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INTRODUZIONE Jobs Act: la riforma del lavoro vista dai ... · semplificazione, minore burocrazia,...

Date post: 15-Feb-2019
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Proposte AIDP Associazione Italiana per la Direzione del Personale in materia di riforma del lavoro alla XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) CAMERA DEI DEPUTATI Roma, 18 dicembre 2014 INTRODUZIONE Jobs Act: la riforma del lavoro vista dai Direttori del Personale Il documento raccoglie ed illustra osservazioni e proposte elaborate da tre distinti gruppi di soci AIDP Associazione Italiana per la Direzione del Personale, costituiti ad hoc in vista dell'incontro con la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati del 18 dicembre 2014. Osservazioni e proposte sono riferite a tre distinti momenti del rapporto di lavoro: la sua costituzione, la sua gestione, la sua risoluzione. Inevitabili gli "intrecci" logici e giuridici tra l'uno e l'altro momento, ed inevitabile quindi che alcuni specifici argomenti siano stati esaminati da più di un gruppo, sotto diverse angolature. Abbiamo preferito mantenere queste "duplicazioni" affinché possa emergere appieno la ricchezza del dibattito che ha caratterizzato il lavoro dei tre gruppi. In via generale, due considerazioni preliminari riguardano tutti e tre i momenti del rapporto: semplificazione, minore burocrazia, migliore produttività, costo del lavoro e certezza del diritto, sono le variabili fondamentali per favorire lo sviluppo degli investimenti in un Paese come l'Italia, che paga a caro prezzo inadeguatezza e arretratezza rispetto ad altri Paesi europei. L’attuazione della legge delega, nella parte che prevede l’emanazione di un Codice Semplificato delle norme relative ai diversi tipi di contratto di lavoro e allo svolgimento dei relativi rapporti di lavoro, se correttamente realizzata, può avere un’importanza epocale, un’occasione da non perdere per rendere la nostra legislazione lavoristica finalmente più chiara, leggibile, reperibile e traducibile rispetto a quanto non lo sia ad oggi. Sarà l’occasione per identificare al meglio le diverse tipologie contrattuali, definire le une rispetto alle altre, evidenziandone chiaramente i rispettivi vantaggi e svantaggi per le aziende e per i lavoratori. In concreto l’occasione per ridurre drasticamente anche quegli ambiti di sovrapposizione o di poca chiarezza normativa che, ad oggi, costituiscono elementi frenanti all'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro.
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Proposte AIDP Associazione Italiana per la Direzione del Personale in materia di riforma del lavoro alla XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) CAMERA DEI DEPUTATI Roma, 18 dicembre 2014

INTRODUZIONE Jobs Act: la riforma del lavoro vista dai Direttori del Personale

Il documento raccoglie ed illustra osservazioni e proposte elaborate da tre distinti gruppi di soci

AIDP Associazione Italiana per la Direzione del Personale, costituiti ad hoc in vista dell'incontro con

la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati del 18 dicembre 2014.

Osservazioni e proposte sono riferite a tre distinti momenti del rapporto di lavoro:

la sua costituzione, la sua gestione, la sua risoluzione.

Inevitabili gli "intrecci" logici e giuridici tra l'uno e l'altro momento, ed inevitabile quindi che alcuni

specifici argomenti siano stati esaminati da più di un gruppo, sotto diverse angolature. Abbiamo

preferito mantenere queste "duplicazioni" affinché possa emergere appieno la ricchezza del

dibattito che ha caratterizzato il lavoro dei tre gruppi.

In via generale, due considerazioni preliminari riguardano tutti e tre i momenti del rapporto:

semplificazione, minore burocrazia, migliore produttività, costo del lavoro e certezza del

diritto, sono le variabili fondamentali per favorire lo sviluppo degli investimenti in un Paese

come l'Italia, che paga a caro prezzo inadeguatezza e arretratezza rispetto ad altri Paesi

europei.

L’attuazione della legge delega, nella parte che prevede l’emanazione di un Codice

Semplificato delle norme relative ai diversi tipi di contratto di lavoro e allo svolgimento dei

relativi rapporti di lavoro, se correttamente realizzata, può avere un’importanza epocale,

un’occasione da non perdere per rendere la nostra legislazione lavoristica finalmente più

chiara, leggibile, reperibile e traducibile rispetto a quanto non lo sia ad oggi. Sarà

l’occasione per identificare al meglio le diverse tipologie contrattuali, definire le une

rispetto alle altre, evidenziandone chiaramente i rispettivi vantaggi e svantaggi per le

aziende e per i lavoratori. In concreto l’occasione per ridurre drasticamente anche quegli

ambiti di sovrapposizione o di poca chiarezza normativa che, ad oggi, costituiscono

elementi frenanti all'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro.

1. Strumenti per la costituzione del rapporto di lavoro

PREMESSA

Pur nella positiva valutazione sia dell'obiettivo di ridurre le forme contrattuali di inserimento al

lavoro, sia della scelta del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come strumento

principale di inserimento al lavoro, non si può tuttavia tralasciare di considerare che alcune altre

tipologie contrattuali "flessibili" rispondono a precise esigenze aziendali. All'eventuale utilizzo

improprio di tali tipologie che si fosse verificato in taluni casi in passato, si deve ora rispondere con

controlli ed eventuali sanzioni, e non con l'eliminazione di forme contrattuali che, rispondendo

appunto ad esigenze delle aziende, possono continuare ad essere fonte di creazione di

occupazione.

Contratti a termine, co.co.pro., apprendistato, somministrazione, ecc fanno a nostro giudizio parte

delle tipologie contrattuali che non possono e non devono essere abolite, ma devono continuare a

trovare spazio nel panorama giuslavoristico.

Qui di seguito alcune considerazioni sulle criticità e sui possibili miglioramenti da apportare alle

varie tipologie di contratto e su alcuni aspetti particolari relativi all'inserimento al lavoro.

In linea generale, si auspica che i decreti che il Governo emanerà lascino il minor spazio possibile

ad incertezze interpretative, in modo tale sia da favorire un più "fluido" e rapido sviluppo di

inserimenti al lavoro, sia da evitare ricorsi alla Magistratura che inevitabilmente determinano

difformità interpretative e tempi lunghi per la soluzione delle questioni che dovessero insorgere.

CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI

Dall'analisi del dettato normativo in esame sul “contratto a tutele crescenti” e sugli incentivi

previsti dalla Legge di Stabilità, emerge che si porranno certamente come elementi

importantissimi nella futura emanazione dei decreti sia quello dei diversi costi derivanti dalla

natura delle indennità previste come sanzioni per il licenziamento illegittimo, sia quello delle

condizioni e dei vincoli all’assunzione determinati dai precedenti contratti del lavoratore, che

rischiano di renderne eccessivamente rigida l’utilizzazione ed annullare l’effetto “promozionale”

del contratto a tempo indeterminato.

APPRENDISTATO

Nonostante l'aspetto critico rappresentato dal nome (il termine “apprendistato” evoca antiche

modalità di ingresso nel mondo del lavoro, ritenute obsolete; lo si potrebbe ridenominare, ad es,

"contratto di inserimento") che in talune circostanze lo rende non attrattivo per i neo laureati, la

proposta è di mantenere e migliorare l'apprendistato in quanto modalità di assunzione utile sia

per i giovani sia per le aziende.

Un aspetto di criticità è rappresentato dagli elementi di “rigidità” nella gestione del rapporto,

soprattutto per ciò che attiene alla difficoltà di mutare le mansioni e il profilo professionale

inizialmente previsti. Bisognerebbe introdurre la possibilità di modificarli anche in corso di

rapporto, alla luce di diverse valutazioni, sia da parte aziendale che del lavoratore, intervenute (si

pensi a mutate esigenze organizzative che non prevedono più una certa mansione o differenti

valutazioni dell’apprendista circa la mansione svolta). Ciò consentirebbe di avere risorse più

motivate e figure professionali meglio adattabili al contesto che muta rapidamente.

Altro aspetto è di natura più “economica”, legato agli sgravi contributivi. Si potrebbe estendere la

possibilità di decontribuire gli oneri a carico dell’azienda nella misura prevista per le imprese con

meno di 10 dipendenti, che consentirebbe di liberare risorse per aumentare la retribuzione

dell’apprendista, mantenendo la regola del "sottoinquadramento" contrattuale.

Da ultimo, l'apprendistato sarebbe modalità di inserimento ideale per piani di "re-juvination"

aziendale: a mero titolo di esempio, si può ipotizzare che se per ogni pensionamento venga

assunto un apprendista che venga confermato poi a tempo indeterminato, scatti la

decontribuzione per i primi 5 anni di lavoro del giovane così inserito in azienda.

LAVORO A TEMPO PARZIALE

Ad oggi vi è una rigidità eccessiva circa l’utilizzo dello strumento. Occorrerebbe prevedere regole

che permettano una maggiore flessibilità nel ricorso al part time per incentivarne l’utilizzo in modo

più efficace (per esempio attraverso la previsione di un monte orario flessibile che non debba

essere rigidamente programmato dall’inizio del contratto e poi modificabile solo con le clausole

elastiche o flessibili). Occorrerebbe poi permettere ai CCNL o agli accordi individuali tra i soggetti

di disciplinare le modalità gestionali ed applicative dello strumento.

Auspicabile anche l'introduzione di forme di agevolazione fiscale.

PERIODO DI PROVA

Ad oggi, in particolare nel CCNL Metalmeccanici, non è possibile mutare la mansione durante il

periodo di prova. Una proposta potrebbe consistere nel consentire che ciò avvenga (a fronte di

comprovate condizioni organizzative), con una procedura molto snella.

Nell’ipotesi del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti prevedere che la “tutela”

economica a fronte di un licenziamento decorra dal sesto mese, con la conseguente libera

recedibilità nel primo semestre.

Quanto sopra potrebbe contribuire a rendere più efficace il periodo di prova.

RICAMBIO DEL PERSONALE

È un’ipotesi molto utilizzata all’estero ma ancora poco sfruttata in Italia.

Si tratta di prevedere strumenti di flessibilità per l’uscita di lavoratori in procinto di ottenere il

trattamento pensionistico, favorendo in contemporanea l’ingresso di giovani disoccupati nel

mondo del lavoro. Ad oggi solo poche normative contrattuali o regionali prevedono questa

tipologia di “staffetta generazionale”. La sua utilità potrebbe consistere nell’utilizzo dell’esperienza

di lavoratori esperti ma non più considerati “produttivi” in un contesto tecnologicamente in

evoluzione per trasmettere “expertise” ai giovani neo inseriti in azienda, a fronte di sgravi

contributivi e fiscali, anche a favore del lavoratore anziano che lascia.

ASSUNZIONE PERSONALE EXTRA-COMUNITARIO

È sempre più complesso inserire in azienda personale non comunitario, anche quando si tratta di

personale specializzato. Occorre snellire le procedure di inserimento di queste figure.

ORIENTAMENTO FORMATIVO E AL LAVORO

È necessario un intervento sistematico, lungo tutto l'arco della vita, a partire dal ponte scuola-

lavoro. Deve essere un approccio integrato non in mano al solo Ministero della Pubblica Istruzione

o al solo Ministero del Lavoro, ma che veda coinvolte anche le politiche dello Sviluppo Economico,

della Famiglia, ecc.: un approccio quindi trasversale e "ad ombrello". Gli insegnanti oggi incaricati

dell'orientamento non hanno le competenze per assolvere tale ruolo né la visione del mercato del

lavoro. Negli altri paesi europei gli orientatori sono dei professionisti appositamente formati, e

l'esperienza è meno fallimentare rispetto all'Italia.

È anche indispensabile assicurare alle imprese (che, specularmente, se ne devono responsabilizzare)

la possibilità di incidere maggiormente sulla definizione dei programmi scolastici, in modo da

renderli più coerenti con le nuove professioni. Un tale avvicinamento potrebbe incrementare

l'utilizzo dello stage come strumento professionalizzante e quindi la possibilità di uniformare a livello

nazionale la disciplina dello stage, eventualmente allungandone la durata.

_____________________________________________________

2. Strumenti per la gestione del rapporto di lavoro

ORARIO DI LAVORO

Obiettivi

Consentire una maggiore flessibilità nell’articolazione dell’orario di lavoro misurandone i limiti

normativi in fasi di periodo più ampie.

Utilità

Notevole riduzione dei costi economici e organizzativi. Riduzione della spesa pubblica per

l’integrazione salariale ordinaria concessa per crisi momentanee di mercato.

Attuali criticità

Occorre superare tutte le inefficienze, i costi, le distorsioni e i limiti derivanti dall’istituto del lavoro

straordinario.

Principale riferimento normativo ad oggi

Il d.lgs. n. 66/2003 nonché i diversi CCNL di categoria.

Ipotesi di strumenti ed istituti normativi e/o retributivi

Quello della flessibilità dell’orario di lavoro è un tema a forte valenza strategica per la competitività

delle imprese, ma ancora troppo irrigidito dai vincoli posti dalla normativa e dai CCNL.

Al momento, il rimando alla contrattazione collettiva su questa materia non ha realizzato i risultati

sperati. Troppi strumenti restano ancora a carattere volontario e molti altri sono applicabili con

limiti talmente forti che vanno in direzione opposta alla flessibilità efficace ed efficiente.

Ipotizzando che venga lasciato come punto fermo dalla normativa nazionale il limite massimo delle

40 ore settimanali, si potrebbero adottare una pluralità di strumenti ed istituti che definiscono sia

le diverse forme di articolazione dell’orario di lavoro che il metodo per la “misurazione” del rispetto

dell’orario medio settimanale.

Di seguito alcune possibili ipotesi che potrebbero essere recepite dalla nuova normativa sul lavoro.

a) Orario di lavoro multi periodale. Le 40 ore settimanali devono essere determinate per ciascun

lavoratore come dato medio misurato nell’arco dei 12 mesi. Gli attuali rimandi alla contrattazione

collettiva hanno determinato periodi limitati e troppo eterogenei tra i vari settori.

La previsione direttamente per legge dell’orario multi periodale su base annua consente importanti

benefici alle imprese le cui esigenze produttive variano periodicamente.

Lo strumento può essere supportato da una maggiorazione economica oraria nei casi in cui venga

superato un determinato limite di periodo (mensile, trimestrale ecc.).

b) Flessibilità individuale. Fermo restando il parametro medio delle 8 ore giornaliere, al singolo

lavoratore potranno essere applicate articolazioni dell’orario variabili anche settimanalmente sulla

base delle esigenze tecniche e produttive e di una pianificazione almeno su base mensile.

Sempre all’interno di questa tipologia di istituto va inserito lo strumento dell’orario di lavoro

plurisettimanale che avrà specifiche articolazioni e definizioni quantitative.

c) Banca Ore. Le ore di lavoro eccedenti le 40 ore medie settimanali confluiscono in una banca ore

individuale le cui modalità di utilizzo saranno regolamentate a livello di azienda. Questo strumento

è già previsto in alcuni CCNL, ma solo ad adesione volontaria o con accordo aziendale.

Se supportato da una maggiorazione economica da riconoscersi per le ore di utilizzo, può sostituire

in buona parte il lavoro straordinario.

MANSIONI

Obiettivi

Migliorare l’organizzazione degli organici aziendali in linea con il processo produttivo e la variabilità

temporale e di prodotto dei mercati di sbocco.

Utilità

Riduce notevolmente le inefficienze di alcune aree funzionali aziendali evitando l’emergere di

esuberi strutturali. Si riducono i costi sociali per ammortizzatori sociali e sussidi di varia natura.

Attuali criticità

Vanno eliminati gli attuali limiti al de-mansionamento (legato solo a comprovate situazioni di crisi

d’impresa) e l’automatismo legale dell’incremento retributivo per lo svolgimento di mansioni

superiori.

Principale riferimento normativo ad oggi

L’art. 2103 c.c. e alcune disposizioni contenute nei diversi CCNL di categoria.

Ipotesi di strumenti ed istituti normativi e/o retributivi

È una delle principali rigidità nell’organizzazione del lavoro in Italia e forse una delle norme più

obsolete o comunque non più coerenti con l’attuale livello di complessità dei mercati, della

tecnologia e delle competenze professionali e trasversali dei lavoratori.

Le imprese, considerato l’enorme contenzioso negli anni registrato su tale tema, si sono trovate a

non pianificare percorsi di carriera, a non implementare iniziative strutturate di job rotation, a non

utilizzare al meglio il potenziale di una moltitudine di lavoratori. Da tali considerazioni occorre

definire invece un nuovo modello normativo sulla “flessibilità” nell’attribuzione/assegnazione delle

mansioni in azienda.

Di seguito alcune possibili ipotesi che potrebbero essere recepite dalla nuova normativa sul lavoro.

a) Contratto per aree professionali. Il contratto individuale definirà le aree professionali cui il

lavoratore sarà adibito, comprendendo quindi un ampio campo anche eterogeneo di mansioni.

Occorre superare il concetto di mansioni superiori o inferiori per riportare il tutto al concetto dei

livelli di responsabilità e obiettivi assegnati.

b) Mansioni e trattamento retributivo. In caso di attribuzione di mansioni che comportino maggiori

livelli di responsabilità e di target di obiettivi, dopo 12 mesi complessivi, anche non continuativi, sarà

riconosciuto il livello retributivo equivalente. È evidente che uno strumento di questo tipo preveda

una consolidata cultura aziendale e del lavoro orientata al risultato.

c) Mansioni e categoria di inquadramento. L’azienda, per periodiche esigenze tecnico produttive,

potrà adibire il lavoratore anche allo svolgimento di mansioni e attività che rientrano in categorie

inferiori a quella di inquadramento. Sul tema della flessibilità nell’attuare il c.d. de-mansionamento

si potrebbero prevedere dei rimandi alla contrattazione aziendale/individuale anche con possibilità

di modifica dei relativi livelli retributivi. In ogni caso lo strumento dovrebbe essere attivato senza le

necessarie evidenze di crisi d’impresa oggi richieste.

COMPETENZE

Obiettivi

Consentire una maggiore valorizzazione delle professionalità e del potenziale dei lavoratori in

coerenza con le dinamiche dei processi produttivi e di mercato.

Utilità

Favorisce percorsi di sviluppo del personale basati sul merito. Si incrementa la produttività e il

benessere organizzativo. Si riducono i costi sociali per ammortizzatori sociali e sussidi di varia natura.

Attuali criticità

La valorizzazione delle competenze dei lavoratori è oggi “relegata” all’interno del contenitore

denominato politiche attive per il lavoro troppo spesso orientato sulla base di indicatori e

motivazioni non coerenti con i fabbisogni del sistema produttivo.

Principale riferimento normativo ad oggi

Sono diverse e eterogenee le norme sul tema delle competenze e della formazione continua. Un

riferimento interessante, in buona parte mai attuato, è quello sul libretto formativo del lavoratore

contenuto nel decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Numerose sono anche le disposizioni

contenute nei diversi CCNL di categoria.

Ipotesi di strumenti ed istituti normativi e/o retributivi

La valorizzazione delle competenze dei lavoratori è un tema che per troppo tempo le imprese hanno

in qualche modo trascurato in quanto visto come uno strumento di esclusiva competenza della

pubblica amministrazione. Si attende quindi il bando o l’avviso pubblico che possa poi finanziare un

piano formativo spesso già superato al momento dell’approvazione.

È vero che la formazione professionale e trasversale delle persone è prioritariamente di competenza

pubblica, ma occorre trovare le modalità per consentire alle imprese una maggiore flessibilità e

tempestività nell’utilizzo. Le imprese devono avere a disposizione tutti gli strumenti normativi e

finanziari disponibili per attivare costantemente la “manutenzione” delle competenze aziendali.

Di seguito alcune possibili ipotesi che potrebbero essere recepite dalla nuova normativa sul lavoro.

a) Credito d’imposta per interventi formativi. La formazione continua aziendale finalizzata a

riqualificare competenze professionali obsolete o a sviluppare professionalità richieste da nuove

tecnologie, nuovi mercati, nuovi prodotti potrà beneficiare di un credito d’imposta nelle misura del

40% dell’importo investito. Sarà necessario predisporre specifiche linee guida su costi ammissibili,

modalità di rendicontazione, verifica dell’efficacia dei percorsi formativi (definire obiettivi e target).

b) Distacco formativo. In caso di distacco di un lavoratore presso altra impresa o organizzazione per

il conseguimento di finalità formative l’interesse reciproco delle parti coinvolte è automatico e

inoppugnabile. Confermando la necessità delle comunicazioni Unilav necessarie, si potrebbero

escludere tutti gli ulteriori adempimenti e rischi che al momento rendono questo strumento poco

utilizzabile.

c) Certificazione competenze. L’azienda, in possesso dei requisiti minimi per tale attività, potrà

procedere direttamente alla certificazione delle competenze professionali del lavoratore. È uno

strumento utile per il lavoratore e per la stessa azienda nei percorsi di qualificazione per categorie

professionali e merceologiche. Richiede un minimo di linee guida e controlli e verifiche a campione

da parte degli organi ispettivi pubblici in particolare in materia di sicurezza.

RETRIBUZIONE E PRODUTTIVITA'

Obiettivi

Favorire le condizioni normative e culturali per un modello retributivo maggiormente orientato ed

economicamente collegato alla produttività individuale e aziendale.

Utilità

Favorisce maggiore dinamicità negli incrementi degli organici. Realizza forme solide e sostenibili nel

tempo di competitività delle imprese e dei lavoratori.

Attuali criticità

Il modello retributivo italiano, praticamente fisso e rigido, è molto lontano dalle ottime performance

raggiunte da altri Paesi. Il concetto di “minimo tabellare” e tutte le altre innumerevoli voci

retributive previste dalla normativa e dai CCNL determinano un costo del lavoro sempre in costante

crescita, in netto contrasto con una produttività del lavoro che invece diminuisce.

Principale riferimento normativo ad oggi

Numerosa e articolata è la normativa lavoristica in materia, cui si aggiunge quella fiscale e

previdenziale.

Ipotesi di strumenti ed istituti normativi e/o retributivi

Forse a causa del minimo impatto registrato negli ultimi anni dalle iniziative governative in materia

di detassazione e decontribuzione delle retribuzioni di produttività, la contrattazione aziendale sui

salari variabili legati alla produttività non è ancora abbastanza estesa.

La struttura retributiva dei lavoratori è infatti ancorata prevalentemente su voci fisse e ripetitive

con insostenibili e spesso inutili costi economici e finanziari.

Di seguito alcune possibili ipotesi che potrebbero essere recepite dalla nuova normativa sul lavoro.

a) Detassazione e decontribuzione. Lo strumento della detassazione e decontribuzione delle

retribuzioni di produttività viene reso operativo per un periodo di 3 anni estensibile sino a 5 anni

per le imprese che abbiano attivato nel primo biennio investimenti produttivi e mantenimento o

incremento degli organici. Si potranno applicare gli schemi di cui ai recenti DPCM aumentando i

limiti di importi detassabili. Questo strumento incentiva aziende e lavoratori a definire a livello

aziendale accordi per favorire il riconoscimento di salari variabili legati alla produttività (premio di

produzione).

RETRIBUZIONE VARIABILE

Obiettivi

Favorire le condizioni normative e culturali per un modello retributivo flessibile riferito alla

retribuzione variabile per MBO, economicamente collegato alla produttività individuale e aziendale.

Utilità

Favorire gli investimenti orientati allo sviluppo di una cultura che promuova il risultato aziendale, il

merito e il talento.

Attuali criticità

L’attuale modello retributivo non consente la detassazione e decontribuzione dei premi annuali, se

non per i “premi di Risultato/Produzione”.

Principale riferimento normativo ad oggi

Numerosa e articolata è la normativa lavoristica in materia, cui si aggiunge quella fiscale e

previdenziale.

Ipotesi di strumenti ed istituti normativi e/o retributivi.

a) Detassazione e decontribuzione. Lo strumento della detassazione e decontribuzione delle

retribuzioni di variabili individuali per merito viene reso operativo per un periodo di 3 anni

estensibile sino a 5 anni per le imprese che abbiano attivato nel primo biennio investimenti

produttivi e mantenimento o incremento degli organici. In fase iniziale o anche sperimentale si

potranno ipotizzare degli schemi e metodi di identificazione con pochi e semplici parametri (es. una

% tra il totale degli organici) per focalizzare questo intervento sull’obbiettivo reale dello sviluppo

delle eccellenze. A verifica del realizzarsi delle dinamiche virtuose attese, i parametri di restrizione

potranno essere ampliati fino ad essere totalmente soppressi.

BENEFITS IN KIND

Obiettivi

Consentire un lieve incremento di flessibilità degli impegni economici dell’azienda indirizzando i

costi verso iniziative di utilità sociale.

Principale riferimento normativo ad oggi

TUIR e A.E., ris. n. 26/2010

Ipotesi di strumenti ed istituti normativi e/o retributivi

Aumento significativo dell’attuale soglia dei 258,23€ annui, portandola a 2.500,00, indirizzando

queste risorse a finalità di educazione ed istruzione, in via prioritaria rispetto alle altre fattispecie

attualmente previste.

_____________________________________________________

3.Gli strumenti per la gestione dell’uscita dall’azienda e non dal mercato del lavoro

PREMESSE

La prima riflessione è generale e ci porta a dire che la riforma, in questo momento, appare

difficile da giudicare stante l'estrema vaghezza che contraddistingue il testo noto, atteso che

tutto sembra demandato a futuri decreti che faranno meglio capire i contenuti reali.

Preliminarmente va osservato che commentare o avanzare osservazioni su una legge delega

è particolarmente difficile data la genericità della delega stessa in molte sue parti.

È evidente il tentativo del legislatore di intraprendere una riforma complessiva dell’attuale

sistema, incentrato e sbilanciato su politiche di sostegno e tutela del posto di lavoro e del

reddito, verso un assetto più orientato a migliorare il mercato del lavoro promuovendo i

servizi all’impiego e le cd. politiche attive. Il disegno è in linea di principio sicuramente

condivisibile. Vanno però tenuti presenti alcuni elementi fondamentali.

Il JOBS ACT (JA) costituirà sul piano della normativa del lavoro un atto di profonda rottura con gli

schemi del passato se riuscirà ad interpretare l'odierna cultura del lavoro, una cultura che

vede come nucleo fondamentale "il lavoro" come valore sociale e non come "diritto" ad uno

specifico posto di lavoro. Sulla base di questa premessa assumono un aspetto rilevante i

seguenti 2 fattori:

o politiche attive del lavoro

o employability.

Questi 2 elementi, fortemente legati tra loro, devono infatti poter diventare uno strumento

di spinta al rilancio dell'occupazione, consentendo alle imprese di poter operare nell'ambito

dell'organizzazione del lavoro ad una ridefinizione sia delle mansioni sia del livello

inquadramentale prevedendo, in questo caso, di poter ridefinire il profilo delle competenze

utilizzando sempre di più i fondi bilaterali. In questo senso si andrà anche verso una

trasformazione del modello di relazioni industriali, spostandosi da una fase rivendicativa ad

una fase bilaterale (es. fondimpresa).

A) MAGISTRATURA DEL LAVORO

1. Preliminarmente è auspicabile ridurre al minimo la discrezionalità della magistratura del lavoro

che ha di fatto creato le incertezze di cui oggi soffriamo; se non si riuscisse a fare questo qualunque

riforma rischierebbe di essere inutile e, peggio ancora, applicabile in maniera disomogenea sul

territorio.

2. I termini risarcitori dovrebbero essere definiti, in questa logica, in modo inequivocabile magari

tenendo conto delle dimensioni dell'azienda e dell'anzianità del lavoratore; questo sicuramente sul

licenziamento economico mentre per quello disciplinare, se necessario, dovrebbe avere strettissimi

e definiti margini di discrezionalità.

Alcuni suggerimenti aggiuntivi:

- bisogna reintrodurre la conciliazione obbligatoria;

- si dovrebbero individuare meccanismi che conducano il giudice, più spesso di quanto oggi non

avvenga, ad una condanna alle spese in caso di soccombenza anche in capo al lavoratore, sebbene

in questo case con tariffe minime.

B) PART-TIME

3. Vediamo con molto favore una norma che agevoli il passaggio a part time di lavoratori anziani

contestuale all’assunzione di giovani in formazione dando qualche leva decisionale in tal senso

alle aziende (vedi Germania), ovvero alcune idee in merito all'ipotesi di "staffetta generazionale":

si potrebbe prospettare il passaggio a part time di lavoratori al di sopra di una definita soglia di età

(ad esempio 57 anni - 10 dalla pensione di vecchiaia) con contestuale assunzione, per mansioni

simili, di un giovane disoccupato (progetto certificato e controllato). Lo Stato potrebbe agevolare

questa soluzione attraverso il riconoscimento di contribuzione figurativa al lavoratore anziano che

integri i contributi che vengono meno per il part time. D'altra parte, lo Stato potrebbe ricevere la

contribuzione del giovane altrimenti disoccupato. La riduzione di orario non dovrebbe essere

inferiore ad una certa percentuale (30%?) o potrebbe essere programmata in aumento nel corso

del progetto (via via che il giovane apprende, l'anziano riduce) sempre con soglie minime di avvio.

In un’ipotesi ancora più di immaginazione si potrebbe pensare, quando il lavoratore anziano

scendesse al di sotto di una certa percentuale di orario (ad esempio 50%) di proporgli lavori di

pubblica utilità per integrare il reddito (contributi sono già a carico INPS). I vantaggi per le aziende

sono quelli di facilitare il trasferimento di know how con costi agevolati. I vantaggi per il lavoratore

anziano di iniziare un progressivo passaggio verso la pensione salvaguardando la posizione

pensionistica. I vantaggi per il giovane sono evidenti...

L'operazione dovrebbe essere molto poco burocratizzata e potrebbe essere facilitata

ulteriormente da altre forme di agevolazioni - sia alle aziende che ai lavoratori anziani - da

immaginare (integrazione al reddito dell'anziano, riduzione di stipendio e/o contributi per i

giovani).

4. In materia di politica attiva del lavoro, incentivare i contratti a tempo indeterminato part-time

(anche in considerazione della percentuale di occupati in Italia, relativa a questa fattispecie, più

bassa della media europea). Si potrebbe pensare ad un periodo di tre anni in cui le assunzioni part-

time godono di un particolare regime contributivo (per es. in analogia all’apprendistato).

C) TRANSAZIONI

5. Da quel che è apparso sugli organi d'informazione sembra una buona idea la defiscalizzazione

delle transazioni avvenute in tempi rapidi dopo il licenziamento.

D) AMMORTIZZATORI SOCIALI

6. La riduzione qualitativa e quantitativa della Cassa Integrazione (quella in deroga va abolita senza

se e senza ma) deve essere fatta con grande attenzione alla luce dell’attuale situazione del mercato

del lavoro italiano. Considerato che il finanziamento degli interventi d’integrazione salariale deriva

integralmente dai contributi versati da aziende e lavoratori, i risparmi derivanti da una

razionalizzazione dell’intervento della CIGS devono tradursi in una riduzione del costo del lavoro,

a cominciare da un ribilanciamento degli oneri, oggi più gravosi sui settori medio-grandi

dell’industria.

7. [Premesso che il finanziamento dell’indennità di disoccupazione nella maggior parte dei paesi

industrializzati è prevalentemente finanziata dalla fiscalità generale, non sarebbe accettabile che le

risorse risparmiate per la riduzione della cassa integrazione fossero interamente destinate a

favore dell’AspI.

E) STRUMENTI A SOSTEGNO

8. Misure a sostegno dello sviluppo tecnologico dell’occupazione: sotto questo aspetto il JA ha

introdotto un’importante rivisitazione del concetto di "controllo a distanza", cercando di uscire

dalla vecchia e antistorica impostazione dello Statuto dei Lavoratori. Il relativo decreto attuativo

dovrà dare un contenuto specifico a questo concetto, a tale proposito è importante sottolineare

come la tecnologia abbia profondamente cambiato il modo di lavorare sia modificando gli strumenti

di lavoro sia trasformando il rapporto fisico con l'ambiente di lavoro come ad esempio lo

"smartworking".

Seguendo questo processo logico diventerà importante poter gestire le informazioni che i nuovi

strumenti di lavoro potranno dare al fine di avere un quadro puntuale sia del grado di competenze

acquisite dal lavoratore sia del suo grado di produttività. Questo permetterà di realizzare un

processo di miglioramento continuo della sua professionalità e possibilmente anche della sua

compensation.

A ciò si aggiunga infine l'importanza di poter avere un quadro normativo chiaro sullo smartworking

tale da poter dare un corretto inquadramento normativo senza alcuna commistione con il

Telelavoro ma soprattutto utile a definire un chiaro sistema di regole attinenti al sistema

assicurativo-infortunistico. Questi ultimi due aspetti sono a nostro avviso rilevanti anche in un’ottica

di innovazione.

F) POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

9. La transizione da un sistema incentrato sulla protezione del posto di lavoro ad uno orientato ad

una tutela attiva all’interno del mercato di lavoro, oltre ad essere particolarmente difficile in una

fase di crisi, richiede un’importante riqualificazione delle politiche attive, sia in termini finanziari, sia

organizzativi. In questo senso la concorrenza della potestà regionale con quella statale è un grosso

handicap, rischiando di rendere farraginosa ed ostica ogni iniziativa di riforma, almeno in termini

temporali. Sarebbe invece assolutamente necessario che la modifica strutturale del sistema degli

ammortizzatori sociali non precedesse la riforma delle politiche attive. Lo stesso linguaggio

normativo ad oggi in vigore richiama a soli concetti di politiche passive, ovvero si esprime con

termini che si riferiscono etimologicamente ad una cultura "passiva" del mercato del lavoro. Es.

art.2220 "Assistenza nel mercato del lavoro al lavoratore licenziato", dove il termine "assistenza"

(concetto passivo) va sostituito con il concetto "supporto" (concetto attivo). Va avviata la riforma

delle politiche attive a partire dall'approccio culturale che la deve sostenere.

10. Parlando di misure a sostegno dell'occupazione, occorre sottolineare anche l'importanza delle

politiche del lavoro, che devono necessariamente basarsi su un modello integrato tra passive e

attive vedendo nelle prime i meri strumenti di gestione temporanea dello stato di crisi (CIG, CDS

difensivo) finalizzati alla ricerca di soluzioni atte a rivitalizzare l'organizzazione e non a creare aree

di parcheggio di lavoratori e, nelle seconde, strumenti di vero rilancio dell'occupazione sia all'interno

dell'azienda che verso l'indotto (CDS espansivo).

G) CONTRATTI DI SOLIDARIETA'

11. Da chiarire è inoltre l’accento posto sui contratti di solidarietà: quelli cd. espansivi sono sempre

rimasti una mera costruzione giuridica senza applicazioni pratiche degne di nota, ed è inutile

riproporli; quelli cd. difensivi sono sicuramente molto più appetibili ma particolarmente onerosi

per l’Inps e una loro estensione appare in contraddizione sistemica con la riduzione complessiva

degli ammortizzatori di conservazione del posto di lavoro a favore di quelli di promozione

dell’occupabilità.

12. Sarebbe molto interessante che a livello di decreti attuativi si iniziasse a ripensare al concetto di

Contratto di solidarietà, ipotizzando un modello integrato tra in e out, in altre parole prevedere

che laddove si applichi una riduzione di orario di lavoro per il tramite della solidarietà difensiva ci

fosse la possibilità di reinvestire parte del risparmio conseguito nel supportare altre aree della

propria azienda oppure partner esterni. Questa possibilità permetterebbe lo sviluppo di un modello

occupazionale volto a migliorare l'interazione tra committenti e indotto, avvalendosi di risorse

nuove o anche delle stesse risorse poste in solidarietà e successivamente assorbite dall'indotto o

per via individuale oppure per via collettiva attraverso la mobilità. Con questo approccio si

inizierebbero a sviluppare modelli di politiche attive del lavoro di settore volte a stimolare

l'occupazione prevedendo agevolazioni contributive per gli attori in gioco (committenti e partner)

tali da rendere sostenibile questa forma di investimento.

H) CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

13. L’annunciato nuovo contratto a tutele crescenti pone una serie di dubbi che potranno essere

auspicabilmente chiariti alla luce dell’effettivo tessuto normativo del decreto delegato

corrispondente. Allo stato appare estremamente problematico l’annunciato inserimento del

licenziamento disciplinare ingiustificato tra le fattispecie che determinerebbero il permanere

della reintegrazione nel posto di lavoro. Il rischio, già verificato concretamente con la legge

Fornero, è che si lasci di nuovo troppo margine discrezionale alla giurisprudenza, con il rischio di

attrarre spesso, in fase applicativa, il licenziamento per motivi soggettivi giudicato ingiustificato

nella fattispecie del licenziamento discriminatorio o disciplinare “occulto”. Inoltre va considerato

che, nonostante la delega annunci meritoriamente un generale intervento di semplificazione della

normativa lavoristica, l’esito pratico della norma de quo è un ulteriore affastellamento di diverse

ipotesi di rescindibilità del rapporto di lavoro con una serie di effetti diversi in caso di risoluzione

ingiustificata che non ha alcun paragone in alcun paese sviluppato (2.).

I) LICENZIAMENTO COLLETTIVO

Inoltre sarebbe importantissimo che la riforma delle modalità di licenziamento non trascurasse i

licenziamenti collettivi. Come è noto, in Italia il licenziamento collettivo che non colpisca l’intera

unità produttiva è quasi impossibile. La riforma Fornero ha clamorosamente mancato di intervenire

sul problema, lasciando la reintegrazione anche per la violazione del cd. obbligo di repechage,

un’autentica probatio diabolica in capo all’imprenditore. Nonostante la delega nulla preveda in

esplicito, una correzione legislativa è assolutamente necessaria.

NOTE

1. Note aggiuntive relativamente al paragrafo MAGISTRATURA DEL LAVORO

Vanno anche considerati altri elementi:

il primo attiene ai tempi del contenzioso. In questo caso il problema riguarda anche la normativa

che sino a pochi anni fa concedeva di fatto 5 anni al lavoratore per decidere se attivare o meno il

contenzioso. Le ultime riforme hanno ridotto questi tempi in maniera notevole, rimanendo però

distanti dalle migliori pratiche europee (basti ricordare che in Germania di regola il lavoratore ha

solo 3 settimane di tempo per iniziare il contenzioso).

Inoltre, nonostante le recenti misure in termini di riduzione dei tempi di decadenza e prescrizione e

d’incentivazione alle transazioni stragiudiziali, i tempi complessivi del contenzioso lavoristico sono

ancora significativamente superiori alle medie europee, anche a causa della quantità di ricorsi in

appello e Cassazione, molto rari in Europa e troppo abbondanti da noi. Una delle cause di questo

fenomeno è la variabilità e creatività della giurisprudenza, percepita dalle imprese come una fonte

di grande incertezza. Invero in ragione di norme probabilmente non sufficientemente specifiche i

giudici applicano criteri spesso molto diversi a seconda della situazione economico-sociale delle

diverse aree del paese, con una generale tendenza ad interpretare la normativa di tutela contro i

licenziamenti ingiustificati in maniera molto restrittiva. La riforma Fornero, nel tentativo di

individuare diverse fattispecie di risoluzione del rapporto di lavoro ingiustificata, con diverse

conseguenze, ha di fatto ulteriormente ampliato la discrezionalità della magistratura che, ancora

una volta, interpretando le aperture della riforma in maniera estremamente restrittiva, l’ha molto

depotenziata.

Le nuove norme del contratto a tutele crescenti sono esposte a questo rischio giacché ripropongono

una diversificazione di fattispecie di licenziamento ingiustificato. Occorrerà pertanto che le nuove

regole siano chiaramente diverse e più flessibili di quelle della “Fornero”, altrimenti perderebbe di

senso l’intera operazione e si lascerebbe campo per una nuova azione di svuotamento dall’interno

della riforma per via di interpretazioni giurisprudenziali molto diversificate. Sarà fondamentale

definire in maniera univoca e tassativa le (residuali) ipotesi di reintegrazione in caso di procedure

disciplinari per impedire che parte della giurisprudenza attragga nella suggestiva ipotesi di

licenziamento occultamente discriminatorio o disciplinare ogni risoluzione del rapporto di lavoro non

sufficientemente motivata. Per esempio l’ipotesi di reintegrazione a seguito di licenziamento

disciplinare potrebbe essere limitata al solo licenziamento palesemente diffamatorio, mentre

andrebbe chiarito che in nessun caso l’eventuale non proporzionalità della sanzione potrà dar luogo

alla reintegrazione.

2. Note aggiuntive relativamente al paragrafo CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

In generale gli effetti del contratto a tutele crescenti saranno con ogni probabilità significativi

anche nel breve periodo. Infatti sembra che il legislatore disporrà una tutela risarcitoria crescente

con l’aumentare dell’anzianità di servizio. Questo in sostanza significa che il nuovo contratto a tempo

indeterminato nei prossimi 3/5 anni sarà di fatto liberamente rescindibile (e concorrenziale nel costo

con ogni altro tipo di contratto alla luce degli annunciati sgravi). Si potrebbe perciò assistere ad una

significativa sostituzione delle attuali diverse tipologie di contratto con il nuovo contratto a tutele

crescenti. Ciò però può potenzialmente dare vita ad una serie di side effects di difficile

quantificazione. Da un lato il brusco passaggio da uno status iperprotetto (art.18) ad uno senza quasi

alcuna tutela, potrebbe irrigidire per autodifesa la mobilità nel mercato del lavoro; dall’altro l’utilizzo

di un contratto formalmente a tempo indeterminato per attività temporanee (o a progetto) potrebbe

portare ad un aumento esponenziale delle risoluzioni di contratto con prevedibili contraccolpi sul

piano politico-sociale. Ci troviamo insomma di fronte ad una riforma che, in una prima fase

estremizza la dualità caratteristica del mercato del lavoro italiano e solo dopo alcuni anni andrà per

così dire a regime conservando comunque una caratteristica peculiare: la notevole flessibilità iniziale

del contratto di lavoro a tempo indeterminato.

3. Note aggiuntive relativamente al paragrafo STRUMENTI A SOSTEGNO

Con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, prevedere

ipotesi di costituzione, per via contrattuale, di ulteriori fondi integrativi per il singolo

dipendente, a capitalizzazione, che potrebbero integrare ulteriormente il trattamento ASPI. Tali

sostegni dovrebbero essere progressivi con l’età del lavoratore e non devono, ancora una volta,

aggravare il costo del lavoro a carico delle aziende [NOTA: non è ben chiaro in questa proposta chi

dovrebbe finanziare l’eventuale trattamento integrativo dell’ASPI; se non vi sono contributi da

aziende e lavoratori difficile immaginare che, una volta peraltro anche allargato l’attuale ambito

ASPI, ci siano spazi per trattamenti integrativi a carico INPS/fiscalità generale]. In alternativa

consentire, attraverso forme di premialità fiscale, l’adozione di servizi di outplacement rivolti ai

dipendenti che sono oggetto di procedure di licenziamento collettivo (legge n. 223/91 gli articoli

2120 e 2093 vanno reimpostati).


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