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Inopportuni modi per sorridere

Date post: 07-Apr-2016
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Storie non troppo divertenti.
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INOPPORTUNI MODI PER SORRIDERE. Teo Filippo Cremonini
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Page 1: Inopportuni modi per sorridere

INOPPORTUNI MODI PER SORRIDERE.Teo Filippo Cremonini

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All’interno di questa cosa troverete delle storie. Non c’è tanta poesia nell’inopportuno modo di sorridere delle persone: alla fermata del tram, ogni mattina, come le sere sotto casa quando decidi di fumare una sigaretta. Il sorriso è importante, va guadagnato e non può essere deluso.

Sperando sia un piacere per voi, grazie della fiducia.

t.

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(SIAMO SOLO UNA FRASE TRA PARENTESI).

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Di notte solitamente non faccio sogni. Televendite. Cambio canali e televendite. Del tipo che le guardo perpetuo anche se assonnato. Il fatto di dovermi svegliare prima fra 8 ore, poi fra 5 e infine fra 3 mi rende tutto più difficile. Poi dormo. Sembra che non lo faccio da mesi ma in realtà il mio corpo cede e la pressione si abbassa. La mattina però è di nuovo sveglia, colazione a piedi e poi tram, lavoro e crisi di panico. Giornate circolari come una normalissima linea di autobus che ruota attorno alle nostre città. Ti sono venuto a trovare sai? Ho deciso di saltare una fermata dell’autobus quotidiano per stare bene. Un muffin regalato ho pensato fosse per sempre, mica come i gioielli che valgono solo del denaro. Ti tocco. Poi però le spalle son tese. Ti tocco. Poi però le spalle son morbide. Ti tocco. Però non vorrei toccarti. Non vorrei perché non avrebbe senso. Ti tocco, semplicemente perché alla mattina non mi rendo nemmeno conto di quello che mangio. Ho deciso però di saltare una fermata perché un pomeriggio uscendo per strada mi hai sorriso.

MUFFIN&ALT-J.

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E sorridere la reputo una cosa cortese, di quelle che “forse” se esistessero più sorrisi veri, si potrebbe reggere meglio il peso delle fermate dell’autobus. In mezzo alla pioggia, nei consueti umori mattutini senza ombrello e con un cappuccio bagnato. Nemmeno il tempo di finire di dormire che sei di nuovo in mezzo a una strada, con altre persone e le loro storie tutte da intrecciare. Ma questi sono cliché, di tempo non ne abbiamo e saltata quella fermata, dopo avermi regalato un muffin, sono stato da te. E in fondo, ti toccavo, ma non dubitare mai di me anche se avrei voluto farlo per tutte le ore che mi sono perso davanti alle televendite. E forse, sarebbe meglio farlo anche adesso. In questo momento, dove il taccuino non esiste e tutto quello che viene digitato è solamente frutto di un sorriso, probabilmente di venerdì pomeriggio. Perché la Domenica, anche se considerata santissima, non è proprio la tua giornata e io devo solamente trovare il momento per tornare alla fermata, per prendere la circolare e quando sarà, scendere.

Per stare bene.

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INOPPORTUNI MODI PER ESSERE - FELICE.

Ah, non avevo il tempo di mettermi le scarpe. Ora è tardi, bisogna scendere in campo. Son sempre stato pigro, non sono mai stato uno di quelli che si preparava per tempo nelle cose. Per andare a scuola mi alzavo giusto 20 minuti prima, per prendere l’autobus arrivavo giusto 1 minuto prima, per andare a mangiare dovevo trovare il piatto già pronto. Credo sia una questione che impari fin dalla nascita. Esistono due categorie di persone: quelle meticolose che arrivano sempre per tempo in modo tale da potersi fumare una sigaretta prima dell’appuntamento, e quelle che la sigaretta non possono fumarla perché l’appuntamento è già iniziato. Io negli spogliatoi prima di giocare quella partita, non ho avuto tempo nemmeno per pensare. Mi sono fermato, ho messo l’acqua nella borsa, infilato le scarpe al volo e sono entrato in campo. A Roma c’è un sacco di gente oggi. Di fronte a me c’è un osso duro, che per lunghi tratti della mia adolescenza è stato un mio grande mito.

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Giocatore bimane dal grandissimo talento, uno che potrebbe tranquillamente vincere ben altri trofei piuttosto che ritrovarsi qui, al primo turno di torneo a sfidare il sottoscritto. Quando affronti queste partite non sai mai come comportarti. Il non pensare aiuta spesso la tua azione. Ci diamo la mano, è molto cordiale. Solitamente gli avversari si presentano negli spogliatoi ma lui appartiene alla prima categoria di persone sopra citate. O forse no, penso lo sia diventato. Avrei voglia di chiedergli l’autografo prima di iniziare la partita, ma sul campo centrale ci sono quasi 1.000 persone ed è solamente Lunedì pomeriggio. Cosa fai? Ti rendi ridicolo davanti a tutta questa gente? Forse peggio. Ma tanto di cosa puoi avere paura, se durante il primo giorno delle scuole elementari, quando da semi-cosciente affronti per la prima volta il rapporto con un gruppo di persone, non puoi dimenticare tutti gli occhi addosso perché ti sanguina il naso. Insomma, l’imbarazzo più grande della tua vita, quello capace di segnarti, ormai è passato.

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Prendo fuori un taccuino, dove spesso segno tutte le cose prima di affrontare il mio avversario. Nel taccuino c’è la sua figurina, molto anni 90. Ora il campione è sbiadito ma vederlo davanti mi mette spesso in soggezione. Lui sorride, non ho bisogno di aggiungere altro, prende il taccuino e lo lascia nella borsa. Ora si gioca, dopo gli scherzi. Torno a sedere, il pubblico mi prende di mira. Sono ridicolo. Credo di esserlo sempre stato anche quando scrivevo alla mia ragazzina in età post adolescenziale. Credo di esserlo sempre stato perché risultavo oppressivo, anche nel piccolo gesto. Forse, in quel secondo prima di giocare o semplicemente con la mia ragazzina 10 anni fa, ho solamente intaccato la libertà altrui. Io appunto non penso, se pensassi forse non mi ritroverei a fare di queste figure. Poi giochiamo, mi annichilisce. Avrà quasi 15 anni più di me, e pur essendo un torneo migliore pare che voglia vincerlo, come ha sempre vinto tutto nella sua vita. Io nella mia carriera non ho praticamente vinto nulla, però mi son sempre divertito a pensare di poter esser migliore.

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Arrivo spavaldo, forse incosciente. Consapevole di essere uno dei 100 partecipanti. Però quello più punk perché arrivavo sempre tardi e la notte scappavo dall’albergo dove alloggiavamo per andare ad ascoltare musica fino alla mattina. Poi mi svegliavo e in campo vincevo. Lunedì, Martedi, Mercoledì, Giovedi, Venerdì. Stessa routine, grandi sorrisi. Come arrivare in tempo alla fermata dell’autobus. Come arriva prima della campanella scolastica. Poi arriva il sabato, giorno di fase finale e nel tennis come nella vita è una corsa a ostacoli. Oggi scendi in campo, non sai mai quando uscirai e come ne uscirai. Vinci la partita nel tuo cervello almeno 18 volte, la perdi in altrettanti modi. Ci rimani male, ma tanto ancora non è finita. Affronti questi due poli dentro di te. Ma quel sabato pensavo di averla spuntata e invece, no. Mi sono arrabbiato. Non ho ancora ben capito il perché di quella partita come per quella ragazza. Ma in fondo va bene così e intanto c’è l’ennesima sfida davanti a me. ma domani chissà, forse avrò indietro il mio taccuino con l’autografo.

Non si muore mai ad aspettare, anche se arrivi in ritardo.

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Ore 3.21 fuori piove alla televisione danno una di quelle insistenti repliche di televendite. Durante il giorno passano troppo spesso inosservate mentre la notte hanno un fascino particolare. Prima di andare a dormire, ogni sera mi guardo la mia dose di elettrodomestici ultima generazione per casalinghe di età compresa fra i 65 e i 75 anni provenienti soprattutto dal Nord-Ovest. La mia personale ricerca di target è frutto del servizio civile di qualche anno fa, le persone più giovani di 65 anni tendenzialmente non comprano ma seguono, mentre quelle di età maggiore a 75 hanno i telefoni bloccati dai figli, altrimenti comprerebbero qualsiasi cosa pur non seguendo. Ogni 20 minuti queste televendite si ripetono. Ogni 20 minuti trovo nuovi dettagli che mi erano sfuggiti. Ogni giorno visualizzo nuovi angoli dell’oggetto. È una ricerca maniacale questa, che riesce a farmi venire il buonumore tutte le notti prima di addormentarmi.

NUOVI STILI DI INSONNIA.

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Ore 7.57 la televisione si spegne in automatico, la luce del sole non entra mai in casa mia, in estate come in inverno. Dormo poco e male, ogni mattina con solita velocità di un pachiderma mi riesco a gettare sotto la doccia. Tutto al rallentatore. Da qualche tempo però, mi sono deciso a bruciare qualche tappa per svegliarmi un pochino dopo, dato che alle 8.50 devo essere puntuale in ufficio che dista quasi una linea intera di tram in una città come Milano. Mi lavo i denti sotto la doccia, dopo aver mangiato quattro biscotti e bevuto 1 bicchiere d’acqua. Finisco la doccia, bevo 1 bicchiere di latte freddo, mi vesto e per finire asciugo i capelli con il sottofondo musicale casuale generato dal mio computer. È molto divertente quando parte uno di quei brani hardcore rock con mille chitarre e una batteria infernale, sento uno spirito diverso nell’affrontare la giornata. D’altronde la prima canzone del giorno, per una persona che vive da sola in un monolocale da circa 12 anni è tutto. Un dentro o fuori della giornata che stai per vivere. Alle volte quando parte qualcosa di meno allegro e più sussurrato abbasso la levetta dell’asciuga capelli al minimo e tutte le mie poche energie si consumano così.

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Ore 8.35 siamo ancora fermi all’incrocio più lento della città. Il tram in questo tratto va a passo d’uomo. Molte volte decido di scendere e correre verso l’ufficio, ma tutto dipende dalla prima canzone del giorno che influenza le successive scelte durante il viaggio. C’è la playlist da cuori forti, sul filone sussurrata, molte parole, tante domande e cuore in gola. C’è la playlist felicità, con tante chitarre, rumore, ancora chitarre, batterie infernali e un sacco di cazzuta spensieratezza e infine c’è la playlist tunz tunz, quella che dovresti ascoltare il sabato sera, ma dato che il sabato sera non frequento più locali dove mi fischiano le orecchie e trema la pancia a causa dei vodka lemon di bassa qualità ingeriti, per me suona sempre come nuova. Scopro nuovi ritmi grazie alla mia maniacale curiosità. Ad ogni modo, superato l’incrocio la strada diventa in discesa, anche oggi mi giocherò tutto nel tratto che va dalla fermata al cancello dello studio in cui lavoro.

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Ore 8.49 sono sceso, 234 metri davanti a me. In circa 60 secondi dovrei riuscire a farcela. Non ci saranno problemi. Da Lunedì al Venerdì la strada è sempre vuota, nei fine settimane però (quei pochi in cui mi è capitato di andare in ufficio) c’è il mercato del quartiere, dove solitamente non c’è grande affluenza ma i famosi ausiliari del traffico bloccano tutto e viene soppressa la fermata del tram. Questi 234 metri, percorsi in meno di 60 secondi, sembrano lunghissimi anche perché solitamente spengo la musica appena sceso dal mezzo pubblico, altrimenti entrare in ufficio con le cuffie non sarebbe mai accettato dal mio capo. Suono al campanello, mi aprono. Entro, prendo l’ascensore, salgo al settimo piano, apro la porta e come sempre trovo solo le donne delle pulizie in procinto di uscire e Clara, una mia collega vicina alla pensione che mi vuole puntuale alle 8.50 perché se no è la prima a fare la spia verso l’alta dirigenza dello studio. Alle 10.00 arrivano tutti i professionisti del settore, noi normalissimi segretari dobbiamo far trovare tutti i computer accesi e la linea internet ben connessa. capire le cose o i cosi o il coso per tagliare.

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Alle 10.00 arrivano tutti i professionisti del settore, noi normalissimi segretari dobbiamo far trovare tutti i computer accesi e la linea internet ben connessa. Quest’ultima fondamentale per l’umore di queste persone. Si presentano ben vestiti e profumati, avranno passato sicuramente una tranquilla mattinata e probabilmente la sera prima avranno sfogato tutti i loro istinti animali con le mogli belle e rifatte, lasciando i proprio figli con la tata nella casetta di fianco all’appartamento in cui vivono. Eppure quando manca la connessione, manca pure la mia pausa pranzo. Clara è fortunata per lei c’è un ottimo stipendio ma soprattutto bonus e pause infinite per sigarette nel bar all’angolo anche se i computer fossero spenti e la connessione totalmente assente. Anni fa, pare abbia avuto una relazione con il capo. Da quel momento solo benefit e aumento di stipendio progressivo fino alla pensione, contando che sono passati 15 anni non voglio nemmeno immaginare quanto possa prendere una normale impiegata.

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Ad ogni modo qui sono pagato puntualmente e cerco di non sgarrare. Questi professionisti dell’alta finanza Milanese sono persone assai vendicative. Molti di loro si sono arricchiti qualche anno fa, vengono dal nulla e non hanno ancora superato quella voglia di rivalsa verso il compagno di scuola che si portava a letto la propria fidanzata.Per certe cose siamo simili, tipo questa anche se ora loro possiedono auto di lusso, mogli rifatte, bimbi bellissimi, residenze estive, invernali e un conto in banca che probabilmente non raggiungerò mai nemmeno mettendo da parte ogni mese il mio stipendio. Lavoro qui da un paio d’anni e a parte il mio capo Stefano Ranalli penso di non aver mai scambiato più di qualche parola con queste persone. Loro non sanno come mi chiamo. Alle volte sono Francesco, per alcuni Matteo, mentre per quelli che sono spesso in giro per l’Europa (ovvero i più affermati) rimango “coso”. La ripetizione perenne di questo sostantivo ha creato in me una grande voglia di seguir le televendita per capire le cose o i cosi o il coso per tagliare.

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Ore 17.30 finisce la mia giornata lavorativa. I primi momenti sono stupendi, mi vedo al parco per far due tiri a pallacanestro oppure in qualche birreria con gli amici per bere una chiara media, invece salito sul tram finisco sempre per voler un letto su cui dormire fino alla mattina dopo. Questo lavoro ha ucciso le mie passioni, i miei affetti e forse anche me stesso. D’altronde durante il viaggio di ritorno sempre tutto nero, nebbioso e con un gran freddo addosso. Sento spesso i brividi lungo la schiena che mi ricordano le febbri avute durante le scuole medie, dove finivi coccolato dalla tua nonna per tutto il giorno. Sceso dal tram, con un passo veloce corro a casa mi levo i vestiti, mi metto accomodo accendo il computer e inizio a oziare per tanto tempo fumandomi sigarette. È un momento particolare, molto intimo e decisamente egoista. Potrei chiamare qualcuno, condividere il mio tempo libero eppure mi ritrovo solo e in questi precisi istanti, felice.

Poi dormo.

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AL PUB PER FESTEGGIARE.

Rovesciai la birra nel momento sbagliato addosso alla persona sbagliata.

Io lo guardo. Lui mi guarda. Insomma ci guardiamo. Lui è incattivito, poco fa uno dei miei amici vicino alla porta del bagno ha tentato un timido approccio malizioso (ovviamente in tono scherzoso) con la ragazza di uno dei personaggi alle sue spalle. Per gettare ulteriore benzina sul fuoco, durante la partita di calcio alla televisione ci siamo beccati a distanza di qualche tavolo (per la cronaca abbiamo vinto noi con goal allo scadere). Ora probabilmente mi picchieranno. Nella mia vita penso di non aver mai fatto una rissa, non ho mai capito il senso pratico però assistere è sempre un piacere. Una sorta di corso di recitazione dove gli attori gridano e si fanno del male fisico.

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Una nuova disciplina artistica che si esaurisce dopo poco, dove i vincitori mostrano la propria virilità al sesso opposto che nella maggior parte dei casi, urla e piange, ma poi finisce tutto e molte volte non serve manco curare le ferite dato che fondamentalmente fanno molto uomo vissuto. Ad ogni modo la prima cosa che mi viene in mente è quella di alzare la mano, proprio come si faceva alle scuole elementari poco prima dell’interrogazione per andare in bagno, solo che non mi sembra il modo giusto per scampare al pestaggio. E allora in quei pochi decimi di secondo penso e all’improvviso mi esce un “Do you speak english?” Italianizzato grezzo, che manco i calciatori di terza categoria catapultati in Inghilterra.

Segue un silenzio lunghissimo, loro sono tatuati e probabilmente frequentano pure il wellness center (da me conosciuto come palestra) del fidanzato barbuto di Eveline.

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I casi si possono semplificare così:

1- Chiedo scusa e incasso il pugno;2- Mostro il dito medio e corro via;3- Attacco con un destro fortissimo alla pancia del mio contendente.

Dopo il mio tentativo inglese, che difficilmente mi avrebbe salvato dato che siamo nel hinterland Milanese, guardo la mia birra versata sui pantaloni camouflage. Attorno si addensano le nubi, arrivano altre persone, c’è pure il sesso opposto e la musica si fa tambureggiante. Sembra tutto pronto, ora tocca a me essere protagonista di questa sceneggiata. Poi starnutisco. Mi guardano schifati, mi tiro su il cappuccio della felpa e starnutisco di nuovo. Il freddo preso continua a farmi macinare starnuti che quasi non riesco a respirare. Loro si allontanano, e io continuo a starnutire. Segue la logica, starnuto - passo indietro - starnuto - passo indietro - starnuto - passo indietro.

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Cambia la traccia in sottofondo, parte un brano trash anni 80, alcune persone scuotono la testa e se ne vanno per il mancato spettacolo mentre all’energumeno davanti rivolgo un “scusami, avresti mica un fazzoletto?” mi guarda sconsolato, l’adrenalina era ormai scesa definitivamente. Mi porge un tovagliolo dal bancone del bar e poi se ne va, sconfitto psicologicamente e con i pantaloni bagnati come se si fosse pisciato addosso dalla paura (almeno mi piace vederla così) e in quel momento mi sento un vincente, raffreddato e senza fiato come se avessi corso una mezza maratona. Attorno a me il vuoto, senza amici e con gli ultimi soldi rimasti investiti in quella birra. La musica si fa triste e partono i brani lenti, dove tutti si riprendono dalla sbornia. Io andrò a piedi, anche se fuori inizia a piovere.

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LE MIE NUOVE GIORNATE

Da quando Damiano è diventato il nostro nuovo capo le cose sono cambiate. Da segretario impiegato persona dedita a rispondere al telefono, fare fotocopie e portare caffè dalle ore 8.30 fino alle 18.00 sono passato a battitore libero, tuttofare sì ma con spina dorsale. Accompagno Damiano dai clienti, giro qualche città nella sua auto bellissima e qualche volta mi capita pure di dare una qualche opinione (quasi sempre inascoltata) in sede di meeting. La cosa migliore sono le giornate libere e gli orari flessibili. Oggi ad esempio sono stato tutto il giorno a letto, ho pranzato alle 16.00 e poi sono andato a fare un giro in centro prendendo le biciclette comunali. Sono tornato a casa, aperitivo con birra e patatine davanti ai videogiochi e doccia fredda. Cena e navigazione in rete alla ricerca di qualche film interessante. A rompere una giornata fantastica come questa, a parte il sole afoso in una città come Milano, arriva la chiamata di Martin Frost. Martin Frost è un nome bellissimo. Martin Frost è Finlandese, ha studiato con me qualche anno fa e insieme facevamo un sacco di cose divertenti e pianificavano ogni giorno un modo per conquistare il mondo

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Ci siamo inventati qualche progetto interessante di riqualificazione di alcune aeree di Milano, poi siamo arrivati a diversi incontri pubblici e non abbiamo mai ottenuto nulla ma l’importante è stato provarci con lo spirito giusto. Poi Martin Frost è diventato stagista in una multinazionale e ha deciso di cambiare città, in seguito (sempre Martin Frost) non è stato assunto e ha cercato di aprire una piccola attività nel suo paese di origine, tipo cucina all’Italiana in Finlandia. Dopo qualche successo figlio di articoli per il web e una grande attività di promozione online il sogno di Martin Frost è sfumato. Quindi giù dalla scala sociale, nessun moto di orgoglio e di nuovo impiegato (sempre come segretario) in uno studio di avvocati super intelligenti, di quelli con la camicia pulita ogni giorno, nella capitale Finlandese Helsinki. Ora le domande che mi hanno sempre tormentato sono:- a Helsinki quanto lavorano gli avvocati?- le camicie che indossano sono più o meno pulite di quelle Milanesi?- le camicie che indossano hanno i quadretti?- cosa ci fai in uno studio legale a Helsinki?- si è sposato? ha qualche figlio?- è felice?

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Martin Frost inizia la chiamata così:“Niccolò, è una vita che non ti sente come vanno le cose a Milano? Sei sempre lì?” — una vita che non mi sente ma per lui risulta scontato trovarmi sempre a Milano nel fare le solite cose, il tutto significa che non ha mai avuto grossi sprazzi di fiducia verso la mia camminata sociale.“Sì Martin, son sempre qui ma ora il mio lavoro è molto più carino. Sono impiegato dinamico, non solo scrivania anzi giro per l’Italia e ogni tanto posso permettermi di parlare!”“Deduco siano stati anni difficili questi per te, ma sai ho scelto di evitarmi il lavoro da impiegato in Italia perchè l’ho sempre trovato piuttosto statico. È una fortuna che puoi girare per una nazione bella e sottovalutata come la vostra!”“Diciamo che non mi posso lamentare”“Bene allora ti avviso che presto torno che ho un progetto in cui vorrei coinvolgerti come ai vecchi tempi” — un progetto in cui vorrei coinvolgerti è una frase tipica da Milanese finto produttivo. Quelli che si svegliano la mattina consci del fatto che “i loro progetti in cui vorrei coinvolgerti” non sono altro che patetiche caricature dei loro desideri e prevedono nel 90% un lavoro non pagato.

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“Va bene, fammi sapere”  —  chiudo la chiamata, ritorno a mangiare patatine pur avendo cenato e rimango fermo pensando a quando tempo abbiamo buttato io e un Martin Frost qualsiasi nell’inseguire una via d’uscita da questa catena di montaggio culturale e non flessibile nelle nostre giornate dopo la laurea. Martin Frost in fondo è (o forse era) un tipo davvero in gamba, con un grande potenziale. Io in fondo sono (o forse ero) un tipo davvero in gamba, con un grande potenziale. Ma guardarci adesso, lui con gli avvocati dalle camicie a quadretti (guardando su google ho trovato immagini che lo testimoniano) mentre io con i finanzieri dal dopobarba costoso e le camicie bianche stirate dalla domestica ogni mattina. Entrambi bulloni facilmente sostituibili in un mare di bulloni dentro una scatola di bulloni in un armadio di bulloni nella stanza di bulloni in fondo al reparto dedicato ai bulloni in un centro commerciale nel hinterland con ampio parcheggio ma difficilmente raggiungibile senza macchina.

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LA TESI DI LAUREA.

Sei convinto che finire il percorso di studi porti alla libertà. Martin lo ripeteva ogni giorno mentre preparavamo le nostre rispettive tesi. Il mio coinquilino Piergiorgio Farina è al primo anno, non può capire quello che stiamo provando. Ci vede sempre lì, sotto esaurimento nervoso intenti a scrivere e cancellare, cancellare e poi scrivere, ma soprattutto cancellare il poco che abbiamo scritto. Nel frattempo ho anche iniziato i colloqui di lavoro, per la prima volta cerco fortuna nella capitale Italiana della produttività, Milano. La metro delle 9.00 in quel di Milano è apatica. La gente non è nervosa ma rassegnata alla propria giornata, testa bassa e pedalata stanca finta produttiva. Arrivo nello studio alle 9.30, mi riceve un ragazzo sui 30 anni, capello lungo e presunto rocker (stile Grignani però). Mi sorride, la scrivania è pulita ma non profumata, la stanza è luminosa ma non colorata e lui ha una gran voglia di parlare del proprio lavoro quasi a convincermi che tutto sommato dovrei scegliere la loro compagnia per passare 4 mesi della mia vita stagista, sottopagato. Nell’uscire però ci tiene a fare il giovane, anche se in fondo è giovane, mi saluta con un “ahaha le faremo sapere” grasse risate non si sa per cosa e via.

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Di nuovo metro, apatia, pedalate stanche e un venditore di ombrelli intercettato dalla polizia, ma questa è un’altra storia.Del rocker e la compagnia nessuna notizia per settimane e il giorno della tanto attesa discussione di tesi si avvicina. Qualche compagno di studi ha rifinito con puntualità il lavoro svolto e non vede l’ora di poter ritenersi finalmente libero, altri rimangono svegli fino a orari improponibili certi di poter migliorare la loro posizione. Io non faccio quasi nulla e mi adeguo, per nulla soddisfatto della mia “cognizione politica nel ventunesimo secolo” (titolo della tesi) e del modo in cui la discuterò. Cerco lavoro, da un momento all’altro la situazione si sbloccherà. Con una laurea in scienze politiche non dovrei aver problemi giusto? Molti escono da qui e diventano impiegati sottopagati in qualche ufficio di attività x o y, ma io sono speciale anche creativo e con Martin abbiamo realizzato una serie di progetti molto interessanti che hanno ricevuto pure qualche trafiletto nel quotidiano locale verso le ultime pagine di fianco al calendario delle sagre.

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Mi ripeto ogni giorno che la salita ormai è terminata. Piergiorgio mi guarda ogni mattina mentre parlo da solo. Ora inizia la discesa verso un lavoro pieno di soddisfazioni, una ragazza con cui costruire una famiglia bellissima e avere 3 figli meravigliosi. Due femmine e un maschio, quest’ultimo diventerà il mio piccolo eroe e lo vizierò tantissimo e magari decideremo insieme uno sport da seguire e andremo allo stadio, al parco, al cinema fino a quando non diventerà grande e mi sostituirà con il proprio computer per qualche sega domenicale post pranzo con i nonni. Le femmine invece saranno come la loro madre, donne forti e con la situazione sotto controllo. Affettuose e innamorate del loro padre, arriverà un tipo con la motocicletta, il giubbotto di pelle e l’occhiale da sole e me le porterà via a distanza di qualche anno, entrambe. Insomma dopo la laurea non sarai più quel fallito rimasto sopra il divano per mesi a mangiare patatine prendendoti gioco culturalmente di tutte quelle persone che si lamentano del mondo in cui vivono. Piergiorgio. Piergiorgio alle volte vorrei abbracciarlo, lui ancora è ignaro di quanto sia bello esser laureati e non esser fermi al primo anno di università. Piergiorgio fa proprio quello che facevo io.

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Rimane fermo sul divano, esce la sera fino a tardi, prende i voti indispensabili per poter rimanere in pari con gli esami e il tempo non sembra passare mai. Dopo qualche anno ti accorgi che devi alzarti dal divano, smettere di giocare alla playstation fino a tardi, tornare presto la sera perchè devi incontrare il tuo relatore di tesi e sentirti finalmente libero all’interno di un meccanismo assai più complesso chiamato lavoro. Piergiorgio il giorno della mia tesi arriva in ritardo di mezz’ora, ubriaco e con due occhiaia importanti. Io discuto e Piergiorgio come molti altri non ascolta minimamente quello che ho da dire. Piergiorgio però mi fa i complimenti, prende una bottiglia e inizia a bagnarmi. Proprio come facevo io con i ragazzi più grandi tempo fa. In quel secondo mi sento finalmente libero, culturalmente appagato e invincibile. Domani trovo lavoro divento miliardario, famoso e oltre la bellissima famiglia sopra citata avrò pure una macchina bellissima che laverò prima di ogni evento importante come la cena dai nonni la domenica. Io, Piergiorgio, la mia famiglia e i miei amici festeggiamo tutta la notte.

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Da oggi sono libero ripeto, da oggi sono libero continuo a ripetere. Nessun vincolo scolastico. Eppure il giorno dopo prometto di svegliarmi presto e non lo faccio, apro gli occhi e Piergiorgio sta ancora dormendo pur essendo tarda mattinata. Apro il computer, nessuna mail. Passano una serie di settimane identiche. Mi sveglio abbastanza presto. Apro il computer, nessuna mail. Mando CV in giro per il mondo. Dormo dopo aver visto qualche programma culturalmente impegnato. Mi sveglio, computer, cv, tv, letto. Settimane che non passano mai. Piergiorgio fa esami, esce la sera e organizza gruppi studio dove si rimorchia un casino. A un certo punto con l’arrivo di Agosto decide di tornare a casa nella sua Ancona. Mi saluta e va al mare. Io rimango fermo in casa. Nel frigorifero c’è una bottiglia di latte freddo quasi scaduto ma non puzza. Piergiorgio è partito, il latte non puzza ma è quasi scaduto. Apro il computer ma non ho ricevuto mail, mando qualche CV in giro per l’Italia. Stasera danno un bel film anni 70 in televisione che parla dei nostri diritti e di come il mondo sia cambiato grazie a certe battaglie. Penso che non uscirò, andrò a dormire perchè domani devo mandare altri CV in giro per la città.

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10 CANZONI PER PROVARE A RACCONTARTI.

Daniela mi scrive. Con Matteo è finita. Caspita Matteo è uno di quei ragazzi testardi non di bellissimo aspetto ma con un grande carisma e quando si mette una cosa in testa, quella è. Con Daniela ha vissuto un qualcosa di passeggero. Entrambi lo sapevano, forse l’hanno sempre saputo anche quando per sbaglio gli ho fatti conoscere. Lei ragazza mora non troppo alta, timida e con la pelle bianca e morbida. Lui è ruvido, irriverente e con poca pazienza. Nasce tutto per caso mentre mi discosto lentamente dal locale. Prosegue per le vie della notte, fra messaggi rubati, conversazione strappate e baci, un sacco di baci. Sono due care persone per me. Vengono da mondi opposti ma sono molto simili. Lui alle scuole elementari era quello più alto di tutti, goffo e molto permaloso. Lei era schiacciata dagli altri e restava spesso nel suo banco insieme a Stefania, amica del cuore. Si somigliano, l’ho sempre pensato. Vivono qualcosa di molto bello, anche se lei è combattuta non su quello che provasse per lui ma sulla reale comprensione della sua persona. Lui ostinato, non ascolta mai. Andiamo allo stadio e passa il tempo a polemizzare con gli stessi tifosi della sua squadra. Lui non ascolta altro che il proprio ego e questa cosa l’ha sempre fregato. Il fegato di Matteo morde come un mediano le cavaglie del regista.

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Daniela è paziente. Per settimana ha dovuto limitare i suoi spazi per far posto a lui, cortese e gentile ma assai troppo invadente. Daniela mi scrive che è finita, Matteo non la prende bene. Vado subito da lui e lo trovo in salute, con poche ore di sonno, ma in salute. Mi lascia un disco, dentro c’è una lettera e una serie di brani, abbastanza belli. Devo andare da Daniele per lasciarglielo. Di come e perchè sia finita nessuno dei due si lascia scappare nulla, Matteo torna a farsi bruciare il fegato mentre lei sarà a casa, esasperata dalla situazione. Arrivo da Daniele. Mi apre. Non pensavo ma sta molto peggio di lui. Pare abbia perso tutte le energie necessarie per sostenere questa situazione ma anche lei non vuole raccontarmi nulla di questo. Vede che ho una cosa per lei, la rifiuta. Non vuole più saperne, almeno per ora aggiunge. Mi rivesto, prendo l’ascensore dal quinto piano e torno in strada. Decido di aprire il pensiero di Matteo. Sono curioso e forse un pochino ficcanaso quando le cose non riguardano direttamente me. La lettere recita questo e il disco ovviamente è meraviglioso:

“Forse, sembrerà solamente uno stupido esercizio di stile ma l’aspetto fondamentale è cercare di associare ogni 180 secondi di musica una tua caratteristica o sfumature. Perché, spero di averci almeno capito qualcosa. Perché mi leverebbe almeno un peso dal cuore. Perché un sorriso, lo sai, quello è per sempre.”

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1- Perché la domenica dovrebbe essere illegale. Perché la domenica è qualcosa che ti discosta dal resto del mondo. Perché la domenica resti sola a guardare il soffitto.

2- Vi è sempre un momento dove vorresti esser felice. Un momento dove non hai tempo per pensare a quello che succederà. È forse semplicemente il tuo istinto, quello libero da tutto compreso il passato.

3 - L’attitudine. Quella sicurezza granitica e matura. Quella coerenza testarda che diventa mantra anche nelle giornate peggiori.

4 - Il freddo interiore. Le paranoie, l’occhio che guarda a destra e le gote ruvide.

5 - I giorni di pioggia bellissimi. Il buon profumo dei tuoi occhi.

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6 - Abituarsi a non voler esser felici. Perché umiliarsi davanti alla felicità è una cosa infinita.

7 - Ah, c’è anche che sei simpatica. Del tipo che fai ridere perché hai un buon repertorio di battute. Non ottimo, però molto buono.

8 - (il fegato comanda sul cuore e sulla testa, e lo sai).

9 - Le spalle rigide che poi abbassano la guardia e succede che hai paura. Una fottuta paura.

10 - L’estro. Perché se non venisse fuori sarebbe un peccato mortale, il tuo peccato mortale.

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Rimango fermo per qualche minuto. Matteo ogni tanto sa stupirmi. Non per l’esercizio di stile o la poesia presente nel testo ma per la semplicità con cui ha reso le caratteristiche di Daniela. Solo che lei non lo saprà mai ed è un peccato, ma io non mollo. Apro il portone suonando ai vicini (sono le 23.40 di notte) e lascio tutto questo nella buchetta della posta. A lui dirò che è andato tutto bene, lei forse domani leggerà e fra qualche tempo capirà. Quello che ha capito troppo tardi è stato Matteo, ma tardi per certe cose non esiste e il tempo rimane solamente uno strumento relativo, come l’amore e i momenti, ma non per la compagnia che potevano farsi.

“È andato tutto bene, ora stai tranquillo e riposa”. Matteo non risponde, forse non lo farà per giorni, ma sono sicuro che adesso non ha bisogno nemmeno della mia compagnia. Testardo lui.

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L’ALTRO TURNO.

Al tavolo da Poker nella sala blu Damiano è chiuso da 3 ore. In quella rossa il suo amico Francesco, notaio paffuto ma ben curato con moglie e figli a casa, sta vincendo di continuo dopo aver iniziato in sordina. Io sono fuori, osservo da uno schermo la situazione e ogni 5 minuti fumo sigarette. Il lavoro da impiegato dinamico è anche questo, accompagnare il capo e i suoi amici, piuttosto lontani dalla mia idea di vita, a sfogare i propri vizi in una villa a un centinaio di chilometri da casa. Passa un altro paio d’ore e mi ritrovo con Francesco. Francesco Pini, notaio di origini abruzzesi con moglie bellissima e figli noti alle cronache per la mole di ragazze brutalmente lasciate. I Pini sono una famiglia importante nella città di Milano. Il padre è vicino da tempo all’alta finanza ma soprattutto alle squadre di calcio cittadine; i figli Marco e Francesco sono aspiranti imprenditori che riempiono i blog di tendenza con i loro personaggi stravaganti. In realtà Marco e Francesco non esistono, calcano semplicemente una via abbastanza diffusa nell’opulenza Lombarda quella della trasgressione.

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Vestono glamour, vanno nei locali giusti dove alle volte devi entrare con qualche tessera dell’associazione x o y e alla fine si fanno venire a prendere vomitati dall’autoblu del proprio padre. Il proprio padre, Francesco Pini di fianco a me con un sorriso figlio della grossa vincita ma soprattutto dell’alcool, mi guarda e inizia una pratica assai diffusa nelle persone peccaminose — “sai potresti essere mio figlio” — cavolo tuo figlio, sai che sfiga. Non tanto per i tuoi vizi, ma per il modo in cui cerchi ogni giorno di andare in televisione e fare la morale in qualche programma da poco rassicurando il telespettatore che l’aspetto candido delle cose esiste.Alla fine rispondo con un lapidario — “Mi fa piacere”.Incalza insieme ai sensi di colpa — “Se ti fa piacere potresti conoscerli, loro hanno qualche anno in meno ma vanno forte con le ragazze”E qui il grande dubbio. Davvero questo pezzo grosso delle società, uomo nel gradino più alto della piramide sociale può rivolgersi a un umile merda come il sottoscritto, incitandolo a raccogliere qualche ragazza con i propri figli rei di esser dei gran conquistatori? Oppure si sente così in colpa da voler farmi da padre dopo aver fissato un qualche appuntamento con le solite tre ragazze che popolano questo posto e aver rischiato di perdere una cifra x di soldi compresi fra il mio stipendio e quello di un ottimo avvocato?

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“Magari nelle prossime settimana vediamo, ora ho tanto lavoro”Mi guarda fisso e rassicurato quasi a testimoniare il fatto di aver ripulito la propria coscienza dopo il ricco tavolo della notte.“Entro a fare un altro giro mi sa, stasera la mia fortuna non sembra avere limiti” — ritorna nella stanza rossa, ormai è notte inoltrata. Damiano è sempre nella sua parte, Francesco sta perdendo e io devo guidare la macchina perchè l’autista è troppo amico delle rispettive mogli. Damiano mette tutto sul piatto, forse è pronto per uscire dalla partita ma vince. Stranamente certe persone in queste situazioni vincono sempre. Fa lo stesso Francesco e anche lui vince. La notte ormai va esaurendosi, domani devono esser in ufficio entrambi per le 10.00 per via di qualche appuntamento fissato da tempo. Nella stanza insieme a me non c’è nessuno, solo qualche sedia impregnata di fumo e una serie di bicchieri vuoti rimasti lì chissà da quanti giorni. Uno schermo, le due stanze e un bar completamente vuoto senza personale. Ora penso si giochi seriamente, il mio occhio sta cedendo e anche il segnale perde battiti. Damiano sorride e guarda la telecamera. Si alza con un fazzoletto e copre l’obbiettivo, stessa cosa nell’altra sala a distanza di pochi minuti. Il gioco si fa duro, le luci sono spente e nel vuoto della stanza inizio a sentir freddo puzzando di sigarette. È tempo di non farsi domande, ancora non è il mio turno.

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