Possiamo applicare il Teorema di Rolle per la funzione g, esistera quindi un punto cinterno all’intervallo (a,b) tale che g′(c) = 0, segue che

f ′(c) = r′(c) ⇒ f ′(c) =f(b)− f(a)

b− a.

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120 Capitolo 3

a b

f discontinua in b

a b x

f discontinua in x

a b

x

f non derivabile in x

Figura 3.7 Alcuni esempi grafici per la necessita delle ipotesi del Teorema di Lagrange(o di Rolle).

Osservazione 3.6 I Teoremi di Rolle e di Lagrange sono teoremi di esistenza: nondicono nulla sull’unicita dei punti scelti, inoltre non forniscono una costruzione delpunto c nelle condizioni desiderate. Tutte le ipotesi del teorema di Lagrange (o diRolle) sono essenziali, nella Figura 3.7 si mostrano alcuni controesempi grafici incui viene a mancare almeno una delle ipotesi fatte.

Esempio 3.20 Consideriamo la funzione f(x) = x3 − x + 1 nell’intervallo [−1,2].La funzione verifica le ipotesi del Teorema di Lagrange, esistera quindi c ∈ (−1,2)tale che

f ′(c) =f(2)− f(−1)

2− (−1)=

7− 13

= 2.

Infatti, f ′(x) = 3x2−1, quindi f ′(x) = 2 e verificata per 3x2−1 = 2, da cui x2 = 1.La radice aritmetica (positiva) c = 1 soddisfa f ′(c) = 2, inoltre 1 ∈ (−1,2).

Esempio 3.21 (Stima dell’ordine di grandezza) Supponiamo chef : [0,2] → R soddisfi alle ipotesi del Teorema di Lagrange e che f(0) = −1, e|f ′(x)| ≤ 7 per ogni x appartenente al dominio. Di quanto potrebbe crescere la fpassando da x = 0 a x = 2? Dal Teorema del valor medio,

f(2)− f(0) = f ′(c)(2− 0) ⇒ f(2) = −1 + 2f ′(c).

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Derivata di una funzione 121

Dalla limitazione |f ′(x)| ≤ 7 si deduce che −7 ≤ f ′(x) ≤ 7. Dato che siamointeressati al massimo incremento possibile e la seconda disuguaglianza che ciinteressa,

f(2) = −1 + 2f ′(c) ≤ −1 + 2 · 7 = 13.

Il piu grande valore che f puo assumere in x = 2 e dunque 13 e il massimoincremento vale 14.

Come l’esempio appena svolto suggerisce, se abbiamo informazioni sulla derivataper tutti i punti di un intervallo, il Teorema di Lagrange ci permette di legarel’incremento della funzione f all’incremento della variabile indipendente x. Eccoalcune conseguenze.

Teorema 3.7 (Derivata e monotonia) Sia f : [a,b] → R una funzione conti-nua nell’intervallo chiuso [a,b] e derivabile in (a,b), allora

i) se f ′(x) > 0, ∀x ∈ (a,b) allora f e strettamente crescente in [a,b];

ii) se f ′(x) < 0, ∀x ∈ (a,b) allora f e strettamente decrescente in [a,b];

iii) se f ′(x) ≥ 0, ∀x ∈ (a,b) allora f e non decrescente in [a,b];

iv) se f ′(x) ≤ 0, ∀x ∈ (a,b) allora f e non crescente in [a,b].

Dimostrazione. La dimostrazione dei vari punti e simile, ci limitiamo solo al puntoi). Siano x1, x2 ∈ [a,b], x1 < x2, per il Teorema del valor medio applicato alla restrizionedi f all’intervallo [x1,x2] (valgono tutte le ipotesi anche per la restrizione), si ha

f(x2)− f(x1)

x2 − x1= f ′(c),

per un opportuno c ∈ (x1,x2). Ne segue che

f(x2)− f(x1) = f ′(c) (x2 − x1),

ma f ′(c) > 0, per ipotesi, e (x2 − x1) > 0, da cui f(x2) − f(x1) > 0, ovverosia f(x2) >f(x1).

Esempio 3.22 Cerchiamo in quali intervalli la funzione f(x) = x3−3x2+2 crescee in quali decresce. Abbiamo

f ′(x) = 3x2 − 6x = 3x(x− 2),

pertanto

f ′(x) > 0 per x < 0 e x > 2, f ′(x) < 0 per x ∈ (0,2).

Segue che la funzione f e strettamente crescente negli intervalli (−∞,0) e (2,+∞)(attenzione: separatamente in entrambi i sottointervalli), mentre e strettamentedecrescente nell’intervallo (0,2), si confronti con la Figura 3.8. A questo puntopossiamo classificare anche i punti stazionari, punti con derivata nulla, interni aldominio della funzione f . Gli zeri di f ′ sono x1 = 0 e x1 = 2. In x1 si passa dallacrescita alla decrescita, sara quindi un punto di massimo locale, al contrario in x1si passa dalla decrescita alla crescita, sara quindi un punto di minimo locale.

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122 Capitolo 3

−3 −2 −1 0 1 2 3 4 5−60

−40

−20

0

20

40

60

f strettamente crescente

f strettamente crescente

f strettamente decrescente

−3 −2 −1 0 1 2 3 4 5−5

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

f positiva

f negativa

f positiva ′

puntostazionario

puntostazionario

Figura 3.8 Un esempio del legame tra derivata e monotonia.

3.3.4 Test della derivata prima

Il segno della derivata prima ci permette di distinguere le zone di crescita e didecrescita della funzione, questo ci permette di avere a disposizione uno strumentoimportante per la ricerca dei punti di minimo o di massimo.

Teorema 3.8 (Test della derivata prima) Sia f : (a,b) → R una funzionecontinua in (a,b), sia x0 ∈ (a,b) un punto stazionario, f ′(x0) = 0, oppure unpunto singolare, 6 ∃ f ′(x0).

i) Se f e derivabile negli intervalli (a,x0) e (x0,b), e f ′(x) > 0, x ∈ (a,x0),f ′(x) < 0, x ∈ (x0,b), allora f ha un punto di massimo locale in x0.

ii) Se f e derivabile negli intervalli (a,x0) e (x0,b), e f ′(x) < 0, x ∈ (a,x0),f ′(x) > 0, x ∈ (x0,b), allora f ha un punto di minimo locale in x0.

Dimostrazione. Vediamo solo il caso i), l’altro caso e analogo. Se x ∈ (a,x0),applicando il Teorema del valor medio nell’intervallo [x,x0] si ottiene

f(x)− f(x0)

x− x0= f ′(c), c ∈ (x,x0).

Per ipotesi f ′(c) > 0, essendo x − x0 < 0 segue che f(x) < f(x0). In modo simile, perx > x0 si ottiene f(x) < f(x0), per x ∈ (x0,b). Il punto x0 e un punto di massimo locale.

Esempio 3.23 Si consideri la funzione f(x) = xe−x2, x ∈ R. Abbiamo

f ′(x) = e−x2(1− 2x2).

Non vi sono punti singolari, la derivata e definita per ogni x reale, i punti stazionarisono invece le radici di (1 − 2x2), dato che l’esponenziale e sempre positivo. Sihanno quindi due punti stazionari, x0 = −1/

√2, x1 = 1/

√2. Anche il segno

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Derivata di una funzione 123

della derivata f ′ e determinato solo dal fattore (1− 2x2) che e l’equazione di unaparabola. Si ottiene

f ′(x) > 0, x ∈(− 1√

2,

1√2

),

f ′(x) < 0, x ∈(−∞,− 1√

2

)∪

(1√2, +∞

).

La situazione relativa al segno della derivata prima e all’andamento di cresci-ta/decrescita della funzione puo essere sintetizzato come

f ′ 0 0−− ++ −−

f x0 = −1/√

2 x1 = 1/√

2

min max

Il punto x0 sara quindi un punto di minimo locale, mentre in x1 ci sara un massimolocale. Si noti che la funzione data e una funzione dispari, f(x) = −f(−x), quindiquesta simmetria poteva suggerire dall’inizio la posizione del punto di minimo (odi massimo) dalla conoscenza dell’altro punto.

Un ultimo risultato e deducibile dal Teorema del valor medio, una funzione f :I → R definita e derivabile in un intervallo I e costante se e solo se la sua derivatae nulla in tutti i punti di I. Se f(x) = c (costante) la derivata e nulla, viceversa sela derivata e nulla nell’intervallo I, per ogni coppia di punti x, y ∈ I, f(x)−f(y) =f ′(c)(y − x) = 0 e quindi f(x) = f(y). Questo significa che due funzioni con lamedesima derivata, e con dominio uguale a un certo intervallo, differiscono peruna costante, cioe se f ′(x) = g′(x), ∀x ∈ I, allora f(x) = g(x) + k con k costante.

3.4 Derivata e convessita

Una classe importante di funzioni, soprattutto nell’ambito dei problemi di otti-mizzazione, e quella delle funzioni convesse e delle funzioni concave.

Definizione 3.3 Sia f : I → R, con I intervallo. La funzione f si dice conves-sa ( concava) se per ogni coppia di punti x1 < x2 ∈ I il segmento di estre-mi P1(x1,f(x1)), P2(x2,f(x2)) non sta al di sotto (sopra) del grafico di f perx ∈ [x1,x2].

Nella Figura 3.9 si mostrano il “tipico” grafico di una funzione convessa e di unafunzione concava. Una funzione f convessa si dice anche che ha la concavitarivolta verso l’alto, una funzione f concava si dice che ha la concavita rivoltaverso il basso. Dal punto di vista analitico la convessita (concavita) puo esserecaratterizzata utilizzando la forma parametrica per descrivere i punti di una retta.In particolare i punti (x,y) del piano appartenenti a una retta passante per i punti

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124 Capitolo 3

P1

P2

f convessa

P1

P2

f concava

Figura 3.9 Una funzione convessa e una funzione concava, sono mostrate alcune cordee la loro posizione rispetto al grafico di f .

P1(x1,y1) e P2(x2,y2) possono essere descritti come

x = x1 + t(x2 − x1),

y = y1 + t(y2 − y1), t ∈ R.

Il significato di t e quello di percentuale di spostamento nella direzione P1P2, ilsegno di t indica il verso da seguire in questo spostamento. Per t = 0 si resta in P1,per t = 1 si arriva in P2, per t ∈ (0,1) si individuano punti intermedi del segmentoP1P2. Per esempio per t = 1/2 si arriva al punto medio di tale segmento.Supponendo x1 6= x2, dato un valore di t possiamo calcolare x = x1 + t(x2 − x1),se y > y1 + t(y2 − y1) il punto P (x,y) sta sopra la retta passante per P1 e P2.Viceversa, se y < y1 + t(y2 − y1) il punto P (x,y) sta sotto tale retta. Possiamoallora caratterizzare la convessita (concavita) richiedendo che ogni punto di qual-siasi corda del grafico della funzione stia sopra (sotto) al grafico stesso (il ruolo diy viene assunto da f(x)).

Definizione 3.4 Sia f : I → R, con I intervallo. Se per ogni x1 < x2 nell’inter-vallo I e per ogni t ∈ (0,1) si ha

i) f(x1 + t(x2 − x1)) ≤ f(x1) + t(f(x2)− f(x1)) allora la funzione e convessa;

ii) f(x1 + t(x2−x1)) < f(x1)+ t(f(x2)−f(x1)) allora la funzione e strettamenteconvessa;

iii) f(x1 + t(x2 − x1)) ≥ f(x1) + t(f(x2)− f(x1)) allora la funzione e concava;

iv) f(x1 + t(x2−x1)) > f(x1)+ t(f(x2)−f(x1)) allora la funzione e strettamenteconcava.

Nella Figura 3.10 si mostrano le posizioni dei grafici di una funzione f convessae di una funzione f concava rispetto ad alcune rette tangenti agli stessi grafici.E intuibile che nel caso di funzione derivabile, la retta tangente rimarra sotto il

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Derivata di una funzione 125

f convessa f concava

Figura 3.10 Tangenti e funzioni convesse o concave.

grafico della funzione f nel caso di convessita, sopra nel caso di concavita. Nelcaso di convessita e derivabilita consideriamo i rapporti incrementali

Φ(y,x) =f(y)− f(x)

y − x, y 6= x.

Da semplici considerazioni geometriche si ha che per x < y < z

Φ(y,x) ≤ Φ(z,x) ≤ Φ(z,y).

Fissato x0 ∈ I, se x < z < x0 si ottiene Φ(x0,x) ≤ Φ(x0,z). Nel limite z → x0

dall’ultima disuguaglianza si ottiene

f(x0)− f(x)x0 − x

≤ limz→x−0

f(x0)− f(z)x0 − z

= f ′(x0).

Possiamo quindi concludere che

f(x) ≥ f(x0) + f ′(x0)(x− x0), x < x0,

dove l’espressione al secondo membro rappresenta l’equazione della retta tangenteal grafico di f nel punto di ascissa x0. Procedendo in maniera analoga per x > x0

si ottiene la medesima disuguaglianza, che quindi vale per ogni x ∈ I. Sempredall’osservazione della Figura 3.10, anche se abbiamo riportato pochi casi di rettetangenti, dovrebbe essere intuitivo che la pendenza della retta tangente e unaquantita crescente nel caso di convessita e decrescente nel caso di concavita. Questeproprieta si possono dimostrare formalmente e forniscono il seguente risultato.

Teorema 3.9 (Derivata e convessita) Sia f : [a,b] → R, derivabile in tuttol’intervallo (a,b) e continua in tutto il dominio, valgono le proprieta,

i) f e convessa (concava) in [a,b] se e solo se f ′ e non decrescente (non crescente)in (a,b);

ii) f e convessa (concava) se e solo se

f(x) ≥ f(x0) + f ′(x0)(x− x0) ∀x,x0 ∈ (a,b),

(la disuguaglianza e di verso opposto nel caso di concavita).

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126 Capitolo 3

Esempio 3.24 La funzione f(x) = x4 + 2, x ∈ R e una funzione convessa(anzi strettamente convessa), infatti f ′(x) = 4x3 e tale funzione risulta esserestrettamente crescente su tutta la retta reale.

La funzione f(x) = |x| e una funzione convessa ma non possiamo utilizzarele proprieta della derivata perche in x = 0 la funzione non e derivabile. Abbiamopero

f(x1 + t(x2 − x1)) = |x1 + t(x2 − x1)| = |tx2 + (1− t)x1|,e, per la disuguaglianza triangolare,

f(x1 + t(x2 − x1)) ≤ |tx2|+ |1− t| |x1| = t|x2|+ (1− t)|x1|,essendo t ∈ (0,1). Si conclude che

f(x1 + t(x2 − x1)) ≤ f(x1) + t(f(x2)− f(x1))

e quindi la convessita.

Esempio 3.25 (Convessita funzione esponenziale) Dalle formule di deriva-zione delle funzioni elementari si ha

(ex)′ = ex,

quindi, essendo la funzione esponenziale positiva, abbiamo una conferma che e unafunzione strettamente crescente. Dal fatto che la derivata e strettamente crescentediscende che e anche una funzione strettamente convessa.

Per la funzione logaritmo naturale,

(lnx)′ =1x

x > 0,

quindi la sua derivata prima e sempre positiva e decrescente. Possiamo quindidedurre che la funzione logaritmo naturale e una funzione strettamente crescentee strettamente concava.

3.5 Problemi di ottimizzazione

Diversi problemi richiedono la ricerca di un punto di minimo o di massimo peruna data funzione che lega i parametri del problema stesso: dobbiamo risolvereun problema di ottimizzazione.

Esempio 3.26 (Problema di Didone semplificato) La leggenda narra che lacitta di Cartagine venne fondata dalla regina Didone. Ella ottenne dagli indigenidel luogo il permesso di occupare tanta terra quanta potesse essere compresa inuna pelle di bue. La regina prese alla lettera la concessione e taglio una pelledi bue in strisce molto strette che lego fra loro per poi abbracciare con esse unterritorio piuttosto esteso. Il problema che Didone dovette affrontare e quello dideterminare la linea chiusa racchiudente la massima area tra tutte quelle di datoperimetro. In un caso molto semplificato consideriamo il problema di determinareil rettangolo di area massima tra tutti i rettangoli di dato perimetro P . Indicandocon x e y la lunghezza dei lati del rettangolo abbiamo,

P = 2x + 2y,

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Derivata di una funzione 127

da cui y = (P − 2x)/2. Per l’area A abbiamo dunque

A(x) = x · y = x · (P − 2x)2

.

Ovviamente abbiamo x ∈ (0,P/2) e

A(0) = A(P/2) = 0, A(x) > 0 per x ∈ (0,P/2).

Avremo un punto di massimo locale (che risultera essere anche globale) internoall’intervallo (0,P/2), lo individuiamo tramite il calcolo della derivata prima

A′(x) =12

(P − 4x) ⇒ A′(x) = 0 ⇔ x =P

4.

Il punto stazionario x = P/4 risulta essere un punto di massimo, inoltre il cor-rispondente valore di y risulta uguale a P/4. Il rettangolo di area massima e unquadrato con lato di lunghezza P/4.

Come si procede per risolvere un problema di ottimizzazione? Per prima cosaoccorre stabilire quali sono le grandezze che e conveniente considerare come in-cognite e quelle da considerare come variabili dipendenti. Spesso poi un graficodella funzione che si e determinata puo aiutare per avere informazioni sul problemaconsiderato. Una buona notazione aiuta la comprensione del problema e suggerisceeventuali vincoli presenti sulle variabili in gioco. Una volta che si e determinatauna certa funzione da determinare si puo utilizzare il calcolo differenziale per laricerca di minimi e/o massimi.

Esempio 3.27 (Un collegamento economico) Si desidera collegare un puntoC con un punto A con il vincolo che dobbiamo utilizzare un tratto di una dataretta che passa per A. La distanza da C alla retta vale a, lunghezza del segmentoCB (si veda la Figura 3.11). Il costo di percorrenza di un tratto sulla retta AB

C

A BD

x

a

Figura 3.11 Un problema di collegamento.

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128 Capitolo 3

costa m > 1 volte il percorso di un tratto del segmento che parta da C e arrivi allaretta AB. Come connettere C ad A tramite un punto D sulla retta AB in modotale da minimizzare il costo del collegamento? Indichiamo con x la lunghezza delsegmento AD, indicando con l la lunghezza del segmento AB si ha x ∈ [0,l]. Siac il costo unitario per un tratto sul segmento AB, il costo unitario per percorre ilsegmento CD sara uguale a mc. Il costo F (x) totale sara

F (x) = cx + cm√

a2 + (x− l)2.

La derivata prima vale

F ′(x) = c

(1 +

m(x− l)√a2 + (x− l)2

),

e si annulla nel punto

x0 = l − a√m2 − 1

.

Se il punto sta nell’intervallo [0,l], risulta essere un punto di minimo. Se invece ilpunto x0 non appartiene a tale intervallo il punto di minimo e nell’estremo x = 0.

Esempio 3.28 (Legge di rifrazione) Siano dati nel piano i punti A(0,a) eB(c,b), con a,c > 0 e b < 0. Un punto mobile (o un raggio di luce) va da Aa B con velocita costante v1 se y ≥ 0 e velocita costante v2 6= v1 se y < 0. Vo-gliamo minimizzare il tempo di percorrenza da A a B. Sia P0 il punto in cui siattraversa l’asse delle ascisse, ha coordinate (x,0), si veda la Figura 3.12.

A P

1

P2 B

α1

α2

P0

x

Figura 3.12 Legge di rifrazione.

Il tempo di percorrenza T (x) vale

T (x) =1v1

√x2 + a2 +

1v2

√(c− x)2 + b2.

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Derivata di una funzione 129

Per trovare il punto di minimo calcoliamo i punti stazionari,

T ′(x) = 0 ⇔ 1v1

x√x2 + a2

=1v2

c− x√(c− x)2 + b2

.

Sia x0 ∈ (0,c) la soluzione dell’equazione scritta sopra2 e sia P0 il corrispondentepunto sull’asse delle x. Indichiamo con P1 e P2 due punti sulla perpendicolareall’asse delle x passante per P0 e rispettivamente sopra e sotto l’asse delle ascisse.Siano inoltre α1 e α2 gli angoli formati da questa perpendicolare e i segmenti AP0e P0B. Si ha allora

x0√x2

0 + a2= sin α1,

c− x0√(c− x0)2 + b2

= sinα2.

Possiamo cosı dedurresinα1

sinα2=

v1

v2,

nota come legge di rifrazione o legge di Snell.

Esercizi

Esercizio 3.1 Calcolare le derivate delle seguenti funzioni specificando il dominio dellafunzione derivata,

f1(x) = 3ex + ln (x + 2), f2(x) =√

x + 1√x,

f3(x) = ex(cos x + sin x), f4(x) = ex+sin xx

.

Esercizio 3.2 Calcolare le derivate delle seguenti funzioni

f1(x) = (x + 1) ln2 (x + 1), f2(x) = xesin x,

f3(x) = x1/(1−x), f4(x) = x2 | cos x|.

Esercizio 3.3 Calcolare l’equazione della retta tangente al grafico delle seguenti fun-zioni nei punti x0 specificati

f1(x) = x + 1/x x0 = (1,2), f2(x) =√|x| x0 = (1,1),

f3(x) = ex cos x x0 = (0,1), f4(x) = 1 + sin |x| x0 = (π/2,2).

Esercizio 3.4 Trovare i punti della curva di equazione y = x3 − 3x + 5 per i qualila retta tangente sia (a) parallela alla retta y1 = −2x; (b) perpendicolare alla retta diequazione y2 = −x/9.

Esercizio 3.5 Calcolare il valore di g′(e+1) dove g e la funzione inversa della funzione

f(x) = x + ln x + ex, x > 0.

2Tale soluzione esiste ed e unica. Infatti, se indichiamo con f(x) = T ′(x), abbiamo f continuain [0,c]. Poiche f(0)f(c) < 0, il Teorema degli Zeri garantisce l’esistenza di x0. Inoltre f ederivabile e f ′(x) > 0 in [0,c], che garantisce l’unicita di x0.

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130 Capitolo 3

Esercizio 3.6 Verificare l’identita

arctan x + arctan 1/x =π

2, x > 0

tramite derivazione.

Esercizio 3.7 Determinare il numero di zeri della funzione

f(x) = 1 + x2 − |x|aal variare del parametro reale a.

Esercizio 3.8 Trovare eventuali punti di minimo e massimo locali per le seguentifunzioni negli intervalli specificati,

f1(x) = x2 + 1/x in [1/2,2], f2(x) = x2e−|x| in R,

f3(x) = 12+x2 in (−2,2), f4(x) = 2 + | cos x| in [−2π,2π].

Esercizio 3.9 Tra tutte le lattine perfettamente cilindriche (cilindro rettangolo conbase circolare) e di assegnato volume V trovare quelle che minimizzano l’area superficiale.

Esercizio 3.10 (Problema di Ferrari-Tartaglia) Dividere r = 8 in due parti a e bin modo tale che il prodotto a · b · (a− b) risulti massimo.

Esercizio∗ 3.11 (Convessita e disuguaglianze) Dimostrare, per induzione, che sef : I → R, I intervallo, e una funzione convessa, se x1,. . . ,xn ∈ I e p1,. . . ,pn sono numerireali non negativi con somma positiva allora vale la disuguaglianza di Jensen

f

( ∑ni=1 pixi∑n

i=1 pi

)≤

∑ni=1 pif(xi)∑n

i=1 pi.

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4Grafici di funzioni e approssimazioni

4.1 Derivate di ordine superiore

Se f e derivabile allora anche per la funzione f ′ possiamo chiederci se esiste la suaderivata. Nel caso di derivata in un punto x0 dovremmo analizzare il limite delseguente rapporto incrementale

limh→0

f ′(x + h)− f ′(x)h

.

Nel caso in cui tale limite esiste si chiama derivata seconda di f in x0 e si indicacon f ′′(x0) o con uno sei seguenti simboli

f (2)(x0),d2

dx2f(x0),

d2f

dx2|x=x0

.

Se la derivata seconda esiste ed e finita allora f si dice derivabile due volte inx0. Anche per la derivata seconda potremmo considerare la funzione che associaa ogni x del dominio di f il valore f ′′(x), quando questo esiste ed e finito, quindiquando f e derivabile due volte in x0. La funzione corrispondente si indichera conf ′′, oppure f (2)(x), d2f/dx2.

Il processo potrebbe continuare per n volte portando alla definizione delladerivata n-esima di f indicata con uno dei simboli

f (n),dnf

dxn, y(n).

Si dice anche che f (n) e la derivata di ordine n di f , per convenzione f (0) = f .Se si considera la derivata di un certo ordine solo in un punto x basta specificarlocome argomento, f (n)(x).

Esempio 4.1 (Derivate di ordine superiore) Calcoliamo, ove esista, la fun-zione f ′′ dove f(x) = x sin x, x ∈ R. Abbiamo

f ′(x) = sin x + x cos x ⇒ f ′′(x) = cosx + cosx− x sin x,

ed f ′′ e definita per ogni x reale. Il valore f ′′(x) fornisce la pendenza della rettatangente al grafico di f ′ nel punto (x,f ′(x)).

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132 Capitolo 4

Sia y = x4, x ∈ R, si ottiene

y′ = 4x3, y′′ = 12x2, y(3) = 24x, y(4) = 24,

e tutte le derivate di ordine superiore a 4 sono nulle. In generale se f(x) = xn

(n intero positivo), allora

f (k)(x) = n(n− 1) · · · (n− (k − 1)) xn−k.

Il coefficiente di xn−k nella derivata puo anche essere riscritto come

n(n− 1) · · · (n− (k − 1)) =n!

(n− k)!,

dove n! indica il fattoriale di n.

Esempio 4.2 (Accelerazione) In ambito fisico la derivata seconda della fun-zione s(t) che indica lo spostamento nello spazio di un oggetto in funzione deltempo t, si interpreta come accelerazione. Per esempio consideriamo una particel-la che si sposta con una legge del tipo s(t) = t3− 2t2 + 7t, t ≥ 0. La velocita dellaparticella sara

v(t) = s′(t) = 3t2 − 4t + 7,

mentre l’accelerazione ea(t) = s′′(t) = 6t− 4.

Se t e misurato in secondi, “sec”, e lo spostamento in metri, “m”, l’accelerazioneal tempo t = 4 sara di a(4) = 6 · 4− 4 = 20 m/sec2.

4.1.1 Test della derivata seconda

Parlando di convessita (concavita) abbiamo enunciato la caratterizzazione, “fconvessa se e solo se f ′ crescente” (ovviamente stiamo parlando di funzioni fderivabili). Se anche f ′ e derivabile, il segno della sua derivata, cioe il segno del-la derivata seconda, determina la crescita (decrescita) di f ′, abbiamo quindi ilseguente risultato.

Teorema 4.1 (Derivata seconda e convessita) Sia f : (a,b) → R, f deri-vabile due volte in (a,b), allora f e convessa (concava) se e solo se f ′′(x) ≥ 0(f ′′(x) ≤ 0) per ogni x in (a,b).

Esempio 4.3 Consideriamo la funzione f(x) = x3 − 3x2 + 2, x ∈ R abbiamof ′(x) = 3x2 − 6x e f ′′(x) = 6x − 6. Per x > 1 si ottiene f ′′(x) > 0 quindi f econvessa (strettamente), mentre per x < 1, f ′′(x) < 0 e quindi in tale intervallo fe concava (strettamente).

Dall’esempio appena fatto sembra giustificata la seguente definizione.

Definizione 4.1 (Punto di flesso) Sia f : (a,b) → R, x0 ∈ (a,b) un punto incui esiste la derivata (finita o meno). Il punto x0 si dice di flesso se esiste unintorno destro di x0 in cui f e convessa (concava) e un intorno sinistro di x0 incui f e concava (convessa).

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Grafici di funzioni e approssimazioni 133

In un punto x0 di flesso la tangente nel punto (x0,f(x0)) esiste e “attraversa” ilgrafico di f .

Esempio 4.4 Consideriamo la funzione f(x) = x4 − 4x3, x ∈ R, abbiamo

f ′(x) = 4x3 − 12x2, f ′′(x) = 12x2 − 24x = 12x(x− 2).

Il segno di f ′′ e determinato dal fattore x(x − 2) che rappresenta l’equazione diuna parabola con zeri in 0 e 2. Abbiamo,

f ′′(x) > 0 per x ∈ (−∞,0) ∪ (2, +∞); f ′′(x) < 0 per x ∈ (0,2).

Nei punti in cui f ′′ cambia segno cambia anche la concavita di f , abbiamo duepunti di flesso come e schematizzato nella seguente tabella

f ′′ 0 0++ −− ++

f x = 0 x = 2^ _ ^

flesso flesso

I grafici di f , f ′, f ′′ e f (3) sono riportati nella Figura 4.1.

−2 −1 0 1 2 3−30

−20

−10

0

10

20

30

40

x

x4−4 x3

−2 −1 0 1 2 3

−60

−50

−40

−30

−20

−10

0

x

4 x3−12 x2

−2 −1 0 1 2 3−20

0

20

40

60

80

100

x

12 x2−24 x

−2 −1 0 1 2 3−80

−60

−40

−20

0

20

40

x

24 x−24

Figura 4.1 Grafico di f(x) = x4 − 4x3 e delle derivate f ′(x), f ′′(x), f (3)(x).

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134 Capitolo 4

Se x0 e un punto di flesso e se esiste f ′′(x0) allora necessariamente f ′′(x0) = 0 (ilflesso e un punto stazionario di f ′ quando esiste la derivata seconda). Natural-mente la condizione e solo necessaria, per f(x) = x4, x ∈ R, si ha f ′′(0) = 0 max = 0 non e un punto di flesso ma un punto di minimo.

Consideriamo una funzione derivabile due volte, f : (a,b) → R, e x0 ∈ (a,b)punto stazionario, f ′(x0) = 0. Se la funzione e convessa (almeno in un intornodi x0), allora il grafico di f deve stare “sopra” il grafico della retta tangente in(x0,f(x0)). Essendo f ′(x0) = 0, tale retta tangente ha equazione y = f(x0) (euna retta parallela all’asse delle ascisse), si veda la Figura 4.2. Segue che, in un

x0

f (x )=0′0

f (x )>0′ ′0

Punto di minimo locale

x

x0

f (x )=0′0

f (x )<0′ ′0

Punto di massimo locale

x

Figura 4.2 Convessita/concavita e punto stazionario danno un punto di minimo o unpunto di massimo locale.

intorno di x0, si ha f(x) ≥ f(x0) e quindi in x = x0 abbiamo un punto di minimolocale.

Teorema 4.2 (Test della derivata seconda) Sia f : (a,b) → R, una funzionederivabile due volte in (a,b), x0 ∈ (a,b) punto stazionario, f ′(x0) = 0,

i) se f ′′(x0) > 0, allora f ha un minimo locale in x0;

ii) se f ′′(x0) < 0, allora f ha un massimo locale in x0.

Osservazione 4.1 L’andamento di convessita e concavita di una funzione puoquindi essere analizzato tramite il test della derivata seconda (analogo del testdella derivata prima per stabilire gli intervalli in cui una funzione e crescente odecrescente). Se l’andamento di crescenza/decrescenza viene schematizzato tra-mite le frecce “” e “”, la convessita/concavita viene schematizzata tramite isimboli “^” e “_” (che possono essere associati a un sorriso e a una smorfia). Inquesto senso “si sorride solo se la derivata seconda e positiva”.

Esempio 4.5 (Minimi e massimi) Determiniamo eventuali punti di minimo odi massimo della funzione f(x) = x2e−x, x ∈ R. f e derivabile, quindi gli unici

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Grafici di funzioni e approssimazioni 135

candidati sono gli eventuali punti stazionari. Abbiamo, f ′(x) = xe−x(2 − x),quindi f ′(x) = 0 per x1 = 0 e x2 = 2. Calcoliamo la derivata seconda, si ottiene

f ′′(x) = e−x(2− 4x + x2

),

quindi f (2)(0) = 2 > 0 da cui x1 e un punto di minimo locale, f (2)(2) < 0 e quindix2 e un punto di massimo locale.

Osservazione 4.2 Il test della derivata seconda non dice nulla riguardo al casoin cui f ′(x0) = 0, f ′′(x0) = 0, potrebbe succedere di tutto. Per esempio le funzionidefinite come x4, − x4, x3, per x ∈ R, hanno in x0 = 0 un punto, rispettivamentedi minimo, massimo, flesso. Per tutte e tre la derivata prima e la derivata secondasi annullano in 0.

Inoltre un punto stazionario potrebbe non essere un punto di minimo o dimassimo o di flesso. Per esempio la funzione

f(x) =

x2 sin 1/x, x 6= 0

0 x = 0

ha in x = 0 un punto stazionario f ′(0) = 0 (si verifica con la definizione di derivata,non con le regole del calcolo), ma x = 0 non e un punto di minimo o di massimoo di flesso, si veda la Figura 4.3.

−0.2 −0.15 −0.1 −0.05 0 0.05 0.1 0.15 0.2−0.04

−0.03

−0.02

−0.01

0

0.01

0.02

0.03

0.04

x2 sin(1/x)

punto stazionario

Figura 4.3 In x = 0 la funzione f ha solo un punto stazionario senza altre qualita.

Come abbiamo fatto nel caso dei diversi tipi di discontinuita possiamo classificarei punti di non derivabilita di una funzione f . Tale classificazione serve solo percapire l’andamento locale qualitativo del grafico della funzione in esame.

Definizione 4.2 (Punti di non derivabilita) Sia f : (a,b) → R una funzionecontinua in (a,b) e x0 ∈ (a,b). Allora

• se f ′(x0) = +∞ (oppure −∞) il punto (x0,f(x0)) si dice punto a tangenteverticale;

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136 Capitolo 4

• se f ′+(x0) 6= f ′−(x0) (una delle due derivate potrebbe essere uguale a +∞ o−∞) il punto (x0,f(x0)) si dice punto angoloso;

• se f ′+(x0) = +∞, f ′−(x0) = −∞ (o viceversa) il punto (x0,f(x0)) si dicecuspide.

Nella Figura 4.4 si mostrano alcuni esempi dei tre casi appena descritti. Le funzionix1/3, x3/2, |x| hanno in x0 = 0 rispettivamente un punto a tangente verticale, unpunto cuspide, un punto angoloso.

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

f(x)=x 1/3

punto tangente verticale

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 20

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

f(x)=x 2/3

punto cuspide

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 20

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

f(x)= | x |

punto angoloso

Figura 4.4 Esempio di punto a tangente verticale, di punto angoloso e di cuspide.

4.2 Due strumenti di calcolo

Abbiamo in precedenza dimostrato che

limx→0

sin x

x= 1, lim

x→0

1− cos x

x= 0.

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Grafici di funzioni e approssimazioni 137

Non potevamo calcolare questi limiti con le regole usuali, sostituendo i limiti alnumeratore e al denominatore e facendone il rapporto. Infatti in tutte e due lefrazioni, sia il numeratore che il denominatore tendono a 0 per x che tende a0. Ci troviamo di fronte ad una forma indeterminata del tipo “0/0”. In ques-ti casi potrebbe succedere di tutto come mostrano i seguenti esempi di formeindeterminate,

limx→0

3x

x= 3, lim

x→0

|x|x4

= +∞, limx→0

x4

x2= 0.

Altre forme indeterminate sono del tipo

±∞/±∞, 0 · ±∞, +∞−∞, ∞0, 00, 1∞.

Vediamo uno strumento che potrebbe aiutare.

Teorema 4.3 (Regola di De l’Hopital) Siano −∞ ≤ a < b ≤ +∞ ef,g : (a,b) → R due funzioni tali che

i) limx→a+ f(x) = limx→a+ g(x) = 0 (oppure +∞, oppure −∞);

ii) f,g derivabili in (a,b), g′(x) 6= 0 per x ∈ (a,b);

iii) esiste il limite (finito o infinito)

limx→a+

f ′(x)g′(x)

= L

allora esiste anche il limite

limx→a+

f(x)g(x)

= L.

Esempio 4.6 Calcoliamo il limite di ln x/(1 − x2) per x → 1+. Abbiamo unaforma indeterminata del tipo 0/0 e numeratore e denominatore soddisfano, in unintorno del punto 1 le condizioni della regola di De l’Hopital, inoltre abbiamo

limx→1+

(lnx)′

(1− x2)′= lim

x→1+

1/x

− 2x= −1

2.

Si deduce quindi che anche

limx→1+

ln x

1− x2= −1

2.

Questo esempio mostra il modo di procedere, ci si accerta prima di tutto che siamoin presenza di una forma indeterminata contemplata dalla regola, si verificanole ipotesi (eventualmente non nell’intero dominio ma in un opportuno intervallocontenente il punto a cui si sta tendendo), si verifica l’esistenza del limite delrapporto delle derivate. L’esistenza di quest’ultimo limite permette di concluderel’esistenza e il valore del limite di partenza.

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138 Capitolo 4

Potrebbe accadere che anche il limite del rapporto delle derivate sia una formaindeterminata, in tal caso si puo cercare di applicare la regola di De l’Hopital unaseconda volta o quante volte e necessario per decidere l’indeterminazione (fattosalva la verifica delle ipotesi ad ogni passo). Per esempio

limx→0+

sin x − x

x3

e una forma indeterminata del tipo 0/0. Passando alle derivate (le altre ipotesisono verificate),

limx→0+

cosx − 13x2

risulta essere ancora una forma indeterminata. Dopo una seconda applicazionedella regola, derivando ancora una volta si arriva a considerare

limx→0+

− sin x

6x= −1

6lim

x→0+

sin x

x= −1

6.

Osservazione 4.3 Le conclusioni del Teorema di De l’Hopital valgono anche perlimiti del tipo x → b− o del tipo x → x0, con x0 ∈ (a,b). Inoltre, coma giacommentato nell’esempio precedente possiamo verificare le ipotesi della regola inun opportuno intorno del punto di accumulazione. Le conclusioni rimangono lestesse. Si rimarca anche il fatto che si possono considerare forme indeterminateper limiti all’infinito.

Occorre fare attenzione a non “abusare” della regola di De l’Hopital.

• Non sempre f/g e f ′/g′ hanno il medesimo limite, potrebbe esistere il primolimite ma non il secondo (non sono equivalenti i due limiti). Per esempio illimite

limx→0+

x2 sin (1/x)x

= limx→0+

x sin (1/x)

esiste ed e uguale a zero, mentre per le derivate si ottiene

limx→0+

2x sin (1/x) + x2 (−1/x2) cos (1/x)1

= limx→0+

(2x sin (1/x)− cos (1/x))

che non esiste perche non esiste il limite di cos (1/x) per x → 0+.

• Non si puo applicare la regola alle forme non indeterminate. Per esempio,

limx→1+

x

ln x= +∞,

basta una verifica diretta. Questo limite non e una forma indeterminata, ilnumeratore tende a 1. Se avessimo applicato la regola di De l’Hopital avremmoinvece considerato

limx→1+

11/x

= 1

e quindi avremmo sbagliato.

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Grafici di funzioni e approssimazioni 139

Esempio 4.7 (Ordini di infinito) Dimostriamo che

limx→+∞

xb

qx= 0, ∀ b > 0, ∀ q > 1,

ovvero xb va all’infinito “piu lentamente” di quanto ci vada la funzione esponenzialeqx qualsiasi sia la base, q > 1, per x → +∞. Questo si esprime anche dicendo cheogni esponenziale con base maggiore di 1 e un infinito di ordine superiore rispettoa qualunque potenza di x per x → +∞. Consideriamo le forme equivalenti,

xb

qx=

(x

qx/b

)b

=(

x

αx

)b

con α = q1/b > 1,

da cui si deduce che basta studiare il caso del limite di x/αx per x → +∞.Abbiamo una forma indeterminata ∞/∞, siamo nelle condizioni della regola diDe l’Hopital e per le derivate si ha

limx→+∞

1αx ln α

= 0.

Quindi dall’esistenza di quest’ultimo limite si deduce che il limite di partenza euguale a zero.

In modo analogo e possibile dimostrare che

limx→+∞

loga x

xb= 0, ∀ a > 1, ∀ b > 0.

Quindi ogni potenza e un infinito di ordine superiore rispetto alle funzioni logarit-miche per x → +∞. Inoltre con la sostituzione, t = 1/x e possibile ricondurre laforma indeterminata 0 · ∞

limx→0+

xb loga x, ∀ a > 1, ∀ b > 0,

al caso

limt→+∞

− loga t

tb= 0.

Non abbiamo fornito la dimostrazione della regola di De l’Hopital, tale dimostra-zione si basa su un risultato interessante di per se che permette di controllare ilquoziente f/g attraverso il quoziente f ′/g′.

Teorema 4.4 (Teorema di Cauchy) Siano f e g due funzioni definite e conti-nue sull’intervallo chiuso [a,b], f e g siano inoltre derivabili in (a,b), allora esistealmeno un c ∈ (a,b) tale che

(f(b)− f(a)) · g′(c) = (g(b)− g(a)) · f ′(c)

Il Teorema di Cauchy appare quindi come un teorema del valor medio generalizzato(per g(x) = x abbiamo infatti f(b)− f(a) = f ′(c)(b− a)).

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140 Capitolo 4

4.3 Grafico di una funzione

Quando abbiamo l’espressione analitica di una funzione possiamo essere tentati divalutarla in qualche punto e da questa manciata di punti dedurre il comportamentoqualitativo del grafico dell’intera funzione. Questo procedimento puo parzialmentefunzionare solo se accompagnato da considerazioni di vario tipo e solo accoppian-dolo con una analisi della funzione stessa1. Nella Figura 4.5 si mostra un insiemedi punti collegato da funzioni diverse tra di loro ma tutte aventi il grafico passanteper i punti dati. Inoltre negli intervalli non contenenti alcun punto non abbiamo

x

Figura 4.5 I punti da soli non bastano.

nessuna informazione, potrebbero esserci asintoti, massimi, minimi, flessi, mono-tonie e via dicendo. Siamo quindi interessati alle principali proprieta del grafico diuna funzione f , ovverosia siamo interessati al comportamento e alle caratteristichedella funzione stessa. A questo scopo e necessario far ricorso a tutti gli strumen-ti messi fino ad ora a disposizione dal calcolo differenziale: limiti, continuita ederivate. Il seguente elenco e una breve guida per il disegno del grafico di una fun-zione assegnata attraverso una espressione y = f(x). Ovviamente non tutto cioche viene elencato sara indispensabile per ogni funzione, si desidera solo metterein evidenza quali caratteristiche che potrebbero risultare essenziali per disegnaregraf (f).

a) Dominio. Quando non e specificato occorre partire nel determinare il do-minio dom(f) della funzione f , ovverosia l’insieme dei numeri reali dove lafunzione e definita. Se non e specificato altrimenti si cerca il piu grandesottoinsieme D ⊆ R in cui l’espressione f(x) abbia senso.

b) Intersezioni. Potrebbe aiutare una prima analisi di eventuali intersezioni delgrafico con l’asse delle ascisse, punti per i quali f(x) = 0, oppure intersezionieventuali con l’asse delle ordinate, valore f(0). Per quanto riguarda gli zeri

1Molti calcolatori e calcolatrici grafiche utilizzano proprio questo procedimento (utilizzan-do molti punti) per fornire una prima approssimazione del grafico di una funzione. Taleprocedimento evidenzia i suoi limiti in presenza di forti variazioni di scala all’interno dellafunzione.

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Grafici di funzioni e approssimazioni 141

di f , il problema potrebbe risultare piuttosto difficile e proprio una analisipiu approfondita della f darebbe una risposta. Se si incontrano difficoltatecniche e meglio evitare di cercare gli zeri e procedere oltre (tornando indietroeventualmente quando la situazione e piu chiara).

c) Simmetrie. L’analisi del grafico della funzione potrebbe semplificarsi note-volmente in presenza di evidenti simmetrie. In particolare sono rilevanti leseguenti situazioni.

c1) funzione pari, per ogni x ∈ dom(f), −x ∈ dom(f) e f(x) = f(−x);

c2) funzione dispari, per ogni x ∈ dom(f), −x ∈ dom(f) e f(x) = −f(−x);

c3) funzione periodica, per ogni x ∈ dom(f), x + T ∈ dom(f) e f(x) =f(x + T ), per una opportuna costante positiva T .

Nei primi due casi basta considerare solo la parte del dominio con x ≥ 0oppure x ≤ 0, nel caso di periodicita e sufficiente prendere in considerazioneun intervallo di lunghezza pari al periodo T , per esempio [0,T ].

d) Asintoti. Dal calcolo dei limiti all’infinito e possibile stabilire l’esistenzadi eventuali asintoti orizzontali o di asintoti obliqui. Nel caso di eventualipunti di infinito e possibile determinare asintoti verticali (tipico il caso di unafunzione razionale o di un quoziente). Solitamente, se il dominio e compostodall’unione di intervalli aperti si valutano i limiti (anche all’infinito) dellafunzione per x tendente agli estremi di tali intervalli.

e) Intervalli di monotonia. Solitamente si cercano intervalli in cui la funzionesia crescente o decrescente. Lo strumento di base e il calcolo della derivataprima f ′ e lo studio del suo segno. A volte anche le proprieta di composizionedelle funzioni elementari possono aiutare (la composizione di funzioni mono-tone conduce a funzioni monotone, crescenti o decrescenti a seconda del tipodi monotonia posseduta dalle funzioni che si stanno componendo).

f) Massimi e minimi locali. Ricordiamo che le categorie da controllare sono:eventuali punti estremi di intervalli che compongono il dominio, punti sta-zionari, punti in cui non esiste la derivata prima. Per la verifica del fatto diessere un punto di massimo o di minimo e possibile considerare il test delladerivata prima (segno della derivata prima e dopo il punto in esame) o il testdella derivata seconda.

g) Concavita e punti di flesso. Pur essendo possibile analizzare la crescitadella derivata prima per determinare intervalli in cui la funzione risulti conves-sa o concava, lo strumento piu utilizzato e la derivata seconda. Ricordiamoche dal segno della derivata seconda e possibile determinare tali caratteris-tiche del grafico della funzione. I punti di flesso possono essere determinatidove la concavita cambia.

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142 Capitolo 4

h) Disegno del grafico qualitativo di f . Si disegna il grafico della funzione inbase a tutte le informazioni raccolte nei punti precedenti. Osserviamo solo chele informazioni devono essere coerenti tra di loro. In questa fase il calcolo deivalori della funzione in qualche punto oppure determinare la retta tangentein qualche punto potrebbero aiutare in caso di dubbio.

Esempio 4.8 (Studio di funzione 1) Disegniamo il grafico qualitativo dellafunzione

f(x) =x

x2 − 1.

Dato che non e specificato nessun dominio particolare consideriamo il piu grandedominio dove l’espressione di f(x) abbia senso. In questo caso occorre che ildenominatore non si annulli, quindi x2 − 1 6= 0 da cui x 6= 1, − 1, quindi

dom(f) = (−∞,− 1) ∪ (−1,1) ∪ (1, +∞).

Gli zeri f(x) = 0 sono facilmente determinabili perche deve annullarsi il nume-ratore e quindi abbiamo il punto x = 0 che appartiene al dominio. Per x = 0abbiamo anche l’intersezione con l’asse delle ordinate.

La funzione risulta essere dispari

f(−x) =− x

(−x)2 − 1= − x

x2 − 1= −f(x),

possiamo studiare la funzione solo per le x ≥ 0 appartenenti al dominio.I limiti per punti estremi di intervalli aperti componenti nel dominio sono:

limx→+∞

x

x2 − 1= 0,

limx→1−

x

x2 − 1= −∞,

limx→1+

x

x2 − 1= +∞.

La retta y = 0 e quindi un asintoto orizzontale mentre la retta x = 1 e un asintotoverticale. Per simmetria la retta y = 0 rimane asintoto orizzontale anche perx → −∞ e la retta x = −1 e un asintoto verticale (con i segni scambiati deilimiti a destra e a sinistra). Uno schizzo preliminare delle informazioni raccoltee rappresentato nella Figura 4.6. Calcoliamo la derivata prima (derivata di unquoziente):

f ′(x) =1 · (x2 − 1)− x · (2x)

(x2 − 1)2=− x2 − 1(x2 − 1)2

.

La derivata prima e definita per ogni x del dominio ed e una funzione razionalein cui il numeratore e sempre negativo, −x2 − 1 < 0, mentre il denominatore esempre positivo, (x2− 1)2. La derivata prima e sempre strettamente negativa e lafunzione f e strettamente decrescente in ogni intervallo che compone il dominio.Attenzione: non e decrescente per tutto il dominio ma in ogni singolo intervallo(−∞,− 1), (−1,1), (1, +∞). Non vi sono punti stazionari e non vi sono massimio minimi locali.

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Grafici di funzioni e approssimazioni 143

Primo schizzo del grafico di f

+10−1

Figura 4.6 Prima bozza del grafico di f(x) = x/(x2 − 1) dalle prime informazioni sullaf .

Calcoliamo la derivata seconda:

f ′′(x) =− 2x · (x2 − 1)2 − (−x2 − 1) · 4x · (x2 − 1)

(x2 − 1)4=

2x3 + 6x

(x2 − 1)3.

Il segno della derivata seconda e determinato dal segno del denominatore e delnumeratore. Si riassumono i casi nella Tabella 4.1.

x −1 0 1

x(2x2 + 6) −− −− ++ ++

(x2 − 1)3 ++ −− −− ++

f ′′ −− ++ −− ++

f _ ^ _ ^

−1 0 1

Tabella 4.1 Studio del segno della derivata seconda.

La funzione risulta essere concava negli intervalli (−∞,−1) e (0,1) (separatamente)e convessa negli intervalli (−1,0) e (1, + ∞) (separatamente). Il punto x = 0 euno zero della derivata seconda e risulta essere un punto di flesso. Da tutte leinformazioni raccolte il grafico qualitativo della funzione f e mostrato nella Figura4.7.

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144 Capitolo 4

1 −1

0

x

y

Figura 4.7 Grafico qualitativo della funzione f(x) = x/(x2 − 1).

Esempio 4.9 (Studio di funzione 2) Disegniamo il grafico qualitativo dellafunzione

f(x) = x ln x,

per x > 0. Si noti che l’intervallo specificato e il sottoinsieme della retta reale piugrande in cui l’espressione ha senso. Valutiamo i limiti per gli estremi dell’intervallodi definizione dom(f) = (0, +∞). Abbiamo

limx→+∞

x ln x = +∞

non e infatti una forma indeterminata essendo il prodotto di due quantita chetendono entrambe a +∞ nel limite considerato. Il limite

limx→0

x ln x,

e invece una forma indeterminata del tipo 0 · −∞. Con la sostituzione t = 1/x,il limite diventa (sostituzione possibile dalle proprieta del limite della funzionecomposta),

limt→+∞

− ln t

t,

che e una forma indeterminata a cui si puo applicare la regola di De l’Hopitalottenendo 0. In particolare ci si avvicina a 0 con valori negativi perche a destradello zero in un intorno “piccolo”, x > 0 ma ln x < 0. La funzione non ha peroasintoti obliqui perche

limx→+∞

f(x)x

= +∞.

Non vi sono simmetrie per la funzione. Il grafico interseca l’asse delle ascisse nelpunto c tale che c ln c = 0, c > 0, da cui c = 1, il punto c = 0 non appartieneinvece al dominio. Calcoliamo la derivata prima:

f ′(x) = x1x

+ ln x = 1 + ln x.

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Grafici di funzioni e approssimazioni 145

Studiamone il segno:

f ′(x) > 0 ⇔ 1 + ln x > 0 ⇔ x >1e.

Quindi f e strettamente crescente per x > (1/e) e strettamente decrescente nell’in-tervallo (0,1/e). Il punto stazionario x = 1/e e quindi un punto di minimo relativoe anche assoluto: f(x) ≥ f(1/e), ∀x ∈ dom(f). La derivata prima e strettamentecrescente quindi la funzione f e strettamente convessa, non e necessario valutarela derivata seconda. Il grafico qualitativo della funzione e mostrato nella Figura4.8.

1 x

1/e

y

0

Figura 4.8 Grafico qualitativo della funzione f(x) = x ln x.

Esempio 4.10 (Studio di funzione 3) Disegniamo il grafico qualitativo dellafunzione

f(x) = cos x +12

sin 2x.

Il dominio della funzione f e tutto l’insieme R, la funzione e somma di due funzioniperiodiche. La funzione cosx ha periodo positivo minimo uguale a 2π mentre lafunzione sin (2x) ha periodo minimo uguale a π. In questi casi, in cui i periodisono multipli interi dello stesso valore, si sceglie come periodo minimo il minimocomune multiplo dei fattori di proporzionalita. Nel caso in esame il periodo mi-nimo positivo e uguale a T = 2π. Possiamo considerare quindi un intervallo conlunghezza uguale al periodo T e poi estendere con periodicita il grafico che si ot-tiene. Prendiamo l’intervallo I = [0,2π] come intervallo di riferimento. Abbiamof(0) = 1 mentre le intersezioni con l’asse delle ascisse si trovano ponendo

cos x +12

sin 2x = 0 ⇒ cosx + sin x cosx = cos x (1 + sin x) = 0.

Per x ∈ I l’ultima equazione e verificata per cosx = 0 oppure per (1 + sinx) = 0,quindi per x = π/2, 3π/2. In tali punti dell’intervallo I ci sono zeri della funzione

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146 Capitolo 4

f . Non vi sono ovviamente asintoti, la derivata prima e uguale a

f ′(x) = − sin x + cos 2x = − sin x + (1− 2 sin2 x).

Ma l’espressione (2a2+a−1) si puo fattorizzare come (2a2+a−1) = (2a−1)(a+1),quindi

f ′(x) = −(2 sin x− 1)(sin x + 1),

e ha zeri nell’intervallo I,

x0 =π

6, x1 =

6, x2 =

2.

Dato che sin x + 1 ≥ 0 per ogni x il segno della derivata prima e determinato dalprimo fattore −(2 sin x− 1). La situazione e schematizzata nella seguente tabella.

f ′ 0 0++ −− ++

f x0 = π/6 x1 = 5π/6 x2 = 2π

max min

Il punto x0 risulta essere un punto di massimo locale, x1 un punto di minimolocale, x2 invece e un punto di crescita della funzione f . Per la derivata secondaabbiamo:

f ′′(x) = −2 sin 2x− cosx.

Con la sostituzione sin 2x = 2 sin x cos x si determinano quattro radici della deri-vata seconda nell’intervallo [0,2π],

z0 =π

2, z1 = π + arcsin(1/4), z2 =

2, z3 = 2π − arcsin(1/4).

L’analisi del segno della derivata seconda e riassunto nella seguente tabella.

f ′′ 0 0 0 0−− ++ −− ++ −−

f z0 z1 z2 z3

_ ^ _ ^ _

I quattro zeri della derivata seconda risultano essere dei punti di flesso. Dalleinformazioni raccolte abbiamo il grafico, in [0,2π] mostrato nella Figura 4.9. Nellastessa figura si mostra l’estensione della funzione con periodicita.

Esempio 4.11 (Studio di funzione 4) Disegniamo il grafico qualitativo dellafunzione

f(x) = xe−x2.

Il dominio della funzione e tutta la retta reale. Abbiamo

limx→±∞

f(x) = 0,

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Grafici di funzioni e approssimazioni 147

0 1 2 3 4 5 6 7−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

x0

x1

z0

z1

z2 z3 2π

f(x)=cos(x)+sin(2x)/2

Figura 4.9 Grafico della funzione f(x) = cos x + sin (2x)/2 in un intervallo lungo unperiodo e la sua estensione, x0, x1 punti di massimo e minimo relativo, zi

ascisse punti di flesso.

quindi la retta y = 0 e un asintoto orizzontale. La funzione risulta essere unafunzione dispari, f(−x) = −f(x) e l’unica intersezione con gli assi coordinatirisulta essere l’origine (0,0). Analizziamo la derivata prima:

f ′(x) = e−x2+ x(−2x)e−x2

= e−x2 (1− 2x2

).

Dato che la funzione esponenziale e sempre positiva, il segno e gli zeri della derivataprima, definita anch’essa per ogni x reale, sono determinati dal fattore (1− 2x2).La situazione e riassunta nella tabella.

f ′ 0 0−− ++ −−

f x0 = −1/√

2 x1 = 1/√

2

min max

I punti stazionari sono i punti

x0 = − 1√2, x1 =

1√2,

il primo risulta essere un punto di minimo locale mentre il secondo di massimolocale (si noti che avremmo potuto restringere lo studio alle x positive o negativesfruttando il fatto che f(−x) = −f(x) ossia f dispari). Per la derivata secondaabbiamo invece

f ′′(x) = −4xe−x2+ (1− 2x2)(−2x)e−x2

= (−2x)e−x2 (3− 2x2

).

La derivata seconda risulta essere positiva per x ∈ (−√

3/2,0) e x ∈ (√

3/2, +∞)e negativa altrove. I punti x = −

√3/2, 0,

√3/2 sono punti di flesso.

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148 Capitolo 4

Schematizzando in forma di tabella avremo

f ′′ 0 0 0−− ++ −− ++

f x = −√

3/2 x = 0 x =√

3/2_ ^ _ ^

Infine nella Figura 4.10 si mostra il grafico qualitativo della funzione.

f(x)=x e −x2

x

y

Figura 4.10 Grafico qualitativo della funzione f(x) = xe−x2.

4.4 Approssimazioni locali: polinomio di Taylor

Di tutte le retti passanti per il punto (x0,f(x0)) del grafico di una funzione f , laretta tangente rappresenta l’approssimazione migliore della curva f(x) vicino alpunto x0. Questo ovviamente vale per le funzioni derivabili. Se desideriamo ot-tenere approssimazioni migliori tramite funzioni “semplici” possiamo concentrarel’attenzione su approssimazioni di tipo polinomiale. In altri termini vogliamo ap-prossimare la funzione f vicino al punto x0, stiamo trattando approssimazionilocali, con un polinomio.

Esempio 4.12 (Approssimazione lineare) Vogliamo trovare una prima ap-prossimazione del valore ln (1. 1). Possiamo considerare tale valore comeln (1 + 0. 1) e quindi calcolare l’equazione della retta tangente T al grafico del-la funzione f(x) = ln (1 + x) nel punto (0, ln (1) = 0). L’equazione di tale rettae

T (x) = f(0) + f ′(0)(x− 0),

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Grafici di funzioni e approssimazioni 149

quindi, essendo ln′ (x + 1) = 1/(x + 1), si ottiene T (x) = x. L’approssimazionedesiderata e molto semplice

ln (1 + 0. 1) ≈ T (0. 1) = 0. 1.

Ovviamente ci si chiede se e possibile stimare l’errore commesso in base alleinformazioni a disposizione.

Consideriamo una funzione f : [a,b] → R derivabile due volte nell’intervallo didefinizione. Prendiamo un punto x = c ∈ (a,b) e cerchiamo di analizzare l’erroreche si commette sostituendo alla funzione f la retta tangente al grafico di f nelpunto (c,f(c)),

E(x) = f(x)− (f(c) + f ′(c)(x− c)) .

Per x 6= c possiamo applicare il Teorema di Cauchy (della media generalizzata),

E(x)(x− c)2

=E(x)− E(c)

(x− c)2 − (c− c)2=

E′(z)2(z − c)

,

per un opportuno punto z nell’intervallo di estremi x e c. Applicando di nuovo ilTeorema di Cauchy si arriva a

E′(z)2(z − c)

=E′′(α)

2=

f ′′(α)2

,

per un punto α intermedio tra z e c. Per l’errore abbiamo quindi l’espressione

E(x) =f ′′(α)

2(x− c)2,

per un opportuno α ∈ (a,b). Se abbiamo informazioni sull’andamento della deri-vata seconda possiamo stimare l’errore che si commette. Nell’esempio precedentesi ha

f ′′ = − 1(x + 1)2

,

e se x ∈ [a,b] possiamo ricavare le maggiorazioni desiderate.Consideriamo una opportuna funzione quadratica p2, un punto x0 ∈ (a,b) e

una funzione derivabile due volte nell’intervallo [a,b]. E ragionevole che la funzionep2 che approssima meglio la funzione f in un intorno di x0 e passa per il punto(x0,f(x0)) deve avere le stesse proprieta geometriche del grafico della funzione f intale punto. In particolare p2 e f devono avere un certo numero di derivate comuni.Scriviamo la funzione quadratica come

p2(x) = A0 + A1(x− x0) + A2(x− x0)2,

dalla condizione p2(x0) = f(x0) si ottiene A0 = f(x0). Imponendo invece

p′2(x0) = f ′(x0) ⇒ A1 = f ′(x0),

infine

p′′2(x0) = f ′′(x0) ⇒ A2 =f ′′(x0)

2.

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150 Capitolo 4

Il polinomio cercato ha quindi espressione

p2(x) = f(x0) + f ′(x0)(x− x0) +f ′′(x0)

2(x− x0)2.

Ancora resta aperto il problema della stima dell’errore E(x) = f(x) − p2(x) pervalori x diversi da x0.

Teorema 4.5 (Teorema di Taylor) Sia f : (a,b) → R una funzione derivabilen volte in x0 ∈ (a,b), allora esiste ed e unico il polinomio Tn(x) di grado ≤ n taleche

f (k)(x0) = T (k)n (x0), k = 0,. . . ,n.

Se inoltre f e derivabile n + 1 volte in (a,b), escluso al piu il punto x0, per ognix ∈ (a,b) esiste un c compreso tra x0 e x tale che

En(x) = f(x)− Tn(x) =f (n+1)(c)(n + 1)!

(x− x0)n+1 (resto di Lagrange).

L’unico polinomio nelle condizioni del teorema appena enunciato ha la seguenteforma (si deduce generalizzando il procedimento che abbiamo accennato nel casoquadratico n = 2),

Tn(x) =n∑

k=0

f (k)(x0)k!

(x− x0)k,

dove k! indica il fattoriale dell’intero k e con la solita convenzione f (0) = f . Nelcaso particolare x0 = 0 il polinomio si chiama polinomio di Mac Laurin di gradon, in generale invece si chiama polinomio di Taylor. Il punto x0 sara chiamatocentro del polinomio di Taylor. L’errore En si chiama anche resto dato che f(x) =Tn(x) + En(x). Nella Figura 4.11 si mostrano alcuni polinomi di Taylor centratiin 0 approssimanti la funzione sin x.

0 1 2 3 4 5 6 7−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

n=1

sin(x)

n=5

n=7

n=3

Figura 4.11 Alcuni polinomi di Taylor per la funzione f(x) = sin x centrati in x0 = 0.

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Grafici di funzioni e approssimazioni 151

Esempio 4.13 Stabiliamo quanti termini occorrono affinche il polinomio di Tay-lor di grado n con centro in x0 = 0 approssimi la funzione f(x) = ex nell’intervallo[−1,1] con errore minore di 0. 001. La funzione f(x) = ex ha derivate successivetutte uguali alla stessa f ,

f (k)(x) = ex ⇒ f (k)(0) = 1 ∀ k.

Il polinomio di Taylor (Mac Laurin) si scrive quindi come

Tn(x) = 1 +x

1!+

x2

2!+ . . . +

xn

n!.

Il resto En si scrive inoltre come

En(x) =xn+1

(n + 1)!ec, con c ∈ (−1,1).

Quindi ∣∣∣∣xn+1

(n + 1)!ec

∣∣∣∣ ≤ 0. 001 =⇒ |En(x)| ≤ 0. 001,

ma ec ≤ e per ogni c ∈ (−1,1) e |x|k ≤ 1 per ogni x ∈ [−1,1]. Otteniamo

|En(x)| ≤ e

(n + 1)!.

Occorre scegliere n tale che (n + 1)! ≥ (e/0. 001), per esempio n = 6 e sufficiente.

Esempio 4.14 (Altri esempi di polinomi di Taylor) Nell’esempio precedenteabbiamo gia osservato che per f(x) = ex si ottiene f (n)(0) = 1, ∀n ∈ N, dunque

Tn(x) =n∑

k=0

xk

n!.

Sia f(x) = sin x si ha

f ′(x) = cos x, f ′′(x) = − sin x, f (3)(x) = − cosx, f (4)(x) = sin x = f(x),

ne segue chef (2k)(0) = 0, f (2k+1)(0) = (−1)k.

Dunque si deduce il polinomio di Mac Laurin

T2n+1(x) =n∑

k=0

(−1)k x2k+1

(2k + 1)!.

Notiamo che i termini di grado pari sono nulli e sono rimasti solo i termini digrado dispari, non e ovviamente un caso che questo avvenga per una funzionedispari (nel caso di centro in x = 0). D’altra parte per una funzione f dispari percui 0 ∈ dom(f) abbiamo f(0) = 0. Inoltre se f e dispari allora f ′ e pari, f ′′ edispari e cosı via.

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152 Capitolo 4

In modo analogo il polinomio di Mac Laurin della funzione coseno e

T2n(x) =n∑

k=0

(−1)k x2k

(2k)!.

Per la funzione f(x) = ln (1 + x) abbiamo invece

f ′(x) = (1 + x)−1, f ′′ = −(1 + x)−2, . . . , f (n) = (−1)n+1(n− 1)!(1 + x)−n.

Quindi si ha

Tn(x) =n∑

k=0

(−1)k+1 xk

k.

Se f e g sono due funzioni derivabili n volte in x0 e se a,b ∈ R allora (con qualcheabuso di notazione)

i) Tn(af + bg) = aTn(f) + bTn(g);

i) T ′n(f) = Tn−1(f ′).

Per esempio il polinomio di Mac Laurin della funzione f(x) = 1/(1+x) si puo otte-nere per derivazione del polinomio di Mac Laurin della funzione g(x) = ln (1 + x).

A volte e utile adottare la notazione

f(x) = Tn(x) + o(|x− x0|n),

detta formula di Taylor con il resto di Peano e dove ϕ(x) = o(g(x)) per x → x0

significa che esiste una funzione h(x) tale che,

ϕ = gh, limx→x0

h(x) = 0.

Nel caso poi che g 6= 0 la notazione significa che il limite del rapporto ϕ(x)/g(x)e uguale a 0 per x → x0. In altri termini la funzione ϕ va a zero piu rapidamentedi quanto faccia la funzione g per x → x0. L’informazione con il resto di Peanoe solo di carattere qualitativo, dice solo che il resto va a zero ma non dice come.La notazione ha senso solo nel caso in cui il resto effettivamente e infinitesimo,cioe tende a zero, per x → x0. A volte tale notazione risulta utile nell’ambito delcalcolo dei limiti.

Esempio 4.15 Valutiamo

limx→0

x− sin x

x2.

Dalle proprieta delle derivate delle funzioni trigonometriche elementari si trova che(polinomio di Taylor centrato in 0 con resto di Peano),

sin x = x− x3

6+ o(x3), x → 0

quindi

x− sin x = x−(

x− x3

6+ o(x3)

), x → 0.

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Grafici di funzioni e approssimazioni 153

Il limite allora diventa

limx→0

x3

6 + o(x3)

x2,

che ovviamente e nullo. Attenzione: se nelle semplificazioni si resta con il solotermine o(·) e rischioso trarre delle conclusioni perche l’indeterminazione non vienetolta.

4.4.1 Il metodo di Newton

Un’idea in cui l’approssimazione con polinomi risulta utile consiste nell’appros-simazione di zeri di funzioni (oltre che nell’approssimazione di funzioni in gene-rale). Consideriamo dunque il problema della ricerca di uno zero della funzionef : [a,b] → R. Supponiamo di sapere che uno zero esiste nell’intervallo di defini-zione, per esempio f(a) · f(b) < 0 ed f sia derivabile. Supponiamo di avere unpunto c ∈ (a,b), approssimiamo il grafico della funzione f con la retta T tangentenel punto (c,f(c)),

T (x) = f(c) + f ′(c)(x− c).

Sostituiamo il problema “difficile” f(x) = 0 con il problema “facile”, T (x) = 0;sia xc tale zero,

T (xc) = 0 ⇒ xc = c− f(c)f ′(c)

.

Un diverso punto di vista piu analitico consiste nel considerare il polinomio diTaylor T1 centrato in c e nel valutare lo zero di tale polinomio. Possiamo iterareil procedimento ed ottenere il metodo iterativo

xk+1 = xk − f(xk)f ′(xk)

k ≥ 0, x0 assegnato.

Il metodo che si ottiene si chiama Metodo di Newton (o metodo delle tangenti).Ovviamente non entriamo nei dettagli, alcune ipotesi vanno fatte affinche il metodopossa essere applicato, per esempio deve accadere che f ′(x) 6= 0. Inoltre rimaneaperto il problema della convergenza della successione generata dal metodo allaradice della funzione f .

Esempio 4.16 Abbiamo f(x) = x3+x−1, dato che f(0) = −1 < 0, f(1) = 1 > 0,per il Teorema degli zeri c’e uno zero nell’intervallo [0,1]. Proviamo ad applicarel’iterazione del Metodo di Newton, illustrata graficamente nella Figura 4.12.Si ha

xk+1 = xk − x3k + xk − 13x2

k + 1=

2x3k + 1

3x2k + 1

,

partiamo dal secondo estremo, x0 = 1, otteniamo

x0 = 1, x1 = 0. 7500, x2 = 0. 6860, x3 = 0. 6823,. . .

e di seguito si converge verso la radice z = 0. 682328. . ., f(z) = 0.

Il Metodo di Newton converge quando abbiamo ipotesi simili a quelle dell’esempioprecedente. Per esempio se

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154 Capitolo 4

f x0 x1 x2

z

Figura 4.12 Illustrazione grafica del metodo di Newton.

1) f : [a,b] → R, f derivabile due volte in (a,b) e continua,

2) f(a) · f(b) < 0,

3) f ′(x) 6= 0, per tutte le x ∈ (a,b),

4) f ′′(x) ≥ 0, oppure f ′′(x) ≤ 0, per ogni x ∈ (a,b),

5) |f(a)/f ′(a)| ≤ (b− a), |f(b)/f ′(b)| ≤ (b− a),

il Metodo di Newton converge all’unico zero z della funzione f in [a,b] per ogni scel-ta x0 ∈ [a,b]. Tutte le condizioni possono essere interpretate geometricamente, sinoti che in queste condizioni il Metodo di Newton genera una successione monotonae quindi convergente.

In ogni caso possono presentarsi situazioni non cosı felici e la successionepotrebbe divergere oppure diventare periodica o altro ancora. Nella Figura 4.13si illustrano due casi di fallimento del metodo.

Esempio 4.17 (Proibito dividere) Supponiamo di avere a disposizione un cal-colatore che non possa fare divisioni, assegnato un valore a > 0 come calcolare1/a? Una soluzione viene fornita dal metodo di Newton, considerata la funzione

f(x) = a− 1x

,

ovviamente f(x) = 0 ⇒ x = 1/a. Il metodo di Newton applicato a questa funzioneproduce la seguente iterazione

xk+1 = xk −(

a− x−1k

x−2k

)= xk(2− axk).

Abbiamo quindi una successione costruita senza divisioni, rimane il problema dicome partire. Supponiamo di avere a disposizione due o piu valori di 1/a per

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Grafici di funzioni e approssimazioni 155

x0 x

1 x

2 x

3

(A)

x0

x1

x2

x3

(B)

Figura 4.13 Illustrazione grafica di due casi di fallimento del metodo di Newton: (A)divergenza, (B) comportamento periodico.

differenti a, potremmo cercare un polinomio che passi per questi valori e poi stimarecon questo polinomio un punto iniziale x0. Per esempio, se a ∈ [1/2,1], potremmoconsiderare la retta di equazione r(x) tale che r(1/2) = 2 e r(1) = 1. La rettaha equazione r(x) = 3− 2x, un valore iniziale potrebbe allora essere x0 = r(a) =3− 2 ∗ a: ancora evitiamo divisioni.

Osservazione 4.4 (Iterazioni di punto fisso) Il metodo di Newton puo essereconsiderata una iterazione di punto fisso. Questo significa che stiamo considerandoiterazioni del tipo xk+1 = g(xk) con g una opportuna funzione, e siamo interessatial valore limite x → α. Tale valore, se la funzione g e almeno continua, soddisfaall’equazione

α = g(α),

cioe non viene modificato da g, e un suo punto fisso. Nel caso in cui g : [a,b] → [a,b]con a,b ∈ R, g derivabile in ogni punto x ∈ (a,b) e continua in tutto l’intervallo[a,b], se esiste una costante C < 1 tale che

|g′(x)| ≤ C, ∀x ∈ (a,b),

si puo dimostrare che g possiede un unico punto fisso α ∈ [a,b] e che l’iterazionegenerata da g converge ad α per ogni scelta del punto iniziale x0 ∈ [a,b]. Ladimostrazione discende dal Teorema degli zeri e dal Teorema di Lagrange.

Esercizi

Esercizio 4.1 Calcolare le derivate seconde delle seguenti funzioni specificando il do-minio della funzione derivata,

f1(x) =x2 − 1

x2 + 1, f2(x) = x

√1− x2,

f3(x) = x2 + e1/x, f4(x) =ex

sin x.

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156 Capitolo 4

Esercizio 4.2 Determinare intervalli di convessita/concavita delle seguenti funzioni,

f1(x) =x2

x2 − 1, f2(x) = 2− |x5 − 1|,

f3(x) = ln (sin x), f4(x) = x2e−x.

Esercizio 4.3 Calcolarelim

x→0+xsin x.

Esercizio 4.4 Determinare i grafici qualitativi delle funzioni coseno iperbolico cosh,seno iperbolico sinh, tangente iperbolica tanh, definite come:

cosh(x) =ex + e−x

2x ∈ R,

sinh(x) =ex − e−x

2x ∈ R,

tanh(x) =sinh(x)

cosh(x)x ∈ R.

Dimostrare che la funzione sinh e invertibile su tutta la retta reale, calcolare la funzioneinversa e studiarne il grafico. Che relazioni esistono tra queste funzioni e le loro derivate?

Esercizio 4.5 Determinare i grafici qualitativi delle seguenti funzioni

f1(x) = ln (1 + x2)− 1, f2(x) = 1− |x4 − 1|,

f3(x) = 2 + ln (cos x), f4(x) = e(x−1)/(x+1),

f5(x) =x4 − |x|2x2 − x

, f6(x) =√

(1− x2) + |x + 1/2|.

Esercizio 4.6 Determinare i grafici qualitativi delle seguenti funzioni

f1(x) = e−x√

x− 1, f2(x) =

√ex + e−x

2,

f3(x) = tan(√

1 + x2), f4(x) = log

(x

x + 1

),

f5(x) =(x + 1)3

x, f6(x) = ex ln(x).

Esercizio 4.7 Calcolare il polinomio Tn di Mac Laurin della funzione

f(x) = log

(1 + x

1− x

),

stimare l’errore che si commette approssimando f(1/4) con Tn(1/4).

Esercizio 4.8 Rispondere ai seguenti quesiti.(1) In quale intervallo il polinomio di Taylor centrato in x = 0 di grado 4 approssimacos x a meno di 0. 00005?(2) Quale e lo sviluppo del polinomio p(x) = x5 − 2x4 + x3 − x2 + 2x − 1 in potenze di(x− 1)?

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Grafici di funzioni e approssimazioni 157

Esercizio∗ 4.9 (Formula dell’errore di Newton) Trovare l’espressione della formuladell’errore del metodo di Newton per l’approssimazione della radice α semplice di fsupponendo f derivabile due volte.Trasformare la formula dell’iterazione di Newton sostituendo alla derivata un opportunorapporto incrementale.

Esercizio∗ 4.10 Dimostrare che se f e drivabile k volte nell’intervallo I e se

f(c) = f ′(c) = · · · = fk(c) = 0,

dove c ∈ I, allora possiamo scrivere

f(x) = (x− c)kF (x),

con F (c) 6= 0. Trovare un punto c ∈ R e un intero k e la funzione F nelle condizioniprecedenti quando:

f(x) = 1− xe1−x, x ∈ R.

Costruire un esempio con f non nulla, k = 2, c = 0 e applicare il metodo di Newton perla ricerca dello zero x = c: cosa si puo osservare riguardo alla convergenza del metodo?

Esercizio∗ 4.11 Dimostrare che se f : R → R e una funzione derivabile tale chef ′(x) = f(x) per ogni x ∈ R allora f(x) = Cex con C costante reale.

Esercizio∗ 4.12 Studiare, al variare dei parametri reali a, b, i punti di minimo e dimassimo della funzione

f(x) = xaebx

per x ≥ 0.

Esercizio∗ 4.13 Sia f : [a,b] → R, derivabile due volte. Approssimiamo tale funzionecon la retta r passante per i punti (a,f(a)) e (b,f(b)), stimare l’errore

E(x) = |f(x)− r(x)|, x ∈ [a,b].

Esercizio∗ 4.14 Sia y una funzione definita in un intervallo contenente il punto x = 1e tale che

y′(x) = −y2(x) + x3, y(1) = 1.

Valutare y′′(1), y(3)(1).

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5Integrali, aree, primitive

5.1 Calcolo integrale: alcuni esempi

Iniziamo introducendo alcuni problemi che potranno trovare un ambiente comunenel concetto di integrale e che saranno in parte risolti attraverso imprevedibiliconnessioni.Calcolo di una primitiva. Abbiamo visto che il significato fisico della derivatae legato alla velocita di spostamento di un oggetto. Piu in generale la derivatafornisce il tasso di variazione istantaneo di qualche fenomeno. Spesso, conoscendoquesto tasso, si vogliono dedurre altre informazioni. Per esempio un fisico desideraconoscere la posizione di un oggetto in un certo istante di tempo dalla conoscenzadella velocita di spostamento dell’oggetto stesso e della posizione iniziale. Analo-gamente un biologo, a cui e noto il tasso di variazione di una certa popolazione dicellule, desidera valutare la popolazione totale di cellule in un certo istante futuro.

In entrambi i casi il problema consiste nel trovare una funzione F la cuiderivata e una funzione nota f .

Definizione 5.1 (Funzione primitiva) Sia f : I → R, I intervallo. Una fun-zione F : I → R derivabile si dice primitiva di f in I se

F ′(x) = f(x) ∀x ∈ I.

Esempio 5.1 (Primitiva) Sia f(x) = x2, non e difficile trovare una primitiva Fdi f . Dalle regole di derivazione dei polinomi, F deve essere un polinomio di terzogrado, per semplicita supponiamo che sia un monomio F (x) = kx3, k costante,abbiamo F ′(x) = 3kx2, dato che F ′(x) = f(x) = x2 ⇒ 3k = 1 ⇒ k = 1/3.

Abbiamo quindi che F (x) = x3/3 e una primitiva di f . Non e l’unica, qualsiasifunzione G del tipo G(x) = x3/3 + c, con c costante, e una primitiva. Infatti duefunzioni definite su un medesimo intervallo con derivata uguale differiscono di unacostante. I grafici di alcune primitive sono riportati nella Figura 5.1, sono tutti“paralleli” tra loro.

Il problema consiste nell’esistenza e nel calcolo di una funzione primitiva, oltre auna possibile caratterizzazione di tutte le eventuali primitive. Considereremo soloil caso di funzioni definite su intervalli.Calcolo di aree. Uno dei problemi storici del calcolo differenziale si identifica con

il calcolo dell’area di una regione del piano delimitata da varie curve. Consideriamo

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160 Capitolo 5

x

yPrimitive di f(x)=x2

x

x

y

0

Figura 5.1 Alcuni grafici di primitive della funzione f(x) = x2, le rette tangenti inpunti con ascissa uguale sono parallele.

R

a b

f

Figura 5.2 Regione R sottesa dalla funzione f .

un aspetto particolare: sia y = f(x) una funzione continua, f ≥ 0, x ∈ [a,b], evogliamo determinare l’area della regione R che si trova sotto il grafico di f , sopral’asse delle ascisse e compresa tra le rette x = a, x = b (si veda la Figura 5.2).

Un metodo ragionevole per procedere potrebbe consistere nell’approssimarel’area con l’area di regioni piu “semplici” e poi effettuare una operazione di li-mite. Per esempio dividiamo l’intervallo [a,b] in N sottointervalli per mezzo dellasuddivisione

a = x0 < x1 <. . .< xN = b.

Indichiamo con ∆xi la lunghezza dell’i-esimo sottointervallo [xi−1,xi],

∆xi = xi − xi−1, i = 1,2,. . . ,N.

Sopra ogni sottointervallo [xi−1,xi] “costruiamo” un rettangolo con base il sottoin-tervallo e altezza di lunghezza f(xi). L’area di questo rettangolo e f(xi) × ∆xi.

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Integrali, aree, primitive 161

La somma di tutte le aree e (si veda la Figura 5.3)

SN = f(x1)∆x1+. . . +f(xN )∆xN .

f

xxi−1

xi

f(xi)

∆xi

a b

Figura 5.3 Approssimazione dell’area della regione sottesa dal grafico della funzione f .

Possiamo supporre che SN sia un’approssimazione dell’area della regione R sottesadal grafico della funzione f . Al crescere di N , e contemporaneamente con lariduzione ∆xi → 0, possiamo definire

area(R) = lim SN , per N → +∞, max∆xi → 0.

Sorgono varie questioni, la definizione e ben posta o dipende dalle scelte fatte deirettangoli? Le aree ottenute soddisfano alle proprieta della funzione area? Comevalutare il limite senza dover ricorrere alla definizione?

Osservazione 5.1 Possiamo sintetizzare la scrittura

SN = f(x1)∆x1+. . . +f(xN )∆xN

come

SN =N∑

i=1

f(xi)∆xi.

Il simbolo∑

e chiamato simbolo di sommatoria. La somma non dipende esplici-tamente da i, che e detto indice di sommatoria ed e una variabile muta: la sommanon cambia sostituendo a i qualsiasi altro indice:

N∑

i=1

f(xi)∆xi =N∑

j=1

f(xj)∆xj =. . . =N∑

l=1

f(xl)∆xl,. . .

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162 Capitolo 5

Per i termini ai, che dipendono dall’indice intero i, la somma da i = k fino a i = pincluso si scrive

p∑

i=k

ai.

Per le sommatorie valgono le usuali leggi delle somme:p∑

i=k

(ai + bi) =p∑

i=k

ai +p∑

i=k

bi;

p∑

i=k

cai = c

p∑

i=k

ai.

Vediamo alcune sommatorie importanti:

i) se tutti i termini sono uguali a 1, ovviamenten∑

i=1

1 = 1 + 1+. . . +1︸ ︷︷ ︸n

= n.

ii) Come dimostrato a pag. 15, abbiamo chen∑

i=1

i = 1 + 2+. . . +n =n(n + 1)

2

.

iii) Come dimostrato a pag. 16, abbiamo che

n∑

i=0

qi =

1︷︸︸︷q0 +

q︷︸︸︷q1 +q2 + · · ·+ qn =

qn+1 − 1q − 1

, q 6= 1.

Somme di tanti piccoli contributi. L’approccio accennato nel problema pre-cedente potrebbe essere incontrato in vari ambiti (Ingegneria, Fisica, Biologia,Economia ed altri ancora)

• si suddivide una quantita in un numero sempre piu grande di piccole parti;

• si sommano i contributi di tutte le parti;

• si passa al limite.

La definizione di varie grandezze e inquadrabile in questo contesto: lavoro di unaforza, lunghezza di una curva, momento di massa, pressione idrostatica, flussosanguineo, calcolo delle probabilita, e via dicendo.

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Integrali, aree, primitive 163

Esempio 5.2 (Lavoro di una forza) Quando una forza agisce su un oggettomovendolo si dice che ha compiuto “un lavoro su quell’oggetto”. La quantita dilavoro fatto nel caso di forza costante e agente nella direzione del moto e data da

lavoro = forza × spostamento.

Supponiamo che una forza F (x), x ∈ [a,b], agisca spostando un oggetto dal puntox = a al punto x = b > a. Il lavoro elementare per percorrere una distanza ∆xpartendo da x e dato da

∆L = F (x)∆x

in prima approssimazione. Il lavoro totale, approssimato, e dunque

L∆ =∑

f(x)∆x,

dove la somma e presa per tutti gli spostamenti elementari. Cosa succede passandoal limite per ∆x → 0? Ottengo una buona definizione di lavoro della forza?

5.2 Aree e integrale definito

Per calcolare l’area di una regione piana si sceglie un’unita di misura, per esempioun quadrato avente lati di lunghezza unitaria. A questo punto si possono calcolarele aree di figure che consideriamo elementari, un rettangolo con lati adiacenti dilunghezza b e h avra, per esempio, area uguale a bh unita d’area. I poligoni possonoessere decomposti in elementi regolari di cui sappiamo calcolare l’area (triangoli);l’area del poligono sara naturalmente la somma delle aree delle regioni elementariche non si sovrappongono e che compongono il poligono stesso.

La necessita di un metodo piu generale per il calcolo delle aree si presentaquando si desidera valutare l’area di una figura limitata non da poligoni ma dacurve. Dobbiamo far intervenire un processo di limite approssimando la regione,per esempio, con regioni a “contorno poligonale” e valutando il limite della succes-sione delle aree di queste regioni approssimate. Non diamo qui una definizione diarea per una regione piana, supponiamo di sapere intuitivamente di cosa si tratta.Nel caso di regioni poligonali le seguenti proprieta sono evidenti, si veda la Figura5.4, dove m(A) indica l’area della regione A ed e quindi una funzione che a insiemiassocia valori reali,

i) l’area della regione piana A e un valore reale ≥ 0, m(A) ≥ 0;

ii) l’area di un rettangolo R di lati di lunghezza b e h e data da m(R) = bh;

iii) se P e P ′ sono due regioni piane congruenti (P ′ e ottenibile da P attraversotraslazioni, rotazioni, simmetrie) allora hanno aree uguali, m(P ) = m(P ′);

iv) se la regione S e contenuta nella regione P , allora m(S) ≤ m(P );

v) se la regione S e ottenibile come unione di regioni Pi, i = 1,. . . N senzasovrapposizione, allora l’area di S e uguale alla somma delle aree delle regioniPi, m(S) =

∑Ni=1 m(Pi).

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164 Capitolo 5

R

m(R)=b h

b

P

S

m(S) ≤ m(P)

P

P′

m(P) = m(P′)iii)

P1

P2

P3

P4

P5

m(S)=m(P1)+m(P

2)+m(P

3)+m(P

4)+m(P

5)v)

Figura 5.4 Proprieta elementari dell’area di una figura piana.

Estensioni al caso di regioni piane generali devono, ragionevolmente, conservaretali proprieta. Abbiamo scelto come aree “elementari” quelle dei rettangoli; anchele aree dei triangoli rettangoli discendono immediatamente. Se due triangolirettangoli T1 e T2 decompongono un rettangolo R, allora, per la proprieta v),

m(R) = m(T1) + m(T2).

I due triangoli sono congruenti e quindi, per la proprieta iii),

m(R) = 2m(T1) = 2m(T2),

e, per la proprieta ii), m(R) = bh, quindi

m(T1) = bh/2

(dove b e h sono le lunghezze dei lati del rettangolo o dei cateti dei triangolirettangoli).

Esempio 5.3 Vogliamo calcolare l’area della regione R compresa tra la retta diequazione y = x + 2, l’asse delle x e compresa tra le rette x = 0 e x = 3, si vedala Figura 5.5. La regione R e una regione poligonale (e un trapezio) e potremmoconsiderare una sua decomposizione in aree elementari (rettangoli e triangoli).Procediamo invece con una approssimazione e un processo di limite.

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Integrali, aree, primitive 165

−1 0 1 2 3 4−1

0

1

2

3

4

5

xi

xi+1

∆ xi+1

=3/N

f(xi)

y=x+2

R

Figura 5.5 Esempio del calcolo dell’area di una figura piana.

Dividiamo l’intervallo [0,3] in N sottointervalli di uguale lunghezza, mediante ipunti della suddivisione

x0 = 0, x1 =3N

, x2 =6N

,. . . , xN−1 =3N

(N − 1), xN =3N

N= 3.

Il valore di f(x) = x + 2 in xi, i = 0,. . . ,N , sara

yi = f(xi) =3N

i + 2, i = 0,. . . ,N.

La lunghezza dell’i-esimo sottointervallo

[3N

(i− 1),3N

(i)], i = 1,. . . ,N,

e chiaramente ∆xi = 3/N . La somma delle aree dei rettangoli che hanno comebase l’intervallo [xi−1,xi] e altezza f(xi) e

SN =∑N

i=1 f(xi)∆xi =∑N

i=1(3N (i) + 2) 3

N =

= 3N (

∑Ni=1

3N (i) + 2

∑Ni=1 1) = 3

N ( 3N

∑Ni=1 i + 2

∑Ni=1 1).

Ricordando che∑N

i=1 i = N(N − 1)/2,∑N

i=1 1 = N si ottiene

SN =9

N2

N(N + 1)2

+6N

N =92

N + 1N

+ 6.

Passando al limite (area(R) approssimata da un numero sempre maggiore di ret-tangoli disgiunti con base sempre piu piccola) per ∆xi → 0, (N → +∞) siottiene

limN→+∞

SN =92

+ 6 =212

unita d’area.

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166 Capitolo 5

In effetti l’area del trapezio R e uguale a

f(0) + f(3)2

(3− 0) =2 + 5

23 =

212

unita d’area.

In questa approccio puo sorgere un dubbio: il limite puo variare se cambiamola scelta dell’approssimazione? Per esempio le altezze dei rettangoli scelte comef(xi−1) oppure f((xi + xi−1)/2) o altro ancora. Inoltre: per quali funzioni, inquesto caso f(x) = x + 2, il limite delle aree approssimanti esiste?

5.2.1 Integrale definito (secondo Riemann)

In questo paragrafo intendiamo precisare e generalizzare il procedimento per de-terminare le aree tramite un processo di limite. Il concetto intuitivo di area sottesadal grafico di una funzione sara, in un certo senso, “superato” appena sara chiarala formulazione analitica.Consideriamo una funzione limitata e definita nell’intervallo chiuso e limitato [a,b],

f : [a,b] → R, ∃k ≥ 0 tale che |f(x)| ≤ k ∀x ∈ [a,b].

Vediamo come “determinare” somme del tipo

N∑

i=1

f(xi)∆xi.

Una partizione P dell’intervallo [a,b] e un insieme ordinato e finito di punti P =x0,. . . ,xN, dove

x0 = a < x1 <. . .< xN−1 < xN = b.

Una partizione P produce una suddivisione dell’intervallo [a,b] in N sottointervalli

[a,x1], [x1,x2], . . . , [xN−1,xN ].

Chiameremo intervalli della partizione gli intervalli aperti (xi−1,xi), i = 1,. . . ,N ,e indicheremo con ∆xi la lunghezza dell’i-esimo intervallo della partizione, ∆xi =xi − xi−1. Dato che la funzione f e limitata, gli insiemi

Si = f(x), x ∈ (xi−1,xi)sono limitati, quindi esistono finiti sia l’estremo inferiore che l’estremo superiore

mi = inf(Si); Mi = sup(Si),

mi ≤ f(x) ≤ Mi ∀x ∈ (xi−1,xi).

Le somme di Riemann superiore ed inferiore di f corrispondenti alla partizione Psono definite dalle relazioni

s(f,P) =N∑

i=1

mi∆xi, S(f,P) =N∑

i=1

Mi∆xi.

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Integrali, aree, primitive 167

a=x0 x1 x 2 x3 x 4 x5 xN =b

f Somma inferiore f

a=x 0 x1 x2 x3 x4 x5 xN =b x

Somma superiore

Figura 5.6 Un esempio di partizione e di somma di Riemann superiore ed inferiore.

Nella Figura 5.6 si mostra un esempio di quanto abbiamo definito fino a questopunto.

Osserviamo che, posto m = inf im(f) e M = sup im(f), risulta

m(b− a) ≤ s(f,P) ≤ S(f,P) ≤ M(b− a),

quindi esiste l’estremo inferiore e superiore dell’insieme

s(f,P), P partizione di [a,b],e dell’insieme

S(f,P), P partizione di [a,b].Assegnate due partizioni P1 e P2 diremo che P2 e un raffinamento di P1 (o cheP1 e meno fine di P2) se P1 ⊆ P2, cioe se P2 possiede tutti i punti di P1, edeventualmente anche solo un punto in piu.

E possibile dimostrare il seguente risultato.

Teorema 5.1 (Teorema di raffinamento) Se P1 e P2 sono due partizioni di[a,b] e P2 e un raffinamento di P1 allora, per f : [a,b] → R limitata, risulta

s(P1,f) ≤ s(P2,f); S(P1,f) ≥ S(P2,f).

Non dimostriamo questa proprieta, basterebbe verificare nel caso di aggiunta diun solo punto alla partizione P1 e ricordare le proprieta di inf e sup. Inoltre sipotrebbe dedurre che per ogni coppia di partizioni P e P ′ dell’intervallo [a,b] siha che s(P,f) ≤ S(P ′,f). Basta infatti considerare la partizione P ′′ = P ∪ P ′(raffinamento di entrambe) per cui

s(f,P) ≤ s(f,P ′′) ≤ S(f,P ′′) ≤ S(f,P ′).Abbiamo quindi

supP

s(f,P) ≤ infP

S(f,P),

e possono verificarsi due casi,

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168 Capitolo 5

• sup s < inf S, oppure

• sup s = inf S.

Nel secondo caso la f risulta “integrabile”.

Definizione 5.2 (Funzione integrabile) Una funzione f : [a,b] → R limitatasi dice integrabile (secondo Riemann) su [a,b] se supP(s) = infP(S). Il valorecomune di questi due estremi si chiama integrale (di Riemann) di f in [a,b] e saradenotato con uno dei simboli∫

[a,b]

f(x)dx,

I

f(x)dx,

I

f,

dove I = [a,b] e il dominio di integrazione e f = f(x) e la funzione integranda.

Osserviamo che la variabile x nella scrittura dell’integrale e una “variabile muta”(come l’indice di sommatoria) e percio puo essere sostituita da qualsiasi altralettera. L’insieme delle funzioni integrabili (secondo Riemann) su un intervallo[a,b] si denotera con R(a,b).

Esempio 5.4 L’insieme delle funzioni integrabili non e vuoto, R(a,b) 6= ∅. Infattisu qualunque intervallo [a,b] ogni funzione costante f(x) = c e integrabile e risulta

[a,b]

f(x) dx =∫

[a,b]

c dx = c(b− a).

In questo caso, qualsiasi sia la partizione P,

s(P,c) = S(P,c) =N∑

i=1

c∆xi = c

N∑

i=1

∆xi = c(b− a).

L’insieme R(a,b) non coincide pero con l’insieme delle funzioni limitate su [a,b].Per esempio sia D : [a,b] → R la funzione di Dirichlet

D(x) =

1 se x ∈ [a,b] ∩Q0 se x ∈ [a,b] \Q

Per ogni partizione P, risulta

s(P,D) =N∑

i=0

0∆xi = 0, S(P,D) =N∑

i=0

1∆xi = (b− a);

infatti c’e sempre qualche razionale e qualche irrazionale in qualsiasi sottointervallodella suddivisione. Quindi sup(s) = 0, inf(S) = (b− a) e D /∈ R(a,b), mentre D euna funzione limitata.

Si pongono due questioni:

(1) Quali funzioni limitate sono integrabili?

(2) Se f ∈ R(a,b), come calcolare∫[a,b]

f(x)dx?

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Integrali, aree, primitive 169

Osservazione 5.2 Se f e limitata e f : [a,b] → R, f ∈ R(a,b), f ≥ 0, sembraevidente che la nozione presentata di integrabilita concerne il calcolo dell’areacompresa tra il grafico della funzione f , l’asse delle x e le rette di equazionex = a, x = b.

Per una data partizione P, sia s(P,f) che S(P,f) rappresentano l’area di unafigura composta da rettangoli disgiunti (aree di “plurirettangoli”) con altezze de-terminate dai valori di f nel sottointervallo [xi−1,xi] della partizione. L’operazionedi estremo superiore ed estremo inferiore coincideranno nel limite se i grafici diquesti plurirettangoli si “confonderanno” con il grafico di f e l’area sottesa daf sara il valore estremo. Nel caso in cui f cambi di segno, ma resti integrabile,le somme di Riemann hanno perfettamente senso. L’integrale puo allora essereinterpretato come somma algebrica delle aree prese con segno positivo dove f ≥ 0e con segno negativo dove f ≤ 0, si veda la Figura 5.7.

a

b

f

+− +

Figura 5.7 Integrale∫[a,b]

f(x)dx come somma algebrica di aree.

5.2.2 Condizioni di integrabilita

Verificare l’integrabilita di una funzione tramite la definizione e complicato e mac-chinoso, la nozione di integrabilita resta comunque molto importante. Vediamoalcune caratterizzazioni utili.

Teorema 5.2 Una funzione f : [a,b] → R limitata e integrabile se e solo se ∀ε > 0si puo trovare una partizione Pε di [a,b] tale che

S(Pε,f)− s(Pε,f) < ε.

Una conseguenza immediata del Teorema 5.2, che non dimostriamo ma che esemplice conseguenza delle proprieta di sup e inf, e la seguente.

Teorema 5.3 (Integrabilita delle funzioni monotone) sia f : [a,b] → R li-mitata e monotona. Allora f e integrabile.

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170 Capitolo 5

Dimostrazione. Per fissare le idee consideriamo f crescente, si veda la Figura 5.8.Indichiamo con |P| = max1≤i≤N ∆xi l’ampiezza di una assegnata partizione. Sia quindiP una partizione, per la monotonia della funzione, in ogni sottointervallo

mi = inff(x), x ∈ (xi−1,xi) = f(xi−1)

Mi = supf(x), x ∈ (xi−1,xi) = f(xi).

Abbiamo quindi

S(P,f)− s(P,f) =∑N

i=1 f(xi)∆xi −∑N

i=1 f(xi−1)∆xi =

=∑N

i=1(f(xi)− f(xi−1))∆xi ≤ |P|∑Ni=1(f(xi−1)− f(xi)).

L’ultima sommatoria scritta risulta essere uguale a f(b) − f(a). Basta quindi scegliere,per ogni valore positivo ε > 0, una partizione P tale che

|P|(f(b)− f(a)) < ε.

a bx

f Differenze tra rettangolidelle somme inferiori e superiori

xi−1

xi

f

a b x xi−1 x

i

Differenze tra somme superiori esomme inferiori

Figura 5.8 Integrabilita di una funzione monotona.

Per esempio con una partizione uniforme, ∆xi = (b− a)/N ∀ i, si ha |P| = (b− a)/N equindi deve essere

(b− a)

N<

ε

f(b)− f(a)⇒ N >

f(b)− f(a)

ε(b− a).

La funzione f(x) = x risulta, per esempio, integrabile in ogni intervallo chiuso elimitato [a,b]; anche x2 in ogni intervallo [a,b] con b ≤ 0 oppure a ≥ 0. La funzione√

x risulta integrabile in ogni intervallo [a,b] con a ≥ 0.Vediamo di evidenziare nella definizione di integrabilita l’operazione limite,

in questo modo possiamo giustificare il calcolo dell’integrale in certe situazioni.Insieme alle somme inferiori e superiori introduciamo le somme integrali

I(P,f) =N∑

i=1

fi∆xi,

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Integrali, aree, primitive 171

dove mi ≤ fi ≤ Mi e un qualsiasi valore tra inf e sup di f in [xi−1,xi]. Diremoche il numero reale L e il limite di I(P,f) per |P| → 0 e scriveremo

lim|P|→0

I(P,f) = L,

se ∀ε > 0 si puo trovare δ > 0 tale che

|I(P,f)− L| < ε

per ogni suddivisione con |P| < δ e per ogni scelta di fi.Quando abbiamo speranza che tale limite esista? Quando riusciamo a control-

lare l’incremento della f dall’incremento della x in modo uniforme nell’intervallo[a,b].

Teorema 5.4 Una funzione f : [a,b] → R limitata appartiene a R(a,b) se e solose esiste finito lim|P|→0 I(P,f); in tal caso

lim|P|→0

I(P,f) =∫

[a,b]

f(x)dx.

Le funzioni f : [a,b] → R continue su tutto l’intervallo chiuso e limitato soddisfanouna importante proprieta, detta continuita uniforme; ∀ε > 0 possiamo trovare unnumero δ > 0 (dipendente solo da ε) tale che la relazione |f(x)− f(y)| < ε valgaper tutti i punti x,y ∈ [a,b] tali che |x−y| < δ. In altri termini la relazione ε-δ nellaverifica della continuita non dipende dal punto x0 che si considera. L’oscillazionedi f in un sottointervallo potra essere controllata a patto di scegliere un sottointer-vallo di lunghezza opportuna. Da questa importante proprieta (la dimostrazionee contenuta in un teorema noto come Teorema di Heine) e dal Teorema 5.4 si ha ilseguente risultato (che giustifica pienamente le operazioni di calcolo di area sottesada una funzione f come limite di somme nel caso di funzione f continua).

Teorema 5.5 (Integrabilita delle funzioni continue) Se f e continua nel-l’intervallo chiuso e limitato [a,b], allora f e integrabile su [a,b].

Per esempio tutte le funzioni polinomiali sono integrabili in ogni intervallo [a,b],cosı come le funzioni trigonometriche sinx e cos x, le funzioni esponenziali ax e lefunzioni logaritmiche log x (in intervalli [a,b], con a > 0).

Osservazione 5.3 (Integrazione numerica) Per una valutazione numerica ap-prossimata dell’integrale

I =∫ b

a

f(x)dx,

con f funzione continua, possiamo immaginare di “fotografare” il processo di limitein un certo istante e di sostituire al posto del valore vero I una somma che loapprossimi

Q =m∑

k=1

wkf(xk).

Formule di questo tipo si dicono formule di quadratura numerica, dove xk ∈ [a,b]sono i nodi della formula di quadratura e wk opportuni pesi. Naturalmente I =Q + R dove R e l’errore commesso, o residuo. Per esempio possiamo considerare

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172 Capitolo 5

una suddivisione a = z0 < z1 <. . .< zN = b dell’intervallo [a,b] e, in ogni sot-tointervallo [zk−1,zk] k = 1,. . . ,N possiamo scegliere un nodo xk uguale al puntomedio del sottointervallo selezionato. I corrispondenti pesi saranno le lunghezzedei sottointervalli, dal punto di vista geometrico questo corrisponde a considerarerettangoli di base [zk−1,zk] e altezza di lunghezza |f(xk)|. Otteniamo la formuladi quadratura composta del punto medio

QM =m∑

k=1

(zk − zk−1) · f(

zk−1 + zk

2

).

Consideriamo ancora una suddivisione a = z0 < z1 <. . . < zN = b e una funzionef ≥ 0. Una differente approssimazione dell’area sottesa dal grafico della funzione fconsiste nel considerare segmenti di retta che congiungono i punti (zk−1,f(zk−1)),(zk,f(zk)). L’area sottesa da questi segmenti di retta e uguale all’area del trapeziorettangolo con basi di lunghezza f(zk−1) e f(zk) e altezza di lunghezza (zk−zk−1).Abbiamo la formula di quadratura dei trapezi:

QT =m∑

k=1

(zk − zk−1)2

· (f(zk−1) + f(zk)) .

Anche se la funzione f cambia segno la formula dei trapezi rimane valida e ognitermine nella sommatoria della formula per QT risulta essere l’integrale tra zk−1 ezk della funzione lineare che passa per i due punti di ascissa zk−1 e zk del graficodella funzione f . Nella Figura 5.9 si mostra un’illustrazione grafica delle formuledi quadratura del punto medio e dei trapezi.

f

z0

z1

z2 z

3

x

Formula del punto medio

f

z1 z

0 z

2 z

3 z

4

x

Formula dei trapezi

Figura 5.9 Formule di quadratura per il calcolo numerico dell’integrale definito.

Le relazioni di inclusione per gli insiemi delle funzioni integrabili, continue, limi-tate, monotone sono rappresentate nella Figura 5.10.

5.2.3 Proprieta dell’integrale

Possiamo “estendere” la classe di funzioni integrabili e considerare le proprietadell’integrale. Tali proprieta non indicheranno solo nuove funzioni integrabili ma

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Integrali, aree, primitive 173

Funzionicontinue

Funzionimonotone

Funzioni integrabili

Funzioni limitate

Figura 5.10 Riassunto delle relazioni tra integrabilita e altre proprieta delle funzioni.

indicheranno anche le relazioni tra i valori dell’integrale delle nuove funzioni e gliintegrali delle funzioni di partenza. Possiamo estendere la nozione di integraleconsiderando integrali tra b e a (b > a). Dal punto di vista fisico questo e comple-tamente giustificato, per esempio, un lavoro di una forza cambia segno ma restaben definito cambiando direzione.

L’insieme di funzioni con cui lavoreremo e l’insieme delle funzioni localmenteintegrabili. Sia f : I → R, con I intervallo, f e localmente integrabile quando essae integrabile in ogni intervallo chiuso e limitato incluso in I.

Definizione 5.3 Sia f : I → R, I intervallo, f localmente integrabile, a,b ∈ I.L’integrale da a a b di f e il numero reale definito come segue

∫ b

a

f(x)dx =

[a,b]

f(x)dx se a < b

0 se a = b

−∫

[b,a]

f(x)dx se a > b

I due numeri a e b vengono detti primo e, rispettivamente, secondo estremo diintegrazione.

Per esempio, l’area sottesa dalla funzione f(x) = x, x ∈ [0,1] e uguale all’areadel triangolo rettangolo con cateti di lunghezza unitaria, quindi

∫ 1

0

x dx =12,

∫ 0

1

x dx = −12.

Abbiamo i seguenti risultati per integrali e operazioni tra funzioni.

Teorema 5.6 (Proprieta degli integrali) Siano f,g : I → R, I intervallo, f,glocalmente integrabili, a,b,c ∈ I, A,B ∈ R costanti, allora

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174 Capitolo 5

i) la funzione Af + Bg e integrabile e∫ b

a

[Af(x) + Bg(x)]dx = A

∫ b

a

f(x)dx + B

∫ b

a

g(x)dx;

ii) se f ≥ 0 e a < b,∫ b

af(x)dx ≥ 0;

iii) se f(x) ≥ g(x), a < b allora∫ b

af(x)dx ≥ ∫ b

ag(x)dx;

iv) se m ≤ f(x) ≤ M , ∀x ∈ [a,b], b > a allora

m(b− a) ≤∫ b

a

f(x)dx ≤ M(b− a);

v) se a ≤ b allora | ∫ b

af(x)dx| ≤ ∫ b

a|f(x)|dx;

vi) ∀ a, b, c ∈ I,∫ b

af(x)dx =

∫ c

af(x)dx +

∫ b

cf(x)dx.

La dimostrazione del Teorema 5.6 si riconduce alla definizione di integrale, nonla riportiamo (tutte le conclusioni dovrebbero ormai apparire “ragionevoli” al let-tore). L’integrale potrebbe essere considerato come un’applicazione che associa auna funzione di R(a,b) un numero reale,

I : R(a,b) → R, I(f) =∫

[a,b]

f(x)dx.

Questo tipo di applicazioni si indica con il termine di funzionale. La proprieta i)indica la linearita dell’integrale rispetto alla funzione integranda. Le proprieta ii)e iii) sono proprieta di “confronto” (monotonia). La ii) in particolare e naturale:se f ≥ 0 l’integrale e interpretabile come area sottesa dalla curva e quindi e unaquantita non negativa.

La proprieta v) deriva dalle proprieta della funzione modulo e dal fatto che, sef non e ≥ 0, l’integrale e la somma algebrica di aree, mentre l’integrale di |f | ≥ 0e sempre un’area, somma di aree positive. La vi) e la proprieta additiva rispettoall’intervallo di integrazione. Tramite la vi) possiamo dimostrare l’integrabilita difunzioni definite con “diverse formule” in diversi intervalli e abbiamo anche unostrumento di calcolo.

Esempio 5.5 (Funzioni continue a tratti) Sia a0 < a1 <. . . < an un insiemefinito di punti sulla retta reale; una funzione f definita in [a0,an], tranne eventual-mente in qualcuno dei punti ai, i = 0,. . . ,n e detta continua a tratti in [a0,an] se∀ i, i = 1,. . . ,n, esiste una funzione fi continua in [ai−1,ai] tale che

f(x) = fi(x) ∀x ∈ (ai−1,ai).

Dalla proprieta vi) dell’integrale abbiamo che f e integrabile e∫ an

a0

f(x)dx =n∑

i=1

∫ ai

ai−1

fi(x)dx.

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Integrali, aree, primitive 175

Si consideri, per esempio, la funzione

f(x) =

√1− x2 se x ∈ [0,1]

3 se x ∈ (1,2]

x− 2 se x ∈ (2,4]

essa risulta essere una funzione continua a tratti. Geometricamente, l’integrale tra0 ed 1 della funzione f1(x) =

√1− x2 rappresenta l’area di un quarto di cerchio

con centro O e raggio 1, si veda la Figura 5.11. L’integrale tra 1 e 2 della funzione

√1−x2

3

x−2

Figura 5.11 Calcolo dell’integrale di una funzione continua a tratti.

costante f2(x) = 3 rappresenta l’area del rettangolo di base [1,2] e altezza 3. Infinel’integrale della funzione f3(x) = x − 2, x ∈ [2,4], e uguale all’area del triangolorettangolo con cateti di lunghezza 2.

Riassumendo, f e integrabile e∫ 4

0

f(x)dx =∫ 1

0

√1− x2dx +

∫ 2

1

3dx +∫ 4

2

(x− 2)dx =

= π/4 + 3 +124 =

π

4+ 5.

Definizione 5.4 (Valor medio integrale) Sia f : [a,b] → R integrabile. Sichiama valor medio di f nell’intervallo [a,b] la quantita

1b− a

∫ b

a

f(x)dx.

Dalla proprieta iv) degli integrali si deduce che il valor medio integrale di f ecompreso tra il suo sup e il suo inf

inf(f(x) : x ∈ [a,b]) ≤ 1b− a

∫ b

a

f(x)dx ≤ sup(f(x) : x ∈ [a,b]).

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176 Capitolo 5

Se f e anche continua, assume tutti i valori tra l’estremo inferiore e l’estremosuperiore della sua immagine (Teorema dei valori intermedi) quindi esistera unpunto c ∈ [a,b] tale che f(c) e uguale al valor medio.

Teorema 5.7 (Teorema valor medio integrale) Sia f : [a,b] → R integrabile,posto m = inf [a,b] f, M = sup[a,b] f si ha

i) m ≤ 1b−a

∫ b

af(x)dx ≤ M ;

ii) se f e continua su [a,b] esiste c ∈ [a,b] tale che 1b−a

∫ b

af(x)dx = f(c).

Osservazione 5.4 Per il punto ii) del Teorema 5.7 la continuita e essenziale. Peresempio la funzione

f(x) =

−1 se x ∈ [0,1]

1 se x ∈ (1,2]

e integrabile e∫ 2

0

f(x)dx =∫ 1

0

f(x)dx +∫ 2

1

f(x)dx = −1 + 1 = 0,

ma non esiste alcun punto c ∈ [0,2] tale che f(c) = 0.

Notiamo che nel caso di funzioni costanti a tratti con tratti di lunghezza unita-ria, quindi funzioni con valori costanti in sottointervalli [x,x + 1], la lunghezzadell’intero intervallo e uguale al numero N di tratti, l’integrale e invece la sommaalgebrica dei valori costanti in ogni tratto. La media integrale e uguale, in questoparticolare caso, al valore medio aritmetico della sequenza di valori costanti chedefiniscono la funzione.

5.3 Relazioni tra integrazione e derivazione

Abbiamo “scovato” diverse funzioni integrabili ma abbiamo pochi strumenti peril calcolo di integrali. Sia f una funzione localmente integrabile in un intervallo I,sia a ∈ I, possiamo considerare la funzione integrale

F (x) =∫ x

a

f(t)dt, x ∈ I.

Dal punto di vista delle aree e come considerare la variazione dell’area al variaredel secondo estremo di integrazione, si veda la Figura 5.12. Sembra naturale cheF (x) sia una funzione continua. In particolare per x,y ∈ I, con x < y

F (y)− F (x) =∫ y

a

f(t)dt−∫ x

a

f(t)dt =∫ y

x

f(t)dt,

quindi

|F (y)− F (x)| ≤∫ y

x

|f(t)|dt,

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Integrali, aree, primitive 177

a x x+∆ x

f

F

a x x+∆ x

Figura 5.12 L’area come funzione del secondo estremo di integrazione.

e se |f(t)| ≤ M ∀ t ∈ I segue che

|F (y)− F (x)| ≤ M |y − x|.Dall’ultima disuguaglianza si deduce che se y → x anche F (y) → F (x), e quindila continuita di F .Abbiamo il seguente risultato fondamentale che lega derivabilita e integrabilita.

Teorema 5.8 (Teorema fondamentale del calcolo integrale)Sia f una funzione localmente integrabile in un intervallo I e a ∈ I, sia F lafunzione integrale

F (x) =∫ x

a

f(t)dt, x ∈ I.

Sia inoltre x0 un punto interno a I. Se f e continua in x0 allora esiste F ′(x0) esi ha F ′(x0) = f(x0).

Dimostrazione. Sia h reale tale che (x + h) ∈ I, e ricordiamo che

f(x0) = limx→x0

f(x).

Si ha (dalle proprieta degli integrali)

F (x0 + h)− F (x0)

h− f(x0) =

1

h

(∫ x0+h

a

f(t)dt −∫ x0

a

f(t)dt

)− f(x0)

quindiF (x0 + h)− F (x0)

h− f(x0) =

1

h

∫ x0+h

x0

(f(t) − f(x0))dt.

Indichiamo con m(h) l’estremo inferiore dell’integranda nell’intervallo di estremi x0 ex0 + h e sia M(h) l’estremo superiore nello stesso intervallo. Per il Teorema 5.7 dellamedia integrale,

m(h) ≤ 1

h

∫ x0+h

x0

(f(t)− f(x0))dt ≤ M(h),

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178 Capitolo 5

da cui si deduce che (F (x0 + h)−F (x0))/h)− f(x0) e compreso tra m(h) e M(h). Datoε > 0, per la continuita della funzione f in x0, esiste δ > 0 tale che |f(t) − f(x0)| < εper x0 − δ < t < x0 + δ (con t ∈ I). Segue che per t in tale intorno m(h) e M(h)sono compresi tra −ε e ε e quindi anche il termine che delimitano. Questo permette diconcludere che

F ′(x0) = limh→0

F (x0 + h)− F (x0)

h= f(x0).

La dimostrazione appena conclusa si e basata solo sulle proprieta del limitelimx→x0 f(x) = f(x0). Nel caso in cui tale limite esiste finito, anche se diverso daf(x0), vale la seguente relazione

limx→x0

f(x) = L = F ′(x0),

quindi F e derivabile in x0 e la sua derivata in x0 e uguale al valore L del limite.

Esempio 5.6 (Integrale di Fresnel) La funzione di Fresnel S e definita come

S(x) =∫ x

0

sin(πt2/2)dt.

Dal Teorema fondamentale del calcolo integrale, essendo la funzione integrandaf(t) = sin(πt2/2) continua, si ha

S′(x) = sin(πx2/2).

Possiamo studiare il grafico di S dalla conoscenza della sua derivata prima. NellaFigura 5.13 si mostra l’andamento qualitativo del grafico di S e di S′.

0 1 2 3 4 5 6−1

−0.8

−0.6

−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

S’(x)S(x)

Figura 5.13 Grafico della funzione di Fresnel e della sua derivata.

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Integrali, aree, primitive 179

Osservazione 5.5 (Buone notizie per la funzione integrale) Sia f : I → Runa funzione integrabile nell’intervallo I. Fissato il punto a ∈ I, lo studio dellafunzione integrale

F (x) =∫ x

a

f(t)dt, x ∈ I

e agevolato dal Teorema fondamentale del calcolo integrale. Se la funzione f econtinua risulta anche essere la derivata della funzione F . Dal legame tra derivatae caratteristiche del grafico di una funzione si possono dedurre diverse proprietaper la funzione integrale F . Queste deduzioni sono indipendenti dal fatto chesi riesca a valutare analiticamente la funzione integrale F . Per esempio, se fe non negativa la funzione F risulta essere non decrescente; se la funzione f estrettamente crescente allora la funzione F e strettamente convessa; e cosı via. Sela funzione f risulta anche derivabile, la sua derivata e uguale alla derivata secondadella funzione integrale F : ancora possiamo utilizzare le deduzioni ottenibili dallegame tra derivata seconda di una funzione e il suo grafico. Nella Tabella 5.1 sonoriassunte alcune delle relazioni tra funzione integrale e funzione integranda.

f(t) F (x) =∫ x

af(t)dt

localmente integrabile continua

continua derivabile

non negativa non decrescente

non positiva non crescente

non decrescente convessa

non crescente concava

f cambia segno, da + a − punto di massimo locale

f cambia segno, da − a + punto di minimo locale

discontinuita tipo salto punto angoloso

Tabella 5.1 Alcune relazioni tra funzione integrale e funzione integranda.

Dal Teorema fondamentale del calcolo integrale discende il seguente:

Corollario 5.1 Sia I un intervallo, f : I → R una funzione continua e derivabilecon funzione derivata f ′ continua nell’intervallo I e sia a ∈ I. Allora

∫ x

a

f ′(t)dt = f(x)− f(a) ∀x ∈ I.

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180 Capitolo 5

Dimostrazione. Si ricorda che una funzione f : I → R , I intervallo, f derivabile,e costante se e solo se f ′(x) = 0 ∀x ∈ I. Si definisce la funzione integrale di f ′

g(x) =

∫ x

a

f ′(t)dt, x ∈ I.

Essendo f ′ continua, dal Teorema fondamentale del calcolo integrale, g′ e derivabile eg′(x) = f ′(x), ∀x ∈ I. Ne segue che (g − f)′(x) = 0 e quindi (g − f)(x) = k, k costante.Quindi, dato che g(a) = 0,

g(x)− f(x) = g(a)− f(a) ⇒ g(x) =

∫ x

a

f ′(t)dt = f(x)− f(a).

Per semplificare le notazioni la differenza f(b) − f(a) si scrive anche nei seguentimodi

[f(x)]x=bx=a = [f ]ba = f(x)|b

a= f(x)|x=b

x=a= f(b)− f(a).

Un corollario estremamente importante e il seguente.

Teorema 5.9 Sia f : I → R, I intervallo, f continua e sia G una funzionederivabile in I tale che G′(x) = f(x). Per ogni a,b ∈ I si ha che

∫ b

a

f(x)dx = G(b)−G(a).

Dimostrazione. Posto F (x) =∫ x

af(t)dt, dal Teorema fondamentale del calcolo

integrale, si ha F ′(x) = f(x). Quindi, essendo G′(x) = f(x), risulta (F − G)(x) = kcostante. Ne segue che

F (x) =

∫ x

a

f(t)dt = G(x) + k.

Per x = a,F (a) = 0 ⇒ G(a) + k = 0 ⇒ G(a) = −k.

Per x = b si ottiene

F (b) =

∫ b

a

f(t)dt = G(b) + k = G(b)−G(a).

Esempio 5.7 Un metodo per calcolare∫ b

a

f(x)dx

consiste nel trovare una funzione derivabile G tale che G′(x) = f(x), cioe unaprimitiva di f . A questo punto l’integrale puo essere valutato attraverso la G.

Per esempio, per G(x) = x3/3, G′(x) = x2 quindi∫ 2

0

x2dx =x3

3|20

=83− 0

3=

83.

In pratica occorre dedurre dalla funzione integranda una funzione primitiva: pro-blema molto piu complicato del calcolo della derivata. Dobbiamo, in un certosenso, “invertire” il processo di derivazione. Per esempio,

∫ π/2

0

cos xdx = sin x|π/2

0= sin(π/2)− sin(0) = 1,

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Integrali, aree, primitive 181

infatti sin′(x) = cos(x). Ancora∫ 10

2

1x

dx = ln x|102

= ln(10)− ln(2) = ln 5.

5.4 Integrali indefiniti e primitive

Abbiamo gia detto che se f e una funzione definita su un intervallo I si chiamaprimitiva di f ogni funzione F derivabile in I e tale che F ′(x) = f(x). Abbiamoanche fatto riferimento al seguente fatto. Se F e G sono entrambe derivate di unafunzione f in un intervallo I allora esiste una costante c tale che F (x) = G(x)+ c.Infatti F ′(x) = G′(x) = f ⇒ (F − G)′(x) = 0 ⇒ (F − G)(x) = c, costante.L’equivalenza derivata nulla, funzione costante e valida solo per funzioni definitesu un intervallo.Osservazione 5.6 Notiamo che se f e definita in un intervallo ma non e continuapotrebbe non esistere una sua primitiva. Per esempio per la funzione f(x) = 0 sex ≤ 0 e f(x) = 1 se x > 0, una eventuale primitiva F dovrebbe essere nella forma

F (x) = C se x ≤ 0, e F (x) = x + B se x > 0con C e B costanti.

Ma non esiste nessuna scelta di tali costanti che renda F derivabile in x = 0perche in tale punto c’e un punto angoloso. Per le funzioni discontinue dovremmomodificare la nozione di funzione primitiva.

Definizione 5.5 (Integrale indefinito) Sia f : I → R, I intervallo, f continuain I. L’insieme delle primitive di f si chiama integrale indefinito di f e si denotacon il simbolo ∫

f(x)dx

Osservazione 5.7 Occorre far attenzione,∫ b

af(x)dx indica un numero, mentre∫

f(x)dx indica un insieme di funzioni. Nella pratica, a volte∫

f(x)dx indicaanche una primitiva ma il contesto deve essere chiaro. Anche scritture del tipo∫

f(x)dx +∫

g(x)dx =∫

r(x)dx

sono da intendersi come relazioni tra insiemi, l’insieme delle primitive di r coincidecon l’insieme di tutte le possibili somme di primitive di f e di primitive di g. Cioccuperemo solo di primitive di funzioni continue su intervalli.

Osservazione 5.8 Non tutte le funzioni continue e definite su intervalli sono taliper cui esista una primitiva esprimibile come una espressione contenente funzionielementari. Per esempio per f(x) = e−x2

non si trova una primitiva in tal senso,quindi per il calcolo della funzione integrale

∫ x

0

e−t2dt,

o dell’area∫ 1

0e−t2dt occorre ricorrere a tecniche numeriche.

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182 Capitolo 5

Nella Tabella 5.2 si riportano alcuni integrali indefiniti; il simbolo C sta ad indi-care una costante reale generica. La primitiva si puo trovare leggendo la tabelladelle derivate “al contrario”, dalla derivata alla funzione che ha prodotto quelladerivata. In tal senso si dice che “l’integrazione e l’operazione inversa della deri-vazione”. Affermazione impropria ma suggestiva. Quando riusciamo a calcolare

f(t)∫

f(t)dt

1 x + C

xx2

2+ C

xp, p 6= −1xp+1

p + 1+ C

sin ax − cos ax

a+ C

cos axsin ax

a+ C

1/x ln x + C

1/√

x 2√

x + C

1/(a2 + x2)1a

arctanx

a+ C

eax 1aeax + C

Tabella 5.2 Alcune primitive, C costante reale.

una primitiva o l’integrale indefinito riusciamo, attraverso i teoremi fondamentalidel calcolo integrale, a calcolare integrali definiti. In una forma un po’ impropriama indicativa, potremmo scrivere

∫ b

a

f(x)dx =∫

f(x)dx|ba.

Solitamente nel calcolo si prende la primitiva con costante C = 0. In corrispon-denza alle regole di derivazione abbiamo le regole per il calcolo di integrali.

Esempio 5.8 (Integrazione per scomposizione) Possiamo cercare di scom-porre la funzione integranda come combinazione lineare di piu funzioni integrabili.

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Integrali, aree, primitive 183

Per esempio si consideri ∫dx

cos2 x sin2 x.

Dal fatto che cos2 x + sin2 x = 1 si ottiene

1cos2 x sin2 x

=1

cos2 x+

1sin2 x

⇒∫

dx

cos2 x sin2 x=

∫dx

cos2 x+

∫dx

sin2 x,

quindi ∫dx

cos2 x sin2 x= tanx− cotanx + C.

5.4.1 Integrazione per sostituzione

L’idea dell’integrazione per sostituzione consiste nel sostituire un integrale com-plicato con uno piu “semplice”. Questo viene fatto sostituendo al posto di x unafunzione di x. Trovare la sostituzione giusta non e facile e, a volte, si puo procedereper tentativi successivi.

Sia u = g(x) una funzione derivabile con derivata prima continua con imma-gine contenuta nell’intervallo I, sia f continua in I, allora

∫f(g(x))g′(x)dx =

∫f(u)du.

La regola e basata sulla regola di derivazione di una funzione composta. Dal puntodi vista del calcolo facilita scrivere la sostituzione nel seguente modo (che produceun risultato corretto anche se formalmente impreciso): si individua la sostituzioneu = g(x), avvalendosi della forma du/dx = g′(x) si scrive du = g′(x)dx, quindi seF ′ = f si ha

∫F ′(g(x))g′(x)dx =

∫F ′(u)du = F (u) + C = F (g(x)) + C.

Per esempio, vogliamo valutare∫

x√

1 + x2dx.

Si pone u = 1 + x2 ⇒ du = 2x dx, quindi xdx = du/2, da cui∫

x√

1 + x2 dx =∫

12√

u du =12

23u3/2 + C =

13(1 + x2)3/2 + C.

Possiamo verificare il risultato derivando la generica primitiva determinata. En-trambe le versioni della risposta finale sono accettabili, l’espressione in u devecomunque avere “memoria” che u = 1 + x2.

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184 Capitolo 5

Esempio 5.9 (Integrali trigonometrici) Il metodo di sostituzione e spessoutile nella valutazione di integrali che contengono funzioni trigonometriche.

Per esempio consideriamo l’integrale indefinito∫

tanx dx =∫

sin x

cosxdx.

Se si pone u = cos x, formalmente du = − sin xdx e potendo “operare con dx e dudopo il segno di integrale”,

∫tan x dx = −

∫du

u= − ln |u|+ C = − ln | cosx|+ C.

Consideriamo integrali nella forma∫

sinm x cosn x dx,

con m o n intero positivo dispari. L’integrale puo essere valutato per sostituzione.Se per esempio n = 2p+1, con p intero, utilizzando la relazione sin2 x+cos2 x = 1,si ottiene ∫

sinm x(1− sin2 x)p cos x dx,

che puo essere risolto con la sostituzione u = sin x.Per esempio per

∫sin4 x cos3 x dx =

∫sin4 x(1− sin2 x) cos x dx,

posto u = sin x, du = cos x dx, si ha∫

sin4 x cos3 x dx =∫

u4(1− u2) du =u5

5− u7

7+ C

=sin5(x)

5− sin7(x)

7+ C.

Sia F una primitiva di f in [a,b] e x = %(t) una funzione derivabile con derivatacontinua in un intervallo [α,β] tale che

a = %(α), b = %(β) oppure a = %(β), b = %(α).

La funzione G(t) = F (%(t)) e una primitiva di f(%(t))%′(t) e per l’integrale definitotra a e b di f si ottiene

∫ b

a

f(x)dx =∫ β

α

f(%(t))%′(t)dt,

con a = %(α) e b = %(β). Naturalmente gli estremi α,β vanno scambiati se %scambia a = %(β) e b = %(α).

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Integrali, aree, primitive 185

Esempio 5.10 Calcoliamo∫ 5

0

√4x + 1dx: con la sostituzione u = 4x+1 si ottiene

du = 4dx. Per x = 0 ⇒ u = 1; x = 5 ⇒ u = 21, gli estremi di integrazionevanno cambiati.

∫ 5

0

√4x + 1dx = 1

4

∫ 21

1

√udu = 1

423u3/2|21

1

= 16 [213/2 − 13/2].

Osservazione 5.9 Il cambiamento di variabile x = at e interpretabile come uncambio di unita di misura. In questo caso il cambio e identico in ogni puntodell’intervallo di integrazione. Nel caso x = %(t), dx = %′(t)dt il cambiamento sipuo interpretare come un cambiamento di scala variabile punto per punto.

Osservazione 5.10 Occorre essere accorti nei cambiamenti di variabile, f deveessere definita nell’immagine di %(t), t ∈ [a,b]; in caso contrario si potrebberoottenere dei risultati sbagliati.

Esempio 5.11 (Funzioni pari e funzioni dispari) Supponiamo che

f : [−a,a] → Rsia continua nel dominio;

i) se f e pari (f(x) = f(−x)), allora∫ a

−a

f(x)dx = 2∫ a

0

f(x)dx;

ii) se f e dispari (f(x) = −f(−x)), allora∫ a

−a

f(x)dx = 0.

Per la dimostrazione si usa l’additivita rispetto all’intervallo di integrazione∫ a

−a

f(x)dx =∫ 0

−a

f(x)dx +∫ a

0

f(x)dx,

con la sostituzione u = −x. Per esempio l’integrale da −π a π di sin x e nullo.

5.4.2 Integrazione per parti

La regola di derivazione del prodotto di due funzioni ci dice che

(fg)′ = f ′g + fg′.

Nella notazione degli integrali indefiniti∫

(f ′g + fg′) dx = f(x)g(x) + C,

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186 Capitolo 5

e dalla linearita dell’integrazione (“assorbendo” la costante C in uno dei dueintegrali indefiniti), si ha

∫f ′(x)g(x)dx +

∫f(x)g′(x)dx = f(x)g(x),

da cui ∫f ′(x)g(x)dx = f(x)g(x)−

∫f(x)g′(x)dx.

La formula ora scritta si chiama regola di integrazione per parti (per integrali inde-finiti). Nella formula il termine g viene detto fattore finito mentre f ′(x)dx fattoredifferenziale. L’applicazione della regola di integrazione per parti e ovviamenteconveniente quando f ′ e integrabile facilmente. Al solito: l’applicazione dellaregola non e “meccanica” e non sempre porta a una semplificazione del problema.

Esempio 5.12 Calcoliamo alcuni integrali indefiniti tramite la regola di integra-zione per parti. Consideriamo

∫x sin x dx.

Scegliendo f ′(x) = sin x e g(x) = x si ottiene f(x) = − cosx (basta una primitiva)e ∫

x sin x dx = −x cos x−∫

(− cos x) · 1 dx = −x cosx +∫

cosx dx.

Dalle regole di integrazione elementari∫

x sinx dx = −x cos x + sin x + C.

Osserviamo che la scelta f ′(x) = x, g(x) = sin x non avrebbe portato semplifica-zioni perche l’integrale di un polinomio ne aumenta il grado, mentre con la sceltafatta x “sparisce”.

Valutiamo ∫ln x dx,

dove sembra esserci una sola funzione. In realta possiamo scegliere

f ′(x) = 1, g(x) = ln x ⇒ f(x) = x, g′(x) =1x

,

e quindi ∫ln x dx = x ln x−

∫x

1x

dx = x ln x− x + C.

Al solito, per verificare il risultato basta derivare la primitiva trovata e ritrovarela funzione integranda.

Proviamo ora con ∫ex sin x dx

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Integrali, aree, primitive 187

e la scelta f ′(x) = sin x, g(x) = ex (la scelta opposta non cambia di moltol’integrale). Si ottiene

∫ex sin x dx = −ex cosx +

∫ex cos x dx,

e l’integrale da calcolare appare della stessa difficolta di quello di partenza. Insis-tiamo con la scelta f ′(x) = cosx, g(x) = ex, quindi

∫ex cosx dx = ex sinx−

∫ex sin x dx,

e ora sembra che siamo tornati al punto di partenza. Ma se sostituiamo l’ultimointegrale nella prima formula per parti si ottiene

∫ex sinx dx = ex(− cos x + sin x)−

∫ex sin x dx,

che possiamo vedere come una equazione nell’integrale da calcolare,∫

ex sin x dx =12ex(sinx− cosx) + C.

Dal Teorema fondamentale del calcolo integrale e dalla regola di integrazione perparti si ottiene, nel caso di integrali definiti,

∫ b

a

f ′(x)g(x) dx = f(x)g(x)|ba−

∫ b

a

f(x)g′(x) dx.

Esempio 5.13 Calcoliamo ∫ 1

0

arctanx dx.

Posto f ′(x) = 1 e g(x) = arctanx si ottiene∫ 1

0

arctanx dx = x arctan x|10−

∫ 1

0

x

1 + x2dx.

Nell’ultimo integrale il numeratore e “vicino” a essere la derivata del denominatore(a parte il fattore 2). Dalla derivata elementare d ln |x| = 1/x e dalla derivata dellafunzione composta d ln |f(x)| = f ′(x)/f(x), si ottiene

∫ 1

0

x

1 + x2dx =

12

∫ 1

0

2x

1 + x2dx =

12

ln |1 + x2||10

=12(ln 2− ln 1).

Quindi ∫ 1

0

arctanx dx = arctan(1)− 12

ln 2 =π

4− ln 2

2.

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188 Capitolo 5

5.4.3 Integrazione delle funzioni razionali

Come caso particolare delle tecniche di integrazione consideriamo funzioni inte-grande che siano funzioni razionali. Consideriamo la somma

1x− 2

+1

x + 1=

(x + 1) + (x− 2)(x− 2)(x + 1)

=2x− 1

(x− 2)(x + 1).

Possiamo pensare di invertire la procedura nel caso di integrazione dell’ultimaespressione,

∫2x− 1

(x− 2)(x + 1)dx =

∫ (1

x− 2+

1x + 1

)dx = ln |x− 2|+ ln |x + 1|+ C.

Questo tipo di scomposizione in frazioni parziali puo essere applicato al casogenerale, con opportuni adattamenti.

Una funzione razionale R(x) = P (x)/Q(x), con P e Q funzioni polinomiali,puo essere scritta come

R(x) = S(x) +P (x)Q(x)

,

dove S, P sono ancora polinomi e dove si e effettuata l’eventuale divisione tra Pe Q, quindi il grado di P e minore del grado di Q. Possiamo quindi consideraresolo quest’ultimo caso, grado del numeratore minore del grado del denominatore,dato che il polinomio S si integra con facilita.

Indichiamo ancora con P/Q la funzione razionale da integrare, con grado di Pminore del grado di Q. Il primo passo consiste nel decomporre il denominatore Qin fattori lineari del tipo ax+b e fattori quadratici irriducibili del tipo ax2 +bx+ccon b2 − 4ac < 0. Il secondo passo consiste nello scrivere P/Q come somma difrazioni parziali del tipo

A

(ax + b)p,

Ax + B

(ax2 + bx + c)q,

con costanti A, A e B da determinare. Quando questo e possibile, possono verificarivari casi.

• Q e il prodotto di fattori lineari distinti, scriviamo

P (x)Q(x)

=A1

a1x + b1+

A2

a2x + b2+ . . . +

Ak

akx + bk.

e determiniamo le costanti Ai sommando le varie frazioni ed uguagliando inumeratori della somma con il numeratore P della funzione razionale.

Esempio 5.14 Calcoliamo∫

2x + 3x3 − x

dx.

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Integrali, aree, primitive 189

Abbiamo Q(x) = x3 − x = x(x− 1)(x + 1), la funzione razionale si scomponein

2x + 3x3 − x

=A1

x+

A2

x + 1+

A3

x− 1.

Sommando si ottiene per i numeratori

P (x) = 2x + 3 = A1(x + 1)(x− 1) + A2x(x− 1) + A3x(x + 1),

da cui

A1 + A2 + A3 = 0

−A2 + A3 = 2

A1 = −3

Segue che A1 = −3, A2 = 1/2, A3 = 5/2 e risulta∫

2x + 3x3 − x

dx =∫ − 3

xdx +

∫1

2(x + 1)dx +

∫5

2(x− 1)dx,

da cui l’integrale, per integrazione di funzioni elementari, risulta essere

−3 ln |x| +12

ln |x + 1| +52

ln |x− 1| + C.

• Q e il prodotto di fattori lineari, qualcuno di questi fattori e ripetuto. Nelcaso di un fattore del tipo (ax+ b)p occorre aggiungere piu frazioni, e relativecostanti,

A1

(ax + b)+

A2

(ax + b)2+ . . . +

Ap

(ax + b)p.

Esempio 5.15 Valutiamo∫

x2 − 3x

(x− 1)2(x + 1)dx.

La scomposizione deve essere scritta come

x2 − 3x

(x− 1)2(x + 1)=

A1

x− 1+

A2

(x− 1)2+

A3

(x + 1).

Sommando le frazioni parziali,

x2 − 3x = A1(x− 1)(x + 1) + A2(x + 1) + A3(x− 1)2,

da cui si ricava, uguagliando i coefficienti dei vari monomi,

A1 = 0, A2 = −1, A3 = 1.

Si ha quindi∫

x2 − 3x

(x− 1)2(x + 1)dx =

∫ − 1(x− 1)2

dx +∫

1x + 1

=1

x− 1+ ln |x + 1|+ C.

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190 Capitolo 5

• Il denominatore Q contiene fattori quadratici che non si ripetono. Per ognifattore quadratico occorre considerare la frazione parziale

Ax + B

ax2 + bx + c,

con A e B costanti da determinare. Questo termine puo poi essere integratoriconducendosi al caso∫

dx

x2 + α2=

arctan (x/α) + C.

Esempio 5.16 Calcoliamo ∫dx

x3 + 1.

Si ha (x3 + 1) = (x + 1)(x2 − x + 1) quindi

1x3 + 1

=A1

x + 1+

A2x + B2

x2 − x + 1.

Sommando si possono identificare le costanti,

A1 =13, A2 = −1

3, B2 =

23.

Per l’integrale ∫−1

3x− 2

x2 − x + 1dx,

possiamo considerare

−13

∫x− 1/2− 3/2

(x− 1/2)2 + 3/4dx.

Con la sostituzione z = x− 1/2 si ottiene

−13

∫z − 3/2z2 + 3/4

dz = −13

(∫z

z2 + 3/4dz − 3

2

∫dz

z2 + 3/4

).

L’integrale e quindi

−16

ln (z2 + 3/4) +1√3

arctan (2z/√

3) + C.

Ricordando la sostituzione, z = x− 1/2, si ha infine∫

dx

x3 + 1=

13

ln |x + 1| − 16

ln (x2 − x + 1) +1√3

arctan (2x− 1)/√

3 + C.

• Q contiene fattori quadratici che si ripetono, (ax2+bx+c)q. Occorre utilizzarepiu frazioni

A1x + B1

(ax2 + bx + c)+

A2x + B2

(ax2 + bx + c)2+ . . . +

Aqx + Bq

(ax2 + bx + c)q.

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Integrali, aree, primitive 191

5.5 Calcolo di aree e volumi

Se siamo interessati all’area totale della regione compresa tra il grafico di unafunzione f , l’asse delle ascisse e delimitata da x = a e x = b, dobbiamo integrareil modulo della funzione f . In caso contrario si avrebbe la somma algebrica dellearee, prese con segno positivo dove f ≥ 0 e con il segno negativo dove f ≤ 0.Come mostrato nella Figura 5.14 per l’area totale la parte A2 deve essere quellacorrispondente al grafico di |f |.

A1

A2

A2

f

| f |

Figura 5.14 Aree sottese di f e |f |.

Esempio 5.17 L’area totale della regione delimitata dal grafico di f(x) = cos x,l’asse delle x, x = 0, x = 3π/2 e

∫ 3π/2

0

| cos x|dx.

Abbiamo quindi∫ 3π/2

0

| cosx|dx =∫ π/2

0

cosxdx +∫ 3π/2

π/2

− cosxdx.

Dalle formule di integrazione delle funzioni elementari si ottiene∫ 3π/2

0

| cos x|dx = sin x|π/2

0− sinx|3π/2

π/2= 3.

L’area della regione compresa tra due curve di equazione f(x) e g(x), delimitatadalle rette verticali x = a, x = b, con a < b si ottiene, se f(x) ≤ g(x) in [a,b], come

∫ b

a

f(x)dx−∫ b

a

g(x)dx =∫ b

a

(f(x)− g(x))dx.

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192 Capitolo 5

Esempio 5.18 Determiniamo l’area della regione limitata e compresa tra le curveg(x) = x2 − 2x e f(x) = 5 − x2. Troviamo le intersezioni tra le due curve,f(x) = g(x), ovverosia x2 − 2x = 5 − x2, quindi 2x2 − 2x − 5 = 0. Abbiamo dueradici, x0 = (1+

√11)/2, x1 = (1−√11)/2. L’area della regione limitata e quindi,

∫ x1

x0

((5− x2)− (x2 − 2x))dx =∫ x1

x0

(−2x2 + 2x + 5)dx.

R

f

g

x0

x1

Figura 5.15 Area compresa tra due curve f e g.

Esempio 5.19 (Si rivede il cerchio) Calcoliamo l’area R del cerchio con centronell’origine O e raggio r > 0. Per ragioni di simmetria l’area cercata si puoottenere moltiplicando per quattro l’area del settore circolare contenuto nel primoquadrante con x ≥ 0, y ≥ 0, si veda il disegno nella Figura 5.16. Il problema estato quindi ricondotto al calcolo di un integrale definito

R = 4∫ r

0

√(r2 − x2)dx.

Per il calcolo dell’integrale consideriamo la sostituzione x = r sin t (t ∈ [0,π/2]) dacui dx = r cos t dt, quindi

∫ √(r2 − x2)dx =

∫r2 cos2 tdt =

r2

2(t + sin t cos t) + C.

Considerando un triangolo rettangolo con cateti di lunghezza x e√

(r2 − x2) eipotenusa di lunghezza r, si ottiene

cos t =

√(r2 − x2)

r,

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Integrali, aree, primitive 193

con cui si puo dedurre che∫ r

0

√(r2 − x2)dx =

r2

2

(arcsin x/r +

x√

(r2 − x2)r2

)∣∣∣∣∣

r

0

=r2

2arcsin (1).

Abbiamo quindi

R = 4 · r2

2arcsin (1) = 4 · r2 π

4= πr2.

A

r O B

C

y=√ r2 −x2

Figura 5.16 Calcolo dell’area di un cerchio tramite il calcolo di un integrale definito.

Abbiamo definito in modo intuitivo il concetto di area come una funzione cheassocia a certi insiemi un valore non negativo rispettando alcune peroprieta. Allostesso modo si potrebbe definire, o almeno cercare di caratterizzare, una funzioneche associ a regioni tridimensionali (o solidi) il volume (“quanto spazio occupa”).Non diamo una definizione di volume, dall’esperienza relativa ad alcuni oggettisappiamo calcolare il volume di solidi elementari. Per esempio, se la base di unascatola rettangolare (o parallelepipedo) e un rettangolo di lunghezza l e di larghezzap, e se l’altezza della scatola e h, allora il volume V della scatola e uguale all’areadella base per l’altezza: V = (l · p) · h. Analogamente potremmo considerarevolumi di solidi S costituiti da una base che occupa una certa regione limitata delpiano di area A. Tutte le sezioni trasversali di S con piani paralleli alla base sianocongruenti alla base stessa. Se il solido ha altezza h, quindi la superficie superioredel solido e parallela alla base e ha distanza da questa uguale a h, il volume V delsolido e V = A · h. Questi solidi sono chiamati prismi se la base e delimitata dalinee rette, sono invece detti cilindri nel caso in cui la base e delimitata da lineecurve. In particolare se la base e un cerchio e tutte le sezioni sono “sovrapposte”alla base, allora il solido e un cilindro circolare retto. Il volume V di un cilindrocircolare retto di altezza h e base con raggio r e uguale a V = πr2h (unita divolume).

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194 Capitolo 5

Tra le proprieta della funzione area vi era l’invarianza del suo valore percongruenza. Nel caso della funzione volume abbiamo una proprieta analoga, persolidi congruenti e quindi sovrapponibili, a cui si aggiunge una proprieta piu gene-rale. Possiamo infatti assegnare volumi uguali a solidi che danno luogo a sezionidi aree uguali quando sono tagliati da piani perpendicolari a una data retta. Piuprecisamente sia S1 un solido e R sia una retta. Se un piano P e perpendicolarea R, l’intersezione P ∩ S1 si chiama sezione perpendicolare a R, si veda il disegnonella Figura 5.17. Se ogni sezione trasversale ha area finita, si assegnano volumiuguali a due solidi S1 e S2 se area(S1 ∩ P ) = area(S2 ∩ P ), per ogni piano Pperpendicolare a una retta assegnata R. Intuitivamente, si immagini un mazzo dicarte in cui ogni carta sia perpendicolare a una retta R. Facendo scorrere ognicarta sul suo piano possiamo cambiare la forma del solido formato dal mazzo dicarte ma non il suo volume. Il principio ora enunciato, detto principio di Cavalieri,suggerisce un modo, almeno intuitivo che non formalizzeremo completamente, percalcolare il volume di un solido. Supponiamo si avere un solido compreso tra duepiani perpendicolari all’asse x passanti per x = a e x = b e che ogni sezione trasver-sale sia perpendicolare all’asse delle ascisse (piu in generale si puo fissare una rettagenerica e considerare piani perpendicolari a questa con le corrispondenti sezionitrasversali). Possiamo associare a ogni x ∈ [a,b] l’area A(x) della sezione trasver-sale, si veda ancora il disegno nella Figura 5.17. Supponiamo che la funzione A(x)sia continua in [a,b] (basterebbe la condizione di integrabilita). Il volume V delsolido e uguale all’integrale della funzione “area della sezione trasversale”

V =∫ b

a

A(x)dx.

Lasciamo all’intuizione il fatto che stiamo sommando contributi elementari di vo-lume A(x)dx (“cilindri elementari”) e che il volume puo essere considerato comeil limite di queste somme. Nel caso in cui il volume esista e sia finito possiamoscegliere la retta R piu “comoda” per determinare le sezioni trasversali.

x

A(x)

A(x)

Figura 5.17 Sezioni perpendicolari, ogni sezione ha area A(x) dove x appartiene allaretta R rispetto alla quale la sezione viene fatta.

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Integrali, aree, primitive 195

Esempio 5.20 (Volume di una piramide) Le piramidi e i coni sono solidicostituiti dai segmenti di retta che congiungono un punto fissato V , detto vertice,a tutti i punti P di una regione R appartenente ad un piano che non contieneil vertice V . La regione R costituisce la base della piramide o del cono. Se R edelimitata da linee rette abbiamo una piramide, se invece R e delimitata da linee“curve” il solido e un cono.

Se una piramide ha una base poligonale di area A0 e un’altezza h, le sezionitrasversali della piramide con piani paralleli alla base sono poligoni simili. Se l’assedelle ascisse e perpendicolare alla base, il vertice V e nell’origine O, il volume dellapiramide di altezza h e (in unita di volume)

V =∫ h

0

A(x)dx =∫ h

0

(x

h

)2

A0dx =A0

h2

x3

3|h0

=A0h

3.

Esempio 5.21 (Volumi di solidi di rotazione) Sia f una funzione non ne-gativa e integrabile sull’intervallo [a,b]. Se la regione R delimitata da y = f(x),y = 0, x = a, x = b e fatta ruotare attorno all’asse delle x, allora il solido cosıgenerato ha sezioni trasversali, nei piani perpendicolari all’asse delle ascisse e pas-santi per il punto x, uguali a cerchi con raggio |f(x)|. Per una esemplificazionegrafica si vedano le illustrazioni nella Figura 5.18. L’area di ogni cerchio e ugualea A(x) = π|f(x)|2, quindi il solido di rotazione ha volume V uguale a

V =∫ b

a

π|f(x)|2dx.

Per esempio se f(x) =√

r2 − x2 con −r ≤ x ≤ r, il grafico di f e una semicir-conferenza di raggio r e il solido di rotazione generato e una sfera di raggio r evolume ∫ r

−r

π(r2 − x2)dx =43πr3.

Per funzioni invertibili possiamo considerare anche rotazioni intorno all’asse delleordinate. Consideriamo, per esempio la funzione f : [0,1] → R definita comef(x) = x3 + 1. La funzione inversa esiste ed e uguale a

y = f−1(x) = 3√

(x− 1), x ∈ [1,2].

x x

Figura 5.18 Costruzione di solidi di rotazione (rotazione attorno all’asse delle x).

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196 Capitolo 5

Possiamo ruotare l’area delimitata dal grafico di f−1, dalle rette y = 0, y = 1,x = 0, attorno all’asse delle ordinate (si vedano i grafici nella Figura 5.19). Ilvolume del solido di rotazione ottenuto e uguale a

∫ 2

1

π(y − 1)2/3dy = π

[35y5/3

]2

1

= π3(2 3

√4− 1)5

.

x

y=f −1 (x)

x

y

Figura 5.19 Un esempio di solido di rotazione (rotazione attorno all’asse delle y).

Osservazione 5.11 (Volumi piu generali) Possiamo considerare funzioni realiin due variabili con domini rettangolari, ovvero funzioni f : R → R dove R e unrettangolo R = [a,b] × [c,d], con a < b, c < d parametri reali. Ad ogni puntoP (x,y) ∈ R la funzione f associa un valore reale f(x,y). Il grafico della funzionef e una superficie nello spazio tridimensionale. Possiamo porci il problema dicalcolare il volume della parte di spazio compresa tra il grafico della funzione f eil rettangolo R. Possiamo immaginare un processo di limite che faccia interveniredue sommatorie

SN,M =N∑

i=1

M∑

j=1

f(xij ,yij)∆ix ·∆jy,

dove il punto (xij ,yij) appartiene a un rettangolo elementare di lati ∆ix, ∆jye contenuto nel rettangolo R. Le due sommatorie rappresentano la somma divolumi di parallelepipedi con base ∆ix × ∆jy e altezza f(xij ,yij) (ovviamentequesti parallelepipedi devono essere disgiunti). Per una rappresentazione graficadel processo si veda la Figura 5.20. In modo euristico possiamo pensare un processodi limite che porta alla definizione del volume V sotteso come

V =∫ d

c

∫ b

a

f(x,y)dxdy.

Per il calcolo dei due integrali possiamo procedere valutandone uno, per esempioil piu interno, considerando una variabile come un parametro costante. Il risultatodeve essere nuovamente integrato considerando il secondo integrale.

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Integrali, aree, primitive 197

∆ x ∆ y

z(x,y)

Figura 5.20 Approssimazione di un volume sotteso da una superficie.

Esercizi

Esercizio 5.1 Calcolare attraverso la definizione l’area di un triangolo rettangolo concateti di lunghezza 1 e 2 e l’area di un trapezio isoscele con basi di lunghezza 1 e 3.

Esercizio 5.2 Calcolare le primitive delle seguenti funzioni (da considerare definite inopportuni intervalli) utilizzando le primitive note di funzioni elementari,

f1(x) = sin x cos x, f2(x) = (3x + 1)4,

f3(x) =e√

x

√x

, f4(x) =x2

1 + x6,

f5(x) =1 + cos x

x + sin x, f6(x) =

1

x2(1 + x2).

Esercizio 5.3 Sia f una funzione continua e g e h due funzioni derivabili, trovare laformula della derivata per la funzione

F (x) =

∫ h(x)

g(x)

f(t)dt.

Applicare la formula trovata alla funzione

F1(x) =

∫ x3

0

cos tdt,

e verificare con un calcolo diretto dell’integrale definito.

Esercizio 5.4 Disegnare il grafico della funzione f e della funzione

g(x) =

∫ x

0

f(t)dt,

quando

f(x) =

1 se x < 0

4x se x ∈ [0,1]

3− x se x ∈ (1,3]

0 se x > 3

.

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198 Capitolo 5

Esercizio 5.5 Determinare e disegnare il grafico della funzione g

g(x) =

∫ x

0

f(t)dt, x ∈ [−2,1]

dove

f(t) =

1 se t ∈ [−2,− 1]

(t + 1)2 − 1 se t ∈ (−1,0)

e−t/2 se t ∈ [0,1]

.

Esercizio 5.6 Calcolare i seguenti integrali di funzioni razionali,

(i)

∫x3 + 1

x(x− 1)2dx, (ii)

∫3x− 2

(x− 1)(x2 − 2x + 2)dx,

(iii)

∫2 + x

x3(x− 1)dx, (iv)

∫1

x3 − 1dx.

Esercizio 5.7 Calcolare i seguenti integrali (per sostituzione)

(i)

∫ e/2

1

1

x√

(1− ln2 x)dx, (ii)

∫ 1

0

dx

ex + e−x, (iii)

∫ 4

0

x5ex4dx.

Esercizio 5.8 Calcolare i seguenti integrali (per parti)

(i)

∫ e

2

x5 ln xdx, (ii)

∫ π/2

0

x sin2 x, (iii)

∫ 1

0

√1− x2dx.

Esercizio 5.9 Trovare l’area A1 della regione limitata dalle rette x = 0, x = 2 e dallecurve y = 2x, y = 2x− x2.

Trovare l’area A2 della regione limitata e compresa tra la curva y = 8/(x2 + 4), e laparabola y = x2/4.

Trovare l’area A3 della regione limitata e compresa tra le curve di equazione x =−2y2, x = 1− 3y2.

Esercizio 5.10 Trovare il volume V1 del solido di rotazione ottenuto facendo ruotareintorno all’asse delle ascisse l’area sottesa dal grafico di f(x) = sin x, x ∈ [−π/2,π/2].

Trovare il volume V2 del solido di rotazione ottenuto facendo ruotare intorno all’assedelle ordinate l’area compresa tra le parabole di equazione y = x2 e 8x = y2.

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6Integrali impropri, serieed equazioni differenziali

6.1 Integrali impropri

Nella costruzione dell’integrale definito abbiamo supposto come condizioni di par-tenza la limitatezza della funzione f da integrare e la limitatezza dell’intervallo sucui integrare. Queste ipotesi minime sembravano ragionevoli. Vediamo in questoparagrafo una estensione del concetto di integrale al caso di funzioni con asintotiverticali, quindi non limitate, e al caso di intervalli non limitati (semirette).

6.1.1 Intervallo di integrazione non limitato

Consideriamo una funzione reale f : [a, +∞) → R, tale che per ogni b > a esistae sia finito l’integrale ∫ b

a

f(x)dx.

Per esempio prendiamo la funzione f(x) = 1/x2 con x ∈ [1, +∞), abbiamo

A(b) =∫ b

1

1x2

dx = − 1x|b1

= 1− 1b, b > 1.

La regione R sottesa dal grafico della curva, si veda la Figura 6.1, non e limitata.L’unico modo per dare un senso all’area di tale regione consiste nel ricorrere auna operazione di limite. Sembra ragionevole definire come area della regione R illimite, per b → +∞, delle aree A(b),

area(R) = limb→+∞

A(b).

Per l’esempio fatto si ottiene area(R) = 1.Dall’esempio appena considerato sembra sensata la seguente definizione.

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200 Capitolo 6

0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 50

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

R

1/x2

Figura 6.1 Costruzione dell’integrale su una semiretta.

Definizione 6.1 Sia f : [a, +∞) → R una funzione continua (oppure localmenteintegrabile). Se esiste finito il limite

limx→+∞

∫ x

a

f(t)dt,

la funzione si dice integrabile in senso improprio sull’intervallo [a, +∞), il limitesi dira integrale improprio (o generalizzato) di f in [a, +∞) e si indichera con ilsimbolo ∫ +∞

a

f(t)dt.

In modo analogo si definisce l’integrale improprio (generalizzato)∫ b

−∞f(t)dt,

per una funzione continua (o localmente integrabile)

f : (−∞,b] → R,

tale che esista il limite

limx→−∞

∫ b

x

f(t)dt.

In entrambi i casi si dice che l’integrale improprio converge, se il limite esiste mae uguale a ±∞ si dice che l’integrale improprio diverge.

Per una funzione continua

f : (−∞, +∞) → R,

possiamo considerare l’integrale improprio∫ +∞

−∞f(x)dx =

Rf(x)dx,

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 201

spezzando l’integrale in due integrali separati:∫ +∞

−∞f(x)dx =

∫ a

−∞f(x)dx +

∫ +∞

a

f(x)dx

per un fissato punto a ∈ R. Se entrambi gli integrali sono convergenti la funzionef si dice integrabile in senso improprio su tutta la retta reale R.

Esempio 6.1 Abbiamo visto che∫ +∞

1

1x2

dx = 1.

Consideriamo ora l’integrale improprio∫ +∞

1

1x

dx,

si veda la Figura 6.2.

0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 50

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

R

1/x

Figura 6.2 Esempio di integrale divergente.

In questo caso

A(x) =∫ x

1

1tdt = ln t|x

1= ln x.

Si deduce chelim

x→+∞A(x) = +∞

e quindi l’integrale e divergente. Valutiamo∫ 0

−∞exdx.

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202 Capitolo 6

Dobbiamo considerare il limite

limx→−∞

∫ 0

x

etdt = limx→−∞

et|0x

= 1.

Quindi la funzione f(x) = ex e integrabile in senso generalizzato sulla semiretta(−∞,0]. Analoghi calcoli mostrerebbero che non e integrabile in senso impropriosulla semiretta [0, +∞). Valutiamo

∫ +∞

−∞

11 + x2

dx.

Introduciamo un punto intermedio, per esempio a = 0 e consideriamo i dueintegrali ∫ 0

−∞

11 + x2

dx,

∫ +∞

0

11 + x2

dx.

Abbiamo∫ 0

−∞

11 + x2

dx = limb→−∞

∫ 0

b

11 + x2

dx = limb→−∞

arctan x|0b

2.

Analogamente si dimostra (volendo possiamo utilizzare la parita della funzioneintegranda) ∫ +∞

0

11 + x2

dx =π

2,

quindi la funzione e integrabile in senso improprio su tutta la retta reale e∫ +∞

−∞

11 + x2

dx = π.

Osservazione 6.1 (Funzione integrale) Per una funzione integrabile in sensoimproprio possiamo introdurre la corrispondente funzione integrale. Per esempionel caso di funzione f con integrale convergente in (−∞,a], con a ∈ R, possiamoconsiderare

F (x) =∫ x

−∞f(t)dt, x ∈ (∞,a].

Analogamente nel caso di integrale improprio sulla semiretta [a, +∞).

Osservazione 6.2 (Funzioni oscillanti) Una funzione potrebbe non essere in-tegrabile in senso improprio non solo perche il limite degli integrali definiti suintervalli di lunghezza crescente diverge a ±∞, ma anche a causa di oscillazioni oaltri fenomeni tali per cui il limite non esiste. Per esempio analizzando l’integraleimproprio ∫ +∞

0

sin xdx,

abbiamo, per b > 0,∫ b

0

sin xdx = − cos x|b0

= − cos b + 1.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 203

Il limite per b → +∞ non esiste e quindi la funzione sinx non e integrabile insenso improprio sulla semiretta [0, +∞).

6.1.2 Funzioni non limitate

Consideriamo una funzione continua f : (a,b] → R, con un asintoto verticale x = a.La funzione non e limitata. Anche per questo tipo di funzioni la definizione usualedi integrale improprio non si applica. Ancora possiamo immaginare l’integralecome il risultato di un processo di limite. Consideriamo, per esempio la funzionef(x) = 1/

√x, x ∈ (0,1]. Per ogni a ∈ (0,1],

A(a) =∫ 1

a

1√x

dx = 2√

x|1a

= 2(1−√a).

Ancora possiamo immaginare l’area A della regione sottesa, regione che non elimitata, come limite delle aree A(a),

A = lima→0+

A(a) = lima→0+

2(1−√a) = 2.

Anche questo esempio suggerisce la seguente definizione.

Definizione 6.2 Sia f : (a,b] → R una funzione continua (o localmente integra-bile). Se esiste finito il limite

limx→a+

∫ b

x

f(t)dt,

la funzione f si dice integrabile in senso improprio (generalizzato) nell’intervallo[a,b] e il limite si chiamera integrale improprio (generalizzato) di f in [a,b] e sidenotera con il simbolo ∫ b

a

f(x)dx.

In modo analogo possiamo definire l’integrale generalizzato di una funzionef : [a,b) → R, quando esiste il limite finito,

limx→b−

∫ x

a

f(t)dt.

Nel caso in cui i limiti coinvolti sono finiti l’integrale improprio si dice convergente,se il limite e infinito si dice invece divergente. Osserviamo che per una funzionecontinua su tutto l’intervallo [a,b] oppure continua su un intervallo semiaperto elimitata in tale intervallo, l’integrale improprio e l’integrale usuale coincidono.

Se una funzione ha un punto c di infinito interno, a < c < b, ed f e definitasia in [a,c) che in (c,b] l’integrale improprio

∫ b

a

f(x)dx,

e convergente se e solo se lo sono separatamente i due integrali∫ c

a

f(x)dx,

∫ b

c

f(x)dx,

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204 Capitolo 6

si veda la Figura 6.3. Occorre fare attenzione alla presenza di asintoti interni, per

R R

Punto di infinito

Figura 6.3 Esempio di integrale generalizzato con punto di infinito interno.

esempio per l’integrale ∫ 3

0

1x− 2

dx,

bisogna verificare l’esistenza dei due integrali impropri su [0,2] e [2,3], un calcolodiretto conduce a un errore. Infatti si valuterebbe la primitiva ln |x− 2| tra 0 e 3ottenendo il valore ln (2).

Esempio 6.2 Valutiamo ∫ 1

0

ln xdx.

La funzione integranda ha un asintoto verticale per x = 0, abbiamo

I(a) =∫ 1

a

ln xdx = x ln x− x|1a

= (−1− a ln a− a),

dove abbiamo utilizzato l’integrazione per parti. Quindi

lima→0+

I(a) = lima→0+

(−1− a ln a− a) = −1,

infatti abbiamo gia dimostrato in precedenza che il limite di a ln a per a → 0+ enullo.

Valutiamo ∫ 1

0

1x− 1

dx.

Si ha

I(b) =∫ b

0

1x− 1

dx = ln |x− 1||b0

= ln |b− 1|.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 205

Il limite per b → 1− di I(b) fornisce −∞ quindi l’integrale diverge.

Osservazione 6.3 Nel caso in cui la funzione sia continua (o localmente integra-bile) in (a,b] e non abbia asintoti verticali la nozione usuale di integrale in [a,b]e di integrale in senso improprio coincidono. Quest’ultima puo essere consideratacome una generalizzazione della prima.

6.1.3 Caso generale

La situazione piu generale che possiamo trattare consiste nella valutazione dell’in-tegrabilita di una funzione f definita in tutta la retta reale tranne al piu un numerofinito N di punti x1, x2, . . . ,xN . Inoltre la funzione f sia continua (o localmenteintegrabile) in ogni intervallo originato dagli N punti. Per esempio, sia

−∞ < x1 < x2 < . . . < xN < +∞,

la funzione risultera integrabile in senso improprio se tutti gli integrali impropridefiniti sugli intervalli

(−∞,x1), (x1,x2), . . . , (xN−1,xN ), (xN , +∞),

sono convergenti. Per ogni intervallo aperto dobbiamo poi considerare i singoliintegrali impropri che coinvolgono un solo estremo. Per far cio scegliamo (N + 1)punti ak con

a1 ∈ (−∞,x1), a2 ∈ (x1,x2), . . . , aN ∈ (xN−1,xN ), aN+1 ∈ (xN , +∞)

e valutiamo separatamente gli integrali∫ a1

−∞f(x)dx,

∫ x1

a1

f(x)dx,

∫ a2

x1

f(x)dx,

∫ x2

a2

f(x)dx, . . .

∫ aN

xN−1

f(x)dx,

∫ xN

aN

f(x)dx,

∫ aN+1

xN

f(x)dx,

∫ +∞

aN+1

f(x)dx.

6.1.4 Determinazione della convergenza

Quando un integrale improprio non puo essere valutato attraverso il Teoremafondamentale del calcolo integrale perche non si riesce a determinare una primi-tiva (oppure perche e complicato farlo) possiamo spesso stabilire la convergenzao la divergenza dell’integrale attraverso il confronto con integrali impropri noti.Non valutiamo l’eventuale valore dell’integrale improprio ma decidiamo almeno sel’integrale e convergente oppure no.

Teorema 6.1 (Teorema del confronto per integrali) Siano a e b tali che−∞ ≤ a < b ≤ +∞ e supponiamo f e g due funzioni continue nell’intervallo(a,b) tali che

0 ≤ f(x) ≤ kg(x),

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206 Capitolo 6

per ogni x ∈ (a,b) e per qualche costante positiva k. Se g e integrabile in (a,b)allora anche f lo e, inoltre

∫ b

a

f(x)dx ≤ k

∫ b

a

g(x)dx.

Se invece l’integrale ∫ b

a

f(x)dx

e divergente anche l’integrale di g e divergente.

Esempio 6.3 Consideriamo l’integrale∫ +∞

1

e−x2dx.

La primitiva della funzione e−x2non e una funzione elementare ma, per x ≥ 1, si

ha x2 ≥ x, quindi e−x2 ≤ e−x. L’integrale∫ +∞

1

e−xdx,

e facile da valutare e risulta convergente. Anche l’integrale di partenza lo e.

Affinche il Teorema del confronto sia utile occorre avere a disposizione un certonumero di famiglie di integrali impropri di cui si conosca il carattere. Una tipicafamiglia e quella delle potenze con esponente negativo, per 0 < a < +∞,

∫ +∞

a

1xp

dx

converge se p > 1

diverge se p ≤ 1,

∫ a

0

1xp

dx

converge se p < 1

diverge se p ≥ 1,

Per esempio ∫ +∞

3

1ln x

dx

diverge perche per x > 3, ln x < x e quindi (1/ ln x) > 1/x e l’integrale di 1/xdiverge sulla semiretta.

Esempio 6.4 (Confronto asintotico) Sia f : [a, +∞) → R una funzione nonnegativa, se esiste un α > 1 tale che

limx→+∞

xαf(x) = L < +∞,

allora f e integrabile in senso improprio in [a, +∞). Infatti per la definizione dilimite esiste un valore x0 tale che per x ≥ x0 si ha xαf(x) < k, con k costantepositiva opportuna, quindi

0 ≤ f(x) ≤ k

xα.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 207

Per il Teorema del confronto la funzione f risultera integrabile. Analoga condizionevarra per intervalli del tipo (−∞,a] o per intervalli semiaperti (a,b] o [a,b).

Per esempio la funzione

f(x) =arctanx

1 + x4

risultera integrabile in [0,+∞) perche il prodotto x4·f(x) tende a π/2 per x → +∞.

Il Teorema del confronto puo essere utile nel caso di funzioni non negative oppuredi funzioni non positive, per funzioni non sempre dello stesso segno la situazione sicomplica perche dobbiamo tenere conto in qualche modo delle compensazioni traaree considerate con segno differente. In particolare saranno gli integrali improprisu semirette a essere implicati (quando siamo in presenza di un asintoto verticaleprima o poi avvicinandosi al punto di infinito il segno si decide). Un risultato utilee il seguente.

Teorema 6.2 (Convergenza assoluta) Sia f una funzione definita in [a,+∞),se la funzione |f(x)| e integrabile allora lo e anche la funzione f e si ha

|∫ +∞

a

f(x)dx| ≤∫ +∞

a

|f(x)|dx.

La dimostrazione del Teorema ora enunciato e semplice e si basa sulle proprietadella funzione valore assoluto.

Esempio 6.5 Consideriamo l’integrale∫ +∞

1

cosx

x4dx.

Passando al valore assoluto abbiamo

| cosx

x4| =

| cosx|x4

≤ 1x4

,

e per il Teorema del confronto la funzione in valore assoluto e integrabile in sen-so improprio sulla semiretta [1, + ∞). Segue che anche la funzione cos x/x4 eintegrabile sulla stessa semiretta.

Non tutte le funzioni integrabili hanno modulo integrabile. Per esempio siconsideri la funzione

f(x) =sin x

x

sull’intervallo [1, +∞). Tale funzione e integrabile in senso improprio perche∫ b

1

sin x

xdx = − cosx

x|b1−

∫ b

1

cosx

x2dx.

Il primo termine del secondo membro tende a zero per b → +∞ mentre l’integraleimproprio al secondo membro e convergente. La funzione |f | non risulta inveceintegrabile in senso improprio in [1, +∞). Infatti per k ∈ N risulta

∫ 2(k+1)π

2kπ

| sin x|x

dx ≥ 12(k + 1)π

∫ 2(k+1)π

2kπ

| sin x|dx,

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208 Capitolo 6

dunque, per n ∈ N∗ ∫ 2nπ

| sin x|x

dx ≥ 2π

n−1∑

k=1

1k + 1

.

L’ultima somma si dimostra non essere limitata superiormente per n ∈ N∗, quindil’integrale e divergente.

Concludiamo questo paragrafo ribadendo che vi sono due tipi di problemi:

• stabilire se un integrale converge oppure no;

• calcolare il valore numerico di un integrale improprio convergente.

Un esempio di criterio che possa dare qualche indicazione per il primo tipo di pro-blema e stato dato. Il secondo problema puo risultare piu intricato, sia per la man-canza di una funzione primitiva, sia per il fatto che comunque bisognerebbe passareattraverso una operazione di limite. Tecniche numeriche di approssimazione peralcuni casi sono state comunque sviluppate nell’ambito del Calcolo Numerico.

Esempio 6.6 (Un trucco per e−x2) Abbiamo gia stabilito la convergenza del-

l’integrale improprio ∫ +∞

0

e−x2dx.

Una primitiva per questa funzione integranda non e calcolabile in modo elementare.Indichiamo con A(b) l’integrale,

A(b) =∫ b

0

e−x2dx, b > 0.

Proponiamoci un obiettivo piu ambizioso: calcolare il volume V (b) del solidocompreso tra il piano x,y e il grafico della funzione

z = e−x2−y2,

quando |x| ≤ b e |y| ≤ b, chiamiamo Q(b) tale quadrato. Pur entrando in giocouna funzione in due variabili non dovrebbe essere difficile capire il meccanismocon cui si opera. A ogni punto (x,y) del piano la funzione z associa un valoreunivocamente determinato e calcolato con l’espressione contenuta nella formulaprecedente. Nella Figura 6.4 e riportato il grafico della funzione z nel caso didominio caratterizzato da |x| ≤ 2 e |y| ≤ 2. Il volume V (b) puo essere calcolatocome “somma” delle aree W (x) di sezioni parallele

V (b) =∫ b

−b

W (x)dx,

dove W (x) e a sua volta dato da

W (x) =∫ b

−b

e−x2−y2dy =

∫ b

−b

e−x2e−y2

dy = 2e−x2A(b).

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 209

−2

−1

0

1

2

−2

−1

0

1

20

0.2

0.4

0.6

0.8

1

z=exp(−x 2−y2)

x y

Figura 6.4 Grafico della funzione z = e−x2−y2per |x| ≤ 2, |y| ≤ 2.

L’ultima uguaglianza discende dal fatto che la funzione e−y2e una funzione pari.

Dunque

V (b) =∫ b

−b

W (x)dx = 2A(b)∫ b

−b

e−x2dx = 4(A(b))2.

Il volume S(b) del solido di rotazione compreso tra il piano x, y e il grafico dellafunzione z = e−x2−y2

relativo ai punti (x,y) appartenenti al cerchio di centrol’origine e raggio r vale

S(r) = π(1− e−r2

).

Se consideriamo il raggio r = b il cerchio e contenuto nel quadrato Q(b) mentreper r = b

√2 otteniamo un nuovo cerchio contenente lo stesso quadrato Q(b), si

deduce quindi cheS(b) ≤ V (b) ≤ S(b

√2).

Si conclude che

π(1− e−b2

)≤ 4(A(b))2 ≤ π

(1− e−2b2

),

da cui, passando al limite per b → +∞, si ottiene∫ +∞

0

e−x2dx =

√π

2.

6.2 Serie numeriche

L’equivalente nell’ambito delle successioni dell’integrale improprio su una semi-retta potrebbe essere la somma di infiniti termini. Ripensando alla definizione di

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210 Capitolo 6

integrale come limite di somme di aree di rettangoli potremmo infatti immagi-nare, nel caso degli integrali impropri, una sequenza di aree di infiniti rettangoli.Queste somme di infiniti termini possono portare a interessanti paradossi, l’intro-duzione dell’infinito infatti comporta il fatto che si lavora con il concetto di limitee quindi non ci si puo aspettare sempre che tutte le proprieta delle somme finitesopravvivano.

Esempio 6.7 (Un paradosso di Zenone) Il filosofo greco Zenone di Elea misein crisi la Scienza antica proponendo alcuni difficili paradossi. Uno di questi, dettodel “corridore”, puo essere esplicitato nei termini seguenti. Un corridore non puomai raggiungere la fine di una pista perche deve sempre percorrere la meta di unaqualsiasi distanza prima di poterla percorrere interamente. Avendo percorso laprima meta gli resta ancora davanti a se la seconda meta, quando questa meta epercorsa resta un quarto, dopo il quarto un ottavo e cosı via. Zenone immaginavaun corridore puntiforme (una particella, un punto in moto) e la situazione e ov-viamente idealizzata. Dire che il corridore non potra mai raggiungere la fine dellapista equivale a dire che non vi giunge in un tempo finito: la somma di un numeroinfinito di intervalli temporali positivi non puo essere finita.

Cerchiamo di trovare un modello per questa situazione imbarazzante. Sup-poniamo che il famoso corridore si muova a velocita costante e supponiamo cheimpieghi un tempo T (per esempio espresso in secondi) per coprire la prima metadel percorso. Il successivo quarto richiedera un tempo T/2, l’ulteriore tratto di unottavo un tempo T/4. In generale il percorso dal punto di 1/2n al punto 1/2n+1

richiedera un tempo T/2n. La somma di tutti questi intervalli di tempo potrebbeessere indicata con la seguente espressione

T +T

2+

T

4+ · · ·+ T

2n+ · · · .

Che significato possiamo dare all’espressione appena scritta? Consideriamo lasomma (finita)

Sn =n∑

k=0

T

2k,

dove n e un numero naturale positivo. Abbiamo piu volte osservato che

Sn =n∑

k=0

12k

=1− (1/2)(n+1)

1− 1/2,

quindi Sn = T ·Sn. All’aumentare del numero degli addendi i contributi non sonotali da rendere la somma illimitata, anzi nel limite si ottiene

limn→+∞

Sn = 2T.

Questo processo di limite sembra invalidare l’affermazione secondo cui la sommadi un numero infinito di termini positivi non possa mai essere finita. Non sempre,ovviamente, e cosı. Consideriamo, per esempio, la somma

Sn =n∑

k=0

1 = (n + 1),

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 211

e evidente che all’aumentare di n tale somma divergera all’infinito. Infine osser-viamo la somma

n∑

k=0

(−1)k = 1− 1 + 1− 1. . . +1.

Questa volta la somma sara uno oppure zero a seconda di quanti termini scelgo.Il limite non esiste, le somme hanno un comportamento “oscillante”.

Vogliamo costruire in modo ragionevole una somma di infiniti termini. Sia akuna successione di valori reali. Associamo a questa successione una nuova succes-sione Sn costruita come segue

S0 = a0

S1 = a0 + a1

...Sn = a0 + a1 + . . . + an

...

o in modo ricorsivoS0 = a0, Sn+1 = Sn + an+1.

L’elemento Sn della successione si chiama somma parziale n-esima o ridotta n-esima. La successione Sn si dice serie di termini an.

Definizione 6.3 Sia Sn la serie di termini an (cioe costruita a partire dallasuccessione degli an). Se esiste finito il limite

limn→+∞

Sn = S ∈ R

la serie si dira convergente con somma S e si scrivera

+∞∑

k=0

ak = S.

Se il limitelim

n→+∞Sn

esiste ed e infinito la serie si dice divergente. Se la serie non e convergente odivergente si dice oscillante (o indeterminata).

Le tre serie contenute nell’esempio precedente sono esempi di serie convergente,divergente e oscillante.

Esempio 6.8 (Serie geometrica) Una serie il cui termini formano una succes-sione geometrica

ak = aqk

con a costante e detta serie geometrica. Il numero q e chiamato ragione. Abbia-mo gia incontrato un esempio in questa forma nella trattazione del paradosso di

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212 Capitolo 6

Zenone, in particolare quando q = 1/2, ed a = T . Le somme parziali della seriegeometrica sono date da

Sn =n∑

k=0

aqk = a

n∑

k=0

qk.

Vale la seguente relazione algebrica per ogni q 6= 1 (si veda pag. 16)n∑

k=0

qk =1− q(n+1)

1− q.

Quindi

Sn = a1− q(n+1)

1− q, q 6= 1.

Dalle proprieta delle funzioni esponenziali si ha che, per |q| < 1,

limn→+∞

Sn =a

1− q.

Per q ≥ 1 la serie geometrica diverge (nel caso q = 1 perche somma di infinititermini costanti uguali al valore a), mentre per q ≤ −1 la serie e indeterminata.

Osservazione 6.4 Alcuni autori considerano divergenti anche successioni anper le quali il limite della corrispondete successione dei valori assoluti, |an|,tende a +∞. Questo modo di procedere permette di estendere facilmente la teoriae i concetti dall’ambito dei numeri reali a campi numerici piu ampi, per esempioall’ambito dei numeri complessi C. Anche per le serie si pone la medesima alter-nativa. Da un certo punti di vista potremmo considerare, per esempio, la seriecon termini (−1)n · n oscillante oppure divergente. Quest’ultima possibilita eda prendere in considerazione solo se accettiamo la nozione di divergenza di unasuccessione come abbiamo appena accennato. In questo capitolo, per coerenza conquanto esposto nell’ambito delle successioni, considereremo divergenti le serie perle quali le somme parziali tendano a ±∞. La serie con termini (−1)n · n saraconsiderata oscillante. Per lo studente che consulti qualche manuale o formularioe consigliabile una veloce verifica di cosa gli autori intendano per serie divergente.

Esempio 6.9 (Serie di Mengoli) Consideriamo la serie di termini

ak =1

k(k + 1), k ≥ 1.

Ovviamente anche se partiamo con indice k = 1 invece che k = 0 non cambianulla: non si cambia il carattere di una successione (o di una serie) alterando unnumero finito di termini o tralasciando un numero finito di indici. Si ha

Sn =n∑

k=1

1k(k + 1)

=1

1 · 2 +1

2 · 3+. . . +1

n · (n + 1).

Poiche1

k(k + 1)=

1k− 1

k + 1,

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 213

la ridotta n-esima puo essere espressa come

Sn =(

1− 12

)+

(12− 1

3

)+ . . . +

(1n− 1

n + 1

)= 1− 1

n + 1.

Quindilim

n→+∞Sn = 1,

e la serie e convergente con somma uguale a 1.

Esempio 6.10 (Serie armonica) La serie armonica

+∞∑

k=1

1k

= 1 +12

+13+. . .

e divergente. Consideriamo la somma parziale Sn,

Sn =n∑

k=1

1k

.

Dal punto di vista geometrico Sn si puo interpretare come la somma delle areedi rettangoli con base di lunghezza unitaria e altezza di lunghezza 1/k, dove k =1,2,. . . ,n. Per la monotonia della funzione y = 1/x questa somma di aree saramaggiore dell’integrale di questa funzione nell’intervallo [1,n + 1], si confronti conla Figura 6.5. Abbiamo quindi

Sn ≥∫ n+1

1

1x

dx = ln x|n+1

1= ln (n + 1).

Dalla disuguaglianza Sn ≥ ln (n + 1) segue che il limite per n → +∞ di Sn euguale a +∞. La serie armonica e quindi una serie divergente.

Una prima condizione necessaria per la convergenza e la seguente.

Teorema 6.3 Se la serie di termini an converge allora

limn→+∞

an = 0.

La dimostrazione di questa condizione e semplice, infatti

an+1 = Sn+1 − Sn

quindi il limite discende dalle leggi di calcolo dei limiti, e il limite limite di unadifferenza di successioni convergenti al medesimo valore.

Si noti che la condizione e solo necessaria, ci possono essere serie con terminitendenti a zero ma non convergenti. Per esempio la serie armonica di terminian = 1/n verifica la condizione necessaria per gli an ma e divergente. Per le serieconvergenti valgono le usuali regole di calcolo. Se

∑an e

∑bn sono due serie

convergenti allora lo sono anche le serie∑

(an + bn),∑

(an − bn),∑

can (c costante).

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214 Capitolo 6

...

area = 1

area = 1/2

area = 1/3

...

∫ 1 n+1 x−1 dx

... 1 2 3 n n+1 ...

y=1/x

Figura 6.5 Significato geometrico della disuguaglianza 1 + 1/2 + 1/3+. . . +1/n ≥ln (n + 1).

Inoltre le somme delle serie si ottengono con le rispettive operazioni sulle sommedelle serie di termini an e bn. Per esempio la serie

+∞∑

k=1

(5

nn + n+

4n+1

5n

)

e una serie convergente in quanto somma delle due serie+∞∑

k=1

5nn + n

= 5+∞∑

k=1

1n(n + 1)

,

+∞∑

k=1

4n+1

5n= 4

+∞∑

k=1

(45

)n

,

dove la prima e la serie di Mengoli e la seconda una serie geometrica di ragione4/5.

6.2.1 Criteri di convergenza

Al solito, sarebbe povero un concetto che richieda l’uso della sola definizioneper la verifica di qualche proprieta. Anche per le serie vi sono vari strumentiper la determinazione del carattere di una data serie, ovvero per stabilire la suaconvergenza.

Una classe importante di serie e quella delle serie a termini non negativi (onon positivi). Infatti per tali serie si ha che

Sn+1 = Sn + an+1 ≥ Sn

quindi la successione delle ridotte e una successione monotona. Questo comportache per le serie a termini non negativi (e analogamente per quelle a termini nonpositivi), possiamo avere solo convergenza o divergenza: si esclude che la serie

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 215

oscilli. Il fatto di togliere una possibilita comporta che esistano diversi criteriinteressanti. In particolare abbiamo convergenza se e solo se la successione delleridotte e limitata. Vediamo alcuni risultati.

Teorema 6.4 (Criterio del confronto) Siano∑

an e∑

bn due serie a termininon negativi tali che

0 ≤ an ≤ bn ∀n ≥ 0.

Allora

i) se∑

bn converge allora anche∑

an converge;

ii) se∑

an diverge allora anche∑

bn diverge.

Per esempio la serie∞∑

n=1

1np

, p ∈ R

e divergente per p ≤ 1 per confronto con la serie armonica, p = 1, che e divergente.Per p ≥ 2 la serie e invece convergente per confronto con la serie di Mengoli. Dalcriterio del confronto discende anche che due serie a termini positivi, an > 0,bn > 0, sono entrambe convergenti o divergenti se

limn→∞

an

bn= c > 0.

Per esempio la serie con termini an = (3n2 + 1)/(n4 + 3) e convergente perche illimite, per n → +∞, del rapporto an/(1/n2) e uguale a 3 e la serie di termini 1/n2

e convergente.

Teorema 6.5 (Criterio del rapporto) Sia∑

an una serie a termini positivi,an > 0, se esiste un numero L, 0 < L < 1, in corrispondenza del quale si possatrovare un indice k ≥ 0 tale che

an+1

an≤ L, n ≥ k,

allora la serie e convergente. Inoltre se esiste il limite, finito o infinito,

limn→+∞

an+1

an= L

allora

i) se 0 ≤ L < 1 la serie converge;

ii) se 1 < L ≤ +∞ la serie diverge;

iii) se L = 1 questo criterio non puo dare nessuna informazione.

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216 Capitolo 6

Esempio 6.11 Consideriamo la serie

∞∑n=1

n4

2n.

Applicando il criterio del rapporto (versione asintotica), si ha

limn→∞

((n + 1)4

2n+1

)/

((n)4

2n

)=

12,

quindi la serie e convergente.

Un criterio che risultera utile nell’ambito delle serie di potenze e il seguente.

Teorema 6.6 (Criterio della radice) Sia∑

an una serie a termini positivi,an > 0, se esiste il limite, finito o infinito,

limn→+∞

n√

an = L

allora

i) se 0 ≤ L < 1 la serie converge;

ii) se 1 < L ≤ +∞ la serie diverge;

iii) se L = 1 questo criterio non puo dare nessuna informazione.

Per esempio per la serie+∞∑n=0

(5n + 27n + 4

)n

,

il criterio della radice valuta

limn→+∞

[(5n + 27n + 4

)n]1/n

= limn→+∞

5n + 27n + 4

=57

< 1,

quindi la serie di partenza e convergente. Tra integrali impropri e serie e naturaleche vi siano delle relazioni. Analizzando la serie armonica abbiamo gia consideratoquesta relazione, in particolare abbiamo osservato un legame stretto tra il processodi limite di aree e il processo di limite per somme parziali.

Teorema 6.7 (Criterio dell’integrale) Sia an = f(n) per n ≥ k e per unafunzione f : [k, +∞) → R positiva, f > 0, e non crescente, allora

∞∑n=1

an e∫ +∞

k

f(x)dx

convergono o divergono entrambi.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 217

Per la dimostrazione basta ricorrere all’interpretazione geometrica dell’integralecome area e alle somme parziali come area di particolari plurirettangoli. Peresempio l’analisi1 dell’integrale improprio

∫ +∞

2

dx

x(lnx)p

dimostra che la serie corrispondente∞∑

n=2

1n(lnn)p

converge se p > 1 e diverge se p ≤ 1.

Osservazione 6.5 Per una serie convergente di somma S potrebbe essere inter-essante valutare il resto n-esimo Rn ovverosia la differenza Rn = S−Sn dove Sn ela somma parziale n-esima. Nel caso si possa applicare il criterio dell’integrale conuna certa funzione f , dalla monotonia della stessa funzione seguono le seguentimaggiorazioni

Rn ≤∫ +∞

n

f(x)dx, Rn ≥∫ +∞

n+1

f(x)dx.

Con queste maggiorazioni e possibile avere una stima del resto e, quindi, dell’errorecommesso sostituendo alla somma vera S l’approssimazione Sn. Per esempio da

∫ +∞

n

1x4

dx = limb→+∞

[− 1

3x3

]b

n

=1

3n3,

se approssimiamo la somma S della serie convergente di termini 1/n4 con la sommaparziale S5 abbiamo la stima dell’errore

13(6)3

≤+∞∑n=1

1n4

− S5 ≤ 13(5)3

.

6.2.2 Convergenza e convergenza assoluta

Per le serie a termini di segno qualsiasi vi sono meno criteri a disposizione perstabilirne la convergenza. Il risultato principale e il seguente (deducibile facilmentedalle proprieta della funzione modulo).

Teorema 6.8 Se la serie∑ |an| converge, allora converge anche la serie

∑an.

Il fatto di considerare la serie dei moduli porta ad analizzare serie a termini positivie quindi a ricorrere ancora ai vari criteri per quest’ultima famiglia di serie. Unaserie tale che la serie dei moduli converge si dice assolutamente convergente. Ilrisultato enunciato sopra dice che la convergenza assoluta implica la convergenza.

1L’integrale si puo analizzare tramite la sostituzione t = ln x, dt = dx/x.

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218 Capitolo 6

Una serie convergente ma non assolutamente convergente si dice semplicementeconvergente. Per esempio la serie armonica oscillante

∞∑n=1

(−1)n+1

n,

si dimostra essere convergente ma non assolutamente convergente perche la seriedei moduli diverge.

Esempio 6.12 La serie∞∑

n=1

sin n

n2,

e una serie assolutamente convergente. Infatti per la serie dei moduli∞∑

n=1

∣∣∣∣sin n

n2

∣∣∣∣ =∞∑

n=1

| sinn|n2

,

si osserva che possiamo applicare il confronto con la serie convergente∞∑

n=1

1n2

.

Infatti abbiamo | sin n|n2

≤ 1n2

.

Osservazione 6.6 Le serie assolutamente convergenti sono importanti percheconservano le proprieta delle operazioni usuali delle somme finite. Per esempiopossiamo riordinare i termini della serie e ottenere ancora una serie convergentee con la stessa somma. Puo sembrare strano, le serie semplicemente convergentipossono essere riordinate2 e ottenere di tutto. Esistono riordinamenti convergenti,altri divergenti, altri indeterminati.

Nel caso in cui i segni degli elementi della serie non siano casuali ma si alterninoabbiamo a disposizione un criterio appropriato.

Teorema 6.9 (Criterio di Leibniz) Sia data la serie∞∑

n=0

(−1)nan,

con an > 0, ∀n ∈ N, se

i) la successione an e non crescente;

ii) limn→∞ an = 0;

2Non formalizziamo l’operazione di riordinamento di una serie, dovrebbe essere intuitivo chestiamo scambiando di posto, senza ripetizioni, i termini della serie.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 219

allora la serie e convergente. Inoltre le somme parziali di indice n pari approssi-mano la somma per eccesso, mentre quelle di indice dispari per difetto.

Per esempio la serie∞∑

n=0

(−1)n 1n!

e convergente. Anche la serie armonica a segni alterni∞∑

n=1

(−1)n+1 1n

risulta convergente per il Criterio di Leibniz.

6.3 Serie di potenze

Una serie di potenze e una serie nella forma

+∞∑n=0

an(x− c)n,

dove x e una variabile reale, an sono i coefficienti reali della serie e il valore realec e il centro della serie. Una serie di potenze puo convergere per alcuni valori di x(e divergere per altri). Possiamo quindi considerare la funzione f definita con lalegge

x 7→+∞∑n=0

an(x− c)n, x tale che la serie sia convergente.

Esempio 6.13 (Ancora la serie geometrica) Consideriamo la serie di potenze

+∞∑n=0

xn,

dove i coefficienti sono tutti uguali a 1 e il centro e 0. Per le proprieta delle seriegeometriche sappiamo che tale serie converge per |x| < 1, inoltre

+∞∑n=0

xn =1

1− x, − 1 < x < 1.

Possiamo immaginare la serie come una particolare rappresentazione, forse un po’complicata, della funzione f(x) = 1/(1 − x) quando x e in modulo minore di 1.

Per stabilire la convergenza o la divergenza di una serie di potenze possiamo consi-derare x come parametro e ricorrere ai criteri introdotti per lo studio delle serienumeriche.

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220 Capitolo 6

Esempio 6.14 (Funzione di Bessel) La funzione di Bessel J0(x) di ordine zeroe definita attraverso una serie di potenze

J0(x) =+∞∑n=0

(−1)nx2n

22n(n!)2.

Posto an = (−1)n/(22n(n!)2) e c = 0 abbiamo una serie di potenze di centro 0 ecoefficienti an. Consideriamo il criterio del rapporto per la corrispondente seriedei moduli. Dobbiamo valutare il limite della quantita, per x 6= 0,

∣∣∣∣(−1)n+1x2n+2

22n+2((n + 1)!)2· 22n(n!)2

(−1)nx2n

∣∣∣∣ =x2

4(n + 1)2.

Nel limite n → +∞, per ogni fissato valore x si ottiene il valore 0. Nel casoparticolare x = 0 la serie e comunque convergente, quindi la serie relativa allafunzione di Bessel converge per ogni x reale.

Tutte le serie di potenze convergono per x = c (tutti i termini della serie diventanonulli tranne il primo), in generale l’insieme dei valori x per cui la serie converge e unintervallo. Tale proprieta geometrica deriva dal criterio del confronto con una op-portuna serie geometrica. Il teorema seguente, che non dimostriamo, caratterizzail comportamento delle serie di potenze.

Teorema 6.10 (Raggio di convergenza) Per una serie di potenze

+∞∑n=0

an(x− c)n,

possono presentarsi solo tre possibilita:

(i) la serie converge solo per x = c;

(ii) la serie converge ∀x ∈ R;

(iii) esiste un numero positivo R tale che la serie converge per |x−c| < R e divergeper |x− c| > R.

Il numero R nella (iii) si chiama raggio di convergenza della serie di potenze.

Nel caso (i) del teorema il raggio di convergenza si dice che e 0, mentre nel caso(ii) si dice che il raggio di convergenza e infinito. Per R ∈ R, R 6= 0, quando x =c ± R (estremi dell’intervallo) occorre fare una verifica diretta della convergenzao divergenza della serie. Per la valutazione del raggio di convergenza possiamoutilizzare i criteri di convergenza per le serie a termini non negativi applicati allaserie dei moduli. Per esempio se esiste, finito o no, il limite

limn→+∞

∣∣∣∣an

an+1

∣∣∣∣ = R,

allora la serie di potenze con coefficienti an ha raggio di convergenza R.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 221

Esempio 6.15 Determiniamo il raggio di convergenza della serie+∞∑n=0

(3x + 7)n

(n2 + 8)5n.

Il termine (3x + 7)n puo essere riscritto come 3n(x + 7/3)n quindi abbiamo unaserie di potenze con centro c = −7/3 e coefficienti

an =(

35

)n

· 1n2 + 8

.

Valutiamo

R = limn→+∞

∣∣∣∣an

an+1

∣∣∣∣ = limn→+∞

53· (n + 1)2 + 8

n2 + 8=

53.

La serie converge (assolutamente) per x ∈ (−7/3 − 5/3, − 7/3 + 5/3) e il raggiodi convergenza e proprio R = 5/3. Per i valori agli estremi dell’intervallo diconvergenza abbiamo,

x = −4 ⇒+∞∑n=0

(−1)n

(n2 + 8)convergente,

x = −23⇒

+∞∑n=0

1(n2 + 8)

convergente.

Dunque la serie converge per x ∈ [−4,− 2/3] e diverge per tutti i valori reali nonappartenenti a questo intervallo chiuso.

La somma f(x) di una serie di potenze con raggio di convergenza R > 0 e unafunzione definita in un intervallo. Si puo dimostrare che questa funzione e unafunzione continua in ogni x appartenente all’intervallo di convergenza. Inoltre se

f(x) =+∞∑n=0

an(x− c)n,

la funzione f e derivabile nell’intervallo (c−R,c + R) e

f ′(x) =+∞∑n=1

nan(x− c)(n−1).

Inoltre f e integrabile e∫

f(x)dx = C ++∞∑n=0

an(x− c)n+1

n + 1,

con C costante arbitraria e raggio di convergenza ancora uguale a R.

Esempio 6.16 Per trovare una rappresentazione in serie di potenze della funzionef(x) = 1/(1− x)2 possiamo considerare la relazione

11− x

=+∞∑n=0

(x)n, |x| < 1,

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222 Capitolo 6

e derivare (1

1− x

)′=

1(1− x)2

=+∞∑n=0

(n + 1)(x)n, |x| < 1.

Analogamente

− ln (1− x) =∫

11− x

dx = C ++∞∑n=1

(x)n

n, |x| < 1.

Per determinare una particolare primitiva poniamo x = 0 e ricaviamo C = 0 dacui

ln (1− x) = −+∞∑n=1

(x)n

n.

Per esempio per x = 1/2 abbiamo ln (1− 1/2) = − ln 2 e la relazione

ln 2 =+∞∑n=1

1n2n

.

6.3.1 Serie di Taylor

Se una funzione f puo essere espressa tramite una serie di potenze

f(x) =+∞∑n=0

an(x− c)n, |x− c| < R,

possiamo cercare di determinare i coefficienti an. Per esempio, abbiamo

f(c) = a0.

Derivando termine a termine possiamo poi calcolare,

f ′(x) =+∞∑n=1

nan(x− c)n−1,

da cui a1 = f ′(c). Derivando ancora una volta si determina 2a2 = f ′′(c), ingenerale otteniamo

an =f (n)(c)

n!.

Quindi se una funzione f e rappresentabile con una serie di potenze di centro c,coefficienti an e raggio di convergenza R > 0 allora

f(x) =+∞∑n=0

f (n)(c)n!

(x− c)n, x ∈ (c−R,c + R).

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 223

La relazione ora scritta si chiama serie di Taylor della funzione f centrata in c. Nelcaso particolare di centro c = 0 frequentemente si parla di serie di Mac Laurin.Nel caso di serie di Taylor la somma parziale n-esima della serie e una vecchiaconoscenza,

Tn(x) =n∑

k=0

f (k)(c)k!

(x− c)k

e infatti il polinomio di Taylor della funzione f centrato in c.

Osservazione 6.7 Parlando del polinomio di Taylor abbiamo commentato il fattoche una funzione f e rappresentabile (quando questo polinomio esiste) nella forma

f(x) = Tn(x) + En(x),

dove Tn e il polinomio di Taylor di grado n ed En e il resto. Affermare che il restotende a zero per n → +∞ equivale a dire che la serie, di cui i polinomi di Taylorrappresentano le somme parziali, converge e ha somma f(x). Per esempio, per lafunzione f(x) = ex con x 6= 0 e centro c = 0, abbiamo

ex =n∑

k=0

xk

k!+

et

(n + 1)!xn+1,

dove il resto e rappresentato nella forma di Lagrange e |t| ≤ |x|. Essendo lafunzione esponenziale strettamente crescente abbiamo

∣∣∣∣et

(n + 1)!xn+1

∣∣∣∣ ≤ e|x||x|n+1

(n + 1)!.

L’ultima quantita tende a 0 per n → +∞ per ogni fissato x ∈ R. La corrispondenteserie converge a ex per ogni x reale.

Questo risultato vale in generale, se f(x) = Tn(x) + En(x) con Tn polinomiodi Taylor di grado n, se En(x) → 0 per n → +∞ e x ∈ (c − R,c + R), allora f euguale alla somma della serie di Taylor nel medesimo intervallo.

Alcune serie di Taylor si possono ricavare attraverso le proprieta delle serie dipotenze. Per esempio, sostituendo −t2 al posto di x nella serie geometrica siottiene

11 + t2

= 1− t2 + t4−. . . =+∞∑n=0

(−1)nt2n, |t| < 1.

Integrando l’ultima serie di ottiene poi

arctanx =∫ x

0

dt

1 + t2=

+∞∑n=0

(−1)n x2n+1

2n + 1.

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224 Capitolo 6

Di seguito riportiamo alcune serie di Mac Laurin di funzioni elementari.

ex =+∞∑n=0

xn

n!x ∈ R;

cos x =+∞∑n=0

(−1)n x2n

(2n)!x ∈ R;

sin x =+∞∑n=0

(−1)n x2n+1

(2n + 1)!x ∈ R;

ln (1 + x) =+∞∑n=1

(−1)n+1 xn

nx ∈ (−1,1].

Esempio 6.17 (Serie binomiale) Sia f(x) = (1 + x)r, con r ∈ R e x > −1, laderivata n-esima di f e uguale a

f (n)(x) = r(r − 1)(r − 2) · · · (r − n + 1)(1 + x)r−n.

Si puo dimostrare che per ogni reale x ∈ (−1,1), si ha

(1 + x)r =+∞∑n=0

(rn

)xn, |x| < 1,

dove il coefficiente binomiale3 e definito come(

rn

)=

r(r − 1) · · · (r − n + 1)n!

, n ≥ 1 e(

r0

)= 1.

Esempio 6.18 (Approssimare) Le serie di Taylor possono risultare utili perapprossimare. Per esempio una approssimazione del numero e si puo ottenerecome

e = e1 =+∞∑n=0

1n!

.

Quest’ultima serie ha una convergenza molto rapida e pochi termini fornisconouna buona approssimazione, il calcolo di e con la definizione attraverso il limite di(1 + 1/n)n e invece di una lentezza esasperante. Anche per π sono stati propostidiversi metodi, piu o meno rapidi. Per esempio si possono utilizzare funzionitrigonometriche con le relative rappresentazioni in serie di potenze.

Calcoliamo l’integrale della funzione e−t2 tra 0 e x, sempre con la serie di MacLaurin della funzione esponenziale con −t2 al posto di x si ottiene

∫ x

0

e−t2dt =∫ x

0

(+∞∑n=0

(−t2)n

n!

)dt =

+∞∑n=0

(−1)nx2n+1

n!(2n + 1).

3Per r intero si ritrova il coefficiente della formula del binomio di Newton, (1 + b)r.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 225

Le serie di Taylor non sono l’unico modo di decomporre funzioni “complicate” insomme di funzioni piu “semplici”. Molto importanti e utilizzate nelle applicazionisono le serie di Fourier. In questo caso le funzioni semplici sono le funzioni seno ecoseno con diverso periodo.

6.4 Introduzione alle equazioni differenziali

Le equazioni differenziali rappresentano uno degli strumenti piu efficaci per lacostruzione di modelli matematici. Esse sono utilizzate nei piu svariati campidell’ingegneria e delle scienze applicate: dalla fisica alla biologia, dall’informaticaalla chimica. Quello che segue non potra rappresentare che una introduzione dicarattere elementare per illustrare alcune idee.

Si chiama equazione differenziale ordinaria una relazione tra una variabileindipendente t, una funzione incognita u(t) e alcune delle sue derivate, del tipo

F (t,u(t),u′(t),. . . ,u(n)(t)) = 0, (6.1)

dove F e una funzione definita su un sottoinsieme A di Rn+2. Se F dipende effetti-vamente da u(n) si dice che l’equazione ha ordine n. Solitamente t rappresenta unavariabile (per esempio il tempo) rispetto a cui un certo sistema fisico (biologico,chimico,...) evolve secondo determinate leggi. Se e possibile esplicitare la derivatadi ordine massimo, l’equazione si dice in forma normale,

u(n) = f(t,u(t),u′(t),. . . ,u(n−1)(t)),

dove ora f : D ⊆ Rn+1 → R. Nel caso in cui la funzione F e lineare rispetto aciascuna delle variabili u, u′, u(2). . . , u(n), l’equazione differenziale si puo scriverenella forma:

a0(t)u(n)(t) + a1(t)u(n−1)(t)+. . . +an(t)u(t) = b(t),

e l’equazione si dice lineare. Stiamo utilizzando funzioni F in piu variabili, comegia ricordato si immagini, come esempio caratteristico, una funzione definita pervalori in un sottoinsieme del piano. A ogni punto del dominio si associa una certaaltezza, un certo valore.

Definizione 6.4 Una funzione u : I → R, dove I e un intervallo e u e derivabilen volte, si dice soluzione (o integrale) dell’equazione differenziale ordinaria (6.1),se

(t,u(t),u′(t),. . . ,u(n)) ∈ A,

per t ∈ I eF (t,u(t),u′(t),. . . ,u(n)(t)) = 0, ∀ t ∈ I.

Esempio 6.19 Verifichiamo che la funzione u(t) = 1 + t + e−5t e una soluzionedell’equazione differenziale

u′(t) = −5u(t) + 6 + 5t.

Infattiu′(t) = 1− 5e−5t = −5 · (1 + t + e−5t) + 6 + 5t.

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226 Capitolo 6

6.4.1 Esempi introduttivi

Vediamo alcuni modelli e “situazioni” molto semplici.

Esempio 6.20 (Primitive) Data una funzione f : I → R, dove I e un intervallo,cerchiamo le funzioni derivabili in I tali che

u′(t) = f(t), ∀ t ∈ I.

Si tratta del problema della ricerca delle primitive di una certa funzione f in I.Se, per esempio, la funzione f e una funzione continua e noto che il problema hasoluzione, anzi un insieme di soluzioni indicato con

∫f(t) dt.

Due soluzioni differiscono per una costante e la funzione f(t) determina, in ognipunto, la pendenza della retta tangente alla curva u(t), soluzione che passa per talepunto. Se fissiamo un punto (t0,u0) con t0 ∈ I, u0 ∈ R e naturale porsi la domandase ora e assicurata l’unicita nel caso in cui si imponga alla soluzione di passareper il punto assegnato: u(t0) = u0. La condizione posta si chiama condizione diCauchy o condizione iniziale. Il problema corrispondente si chiama problema diCauchy o problema ai valori iniziali. Nel caso di f funzione continua abbiamo ineffetti una sola soluzione data da (si ottiene dal Teorema fondamentale del calcolointegrale),

u(t) = u0 +∫ t

t0

f(t) dt.

Per esempio la soluzione del problema di Cauchy (su tutta la retta reale, I = R)

u′(t) = t, t ∈ Ru(0) = 1

si ottiene tramite una semplice integrazione (non chiameremo la variabile di inte-grazione t ma x per evitare confusioni)

∫ t

0

u′(x)dx =∫ t

0

xdx ⇒ u(t)− u(0) =[x2

2

]t

0

e quindi u(t) = 1 + t2/2. E facile verificare che la soluzione trovata verifical’equazione differenziale e la condizione iniziale, la soluzione trovata e anche unica.

Esempio 6.21 (Fenomeni di decadimento) Alcuni fenomeni comportano l’ac-crescimento o il decadimento di certe quantita. Per esempio, indicando con N(t) ilnumero di atomi di un certo elemento presenti al tempo t, tale numero diminuiraper via del fenomeno della radioattivita in modo proporzionale al numero stessodi atomi N(t) (come mostrato sperimentalmente da Rutherford), abbiamo quindila seguente equazione differenziale per il decadimento radioattivo,

N ′(t) = −λN(t) (6.2)

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 227

dove la costante λ e positiva (costante di decadimento della sostanza in considera-zione). Sia noto il valore iniziale N(t0) = N0 > 0, se N(t) 6= 0 possiamo dividereper N(t) e integrare tra t0 e t (chiamiamo la variabile di integrazione s),

∫ t

t0

N ′(s)N(s)

ds =∫ t

t0

−λds,

da cui,ln |N(t)| − ln |N0| = −λ(t− t0) ⇒ N(t) = N0e

−λ(t−t0).

0 0.5 1 1.50

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5decadimento esponenziale

Figura 6.6 Soluzioni tipiche per l’equazione differenziale del decadimento radioattivo.

Nella Figura 6.6 riportiamo l’andamento qualitativo, per diversi valori di λ dellesoluzioni dell’equazione (6.2). Dato che N(t) > 0 si ha che N ′(t) < 0 e quindila funzione e strettamente decrescente. E possibile dimostrare che N0 > 0 ⇒N(t) > 0, ∀ t > 0? Se “avessimo a disposizione” un teorema di esistenza e unicitaper la soluzione dell’equazione differenziale (6.2) la “conservazione” del segno perla funzione N(t) sarebbe assicurata. Infatti la funzione N(t) e regolare (alme-no derivabile con derivata prima continua) e se N(t1) < 0 per un certo t1 > 0allora esiste (Teorema dei valori intermedi per le funzioni continue) un punto t2tale che N(t2) = 0. Quindi per il punto (t2,0) passerebbero almeno due solu-zioni: la soluzione N(t) del problema di Cauchy di partenza e la soluzione nullaN∗(t) = 0, contraddicendo l’unicita. Si confronti con la Figura 6.7 per avere unaidea grafica della situazione. Un’applicazione dell’equazione del decadimento ra-dioattivo riguarda la datazione di reperti archeologici o di opere d’arte. Infattidall’espressione della soluzione si ottiene

(t− t0) =1λ

ln (N0/N(t))

e quindi, dalla conoscenza della costante di decadimento λ e delle quantita N(t)e N0 riferite ad una certa sostanza presente nel reperto, e possibile stimare l’eta

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228 Capitolo 6

N

t

N(t)

N=0

0

2

N>0

N<0

Perdita dell’unicita’

t0

Figura 6.7 Conservazione del segno per la soluzione dell’equazione (6.2).

(t− t0) del reperto stesso. In realta mentre λ e N(t) sono disponibili, usualmenteN0 non e noto e occorre determinarlo indirettamente da proprieta del materiale.Per fenomeni di crescita a volte si considerano invece equazioni del tipo

V ′(t) = λV (t)

con λ parametro positivo. L’andamento qualitativo delle soluzioni, per un datoiniziale positivo (questa volta il segno si mantiene a causa della monotonia) emostrato per un esempio nella Figura 6.8.

0 0.5 1 1.50

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50crescita esponenziale

Figura 6.8 Tipiche soluzioni per un processo a “crescita esponenziale”.

Esempio 6.22 (Soluzioni massimali) Nell’esempio del decadimento radioatti-vo la soluzione esisteva, ed era unica, per tutti i tempi t ≥ 0. Non sempre e pos-sibile definire la soluzione su un prefissato intervallo di partenza. Consideriamo,

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 229

per esempio, il seguente problema di Cauchy:

u′(t) = 1 + u2(t)

u(0) = 0.(6.3)

Ogni soluzione della (6.3) e regolare: u derivabile ⇒ u continua ⇒ u′ continua,dall’equazione (6.3), ⇒ u derivabile due volte con derivata seconda continua (sideriva l’equazione (6.3) rispetto a t), e iterando il procedimento si deduce che lasoluzione u ha derivate continue di ogni ordine. Sia u una soluzione, I un intervalloin cui sia definita e 0 ∈ I, allora si ha

u′(t)1 + u2(t)

= 1 ∀ t ∈ I e u(0) = 0.

Dunque per ogni t ∈ I, integrando entrambi i membri, si ottiene∫ t

0

u′(s)1 + u2(s)

ds =∫ t

0

1 ds = t

e, con la sostituzione x = u(s),∫ t

0

u′(s)1 + u2(s)

ds =∫ u(t)

u(0)

dx

1 + x2= arctan u(t).

Da quanto scritto segue che

u(t) = tan (t) ∀ t ∈ I. (6.4)

In particolare deve necessariamente valere l’inclusione I ⊆]−π/2,π/2[. Viceversa,fissato ad arbitrio un intervallo I contenuto in ] − π/2,π/2[, e contenente t = 0,la funzione u(t) = tan (t) risolve il problema (6.3). Dunque le soluzioni localidella (6.3) sono tutte e sole le funzioni date dalla formula (6.4). Il problema“in grande” non e invece risolubile: nessuna soluzione e definita in tutto R. Lasoluzione massimale (non riesco ad “estenderla oltre”), sara ottenuta dalla (6.4)con I =]−π/2,π/2[. Una motivazione, almeno euristica, di quello che avviene perl’equazione (6.3) potrebbe essere data considerando la crescita di u(t), e quindi,di conseguenza, la crescita di u′ che e legata a u tramite l’equazione, nell’intornodel punto iniziale per t = 0.

Esempio 6.23 (Unicita) Negli esempi precedenti la soluzione del problema diCauchy era unica, consideriamo ora il seguente problema:

u′(t) =

√|u(t)|

u(0) = 0.(6.5)

La funzione nulla u(t) ≡ 0 e soluzione del problema ma si verifica facilmente,tramite sostituzione diretta, che anche la funzione

u(t) =

x2/4 se x ≥ 0

−x2/4 se x < 0

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230 Capitolo 6

e soluzione della (6.5). Anzi, per ogni coppia di valori a < 0 < b la funzione

u(t) =

(x− b)2/4 se x ≥ b

0 se a < x < b

−(x− a)2/4 se x ≤ a

e soluzione del problema di Cauchy (6.5). Si noti che la funzione f(u) =√|u|

e una funzione regolare tranne che in intorni che contengono il punto u = 0. Inparticolare la crescita vicino al punto u = 0 e “piu che lineare” non essendo piu√|u| Lipschitziana (ovvero non posso controllare l’incremento della funzione u con

l’incremento della variabile t). Nella Figura 6.9 si mostra il fenomeno in esame dinon unicita, questo fenomeno e detto fenomeno di Peano.

−8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8−15

−10

−5

0

5

10

15

20Fenomeno di Peano

−3 −2 −1 0 1 2 30

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8f(u)

Figura 6.9 Esempio di una famiglia di soluzioni nel caso del fenomeno di Peano.

Esempio 6.24 (Primi modelli di popolazioni) Se consideriamo una specie el’evoluzione del numero di individui di quella determinata specie, il modello dicrescita esponenziale potrebbe essere valido (nel senso che potrebbe essere in buonaccordo con l’osservazione sperimentale) ma solo nel caso in cui la popolazione nonsia molto grande. Infatti gli individui, al crescere della popolazione, potrebberoentrare in competizione tra di loro a causa di limitate risorse disponibili. Un primomodello che tenga in considerazione questo fenomeno e stato proposto dal bioma-tematico Verhulst nel 1837. Nel modello di Verhulst la dinamica della popolazionep(t) al tempo t e governata dall’equazione differenziale (equazione logistica):

p′(t) = ap(t)− bp2(t) (6.6)

dove a e b sono costanti positive. Supponiamo anche di avere un dato iniziale,p(0) = p0 > 0. Prima di cercare una soluzione dell’equazione differenziale cer-chiamo di fare una analisi qualitativa dell’equazione per poter dedurre propietadella soluzione. Se la soluzione esiste ed e unica per ogni t > 0 con considerazio-ni analoghe a quelle fatte nell’esempio del decadimento radioattivo, abbiamo chep(t) > 0, ∀ t > 0. Consideriamo la funzione f(p) = ap − bp2, il cui grafico e una

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 231

parabola con radici p1 = 0, p2 = a/b. Nel caso in cui p(t) = p1,2 la soluzione restacostante, p(t) = p1, oppure p(t) = p2. Infatti p′(t) si annulla e quindi, dato chesiamo su un intervallo, p(t) = k (costante). Il caso p(t) ≡ 0 non risulta interessantee non lo considereremo (abbiamo infatti p(0) 6= 0 essendo il dato iniziale positivo).

E invece interessante stabilire se puo accadere che partendo da una popola-zione non nulla p0, la p(t) possa tendere verso zero: cioe la popolazione va versol’estinzione. Vediamo di analizzare tre casi: p0 = a/b, p0 < a/b, p0 > a/b. Ilprimo caso e gia stato descritto, la soluzione e

p(t) ≡ a/b, ∀ t ≥ 0.

Nel seguito supporremo che anche per l’equazione logistica valga un teorema diesistenza e unicita della soluzione.

Nel secondo caso, p0 < a/b, dato che f(p0) = ap0 − bp20 > 0 la soluzione

p(t) cresce partendo da p0. La derivata prima p′ si mantiene positiva perche p(t)non puo raggiungere, o superare, il valore a/b (se infatti esistesse un t1 tale chep(t1) ≥ a/b allora, data la regolarita di p e per il Teorema dei valori intermedi,∃t2 > 0 : p(t2) = a/b e quindi per il punto (t2,a/b) passerebbero due soluzioni).Quindi la soluzione e monotona crescente e tale che p0 ≤ p(t) < a/b. Se lafunzione p(t) e monotona e limitata in [0, +∞) esiste il limite per t → +∞ ed efinito, indichiamolo con l. Inoltre abbiamo, dall’equazione (6.6), che il limite pert → +∞ di p′(t) vale al − bl2. Ma se il limite di p′(t) esiste esso non puo cheessere zero e quindi l deve essere una radice della funzione f(p): quindi l = a/b.La soluzione p(t) ha dunque un asintoto orizzontale di equazione y = a/b. Infine,derivando l’equazione differenziale (6.6) rispetto a t si ottiene:

p′′(t) = ap′(t)− 2bp(t)p′(t) = (a− 2bp(t))p(t)(a− bp(t))

Abbiamo quindi che se p(t) < a/2b allora p′′(t) > 0 e quindi p e convessa, seinvece p(t) > a/2b la soluzione p e concava. Nel caso in cui p0 > a/b si deduce, conragionamenti analoghi a quelli fatti sopra, la monotonia della soluzione, l’esistenzadell’asintoto orizzontale e la convessita della soluzione stessa.Nella Figura 6.10 si mostrano i grafici qualitativi delle soluzioni dell’equazionelogistica corrispondenti a differenti condizioni iniziali. L’equazione logistica puoessere scritta nella forma

p′(t) = ap(t)(

1− b

ap(t)

),

poniamo k = a/b, si hadp

dt= ap(t)

(1− p(t)

k

).

Integrando membro a membro si ottiene (senza esplicitare la dipendenza di p da tper semplicita di notazioni),

∫dp

p(1− p/k)=

∫adt

da cui, utilizzando la tecnica delle parti frazionarie,∫ (

1p

+1

k − p

)dp = at + C.

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232 Capitolo 6

0 1 2 3 4 5 60

0.5

1

curve logistiche

Figura 6.10 Famiglia di soluzioni dell’equazione logistica (6.6) per diverse condizioniiniziali.

Supponendo 0 < p(t) < k si ottiene, integrando i singoli quozienti,

ln p− ln (k − p) = at + C.

Risolvendo rispetto a p si ottiene,

p(t) =C1keat

1 + C1eat, C1 = eC .

Esempio 6.25 (Equazioni di un moto) Consideriamo un punto materiale Pdi massa m soggetto a una forza F (t), la legge di Newton del moto (consideriamoun moto unidimensionale) fornisce l’equazione

F (t) = mu′′(t) (6.7)

dove u(t) e la posizione del punto, rispetto ad un certo sistema di riferimento, altempo t. L’equazione della dinamica del punto si puo scrivere come

u′′(t) = F (t)/m. (6.8)

Il moto del punto puo quindi essere descritto da una equazione differenziale delsecondo ordine. Nota la forza F potremmo trovare una soluzione dell’equazioneintegrando due volte l’equazione del moto. Fissato un punto (t0,u0) possiamodeterminare una sola soluzione? In questo caso e intuitivo che non e possibile,occorre una ulteriore condizione: dal punto di vista dinamico significa che la solaposizione iniziale non e sufficiente a determinare il moto ma, per esempio, anche lavelocita iniziale del punto e necessaria per determinare univocamente u(t). Sia t0il tempo iniziale e t > t0, integrando la (6.8), posto f(t) = F (t)/m con F continua,si ottiene: ∫ t

t0

u′′(s)ds =∫ t

t0

f(s)ds = u′(t)− u′(t0)

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 233

e integrando ancora∫ t

t0

u′(s)ds =∫ t

t0

(u′(t0) +

∫ x

t0

f(s)ds

)dx

da cui

u(t) = u(t0) +∫ t

t0

(u′(t0) +

∫ x

t0

f(s)ds

)dx.

Dalla conoscenza dei valori u(t0), u′(t0) possiamo determinare una soluzione chesara anche l’unica. Il problema ai valori iniziali per l’equazione del secondo ordine(6.8) ora considerato e il seguente

u′′(t) = f(t)

u(t0) = u0

u′(t0) = u′0

Esempio 6.26 (Un esempio elettrico) Vediamo un ulteriore esempio di equa-zione del secondo ordine considerando un circuito elettrico composto da un ge-neratore elettrico con una differenza di potenziale costante E0, da una resistenzaelettrica R, da un condensatore con capacita C e una induttanza L, si veda laFigura 6.11.

RL C

E0

Interrutore

i(t)

Figura 6.11 Circuito RLC.

Indicando con i(t) la corrente elettrica presente nel circuito e supponendo cheall’istante t = 0 il circuito si chiuda tramite l’interruttore presente nel circuitostesso, i(0) = 0, l’equazione che governa l’andamento di i(t) e

Li′(t) + Ri(t) +∫ t

0

i(t)C

ds = E0. (6.9)

Derivando la (6.9) si ottiene la seguente equazione differenziale del secondo ordine

Li′′(t) + Ri′(t) +i(t)C

= 0, (6.10)

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234 Capitolo 6

mentre le condizioni iniziali si possono ancora dedurre dall’equazione (6.9),

i(0) = 0, Li′(0) + Ri(0) +∫ 0

0

i(t)C

ds = E0 ⇒ i′(0) =E0

L.

In generale una equazione differenziale ordinaria del secondo ordine in formanormale si scrive come

u′′(t) = f(t,u(t),u′(t)).

Nelle applicazioni non sempre vengono fornite le due condizioni iniziali (cioe ilvalore iniziale con la derivata) ma altre due condizioni: un valore iniziale u(a) = ua,per un certo t = a, e un valore “finale” u(b) = ub: il problema che si ottienesi chiama problema ai limiti (o problema di valori al contorno). Continuandol’analogia cinematica del moto possiamo dire che il problema ai valori inizialiconsiste nel fornire la posizione e la velocita iniziale insieme alla legge del motomentre il problema ai limiti corrisponde a fornire la posizione iniziale, la posizionefinale e la legge del moto (si confronti con la Figura 6.12).

Problema di Cauchy Problema ai limiti

u(a)u’ (a)

u(a)

u(b)

Figura 6.12 Problema ai valori iniziali (di Cauchy) e problema ai limiti.

Si noti inoltre che e possibile riscrivere il problema del secondo ordine come unsistema di equazioni differenziali del primo ordine. Posto infatti u1(t) = u(t),u2(t) = u′(t) si ottiene il sistema (equivalente all’equazione di partenza)

u′1(t) = u2(t)

u′2(t) = f(t,u1(t),u2(t))

Possiamo inoltre introdurre una ulteriore variabile per t, u3(t) = t, da cui si ottieneil seguente sistema equivalente al precedente e all’equazione del secondo ordine dipartenza

u′1(t) = u2(t)

u′2(t) = f(u3(t),u1(t),u2(t))

u′3(t) = 1

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 235

6.4.2 Esistenza e unicita

In questo paragrafo cercheremo di sintetizzare le proprieta essenziali che permet-tono di assicurare esistenza e unicita del problema di Cauchy. La prima parte delparagrafo e tecnica e abbastanza difficile, almeno in prima lettura. Si consideri inogni caso l’esempio relativo alle equazioni differenziali a variabili separabili.

Si consideri il problema

u′(t) = f(t,u(t))

u(t0) = u0

(6.11)

con f : D → R e D ⊆ R2 aperto contenente il punto (t0,u0). Dagli esempifatti sopra una ipotesi ragionevole per la funzione f e la continuita. Attenzione,stiamo considerando funzioni in piu variabili, per la continuita si immagini che lafunzione f tenda al valore f(t,x), con (t,x) ∈ dom(f), comunque si scelga la stradache porta a (t,x). In altri termini, per qualsiasi successione di valori (tn,xn) chesi avvicinano a (t,x) i corrispondenti valori f(tn,xn) si avvicinano a f(t,x). Peravere l’unicita una ulteriore ipotesi deve essere fatta sulla f , per evitare situazionicome il fenomeno di Peano.

Definizione 6.5 Una funzione reale f(t,u) definita in un aperto D ⊆ R2 si dicelocalmente lipschitziana in D rispetto a u e uniformemente in t, se ogni punto diD ha un intorno V tale che esiste una costante L ( costante di Lipschitz) per cui

|f(t,y)− f(t,z)| ≤ L|y − z|per ogni coppia di punti (t,y), (t,z) in V .

Teorema 6.11 (Esistenza e unicita locale) Sia f : D → R, con D aperto diR2, se

1) f e continua in D,

2) f e localmente lipschitziana in D rispetto a u e uniformemente in t,

allora per ogni punto (t0,u0) ∈ D esiste un intorno I = [t0 − δ,t0 + δ] di t0 nelquale e definita una soluzione u(t) del problema di Cauchy (6.11). Tale soluzionee unica nel senso che ogni altra soluzione w(t) del problema di Cauchy coincidecon u(t) nell’intervallo comune di definizione.

Vediamo un esempio di applicazione del teorema ora enunciato (la denominazionedi locale per la soluzione indica il fatto che si asserisce l’esistenza e l’unicita dellasoluzione solo in un opportuno intorno del dato iniziale).

Esempio 6.27 (Equazioni differenziali a variabili separabili.) Si consideriil problema di Cauchy

u′(t) = a(t)b(u(t))

u(t0) = u0

(6.12)

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236 Capitolo 6

con

a : I ⊆ R→ R continua, I intervallo

b : J ⊆ R→ R continua, con derivata prima continua, J intervallo.

e t0 ∈ I, u0 ∈ J . L’equazione (6.12) e detta, per la sua forma, equazione avariabili separabili, f(t,u) = a(t)b(u(t)). Nelle ipotesi di regolarita fatte per lefunzione a e b sono verificate anche le ipotesi del Teorema di esistenza e unicitalocale. L’ipotesi sulla funzione b potrebbe essere “indebolita” richiedendo la localelipschitzianita. Il teorema assicura che c’e una sola soluzione ma non aiuta moltoper il calcolo di questa soluzione. Nel caso di equazioni a variabili separabili vie qualche speranza in piu. Consideriamo allora il problema u′(t) = a(t)b(u(t)).Innanzi tutto osserviamo che se u ∈ J e tale che b(u) = 0, allora la funzionecostante u(t) = u e soluzione dell’equazione in I. Quindi a ogni radice dellafunzione b e associata una soluzione, costante, dell’equazione differenziale. D’altrocanto il Teorema di esistenza e unicita ci permette di dire che se u(t) e una soluzionedell’equazione definita in un certo intervallo I0 ⊆ I, tale che almeno in un punto t ∈I0 non rende nullo b(u(t)), allora b(u(t)) sara sempre diversa da zero su I0. Infattise u(t) fosse tale da annullare b in qualche punto t, il problema di Cauchy u′(t) =a(t)b(u(t)), u(t) = u avrebbe due soluzioni distinte (questo tipo di argomentoe stato piu volte utilizzato negli esempi del paragrafo precedente): la funzioneu(t) in questione e la funzione costantemente uguale a u. Pertanto se u(t) e unasoluzione su I0 ⊆ I o e b(u(t)) = 0, ∀ t ∈ I0, oppure b(u(t)) 6= 0 su tutto I0, inquest’ultimo caso si avra sempre b(u(t)) > 0 su tutto I0 oppure b(u(t)) < 0 sututto I0 (altrimenti si tornerebbe alla contraddizione utilizzando il Teorema deglizeri). Limitiamoci quindi a cercare le soluzioni u(t) tali che b(u(t)) 6= 0, t ∈ I0,con u che varia in un sottointervallo K di J , abbiamo

u′

b(u(t))= a(t) ∀ t ∈ I0

da cui ∫u′(t)

b(u(t))dt =

∫a(t)dt.

Nell’integrale indefinito del primo membro consideriamo la sostituzione x = u(t)(∫

dx

b(x)

)

x=u(t)

=∫

a(t)dt.

Se A(t) e B(x) sono due primitive, rispettivamente di a su I0 e di 1/b su K, si ha

(B(x))x=u(t) = A(t) + C

con C costante reale, ovvero

B(u(t)) = A(t) + C. (6.13)

Ma B′(x) = 1/b(x) conserva su K segno costante, pertanto B e strettamentemonotona su K e quindi invertibile. Se B−1 indica l’inversa di B, si ha

u(t) = B−1 (A(t) + C) .

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 237

Cerchiamo, per esempio, le soluzioni dell’equazione differenziale

u′(t) = e−u(t)(t + t3

)(6.14)

E un’equazione a variabili separabili con, seguendo le notazioni proposte, a(t) =(t + t3), b(u) = e−u. La funzione b non ha zeri per cui non abbiamo soluzionicostanti. Integrando l’equazione si ottiene

∫u′(t)eu(t)dt =

∫(t + t3)dt =

t2

2+

t4

4+ C

e quindi, osservando che nel primo integrale vi e la derivata di una funzionecomposta,

eu(t) =t2

2+

t4

4+ C ⇒ u(t) = ln (

t2

2+

t4

4+ C).

Nella Figura 6.13 si riportano i grafici di alcune soluzioni, per diversi valori iniziali,e quindi della costante C.

0 1 2 3 4−1

0

1

2

3

4

5

Figura 6.13 Famiglia di soluzioni della (6.14).

Nel caso si abbia da risolvere un problema di Cauchy con u(t0) = u0 per l’equazionea variabili separabili, si puo procedere in due modi. Un modo consiste nell’utiliz-zare la formula (6.13) da cui si ricava C = B(u0) − A(t0); e necessario ricordareche poi per passare alla forma esplicita occorre usare l’inversa della funzione Bsull’intervallo K che contiene u0. Un altro modo consiste nel risolvere l’equazioneusando l’integrazione definita

∫ t

t0

u′(s)b(u(s))

ds =∫ t

t0

a(s)ds.

Anche qui, usiamo la sostituzione x = u(s),∫ u(t)

u(t0)

dx

b(x)=

∫ t

t0

a(s)ds

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238 Capitolo 6

da cuiB(u(t))−B(u(t0)) = A(t)−A(t0)

ed infineu(t) = B−1 (B(u(t0)) + A(t)−A(t0)) .

Consideriamo, per esempio, il seguente problema di Cauchy:

u′(t) = sin (u(t))

u(0) =112

π.

Seguendo la seconda strada:∫ t

0

u′(s)sin (u(s))

ds =∫ t

0

1 ds

ovvero ∫ u(t)

11π/2

dx

sin x= t

e, poiche sin (11π/2) < 0, abbiamo

[ln (− tan(t/2))]u(t)11π/2 = t

da cui, con semplici passaggi algebrici, si ricava

u(t) = 2(arctan(−et) + 3π

).

La sola lipschitzianita locale non e sufficiente ad assicurare l’esistenza di una solu-zione su un intervallo prefissato [α,β] o su tutta la retta reale. Occorrono delle pro-prieta piu “forti”. Per esempio, ciascuna delle seguenti condizioni implica che ognisoluzione dell’equazione differenziale u′(t) = f(t,u) sia definita in tutto l’intervallo[α,β]:

i) esistono due costanti L, M tali che

|f(t,u)| ≤ M + L|u|, ∀ (t,u) ∈ dom(f);

ii) f e limitata.

Nel caso di esistenza e unicita della soluzione un problema interessante consistenello studio di come tale soluzione varia in corrispondenza a variazioni sui dati, inparticolare, verificare se tale dipendenza e continua: studio della sensitivita.

Inoltre, nelle applicazioni, vi e anche il problema della identificazione di even-tuali parametri presenti nel modello in base a dati sperimentali relativi al fenomenoche si intende simulare (per esempio si pensi a come identificare una o tutte duele costanti a, b presenti nell’equazione logistica).

Infine va notato che e frequente il caso in cui occorre ricorrere a opportunimetodi ed algoritmi numerici per trovare una approssimazione della soluzione diun’equazione differenziale o di un sistema di equazioni differenziali perche talesoluzione non e disponibile in forma analitica.

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 239

6.4.3 Equazioni lineari del primo ordine

Consideriamo in questo paragrafo le equazioni lineari del primo ordine

u′(t) + a(t)u(t) = b(t) (6.15)

dove le funzioni a e b sono continue in un intervallo I ⊆ R. Se riuscissimo ariscrivere l’equazione come

d

dt“qualcosa” = b(t)

allora potremmo effettuare una integrazione per individuare il termine “qualcosa”.Ma il termine u′(t) + a(t)u(t) nella (6.15) non appare come la derivata di qualchesemplice espressione. Moltiplichiamo entrambi i membri per una funzione continuaµ(t), si ottiene l’equazione equivalente

µ(t)u′(t) + µ(t)a(t)u(t) = µ(t)b(t). (6.16)

Scegliamo ora, se e possibile, la funzione µ(t) tale che µ(t)u′(t) + µ(t)a(t)u(t) siala derivata di una funzione. Si osservi che

d

dtµ(t)u(t) = µ(t)

d

dtu(t) + u(t)

d

dtµ(t)

e dunque µ(t)u′(t) + µ(t)a(t)u(t) e la derivata di µ(t)u(t) se e solo se

µ′(t)− a(t)µ(t) = 0

cioe se la funzione µ e soluzione di un’equazione lineare omogenea. Possiamo quindiscegliere una soluzione di tale equazione per ricondurci a un caso “semplice”. Perquanto detto sulle equazioni a variabili separabili si trova che una soluzione e(fissando la costante di integrazione uguale a uno)

µ(t) = e∫

a(t)dt

Con questa scelta di µ(t) l’equazione (6.16) diventa

d

dt(µ(t)u(t)) = µ(t)b(t) (6.17)

integrando si ottiene

µ(t)u(t) =∫

µ(t)b(t)dt + C

e quindi

u(t) =1

µ(t)

(∫µ(t)b(t)dt + C

)= e−

∫a(t)dt

(∫µ(t)b(t)dt + C

).

Nel caso del problema di Cauchy con la usuale condizione iniziale u(t0) = u0, epossibile usare l’integrazione definita nella (6.17),

µ(t)u(t)− µ(t0)u0 =∫ t

t0

µ(s)b(s)ds

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240 Capitolo 6

e quindi

u(t) =1

µ(t)

(µ(t0)u0 +

∫ t

t0

µ(s)b(s)ds

).

Ovviamente si potrebbe seguire la via della ricerca dell’integrale generale dell’equa-zione differenziale e poi trovare la costante C utilizzando la condizione iniziale. Unulteriore modo di considerare la soluzione del problema di Cauchy consiste nel me-todo della variazione della costante. Si considera dapprima l’equazione omogeneacorrispondente

u′(t) + a(t)u(t) = 0

la cui soluzione generale e della forma (si puo considerare ancora come un’equa-zione a variabili separabili)

u(t) = Ce−∫

a(t)dt.

Cerchiamo ora di soddisfare l’equazione non omogenea considerando la C comeuna funzione di t (equivale a cambiare le variabili)

u(t) = C(t)e−∫

a(t)dt

e sostituendo nella (6.15) si ottiene

C ′(t)e−∫

a(t)dt − C(t)a(t)e−∫

a(t)dt + C(t)a(t)e−∫

a(t)dt = b(t),

ossiaC ′(t) = b(t)e

∫a(t)dt.

Integrando quest’ultima equazione si trova

C(t) =∫

b(t)e∫

a(s)dsdt + C1

e quindi

u(t) = C(t)e−∫

a(t)dt = C1e− ∫

a(t)dt + e−∫

a(t)dt

∫b(t)e

∫a(s)dsdt

Pertanto, la soluzione generale di un’equazione lineare non omogenea e uguale allasomma della soluzione generale dell’equazione omogenea corrispondente e di unasoluzione particolare dell’equazione non omogenea, che si ottiene quando c1 = 0.Per il problema di Cauchy la costante c1 si puo ottenere dalla condizione iniziale.

Esempio 6.28 Troviamo la soluzione del problema di Cauchy

u′(t) + 2tu(t) = t, u(1) = 2.

Abbiamo, utilizzando le medesime notazioni introdotte sopra,

µ(t) = e∫

2tdt = et2

e quindi occorre considerare l’equazione

d

dt(et2u(t)) = tet2

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 241

da cui ∫ t

1

d

ds(es2

u(s))ds =∫ t

1

ses2ds

e ancora[es2

u(s)]t

1=

[es2

2

]t

1

e infine

et2u(t)− 2e =et2

2− e

2.

Possiamo allora scrivere la soluzione,

u(t) =12

+3e

2e−t2 =

12

+32e1−t2 .

Analogamente si poteva considerare l’equazione omogenea

u′(t) + 2tu(t) = 0

che ha soluzioneu(t) = Ce−t2 ,

considerando C = C(t) e sostituendo nella non omogenea si ha

C ′(t)e−t2 − 2tC(t)e−t2 + 2tC(t)e−t2 = t

da cuiC ′(t) = tet2 .

Integrando quest’ultima equazione nella variabile c si trova

C(t) = C1 +et2

2

e quindi

u(t) =

(C1 +

et2

2

)e−t2 = C1e

−t2 +12,

imponendo la condizione iniziale

u(1) = C1e−1 +

12

= 2 ⇒ C1 =3e

2

si ricava la costante C1 e quindi la soluzione.

Esempio 6.29 Cerchiamo la soluzione generale dell’equazione

u′(t)− u(t)t

= t2.

Integrando l’equazione omogenea corrispondente

u′(t)− u(t)t

= 0 ⇒ u(t) = Ct

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242 Capitolo 6

e, supponendo c funzione di t e sostituendo nell’equazione di partenza,

C ′(t)t + C(t)− C(t)tt

= t2

da cui

C(t) =t2

2+ C1.

La soluzione generale e quindi

u(t) = C1t + t3/2.

Osserviamo che per particolari famiglie di equazioni, per mezzo di una sostituzionedelle variabili, un’equazione differenziale non lineare si puo ridurre a un’equazionelineare.

6.4.4 Equazioni omogenee a coefficienti costanti

Consideriamo l’equazione omogenea

au′′(t) + bu′(t) + cu(t) = 0, a,b,c costanti. (6.18)

In analogia con le equazioni del primo ordine cerchiamo una soluzione del tipoz(t) = est con s parametro reale. Sostituendo si ottiene

est(as2 + bs + c) = 0.

Percio la funzione z e soluzione se la costante s e una radice dell’equazione

as2 + bs + c = 0,

detta equazione caratteristica. Distinguiamo tre casi.

1) b2 − 4ac > 0, l’equazione caratteristica da due radici reali s1 e s2, le funzioniz1(t) = es1t e z2(t) = es2t sono due soluzioni distinte e indipendenti. Lasoluzione generale ha forma

u(t) = C1es1t + C2e

s2t,

con C1, C2 costanti opportune.

2) b2 − 4ac < 0, non vi sono radici reali, vi sono due soluzioni reali indipendenti

z1(t) = eαt cosβt, z1(t) = eαt sin βt

dove α = −b/(2a), β = (√

(4ac− b2))/(2a). L’integrale generale ha forma

u(t) = eαt (C1 cos βt + C2 sin βt) .

3) b2 = 4ac, l’equazione caratteristica ha una radice doppia, s1 = −b/2a. Con ilmetodo di variazione delle costanti (vedi pag. 240) si trova l’integrale generale

u(t) = es1t (C1 + C2t) .

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Integrali impropri, serie ed equazioni differenziali 243

Per esempio per l’equazione u′′(t) + 4u′(t) + 13u(t) = 0, l’equazione caratteristicae

s2 + 4s + 13 = 0.

Per questa equazione ∆ = 42− 13 · 4 = −36 < 0, ci troviamo nel secondo caso. Lasoluzione generale dell’equazione e

u(t) = e−2t (C1 cos (3t) + C2 sin (3t)) .

Esercizi

Esercizio 6.1 Calcolare i seguenti integrali impropri

(i)

∫ 1

−1

dx√1− x2

; (ii)

∫ 1

0

dx

(x− 4)√

x; (iii)

∫ +∞

0

(x2 − x)e−xdx;

(iv)

∫ +∞

2

ln x

(x + 1)2dx; (v)

∫ 1

0

ln x

x√

xdx; (vi)

∫ +∞

0

dx

e−x + ex.

Esercizio 6.2 Stabilire la convergenza o divergenza dei seguenti integrali impropri

(i)

∫ +∞

0

dx

(1 + x2)2; (ii)

∫ 4

0

dx3√

(4− x)8; (iii)

∫ +∞

−∞

e−1/x2

x2dx;

(iv)

∫ +∞

1

arctan x

x2dx; (v)

∫ +∞

0

sin x2

x2dx; (vi)

∫ 18

0

x− 1

x2 + ln xdx.

Esercizio 6.3 Dimostrare che

S2n > 1 +n

2,

e dedurre quindi che la serie armonica e divergente.

Esercizio 6.4 Discutere il carattere delle seguenti serie numeriche

(i)

+∞∑n=1

(π/2− arctan n2); (ii)

+∞∑n=2

1

ln n!; (iii)

+∞∑n=2

cos nπ

ln (en + 1);

(iv)

+∞∑n=1

(1− 0− cos 1/n) ; (v)

+∞∑n=2

1

n(n + 1)(n + 2); (vi)

+∞∑n=2

n ln (1 + 1/n).

Esercizio 6.5 Dire per quali x ∈ R convergono le serie seguenti,

(i)

+∞∑n=1

1

1 + n2x2; (ii)

+∞∑n=1

xn2

n;

(iii)

+∞∑n=1

(arctan n)x ; (iv)

+∞∑n=3

xn

n ln n.

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244 Capitolo 6

Esercizio 6.6 Determinare centro e raggio di convergenza delle seguenti serie di po-tenze,

(i)

+∞∑n=0

x2n

√n + 1

; (ii)

+∞∑n=0

n4(2x− r)n;

(iii)

+∞∑n=1

(1 + 3n)

n!xn; (iv)

+∞∑n=1

n(x + 3)n

2n+1.

Esercizio 6.7 Determinare la rappresentazione in serie di Taylor (o Mac Laurin) delleseguenti funzioni,

(i) f(x) =1

x + 3, (ii) f(x) =

ex + e−x

2;

(iii) f(x) = sin2 x; (iv) f(x) =√

x + 1.

Esercizio 6.8 Trovare l’integrale generale delle seguenti equazioni differenziali (verifi-care attraverso derivazione che l’integrale trovato soddisfa l’equazione data)

(i) u′(t)− u(t)

t= t2; (ii) u′(t) = u(t) + 1;

(iii) u′(t)− tu(t) = t3; (iv) u′′(t) + 7u′(t) + 10u(t) = 0.

Esercizio 6.9 Risolvere i seguenti problemi di Cauchy,

(i) u′(t) + 2u(t) = 2et, u(0) = 1;

(ii) u′(t)− 2tu(t) = t, u(0) =1

2;

(iii) 2u′′(t) + 5u′(t)− 3u(t) = 0, u(0) = 1, u′(0) = 0;

(iv) u′(t) = u(t)cos t

sin t+ t sin2 t, u(π/2) = 1.

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7Vettori e matrici algebrici

7.1 Vettori e matrici

I concetti di matrice e vettore sono di fondamentale importanza nell’ambito dellamatematica, in particolare tali concetti risultano essenziali in molte applicazioni ditipo fisico, ingegneristico, ecc. L’algebra lineare si occupa dello studio delle prin-cipali regole per la manipolazione di vettori e matrici. Come vedremo una matricenon e nient’altro che una tabella rettangolare di numeri e un vettore rappresenteraun caso particolare di matrice. Tali concetti astratti saranno basilari per lo studiodei sistemi di equazioni lineari che affronteremo nel capitolo successivo, ma la loroimportanza si estende a un campo assai piu vasto. I principali aspetti geometricilegati a vettori e matrici nel piano e nello spazio saranno oggetto del Capitolo 10.

7.1.1 Definizioni e primi esempi

Vediamo ora di definire in modo piu preciso il concetto di matrice.

Definizione 7.1 (Matrice) Tabella di numeri ordinata per righe e colonne. Siindica con aij l’elemento della matrice A che si trova all’incrocio della riga i-esima con la colonna j-esima. Se m e il numero di righe ed n quello delle colonneabbiamo

A =

a11 a12 a13 . . . a1n

a21 a22 a23 . . . a2n

a31 a32 a33 . . . a3n

......

......

am1 am2 am3 . . . amn

m ed n sono dette dimensioni della matrice, se m = n la matrice e detta quadrata.

Se tutti gli elementi sono nulli si parla di matrice nulla indicata con O. L’insiemedi tutte le matrici con m righe e n colonne sara indicato con Rm×n e tali matricisaranno dette di tipo m × n. Gli elementi che hanno il primo e il secondo indiceuguale a11,a22,a33,. . . ,akk, k = minm,n, formano la diagonale principale dellamatrice A. Infine, due matrici si dicono uguali se hanno la stessa dimensione einoltre sono uguali i rispettivi elementi.

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246 Capitolo 7

Esempio 7.1 (Notazione matriciale)

A = 1 2 3−2 −1 0

ossia a11 = 1, a12 = 2, a13 = 3, a21 = −2, a22 = −1, a23 = 0.

B =

5 67 89 10

ossia b11 = 5, b12 = 6, b21 = 7, b22 = 8, b31 = 9, b32 = 10.A e una matrice 2× 3, B e una matrice 3× 2, A e un elemento di R2×3, B di

R3×2. La diagonale principale di A e 1,− 1, di B e 5,8.Infine

C =−1 1

2 4

corrisponde a c11 = −1, c12 = 1, c21 = 2, c22 = 4.C e una matrice quadrata di dimensione 2 (2×2). La sua diagonale principale

e −1,4.

7.1.2 Matrici quadrate

Le matrici quadrate rivestono particolare importanza nell’ambito dell’algebra li-neare. Vediamo alcuni esempi importanti di tali matrici.

1. Matrici triangolari inferiori: aij = 0 per i < j

A =

a11 0 0 . . . 0a21 a22 0 . . . 0a31 a32 a33 . . . 0...

......

. . ....

an1 an2 an3 . . . ann

2. Matrici triangolari superiori: aij = 0 per i > j

A =

a11 a12 a13 . . . a1n

0 a22 a23 . . . a2n

0 0 a33 . . . a3n

......

.... . .

...0 0 0 . . . ann

3. Matrici diagonali: aij = 0 per i 6= j

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Vettori e matrici algebrici 247

D =

a11 0 0 . . . 00 a22 0 . . . 00 0 a33 . . . 0...

......

. . ....

0 0 0 . . . ann

= diag(a11,a22,. . . ,ann)

Caso particolare se aii = 1 per i = 1,. . . ,n

I =

1 0 0 . . . 00 1 0 . . . 00 0 1 . . . 0...

......

. . ....

0 0 0 . . . 1

detta matrice identita.

Esempio 7.2 (Alcune matrici quadrate) Le matrici

A =

4 3 −10 1 20 0 3

, B =

−1 0 03 1 01 2 0

, C =

−2 0 00 3 00 0 1

sono rispettivamente, triangolare superiore, triangolare inferiore e diagonale.

Possiamo inoltre dare la seguente definizione informale.

Definizione 7.2 (Vettori) Sono matrici particolari formate da una sola riga,per cui m = 1

x = (x1,x2,x3, . . . ,xn)

detto vettore riga, oppure da una sola colonna, per cui n = 1

x =

x1

x2

x3

...xn

detto vettore colonna.

Esempio 7.3 (Vettori riga e colonna) Il vettore

x = (1,0,2,4,− 1)

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248 Capitolo 7

e un vettore riga di dimensione 5 (ossia una matrice di tipo 1×5), mentre il vettore

y =

207−110

e un vettore colonna di dimensione 6 (ossia una matrice di tipo 6× 1).

In generale con il termine vettore d’ora in avanti ci riferiremo sempre a vettoricolonna. L’insieme Rn×1 dei vettori colonna di dimensione n, sara indicato perbrevita di notazione con Rn.

Definizione 7.3 (Trasposta) Data una matrice A di tipo m × n definiamo latrasposta di A la matrice AT i cui elementi sono ottenuti da quelli di A scambiandorighe e colonne, AT e quindi di tipo n×m.

In particolare e immediato dedurre che (AT )T = A. Nel caso di vettori la traspostadi un vettore riga e un vettore colonna e viceversa. Indicheremo i vettori rigasempre con il simbolo di trasposta.

Esempio 7.4 (Trasposta di matrice e vettore) Sia

A =

1 2 3 45 6 7 89 10 11 12

la sua trasposta sara

AT =

1 5 92 6 103 7 114 8 12

Sex = (1,0,2,4,− 1)

allora

xT =

1024−1

e un vettore colonna di dimensione 5, mentre se

y =

207−110

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Vettori e matrici algebrici 249

allorayT = (2,0,7,− 1,1,0)

e un vettore riga di dimensione 6.

Infine introduciamo una ulteriore importante classe di matrici.

Definizione 7.4 (Matrice simmetrica) Se AT = A la matrice e detta simme-trica.

Per esempio la matrice

A =

1 2 3 42 5 6 73 6 8 94 7 9 10

e una matrice simmetrica. Ne consegue che una matrice simmetrica e necessaria-mente quadrata. Si noti che vale la relazione sugli indici aij = aji.

7.2 Operazioni con matrici

Alcune operazioni sulle matrici possono essere definite in modo immediato (ad-dizione), altre come vedremo risulteranno meno naturali (prodotto righe per co-lonne).

7.2.1 Somma e prodotto di matrici

Definizione 7.5 Siano A e B matrici di tipo m×n, ossia con le stesse dimensioni.Definiamo con α in R

i) C = A + B ponendo cij = aij + bij per ogni valore di i e j;

ii) C = αA ponendo cij = αaij per ogni valore di i e j.

Tali operazioni sono dette rispettivamente somma di matrici e prodotto per unoscalare α.

Esempio 7.5 (Somma di matrici e prodotto per uno scalare)

• Somma di matrici

Consideriamo le matrici

A = 1 2 3

4 5 6

B =

3 2 1

2 3 4

allora

A + B = 4 4 4

6 8 10

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250 Capitolo 7

Avremo inoltre−1 3 24 0 1−2 1 5

+

4 1 13 2 −21 2 −3

=

3 4 37 2 −1−1 3 2

e a11 a12

a21 a22

+

b11 b12

b21 b22

=

a11 + b11 a12 + b12

a21 + b21 a22 + b22

• Prodotto per uno scalareAbbiamo

6 1 2

3 4

=

6 12

18 24

SeA =

3 −2 1

2 1 −4

allora12A =

3/2 −1 1/2

1 1/2 −2

.

Meno ovvia e la definizione del prodotto di una matrice per un’altra matrice. Comevedremo tale operazione nell’algebra lineare puo essere definita solo se le matricidi partenza A e B sono tali che il numero di colonne di A e uguale al numero dirighe di B.

Definizione 7.6 Sia A di tipo m× q e B di tipo q × n. Allora

iii) C = AB ha dimensione m× n e si ottiene ponendo

cij =q∑

k=1

aikbkj per ogni valore di i e j.

Tale operazione e detta prodotto righe per colonne di A e B.

Esempio 7.6 (Prodotto di matrici)

• matrice-matriceSiano

A = 1 5 7

2 3 6

B =

1 94 36 5

Allora il prodotto righe per colonne fornisce

C = AB = 1 + 20 + 42 9 + 15 + 35

2 + 12 + 36 18 + 9 + 30

=

63 59

50 57

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Vettori e matrici algebrici 251

• matrice-vettore

Abbiamo 1 2

3 4

5

6

=

5 + 12

15 + 24

=

17

39

1 2

3 4

x1

x2

=

x1 + 2x2

3x1 + 4x2

1 2 1−1 −3 2

x1

x2

x3

=

x1 + 2x2 + x3

−x1 − 3x2 + 2x3

1 1 1−1 2 13 1 3

2−1−2

=

2− 1− 2−2− 2− 26− 1− 6

=

−1−6−1

Esempio 7.7 (Il prodotto non e commutativo) Consideriamo ora

A =

1 23 45 6

B =

1 3 5

2 4 6

Ci proponiamo di calcolare i prodotti AB e BA. Vale AB = BA ?Chiaramente no, infatti il prodotto AB fornisce

C = AB =

1 + 4 3 + 8 5 + 123 + 8 9 + 16 15 + 245 + 12 15 + 24 25 + 36

=

5 11 1711 25 3917 39 61

mentre il prodotto BA fornisce

C = BA = 1 + 9 + 25 2 + 12 + 30

2 + 12 + 30 4 + 16 + 36

=

35 44

44 56

Si vede subito che AB 6= BA, infatti non hanno nemmeno la stessa dimensione.Non vale quindi la proprieta commutativa del prodotto.

Non solo, non e neanche detto che se AB e definita lo sia anche BA. Peresempio siano

A = 1 5 7

2 3 6

B =

1 9 24 3 76 5 8

Allora AB e di tipo 2× 3 mentre BA non e definita.

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252 Capitolo 7

Infine date due matrici quadrate A e B con le stesse dimensioni si consideri ilprodotto

(A + B)(A + B) = AA + AB + BA + BB

A2 = AA , B2 = BB , . . .

(A + B)2 = A2 + AB + BA + B2.

L’espressione finale e diversa dall’espressione tradizionale per il quadrato di unasomma nel caso di numeri, poiche AB 6= BA.

7.2.2 Prodotto scalare

Nel caso di vettori di uguali dimensioni e possibile eseguire i prodotti di tipo 1× qcon q × 1 ossia vettore riga per vettore colonna

xT y = (x1y1 + x2y2+. . . +xqyq)

detto anche prodotto scalare in quanto restituisce un numero. Poiche il risultato eun numero, allora

xT y = (xT y)T = yT x,

quindi il prodotto scalare non dipende dall’ordine con cui viene eseguito.Se x ∈ Rn (vettore colonna di dimensione n) allora

xT x =n∑

i=1

x2i e xT x ≥ 0 .

Se xT x = 1 il vettore e detto unitario.Non si deve confondere il prodotto scalare con il prodotto di un vettore di

tipo m× 1 per un vettore di tipo 1× n ossia vettore colonna per vettore riga cheinvece e sempre definito. Nel prodotto scalare infatti i due vettori devono avere lastessa dimensione.

Per esempio x di tipo m × 1 con yT di tipo 1 × n restituisce una matrice didimensione m× n

xyT =

x1y1 x1y2 . . . x1yn

x2y1 x2y2 . . . x2yn

x3y1 x3y2 . . . x3yn

......

...xmy1 xmy2 . . . xmyn

mentre il loro prodotto scalare non e definito a eccezione del caso in cui m = n. Inparticolare il prodotto vettore dipende dall’ordine con cui si considerano i vettorixyT 6= yxT .

Esempio 7.8 (Prodotti tra vettori) Dati xT = (1,2,3) e yT = (0,1, − 1),calcolare xT y e xyT . Il prodotto scalare fornisce

xT y = 1 · 0 + 2 · 1 + 3 · (−1) = 2− 3 = −1.

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Vettori e matrici algebrici 253

Il restante prodotto invece

xyT =

0 1 −10 2 −20 3 −3

7.2.3 Proprieta algebriche

Abbiamo gia visto che il prodotto righe per colonne non gode della proprietacommutativa. Esistono comunque particolari classi di matrici per cui AB = BA,ossia di matrici che commutano.

Valgono le seguenti proprieta.

Proposizione 7.1 (Proprieta prodotto) Siano A, B matrici tali che il pro-dotto AB risulta definito e α in R. Allora

1.

(αA)B = A(αB) = α(AB).

2. Se D ha le stesse dimensioni di A si ha

(A + D)B = AB + DB

3. Se C ha le stesse dimensioni di B si ha

A(B + C) = AB + BC .

4. Se A e di tipo m× q, B di tipo q × p e C di tipo p× n. Allora

A(BC) = (AB)C

5. (AB)T = BT AT .

Le proprieta 2) e 3) sono dette proprieta distributive, la proprieta 4) e dettaproprieta associativa.

Dimostrazione. La verifica di 1),2) e 3) e lasciata come esercizio.Verifichiamo le proprieta 4) e 5). La 4) puo essere dimostrata direttamente ponendo

D = BC dij =

p∑

k=1

bikckj di tipo q × n

E = AB eij =

q∑

h=1

aihbhj di tipo m× p

A(BC) = AD di tipo m× n. Di conseguenza

q∑

h=1

aihdhj =

q∑

h=1

aih

p∑

k=1

bhkckj =

p∑

k=1

ckj

q∑

h=1

aihbhk =

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254 Capitolo 7

=

p∑

k=1

ckjeik =

q∑

k=1

eikckj

quindi AD = EC ossia A(BC) = (AB)C.Infine la 5). Sia A di tipo m× q e B di tipo q × n.

C = AB cij =

q∑

k=1

aikbkj

Indichiamo con aTij , bT

ij e cTij i generici elementi di AT , BT e CT .

cTij = cji =

q∑

k=1

ajkbki =

q∑

k=1

aTkjb

Tik =

q∑

k=1

bTikaT

kj

da cui il risultato.

7.2.4 Matrici particolari e proprieta

Abbiamo gia visto diversi tipi particolari di matrici. Le matrici nulle, identita,diagonali, triangolari superiori e inferiori, simmetriche. Dato il particolare tipo distruttura risulta naturale supporre che tali matrici godono di particolari proprieta.Per esempio la matrice nulla e la matrice identita hanno un ruolo simile ai numeri0 e 1 nell’ambito delle usuali operazioni di somma e prodotto di numeri. Piuprecisamente

Proposizione 7.2 Siano A matrice quadrata, I matrice identita e O matricenulla di dimensione n. Allora

1. A + O = O + A = A;

2. A + (−A) = (−A) + A = O;

3. AO = OA = O;

4. AI = IA = A.

Dimostrazione. Le proprieta 1), 2) e 3) sono immediate e possono essere svolte come

esercizio. Vediamo la 4). Sia infatti AI = C, avremo cij =

n∑

k=1

aikδkj , con

δkj =

1 se k = j0 altrimenti

Quindi cij = aij e dunque AI = A. In modo analogo si prova che IA = A.

Osservazione 7.1 Le proprieta enunciate nelle Proposizioni 7.1, 7.2 conferisconoall’insieme delle matrici quadrate la struttura di anello non commutativo (poichenon vale la proprieta commutativa del prodotto) con le operazioni di somma eprodotto righe per colonne.

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Vettori e matrici algebrici 255

Si noti che se AB = O non e detto che una delle due matrici debba essere nulla(a differenza dell’usuale prodotto di due numeri ab = 0 che implica a = 0 oppureb = 0). Per esempio

A = 0 a

0 d

, B =

b c

0 0

sono tali che AB = O per ogni valore di a,b,c,d.Valgono infine i seguenti risultati le cui dimostrazioni sono lasciate per eser-

cizio.

• La somma ed il prodotto di matrici quadrate triangolari (superiori o inferiori)e anch’essa triangolare (superiore o inferiore rispettivamente).

• Il prodotto di una matrice A per la sua trasposta AAT o AT A e sempredefinito ed e una matrice simmetrica.

• La somma di matrici simmetriche e essa stessa una matrice simmetrica, ma ilprodotto in generale no.

7.3 Inversa di una matrice

Definizione 7.7 (Matrice inversa) Sia A quadrata n×n. Se esiste una matriceavente la stessa dimensione di A, tale che A−1A = I = AA−1 allora la matriceA−1 e detta inversa della matrice A.

Una conseguenza immediata e che se esiste l’inversa e unica. Infatti sia B tale cheBA = AB = I. Allora

B = BI = BAA−1 = IA−1 = A−1 .

Una matrice che non ammette inversa e detta singolare.Valgono le seguenti proprieta.

Proposizione 7.3 (Proprieta dell’inversa) Siano A e B due matrici inverti-bili. Allora risultano invertibili anche A−1, AT e AB e si ha

1.

(A−1)−1 = A

2.

(AT )−1 = (A−1)T

3.

(AB)−1 = B−1A−1

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256 Capitolo 7

Dimostrazione. Se A e invertibile chiaramente lo e anche A−1, infatti da

(A−1)A = AA−1 = I

discende che A e l’inversa di A−1. Applicando ora la trasposizione alle precedentiuguaglianze otteniamo che (A−1)T e l’inversa di AT .

Inoltre abbiamo che l’inversa del prodotto di due matrici e uguale al prodotto delleinverse in ordine opposto. Infatti si ha che

(AB)(B−1A−1) = A(BB−1)A−1 = AA−1 = I,

quindi B−1A−1 e l’inversa di AB.

Esempio 7.9 (Inversa di una matrice) La matrice

A = 1 2

3 4

ha inversa

A−1 = −2 1

3/2 −1/2

InfattiAA−1 =

−2 + 3 1− 1−6 + 6 3− 2

=

1 0

0 1

A−1A = −2 + 3 −4 + 4

3/2− 3/2 3− 2

=

1 0

0 1

Come vedremo riuscire a stabilire se una matrice e invertibile oppure no ed il calcolopratico dell’inversa sono problemi piuttosto complessi strettamente collegati alproblema della risoluzione di un sistema lineare.

Esercizi

Esercizio 7.1 In ciascuno dei seguenti casi si calcolino le matrici A + B, Ax, Bx, 3A

e1

2B.

(i) A =

3 0

1 1

, B =

−2 1

0 2

, x =

1

4

(ii) A =

−2 −1 1

0 1 4

6 −2 1

, B =

1 1 1

1 1 1

1 1 1

, x =

2

1

−1

.

Esercizio 7.2 Si calcolino i seguenti prodotti matrice-vettore:

(i)

1 1 −1 3

2 −2 0 1

0

1

1

−1

, (ii)

2 2

1 −2

0 3

3 0

0 0

1

1

.

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Vettori e matrici algebrici 257

Esercizio 7.3 Si calcolino, ove possibile, AB, AC, AD, BA, BC, CB, CD ed ABC,ABD con

A =

−5 2 3

2 −3 4

, B =

2 −1 1 0

0 2 2 2

3 0 −1 3

,

C =

1 0 2

2 −3 0

0 0 3

2 1 0

, D =

2 −1

1 2

3 −2

.

Esercizio 7.4 (Potenza di matrice) Possiamo definire la potenza n-esima di unamatrice quadrata A per valori interi positivi di n nel seguente modo

A0 = I, A1 = A, A2 = AA, A3 = A2A, . . . , An = An−1A

Si calcoli A3 − 2A2 + A− I, dove

A =

1 1 2

1 1 1

2 1 1

ed I e la corrispondente matrice identita.

Esercizio 7.5 Data

A =

1 0 1

2 3 4

0 0 1

verificare che

A−1 =

1 0 −1

−2/3 1/3 −2/3

0 0 1

e la sua inversa.

Esercizio 7.6 Supponendo che A e B siano matrici quadrate con le stesse dimensionitali che AB = BA dimostrare che (A2 + B2)(A2 −B2) = A4 −B4.

Esercizio 7.7 Supponendo che A e B siano matrici diagonali con le stesse dimen-sioni dimostrare che il prodotto AB e ancora una matrice diagonale. Come si calcolarapidamente AB in questo caso?

Esercizio 7.8 Date A e B matrici tali che il prodotto AB e definito, dire quale delleseguenti proposizioni sono vere o false. Dimostrare quelle vere e dare un controesempioquando sono false.

a) Se la prima e la terza colonna di B sono identiche, tali sono la prima e la terzacolonna di AB.

b) Se la prima e la terza riga di B sono identiche, tali sono la prima e la terza riga diAB.

c) Se la prima e la terza riga di A sono identiche, tali sono la prima e la terza riga diAB.

d) (AB)2 = A2B2.

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8Sistemi lineari

8.1 Sistemi lineari e matrici

In questo capitolo ci occuperemo delle relazioni che legano i sistemi di equazio-ni lineari alle matrici. Descriveremo in dettaglio il metodo di eliminazione diGauss, una delle tecniche piu efficienti per la loro risoluzione. Vedremo in seguitocome tale metodo sia di fondamentale importanza per il calcolo del rango, deldeterminante e dell’inversa di una matrice.

Sia A una matrice di tipo m× n e x un vettore di dimensione m. Il prodottoAx e un vettore di m componenti che indicheremo con b. Per esteso avremo cheAx = b diventa

a11x1 + a12x2+. . . +a1nxn = b1

a21x1 + a22x2+. . . +a2nxn = b2

...... · · · ...

...am1x1 + am2x2+. . . +amnxn = bm

detto sistema lineare1.

Esempio 8.1 (Sistemi lineari) Riportiamo alcuni esempi di sistemi lineari e laloro corrispondente rappresentazione matriciale

1. 2x + 3y = 1

x− 2y = 4 ⇒ 2 3

1 −2

x

y

=

1

4

2.

x− 2y + z = 53x + y − z = 0

x + 3y + 2z = 2⇒

1 −2 13 1 −11 3 2

x

y

z

=

502

1Un’equazione lineare e un’equazione nella quale le incognite, usualmente indicate con x, y,z, . . . oppure x1, x2, x3, . . ., compaiono tutte al primo grado nella forma ax + by + cz + . . ., cona, b, c numeri reali (o complessi). In altre parole non compaiono quadrati, cubi o potenze piuelevate, ne prodotti di due o piu incognite, ne funzioni delle incognite tipo radice, seno, coseno,esponenziale, ecc.

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260 Capitolo 8

3.

x1 + x2 − x3 = 42x1 − x2 + 3x3 = 74x1 + x2 + x3 = 15

1 1 −12 −1 34 1 1

x1

x2

x3

=

4715

Problema: Dato il vettore b determinare x soluzione del sistema lineare, ossia taleche Ax = b. Tale problema e rappresentato da un sistema lineare di m equazioninelle n incognite x1,x2,. . . ,xn. Gli elementi della matrice A sono detti coefficientidel sistema lineare. Gli elementi del vettore b sono detti termini noti.Osserviamo che se indichiamo con A1, A2, . . ., An i vettori colonna della matriceA ossia

A =

A1| A2| A3| . . . | An

conAT

i = (a1i,a2i, . . . ,ami), i = 1, . . . ,n

il sistema precedente puo anche scriversi come

x1A1 + x2A2 + . . . + xnAn = b.

Come vedremo in seguito questo si esprime dicendo che b e una combinazionelineare dei vettori colonna della matrice A.

Non e sempre detto che dato b possano determinarsi x1,. . . ,xn tali che Ax = b,ossia che il sistema possa essere risolto. Un sistema lineare che non ammettenessuna soluzione e detto inconsistente. Se il termine noto e un vettore nullob = 0, il sistema si dice omogeneo e in tal caso ammette sempre la soluzione banaledata dal vettore nullo x = 0 (la cui verifica e lasciata come esercizio).

8.1.1 Il metodo di eliminazione di Gauss

Risolvere un sistema lineare significa determinare tutti i valori o gli insiemi divalori che sostituiti alle incognite soddisfano simultaneamente tutte le equazioniche compongono il sistema lineare.

Esempio 8.2 (Sostituzione ed eliminazione con due equazioni) Conside-riamo il sistema di 2 equazioni in 2 incognite

2x + 3y = 1x− 2y = 4

Un primo modo per risolverlo e basato sulla tecnica di sostituzione. Ossia si ricavay in funzione di x nella seconda equazione e la si sostituisce nella prima.

2y = x− 4 ⇒ y =12x− 2

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Sistemi lineari 261

2x + 3(

12x− 2

)= 1 ⇒ 7

2x = 7 ⇒ x = 2.

Sostituendo ora nella prima relazione si ha y = 1 − 2 = −1. Da cui la soluzionex = 2, y = −1. Questo modo di procedere risulta pero complesso nel caso disistemi piu grandi e puo facilmente portare a errori di calcolo.Una tecnica piu efficiente e data dal metodo di eliminazione. L’idea in questocaso e quella di eliminare le variabili incognite una ad una fino a ottenere il valoredella soluzione per una variabile. Ottenuto questo si procede come in precedenzaper sostituzione. Nel sistema precedente x puo essere eliminata moltiplicando laseconda equazione per 2

2x + 3y = 12x− 4y = 8

Sostituisco alla seconda equazione quella ottenuta sottraendo la prima dalla se-conda ossia

2x + 3y = 1−7y = 7

Per cui y = −1 e dalla prima

2x− 3 = 1 ⇒ x = 2.

Esempio 8.3 (Eliminazione con tre equazioni) Proviamo a estendere la pre-cedente idea dell’eliminazione di variabili al caso di un sistema di 3 equazioni in 3incognite

x− 2y + z = 53x + y − z = 0

x + 3y + 2z = 2

La somma delle prime due equazioni consente di eliminare z (sostituiamo il ri-sultato nella seconda) ed effettuiamo l’eliminazione di z nella terza sommando aquesta due volte la seconda (sostituiamo il risultato nella terza).

x− 2y + z = 5

4x− y = 57x + 5y = 2

Si noti che la seconda e la terza equazione rappresentano ora un sistema di dueequazioni in due incognite

4x− y = 57x + 5y = 2

Possiamo eliminare y aggiungendo cinque volte la prima equazione alla seconda

27x = 27 ⇒ x = 1.

Dalla prima equazione avremo 4− y = 5 ⇒ y = −1.Infine sostituendo questi due valori in una delle equazioni date inizialmente (peresempio la prima)

1 + 2 + z = 5 ⇒ z = 2.

La soluzione e quindi x = 1, y = −1, z = 2.

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262 Capitolo 8

Nel caso di un sistema di n equazioni in n incognite l’idea di base e quella diricondursi a un sistema di n− 1 equazioni in n− 1 incognite, poi a un sistema din − 2 equazioni in n − 2 incognite e cosı via fino alla risoluzione del sistema persostituzione.

Il vantaggio di questo metodo e che si basa su poche semplici operazioni chesono ripetute a ogni passo. Tale metodo infatti, noto come metodo di eliminazionedi Gauss, puo essere facilmente messo in forma algoritmica ed implementato su diun calcolatore.

Consideriamo il seguente esempio e osserviamo come ogni nostra operazionecomporti una corrispondente operazione sulla matrice del sistema.

Esempio 8.4 (Eliminazione e matrici) Applichiamo passo a passo l’elimina-zione di Gauss al sistema lineare

2x1 − x2 + 3x3 = 14x1 + 2x2 − x3 = −83x1 + x2 + 2x3 = −1

2 −1 34 2 −13 1 2

x1

x2

x3

=

1−8−1

Indichiamo a fianco di ogni riga R1, R2, R3 la corrispondente operazione.

Passo 1

x1 − x2

2+

3

2x3 =

1

2(R1/2)

4x1 + 2x2 − x3 = −83x1 + x2 + 2x3 = −1

=⇒

1 −1

2

3

2

4 2 −1

3 1 2

x1

x2

x3

=

1

2

−8

−1

Passo 2

x1 − x2

2+

3

2x3 =

1

24x2 − 7x3 = −10 (R2 − 4R1)

5

2x2 − 5

2x3 = −5

2(R3 − 3R1)

=⇒

1 −1

2

3

2

0 4 −7

05

2−5

2

x1

x2

x3

=

1

2

−10

−5

2

Passo 3

x1 − x2

2+

3

2x3 =

1

2

x2 − 7

4x3 = −5

2(R2/4)

5

2x2 − 5

2x3 = −5

2

=⇒

1 −1

2

3

2

0 1 −7

4

05

2−5

2

x1

x2

x3

=

1

2

−5

2

−5

2

Passo 4

x1 − x2

2+

3

2x3 =

1

2

x2 − 7

4x3 = −5

215

8x3 =

15

4(R3 − 5

2R2)

=⇒

1 −1

2

3

2

0 1 −7

4

0 015

8

x1

x2

x3

=

1

2

−5

2

15

4

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Sistemi lineari 263

Passo 5

x1 − x2

2+

3

2x3 =

1

2

x2 − 7

4x3 = −5

2

x3 = 2 (R3/15

8)

=⇒

1 −1

2

3

2

0 1 −7

4

0 0 1

x1

x2

x3

=

1

2

−5

2

2

La terza equazione fornisce x3 = 2. Dalla seconda equazione otteniamo

x2 − 74· 2 = −5

2⇒ x2 = 1

e dalla prima

x1 − 12

+32· 2 =

12⇒ x1 = −2.

La soluzione quindi ex1 = −2, x2 = 1, x3 = 2.

Abbiamo trasformato la matrice del sistema in una matrice triangolare super-iore con termini diagonali uguali a 1, corrispondente a un sistema lineare che haesattamente le stesse soluzioni del sistema di partenza.

Definizione 8.1 (Sistemi lineari equivalenti) Due sistemi lineari aventi lostesso numero di incognite si dicono equivalenti se hanno esattamente le stessesoluzioni.

La matrice finale del sistema e anche detta matrice ridotta a scala o semplicementematrice ridotta. Si noti che abbiamo seguito una strategia ben precisa nell’elimi-nare le variabili. Infatti abbiamo prima eliminato gli elementi della prima colonnacon indice di riga maggiore di uno, poi gli elementi della seconda colonna con in-dice di riga maggiore di due e cosı via, fino ad avere tutti elementi nulli al di sottodella diagonale principale della matrice di partenza. Inoltre abbiamo moltiplicatoogni colonna per una opportuna costante, detta pivot (nell’Esempio 8.4 i pivotsono 2, 4 e 15/8) in modo da avere elementi uguali a uno sulla diagonale (si vedala Figura 8.1).

Osservazione 8.1 Se e possibile continuare il processo di eliminazione delle va-riabili in modo tale che ogni colonna della matrice che contiene un 1 sulla diagonaleprincipale ha tutti i restanti elementi nulli, allora la forma finale della matrice cheotteniamo e unica. Il processo cosı descritto prende il nome di eliminazione diGauss-Jordan.

Le operazioni che abbiamo eseguito sul sistema, ossia moltiplicazione e divi-sione di un’equazione per un numero (diverso da zero), somma e sottrazione dimultipli di equazioni oppure scambio di equazioni sono equivalenti alle seguentioperazioni applicate alla matrice del sistema:

• moltiplicazione (divisione) di una riga per un numero (diverso da zero);

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264 Capitolo 8

∗ ∗ ∗ . . . ∗ ∗∗ ∗ ∗ . . . ∗ ∗...

...... ∗ ∗

∗ ∗ ∗ . . . ∗ ∗∗ ∗ ∗ . . . ∗ ∗

1 ∗ ∗ . . . ∗ ∗0 ∗ ∗ . . . ∗ ∗...

...... ∗ ∗

0 ∗ ∗ . . . ∗ ∗0 ∗ ∗ . . . ∗ ∗

1 ∗ ∗ . . . ∗ ∗0 1 ∗ . . . ∗ ∗...

...... ∗ ∗

0 0 ∗ . . . ∗ ∗0 0 ∗ . . . ∗ ∗

1 ∗ ∗ . . . ∗ ∗0 1 ∗ . . . ∗ ∗...

...... ∗ ∗

0 0 0 . . . ∗ ∗0 0 0 . . . ∗ ∗

1 ∗ ∗ . . . ∗ ∗0 1 ∗ . . . ∗ ∗...

...... ∗ ∗

0 0 0 . . . 1 ∗0 0 0 . . . 0 ∗

1 ∗ ∗ . . . ∗ ∗0 1 ∗ . . . ∗ ∗...

...... ∗ ∗

0 0 0 . . . 1 ∗0 0 0 . . . 0 1

Figura 8.1 Illustrazione schematica del processo di eliminazione di Gauss sulla matriceA di un sistema lineare.

• somma (sottrazione) di un multiplo di una riga da un’altra;

• scambio di righe.

Tali operazioni dovranno essere effettuate anche sul vettore dei termini noti af-finche il sistema risultante sia equivalente a quello iniziale. Sono dette operazionielementari applicate alle righe.

Osservazione 8.2 Potremo incontrare sistemi che non hanno nessuna soluzione,oppure che ne hanno infinite. Di questo parleremo piu avanti. Da un punto divista pratico queste situazioni corrispondono a una situazione di non applicabilitadel precedente metodo (cosı come descritto finora).

8.1.2 Soluzioni di un sistema lineare

All’atto pratico per risolvere il sistema conviene utilizzare una notazione in tabellanella quale riportiamo la matrice del sistema e il vettore dei termini noti.

Esempio 8.5 (Sistemi lineari e soluzioni) Consideriamo le seguenti possibi-lita.

1. (Soluzione unica) 3x1 − 3x2 + x3 = 1−x1 + x2 + 2x3 = 22x1 + x2 − 3x3 = 0

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Sistemi lineari 265

3 −3 1 1−1 1 2 22 1 −3 0

1 −1 1/3 1/3 (R1/3)−1 1 2 22 1 −3 0

1 −1 1/3 1/30 0 7/3 7/3 (R2 + R1)0 3 −11/3 −2/3 (R3 − 2R1)

1 −1 1/3 1/30 3 −11/3 −2/3 (R2 ¿ R3)0 0 7/3 7/3

1 −1 1/3 1/30 1 −11/9 −2/9 (R2/3)0 0 1 1 (3R3/7)

Da cui

x3 = 1

x2 − 119

x3 = −29⇒ x2 − 11

9= −2

9⇒ x2 = 1

x1 − x2 +13x3 =

13⇒ x1 − 1 +

13

=13⇒ x1 = 1

Ossia la soluzione e

x1 = 1, x2 = 1, x3 = 1

ed e unica.

2. (Infinite soluzioni)

x1 + x2 − x3 = 4

2x1 − x2 + 3x3 = 74x1 + x2 + x3 = 15

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266 Capitolo 8

1 1 −1 42 −1 3 74 1 1 15

1 1 −1 40 −3 5 −1 (R2 − 2R1)0 −3 5 −1 (R3 − 4R1)

1 1 −1 40 1 −5/3 1/3 (R2/(−3))0 −3 5 −1

1 1 −1 40 1 −5/3 1/30 0 0 0 (R3 + 3R2)

(Attenzione: due righe uguali!)

Il procedimento e terminato con il sistema

x1 + x2 − x3 = 4

x2 − 53x3 =

13

che ha solo due equazioni in tre incognite x1,x2,x3. In questo caso esistonoinfinite soluzioni. Infatti una delle tre incognite puo assumere un qualunquevalore e da questo e sempre possibile ricavare il valore delle altre due. Laforma usata per esprimere le soluzioni in questo caso e del tipo

x3 = s

x2 =13

+53s

x1 = 4− 13− 5

3s + s =

113− 2

3s

al variare di s numero reale (s ∈ R).

3. (Nessuna soluzione)

x1 + x2 − x3 = −3

2x1 + 2x2 + x3 = 05x1 + 5x2 − 3x3 = −8

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Sistemi lineari 267

1 1 −1 −32 2 1 05 5 −3 −8

1 1 −1 −30 0 3 6 (R2 − 2R1)0 0 2 7 (R3 − 5R1)

1 1 −1 −30 0 1 2 (R2/3)0 0 2 7

1 1 −1 −30 0 1 20 0 0 3 (R3 − 2R2)

1 1 −1 −30 0 1 20 0 0 1 (R3/3)

Bisogna fare attenzione al fatto che solo il termine noto e non nullo nell’ultimariga della tabella finale. Il sistema in questo caso non ha soluzioni, infattil’ultima equazione corrisponde a

0x1 + 0x2 + 0x3 = 1

che non puo mai essere verificata per nessun valore di x1, x2, x3.

Dato un sistema lineare Ax = b, con A matrice m × n consideriamo la matriceA = (A|b) di tipo m × (n + 1), detta matrice ampliata o matrice completa delsistema lineare, ottenuta considerando le n colonne di A e come ultima colonna ilvettore b

A =

a11 a12 a13 . . . a1n b1

a21 a22 a23 . . . a2n b2

a31 a32 a33 . . . a3n b3

......

......

...am1 am2 am3 . . . amn bm

= (A|b)

Nell’applicare il metodo di eliminazione di Gauss abbiamo trasformato, tramiteoperazioni elementari, tale matrice in una forma ridotta avente elementi tutti nullisotto la diagonale principale ed elementi uguali a 1 o a 0 sulla diagonale principale.Per tale forma ridotta (ossia la forma finale della tabella dopo l’eliminazione diGauss) vale la seguente regola generale.

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268 Capitolo 8

Proposizione 8.1 (Regola generale)

1. Non esistono soluzioni se, dopo aver applicato il metodo di eliminazione diGauss, l’ultima riga non nulla ha un valore uguale a 1 come ultimo elementoa destra e 0 altrove.

2. Esiste un’unica soluzione se, dopo aver applicato il metodo di eliminazione diGauss, ci sono esattamente n righe non nulle, l’ultima delle quali ha 1 comepenultimo elemento a destra.

3. Esistono infinite soluzioni se, dopo aver applicato il metodo di eliminazione diGauss, le righe non nulle sono meno di n, e non e verificata la condizione 1.

Esempio 8.6 (Forme ridotte) Vediamo alcuni possibili risultati del metodo dieliminazione di Gauss e indicazione del tipo di soluzione (come esercizio calcolareesplicitamente le soluzioni ove possibile).

1.

1 2 1

0 1 3

(soluzione unica)

2.

1 −1 2

0 0 1

(nessuna soluzione)

3.

1 3 3

0 1 0

(soluzione unica)

4.

1 1 2

0 0 0

(infinite soluzioni)

5.

1 2 1 40 1 −2 20 0 1 3

(soluzione unica)

6.

1 0 −1 50 1 1 −30 0 0 1

(nessuna soluzione)

7.

1 3 0 20 1 3 −10 0 1 0

(soluzione unica)

8.

1 −1 1 50 1 7 20 0 0 0

(infinite soluzioni)

Esempio 8.7 (Sistemi lineari con parametri) Vediamo ora alcuni esempi disistemi lineari nei quali il comportamento della soluzione dipende da uno o piuparametri.

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Sistemi lineari 269

1. Determiniamo i valori di c per i quali il sistema

x + y = c

3x− cy = 2

ammette soluzioni.

1 1 c3 −c 2

1 1 c0 −c− 3 2− 3c (R2 − 3R1)

1 1 c

0 12− 3c

− c− 3(R2/(−c− 3) , c 6= −3)

L’ultimo passaggio puo essere effettuato solo se −c− 3 6= 0, ossia c 6= −3. Intal caso abbiamo l’unica soluzione

y =3c− 2c + 3

, x = c− y = c− 3c− 2c + 3

=c2 + 2c + 3

.

Altrimenti se c = −3 otteniamo

1 1 −30 0 11 (R2 − 3R1)

ossia un sistema inconsistente che non ha alcuna soluzione. Non esiste alcunvalore di c per il quale il sistema ha infinite soluzioni.

2. Determiniamo i valori di c e d per i quali il sistema

x1 + x2 + x3 = c

cx1 + x2 + 2x3 = 2x1 + cx2 + x3 = d

(a) ha una sola soluzione,

(b) non ha soluzioni,

(c) ha infinite soluzioni.

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270 Capitolo 8

1 1 1 cc 1 2 21 c 1 d

1 1 1 c(∗) 0 1− c 2− c 2− c2 (R2 − cR1)

0 c− 1 0 d− c (R3 −R1)

1 1 1 c

(∗∗) 0 12− c

1− c

2− c2

1− c(R2/(1− c), c 6= 1)

0 0 2− c d− c + 2− c2 (R3 + R2)

1 1 1 c

(∗ ∗ ∗) 0 12− c

1− c

2− c2

1− c

0 0 1d− c + 2− c2

2− c(R3/(2− c), c 6= 2)

Se c = 1 la tabella (∗) diventa

1 1 1 10 0 1 10 0 0 d− 1

da cui l’inconsistenza del sistema (nessuna soluzione) se d 6= 1. Altrimenti sed = 1 abbiamo infinite soluzioni.

Se c = 2 la tabella (∗∗) diventa

1 1 1 20 1 0 20 0 0 d− 4

da cui l’inconsistenza del sistema (nessuna soluzione) se d 6= 4. Altrimenti sed = 4 abbiamo infinite soluzioni.

Infine nel caso c 6= 1, c 6= 2 abbiamo un’unica soluzione data dalla tabella(∗ ∗ ∗) per ogni valore di d

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Sistemi lineari 271

x3 =d− c + 2− c2

2− c

x2 =2− c2

1− c− d− c + 2− c2

1− c=

c− d

1− c

x1 = c− c− d

1− c− d− c + 2− c2

2− c

Riassumendo abbiamo:

• unica soluzione se c 6= 1, c 6= 2, per ogni valore di d;

• nessuna soluzione se c = 1, d 6= 1, oppure c = 2, d 6= 4;

• infinite soluzioni se c = 1, d = 1, oppure c = 2, d = 4.

8.1.3 Matrici elementari

Le trasformazioni che eseguiamo sulla matrice ampliata del sistema lineare duranteil metodo di eliminazione di Gauss possono essere rappresentate come una succes-sione di prodotti di particolari matrici, dette matrici elementari, per la matriceampliata. Tale rappresentazione risulta molto utile ai fini pratici, per esempio nelcalcolo dell’inversa di una matrice.

Definizione 8.2 (Matrice elementare) Una matrice elementare e una matricequadrata ottenuta applicando a una matrice identita una sola operazione elemen-tare di riga.

Esempio 8.8 (Matrici elementari)

E1 =

0 1 01 0 00 0 1

R1 ¿ R2 in I

E2 =

1 0 00 1 00 0 5

5R3 in I

E3 =

1 3 00 1 00 0 1

R1 + 3R2 in I

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272 Capitolo 8

L’importanza di tali matrici e data dalla seguente proprieta.

Proprieta I. Sia E una matrice ottenuta applicando a una matrice identica m×muna sola operazione elementare di riga e sia A una qualunque matrice m × n.Allora la matrice prodotto EA e la stessa matrice che si otterrebbe applicandodirettamente ad A la stessa operazione elementare di riga.

Esempio 8.9 (Matrici e trasformazioni elementari) Sia

A =

1 2 34 5 67 8 9

e applichiamo E1,E2,E3 definite nell’esempio precedente ad A, ossia moltiplichia-mo a sinistra A per E1,E2,E3.

E1A =

0 1 01 0 00 0 1

1 2 34 5 67 8 9

=

4 5 61 2 37 8 9

E2A =

1 0 00 1 00 0 5

1 2 34 5 67 8 9

=

1 2 34 5 635 40 45

E3A =

1 3 00 1 00 0 1

1 2 34 5 67 8 9

=

13 17 214 5 67 8 9

Potremo quindi applicare l’algoritmo di eliminazione di Gauss utilizzando unaserie di matrici elementari che moltiplicate a ogni passo per la matrice ampliatadel sistema fornisce una matrice avente elementi nulli sotto la diagonale principale.Ossia ErEr−1 · · ·E2E1A per un certo valore di r e opportune scelte delle matricielementari sara una matrice avente tutti zero sotto la diagonale principale e 1 neiprimi termini non nulli in ogni riga a partire da sinistra.

Esempio 8.10 (Matrici elementari ed eliminazione di Gauss) Utilizziamole matrici elementari per applicare il metodo di eliminazione di Gauss al seguentesistema

x2 − 3x3 = 2x1 + 2x2 + x3 = 1x1 + x2 + 4x3 = 2

0 1 −31 2 11 1 4

x1

x2

x3

=

212

.

Indichiamo con A = (A|b) la matrice ampliata ed eseguiamo le trasformazioni sullamatrice indicando a lato la corrispondente matrice elementare.

A =

0 1 −3 21 2 1 11 1 4 2

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Sistemi lineari 273

R1 ¿ R2

1 2 1 10 1 −3 21 1 4 2

E1 =

0 1 01 0 00 0 1

R3 −R1

1 2 1 10 1 −3 20 −1 3 1

E2 =

1 0 00 1 0−1 0 1

R3 + R2

1 2 1 10 1 −3 20 0 0 3

E3 =

1 0 00 1 00 1 1

R3/3

1 2 1 10 1 −3 20 0 0 1

E4 =

1 0 00 1 00 0 1/3

Quindi

E4E3E2E1︸ ︷︷ ︸T

A = TA =

1 2 1 10 1 −3 20 0 0 1

.

Ossia abbiamo costruito una matrice T tale che TA e la matrice finale risultantedell’eliminazione di Gauss, ossia una matrice avente elementi nulli al di sotto delladiagonale principale ed elementi uguali a 0 o a 1 sulla diagonale principale.

Un’altra interessante proprieta delle matrici elementari e la loro facile invertibilita.Infatti abbiamo la seguente

Proprieta II. Sia E una matrice ottenuta da I tramite una operazione elemen-tare di riga. Se F e la matrice elementare ottenuta da I eseguendo l’operazioneelementare inversa, allora chiaramente

FE = I.

E facile verificare inoltre che anche EF = I e quindi le due matrici sono l’unal’inversa dell’altra.

Esempio 8.11 (Inverse di matrici elementari) Riportiamo per esempio lematrici elementari inverse corrispondenti alle matrici elementari viste nell’Esempio8.9

E1 =

0 1 01 0 00 0 1

R1 ¿ R2 F1 =

0 1 01 0 00 0 1

R1 ¿ R2

E2 =

1 0 00 1 00 0 5

5R3 F2 =

1 0 00 1 00 0 1/5

R3/5

E3 =

1 3 00 1 00 0 1

R1 + 3R2 F3 =

1 −3 00 1 00 0 1

R1 − 3R2

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274 Capitolo 8

Lasciamo come esercizio la verifica che soddisfano alle relazioni

E1F1 = F1E1 = I, E2F2 = F2E2 = I, E3F3 = F3E3 = I.

Dall’invertibilita delle matrici elementari discende che la matrice

T = ErEr−1 · · ·E2E1

che effettua l’eliminazione di Gauss tramite r trasformazioni elementari e unamatrice invertibile. Infatti avremo

T−1 = (ErEr−1 · · ·E2E1)−1 = E−11 E−1

2 · · ·E−1r−1E

−1r = F1F2 · · ·Fr−1Fr.

8.1.4 Calcolo della matrice inversa

Ritorniamo ora al problema del calcolo dell’inversa di una matrice di cui abbiamoparlato nel capitolo 7. Supponiamo ora di applicare l’eliminazione di Gauss a unamatrice quadrata A. Otterremo dopo r passi una matrice triangolare superioreche indichiamo con U avente elementi uguali a 0 o 1 sulla diagonale, ossia

ErEr−1 · · ·E2E1A = U.

Se la diagonale della matrice U non presenta alcuno 0 ma solo degli 1 allorapossiamo pensare di continuare ad applicare operazioni elementari di riga in mododa annullare anche tutti gli elementi sopra la diagonale della matrice U . Dopoulteriori s trasformazioni elementari otterremo quindi una matrice avente elementinulli sopra e sotto la diagonale ed elementi sulla diagonale tutti uguali a uno, ossiauna matrice identita

Er+sEr+s−1 · · ·Er+2Er+1U = I.

Riassumendo abbiamo ottenuto in r + s trasformazioni elementari

Er+sEr+s−1 · · ·E2E1A = I.

Poniamo B = Er+sEr+s−1 · · ·E2E1, abbiamo BA = I. Ma in realta abbiamoanche AB = I. Infatti, indicando con Fi = E−1

i , i = 1, . . . ,r + s abbiamo

F1F2 · · ·Fr+s−1Fr+s = F1F2 · · ·Fr+s−1Fr+sI

= F1F2 · · ·Fr+s−1Fr+sEr+sEr+s−1 · · ·E2E1A

= IA = A.

Ne segueAB = F1F2 · · ·Fr+s−1Fr+sEr+sEr+s−1 · · ·E2E1 = I,

essendo FiEi = I, i = 1, . . . ,r + s. Quindi B = A−1 e l’inversa di A. Comecalcoliamo in pratica A−1 = Er+sEr+s−1 · · ·E2E1 senza doverci calcolare tutti iprodotti delle matrici elementari utilizzate?

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Sistemi lineari 275

L’idea e molto semplice basta infatti applicare il procedimento effettuandocontemporaneamente le stesse operazioni sulla matrice identita, ossia applicandoil metodo appena descritto alla matrice A = (A|I). Avremo infatti

Er+sEr+s−1 · · ·E2E1A = (Er+sEr+s−1 · · ·E2E1A|Er+sEr+s−1 · · ·E2E1I)= (I|A−1).

Esempio 8.12 (Calcolo inversa) Sia

A =

1 1 11 2 30 1 1

Vogliamo stabilire se A e invertibile, e in tal caso calcolare A−1. In forma di tabellapossiamo scrivere

1 1 1 1 0 01 2 3 0 1 00 1 1 0 0 1

1 1 1 1 0 00 1 2 −1 1 0 (R2 −R1)0 1 1 0 0 1

1 1 1 1 0 00 1 2 −1 1 00 0 −1 1 −1 1 (R3 −R2)

1 1 1 1 0 00 1 2 −1 1 00 0 1 −1 1 −1 (R3 · (−1))

A questo punto abbiamo terminato l’eliminazione di Gauss ottenendo a sinistra lamatrice U , che in questo caso ha tutti elementi uguali a 1 sulla diagonale. QuindiA e invertibile. Continuiamo ad applicare trasformazioni elementari al fine ditrasformare U in una matrice identita

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276 Capitolo 8

1 1 0 2 −1 1 (R1 −R3)0 1 2 −1 1 00 0 1 −1 1 −1

1 1 0 2 −1 10 1 0 1 −1 2 (R2 − 2R3)0 0 1 −1 1 −1

1 0 0 1 0 −1 (R1 −R2)0 1 0 1 −1 20 0 1 −1 1 −1

L’inversa di A e

A−1 =

1 0 −11 −1 3−1 1 −1

Verificare come esercizio che A−1A = AA−1 = I.

Il metodo appena illustrato si applica chiaramente a matrici quadrate di qualsiasidimensione. Come ci accorgiamo se una matrice non e invertibile ? Basta os-servare che il buon esito del nostro procedimento dipende dall’avere ottenuto allafine dell’eliminazione di Gauss una matrice avente elementi tutti uguali a 1 sulladiagonale. Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti non e detto che questosia sempre possibile, e potremmo anche ottenere 0 sulla diagonale principale. Sequesto succede il metodo per il calcolo dell’inversa si arresta e e la matrice e noninvertibile, ossia singolare.

Esempio 8.13 (Matrice singolare) Sia

A =

1 2 31 1 20 1 1

Abbiamo

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Sistemi lineari 277

1 2 3 1 0 01 1 2 0 1 00 1 1 0 0 1

1 2 3 1 0 00 −1 −1 −1 1 0 (R2 −R1)0 1 1 0 0 1

1 2 3 1 0 00 1 1 1 −1 0 (R2 · (−1))0 1 1 0 0 1

1 2 3 1 0 00 1 1 1 −1 00 0 0 −1 1 1 (R3 −R2)

Il procedimento si arresta e la matrice A e non invertibile.

8.2 Dipendenza lineare e rango

Dati i vettori A1,A2,. . . ,Ar una combinazione lineare e un’espressione del tipo

α1A1 + α2A2+. . . +αrAr

dove gli αi sono numeri reali.E ovvio che il risultato di una combinazione lineare e un vettore. Se e possibile

determinare gli αi non tutti nulli in modo tale che

α1A1 + α2A2+. . . +αrAr = 0

allora i vettori A1,. . . ,Ar si dicono linearmente dipendenti. Se invece l’espressioneprecedente puo essere soddisfatta solo prendendo αi = 0 per ogni valore di i, allorai vettori si dicono linearmente indipendenti (abbreviati l.i. e l.d.).Nel caso in cui i vettori sono l.d. allora alcuni di essi sono combinazione linearedegli altri. Per esempio se la relazione precedente e soddisfatta con αr 6= 0, allora

Ar = −α1

αrA1 − α2

αrA2−. . . .−αr−1

αrAr−1.

Osservazione 8.3 Se almeno uno dei vettori A1,A2, . . . ,Ar e il vettore nullo siverifica immediatamente che i vettori A1,A2, . . . ,Ar sono linearmente dipendenti.Per esempio sia Aj = 0, con 1 ≤ j ≤ r allora abbiamo la combinazione lineare

0 ·A1 + 0 ·A2+. . . +1 ·Aj + . . . + 0 ·Ar = 0.

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278 Capitolo 8

Esempio 8.14 (Vettori linearmente dipendenti) Riportiamo alcuni insiemidi vettori linearmente dipendenti.

1. uT = (3,− 3), vT = (1,− 1)

2 3−3

− 6

1−1

=

0

0

.

2. uT = (1,2), vT = (−1,3), wT = (2,0)

6 1

2

− 4

−1

3

− 5

2

0

=

0

0

.

3. xT = (3,2,1), yT = (0,1,− 1), zT = (5,1,4)

−5

321

+ 7

01−1

+ 3

514

=

000

.

Esempio 8.15 (Lineare dipendenza e sistemi omogenei) Stabilire se l’in-sieme di vettori

125

,

2−24

,

114

e linearmente indipendente.Cerchiamo dei coefficienti x1,x2,x3 non tutti nulli tali che

x1

125

+ x2

2−24

+ x3

114

=

000

ossia x1 + 2x2 + x3 = 0

2x1 − 2x2 + x3 = 05x1 + 4x2 + 4x3 = 0

Possiamo applicare l’eliminazione di Gauss alla matrice ampliata

A =

1 2 1 02 −2 1 05 4 4 0

Eliminando i passaggi intermedi (farli per esercizio) si ottiene

1 2 1 00 1 1/6 00 0 0 0

quindi il sistema ha infinite soluzioni e l’insieme di vettori e linearmente dipen-dente. Si noti che la matrice ampliata del corrispondente sistema non e altro chela matrice avente come colonne i vettori stessi ed il vettore nullo.

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Sistemi lineari 279

Esempio 8.16 (Vettori linearmente dipendenti in R2)

1. Stabiliamo che un insieme di due vettori non nulli di dimensione 2 e linear-mente dipendente se e solo se i vettori sono proporzionali.

Siano a = (a1,a2)T , b = (b1,b2)T non nulli. Supponiamo che a e b siano l.d.,ossia esistono α1,α2 non entrambi nulli tali che

α1

a1

a2

+ α2

b1

b2

=

0

0

, α1a + α2b = 0.

Sia α1 6= 0 (non e restrittivo) allora

a = −α2

α1b

e anche α2 6= 0, altrimenti avremmo a = 0.

Di conseguenza e anche

b = −α1

α2a

e i vettori sono proporzionali.Provare il viceversa come esercizio (proporzionali ⇒ l.d.).

2. Dimostriamo che qualunque insieme di tre vettori di dimensione 2 e l.d.

a = (a1,a2)T , b = (b1,b2)T , c = (c1,c2)T

α1

a1

a2

+ α2

b1

b2

+ α3

c1

c2

=

0

0

a1α1 + b1α2 + c1α3 = 0a2α1 + b2α2 + c2α3 = 0

Cerchiamo per questo sistema soluzioni diverse da α1 = α2 = α3 = 0.

Abbiamo la matrice ampliata

A = a1 b1 c1 0

a2 b2 c2 0

Il sistema e sempre consistente e le righe non nulle sono meno del numero delleincognite. Quindi per la regola generale che abbiamo visto esistono infinitesoluzioni. Il risultato puo essere esteso a un qualunque insieme di n vettori didimensione n− 1.

Osservazione 8.4 Un sistema omogeneo Ax = 0 e sempre consistente in quantoammette la soluzione nulla x = 0. Per un tale sistema l’eliminazione di Gauss puoessere applicata direttamente alla matrice A in quanto l’ultima colonna di A nonviene mai modificata e resta nulla. Tale sistema ammette quindi solo la soluzionenulla x = 0 oppure infinite soluzioni.

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280 Capitolo 8

8.2.1 Vettori ortogonali

Abbiamo visto che dati due vettori x e y aventi la stessa dimensione, il prodottoxT y e detto prodotto scalare. Se i due vettori sono tali che xT y = 0 (e quindianche yT x = 0) i vettori sono detti ortogonali.

Esempio 8.17 (Vettori ortogonali)

xT = (1,0), yT = (0,1)

xT y = x1y1 + x2y2 = 1 · 0 + 0 · 1 = 0.

Proposizione 8.2 Un insieme di vettori (non nulli) ortogonali, ossia A1,. . . ,Ar

tali che ATi Aj = 0 per ogni valore di i 6= j, e necessariamente linearmente

indipendente.

Dimostrazione. Infattiα1A1+. . . +αrAr = 0

moltiplicando a sinistra per AT1 fornisce

α1AT1 A1 = 0

ed essendo AT1 A1 6= 0 (altrimenti A1 = 0) abbiamo α1 = 0. Analogamente moltiplicando

a sinistra per gli altri vettori AT2 ,. . . ,AT

r otteniamo il risultato.

Esempio 8.18 (Vettori ortogonali e generatori) Consideriamo i vettori x ey dell’esempio precedente. Essi sono l.i. in quanto ortogonali tra loro, dunque

α1x + α2y = (0,0)T

se e soltanto se α1 = α2 = 0. Ogni altro vettore (a,b)T in R2 puo esprimersi comecombinazione lineare di essi. Infatti

a

b

= a

1

0

+ b

0

1

.

Quindi i vettori (1,0) e (0,1) sono un insieme di generatori per R2.

Definizione 8.3 (Base) Se un generico insieme di vettori V puo essere generatoda un suo sottoinsieme B di vettori linearmente indipendenti, si dice che i vettoridel sottoinsieme B formano una base per l’insieme di vettori considerato.

In altre parole se B = A1,A2, . . . ,Ar allora per ogni vettore x di V esistonoα1,α2, . . . ,αr in R tali che x e combinazione lineare dei vettori della base, ossia

x = α1A1 + α2A2+. . . +αrAr.

Esempio 8.19 (Base canonica) Prendiamo ora Rm. Puo essere generato da uninsieme di m vettori l.i. per esempio dai vettori e1,e2,. . . ,em definiti come

eT1 = (1,0,0, . . . ,0), eT

2 = (0,1,0, . . . ,0), eT3 = (0,0,1, . . . ,0), . . . , eT

m = (0,0,0, . . . ,1).

Essi costituiscono una base di Rm. Infatti sono chiaramente l.i. (verificarlo comeesercizio) e generano qualunque vettore x = (x1,x2, . . . ,xm) di Rm

x = x1e1 + x2e2 + . . . xmem.

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Sistemi lineari 281

Tale base e detta base canonica. Si noti che i vettori della base canonica sonoortogonali tra loro e unitari

eTi ej =

0 i 6= j1 i = j

In R2 avremo la base canonica

e1 = (1,0) , e2 = (0,1)

vista nell’Esempio 8.17.

L’importanza delle basi e data dalla seguente proposizione.

Proposizione 8.3 Siano A1,A2, . . . ,Ar vettori linearmente indipendenti. Suppo-niamo che α1,α2, . . . ,αr e β1,β2, . . . ,βr siano tali che

α1A1 + α2A2+. . . +αrAr = β1A1 + β2A2+. . . +βrAr.

Allora αj = βj per j = 1,2, . . . ,r.

Dimostrazione. La dimostrazione e immediata. Infatti dall’ipotesi sugli αj e βj

segue(α1 − β1)A1 + (α2 − β2)A2+. . . +(αr − βr)Ar = 0.

Essendo i vettori A1,A2, . . . ,Ar l.i. necessariamente dovremo avere αj − βj = 0 perj = 1,2, . . . ,r da cui la tesi.

Come conseguenza della proposizione appena dimostrata abbiamo che seB = A1,A2, . . . ,Ar e una base di V allora ogni elemento di V puo esserescritto in un solo modo come combinazione lineare dei vettori A1,A2, . . . ,Ar. Larappresentazione di un vettore rispetto a una data base e quindi unica.

Definizione 8.4 (Rango) Dato un insieme di vettori A1,A2. . . ,An dicesi ran-go dell’insieme il massimo numero di vettori l.i. nell’insieme.

Data la matrice A, il rango della matrice A, indicato con rank (A), e il rangodell’insieme dei suoi vettori colonna.

Possiamo enunciare le seguenti regole.

Regola I. Dato un insieme di vettori A1,. . . ,An di dimensione m, per verificarese l’insieme di vettori e l.i. si costruisce la matrice A

A =

A1| A2| . . . | An

di tipo m× n avente come colonne i vettori A1,. . . ,An e si applica a essa l’elimi-nazione di Gauss. Se la matrice risultante ha meno di n righe non nulle l’insiemeassegnato e l.d., altrimenti e l.i..

Regola II. Qualunque insieme di vettori di dimensione n formato da piu di nvettori distinti e linearmente dipendente.

Di conseguenza il rango di una matrice e il numero di righe non nulle che restano altermine dell’eliminazione di Gauss. Il rango di una matrice m×n e necessariamenteminore o uguale a n e anche minore o uguale a m, ossia

rank (A) ≤ minm,n.

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282 Capitolo 8

8.2.2 Teorema di Rouche-Capelli

Consideriamo ora il sistema lineare Ax = b con A matrice di tipo m × n. SiaA = (A|b) la corrispondente matrice ampliata. Abbiamo il seguente fondamentalerisultato.

Teorema 8.1 (Rouche-Capelli) Condizione necessaria e sufficiente affinche ilsistema Ax = b ammetta soluzioni e che il rango di A e quello di A coincidano.

Dimostrazione. Se il sistema ammette soluzioni, allora b e una combinazione lineare

delle colonne di A. Quindi l’insieme delle colonne di A e A avranno lo stesso rango.Infatti

b = x1A1 + x2A2+. . . +xnAn .

Viceversa se i due ranghi coincidono allora necessariamente b non puo essere l.i. coni vettori colonna di A e quindi e combinazione lineare delle colonne di A e il sistemaammette soluzione.

Consideriamo ora i due possibili casi

1. rank (A) = m, numero di righe di A.

E il massimo poiche altrimenti avremmo che m + 1 vettori di Rm sono l.i. Inquesto caso anche rank (A) = m e quindi la soluzione esiste.

Se poi n = m (cioe A e quadrata) si ha che la soluzione e unica. Infatti se x ey sono due soluzioni Ax = b, Ay = b, allora A(x− y) = 0, ma questo implicache le colonne di A sono l.d., quindi x = y.

Se n > m allora, se supponiamo che le colonne l.i. siano le prime m, ponendo

x1A1 + x2A2+. . . +xmAm = b, xm+1 =. . . = xn = 0

si ha una soluzione del problema. Si noti che non e unica infatti ponendo

b = b− xm+1Am+1−. . .−xnAn

con xm+1,. . . ,xn arbitrari, la soluzione di

x1A1+. . . +xmAm = b

fornisce una nuova soluzione del sistema originale. In questo caso si dice chele soluzioni sono ∞n−m, dove la notazione ∞n−m simboleggia il fatto cheabbiamo infinite soluzioni dipendenti da n −m parametri liberi, ossia tantequante le scelte di b al variare di xm+1,. . . ,xn.

2. rank (A) = r < m.

Per il teorema di Rouche-Capelli vi sono soluzioni solo se rank (A) = r. In talcaso ne avremo ∞m−r.

Nella Tabella 8.1 abbiamo riassunto i risultati appena ottenuti.

Osservazione 8.5 Se b = 0 allora x = 0 e sempre soluzione. In particolare serank (A) = m e n = m e l’unica soluzione. Avremo quindi soluzioni non nulle solose le colonne di A sono linearmente dipendenti.

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Sistemi lineari 283

rank (A) n Soluzione

m m soluzione esiste ed e unicam > m esistono ∞n−m soluzionir < m ha soluzione solo se anche rank (A) = r

e unica se n = r, esistono ∞n−r soluzioni se n > r

Tabella 8.1 Sunto conseguenze del Teorema di Rouche-Capelli con A matrice di tipom× n.

Esempio 8.20 (Soluzioni e rango) In base al Teorema di Rouche-Capelli stabi-lire se i seguenti sistemi ammettono soluzioni. La matrice data e quella risultantedal metodo di eliminazione di Gauss.

1.

1 3 2 30 1 1 00 0 1 −1

rank (A) = rank (A) e m = n, unica soluzione.

2.

1 −1 0 −20 1 2 −30 0 0 1

rank (A) = 2, rank (A) = 3, nessuna soluzione.

3.

1 −1 3 −20 0 0 00 0 0 0

rank (A) = rank (A) = 1. Abbiamo ∞3−1 = ∞2 soluzioni, ossia infinitesoluzioni dipendenti da due parametri

x3 = s, x2 = t, x1 = t− 3s− 2.

Possiamo infine dimostrare il seguente importante risultato relativamente all’uni-cita della soluzione di un sistema lineare.

Teorema 8.2 (Teorema di struttura) Sia x1 una soluzione del sistema lineareAx = b, con A di tipo m×n. Allora ogni altra soluzione e della forma x = x1 +x0dove x0 e una soluzione del sistema omogeneo Ax = 0. In particolare x1 e l’unicasoluzione se e solo se le colonne di A sono l.i.

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284 Capitolo 8

Dimostrazione. Infatti valgono Ax1 = b e Ax0 = 0. Sommando le due espressioniotteniamo

b = Ax1 + Ax0 = A(x1 + x0),

quindi anche x1 + x0 e soluzione del sistema Ax = b.Viceversa se x e un’altra soluzione di Ax = b dobbiamo dimostrare che x−x1 e una

soluzione di Ax = 0. In questo caso sottraendo

A(x− x1) = Ax−Ax1 = b− b = 0,

abbiamo il risultato.L’ultima affermazione segue dal fatto che se le colonne di A sono l.i. allora l’unica

soluzione di Ax = 0 e il vettore nullo x0 = 0.

Osservazione 8.6 Si puo osservare che l’esistenza di una soluzione del siste-ma Ax = b dipende dalla specifica relazione tra A e b (Teorema di Rouche-Capelli) mentre l’unicita dipende soltanto dalla matrice dei coefficienti (Teoremadi struttura).

8.3 Determinante

Il concetto di determinante e essenziale nell’ambito dell’algebra lineare. Tale ogget-to ci consentira per esempio di determinare in modo pratico se un sistema linearedi matrice quadrata ammette una unica soluzione o se un’insieme di n vettori inRn e linearmente dipendente o indipendente.

Definizione 8.5 (Matrici di permutazione) Definiamo le matrici Prs, dettematrici di permutazione elementari, ottenute dalla matrice identita scambiando lerighe r e s.

Esempio 8.21 (Matrici di permutazione) Un’esempio di matrice di permu-tazione a partire da

I =

1 0 0 00 1 0 00 0 1 00 0 0 1

e la seguente (r = 2, s = 3)

P23 =

1 0 0 00 0 1 00 1 0 00 0 0 1

Sono casi particolari di matrici elementari. Quindi PrsA e una matrice uguale adA ma con le righe r e s scambiate fra loro. Analogamente APrs e una matriceuguale ad A ma con le colonne r e s scambiate fra loro.

Definizione 8.6 (Determinante) Dato l’insieme delle matrici quadrate di or-dine n, a ogni matrice A di questo insieme associamo un numero che indicheremocon det(A), detto determinante di A, tale che

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Sistemi lineari 285

1. Se A e una matrice triangolare (superiore o inferiore), allora det(A) e ugualeal prodotto degli elementi sulla diagonale.

2. Se A e B sono due matrici quadrate di ordine n,

det(AB) = det(A) · det(B) .

3. det(Prs) = −1 per ogni valore di r,s con r 6= s.

8.3.1 Proprieta del determinante

La definizione precedente determina in modo univoco det(A). Vediamo qualiulteriori proprieta discendono da tale definizione.

1. Se la matrice A ha due righe o due colonne uguali il determinante e nullo.

Dimostrazione. Sia infatti Prs con r e s indici delle righe o colonne uguali.Allora se le righe sono uguali PrsA = A, se invece le colonne sono uguali APrs = A.Nel primo caso avremo

det(A) = det(PrsA) = det(Prs) det(A) = − det(A)

ossiadet(A) = − det(A) quindi det(A) = 0 .

Analogamente nell’altro caso si ha

det(A) = det(APrs) = det(A) det(Prs) = − det(A) quindi det(A) = 0 .

2. Dato α in R, det(αA) = αn det(A).

Dimostrazione. Infatti

det(αA) = det(αIA) = det(αI) det(A) = αn det(A)

perche αI = diag(α,. . . ,α) e il determinante e dato dal prodotto degli elementi sulladiagonale, ossia αn.

3. Se A e la matrice ottenuta moltiplicando tutti gli elementi di una riga (o diuna colonna) di A per α allora det(A) = α det(A).

Dimostrazione. Per esempio sia A ottenuta moltiplicando la prima riga per α,allora

A =

αa11 αa12 . . . αa1n

a21 a22 . . . a2n

......

. . ....

an1 an2 . . . ann

=

α 0 . . . 0

0 1 . . . 0...

.... . .

...

0 0 . . . 1

A

quindi det(A) = α det(A).

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286 Capitolo 8

4. Se una riga o una colonna di A sono nulli, il determinante sara nullo.

Dimostrazione. Discende direttamente dalla proprieta precedente nel casoα = 0.

5. Se una riga o una colonna di A e combinazione lineare delle altre allora ildeterminante e nullo.

Dimostrazione. Per esempio indichiamo con ATj la riga j-esima che e combina-

zione lineare delle altre (per semplicita solo di quelle che la precedono)

ATj = α1A

T1 + α2A

T2 +. . . +αj−1A

Tj−1 .

Moltiplicando ora la matrice A a sinistra per la matrice triangolare inferiore

P =

1 0 · · · 0 0 0 · · · 0 0

0 1 · · · 0 0 0 · · · 0 0...

.... . .

......

......

...

0 0 · · · 1 0 0 · · · 0 0

−α1 −α2 · · · −αj−1 1 0 · · · 0 0

0 0 · · · 0 0 1 · · · 0 0...

......

......

. . ....

...

0 0 · · · 0 0 0 · · · 1 0

0 0 · · · 0 0 0 · · · 0 1

← (riga j)

(colonna j)

si ottiene la matrice PA in cui la riga j-esima e nulla. Quindi

0 = det(PA) = det(P ) det(A).

Ma det(P ) = 1 e quindi necessariamente det(A) = 0.

6. Sia A non singolare, ossia le colonne sono linearmente indipendenti. Allora

det(A−1) =1

det(A).

Dimostrazione. Infatti da

AA−1 = A−1A = I

seguedet(AA−1) = det(A) det(A−1) = det(I) = 1.

Dalle proprieta precedenti discende in particolare che un insieme di n vettori inRn e linearmente indipendente se e solo se il determinante della matrice associatae non nullo. Possiamo a questo punto enunciare il seguente teorema che riassumemolti dei risultati visti finora.

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Sistemi lineari 287

Teorema 8.3 (Teorema di equivalenza) Sia A una matrice quadrata di di-mensione n. Allora le seguenti proprieta sono equivalenti.

i) A e invertibile.

ii) Il rango di A e uguale a n.

iii) Le colonne di A sono l.i.

iv) Il sistema omogeneo Ax = b ha una unica soluzione (se b = 0 ammmette solola soluzione x = 0).

v) Il determinante di A e diverso da zero.

Esempio 8.22 (Casi particolari)

i) Nel caso di una matrice 2× 2 si puo verificare direttamente che se

A = a b

c d

alloradet(A) = ad− bc,

verifica le tre proprieta che caratterizzano il determinante.Sovente si utilizza la notazione | · | per indicare il determinante di una matrice.Per esempio

det(A) =∣∣∣ a b

c d

∣∣∣

Avremo quindi

∣∣∣ 1 2−3 4

∣∣∣ = 1 · 4− 2 · (−3) = 10.

ii) Nel caso di una matrice 3× 3 si puo verificare che se

A =

a1 a2 a3

b1 b2 b3

c1 c2 c3

allora

det(A) = a1b2c3 + a2b3c1 + a3b1c2 − a1b3c2 − a2b1c3 − a3b2c1.

Un metodo pratico per ricordarsi la precedente formula e dato dalla regoladelle diagonali illustrata di seguito

∣∣∣∣∣∣∣∣

a1 a2 a3 b1 b2 b3 c1 c2 c3

∣∣∣∣∣∣∣∣

a1 a2b1 b2c1 c2

regola delle diagonali

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288 Capitolo 8

dove i prodotti diagonali da sinistra a destra vanno considerati con il segno+, quelli da destra a sinistra con il segno −.Per esempio

∣∣∣∣∣1 2 1−1 1 3−2 4 1

∣∣∣∣∣ = 1− 12− 4− 12 + 2 + 2 = −23.

8.3.2 Calcolo del determinante

Gli esempi precedenti forniscono delle semplici regole pratiche di utilizzo imme-diato per il calcolo del determinante nel caso di matrici di dimensione 2 e 3. Macome procediamo se la matrice ha dimensioni maggiori? Ancora una volta il nostrostrumento di calcolo sara basato sull’eliminazione di Gauss.

Abbiamo visto che se applichiamo l’eliminazione di Gauss ad A matrice qua-drata otteniamo dopo r passi

ErEr−1·. . . ·E2E1A = U

con U matrice triangolare superiore con elementi sulla diagonale uguali a 1 o a0 ed Ei matrici elementari che caratterizzano il procedimento. Di conseguenzasappiamo che

det(U) = 0 oppure det(U) = 1.

In particolare indicata con

T = ErEr−1 · · ·E2E1

allora tale matrice e invertibile con inversa

T−1 = (ErEr−1 · · ·E2E1)−1 = E−11 E−1

2 · · ·E−1r−1E

−1r = F1F2 · · ·Fr−1Fr

dove al solito abbiamo indicato con le matrici elementari Fi le inverse delle Ei,i = 1, . . . ,r. Quindi

T−1TA = T−1U.

Se indichiamo con L = T−1 abbiamo il risultato

A = LU,

dove la matrice L e data dal prodotto delle inverse delle matrici elementari vistenell’eliminazione di Gauss. La relazione A = LU fattorizza la matrice A nelprodotto di due matrici L e U ed e detta fattorizzazione di Gauss o semplicementefattorizzazione LU .Avremo quindi che

det(A) = det(L) det(U)

ossiadet(A) = 0 oppure det(A) = det(L),

con det(L) = det(F1) det(F2) · · · det(Fr−1) det(Fr).

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Sistemi lineari 289

Il calcolo delle quantita det(Fi) puo essere effettuato direttamente usando le pro-prieta del determinante. Infatti in base al punto 3 della definizione di determinantese abbiamo uno scambio di righe det(Fi) = −1, dalla proprieta 3 del determinantese moltiplichiamo una riga per un valore costante α, det(Fi) = α. Infine se Fi eottenuta sommando o sottraendo da una riga della matrice identita il multiplo diun’altra riga della stessa matrice il valore del determinante restera inalterato inquanto Fi sara sempre una matrice diagonale e quindi dal punto 1 della definizionedi determinante det(Fi) = 1. Riassumendo abbiamo

det(Fi) =

−1 scambio di righeα moltiplicazione di una riga per α1 somma o sottrazione di una riga per un multiplo di un’altra.

Esempio 8.23 (Calcolo del determinante) Calcoliamo i determinanti delleseguenti matrici

1.

A =

1 3 −12 0 11 1 4

1 3 −12 0 11 1 4

1 3 −10 −6 3 (R2 − 2R1)0 −2 5 (R3 −R1)

1 3 −10 1 −1/2 (R2 · (−1/6)) ⇒ α1 = −60 −2 5

1 3 −10 1 −1/20 0 4 (R3 + 2R2)

1 3 −10 1 −1/20 0 1 (R3/4) ⇒ α2 = 4

La matrice finale e triangolare superiore con determinante uguale a 1. Ildeterminante di A sara α1 · α2 = −6 · 4 = −24.

Il risultato poteva essere ottenuto direttamente da A tramite la regoladet(A) = 0 + 3− 2− 0− 1− 24 = −24, basata sulle diagonali di A.

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290 Capitolo 8

2.

A =

0 1 1 11 0 1 11 1 0 11 1 1 0

0 1 1 11 0 1 11 1 0 11 1 1 0

1 0 1 1 (R1 À R2) ⇒ cambio segno0 1 1 11 1 0 11 1 1 0

1 0 1 10 1 1 10 1 −1 0 (R3 −R1)0 1 0 −1 (R4 −R1)

1 0 1 10 1 1 10 0 −2 −1 (R3 −R2)0 0 −1 −2 (R4 −R2)

1 0 1 10 1 1 10 0 1 1/2 (R3/(−2)) ⇒ α1 = −20 0 −1 −2

1 0 1 10 1 1 10 0 1 1/20 0 0 −3/2 (R4 + R3)

1 0 1 10 1 1 10 0 1 1/20 0 0 1 (R4/(−3/2)) ⇒ α2 = −3/2

Quindi det(A) = −(α1 · α2) = −3.

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Sistemi lineari 291

Esercizi

Esercizio 8.1 Utilizzare il metodo di eliminazione di Gauss sul sistema e sulla corris-pondente rappresentazione matriciale nei seguenti casi, al fine di calcolare la soluzione.

1.

x− y = 22x + y = 1

2.

3x + 2y = 0x− y = 5

3.

x1 + x2 + x3 = 2

2x1 + x2 − 2x3 = 0−x1 − 2x2 + 3x3 = 4

4.

3x1 − 3x2 + x3 = 1−x1 + x2 + 2x3 = 22x1 + x2 − 3x3 = 0

5.

3x1 − x2 − x3 = 6x1 − x2 + x3 = 0

−x1 + 2x2 + 2x3 = −2

Esercizio 8.2 Si determinino per i seguenti sistemi tutti i valori di c per i quali ilsistema ammette soluzioni.

1.

x1 + x2 − x3 = 2

x1 + 2x2 + x3 = 3x1 + x2 + (c2 − 5)x3 = c

2.

cx1 + x2 − 2x3 = 0x1 + cx2 + 3x3 = 0

2x1 + 3x2 + cx3 = 0

3.

x1 + x2 + x3 = 2

2x1 + 3x2 + 2x3 = 52x1 + 3x2 + (c2 − 1)x3 = c + 1

Esercizio 8.3 Si applichi il metodo di eliminazione di Gauss tramite matrici elementarialle seguenti matrici ampliate di sistemi lineari.

A =

0 1 3

1 2 −1

2 3 1

B =

1 −1 2 1

−1 3 0 1

2 1 1 −1

Esercizio 8.4 Per le matrici dell’esercizio precedente calcolare inoltre le matrici T ,prodotto di matrici elementari, tali che TA coincide con il risultato dell’eliminazione diGauss. Calcolare inoltre l’inversa T−1 utilizzando le matrici elementari inverse.

Esercizio 8.5 Si verifichi quali delle seguenti matrici sono invertibili e quali sonosingolari. Si calcolino le inverse di quelle invertibili e si verifichino i risultati ottenuti.

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292 Capitolo 8

(a)

1 2

1 3

, (b)

1 0

3 1

, (c)

−2 −3

4 6

,

(d)

1 2 1

0 1 2

0 0 1

, (e)

1 −1 2

−1 2 −1

1 −3 1

, (f)

0 1 1

1 0 1

1 1 0

,

(g)

2 3 −2 3

1 0 2 1

−1 1 4 −2

3 0 0 4

, (h)

1 1 1 1

−2 1 0 3

3 0 −2 5

1 −1 −1 −3

.

Esercizio 8.6 Si verifichi in ciascuno dei casi se l’insieme dato e linearmente dipendenteo indipendente.

1) (2,3)T , (1,− 1)T 2) (1,2)T , (0,0)T

3) (3,− 1,2)T , (0,0,0)T , (1,0,0)T 4) (1,1,1)T , (−2,1,2)T , (1,0,0)T

5) (0,1,− 1)T , (3,4,1)T , (−2,2,0)T

Esercizio 8.7 Si determini il rango di ciascuna delle matrici sotto riportate.

(a)

3 6

−1 −2

, (b)

−1 0 3

1 2 4

, (c)

2 1

3 −1

,

(d)

1 0

2 0

, (e)

−2 1 3

1 1 −1

1 4 0

, (f)

1 −3 2

5 1 3

9 5 4

,

(g)

1 −2 1

1 1 3

1 2 4

, (h)

1 −1 2 0

1 0 1 1

2 1 1 0

1 −1 −2 0

, (i)

1 −1 2 0 3

1 0 1 1 4

2 1 1 0 2

1 −1 −2 0 −2

.

Esercizio 8.8 Si calcolino i determinanti delle seguenti matrici

(a)

2 1

3 −2

, (b)

−1 −2

−3 −4

, (c)

4 2

6 3

,

(d)

3 1 3

−2 −1 0

1 1 1

, (e)

4 5 1

1 1 −1

3 2 2

, (f)

2 4 −6

−1 −2 3

1 1 4

,

(g)

2 0 1 −1

−1 1 0 3

0 2 1 1

3 3 1 −1

, (h)

0 3 1 −2

2 2 −2 1

1 0 1 0

0 2 −3 3

.

Esercizio 8.9 Una matrice quadrata A e detta antisimmetrica quando aij = −aji.Come sono fatti gli elementi diagonali di tale matrice ? Si dimostri che il determinantedi una matrice antisimmetrica 3 × 3 e nullo. Tutte le matrici antisimmetriche hannodeterminante nullo ?

Esercizio 8.10 Una matrice quadrata si dice ortogonale se AT = A−1. Dimostrareche il determinante di una tale matrice deve valere 1 oppure −1.

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9Autovalori e autovettori

9.1 Autovalori e determinanti

In questo capitolo ci occuperemo di uno dei problemi piu importanti dell’algebralineare, il calcolo degli autovalori e autovettori di una matrice quadrata. Nelle ap-plicazioni tali quantita intervengono come assi preferenziali di rotazione, direzionidi maggior sforzo, frequenze di risonanza, ecc. Tale problema non sara affrontatodirettamente tramite l’eliminazione di Gauss come la risoluzione dei sistemi lineari,il concetto fondamentale in questo ambito sara quello di determinante.

9.1.1 I numeri complessi

Prima di affrontare questo problema e opportuno estendere la nozione di insiemenumerico e considerare l’insieme C dei numeri complessi. Introdurremo in questasede solo i concetti principali. Ricollegandoci a quanto discusso nella prima parte diquesto testo quando si sono introdotti gli insiemi numerici N,Z,Q e R consideriamoper x ∈ R l’equazione

x2 + 1 = 0.

Tale equazione e evidente non ha soluzione nell’ambito dei numeri reali, in quantocondurrebbe alla radice di un numero negativo. Per rendere risolvibile questaequazione, e piu in generale ogni equazione di tipo polinomiale, dobbiamo ampliarel’insieme numerico in cui lavorare introducendo l’insieme C dei numeri complessi.

La quantita fondamentale e rappresentata dall’unita immaginaria i, ossia unnumero che soddisfa l’equazione scritta sopra, quindi i2 = −1. Esso e un numeroimmaginario puro e tali sono i suoi multipli ib con b in R. Ciascun numero im-maginario puro con b 6= 0 non puo essere un numero reale. Infatti, se ib fosse unnumero reale c per qualche b, avremmo che ib = c e quindi i = c/b. Ma i2 = −1,e quindi c2 = −b2, che chiaramente non ha soluzioni reali.

“Sommiamo” quindi R ai numeri immaginari puri, ottenendo R + ib. Lasomma a+ib di un numero reale e di uno immaginario puro e un numero complessoz = a+ ib e si puo rappresentare nel piano complesso (Figura 9.1). In questo caso,un numero complesso e identificato da una coppia ordinata (a,b) di numeri reali.

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294 Capitolo 9

Le due notazioni sono legate dalle relazione

a + ib ←→ (a,b)

L’insieme dei numeri reali e, in un certo senso, incluso nell’insieme dei numericomplessi: sono tutti quelli con parte immaginaria nulla (a,0). La rappresentazionedei numeri complessi con la scrittura a + ib e detta forma algebrica del numerocomplesso.

asse immaginario

asse realeO

b

−b

a

z = a+ib = r(cosθ + i sinθ)

coniugato di z: z

a−ib = r(cos(−θ) + i sin(−θ))

|z|=|a+ib|=r

θ

Figura 9.1 Il piano complesso.

La somma di due numeri complessi e definita in modo “naturale” come

(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d) ←→ (a,b) + (c,d) = (a + c,b + d)

ossia per sommare due numeri complessi si sommano tra di loro la “parte reale”e la “parte immaginaria” dei due numeri dati. Ricordiamo che a e detta partereale del numero complesso z = a + ib e si indica con a = Re(z), b e detta parteimmaginaria del numero complesso z = a + ib e si indica con b = Im(z).Occorre invece fare attenzione al prodotto1! Poiche i · i = i2 = −1, il prodotto didue numeri immaginari puri da origine a un numero reale.Se moltiplichiamo formalmente termine a termine, ricordandoci il fatto che i2 =−1, otteniamo

(a + ib) (c + id) = ac + ibc + iad + i2bd = (ac− bd) + i(bc + ad),

che definisce la regola della moltiplicazione di numeri complessi:

(a + ib) (c + id) = (ac− bd) + i(bc + ad) ←→ (a,b) (c,d) = (ac− bd,bc + ad) .

Il complesso coniugato di a+ ib e il numero a− ib, ossia ha la stessa parte reale maparte immaginaria con segno opposto. Tale numero e solitamente indicato tramitel’operatore di coniugazione a + ib = a− ib e soddisfa alle seguenti proprieta.

1Come per la somma, per sola semplicita di lettura, utilizzeremo la stessa notazione xy = x ·ydel prodotto in R

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Autovalori e autovettori 295

1. Il coniugato di un prodotto e uguale al prodotto dei coniugati

(a + ib) (c + id) = (ac− bd)− i(bc + ad) = (a + ib) (c + id).

2. Il coniugato di una somma e uguale alla somma dei coniugati

(a + ib) + (c + id) = (a + c)− i(b + d) = (a + ib) + (c + id).

3. Il prodotto di un numero complesso con il suo complesso coniugato e unnumero reale pari al quadrato dell’ipotenusa del triangolo rettangolo di latidi lunghezza |a| e |b| (Figura 9.1)

(a + ib) (a− ib) = a2 + b2.

La lunghezza di tale ipotenusa e detta modulo del numero complesso z = a+ibed e indicato come r = |z| = |a + ib| =

√a2 + b2. Occorre fare nuovamente

attenzione: il numero reale positivo |a + ib| (modulo del numero complessoa + ib) e indicato con lo stesso simbolo del valore assoluto. Notiamo che,se b = 0, il modulo del numero reale a coincide con il suo valore assoluto:|a| =

√a2.

Avremo inoltre che un numero coincide con il suo complesso coniugato se e solose il numero e reale, infatti (a + ib) = a + ib se e solo se b = 0.

Per quanto riguarda il modulo di un numero complesso, abbiamo che

1. Il modulo di un prodotto e uguale al prodotto dei moduli

|(a + ib) (c + id)| =√

(ac− bd)2 + (bc + ad)2

=√

(a2c2 − 2acbd + b2d2) + (b2c2 + 2bcad + a2d2)

=√

a2 + b2√

c2 + d2

= |(a + ib)| |(c + id)|.

2. Il modulo di una somma e minore o uguale alla somma dei moduli

|(a + ib) + (c + id)| ≤ |(a + ib)|+ |(c + id)|.

Esiste uno stretto legame tra i numeri complessi e le funzioni trigonometriche.Se infatti indichiamo con ϑ l’angolo tra l’asse reale e il vettore corrispondente alnumero complesso z = a + ib, e con r la lunghezza dello stesso vettore (si vedala Figura 9.1), abbiamo la rappresentazione in coordinate polari di un numerocomplesso (r,ϑ):

a + ib =√

a2 + b2(cos ϑ + i sin ϑ) = r(cos ϑ + i sin ϑ)

ossiaa =

√a2 + b2 cos ϑ, b =

√a2 + b2 sin ϑ.

ϑ e detto argomento del numero complesso z = a + ib ed e indicato come ϑ =arg(z) = arg(a + ib), mentre ricordiamo che r e il modulo.

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296 Capitolo 9

Il numero complesso cos ϑ+ i sin ϑ si indica anche con eiϑ e rappresenta un numerocomplesso con modulo uguale a 1. Al variare di ϑ tra 0 e 2π tale numero descrivela circonferenza unitaria o goniometrica (ossia di raggio 1) nel piano complesso.La rappresentazione del numero complesso z = a + ib nella forma z = r(cosϑ +i sin ϑ) e detta forma trigonometrica del numero complesso, la rappresentazionedel numero complesso z = a + ib nella forma z = reiϑ e detta forma esponenziale.

Esempio 9.1 (Prodotto e quoziente di numeri complessi) Mentre la for-ma algebrica e utile per la somma e la differenza di numeri complessi, le formetrigonometrica e esponenziale sono comode quando si voglia moltiplicare (o divi-dere) tra loro numeri complessi. Infatti, se z1 = r1(cos ϑ1 + i sin ϑ1) = r1e

iϑ1 ez2 = r2(cos ϑ2 + i sin ϑ2) = r2e

iϑ2 , abbiamo

z1z2 = r1r2(cos ϑ1 cos ϑ2 − sin ϑ1 sin ϑ2 + i(sinϑ1 cos ϑ2 + cos ϑ1 sin ϑ2))

= r1r2(cos(ϑ1 + ϑ2) + i sin(ϑ1 + ϑ2)) = r1r2ei(ϑ1+ϑ2).

Con conti analoghi si ottiene che, per z2 6= 0,

z1

z2=

r1

r2(cos(ϑ1 − ϑ2) + i sin(ϑ1 − ϑ2)) =

r1

r2ei(ϑ1−ϑ2)

ossia il modulo del prodotto e il prodotto dei moduli e l’argomento del prodotto ela somma degli argomenti

|z1z2| = |z1||z2|, arg(z1z2) = arg(z1)︸ ︷︷ ︸ϑ1

+arg(z2)︸ ︷︷ ︸ϑ2

mentre il modulo del quoziente e il quoziente dei moduli e l’argomento del quozientee la differenza degli argomenti:

|z1

z2| =

|z1||z2| , arg (z1

z2) = arg(z1)− arg(z2).

Quanto detto per il prodotto si puo generalizzare, per induzione

z1z2 · · · zn = r1r2 · · · rn(cos(ϑ1 + ϑ2 + · · ·+ ϑn) + i sin(ϑ1 + ϑ2 + · · ·+ ϑn))

= r1r2 · · · rnei(ϑ1+ϑ2+···+ϑn).

ottenendo la formula del prodotto di n numeri complessi.

Esempio 9.2 (Potenze e radici di un numero complesso) Dalla formuladel prodotto di n numeri complessi, se tutti gli n numeri sono uguali tra di loro,otteniamo la formula di De Moivre per la potenza n-esima di un numero complessoz = r(cos ϑ + i sin ϑ):

zn = z · z · · · z︸ ︷︷ ︸n volte

= rn(cos(nϑ) + i sin(nϑ)) = rneinϑ.

Per esempio, se vogliamo trovare il quadrato del numero complesso z = 1+ i, pos-siamo prima scrivere tale numero con le coordinate polari (in forma trigonometrica

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Autovalori e autovettori 297

−3 −2 −1 0 1 2 3−3

−2

−1

0

1

2

3

z0

z1

z2

Figura 9.2 Rappresentazione delle radici terze complesse di 8.

o esponenziali), ossia z =√

2(cos(π/4) + i sin(π/4)) o z =√

2eiπ/4 e poi utilizzarela formula di De Moivre ottenendone il quadrato:

z2 = (√

2)2(cos(2π/4) + i sin(2π/4))= 2(cos(π/2)︸ ︷︷ ︸

=0

+i sin(π/2)︸ ︷︷ ︸=1

) = 2i.

Supponiamo ora di voler risolvere l’equazione z3 = 8. Ogni numero complesso cherisolve tale equazione e detta radice terza complessa di 8. In generale un numerocomplesso z e detto radice n-esima complessa del numero complesso w se zn = w.Per z3 = 8, una radice immediata e reale: z0 = 2. Ma, la verifica e facile, anchez1 = 2(cos(2π/3) + i sin(2π/3)) e z2 = 2(cos(4π/3) + i sin(4π/3)) sono radici terzedi 8 (si veda la Figura 9.2). In generale, vale il teorema:

Teorema 9.1 Per ogni numero complesso w = r(cosϑ + i sin ϑ) esistono n radicicomplesse z0, . . . ,zn−1 della forma

z0 = n√

r( cos (ϑ

n) + i sin (ϑ

n))

z1 = n√

r( cos (ϑ + 2π · 1n

) + i sin (ϑ + 2π · 1n

))

z2 = n√

r( cos (ϑ + 2π · 2n

) + i sin (ϑ + 2π · 2n

))

...

zn−1 = n√

r( cos (ϑ + 2π · (n− 1)n

) + i sin (ϑ + 2π · (n− 1)n

))

ossia |zk| = n√

r, arg(zk) = ϑ+2πkn , k = 0,1, . . . ,n− 1.

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298 Capitolo 9

9.1.2 Definizioni

Dopo avere introdotto i numeri complessi possiamo definire i concetti di autova-lore e autovettore. Nel seguito indicheremo con Cn l’insieme dei vettori aventi nelementi complessi e con Cm×n l’insieme delle matrici con m righe e n colonne aelementi complessi.

Definizione 9.1 (Autovalore e autovettore) Sia A una matrice quadrata n×n ad elementi reali. Definiamo autovalore e rispettivamente autovettore della ma-trice A un numero complesso λ e un vettore u non nullo di numeri complessi percui

Au = λu

o equivalentemente(A− λI)u = 0.

Un caso particolare e rappresentato da λ e u reali, come vedremo in generaledovremo pero fare ricorso all’insieme dei numeri complessi.

Dalla definizione precedente segue che u e una soluzione non nulla di unsistema lineare omogeneo di matrice A− λI. Tale soluzione esistera se le colonnedi A sono l.d. (altrimenti u = 0 e l’unica soluzione), cioe se il rango di A − λI eminore di n. Ovviamente data la matrice A questo non sara possibile per tutti ivalori di λ. Vedremo comunque che e sempre possibile calcolare un certo numerofinito di λ per cui questo avviene.

Osservazione 9.1 Se u e un autovettore di A, tale e anche αu, con α numeroreale o complesso non nullo

A(αu) = α(Au) = α(λu) = λ(αu).

Ossia gli autovettori sono infiniti. In particolare potremo sempre scegliere l’auto-vettore unitario. Infatti se u e un autovettore e

uT u = c2 6= 0

allora v = u/c e un autovettore unitario

vT v =1c2

uT u =1c2

c2 = 1.

Esempio 9.3 (Autovalori e autovettori) Sia

A = 1 2

2 1

A− λI =

1− λ 2

2 1− λ

Abbiamo visto che (A−λI)u = 0 ha soluzioni non nulle solo se le colonne di A−λIsono l.d.

In questo caso λ1 = 3 e λ2 = −1 sono autovalori. Si vede infatti che nel primocaso le colonne sono una l’opposta dell’altra

λ1 = 3 ⇒−2

2

,

2−2

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Autovalori e autovettori 299

mentre nel secondo caso sono identiche

λ2 = −1 ⇒ 2

2

,

2

2

.

Gli autovettori corrispondenti sono

u1 = 1

1

e u2 =

−1

1

infatti 1 2

2 1

1

1

=

3

3

= 3

1

1

1 2

2 1

−1

1

=

1−1

= −1

−1

1

PoicheuT

1 u1 = 2, uT2 u2 = 2,

gli autovettori normalizzati (unitari) sono

v1 =1√2u1, v2 =

1√2u2.

Nell’esempio precedente e emersa subito una proprieta (che non dimostreremo)utile al fine di controllare i risultati nel calcolo di autovalori e autovettori

Proposizione 9.1 La somma degli autovalori di una matrice A uguaglia la som-ma degli elementi sulla diagonale della matrice A. Tale somma e detta tracciadella matrice A.

9.1.3 Calcolo degli autovalori e autovettori

Sia ora A quadrata di tipo n×n. Vogliamo risolvere il problema del calcolo praticodi autovalori e autovettori affrontando il sistema lineare

(A− λI)u = 0,

con u non nullo.Sappiamo che il calcolo di una soluzione non nulla u e possibile se e soltanto

se det(A− λI) = 0. L’equazione

det(A− λI) = |A− λI| = 0

e detta equazione caratteristica di A. Piu precisamente si calcola il determinantedella matrice caratteristica

A− λI =

a11 − λ a12 a13 . . . a1n

a21 a22 − λ a23 . . . a2n

......

.... . .

...an1 an2 an3 . . . ann − λ

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300 Capitolo 9

ottenuta da A sottraendo λ da ogni elemento della diagonale di A. Si puo dimos-trare che det(A− λI) e un polinomio di grado n in λ

pA(λ) = det(A− λI) = (−1)nλn + cn−1λn−1+. . . +c1λ + c0

detto polinomio caratteristico.Il teorema fondamentale dell’algebra ci garantisce che ogni polinomio di grado

n in una variabile ha n radici (non necessariamente distinte) di cui alcune possonoessere di tipo complesso. Ricordiamo che una radice di un polinomio p(λ) =cnλn+. . . +c1λ + c0 e un numero complesso λ∗ tale che p(λ∗) = 0.

Indicate con λ1, . . . ,λn le radici complesse non necessariamente distinte dipA(λ), avremo

pA(λ) = (λ− λ1)(λ− λ2) · · · (λ− λn).

In pratica, quindi, per calcolare autovalori e autovettori dobbiamo:

1. determinare le radici del polinomio caratteristico

pA(λ) = det(A− λI) = 0;

2. per ogni autovalore determinato al punto 1), risolvere il sistema lineare

(A− λI)u = 0

per calcolare gli autovettori associati a λ.

La risoluzione del punto 1) rende il problema del calcolo degli autovalori moltopiu difficile del problema della risoluzione di un sistema lineare. L’eliminazione diGauss infatti con un numero finito di passi produce una risposta esatta. Nel casodegli autovalori questo non e possibile e in particolare non esiste nessuna formularisolutiva. Galois ha infatti dimostrato che non esiste nessuna formula algebricaper calcolare le radici di un polinomio di grado n ≥ 5.

Un caso particolarmente facile e il caso di matrici triangolari. Abbiamo infatti

Proposizione 9.2 Se A e una matrice triangolare allora gli autovalori coincidonocon gli elementi della diagonale.

Dimostrazione. La dimostrazione del risultato e immediata, basta osservare che sela matrice triangolare ha dimensione n vale

det(A− λI) = (a11 − λ)(a22 − λ) · · · (ann − λ).

Osservazione 9.2 In un’altra situazione il calcolo degli autovalori e facile. Seconosciamo gli autovalori λ1, . . . ,λn di A, allora gli autovalori di A2 sono λ2

1, . . . ,λ2n.

Infatti A2u = A(Au) = A(λu) = λAu = λ2u. In modo analogo si puo ragionareper calcolare gli autovalori di Ar, r > 2 intero.

In pratica, nel caso generale, solo per n = 2 la cosa e immediata, con la notaformula risolutiva di un’equazione di secondo grado

λ2 + bλ + c = 0

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Autovalori e autovettori 301

che implica

λ =− b±√b2 − 4c

2.

Per n = 3 la formula non e cosı diretta. Se pero si e in grado di indovinare unaradice del polinomio, sia λ∗, allora si puo scrivere

−λ3 + c2λ2 + c1λ + c0 = (λ− λ∗)(−λ2 + b1λ + b0)

conλ∗ + b1 = c2, − λ∗b1 + b0 = c1, − λ∗b0 = c0.

Ossiab1 = c2 − λ∗, b0 = c1 + λ∗(c2 − λ∗).

Il calcolo delle restanti due radici puo quindi essere effettuato sul polinomio digrado due

−λ2 + b1λ + b0 = 0.

Esempio 9.4 (Autovalori e autovettori di matrici 2 × 2). Calcoliamo gliautovalori e autovettori di

A = 5 7−2 −4

.

A− λI = 5− λ 7

−2 −4− λ

|A− λI| = −(5− λ)(4 + λ) + 14 = λ2 − λ− 6 = (λ + 2)(λ− 3) = 0

implica che gli autovalori sono λ1 = −2, λ2 = 3.

a) λ1 = −2

(A− λ1I)u = 7 7−2 −2

x

y

=

0

0

7 7−2 −2

1 1 (R1/7)0 0 (R2 − 2R1)

ossia y = s, x = −s con s in R. Gli autovettori hanno la forma u = (−s,s)T .

b) λ2 = 3

(A− λ2I)u = 2 7−2 −7

x

y

=

0

0

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302 Capitolo 9

2 7−2 −7

1 7/2 (R1/2)0 0 (R2 + 2R1)

ossia y = s, x = −7s/2 con s in R. Gli autovettori hanno la forma u =(−7s/2,s).

Esempio 9.5 (Altre situazioni per matrici 2× 2) Vediamo quali altre situa-zioni si possono presentare nel caso di matrici 2× 2.

1.

A = 0 8−2 0

|A− λI| =∣∣∣ −λ 8−2 −λ

∣∣∣ = λ2 + 16 = 0

λ = ±4i, due autovalori complessi e coniugati.a) λ1 = −4i

4i 8−2 4i

x

y

=

0

0

4i 8−2 4i

1 −2i (R1 · (1/4i))0 0 (R2 + 2R1)

otteniamo y = s, x = 2is, e dunque u1 = s(2i,1)T .

b) λ2 = 4i

−4i 8−2 −4i

x

y

=

0

0

−4i 8−2 −4i

1 2i (R1 · (−1/4i))0 0 (R2 + 2R1)

otteniamo y = s, x = −2si e quindi u2 = s(−2i,1)T .

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Autovalori e autovettori 303

2.

A = 2 3

0 2

|A− λI| =∣∣∣ 2− λ 3

0 2− λ

∣∣∣ = (2− λ)2 = 0

λ = 2, radice doppia.

0 3

0 0

x

y

=

0

0

0 30 0

0 1 (R1/3)0 0

otteniamo y = 0, x = s e quindi u = (s,0)T .

3.

A = 1 0

0 1

|A− λI| =∣∣∣ 1− λ 0

0 1− λ

∣∣∣ = (1− λ)2 = 0

λ = 1, radice doppia.

0 0

0 0

x

y

=

0

0

otteniamo x = s, y = t. Ogni vettore u = (s,t)T e un autovettore (ossia ognivettore in R2). In particolare i due vettori u1 = (0,1)T e u2 = (1,0)T sonoautovettori associati all’autovalore λ = 1 e sono linearmente indipendenti.Rappresentano una base per l’insieme degli autovettori.

I casi sopra analizzati esauriscono tutte le possibilita. Possiamo quindi riassumerlenella seguente

Proposizione 9.3 (Autovalori di matrici 2× 2) Nel caso di matrici 2×2 ab-biamo quattro possibilita:

i) due autovalori reali distinti, corrispondenti a due autovettori linearmenteindipendenti;

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304 Capitolo 9

ii) due autovalori complessi coniugati corrispondenti a due autovettori complessiconiugati;

iii) un autovalore reale con molteplicita due corrispondente a un solo autovettore;

iv) un autovalore reale con molteplicita due corrispondente a due autovettorilinearmente indipendenti.

Esempio 9.6 (Autovalori e autovettori di matrici 3 × 3) Vediamo ora ilcaso di matrici 3× 3. Le situazioni che si possono presentare sono molteplici e cilimiteremo ad analizzarne alcune.

1.

A =

3 0 0−4 6 216 −15 −5

|A−λI| =∣∣∣∣∣

3− λ 0 0−4 6− λ 216 −15 −5− λ

∣∣∣∣∣ = (3−λ)(6−λ)(−5−λ)+2 ·15(3−λ) =

= (3− λ)[(6− λ)(−5− λ) + 30] = (3− λ)(λ2 − λ) = λ(3− λ)(λ− 1).

Gli autovalori sono quindi λ = 0,3,1 (si noti la presenza dell’autovalore nullo,che indica che det(A) = 0).

a) λ1 = 0

3 0 0−4 6 216 −15 −5

x

y

z

=

000

3 0 0−4 6 216 −15 −5

1 0 0 (R1/3)0 6 2 (R2 + 4R1)0 −15 −5 (R3 − 16R1)

1 0 00 1 1/3 (R2/6)0 0 0 (R3 + 15R2)

quindi z = s, y = −13s, x = 0 e u1 =

(0,− 1

3s,s

)T

autovettore.

b) λ2 = 1

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Autovalori e autovettori 305

2 0 0−4 5 216 −15 −6

x

y

z

=

000

2 0 0−4 5 216 −15 −6

1 0 0 (R1/2)0 5 2 (R2 + 4R1)0 −15 −6 (R3 − 16R1)

1 0 00 1 2/5 (R2/5)0 0 0 (R3 + 15R2)

quindi z = s, y = −25s, x = 0 e u2 =

(0,− 2

5s,s

)T

autovettore.

c) λ3 = 3

0 0 0−4 3 216 −15 −8

x

y

z

=

000

0 0 0−4 3 216 −15 −8

−4 3 2 (R1 ¿ R2)16 −15 −80 0 0

1 −3/4 −1/2 (R1/(−4))0 −3 0 (R2 − 16R1)0 0 0

1 −3/4 −1/20 1 0 (R2/− 3)0 0 0

quindi z = s, y = 0, x =12s e u3 =

(12s,0,s

)T

autovettore.

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306 Capitolo 9

2.

A =

4 −2 12 0 12 −2 3

|A− λI| =

∣∣∣∣∣4− λ −2 1

2 −λ 12 −2 3− λ

∣∣∣∣∣= (4− λ)(−λ)(3− λ)− 4− 4 + 2λ + 2(4− λ) + 4(3− λ)= −λ3 + 12 + 7λ2 − 16λ = 0.

Proviamo a indovinare una radice del polinomio:λ = 0 no.λ = 1,− 1 no.λ = 2 si.

(λ− 2)(−λ2 + 5λ− 6) = 0

λ2,λ3 =− 5±√25− 24

− 2=

5± 12

=

3

2

Gli autovalori sono λ1 = 2, λ2 = 2, λ3 = 3, ossia l’autovalore 2 ha molteplicitaalgebrica due.a) λ = 2

2 −2 12 −2 12 −2 1

x

y

z

=

000

2 −2 12 −2 12 −2 1

1 −1 1/2 (R1/2)0 0 0 (R2 − 2R1)0 0 0 (R3 − 2R1)

quindi z = s, y = t, x = t− 12s.

Ogni vettore u =(

t− 12s,t,s

)T

e autovettore. Ossia

u = t(1,1,0)T + s

(−1

2,0,1

)T

= tu1 + su2

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Autovalori e autovettori 307

con u1,u2 autovettori linearmente indipendenti.Abbiamo quindi due autovettori linearmente indipendenti.b) λ = 3

1 −2 12 −3 12 −2 0

x

y

z

=

000

1 −2 12 −3 12 −2 0

1 −2 10 1 −1 (R2 − 2R1)0 2 −2 (R3 − 2R1)

1 −2 10 1 −10 0 0 (R3 − 2R2)

quindi z = s, y = s, x = s e u3 = (s,s,s)T unico autovettore.

I casi precedenti chiaramente non comprendono tutte le situazioni possibili. Po-tremmo per esempio avere anche un autovalore reale e due autovalori complessiconiugati o un singolo autovalore con molteplicita 3.

9.1.4 Diagonalizzazione e applicazioni

Nelle sezioni precedenti abbiamo osservato come una matrice quadrata A di di-mensione n ammetta n autovalori (non necessariamente distinti) di cui alcunieventualmente complessi. Indichiamo con λ1,λ2, . . . ,λn gli autovalori e supponia-mo che la matrice A ammetta n autovettori che indichiamo con v1,v2, . . . ,vn. Siaora V la matrice

V =

v1| v2| . . . | vn

e D = diag(λ1,λ2, . . . ,λn).Abbiamo

AV =

Av1| Av2| . . . | Avn

=

λ1v1| λ2v2| . . . | λnvn

= V D.

Se la matrice A ammette n autovettori linearmente indipendenti allora la matriceV e invertibile. In tal caso otteniamo

A = V DV −1,

e la matrice A e detta diagonalizzabile.

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308 Capitolo 9

Definizione 9.2 (Matrici simili) Due matrici quadrate A e B sono dette similise esiste una matrice invertibile V tale che A = V BV −1.

Quindi se A e diagonalizzabile allora A e D sono simili. Il processo di diagona-lizzazione di A consiste quindi nel determinare una matrice diagonale simile allamatrice A. Si puo dimostrare che se una matrice A di dimensione n ammette nautovalori distinti allora e diagonalizzabile.

Esempio 9.7 (Potenze di matrici) Data una matrice quadrata A di dimensionen× n vogliamo calcolare Ak per valori grandi di k. Se A e diagonalizzabile allorapossiamo evitare il calcolo dei prodotti A2,A3, . . .. Infatti

A = V DV −1 ⇒ A2 = V DV −1V DV −1 = V D(V −1V )DV −1 = V D2V −1.

Piu in generale otteniamoAk = V DkV −1,

dove le potenze di D possono essere facilmente calcolate come

Dk =

λk1 0 . . . 00 λk

2 . . . 0...

.... . .

...0 0 . . . λk

n

.

Esempio 9.8 (Equazioni differenziali lineari) Consideriamo la seguente equa-zione differenziale lineare omogenea del secondo ordine (si veda il Capitolo 6)

au′′(t) + bu′(t) + cu(t) = 0, a 6= 0, b, c ∈ R.

Ponendo u1(t) = u(t), u2(t) = u′(t) possiamo riscriverla come un sistema di dueequazioni differenziali del primo ordine nella forma

u′1(t) = u2(t)

u′2(t) = − b

au2(t)− c

au1(t).

In forma matriciale abbiamou′1(t)

u′2(t)

=

0 1

− c

a− b

a

u1(t)

u2(t)

.

Sia λ un autovalore della matrice

A =

0 1

− c

a− b

a

.

Se v = (x,y)T e un autovettore associato all’autovalore λ allora

u1(t) = xeλt, u2(t) = yeλt,

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Autovalori e autovettori 309

e una soluzione dell’equazione differenziale. Se la matrice ammette 2 autovettoril.i. v1 = (x1,y1)T , v2 = (x2,y2)T corrispondenti agli autovalori λ1 e λ2 allora lasoluzione generale dell’equazione differenziale e data da

u1(t) = C1x1eλ1t + C2x2e

λ2t, u2(t) = C1y1eλ1t + C2y2e

λ2t,

con C1,C2 ∈ R.Nel nostro caso semplici calcoli mostrano che PA(λ) = det(A−λI) = aλ2 + bλ + cda cui

λ1 =− b +

√b2 − 4ac

2aλ2 =

− b−√b2 − 4ac

2a.

Il segno del discriminante b2− 4ac determina quindi la tipologia degli autovettori.Lasciamo al lettore la verifica dei risultati riportati alla fine del Capitolo 6 tramiteil calcolo degli autovettori nel caso b2 6= 4ac.

9.1.5 Matrici simmetriche

Nel caso in cui la matrice A sia reale e simmetrica, ossia A = A = AT (quindiaij = aij = aji per ogni valore di i e j), e possibile determinare alcune proprietadegli autovalori che riportiamo nel seguito.

1. Gli autovalori di una matrice reale e simmetrica sono numeri reali.

Dimostrazione. Infatti se indichiamo con λ e u un autovalore e un autovettoredi A otteniamo

Au = λu ⇒ Au = λu ⇒ Au = λu.

Moltiplichiamo a sinistra per uT la prima espressione e per uT l’ultima. Sottraendosi ha

uT (Au)− uT (Au) = uT λu− uT λu = (λ− λ)uT u.

Ma essendo

uT (Au) = (Au)T u = uT AT u =︸︷︷︸A simmetrica

uT (Au) =︸︷︷︸A reale

uT (Au)

il primo membro e nullo e quindi necessariamente λ = λ, ossia λ e reale.

2. Gli autovettori corrispondenti ad autovalori distinti di una matrice simmetricasono ortogonali.

Dimostrazione. Infatti

Au1 = λ1u1, Au2 = λ2u2

uT2 Au1 − uT

1 Au2 = (λ1 − λ2)uT1 u2,

ma essendo A simmetrica

uT2 Au1 = (Au2)

T u1 = uT1 (Au2)

e quindi, poiche λ1 6= λ2, dovra essere

uT1 u2 = 0.

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310 Capitolo 9

3. Esistono n autovettori unitari ortogonali tra loro.

Una matrice reale e simmetrica quindi ammette n autovalori reali λ1,. . . ,λn e nautovettori unitari ortogonali.

Se indichiamo tali autovettori con u1,. . . ,un possiamo definire la matrice

U =

u1| u2| . . . | un

che soddisfera la relazione

UT U =

uT1 u1 uT

1 u2 . . . uT1 un

uT2 u1 uT

2 u2 . . . uT2 un

......

...uT

nu1 uTnu2 . . . uT

nun

= I = UUT

poiche

uTi uj =

0 i 6= j1 i = j

Definizione 9.3 (Matrice ortogonale) Una matrice U tale che UT U =UUT = I e detta ortogonale.

Per tali matrici l’inversa coincide quindi con la trasposta. Se indichiamo conD = diag(λ1,. . . ,λn), allora

AU = UD

da cuiUT AU = D

quindi e possibile trasformare A in una matrice diagonale. Una matrice reale esimmetrica A e quindi diagonalizzabile.

Definizione 9.4 (Forma quadratica) Un’espressione del tipo xT Ax con x inRn e A matrice reale e simmetrica e detta forma quadratica associata alla matriceA.

Definizione 9.5 (Matrice definita positiva) La matrice A e detta definita po-sitiva se per x 6= 0 la forma quadratica e positiva, ossia xT Ax > 0. Se xT Ax ≥ 0 sidice che A e semidefinita positiva. Analogamente si parla di semidefinita negativase xT Ax ≤ 0 e definita negativa se xT Ax < 0.

Si verifica immediatamente che una matrice reale e simmetrica A e definita positivase e soltanto se tutti i suoi autovalori sono positivi.

Infatti

xT Ax = xT UUT AUUT x = xT UΛUT x = yT Λy =n∑

i=1

λiy2i

con y = UT x.

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Autovalori e autovettori 311

Lasciamo come esercizio la verifica che xT Ax < 0 se e soltanto se gli autovaloridi A sono tutti negativi.

Abbiamo visto che se la matrice simmetrica A e definita positiva allora ha nautovalori reali positivi λ1,. . . ,λn. In particolare da

AU = UD

abbiamo ancheA = UDUT .

Posto D1/2 = diag(λ1/21 ,. . . ,λ

1/2n ) avremo A = UD1/2D1/2UT e se definiamo S =

UD1/2 si haA = SST

detta fattorizzazione di Cholesky, con

S =

λ

1/21 u1| λ

1/22 u2| . . . | λ

1/2n un

Tale fattorizzazione e utile per esempio nel risolvere il problema dei minimi qua-drati.

Osservazione 9.3 Se A ha elementi complessi si indica con A la matrice deicomplessi coniugati. Se A

T= A la matrice e detta hermitiana. Per questa classe

di matrici valgono risultati analoghi a quelli visti per le matrici reali e simme-triche. In particolare gli elementi diagonali di una matrice hermitiana devononecessariamente essere reali.

Concludiamo questo paragrafo con la seguente

Definizione 9.6 (Raggio spettrale) Si dice raggio spettrale della matrice A,indicato con ρ(A), il massimo degli autovalori di A.

9.2 Minimi quadrati

In questa sezione affronteremo un problema di grande utilita pratica. Fino a questopunto un sistema del tipo Ax = b ha soluzione oppure no. Se b non e combinazionelineare delle colonne di A il sistema e incompatibile e l’eliminazione di Gaussfallisce. Nonostante la loro insolubilita sorgono in pratica equazioni insolubili chedebbono essere risolte in qualche modo. Una possibilita e quella di determinare xin modo da minimizzare l’errore medio nelle equazioni. Per fare questo e necessariopotere misurare gli errori commessi introducendo delle opportune norme di vettorie matrici.

9.2.1 Nome di vettori e matrici

Ad ogni vettore e possibile associare un numero reale non negativo che indicheremocon ‖x‖, detto norma di x, tale che

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312 Capitolo 9

1. se x ≡ 0 allora ‖x‖ = 0 e viceversa;

2. λ scalare, ‖λx‖ = |λ|‖x‖;3. per ogni coppia x,y di vettori con la stessa dimensione

‖x + y‖ ≤ ‖x‖+ ‖y‖ (disuguaglianza triangolare).

Osservazione 9.4 Dalla 3) discende

‖x‖ = ‖x− y + y‖ ≤ ‖x− y‖+ ‖y‖quindi

‖x− y‖ ≥ ‖x‖ − ‖y‖.Analogamente

‖x− y‖ ≥ ‖y‖ − ‖x‖da cui

‖x− y‖ ≥ |‖x‖ − ‖y‖|.

Esempio 9.9 (Norme di vettore)a) Norma ∞

‖x‖∞ = max1≤i≤n

|xi|

E facile verificare che 1), 2) e 3) sono soddisfatte.La 3) per esempio

‖x+ y‖∞ = maxi|xi + yi| ≤ max

i(|xi|+ |yi|) ≤ max

i|xi|+max

i|yi| = ‖x‖∞+ ‖y‖∞.

Per esempio se x = (1,2,3,−1,4) e y = (1,−3,2,7,−8) allora ‖x‖∞ = 4 e ‖y‖∞ = 8.b) Norma 1

‖x‖1 =n∑

i=1

|xi|.

La verifica di 1), 2), 3) e immediata.Nell’esempio precedente

‖x‖1 = 11 , ‖y‖1 = 21.

c) Norma 2‖x‖2 =

√xT x.

1) e 2) sono banali mentre la 3) e piu complessa.Vale infatti la disuguaglianza detta di Cauchy-Schwartz

(xT y)2 ≤ (xT x)(yT y)

dalla quale discende la 3)

‖x + y‖22 = (x + y)T (x + y) = xT x + yT y + 2xT y ≤ xT x + yT y + 2|xT y| ≤

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Autovalori e autovettori 313

≤︸︷︷︸Cauchy-Schwartz

‖x‖22 + ‖y‖22 + 2‖x‖2‖y‖2 = (‖x‖2 + ‖y‖2)2.

Per esempio i vettori precedenti forniscono

‖x‖2 =√

1 + 4 + 9 + 1 + 16 =√

31 , ‖y‖2 =√

1 + 9 + 4 + 49 + 64 =√

127.

Il concetto di norma puo essere esteso alle matrici. Sia A di tipo m×n. Indichiamocon ‖A‖ un numero che soddisfa le seguenti condizioni.

1. ‖A‖ = 0 se e solo se A e la matrice nulla.

2. ‖λA‖ = |λ|‖A‖, dove λ e uno scalare.

3. Se A e B hanno le stesse dimensioni

‖A + B‖ ≤ ‖A‖+ ‖B‖.

4. Se B ha un numero di righe pari al numero di colonne di A

‖AB‖ ≤ ‖A‖‖B‖.

Osservazione 9.5 Dalle norme per vettori si possono definire norme per matricicorrispondenti. Se poniamo

‖A‖ = max‖x‖=1

‖Ax‖

questa norma soddisfa a 1), 2), 3), 4). In questo caso inoltre

‖Ax‖ ≤ ‖A‖‖x‖e ogni norma di vettore induce quindi una corrispondente norma indotta matriciale.

Esempio 9.10 (Norme di matrice) Facendo uso della precedente osservazioneotteniamo

1. Norma ∞‖A‖∞ = max

1≤i≤n

n∑

j=1

|aij |

2. Norma 1

‖A‖1 = max1≤j≤n

n∑

i=1

|aij |

3. Norma 2‖A‖2 =

√ρ(AT A)

ossia il massimo autovalore di AT A e uguale alla norma ‖A‖22.

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314 Capitolo 9

Per esempio se

A =

3 5 72 3 45 9 11

abbiamo‖A‖∞ = 25, ‖A‖1 = 22, ‖A‖2 = 18. 4039.

9.2.2 Il problema dei minimi quadrati

Dato il sistema Ax = b, con A matrice di tipo m × n e m > n, sappiamo chepuo essere possibile non determinare neanche una soluzione del sistema. Questoin particolare avviene se il rango di A = (A|b) e maggiore del rango di A.

Esempio 9.11 (Sistema sovradeterminato) Se fissiamo m = 3 e n = 2 abbia-mo il sistema

a11 a12

a21 a22

a31 a32

x1

x2

=

b1

b2

b3

Il sistema e sovradeterminato e avra soluzione solo se b e combinazione linearedelle colonne di A e quindi non ne aumenta il rango. Ma e possibile che il sistemaabbia la forma

1 23 45 6

x1

x2

=

011

Applicando l’eliminazione di Gauss a A = (A|b) si ottiene

1 2 03 4 15 6 1

1 2 00 −2 1 (R2 − 3R1)0 −4 1 (R3 − 5R1)

1 2 00 1 −1/2 (R2/(−2))0 −4 1

1 2 00 1 −1/20 0 −1 (R3 + 4R2)

che corrisponde al sistema

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Autovalori e autovettori 315

x1 + 2x2 = 0

x2 = −12

0 · x2 = −1

Chiaramente l’ultima equazione e incompatibile e quindi non abbiamo nessunasoluzione del problema.

Se un sistema e inconsistente sappiamo che non esiste x tale che Ax = b. In questicasi possiamo pensare di estendere il concetto di soluzione di un sistema linearedefinendo come soluzione il vettore x tale che il vettore r = Ax − b sia il “piupiccolo” possibile. Come misuriamo il vettore r? Le norme di vettore vengonoin aiuto. Per esempio in norma 2 il problema sara quello di determinare x ∈ Rn

tale che ‖r‖2 = ‖Ax − b‖2 sia minimo. Avremmo chiaramente potuto usare unaqualunque altra norma. Nel caso della norma 2 ll problema della determinazionedel minimo e e detto problema dei minimi quadrati. In dettaglio si ha

‖Ax− b‖2 =

√√√√m∑

i=1

(ATi x− bi)2

dove ATi e la riga i-esima di A.

L’importanza della scelta della norma 2 e data dal fatto che si puo dimos-trare che il vettore che minimizza la precedente norma 2 il vettore x soluzione delseguente sistema

AT Ax = AT b

ottenuto moltiplicando il sistema originale per AT . Tale sistema e detto sistemadelle equazioni normali.

Se le colonne di A sono linearmente indipendenti allora rank(AT A) = n, conAT A matrice simmetrica di dimensione n, ossia ha rango massimo e il sistemaammette una e una sola soluzione

x = (AT A)−1AT b.

Esempio 9.12 (Minimi quadrati) Continuando l’esempio precedente la solu-zione nel senso dei minimi quadrati puo essere trovata nel seguente modo

AT A = 1 3 5

2 4 6

1 23 45 6

=

35 44

44 56

AT b = 1 3 5

2 4 6

011

=

8

10

ossia otteniamo il sistema 35x1 + 44x2 = 8

44x1 + 56x2 = 10

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316 Capitolo 9

A = 35 44 8

44 56 10

35 44 844 56 10

1 44/35 8/35 (R1/35)44 56 10

1 44/35 8/350 24/35 −2/35 (R2 − 44R1)

1 44/35 8/350 1 −1/12 (R2 · 35/24)

x1 +4435

x2 =835

x2 = − 112

x2 = − 112

x1 =835

+4435· 112

=24 + 11

105=

35105

=13

Ossia x =(

13,− 1

12

)T

e la soluzione al problema nel senso dei minimi quadrati.

Chiaramente

Ax 6= b, Ax =

1/62/37/6

6=

011

e l’errore commesso sara

‖Ax− b‖2 =√

1/36 + 1/9 + 1/36 = 0. 4082.

Si noti che algoritmicamente abbiamo costruito la fattorizzazione di Choleskypoiche AT A e una matrice simmetrica definita positiva.

9.2.3 Retta dei minimi quadrati

Supponiamo di cercare di costruire un modello lineare che ci descriva bene ilcomportamento di dati sperimentali. Per esempio

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Autovalori e autovettori 317

• Possiamo variare il carico applicato a una struttura e misurare le deformazioniche esso produce. Se il carico non e troppo grande possiamo immaginare che ilvalore y misurato con l’estensimetro sia legato al carico x tramite una relazionedi elasticita lineare del tipo y = a + bx.

• Supponiamo che vengano stampate x copie di una rivista a un costo effettivo y.Possiamo valutare le moli di stampa e i costi settimanalmente. Per prevederei costi della settimana futura si potrebbe assumere y = a + bx, ossia unarelazione lineare.

Nei precedenti esempi, ammesso che il modello scelto sia esatto (cosa che in gene-rale non e vera) e che i dati sperimentali relativi ai valori di x e y non siano affettida errori di misurazione, avremo una serie di valori (xi,yi), i = 1, . . . ,m per i qualipretendiamo

yi = a + bxi, i = 1, . . . ,m

in altre parole un sistema di m equazioni nelle due incognite a e b. Ossia

1 x1

1 x2

......

1 xm

a

b

=

y1

...ym

In genere m À 2 e il modello, cosı come le misurazioni, non saranno perfetti percui la determinazione di a e b risulta impossibile nel senso classico.Esempio 9.13 (Retta dei minimi quadrati) Supponiamo di avere le seguentiquattro misurazioni

xi 0 1 2 5

yi 0 1 3 4

che corrispondono al sistema sovradeterminato

1 01 11 21 5

a

b

=

0134

.

Abbiamo il sistema delle equazioni normali con

AT A = 4 8

8 30

, AT y =

8

27

.

La cui soluzione puo essere facilmente calcolata (verificare come esercizio) e fornisce

a = 3/7, b = 11/14.

La retta approssimante i dati e quindi

y =37

+1114

x.

Nella Figura 9.3 riportiamo il risultato ottenuto.

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318 Capitolo 9

0 1 2 3 4 5 60

1

2

3

4

5

6

x

y

Figura 9.3 Retta dei minimi quadrati.

Esercizi

Esercizio 9.1 Per ciascuna delle seguenti matrici

(i) A =

2 7

7 2

(ii) A =

4 −3 1

2 −1 1

0 0 2

(iii) A =

0 −2 1

2 −5 2

−1 2 −2

(iv) A =

3 −2 0

0 1 0

−4 4 1

(v) A =

−2 −6 10

−4 3 5

4 −3 −5

(vi) A =

2 0 1

−1 1 0

2 0 1

(vii) A =

3 −3 1

2 −2 1

0 0 1

(viii) A =

1 0 0 1

0 4 −2 0

0 3 −1 0

0 0 0 1

a) calcolare i rispettivi autovalori e autovettori;

b) determinare se la matrice A e diagonalizzabile, ed in caso affermativo calcolare lematrici V , V −1 e D tali che S−1AS = Λ.

Esercizio 9.2 Verificare che ciascuno dei seguenti sistemi lineari Ax = b, con

(i) A =

1 1

2 −1

1 2

, b =

1

0

1

, (ii) A =

3 1

2 −2

1 1

, b =

1

2

−1

,

(iii) A =

1 2

3 4

5 6

, b =

1

0

1

, (iv) A =

1 0

1 1

1 3

1 4

, b =

0

1

2

5

,

non ammette soluzione e determinarne una soluzione nel senso dei minimi quadrati.Calcolare inoltre la norma 2 del residuo r = Ax− b.

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Autovalori e autovettori 319

Esercizio 9.3 Calcolare la norma 1 e ∞ delle matrici dell’Esercizio 8.5.

Esercizio 9.4 Stabilire se i seguenti valori numerici associati a un generico vettorex ∈ IRn rappresentano una norma di vettore oppure no

(a) ‖x‖a =

n∑i=1

1

xi, (b) ‖x‖b =

n∑i=1

x2i , (c) ‖x‖c =

(n∑

i=1

|xi|3)1/3

.

Esercizio 9.5 Data A matrice quadrata dimostrare che A e AT hanno gli stessi auto-valori (ma non autovettori).

Esercizio 9.6 Dire per quali numeri complessi z e valida la relazione

| z − z | = | z |.

Esercizio 9.7 Calcolare l’area della regione del piano complesso definita dalle seguentidisuguaglianze,

|z| ≤ 1, Re(z) ≥ 0, Im(z) ≤ (1−Re(z) )5 .

Esercizio 9.8 Risolvere le seguenti equazioni nel campo dei numeri complessi

8w3 = 1, z5 = |z|, z4 = (1 + i).

Esercizio 9.9 Impostare il problema del calcolo della parabola dei minimi quadratip(x) = a + bx + cx2 per l’approssimazione dei dati (xi,yi), i = 1,2,. . . ,N con N > 2.

Esercizio 9.10 Nella tabella sottostante sono riportati i valori della temperatura rile-vata al suolo in un aeroporto durante la prima parte di una giornata,

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 138 8 7 7 6.5 6 6.5 10 12 14 18 20 25 25

approssimare questi dati attraverso la retta dei minimi quadrati e fare una previsionedella temperatura per le 14.

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320

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10Vettori geometrici, rette e piani

10.1 Vettori in geometria

In questo capitolo analizzeremo le connessioni che esistono tra i concetti di vettoreapplicato e di sistema lineare. L’idea fondamentale e quella di potere rappresentaretramite un vettore colonna la posizione di un punto relativamente alla posizionedi un’altro una volta assegnati degli assi di coordinate.

10.1.1 Vettori applicati

Gli argomenti che seguono valgono sia nel caso della geometria del piano che dellospazio, anche se per semplicita parleremo prevalentemente del piano. Indichiamocon R2 il piano euclideo usuale (gia introdotto nel Capitolo 1) e con R3 lo spazioeuclideo tridimensionale1.

Fissiamo innanzitutto un punto O e diamo la seguente definizione.

Definizione 10.1 (Vettore applicato) Un vettore applicato in O e un segmen-to orientato con primo estremo il punto O in R2 (o in R3) e secondo estremo unaltro punto P in R2 (o in R3). Tale vettore e rappresentato da una freccia cheparte da O e arriva a P e indicato come −−→OP .

Esempio 10.1 (Vettori e forze) Nell’ambito della fisica i vettori applicati sonoutilizzati in diversi contesti. In particolare servono a indicare l’azione di una forzaspecificando contemporaneamente il punto di applicazione della stessa, l’intensitae la direzione. Tali forze come e noto possono essere sommate originando nuoveforze aventi lo stesso punto di applicazione ma una diversa intensita e direzione.

Se indichiamo con V 2 l’insieme dei vettori applicati in O possiamo costruire un’ap-plicazione biiettiva da R2 a V 2 che ad ogni punto P di R2 associa il vettore appli-cato −−→OP . In particolare all’origine O viene associato il vettore −−→OO detto vettore

1Non e questo il luogo dove fornire una descrizione rigorosa della geometria euclidea e dei suoiassiomi. Rimandiamo per questo a un buon testo delle superiori.

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322 Capitolo 10

O

P

Figura 10.1 Vettore applicato.

nullo. Dunque, una volta fissata l’origine, e evidente che possiamo identificarei punti del piano con i vettori applicati nell’origine. In modo analogo possiamoprocedere e costruire una applicazione biiettiva da V 3, spazio dei vettori applicatitridimensionali, a R3.

Osservazione 10.1 Naturalmente un vettore puo essere considerato applicato aun qualunque altro punto dello spazio. Per esempio la notazione −−→QP indica unvettore applicato in Q ossia avente come primo estremo il punto Q e secondoestremo il punto P .

La somma di due vettori applicati puo essere definita cosı

Definizione 10.2 (Regola del parallelogramma) Dati due vettori applicati−−→OP e −−→OQ in V 2 la loro somma −−→OP +−−→OQ e data dal vettore applicato −−→OR dove Re il secondo estremo del vettore applicato −−→QR parallelo a −−→OP (ossia il vertice delparallelogramma individuato da O, P e Q come nella Figura 10.2).

O

P

Q

R

O

P

Q

R

Figura 10.2 Regola del parallelogramma (sinistra). Situazione con vettori allineati(destra).

Si noti che la regola precedente si applica anche nel caso di vettori allineati. Pervettori in V 3 il vettore somma −−→OR giace nel piano identificato dai vettori −−→OP e−−→OQ.

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Vettori geometrici, rette e piani 323

Possiamo definire anche l’opposto di un vettore applicato. L’opposto del vettore−−→OP e il vettore −−−→OP =

−−→OP ′, dove P ′ e il punto simmetrico di P rispetto ad O

sulla retta passante per O e P .

O

P

P′

Figura 10.3 Opposto di un vettore.

La somma di vettori cosı definita soddisfa alle seguenti proprieta che possono esserefacilmente verificate.

Proposizione 10.1 Siano −−→OP , −−→OQ, −−→OR tre vettori applicati in V 2 (o in V 3).Allora valgono

1. proprieta associativa

(−−→OP +−−→OQ) +−−→

OR = −−→OP + (−−→OQ +−−→

OR);

2. proprieta commutativa−−→OP +−−→

OQ = −−→OQ +−−→

OP ;

3. esistenza elemento neutro−−→OP +−−→

OO = −−→OP ;

4. esistenza opposto −−→OP + (−−−→OP ) = −−→

OO.

Inoltre possiamo moltiplicare un vettore per un numero reale

Definizione 10.3 (Prodotto per uno scalare) Sia α in R e −−→OP in V 2 (o inV 3) allora il prodotto α

−−→OP = −−→

OQ dove Q e il punto sulla retta per O e P tale cheil rapporto tra la lunghezza del segmento OP e quella del segmento OQ e uguale a|α|.La moltiplicazione di un vettore per un numero o scalare2 soddisfa alle seguentiproprieta.

2La denominazione scalare deriva dall’azione di scala che il numero attua sul vettore nelprodotto numero vettore. Di qui la terminologia prodotto per uno scalare.

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324 Capitolo 10

O

P

Q

α > 0

O

P

Q

α < 0

Figura 10.4 Moltiplicazione di un vettore per un numero.

Proposizione 10.2 Siano −−→OP , −−→OQ due vettori applicati appartenenti a V 2 (o aV 3) e α, β numeri. Allora valgono

1. proprieta distributive

α(−−→OP +−−→OQ) = α

−−→OP + α

−−→OQ;

(α + β)−−→OP = α−−→OP + β

−−→OP ;

2. proprieta associativa(αβ)−−→OP = α(β−−→OP );

3. esistenza elemento neutro e nullo

1 · −−→OP = −−→OP, 0 · −−→OP = −−→

OO.

Il contenuto delle proposizioni 10.1 e 10.2 puo essere riassunto dicendo che V 2 eV 3 sono spazi vettoriali su R. Un sottoinsieme W di V 2 (o V 3) chiuso rispettoalla somma ed al prodotto per uno scalare e detto sottospazio vettoriale. OvveroW ⊆ V tale che per ogni −−→OP , −−→OQ vettori applicati appartenenti a W

−−→OP +−−→

OQ ∈ W α−−→OP ∈ W ∀α ∈ R.

Sono evidenti a questo punto molte analogie tra il concetto di vettore applicatoe il concetto astratto di vettore algebrico introdotto nel Capitolo 7. Nel prossimoparagrafo vedremo di formalizzare tali analogie.

10.1.2 Coordinate

Se ora consideriamo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nel piano conorigine nel punto O, questo lo si puo identificare con l’insieme R2 delle coppieordinate (x,y) di numeri reali. Dato un qualunque punto P in R2 sappiamo chea esso possiamo associare un unico vettore −−→OP in V 2. In particolare potremo

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Vettori geometrici, rette e piani 325

associare ad ogni vettore applicato −−→OP la coppia di coordinate che caratterizza ilpunto P e potremo scrivere (vedi la Figura 10.5)

−−→OP =

x

y

,

dove x e y saranno chiamati le componenti del vettore applicato. In modo deltutto analogo introducendo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nellospazio3 possiamo associare ai vettori applicati di V 3 la terna di coordinate (x,y,z)e scrivere

−−→OP =

x

y

z

.

Le coordinate vengono convenzionalmente scritte come vettori colonna al fine dipoter usare in modo piu diretto le regole di calcolo dell’algebra lineare che abbiamovisto nel Capitolo 7.

P=(x,y)

x

y

O i

j

P=(x,y,z)

x

y

O

z

i

k

j

Figura 10.5 Vettori e sistemi di coordinate ortogonali in R2 e R3.

Osservazione 10.2 Per indicare un vettore una volta fissato il punto di appli-cazione O con l’origine del sistema di riferimento si utilizzano anche le notazionibasate sulle lettere dell’alfabeto in grassetto come v, w, . . . oppure con il sopras-segno di vettore ~v, ~w, . . . Nel seguito per brevita di notazione useremo la primaconvenzione.

Abbiamo quindi visto che a ogni vettore applicato v in V 2 o V 3 e possibile associareun vettore colonna (algebrico) di coordinate.

3Solitamente la terna di assi coordinati e scelta con orientazione destrorsa, vale a dire che seindice e medio della mano destra puntano rispettivamente nel verso positivo degli assi z e x ilpollice punta nel verso positivo dell’asse y.

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326 Capitolo 10

La lunghezza di un vettore o modulo del vettore sara indicata con |v| e valerispettivamente

|v| =√

x2 + y2, |v| =√

x2 + y2 + z2.

Il modulo corrisponde quindi alla norma euclidea del vettore colonna algebrico chene caratterizza le coordinate. Un vettore e quindi caratterizzato da una lunghezza,una direzione (la retta a cui appartiene l’asse del vettore) e un verso (quello dellafreccia).

Un versore o vettore unitario e un vettore di lunghezza uno. Dato un qua-lunque vettore non nullo esso puo essere reso unitario

vers(v) =v|v|

ossia, come si usa dire, normalizzato.I versori relativi agli assi coordinati sono indicati con le lettere i, j e k. Per

esempio in V 2 avremo

i = 1

0

, j =

0

1

,

mentre in V 3 avremo

i =

100

, j =

010

k =

001

.

Proposizione 10.3 Indichiamo con i e j i versori in V 2 relativi a un riferimentocartesiano ortogonale. Allora ogni vettore v in V 2 di coordinate x e y puo esserescritto come

v = xi + yj.

La verifica del risultato e immediata ed e lasciata come esercizio. Analogamentein V 3 avremo

v = xi + yj + zk.

Si noti che i versori degli assi coordinati non sono altro che i vettori della basecanonica introdotta nel Capitolo 7 e rappresentano quindi un’insieme di generatoriper il piano (rispettivamente lo spazio). In simboli

Span(i,j) = xi + yj : x,y ∈ R = V 2, Span(i,j,k) = xi + yj + zk : x,y,z ∈ R = V 3.

Si puo dimostrare che data una qualunque altra base di V 2 o V 3 il numero divettori che la compone e sempre lo stesso, ossia rispettivamente 2 e 3. Il numerodi elementi della base viene detto dimensione dello spazio vettoriale. Abbiamoquindi dim(V 2) = 2 e dim(V 3) = 3.

Esempio 10.2 (Vettori applicati e vettori colonna) Consideriamo il vettorev in V 2

v = 4−3

allorav =

4

0

+

0−3

= 4i− 3j.

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Vettori geometrici, rette e piani 327

Analogamente per il vettore v in V 3

v =

−725

possiamo scrivere

v =

−700

+

020

+

005

= −7i + 2j + 5k.

Si noti che la somma definita dalla regola del parallelogramma coincide con lasomma di vettori algebrici definita nel Capitolo 7. Avremo quindi che dati i vettori

v =−2

3

, w =

5

2

,

v + w =−2 + 5

3 + 2

=

3

5

.

Lo stesso discorso vale per la moltiplicazione per uno scalare per cui

3v = 3 · (−2)

3 · 5

=

−6

15

.

Dall’esempio precedente risulta evidente come la relazione tra vettori geometrici ealgebrici sia vincolata alla scelta di un riferimento o, analogamente, di una base diversori per gli assi coordinati4. Infatti al variare del riferimento a uno stesso vettorealgebrico corrispondera un diverso vettore geometrico dato che, come abbiamovisto nel Capitolo 8, le componenti di un vettore rispetto ad una data base sonouniche.L’algebra dei vettori risulta quindi particolarmente vantaggiosa nell’eseguire delleoperazioni di carattere intrinsecamente geometrico senza fare riferimento esplicitoalla scelta degli assi coordinati.

Esempio 10.3 (Coordinate polari e sferiche) I vettori applicati potrannoessere rappresentati oltre che in coordinate cartesiane, anche in coordinate polarie sferiche. Dato il vettore

v =x

y

indicando con θ in [0,2π) l’angolo compreso tra la retta asse del vettore e l’assedelle x e con r = |v| =

√x2 + y2 abbiamo le relazioni

x = r cos θ, y = r sin θ.

4Chiaramente non e necessario che il riferimento sia ortogonale e i risultati che abbiamoenunciato possono essere facilmente estesi a qualunque scelta di assi coordinati aventi comeversori vettori linearmente indipendenti.

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328 Capitolo 10

La coppia (r,θ) rappresenta le coordinate polari del vettore. Analogamente nelcaso di un vettore in V 3

v =

x

y

z

abbiamo con r = |v| =√

x2 + y2 + z2

x = r sin φ cos θ, y = r sin φ sin θ, z = r cosφ,

con θ in [0,2π) e φ in [0,π] angoli come nella Figura 10.6. La terna (r,θ,φ)rappresenta le coordinate sferiche del vettore.

v

x=rcosθ

y=rsinθ

O

r=|v|

θ

v

x=r sinφ cosθ

y=r sinφ sinθO

z=rcosφ

r=|v|

θ

φ

Figura 10.6 Coordinate polari e sferiche.

Concludiamo questo paragrafo osservando che dati due punti P e Q in R2 dicoordinate rispettivamente (x1,y1) e (x2,y2) essi individuano il vettore applicato

−−→PQ =

x2 − x1

y2 − y1

.

La distanza tra i due punti PQ sara uguale alla lunghezza del vettore −−→PQ quindi

PQ =√

(x2 − x1)2 + (y2 − y1)2.

Analogamente nel caso tridimensionale avremo

PQ =√

(x2 − x1)2 + (y2 − y1)2 + (z2 − z1)2.

10.1.3 Prodotto scalare e vettoriale

Abbiamo osservato come i vettori geometrici nel piano e nello spazio possonoessere messi in corrispondenza biunivoca con i vettori colonna di dimensione 2e 3 rispettivamente. In modo del tutto naturale quindi si estendono ai vettori

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Vettori geometrici, rette e piani 329

geometrici i concetti di combinazione lineare di vettori e di lineare dipendenza eindipendenza di vettori. Sono di immediata verifica le due seguenti proprieta

• Due vettori in V 2 sono linearmente dipendenti se si trovano sulla stessa retta.

• Due vettori in V 3 sono linearmente dipendenti se giacciono nello stesso piano.

Per la verifica della prima proprieta si veda l’Esempio 8.16 del Capitolo 8, mentreper la seconda basta osservare che in R3 dire che un vettore e combinazione linearedi altri due vettori significa geometricamente dire che il vettore giace nel piano in-dividuato dagli altri due vettori (supposti linearmente indipendenti). Ricordiamoinoltre che il numero massimo di vettori linearmente indipendenti in V 2 sara duementre in V 3 sara tre.

Il prodotto scalare di due vettori

v = x1

y1

, w =

x2

y2

risulta quindi definito come

v ·w = x1x2 + y1y2.

Analogamente nello spazio avremo

v ·w = x1x2 + y1y2 + z1z2.

Abbiamo gia visto che tale prodotto soddisfa alle proprieta dell’usuale prodottorighe per colonne delle matrici ossia

1. proprieta distributiva

v · (u + w) = v · u + v ·w;

2. dato α numero reale(αv) ·w = v · (αw).

Il prodotto scalare e chiaramente commutativo v · w = w · v. Abbiamo inoltrevisto che v · v = |v|2 e che v ·w = 0 se e solo se i vettori v e w sono ortogonali.

Osservazione 10.3 Consideriamo il prodotto scalare di un vettore v = xi+ yj+zk con i versori i, j, k degli assi coordinati. Otteniamo

v · i = (xi + yj + zk) · i = x(i · i) + y(j · i) + z(k · i) = x,

e analogamente v · j = y e v · k = z. Ossia il risultato del prodotto scalare e lacomponente del vettore rispetto al versore.

Geometricamente, sia nel piano che nello spazio, vale la seguente

Proposizione 10.4 Se indichiamo con φ l’angolo in [0,π] compreso tra i duevettori v e w abbiamo la relazione

v ·w = |v||w| cos φ.

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330 Capitolo 10

v

O

|v|

w

ψφ=θ−ψ |w|

x2

x1

y2

y1

Figura 10.7 I vettori v e w nel piano.

Dimostrazione. Per semplicita dimostriamo l’identita in V 2. Utilizzando le coordi-nate polari (|v|,θ) e (|w|,ψ) avremo

v ·w = |v||w|(cos θ cos ψ + sin θ sin ψ).

Supponendo φ = θ − ψ (si veda la Figura 10.7) e utilizzando le relazioni

cos θ = cos φ cos ψ − sin φ sin ψ, sin θ = cos φ sin ψ + sin φ cos ψ

otteniamo

v ·w = |v||w|(cos θ cos ψ + sin θ sin ψ)

= |v||w|(cos2 ψ cos φ− sin φ sin ψ cos ψ + sin2 ψ cos φ + sin ψ sin φ cos ψ)

= |v||w| cos φ(cos2 ψ + sin2 ψ)

= |v||w| cos φ.

Esempio 10.4 (Lavoro di una forza) Dalla fisica e noto che il lavoro compiutoda una forza costante F che sposta il suo punto di applicazione da un punto P aun punto Q e dato dal prodotto della forza per il vettore spostamento −−→PQ

L = F · −−→PQ = |F||−−→PQ| cosφ,

dove φ e l’angolo tra l’asse della forza e il segmento PQ. Solo se la forza eortogonale allo spostamento il lavoro sara nullo.

A differenza del prodotto scalare il prodotto vettoriale e definito soltanto pervettori nello spazio tridimensionale.

Definizione 10.4 (Prodotto vettoriale) Dati due vettori

v =

x1

y1

z1

w =

x2

y2

z2

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Vettori geometrici, rette e piani 331

il loro prodotto vettoriale, denotato con v ×w, e definito come

v ×w =

y1z2 − z1y2

z1x2 − x1z2

x1y2 − y1x2

Il risultato e quindi un vettore. Un facile modo mnemonico per ricordare la defi-nizione precedente e basato sul determinante. Infatti introdotti i versori i, j e kdella base canonica si ha v = x1i+y1j+z1k e w = x2i+y2j+z2k. Di conseguenza

v ×w = (y1z2 − z1y2)i + (z1x2 − x1z2)j + (x1y2 − y1x2)k.

Ricordando la regola delle diagonali per il calcolo del determinante abbiamo

v ×w =

∣∣∣∣∣i x1 x2

j y1 y2

k z1 z2

∣∣∣∣∣ .

Dal punto di vista geometrico il prodotto vettoriale e caratterizzato dalla seguente

Proposizione 10.5 Dati due vettori v e w il loro prodotto vettoriale v×w e taleche

1. il vettore v ×w e ortogonale al piano di v e w;

2. i vettori v, w e v ×w formano una terna destrorsa;

3. se indichiamo con φ l’angolo in [0,π] compreso tra i due vettori

|v ×w| = |v||w| sin φ.

v

w

v × w

φ

Figura 10.8 Prodotto vettoriale.

La situazione e rappresentata nella Figura 10.8. Dalla 3) discende immediatamenteche v × v = 0 essendo φ = 0. Inoltre due vettori v e w sono paralleli se e solo sev ×w = 0.

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332 Capitolo 10

v

w

φ

0

Q

P

Figura 10.9 Prodotto vettore e area del triangolo OPQ.

Osserviamo che la formula 3) indica anche che la lunghezza del vettore v×we uguale all’area del parallelogramma costruito su v e w (si veda la Figura 10.9).Il prodotto vettoriale infine soddisfa le seguenti proprieta

1. proprieta anticommutativa

v ×w = −w × v;

2. proprieta distributiva

v × (u + w) = v × u + v ×w;

3. per ogni α numero

(αv)×w = v × (αw) = α(v ×w).

Esempio 10.5 (Forze e campi) Il concetto di campo vettoriale puo essere sinte-tizzato dicendo che equivale ad assegnare in ogni punto P dello spazio un vettorev = v(P ). In ambito elettromagnetico possiamo descrivere la forza F che agiscesulla carica q che si muove con velocita u tramite la formula

F = q(E + u×B),

dove E indica il campo elettrico e B il campo magnetico nel punto dove si trovala carica.

Concludiamo questo paragrafo osservando che dati tre vettori u, v e w in V 3 illoro prodotto misto definito come u · (v ×w) soddisfa la seguente relazione

u · (v ×w) = det

u v w

.

Dalla proprieta precedente deriva anche l’invarianza del prodotto misto rispetto apermutazioni cicliche dei tre vettori ossia5

u · (v ×w) = w · (u× v) = v · (w × u).

5L’uso delle parentesi nella scrittura del prodotto misto e in realta superfluo in quantol’espressione (u · v)×w non ha senso.

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Vettori geometrici, rette e piani 333

Geometricamente il valore assoluto del prodotto misto rappresenta il volume delparallelepipedo costruito sui vettori v, w e u. In altre parole il valore assolutodel determinante di una matrice 3 × 3 rappresenta il volume del parallelepipedocostruito sui vettori colonna della matrice (si veda la Figura 10.10). Abbiamoquindi che u · (v×w) = 0 se e soltanto se i tre vettori sono linearmente dipendentiossia sono complanari.

v

w

v × w

φ

u

Figura 10.10 Prodotto misto e volume del parallelepipedo.

10.1.4 Rette e piani

L’uso del calcolo vettoriale semplifica notevolmente lo studio dei vari tipi di equa-zioni per rette e piani.

Equazione di una rettaUna retta nello spazio puo essere individuata da

i) due punti distinti,

ii) un punto e un vettore direzione.

Nel caso ii) possiamo scrivere l’equazione della retta passante per il punto e pa-rallela al vettore. Indicando con P0 il punto di coordinate (x0,y0,z0) e con v ilvettore

v =

l

m

n

avremo che il generico punto P di coordinate (x,y,z) appartenente alla retta siidentifica tramite la relazione

−−→OP = −−→

OP0 + tv,

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334 Capitolo 10

al variare di t in R. L’equazione precedente prende il nome di equazione parame-trica vettoriale della retta. In forma di componenti avremo

x

y

z

=

x0

y0

z0

+

tl

tm

tn

Se l, m e n sono diversi da zero allora t puo essere eliminato e otteniamo leequazioni cartesiane

x− x0

l=

y − y0

m=

z − z0

n.

In particolare se v e un versore, ossia l2 + m2 + n2 = 1, allora l, m e n sono detticoseni direttori della retta e rappresentano i coseni degli angoli che la retta formacon gli assi coordinati.

Il caso i) puo essere ricondotto facilmente al secondo. Indicati con P0 e P1

i due punti di coordinate rispettivamente (x0,y0,z0) e (x1,y1,z1) allora il vettorev = −−−→

P0P1 di componenti

v =

x1 − x0

y1 − y0

z1 − z0

sara parallelo alla retta. Ne consegue l’equazione parametrica in forma di compo-nenti

x

y

z

=

x0

y0

z0

+

t(x1 − x0)t(y1 − y0)t(z1 − z0)

Eliminando il parametro t otteniamo le equazioni cartesiane

x− x0

x1 − x0=

y − y0

y1 − y0=

z − z0

z1 − z0.

Da quanto detto e evidente che due rette sono parallele solo se i loro vettoridirezionali sono linearmente dipendenti. Analogamente saranno ortogonali solo selo sono i loro vettori direzionali.

I risultati appena visti si possono ricondurre facilmente al caso di rette nelpiano (esercizio).

Esempio 10.6 (Rette e sistemi lineari) Una retta r nel piano puo dunqueessere identificata tramite un equazione lineare del tipo

ax + by = c.

Dove per esempio a = 1/l, b = −1/m e c = x0/l − y0/m nella situazione ii) vistain precedenza. Un sistema lineare di due equazioni nelle due incognite x e y

a1x + b1y = c1a2x + b2y = c2

rappresenta geometricamente un sistema che coinvolge due rette r1 e r2 in un piano.Sappiamo dall’algebra lineare che tale sistema potra avere (si veda la Figura 10.11)

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Vettori geometrici, rette e piani 335

r1

r2

r1

r2

r1

r2

Figura 10.11 Rette e sistemi lineari.

a) un’unica soluzione ⇒ le due rette si intersecano in un solo punto;

b) infinite soluzioni ⇒ le due rette sono coincidenti;

c) nessuna soluzione ⇒ le due rette non hanno punti in comune, ossia sonoparallele.

Utilizzando l’eliminazione di Gauss siamo quindi in grado di risolvere completa-mente il problema geometrico.

Equazione di un pianoUn piano nello spazio puo essere individuato da

i) tre punti distinti,

ii) un punto e un vettore ortogonale al piano.

Anche in questo caso consideriamo prima la situazione ii). Sia P0 il punto dicoordinate (x0,y0,z0) e indichiamo con n il vettore ortogonale al piano

n =

a

b

c

Indicato con P il generico punto del piano, l’equazione vettoriale del piano passanteper P0 e ortogonale a n sara

n · −−→P0P = 0.

In coordinate avremo

a(x− x0) + b(y − y0) + c(z − z0) = 0,

ossiaax + by + cz = d,

con d = ax0 + by0 + cz0.Se n e un versore, ossia a2 + b2 + c2 = 1, allora a, b e c sono detti coseni

direttori del piano. Chiaramente se d = 0 il piano passa per l’origine.

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336 Capitolo 10

Nel caso i) indichiamo con P0, P1 e P2 i punti di coordinate rispettivamente(x0,y0,z0), (x1,y1,z1) e (x2,y2,z2). Ci possiamo ricondurre al caso ii) se determinia-mo le componenti di un vettore ortogonale al piano. Basta osservare che i vettori−−−→P0P1 e −−−→P0P2 appartengono al piano. Ne consegue che il loro prodotto vettorialesara ortogonale al piano stesso. Poniamo

n = −−−→P0P1 ×−−−→P0P2 =

x1 − x0

y1 − y0

z1 − z0

×

x2 − x0

y2 − y0

z2 − z0

.

L’equazione vettoriale del piano sara quindi

n · −−→P0P = 0.

Lasciamo come esercizio la determinazione dell’espressione del piano in coordinatecartesiane.

Esempio 10.7 (Equazione di un piano) Determiniamo l’equazione del pianopassante per i punti P0, P1 e P2 di coordinate rispettivamente (5,3,− 1), (2,−2,0)e (3,1,1). Abbiamo

n = −−−→P0P1 ×−−−→P0P2 =

−3−51

×

−2−22

=

−84−4

.

Otteniamo dunque l’equazione del piano

−8(x− 5) + 4(y − 3)− 4(z + 1) = 0

che puo essere riscritta come

2x− y + z = 6.

Esempio 10.8 (Piani e sistemi lineari) Una piano nello spazio puo quindiessere identificato tramite un equazione lineare del tipo

ax + by + cz = d.

Un sistema lineare di tre equazioni nelle tre incognite x, y e z

a1x + b1y + c1z = d1a2x + b2y + c2z = d2a3x + b3y + c3z = d3

rappresenta geometricamente un sistema che coinvolge tre piani nello spazio. Sap-piamo dall’algebra lineare che tale sistema potra avere

1. un’unica soluzione ⇒ i piani si intersecano in un solo punto. La retta diintersezione di due dei tre piani interseca il terzo in un solo punto, comune atutti e tre;

2. nessuna soluzione ⇒ i piani non hanno nessun punto in comune. Sono trepiani paralleli, oppure ognuno e parallelo alla retta di intersezione degli altridue;

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Vettori geometrici, rette e piani 337

3. infinite soluzioni dipendenti da un parametro ⇒ i tre piani hanno una rettain comune;

4. infinite soluzioni dipendenti da due parametri ⇒ i tre piani sono coincidenti.

Per esempio nella situazione 3) le equazioni parametriche della retta di intersezionesi ottengono risolvendo il corrispondente sistema lineare che avra infinite soluzionidipendenti da un parametro. Tramite l’eliminazione di Gauss possiamo quindirisolvere il particolare problema geometrico.

Infine osserviamo che dati un piano di equazione ax + by + cz = d e un punto Pdi coordinate (x,y,z) la distanza di P dal piano e data dalla formula

|ax + by + cz − d|√a2 + b2 + c2

,

la cui verifica e lasciata come esercizio.

10.2 Trasformazioni lineari

Abbiamo visto nei Capitoli 7 e 8 che dato un vettore colonna x di dimensione ne una matrice A di dimensione m × n il prodotto x′ = Ax e un vettore colonnadi dimensione m. In altre parole la matrice A “trasforma” il vettore x in Rn nelvettore x′ in Rm. Questi tipi di trasformazioni sono detti trasformazioni linearidi Rn in Rm. L’esempio piu semplice si ha nel caso A = I matrice identita. In talcaso si parla di applicazione identica o identita, in quanto ogni vettore e associatoa se stesso.

Esempio 10.9 (Trasformazioni lineari) La matrice 3× 2

A =

1 12 −11 −3

definisce la trasformazione di R2 in R3

x′ = x + y,y′ = 2x− y,z′ = x− 3y.

Tale trasformazione associa a un vettore del piano un vettore dello spazio. Peresempio

A

( 1

0

)=

121

.

Se consideriamo il caso di vettori geometrici nel piano (o nello spazio) avremoquindi che il prodotto di una matrice A di tipo 2 × 2, (o 3 × 3), per tali vettorirappresentera una trasformazione nel piano (o nello spazio).

Tra i piu importanti operatori lineari nel piano e nello spazio abbiamo leriflessioni, le proiezioni e le rotazioni.

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338 Capitolo 10

P=(x,y) P’=(−x,y)

O

O O

OOO

P=(x,y) P=(x,y)

P’=(y,x)

P=(x,y)

P’=(x,0)

P=(x,y) P’=(x,0)

P=(x,y)

P’=(x’,y’)

φ

P’=(x,−y)

Figura 10.12 Riflessioni, proiezioni ortogonali e rotazioni nel piano.

Esempio 10.10 (Trasformazioni lineari nel piano) Consideriamo un puntoP nel piano di coordinate (x,y). Una generica trasformazione lineare del piano edefinita dal punto P ′ di coordinate (x′,y′) con

x′ = ax + byy′ = cx + dy

la matrice associata saraA =

a b

c d

.

• Operatori di riflessioneUna riflessione attorno all’asse y e caratterizzata da

x′ = −x, y′ = y.

ossiaa = −1, b = 0, c = 0, d = 1.

Una riflessione attorno all’asse x e caratterizzata da

x′ = x, y′ = −y.

ossiaa = 1, b = 0, c = 0, d = −1.

Una riflessione attorno alla retta y = x e caratterizzata da

x′ = y, y′ = x.

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Vettori geometrici, rette e piani 339

ossiaa = 0, b = 1, c = 1, d = 0.

• Operatori di proiezione ortogonale

Una proiezione ortogonale sull’asse delle x e definita da

x′ = x, y′ = 0

ossiaa = 1, b = 0, c = 0, d = 0.

Una proiezione ortogonale sull’asse delle y e definita da

x′ = 0, y′ = y

ossiaa = 0, b = 0, c = 0, d = 1.

• Operatori di rotazione

Consideriamo una rotazione (in senso antiorario) attorno all’origine di un’an-golo φ. Indicate con (r,θ) le coordinate polari di P

x = r cos θ, y = r sin θ,

dove r =√

x2 + y2, le coordinate polari di P ′ saranno

x′ = r cos(θ + φ), y′ = r sin(θ + φ).

In particolare avremo

x′ = r cos θ cosφ− r sin θ sin φ = x cosφ− y sin φ,y′ = r cos θ sinφ + r sin θ cos φ = x sin φ + y cos φ.

In notazione prodotto matrice-vettore possiamo dunque scrivere x′

y′

=

cos φ − sinφ

sin φ cosφ

x

y

.

La matrice A sara quindi definita da

a = cos φ, b = − sin φ, c = sin φ, d = cos φ.

ed e detta matrice di rotazione di un angolo φ.

In modo analogo e possibile definire riflessioni, proiezioni e rotazioni nello spazio.Un’ulteriore classe importante di operatori nel piano e nello spazio e quella deglioperatori di dilatazione e contrazione. Dato α > 0 in R e v in V 2 o V 3 allora

αv,

e detta una contrazione se 0 < α < 1 e una dilatazione di fattore α se α > 1. Seα = 1 abbiamo l’identita, se α = 0 ogni vettore e compresso nell’origine.

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340 Capitolo 10

10.2.1 Trasformazioni lineari e matrici

Una trasformazione lineare di Rn in Rm e quindi un’applicazione

LA : Rn → Rm

che associa a ogni elemento x di Rn un unico elemento x′ = LA(x) = Ax di Rm.Il vettore x′ si chiama immagine di x attraverso LA e A di tipo m×n e la matriceassociata alla trasformazione lineare. L’insieme

im(LA) = LA(Rn) = LA(x) |x ∈ Rn,e detto immagine della trasformazione lineare.

Dalle proprieta delle matrici discende immediatamente che una trasformazionelineare LA di matrice A soddisfa le seguenti relazioni6

• per ogni coppia di vettori x e y in Rn si ha

LA(x + y) = LA(x) + LA(y);

• indicato con α un numero in R si ha

LA(αx) = αLA(x).

Si noti che necessariamente avremo LA(0) = 0 e LA(−x) = −LA(x).Analogamente a quanto fatto per le funzioni reali di variabile reale possiamo

definire i concetti di iniettivita e suriettivita. Una applicazione lineare LA si dirainiettiva se trasforma vettori distinti in vettori distinti, ossia per ogni x′ in Rm

esiste un unico x in Rn tale che LA(x) = x′. Se inoltre im(LA) = Rm allora latrasformazione si dira suriettiva.

Esempio 10.11 (Trasformazioni e iniettivita) Consideriamo il caso del pianoV 2. Dire che una trasformazione di V 2 in V 2 e iniettiva equivale a dire che datix′ e y′ il sistema

x′ = ax + byy′ = cx + dy

nelle incognite x e y ha una unica soluzione. In forma matriciale a b

c d

x

y

=

x′

y′

.

Dall’algebra lineare sappiamo che questo e vero se e solo se la matrice associata einvertibile, ossia se il suo determinante ad− bc 6= 0. Per esempio si verifica subitoche le riflessioni e le rotazioni sono iniettive mentre le proiezioni non sono iniettive.

6Tali relazioni caratterizzano per l’appunto la linearita della trasformazione.

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Vettori geometrici, rette e piani 341

Dall’esempio precedente discende che una trasformazione lineare LA di matricequadrata A e iniettiva se e solo se la matrice associata A e invertibile. Possia-mo quindi considerare la trasformazione lineare di matrice A−1. La trasforma-zione LA−1 definita da LA−1(x) = A−1x e anch’essa una trasformazione lineare dimatrice quadrata ed e detta inversa della trasformazione LA.

Possiamo inoltre definire la composizione di generiche trasformazioni lineari.Date due matrici A e B di tipo q × m e n × q rispettivamente, esse definisconodue trasformazioni lineari LA e LB di Rm in Rq e di Rq in Rn rispettivamente. Inparticolare LA(x) e un elemento di Rq e quindi LB(LA(x)) e ben definito ed e inRn. Definiamo quindi la composizione di LB con LA e la indichiamo con LB LA

(LB LA)(x) = LB(LA(x)).

Avremo quindiLB(LA(x)) = LB(Ax) = BAx,

quindi e una trasformazione lineare di matrice BA. Dai risultati visti relativa-mente al prodotto tra matrici, abbiamo che non solo la composizione non commu-ta LB LA 6= LA LB ma non e nemmeno detto che sia definita la composizioneinversa LA LB . Geometricamente quindi il prodotto tra matrici corrisponde allacomposizione di trasformazioni lineari.

Nel caso di matrice quadrata A invertibile otteniamo immediatamente che

(LA LA−1)(x) = LA−1(LA(x)) = A−1Ax = x.

Esempio 10.12 (Rotazioni in senso orario) Se consideriamo la matrice dirotazione in senso antiorario nel piano

cosφ − sin φ

sin φ cosφ

la sua inversa e cosφ sin φ

− sin φ cosφ

che corrisponde quindi a una rotazione in senso orario nel piano.

Infine osserviamo che a ogni applicazione lineare di Rn in Rm e possibile associareun sottoinsieme detto nucleo7

ker(LA) = x ∈ Rn |L(x) = 0.In particolare, determinare il nucleo di una trasformazione lineare di matrice Aequivarra a risolvere il sistema lineare omogeneo

Ax = 0.

Abbiamo quindi che il nucleo consistera o del solo vettore nullo (se il sistemaammette una unica soluzione) o di infiniti vettori. Se la matrice A e quadrata,dal teorema di equivalenza visto nel Capitolo 8, abbiamo che LA e iniettiva se esolo se ker(LA) = 0. Si puo inoltre dimostrare che nel caso di matrice quadrata

7L’espressione ker deriva dalla parola inglese kernel che significa nucleo.

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342 Capitolo 10

LA e iniettiva se e solo se e suriettiva. Definendo il rango di una trasformazionelineare come il rango della matrice associata alla trasformazione vale il seguenteimportante teorema.

Teorema 10.1 (Teorema della dimensione) Sia LA da Rn in Rm una tras-formazione lineare. Allora

n = dim(ker(LA)) + rank (LA). (equazione dimenisionale)

10.3 Funzioni di piu variabili

Le trasformazioni lineari viste nel paragrafo precedente rappresentano un primoesempio di funzioni di piu variabili reali. Piu precisamente rappresentano unesempio di funzioni vettoriali di una variabile vettoriale.

Consideriamo inizialmente il caso piu semplice di funzione reali di variabilevettoriale. Possiamo estendere la definizione di funzione reale di una variabile alcaso di una funzione reale di n variabili nel modo seguente.

Definizione 10.5 (Funzione reale di piu variabili) Una funzione f :Rn→Rdi n variabili reali e una legge che assegna un numero reale unico f(x1,x2, . . . ,xn)a ciascun punto (x1,x2, . . . ,xn) appartenente a dom(f) ⊆ Rn, detto dominio dellafunzione.

Analogamente al caso delle funzioni in una variabile si definisce l’insieme immagineim(f) come

im(f) = f(x1,x2, . . . ,xn) : (x1,x2, . . . ,xn) ∈ dom(f).L’estensione del concetto di intervallo e effettuata in modo naturale considerandoil prodotto cartesiano di intervalli di R. Alcuni esempi di funzioni di piu variabilili abbiamo gia incontrati alla fine del Capitolo 5 e nell’Esempio 6.6 del Capitolo6. In probabilita inoltre si ricorrera spesso all’uso di funzioni di piu variabili.

Esempio 10.13 (Grafici di funzioni reali di piu variabili) Consideriamo ilcaso di funzioni di due variabili reali f : R2 → R. Per esempio le funzioni

f(x,y) =− 6y

2 + x2 + y2, f(x,y) =

sin(√

x2 + y2)√x2 + y2

.

I rispettivi grafici nel dominio [−10,10]×[−10,10] sono riportati nella Figura 10.13.Un altro modo di rappresentare graficamente una funzione f(x,y) consiste nelvisualizzare le sue curve di livello. Ossia si disegnano nel piano le curve f(x,y) = Cper diversi valori della costante C. Tali curve rappresentano quindi l’intersezionedella superficie con i piani orizzontali di equazione z = C (si veda la Figura 10.14).

Se l’immagine di una funzione di variabile vettoriale e un sottoinsieme di Rm siparla di funzioni vettoriali di variabile vettoriale. Per semplicita restringeremola nostra attenzione solo al caso m = n = 3. Una situazione particolarmenteimportante e quella in cui la funzione rappresenta un campo vettoriale. In talicircostanze la funzione viene solitamente indicata in grassetto. Quindi un campo

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Vettori geometrici, rette e piani 343

−10−5

05

10 −10−5

05

10

−2.5

−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

−10

−5

0

5

10

−10

−5

0

5

10−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

Figura 10.13 Grafici di superficie delle funzioni f(x,y) = −6y/(2 + x2 + y2) e f(x,y) =

sin(√

x2 + y2)/√

x2 + y2.

−10 −8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8 10−10

−8

−6

−4

−2

0

2

4

6

8

10

−10 −8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8 10−10

−8

−6

−4

−2

0

2

4

6

8

10

Figura 10.14 Curve di livello delle funzioni f(x,y) = −6y/(2 + x2 + y2) e f(x,y) =

sin(√

x2 + y2)/√

x2 + y2.

vettoriale F associa un vettore F(x,y,z) ad ogni punto (x,y,z) del suo dominio.Nello studio dei campi vettoriali una funzione reale di variabile vettoriale, ossiache assume solo valori scalari, e detta campo scalare.

Esempio 10.14 (Campo gravitazionale) Abbiamo gia visto come il campoelettromagnetico rappresenti un caso di campo vettoriale. Un altro esempio e datodal campo gravitazionale causato nel punto P (x,y,z) da una massa puntiforme mche si trova nel punto P0(x0,y0,z0)

F(P ) = F(x,y,z) =− km

|PP0|3(−−→PP0), k > 0,

dovePP0 =

√(x− x0)2 + (y − y0)2 + (z − z0)2

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344 Capitolo 10

e

−−→PP0 =

x− x0

y − y0

z − z0

.

Il campo vettoriale F in questo caso e diretto verso P0 e il suo modulo vale

|F| = km

|PP0|2.

La rappresentazione grafica dei campi vettoriali viene usualmente fatta utilizzandofrecce direzionali che caratterizzano graficamente il comportamento del campo (siveda la Figura 10.15).

−10 −8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8 10−10

−8

−6

−4

−2

0

2

4

6

8

10

P0

Figura 10.15 Campo gravitazionale.

Esercizi

Esercizio 10.1 In ciascuno dei seguenti casi si scrivano le coordinate e si rappresenti

graficamente il vettore applicato−−→PQ.

(i) P = (0,0,0),Q = (2,−1,3), (ii) P = (3,4,1),Q = (1,2,−1), (iii) P = (2,2,2),Q = (3,2,1).

Esercizio 10.2 Per ogni vettore assegnato si determini un vettore unitario avente lastessa direzione

(i)

1

0

−1

, (ii)

2

2

1

, (iii)

1

−2

−1

, (iv)

2

2

2

.

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Vettori geometrici, rette e piani 345

Esercizio 10.3 Siano v e w due vettori non nulli. Si dimostri che |v + w| = |v|+ |w|se e solo se v e w hanno direzioni uguali o opposte.

Esercizio 10.4 Si calcoli il prodotto vettoriale per ognuna delle seguenti coppie divettori

(i)

3

1

2

,

−1

1

−1

, (ii)

2

0

−1

,

1

3

3

, (iii)

−1

1

−1

,

3

1

2

, (iv)

−1

2

1

,

1

1

1

.

Esercizio 10.5 Calcolare le aree dei triangoli OPQ dove i punti P e Q hanno coordi-nate date dall’Esercizio 10.1.

Esercizio 10.6 Si calcoli il volume del parallelepipedo avente un vertice nel puntoP0(−1,1,2) e i vertici adiacenti nei punti P1(1,0,− 1), P2(1,0,1) e P3(0,1,0).

Esercizio 10.7 Determinare le equazioni parametriche della retta passante per i puntiP e Q dell’Esercizio 10.1.

Esercizio 10.8 In ciascuno dei seguenti casi si determini se l’intersezione del piano conla retta assegnata e un solo punto, una retta, oppure non c’e intersezione

(i)x− 2y − 3z = −1

y + 2z = 12x + y + 4z = 3

(ii)x + 3z = −1

2x− y + z = 2x + 2y − z = 5

(iii)x + 3y + 5z = 0

y + 2z + 3z = 0x− z = 1

Esercizio 10.9 Determinare il rango ed il nucleo delle trasformazioni lineari.

(i)

x′ = 2x + yy′ = 3x + y

(ii)

x′ = 2x + yy′ = −4x− 2y

(iii)

x′ = x cos θ − y sin θy′ = x sin θ + y cos θz′ = z

(iv)

x′ = x− yy′ = −x + yz′ = z

Calcolare ove possibile le corrispondenti trasformazioni lineari inverse.

Esercizio 10.10 Determinare le matrici di rotazione attorno all’asse x, all’asse y eall’asse z in V 3.

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ALogica e metodo matematico

A.1 Il linguaggio matematico

In Matematica si definiscono degli “oggetti matematici”, se ne studiano le pro-prieta, si fanno delle deduzioni logiche e si introducono tecniche opportune permanipolare gli oggetti definiti. In tutto questo esiste un approccio tipico del me-todo matematico che si avvale di un dato linguaggio e che utilizza la logica. Perquanto riguarda il linguaggio osserviamo che in Matematica le frasi vanno, di re-gola, prese “alla lettera”: niente doppi sensi. Inoltre, nel processo deduttivo, postecerte premesse seguono determinate conseguenze: non si puo scherzare, sbagliarele premesse puo portare a conseguenze inaccettabili.

A.1.1 Connettivi e quantificatori

Le frasi in Matematica contengono alcune parole chiave, alcuni di questi terminisi chiamano connettivi e sono riportati nella Tabella A.1.

Parole chiave Simbolo Nome

non ¬ negazionee ∧ congiunzioneo ∨ disgiunzionese . . . allora . . . ⇒ implicazione. . . se e solo se . . . ⇔ doppia implicazione

Tabella A.1 Connettivi del linguaggio matematico.

Prima di vedere all’opera questi simboli, occorre premettere qualche elemento dilogica elementare. Una proposizione logica e una frase della quale si puo inequivo-cabilmente dire, in un certo contesto, se e vera o se e falsa. Esempi di proposizionilogiche:

1. “11 e un numero dispari”

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348 Appendice A

2. “60 e divisibile per 3”

3. “65537 e un numero primo”

4. “la Terra e una stella”

5. “13 e un numero pari”

Le prime tre proposizioni elencate sono vere, le ultime due sono false. Possiamocollegare due proposizioni con i connettivi logici, otteniamo in questo modo unanuova proposizione. Nel seguito con i simboli P, Q, . . . denoteremo delle propo-sizioni a cui assegneremo il valore di verita: V se la proposizione e vera, F sela proposizione e falsa. Nella Tabella A.2 si riassume la tavola della verita per iconnettivi logici.

P Q ¬P P ∧Q P ∨Q P ⇒ Q P ⇔ Q

V V F V V V VV F F F V F FF V V F V V FF F V F F V V

Tabella A.2 Tavola della verita dei connettivi logici, P e Q sono proposizioni, V “vero”,F “falso”.

Esiste una stretta “parentela” tra connettivi e operazioni tra insiemi, per esempiopossiamo identificare l’insieme intersezione A ∩B come

A ∩B = x : x ∈ A ∧ x ∈ B ,e l’insieme unione A ∪B come

A ∪B = x : x ∈ A ∨ x ∈ B .Sottolineiamo che il connettivo di disgiunzione “o” va inteso nel senso di “almenouna delle due” e non nel senso di contrapposizione, cioe non nel senso di “una solatra le due”.

Esempio A.1 (Condizioni sufficienti e condizioni necessarie) Molte delleaffermazioni in Matematica sono del tipo “se e vera questa ipotesi P , allora evera la tesi Q”. Espresso in altro modo, “Condizione sufficiente affinche sia verala tesi Q e che sia vera l’ipotesi P”, oppure “Condizione necessaria affinche siavera l’ipotesi P e che sia vera la tesi Q”. Tali enunciati sono forme verbali dellaproposizione logica P ⇒ Q, che si legge “P implica Q”. Dalla Tabella A.2 si evinceche l’implicazione logica esclude che da una premessa vera si possa dedurre unaconclusione falsa. Attenzione, da premesse P false possiamo invece dedurre quelloche “vogliamo”, o meglio P ⇒ Q e vera qualsiasi sia il valore di verita di Q.

Quando diciamo che P ⇒ Q e vera non diciamo che Q sia vera ma chel’intera costruzione P ⇒ Q sia vera. Nel ragionamento deduttivo e coinvoltausualmente una catena di implicazioni. La conclusione finale sara vera se ciascunadelle implicazioni della catena e vera. Vediamo un banale esempio algebrico, la

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Logica e metodo matematico 349

proposizione “3x + 5 = 17 ⇒ x = 4”. Riassumiamo una possibile catena diimplicazioni

Proposizione Ragionamento Simboli

3x + 5 = 17 Si suppone veral’uguaglianza P

3x + 5 = 17 ⇒ 3x = 12Sottraendo 5 da duequantita uguali, si otten-gono quantita uguali

P ⇒ Q

3x = 12 ⇒ x = 4Dividendo per 3 duequantita uguali si otten-gono quozienti uguali

Q ⇒ R

Quindi l’implicazione 3x + 5 = 17 ⇒ x = 4 si potrebbe tradurre in modo formalecome (P ⇒ Q) ∧ (Q ⇒ R) ⇒ (P ⇒ R). Altri esempi di condizioni sufficienti: “seQ e un quadrato allora le sue diagonali sono perpendicolari”, “se N e divisibileper 4 allora N e pari”.

Altre asserzioni in Matematica sono del tipo “la tesi Q e vera se e solo se l’ipo-tesi P e vera”. Detto in altro modo, “condizione necessaria e sufficiente affinchesia vera la tesi Q e che sia vera l’ipotesi P”. In simboli, la freccia di implicazionedeve puntare sia da P a Q che da Q a P : P ⇔ Q.

Esempio A.2 (Insistiamo sulle condizioni necessarie) Diamo un esempio dicondizione necessaria prendendo spunto da semplici considerazioni di GeometriaEuclidea piana. Indichiamo con P l’affermazione “T e un triangolo” e consideriamole seguenti proposizioni,

Q: “T e un poligono inscrivibile in un cerchio”;

R: “T e un poligono che non ha piu di un angolo retto”.

La Geometria elementare ci indica che P ⇒ Q, e P ⇒ R, ovverosia che Q e R sonoentrambe condizioni necessarie affinche T sia un triangolo. Infatti, il fatto che ilpoligono T sia un triangolo e sufficiente per poter affermare che T sia inscrivibilein un cerchio e che T non abbia piu di un angolo retto. La proprieta Q esprimeuna proprieta posseduta dai triangoli ma che non e tipica dei triangoli, cioe non evera solo per loro: per esempio e vera anche per i quadrati, i trapezi isosceli e tantialtri poligoni. In altre parole, Q 6⇒ P , ovverosia l’implicazione Q ⇒ P e falsa (sidice anche che Q non implica P ). La situazione che rende una implicazione logicafalsa consiste nel trovarsi di fronte a un antecedente vero e un conseguente falso(si confronti con la Tabella A.2 delle verita).

Nel nostro caso, ma ha valore generale, la falsita di Q ⇒ P si dimostraesibendo un controesempio: un oggetto che verifichi Q ma non P . Per esempio unquadrato e un buon controesempio all’implicazione. La falsita dell’implicazioneQ ⇒ P si ottiene quindi nella forma “esiste almeno un poligono T inscrivibile inun cerchio che non sia un triangolo”.

La proposizione P ⇒ Q puo essere espressa in varie altre forme, tutte logica-mente equivalenti ad essa. Tali forme rappresentano delle regole, dei metodidi dimostrazione per ottenere il valore di verita dell’implicazione in esame. Per

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350 Appendice A

esempio

P ⇒ Q e logicamente equivalente a ¬Q ⇒ ¬P (contronominale)

P ⇒ Q e logicamente equivalente a P ∧ ¬Q ⇒ ¬P (per assurdo)

Esempio A.3 (Dimostrazione con forma contronominale) Per utilizzare ledue forme equivalenti citate sopra occorre saper negare una proposizione. Evitiamouna trattazione formale, speriamo che il lettore riesca ad acquisire tale capacitaseguendo i prossimi esempi.Consideriamo due interi positivi a, b e le proposizioni

P : “a · b e un numero intero dispari”;

Q: “a e b sono entrambi numeri dispari”.

Vogliamo dimostrare P ⇒ Q, per l’equivalenza della forma contronominale l’im-plicazione equivale a dimostrare ¬Q ⇒ ¬P , dove

¬Q : “almeno uno tra a e b e un numero pari”;

¬P : “a · b e un numero pari”.

Supponiamo, per esempio, che l’intero positivo a sia pari, dunque a e nella formaa = 2p con p intero positivo. Ne segue che il prodotto a ·b = 2p ·(b) = 2 ·p ·b e pari.Dunque la proposizione ¬P e vera. Ovviamente supporre a pari non e limitativo.

Esempio A.4 (Ragionamento per assurdo) Consideriamo un semplice esem-pio aritmetico, indichiamo con P e Q le proposizioni,

P : “l’intero m e un quadrato perfetto ed e un numero pari”;

Q: “la radice quadrata aritmetica dell’intero m e un numero pari”.

Ricordiamo che m quadrato perfetto significa m = n2 con n numero intero, mentrela radice quadrata aritmetica e il valore positivo n il cui quadrato sia assegnato.Dimostriamo attraverso il metodo della dimostrazione per assurdo l’implicazioneP ⇒ Q. Consideriamo le seguenti ipotesi (sono entrambe ipotesi, premesse da cuipartire)

P : “l’intero m e un quadrato perfetto ed e un numero pari”;

¬Q: “la radice quadrata aritmetica dell’intero m e un numero dispari”.

Da queste ipotesi arriviamo a una contraddizione che ci permettera di concludereche Q e vera. Partiamo quindi da m = n2 per qualche intero n, preso positivo,e√

m = n e un intero dispari. Essendo n dispari puo essere scritto nella forman = 2p + 1 con p intero positivo, il quadrato di n si puo quindi scrivere come

n2 = (2p + 1)2 = 4p2 + 1 + 4p = m.

Quindi si ottiene m = 2(2p2 + 2p) + 1, da cui segue che m e un numero interodispari. Abbiamo quindi trovato la contraddizione (assurdo) che m e un interopositivo contemporaneamente pari, premessa P , e dispari, la proposizione appenadedotta. La premessa ¬Q e dunque falsa, ovverosia la proposizione Q e vera:l’implicazione P ⇒ Q e stata dimostrata.

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Logica e metodo matematico 351

A.1.2 Oltre le proposizioni: i predicati

Ogni proposizione che contenga almeno una variabile, ovverosia una proposizionedipendente da uno o piu argomenti appartenenti a opportuni insiemi, si chiamapredicato. Un predicato diventa una proposizione logica, cioe assume valori Ve-ro o Falso, tutte le volte che fissiamo i suoi argomenti. Per esempio il predicatoP(x)=“ x e un quadrato perfetto” e vero quando x = 1, 4, 9, . . . mentre e falso perx = 2, 3, 5, . . .. Le operazioni logiche possono essere applicate anche ai predicatiottenendo nuovi predicati, per esempio ¬P(x), P(x)∧Q(x), e via dicendo. Questapossibilita permette di stabilire un legame tra connettivi logici e le operazioni in-siemistiche. Sia, per esempio, X l’insieme degli studenti dell’Universita di Milano,e sia Elisabetta un particolare studente. Con il predicato P(x)=“x e un compagnodi corso di Elisabetta”, possiamo costruire l’insieme

C = x ∈ X : P(x) vero .

L’insieme complementare, rispetto all’insieme di tutti gli studenti dell’Universita,e l’insieme di tutti gli studenti che non sono compagni di corso di Elisabetta, sipuo caratterizzare con la negazione del predicato P(x),

N = x ∈ X : ¬P(x) vero .

Sia ancora Q(x)=“x e uno studente maschio”, posto B = x ∈ X : Q(x),possiamo considerare

C ∩B = x ∈ X : P(x) ∧Q(x) =

studenti maschi compagni dicorso di Elisabetta

,

C ∪B = x ∈ X : P(x) ∨Q(x) =

studenti che sono maschi ocompagni di corso di Elisabetta

.

Dato un predicato P(x), ci limitiamo a un solo argomento x, potrebbe esserenaturale chiedersi se P(x) sia vero per tutti gli elementi x variabili in un certoinsieme, oppure chiedersi se esista almeno un elemento x per cui il predicato P(x)sia vero. Quando ci poniamo tali domande, o vogliamo descrivere insiemi checaratterizzano tali domande, stiamo considerando due proposizioni logiche,

∀x, P(x) che leggiamo “per ogni x, P(x) e vero”

∃x, P(x) che leggiamo “esiste almeno un x per cui P(x)e vero”

Spesso e necessario essere piu precisi riguardo all’insieme a cui appartiene x, ameno che non sia evidente dal contesto, scriveremo frasi del tipo

∀x ∈ X, P(x) ∃x ∈ X, P(x).

Il simbolo ∀, “per ogni”, viene detto quantificatore universale, mentre il simbolo∃, “esiste almeno uno”, viene detto quantificatore esistenziale. Talvolta si usa unterzo quantificatore, ∃!, “esiste esattamente uno”, altrimenti leggibile come “esisteed e unico”. I quantificatori sono riportati nella Tabella A.3.

Si ribadisce il fatto che l’applicazione di un quantificatore a un predicatotrasforma quest’ultimo in una proposizione logica (di cui si puo stabilire il valoredi verita). I quantificatori permettono di introdurre l’infinito nel nostro linguaggio.

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352 Appendice A

Parole chiave Simbolo Nome

per ogni . . . ∀ . . . quantificatore universaleesiste . . . tale che . . . ∃ . . . : . . . quantificatore esistenzialeesiste unico . . . tale che . . . ∃! . . . : . . . quantificatore esistenziale univoco

Tabella A.3 Simboli quantificatori del linguaggio matematico.

Per esempio possiamo scrivere “2 + 1 = 1 + 2, 2 + 3 = 3 + 2, 2 + 4 = 4 + 2, . . .” eassumere che i casi riportati e i tre punti finali siano sufficientemente esplicativi.In modo piu preciso possiamo scrivere “∀x ∈ N, x + 2 = 2 + x” che racchiude, inun certo senso, una informazione “infinita”.

E utile anche soffermarsi sull’effetto della negazione logica su un predicato conquantificatore annesso. Per esempio, sia P(x)=“x ha gli occhi neri”, dove x appar-tiene all’insieme degli studenti dell’Universita di Milano. La proposizione ∀x, P(x)(tutti gli studenti hanno gli occhi neri), ha come negazione logica, “¬ (∀x,P(x)”che significa esiste almeno uno studente che non ha gli occhi neri: “∃x, ¬P(x)”.Abbiamo quindi la seguente equivalenza logica

¬ (∀x,P(x)) ⇔ ∃x, ¬P(x).

Per negare una affermazione universale occorre quindi trovare un controesempio.Nel caso considerato, basta trovare uno studente che non abbia gli occhi neri. Inmodo analogo, la negazione di una affermazione esistenziale comporta che ognipossibile istanza sia falsa, formalmente

¬ (∃x,P(x)) ⇔ ∀x, ¬P(x).

Sempre continuando l’esempio, la negazione di “esiste uno studente con gli occhineri” si traduce in “ogni studente non ha gli occhi neri”. In altri termini, scam-biare quantificatori e negazione comporta il cambio del tipo di quantificatore.

Esempio A.5 (Predicati con piu argomenti) Se un predicato ha piu di unargomento, ciascuno di essi puo essere quantificato. Attenzione, l’ordine con cuicompaiono i quantificatori sovente e importante. In generale due quantificato-ri dello stesso tipo possono essere scambiati senza modificare il valore di veritadella proposizione. Al contrario lo scambio di due quantificatori di tipo diversoporta, in genere, a due proposizioni differenti. Per esempio nella proposizione“∀x ∈ N, ∀ y ∈ N, x + y = y + x” possiamo tranquillamente scambiare i duequantificatori, anzi possiamo scrivere piu brevemente “∀x,y ∈ N, x + y = y + x”.Consideriamo invece l’affermazione “ognuno ha una madre”. Vediamo l’effetto deiquantificatori, la proposizione corretta e “∀x ∈ A, ∃ y ∈ A : y e la madre di x”,dove A e l’insieme delle persone. Se cambiamo i quantificatori si ottiene invece“∃ y ∈ A, ∀x ∈ A, y e la madre di x”, cioe esiste almeno un y che e la madredi tutte le persone. In generale la proposizione “∃ y ∈ A : ∀x ∈ B, P(x,y)”significa che esiste almeno un elemento y che rende vero P(x,y) qualsiasi elemen-to x si scelga. L’affermazione “∀x ∈ B, ∃ y ∈ A : P(x,y)” significa invece cheper ogni x possiamo trovare un y, di solito dipendente da x, che rende P(x,y) vero.

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Soluzioni di alcuni esercizi

Capitolo 0

Esercizio 0.2 (i) ∈ R \Q, (ii) ∈ R \Q, (iii) r1,r2 ∈ R \Q, r1 × r2,r1 + r2 ∈ Q.Esercizio 0.3 (i) vera, (ii) falsa, (iii) falsa, (iv) falsa, (v) falsa, (vi) vera.

Esercizio 0.4 (i) A “Ilils”, A “Nnins”, B “Ilins”, C “Ilins”, D “Ilils”, E “Ilins”;

(ii) A “Ilils”, B “Nlils”, C “Nlils”, D “Ilils”, D “Nnins”, E “Nlils”.

Esercizio 0.5 (Quando manca il valore significa che non c’e) A limitato, min(A) =inf A = 3, sup A = 7; B non e superiormente limitato, min B = inf B = 0, sup B =+∞; C limitato inf C = 0, sup C = max C = 1; D limitato min D = inf D = −3,max D = sup D = 11; E limitato min E = inf E = −1/2, max E = sup E = 1/4; F none superiormente limitato, (n2 + m2)/mn = n/m + m/n = q + 1/q con q ∈ Q, q > 0,min F = inf F = 2, sup F = +∞.

Capitolo 1

Esercizio 1.1 (a) x ∈ [−3,2]; (b) x ∈ (−2,2); (c) x > 0.Esercizio 1.2 (a) x ∈ (−∞, − 1] \ −2 ∪ [1, + ∞); (b) x ∈ (−∞,0) ∪ [3/2,3); (c)x ∈ (−∞,− 2) ∪ (2, +∞).Esercizio 1.3 Nella Figura B.1 si mostra l’interpretazione grafica delle disequazioni, (a)

x < 1; (b) x ∈ ((1 +√

13)/2,(3 +√

21)/2); (c) x ∈ [2/3,1) ∪ (2, +∞); (d) x ∈ (2, +∞).Esercizio 1.4 dom(f1) = [3, + ∞), im(f1) = (−∞,0]; dom(f2) = R, im(f2) = R;dom(f3) = R\1, im(f3) = R\1; dom(f4) = ∪k∈Z (2kπ,(2k+1)π), im(f4) = (−∞,0].Esercizio 1.5 La funzione f1 e invertibile per a ≤ 1, la funzione f2 per b < 0, confunzioni inverse

f−11 =

log2 x se x ≥ 1

x− a se x < a, f−1

2 =

√x

bse x ≤ 0

log3 x se 0 < x < 1

Esercizio 1.6 (a) (f + g)(x) = x3 + 2x2 − 1, dom(f + g) = R, (fg)(x) = x3(2x2 − 1),

dom(fg) = R, (f/g)(x) = (x3)/(2x2 − 1), dom(f/g) = R \ 1/√

2, −√2;(b) (f+g)(x) =

√(x + 2)+

√(2− x), dom(f+g) = [−2,2], (fg)(x) =

√(x + 2)

√(2− x),

dom(f + g) = [−2,2], (f/g)(x) =√

(x + 2)/√

(2− x), dom(f/g) = [−2,2).

Esercizio 1.7 (a) (gf)(x) = 1/(3x2−1), dom(gf) = R\1/√

3, −1/√

3, (f g)(x) =3/(x − 1)2, dom(f g) = R \ 1, (f f)(x) = 27x4, dom(f f) = R, (g g)(x) =(x− 1)/(2− x), dom(g g) = R \ 1,2;(b) (g f)(x) = sin

√(x + 1), dom(g f) = [−1, + ∞), (f g)(x) =

√sin (x) + 1,

dom(f g) = R, (f f)(x) =√√

(x + 1) + 1, dom(f f) = [−1, + ∞), (g g)(x) =

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354 Soluzioni di alcuni esercizi

|x+1|

1+|x−2|

(a)

|x2−2x−3|

(b)

y=x

(c)

y=x

√3x−2

|x−3|

√x2−3

(d)

Figura B.1 Soluzione grafica Esercizio 1.3.

sin (sin x), dom(g g) = R;(c) (g f)(x) = log (x) + 1, dom(g f) = (0, +∞), (f g)(x) = log (x + 1), dom(f g) =(−1,+∞), (ff)(x) = log (log x), dom(ff) = (1,+∞), (gg)(x) = x+2, dom(gg) = R.Esercizio 1.8 (a) f(a(x+T/a)+b) = f(ax+b+T ) = f(ax+b), si puo anche dimostrareche se T era periodo positivo minimo lo e anche T/a per la nuova funzione;(b) (fg)(−x) = f(−x)g(−x) = −f(x)g(x) = −(fg)(x); (c) f(0) = f(−0) = −f(0) ⇒f(0) = 0.Esercizio 1.9 Riportiamo i grafici nella Figura B.2.Esercizio∗ 1.10 Riportiamo i grafici nella Figura B.3, si noti che dom(f1) = ∪k∈Z[−π/2+2kπ,π/2 + 2kπ], dom(f2) = (0,1) ∪ (1, +∞), dom(f3) = R, dom(f4) = R. Inoltre

x1/ log x = xlogx e = e.

f1

1

−1

f2

2

−2π/3 4π/3

f3

−1

2f4

1

−2

... ...

Figura B.2 Grafici di funzioni nell’Esercizio 1.9.

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Soluzioni di alcuni esercizi 355

f1

...

π/2

f2

e

f3

π

π

f4

1

5π/2−3π/2

...

... ...

Figura B.3 Grafici di funzioni nell’Esercizio 1.10.

Capitolo 2

Esercizio 2.1 (i) 3/5; (ii) 9/5; (iii) 0; (iv) non esiste; (v) 1/2; (vi) 1.

Esercizio 2.2 (i) +∞; (ii) 0; (iii) non esiste; (iv) 1.Esercizio 2.3

L1(x) =

−1 se |x| < 10 se x = 11 se |x| > 1

.

L2(α) =

0 se α < 21/4 se α = 21/2 se α > 2

.

Esercizio 2.4 f1 e continua in R \ 0,2, in x = 0,2 ha discontinuita di tipo salto; f2 hadiscontinuita eliminabile nei punti xk = π/2 + 2kπ, k ∈ Z, discontinuita tipo salto neipunti yk = kπ, k ∈ Z, negli altri punti e continua; f3 e continua per c 6= 0, a = 0, b =sin c/c oppure per c = 0, ∀ a, b = 1; f4 e continua solo in x = 0 mentre negli altri puntiha discontinuita di seconda specie.Esercizio 2.5 La successione e monotona (crescente) e limitata xn ≤ 2, ∀n, quindi econvergente e ha limite L = 2.Esercizio 2.6 a < 0 ⇒ esistono 3 soluzioni; a ≥ 0 ⇒ esiste una soluzione.Esercizio 2.7 Per esempio nei seguenti intervalli, (i) (1,2); (ii) (0,1); (iii) (0,3π/2).Esercizio 2.8 f1 ha asintoto verticale x = 3 e asintoto orizzontale y = 5; f2 ha asintotoverticale x = 0; f3 ha asintoti orizzontali y = 1 e y = −1; f4 ha asintoto verticale x = 0e asintoto obliquo y = x + 1.Esercizio 2.9 (1) Basta considerare la funzione h(x) = f(x)− x e applicare il Teoremadi Bolzano.(2) Ovviamente il dominio non deve essere un intervallo, la funzione

f(x) =

x se x ∈ [0,1]x− 1 se x ∈ (2,3]

fornisce un esempio.

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356 Soluzioni di alcuni esercizi

Capitolo 3

Esercizio 3.1

f ′1(x) = 3ex +1

(x + 2)x > −2, f ′2(x) =

1

2√

x− 1

2x−3/2 x > 0,

f ′3(x) = 2ex(cos x) x ∈ R, f ′4(x) =x(ex + cos x)− ex − sin x

x2x 6= 0.

Esercizio 3.2

f ′1(x) = ln (x + 1) (ln (x + 1) + 2) , f ′2(x) = esin x(1 + cos x),

f3(x)′ = x1/(1−x)( 1

(1− x)2ln x +

1

x(1− x)),

f ′4(x) = 2x | cos x|+ x2 sign(cos x)(− sin x).

Esercizio 3.3

T1(x) = 2, T2(x) = 1 +1

2(x− 1),

T3(x) = 1 + x, T4(x) = 2.

Esercizio 3.4 (a) punti di ascissa −1/√

3 e 1/√

3; (b) punti di ascissa −2 e 2.Esercizio 3.5 g′(1 + e) = 1/(2 + e).Esercizio 3.6 La derivata del primo membro e nulla, quindi la funzione e costante, siamosu un intervallo. per calcolare la costante basta valutare il primo membro in un puntoopportuno.Esercizio 3.7 Esistono due zeri per a < 0 e a > 2, esiste un unico zero per a = 0, nonci sono zeri per a ∈ (0,2].

Esercizio 3.8 f1: x = 1/2, 2 punti di massimo locale, x = 1/ 3√

2 punto di minimo; f2:x = 0 punto di minimo, x = −1, 2 punti di massimo; f3: x = 0 punto di massimo; f4:x = −2π, − π, 0, π, 2π punti di massimo, x = −3/(2π), − π/2, π/2, 3/(2π) punti diminimo.Esercizio 3.9 Sono le lattine con base di raggio R = 3

√V/(2π) e altezza V/(πR2).

Esercizio 3.10 La parte piu piccola vale 4− 4√

3.Esercizio 3.11 Si procede per induzione, per n = 1 il risultato e vero. Per il passaggio dan a n+1 si sfrutta la convessita e la combinazione tra il punto x = (

∑ni=1 pixi)/(

∑ni=1 pi)

e y = xn+1.

Capitolo 4

Esercizio 4.1

f(2)1 (x) = 4

1− 3x2

(x2 + 1)3x ∈ R, f

(2)2 (x) =

− 4x√1− x2

+x(1− 2x2)

(1− x2)3/2|x| < 1,

f(2)3 (x) = 2 + e1/x( 1

x4+

2

x3) x 6= 0,

f(2)4 (x) = 2( ex

sin x− ex cos x

sin2 x+

ex cos2 x

sin3 x) x 6= kπ, k ∈ Z.

Esercizio 4.2 f1: convessa in (−∞, − 1) e (1, + ∞), concava in (−1,1); f2: concavain (−∞,0) e (1, + ∞), convessa in (0,1), punto di flesso (0,1), punto angoloso (1,2);

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Soluzioni di alcuni esercizi 357

f3: concava in ogni intervallo (2kπ,(2k + 1)π), k ∈ Z; f4: convessa in (−∞,2 − √2) e

(2 +√

2, +∞), concava in (2−√2,2 +√

2), punti di flesso per x = 2±√2.Esercizio 4.3 Da

xsin x = esin x ln x,

e applicando la regola di De l’Hopital si trova che il limite vale 1.Esercizio 4.5 Si riportano nella Figura B.4.

−6 −4 −2 0 2 4 6

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

x

log(1+x 2)−1

−6 −4 −2 0 2 4 6

−1600

−1400

−1200

−1000

−800

−600

−400

−200

0

x

1−abs(x 4−1)

−6 −4 −2 0 2 4 6

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

x

2+log(cos(x))

−6 −4 −2 0 2 4 6

0

2

4

6

8

10

12

14

16

x

exp((x−1)/(x+1))

−6 −4 −2 0 2 4 6−15

−10

−5

0

5

10

15

20

x

(x4−abs(x))/(2 x 2−x)

−1 −0.8 −0.6 −0.4 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 10.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

x

sqrt(1−x 2)+abs(x+1/2)

Figura B.4 Grafici qualitativi funzioni fi, i = 1,2,. . . ,6.

Esercizio 4.7

Tn(x) =

2(x +x3

3+ . . . +

xn−1

n− 1) n pari,

2(x +x3

3+ . . . +

xn

n) n dispari,

.

L’errore E(1/4) e minore di

1

n + 1(1

4)

n+1

(1 + (4

3)

n+1

).

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358 Soluzioni di alcuni esercizi

Esercizio 4.8 (1) Basta trovare x tale che

|x|66!

< 0. 00005,

abbiamo |x| < 0. 575. . ..(2) Utilizzando la formula di Taylor,

p(x) = 3(x− 1)3 + 3(x− 1)4 + (x− 1)5.

Esercizio 4.9 Per l’errore si ha

(α− xk+1) = −1

2(α− xk)2

f ′′(βk)

f ′(βk),

con βk tra α e xk. Per la nuova formula si ottiene il metodo delle secanti,

xk+1 = xk − f(xk)( xk − xk−1

f(xk)− f(xk−1)).

Capitolo 5

Esercizio 5.1 Per il triangolo rettangolo basta considerare la funzione y = x/2, x ∈[0,1] e procedere con rettangoli con una suddivisione uniforme, per il trapezio isoscelesi “appoggia” la base maggiore sull’asse delle ascisse con un vertice nell’origine e sidecompone il trapezio in due triangoli rettangoli e un quadrato (proprieta funzione area).Esercizio 5.2∫

f1(x)dx =1

2sin2 x + C,

∫f2(x)dx =

1

15(3x + 1)5 + C,

∫f3(x)dx = 2e

√x + C,

∫f4(x)dx = arctan (x3) + C,

∫f5(x)dx = ln |x + sin x|+ C,

∫f6(x)dx = − 1

x− arctan (x) + C,

Esercizio 5.3 Se p(x) e una funzione primitiva per f abbiamo F (x) = p(h(x))−p(g(x)),quindi

F ′(x) = p′(h(x))h′(x)− p′(g(x))g′(x) = f(h(x))h′(x)− f(g(x))g′(x).

F ′1(x) = sin (x3) · 3x2.Esercizio 5.4

g(x) =

x se x < 0

2x2 se x ∈ [0,1]

2− 1

2((3− x)2 − 4) se x ∈ (1,3]

4 se x > 3

.

Esercizio 5.5

g(x) =

x +5

3se x ∈ [−2,− 1)

x3

3+ x2 se x ∈ [−1,0]

2(1− e−x/2) se x ∈ (0,1]

.

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Soluzioni di alcuni esercizi 359

Esercizio 5.6

(i) x + ln |x|+ ln |x− 1| − 2

x− 1+ C,

(ii) ln |x| − 1

2ln (x2 − 2x + 2) + 3 arctan (x− 1) + C,

(iii) log (|x|/|x + 1|) +1

x− 1

x2+ C,

(iv) −1

6ln |x2 + x + 1| − 1

2· 2√

3arctan (2x + 1)/

√3 + C.

Esercizio 5.7

(i) 2(π

4− arctan (

√e− 1)), (ii) arctan e− π

4, (iii)

1

2

(226e2 − 2

).

Esercizio 5.8

(i)1

36

(5e6 − 64(6 ln 2− 1)

), (ii)

1

16(π2 + 4), (iii)

π

4.

Esercizio 5.9

A1 =3

ln 2− 4

3, A2 = 2π − 4

3, A3 =

4

3.

Esercizio 5.10

V1 =π(π2 − 8)

4, V2 =

24

5π.

Capitolo 6

Esercizio 6.1 (i) π; (ii) (ln (1/3))/2; (iii) 1; (iv) ln 3− 2(ln 2)/3; (v) diverge; (vi) π/4.Esercizio 6.2 (i) convergente; (ii) divergente; (iii) convergente; (iv) convergente; (v)convergente; (vi) divergente.Esercizio 6.3 Abbiamo

S2n = 1 +1

2+ (1

3+

1

4) + (1

5+

1

6+ · · ·+ 1

8)+

+. . .( 1

2n−1 + 1+

1

2n−1+ · · ·+ 1

2n).

Ogni somma raggruppata tra parentesi tonde e maggiore di 1/2 e abbiamo n raggruppa-menti.Esercizio 6.4 (i) convergente (criterio confronto integrale); (ii) divergente (criterioconfronto); (iii) semplicemente convergente (criterio di Leibniz); (iv) convergente (con-fronto asintotico); (v) convergente (differenza di due serie di Mengoli); (vi) divergente(condizione necessaria).Esercizio 6.5 (i) x 6= 0; (ii) x ∈ [−1,1); (iii) mai; (iv) x ∈ [−1,1).Esercizio 6.6 (i) c = 0, R = 1; (ii) c = 3/2, R = 1/2; (iii) c = 0, R = ∞; (iv)c = −3, R = 2.Esercizio 6.7

(i)1

x + 3=

+∞∑n=0

(−1)n (x− 1)n

4n+1, x ∈ (−2,4); (ii)

ex + e−x

2=

+∞∑n=0

(x)2n

(2n)!, x ∈ R;

(iii) sin2 x =

+∞∑n=0

(−1)n (2x)2n+2

2(2n + 2)!, x ∈ R; (iv)

√x + 1 =

+∞∑n=0

1/2

n

xn, x ∈ (−1,1).

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360 Soluzioni di alcuni esercizi

Esercizio 6.8

(i) u(t) = Cx +x3

2; (ii) |u(t) + 1| = Cex;

(iii) u(t) = −(x2 + 2) + Cex2/2; (iv) u(t) = C1e−5t + C2e

−2t.

Esercizio 6.9

(i) u(t) =2

3et +

1

3e−2t; (ii) u(t) = et2 − 1

2;

(iii) u(t) =6

7et/2 +

1

7e−3t; (iv) u(t) = sin2 t− t sin t cos t.

Capitolo 7

Esercizio 7.1 (i)

A+B =

1 1

1 3

Ax =

3

5

Bx =

2

8

3A =

9 0

3 3

1

2B =

−1 1/2

0 1

(ii)

A + B =

−1 0 2

1 2 5

7 −1 2

Ax =

6

−3

−9

Bx =

2

2

2

3A =

−6 −3 3

0 3 12

18 −6 3

1

2B =

1/2 1/2 1/2

1/2 1/2 1/2

1/2 1/2 1/2

Esercizio 7.2

(i)

3

3

, (ii)

4

−1

3

3

0

.

Esercizio 7.3 Si riportano solo i prodotti definiti

AB =

−1 9 −4 13

16 −8 −8 6

AD =

1 3

13 −16

BC =

0 3 7

8 −4 6

9 3 3

CB =

8 −1 −1 6

4 −8 −4 −6

9 0 −3 9

4 0 4 2

CD =

8− 51 −8

9 −6

5 0

ABC =

43 −14 −14

12 30 8

Esercizio 7.4

A3 − 2A2 + A− I =

8 8 13

8 5 8

13 8 8

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Soluzioni di alcuni esercizi 361

Capitolo 8

Esercizio 8.11) x = 1,y = −1;2) x = 2,y = −3;3) x1 = 7/4,x2 = −1,x3 = 5/4;4) x1 = 1,x2 = 1,x3 = 1;5) x1 = 2,x2 = 1,x3 = −1.Esercizio 8.2 1. Per c = 2 infinite soluzioni, per c = −2 nessuna soluzione, per c 6= ±2unica soluzione data da

x3 =1

(c + 2), x2 =

c

c + 2, x1 =

c + 5

c + 2.

2. Per c = 0, c = ±√6 infinite soluzioni. Altrimenti soluzione unica x1 = 0,x2 = 0,x3 = 0.3. Per c = ±√3 nessuna soluzione. Per c 6= ±√3 unica soluzione

x1 =c2 + 1− c

c2 − 3, x2 = 1, x3 =

c− 4

c2 − 3.

Esercizio 8.3 Le matrici risultanti dell’eliminazione di Gauss sono

UA =

1 3/2 1/2

0 1 3

0 0 1

UB =

1 1/2 1/2 −1/2

0 1 1/7 1/7

0 0 1 1

Esercizio 8.4 Per la matrice A,

T =

0 0 1/2

1 0 0

1/6 −1/3 1/6

, T−1 =

0 1 0

1 1/2 −3

2 0 0

.

Per la matrice B,

T =

0 0 1/2

0 2/7 1/7

7/12 1/4 −1/6

, T−1 =

1 −3/2 12/7

−1 7/2 0

2 0 0

.

Esercizio 8.5

(a)

3 −2

−1 1

(b)

1 0

−3 1

(c) NO (d)

1 −2 3

0 1 −2

0 0 1

(e)

−1 −5 −3

0 −1 −1

1 2 1

(f)

−1/2 1/2 1/2

1/2 −1/2 1/2

1/2 1/2 −1/2

(g) NO (h)

1/4 −1/5 1/10 1/20

5/4 6/5 −1/10 29/20

−1/4 −4/5 −1/10 −21/20

−1/4 −1/5 1/10 −9/20

Esercizio 8.6 1) l.i; 2) l.d.; 3) l.d.; 4) l.i.; 5) l.i;

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362 Soluzioni di alcuni esercizi

Esercizio 8.7 Nell’ordine il rango vale: (a) 1, (b) 2, (c) 2, (d) 0, (e) 2, (f) 2, (g) 3, (h) 4,(i) 4.Esercizio 8.8 Nell’ordine il determinante vale: (a) − 7, (b) 2, (c) 0, (d) − 4, (e) − 10,(f) 0, (g) − 16, (h) − 35.

Capitolo 9

Esercizio 9.1 (a) Prendendo, ove necessario, s ∈ R o s,t ∈ R, abbiamo

(i) λ1 = −5, λ2 = 1, v1 = s(−1,1), v2 = s(1,1).(ii) λ1 = 1, λ2 = λ3 = 2, v1 = s(1,1,0), v2 = s(1,0,− 2) + t(0,1,3).(iii) λ1 = −5, λ2 = λ3 = −1, v1 = s(−1,− 2,1), v2 = s(−1,0,1) + t(2,1,0).(iv) λ1 = 3, λ2 = λ3 = 1, v1 = s(1,0,− 2), v2 = s(1,1,0) + t(0,0,1).(v) λ1 = 0, λ2 = 6, λ3 = −10, v1 = s(2,1,1), v2 = s(2,− 1,1), v3 = s(−2,− 1,1).(vi) λ1 = 1, λ2 = 0, λ3 = 3, v1 = s(0,1,0), v2 = s(1,1,− 2) v3 = s(−2,1,− 2).(vii) λ1 = 0, λ2 = λ3 = 1, v1 = s(1,1,0), v2 = s(1,0,− 2) + t(0,1,3).(viii) λ1 = 2, λ2 = λ3 = λ4 = 1, v1 = s(0,1,1,0), v2 = s(1,0,0,0) + t(0,1,3/2,0).

Esercizio 9.2

(i) x = 9/35, y = 16/35, ‖Ax− b‖2 ≈ 0. 3381.(ii) x = 3/7, y = −2/3, ‖Ax− b‖2 ≈ 0. 8729.(iii) x = −2/3, y = 2/3, ‖Ax− b‖2 ≈ 0. 8165.(iv) x = −1/5, y = 11/10, ‖Ax− b‖2 ≈ 1. 3784.

Esercizio 9.3 Riportiamo nell’ordine la norma 1 e la norma ∞.

(a) 5, 4, (b) 4, 4, (c) 9, 10, (d) 4, 4, (e) 6, 5, (f) 2, 2, (g) 10, 10, (h) 12, 10.

Esercizio 9.4 (a) NO, (b) NO, (c) SI.

Capitolo 10

Esercizio 10.1

(i)

2

−1

3

, (ii)

−2

−2

−2

, (iii)

1

0

−1

.

Esercizio 10.2

(i)

1/√

2

0

−1/√

2

, (ii)

2/3

2/3

1/3

, (iii)

1/√

6

−2/√

6

−1/√

6

, (iv)

1/√

3

1/√

3

1/√

3

.

Esercizio 10.4

(i)

−3

1

4

, (ii)

3

−7

6

, (iii)

3

−1

−4

, (iv)

3

0

−3

.

Esercizio 10.5

(i)

√26

2, (ii)

√94

2, (iii)

√26

2, (iv)

√18

2.

Esercizio 10.6 Il volume e 9.Esercizio 10.7 (i) x = 2t, y = −t, z = 3t, (ii) x = 3 − 2t, y = 4 − 2t, z = 1 − 2t,(iii) x = 2 + t, y = 2, z = 2− t.

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Soluzioni di alcuni esercizi 363

Esercizio 10.8 (i) Una retta, (ii) un solo punto, (iii) Intersezione vuota.Esercizio 10.9

(i) rank = 2, ker = ∅ (ii) rank = 1, ker = x = 2s, y = s, s ∈ R(iii) rank = 3, ker = ∅ (iv) rank = 2, ker = x = s, y = s, z = 0, s ∈ R

Le trasformazioni inverse sono

(i)x′ = −x + yy′ = 3x− 2y

, (iii)x′ = x cos θ + y sin θy′ = −x sin θ + y cos θz′ = z

.

Esercizio 10.10

Asse x:

1 0 0

0 cos θ − sin θ

0 sin θ cos θ

Asse y:

cos θ 0 sin θ

0 1 0

− sin θ 0 cos θ

Asse z:

cos θ − sin θ 0

sin θ cos θ 0

0 0 1

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Indice Analitico

accelerazione istantanea, 102, 132anello, 7

commutativo, 7asintoto

obliquo, 85, 141orizzontale, 84, 85, 141verticale, 85, 141

autovalore, 298autovettore, 298

campo, 7vettoriale, 332, 342

circonferenza goniometrica, 51, 68, 296coefficiente binomiale , 93combinazione lineare, 277condizione

di Cauchy, 226necessaria, 348necessaria e sufficiente, 348sufficiente, 348

connettivi, 347controimmagine

di un elemento, 20di un insieme, 20

contronominale, 350coseno, 51

iperbolico, 156costante di Nepero, 93criterio

convergenza assoluta, 217del confronto, 215del rapporto, 215dell’integrale, 216della radice, 216di Leibniz, 218

derivata, 102di ordine n, 131e continuita, 109e convessita, 123, 125e differenziale, 114e monotonia, 116, 121funzione composta, 110funzione inversa, 110in un punto, 102logaritmica, 114regole di calcolo, 108

seconda, 131determinante

definizione, 284regola delle diagonali, 288

diagonali di Cantor, 23diagramma di Eulero-Venn, 3dimostrazione

per assurdo, 350disequazioni

con modulo, 35e parabole, 41esponenziali, 50irrazionali, 44logaritmiche, 50trigonometriche, 56

distanza tra due punti, 328disuguaglianza

di Cauchy-Schwartz, 312di Jensen, 130triangolare, 15, 312

elementoinverso, 7neutro, 6opposto, 6reciproco, 7

equazionedifferenziale, 226dimensionale, 342lineare, 26, 259radicale, 42retta tangente, 104

equazionia variabili separabili, 235con modulo, 35differenziali, 225esponenziali, 49irrazionali, 44logaritmiche, 50trigonometriche, 55

estremoinferiore, 12superiore, 12

fattoriale, 93, 132fattorizzazione

di Cholesky, 311

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366 Indice Analitico

di Gauss, 288fenomeno

di Peano, 230formula

dei trapezi, 172del punto medio, 172di De Moivre, 296di quadratura, 171vs. funzione, 22

funzione, 19arcocoseno, 55, 112arcoseno, 55, 112arcotangente, 55, 112, 187biettiva, 20biunivoca, 20circolare, 51codominio, 20composizione, 28, 75, 110composta, 28concava, 123, 124continua, 73convessa, 123, 124cosecante, 53coseno, 51, 76, 110, 152, 182cotangente, 53crescente, 47, 116decrescente, 47, 116derivabile, 102derivata, 105di Bessel, 220di Dirichlet, 168di Fresnel, 178di piu variabili, 342di variabile reale, 20differenziabile, 115discontinua, 74, 80dispari, 53, 141, 185dominio, 20, 140elementare, 38, 113esponenziale, 47, 83, 107, 112, 126,

139, 151, 182formula della, 22grafico, 20, 25, 140immagine, 20infinitesima, 70iniettiva, 20integrabile, 168integrale, 176integranda, 168inversa, 32, 110inversione, 28limitata, 166lineare, 73lipschitziana, 76, 235logaritmica, 48, 112, 139logaritmo naturale, 107, 112, 126,

186modulo, 14, 22, 34, 75, 76, 104,

105, 113, 126monotona, 95, 141

non crescente, 95, 121non decrescente, 95, 121operazioni con, 28pari, 53, 141, 185parte frazionaria, 72parte intera, 71periodica, 53, 141polinomiale, 39, 67, 75, 109, 139,

182primitiva, 159quadratica, 40, 73radice quadrata, 29, 33, 105razionale, 40, 81, 188reale, 20restrizione di, 28secante, 53segno, 67seno, 51, 76, 109, 151, 182strettamente concava, 124strettamente convessa, 124strettamente crescente, 95, 121strettamente decrescente, 95, 121strettamente monotona, 95suriettiva, 20tangente, 53, 76, 110, 184trigonometrica, 52, 109uniformemente continua, 171vettoriale, 343

grafico di una funzione, 20, 25cambiamento di scala, 30riflessione, 31traslazione, 30

gruppo, 7commutativo, 7

insieme, 1cardinalita, 23complementare, 3delle parti, 3differenza, 3differenza simmetrica, 3elemento di un, 1estremo inferiore dell’, 12estremo superiore dell’, 12finito, 23illimitato inferiormente, 11illimitato superiormente, 11infinito, 23intersezione, 3limitato, 11limitato inferiormente, 11limitato superiormente, 11maggiorante per l’, 11massimo dell’, 11minimo dell’, 11minorante per l’, 11numerabile, 23potenza, 3sottoinsieme, 2

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Indice Analitico 367

unione, 3vuoto, 2

insiemi equipotenti, 23integrale

come funzionale, 174definito, 163di Riemann, 168generalizzato, 199improprio, 199indefinito, 181proprieta, 173valor medio, 175

integrazioneper parti, 185per scomposizione, 182per sostituzione, 183

intervallo, 13partizione, 166

intorno, 13, 14

leggedi Boyle, 19di tricotomia, 6

leggiDe Morgan, 5

limite, 64all’infinito, 70, 76, 77destro, 70, 71infinito, 70, 78leggi, 66sinistro, 70, 71unicita, 65

logaritmo naturale, 107, 112

maggiorante, 11massimo, 11

assoluto, 90matrice

ampliata, 267antisimmetrica, 292completa, 267definita positiva, 310di permutazione, 284di rotazione, 339diagonale, 246diagonalizzabile, 307dimensioni, 245elementare, 271equazione caratteristica, 299forma quadratica associata, 310hermitiana, 311identita, 247inversa, 255norma, 313nulla, 245ortogonale, 292, 310potenza, 257quadrata, 245raggio spettrale, 311rango, 281

ridotta, 263simmetrica, 249singolare, 255traccia, 299trasposta, 248triangolare inferiore, 246triangolare superiore, 246

matricidiagonale principale, 245simili, 308uguali, 245

mediaaritmetica, 83geometrica, 83

metododi bisezione, 96di eliminazione di Gauss, 262di Erone, 94di Newton, 153di sostituzione, 260

minimo, 11assoluto, 90

minorante, 11

numericomplessi, 293interi, 6irrazionali, 9naturali, 5primi, 23razionali, 7reali, 9

numero complessoargomento, 295complesso coniugato, 294forma algebrica, 294forma esponenziale, 296forma trigonometrica, 296formula di De Moivre, 296modulo, 295parte immaginaria, 294parte reale, 294radice n-esima, 297rappresentazione in coordinate po-

lari, 295unita immaginaria, 293

paradosso di Zenone, 210, 212partizione di un intervallo, 166

raffinamento, 167periodo, 53polinomio, 39

coefficienti, 39di Mac Laurin, 150, 152di Taylor, 150grado, 39monomio, 39

polinomio caratteristico, 300predicato, 351principio

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368 Indice Analitico

di Cavalieri, 194di induzione, 15

problema dei minimi quadrati, 315prodotto

cartesiano, 4per uno scalare, 249righe per colonne, 250scalare, 252

proposizionelogica, 347

puntoa tangente verticale, 135angoloso, 136cuspide, 136di accumulazione, 63di flesso, 132, 141di massimo locale, 116, 122, 141di minimo locale, 116, 122, 141isolato, 63stazionario, 117, 135

quantificatori, 351quoziente di Newton, 101

e differenziale, 114

radicen–esima, 42n-esima complessa, 297complessa di un polinomio, 300quadrata, 15

raggiodi convergenza, 220

rapporto incrementale, 101relazione

d’ordine, 6retta

coseni direttori, 334equazione parametrica, 334equazioni cartesiane, 334orizzontale, 26parallela, 26perpendicolare, 26tangente, 62, 101, 104verticale, 26

riferimento cartesiano, 25

seno, 51iperbolico, 156

seriearmonica, 213assolutamente convergente, 217convergente, 211di Mac Laurin, 223di Mengoli, 212di potenze, 219di Taylor, 223divergente, 211geometrica, 16, 211numerica, 211numeriche, 209

oscillante, 211sistema delle equazioni normali, 315sistema lineare, 259

coefficienti, 260inconsistente, 260metodo di eliminazione, 261notazione in tabella, 264omogeneo, 260operazioni elementari, 264pivot, 263soluzione, 260tecnica di sostituzione, 260termini noti, 260

sistemi lineariequivalenti, 263

sommadi matrici, 249di Riemann, 166parziale, 211

sommatoria, 161spazio vettoriale, 324

dimensione, 326sottospazio, 324

successione, 20monotona, 91non crescente, 91non decrescente, 90strettamente crescente, 90strettamente decrescente, 91

tangenteiperbolica, 156

teoremaconfronto integrali, 205continuita della funzione inversa, 96degli Zeri, 96dei due carabinieri, 68dei valori intermedi, 87, 98del valor medio, 119del valor medio integrale, 176derivata della funzione inversa, 111derivata e composizione, 110derivata e convessita, 125derivata e monotonia, 121derivata seconda e convessita, 132di Bolzano, 87di Cauchy, 139di composizione di funzioni conti-

nue, 75di compressione, 68di De l’Hopital, 137di Lagrange, 119di raffinamento, 167di Rolle, 118di Rouche-Capelli, 282di struttura, 283di Taylor, 150di Weierstrass, 89, 98fondamentale del calcolo integrale,

177

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Indice Analitico 369

fondamentale dell’algebra, 300integrabilita e continuita, 171integrabilita e monotonia, 169limite delle successioni monotone,

91proprieta degli integrali, 173

testderivata prima, 122derivata seconda, 134

trasformazione lineareimmagine, 340iniettiva, 340inversa, 341nucleo, 341suriettiva, 340

trasformazioni lineari, 337proiezioni, 337riflessioni, 337rotazioni, 337

valoreassoluto, 14

variabilemuta, 2

velocita istantanea, 102, 132vettore

applicato, 321colonna, 247coordinate polari, 328coordinate sferiche, 328lunghezza, 326modulo, 326normalizzato, 326riga, 247unitario, 252versore, 326

vettoribase, 280base canonica, 281linearmente dipendenti, 277linearmente indipendenti, 277norma, 311ortogonali, 280rango, 281

vettori applicaticombinazione lineare, 329componenti, 325ortogonali, 329paralleli, 331prodotto misto, 332prodotto scalare, 329prodotto vettoriale, 331somma, 322


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