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Io non ho paura

Date post: 07-Apr-2016
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Dicembre 2014
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Porta il tuo cuore in Africa Anno XIV, n. 2 – Novembre 2014 Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2, LO/MI www.amaniforafrica.it AMANI Come combattere il virus dell’egoismo i mancava solo questa ennesima tegola sulla già scassata (s)fortuna africana per rendere il percorso di questo continen- te sempre più in salita. Se prima eravamo diversamente visibili, oggi un africano è per antonomasia pericolosamente visibile. Non ha importanza l’origine locale di provenienza: il solo fatto di essere africa- no rimette in moto la vivace-ignoranza-collettiva-occiden- tale, così acuta da intasare i distretti medici per chiedere lumi sul da farsi perché “nel mio condominio vivono degli africani... ho sentito che quella malattia là è contagiosa”. Se non fosse perché trattiamo di un tema che ha accumulato migliaia di vittime, laggiù in Africa naturalmente, ci sarebbe solo da pensare che Fantozzi ha fatto scuola. È questo allora il vero virus che deve far paura perché minaccia seriamente l’Occidente, un virus che avrebbe an- che l’antidoto ma generalmente chi viene contagiato non ama sottoporsi ad una cura specifica, un virus il cui sin- tomo iniziale è quello di congelare i sentimenti e di ren- dere miopi, incapaci di guardare lontano, ma interessa- ti solo a quello che succede attorno al proprio ombelico. Il virus in questione ha un nome, potrebbe chiamarsi Da- nubio, Po, Tevere. Ci pensate? Ma no, forse è meglio chia- marlo semplicemente per quello che è, scientificamente: malsano egoismo. È questo il virus che fa davvero pau- ra, perché prima di dividere l’umanità in razze, in privi- legiati e sfortunati, in ricchi e poveri, divide la colletti- vità e rende l’individuo diffidente, aggressivo. Ognuno pen- sa a se stesso, cura i propri interessi e si scaglia contro chiunque tenta di tessere relazioni, sinergia. Che sono poi gli antidoti al virus. E di fronte a questa ottusità, qua- le via scegliere? Quale argomentazione presentare? di Elisa Kidané* Io non ho paura C © Gian Marco Elia segue a pag 4 Diversamente africani Perché governi e parlamenti del continente puniscono gli omosessuali e li trattano peggio che altrove nel mondo di Raffaele Masto Dossier pag 3 Lusaka: Rivoluzione a piedi nudi I giovani del Teatro Testoni di Bologna incontrano i ragazzi di Mthunzi per una performance sorprendente di Bruno Cappagli Iniziative pagg 4-5 Anche nel 2015 illuminiamo insieme il buio di tanti. Buon anno! © Andrew McConnell - Panos Pictures/Luz TRIM.novembre2014:TRIM. Marzo '09.qxp 26/11/14 12:41 Pagina 1
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Page 1: Io non ho paura

Porta il tuo cuore in Africa

Anno XIV, n. 2 – Novembre 2014Spedizione in A.P.

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)Art. 1 comma 2, LO/MI www.amaniforafrica.it

AMANI

Come combattere il virus dell’egoismoi mancava solo questa ennesima tegolasulla già scassata (s)fortuna africana perrendere il percorso di questo continen-te sempre più in salita.

Se prima eravamo diversamente visibili, oggi un africano èper antonomasia pericolosamente visibile. Non ha importanzal’origine locale di provenienza: il solo fatto di essere africa-no rimette in moto la vivace-ignoranza-collettiva-occiden-

tale, così acuta da intasare i distretti medici per chiederelumi sul da farsi perché “nel mio condominio vivono degliafricani... ho sentito che quella malattia là è contagiosa”. Senon fosse perché trattiamo di un tema che ha accumulatomigliaia di vittime, laggiù in Africa naturalmente, ci sarebbesolo da pensare che Fantozzi ha fatto scuola. È questo allora il vero virus che deve far paura perchéminaccia seriamente l’Occidente, un virus che avrebbe an-che l’antidoto ma generalmente chi viene contagiato nonama sottoporsi ad una cura specifica, un virus il cui sin-tomo iniziale è quello di congelare i sentimenti e di ren-dere miopi, incapaci di guardare lontano, ma interessa-

ti solo a quello che succede attorno al proprio ombelico.Il virus in questione ha un nome, potrebbe chiamarsi Da-nubio, Po, Tevere. Ci pensate? Ma no, forse è meglio chia-marlo semplicemente per quello che è, scientificamente:malsano egoismo. È questo il virus che fa davvero pau-ra, perché prima di dividere l’umanità in razze, in privi-legiati e sfortunati, in ricchi e poveri, divide la colletti-vità e rende l’individuo diffidente, aggressivo. Ognuno pen-sa a se stesso, cura i propri interessi e si scaglia controchiunque tenta di tessere relazioni, sinergia. Che sonopoi gli antidoti al virus. E di fronte a questa ottusità, qua-le via scegliere? Quale argomentazione presentare?

di Elisa Kidané*

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Diversamente africaniPerché governi e parlamenti del continente puniscono gli omosessuali e li trattanopeggio che altrove nel mondodi Raffaele Masto

Dossier pag 3

Lusaka: Rivoluzione a piedi nudiI giovani del Teatro Testoni di Bologna incontrano i ragazzi di Mthunzi per una performance sorprendentedi Bruno Cappagli

Iniziative pagg 4-5

Anche nel 2015illuminiamo insieme

il buio di tanti.

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Lo spunto

hiahiahi, heerVan Reybrouck…manca Tintin! Daun’opera così ric-ca – un libro-fiu-me, a immaginedel «possente fiu-me» che lo apre eche non può cheevocare l’inevi-

tabile Cuore di te-nebra – ci aspettavamo almeno una men-

zione dell’eroe a fumetti del suo connazionale Hergé (nonvoglio credere che la dimenticanza sia imputabile al fat-to che lui è vallone e lei fiammingo)…Tintin, si ricorderà, è tornato alla ribalta due-tre anni fanon solo per il film di Spielberg ma perché la sua avven-tura in Congo (1930, riproposta a colori nel 1946) è stataportata in tribunale per razzismo – vicenda conclusasicon formula assolutoria. Tintin a parte, Congo di David Van Reybrouck (Feltrinel-li), divulgativo a dispetto delle sue 700 pagine, è un libroimportante. Basterà evidenziare due degli elementi che lorendono attraente e, in certa misura, originale. Anzitut-to la scrittura pressoché giornalistica. Sull’ex Congo Bel-ga, poi Zaire, si è pubblicato tanto (Italia a parte). L’au-tore, archeologo di formazione, ben lo sa, dedica diversepagine a dichiarare le sue fonti libresche, ma non inten-de scrivere un ulteriore testo accademico. Certo i capito-li periodizzano la storia del paese in modo classico, dall’i-nizio della colonizzazione, precedente quella «porcheria im-monda» che fu lo Stato Libero del Congo di Leopoldo II, aigiorni nostri. Cioè i giorni (anche) della Cina. Ed è qui chel’autore, che ha fatto andata e ritorno da Guangzhou incompagnia di qualche congolese (laggiù ce ne sono a mi-

gliaia), rivendica la maggiore originalità di fonti: ciò cheha visto e udito di persona. Il libro però è originale soprattutto perché nutrito di in-terviste a centinaia di persone. L’impalcatura storica uf-ficiale è rispettata, ma ne esce una storia “dal basso”. Fratutti gli informatori si erge Étienne Nkasi. Non a caso lacopertina dell’edizione originale ne riporta la foto. Secon-do i calcoli dell’archeologo, Nkasi nacque nel 1882 (non èun refuso); solo per poco non riuscì a vedere il libro, usci-to in Belgio nel 2010. Un altro personaggio di particolare interesse è Jean Le-ma. Giovane viveur, riesce per sorte a invitare l’AfricanJazz di Kabasele – il Grand Kallé che darà alla musica con-golese smalto internazionale – alle nozze della figlia delsuo capo, un fiammingo. È il 1954 e vige un’apartheid difatto. Jean nota una signora portoghese sulla pista e, in«un accesso di follia», la invita a fare un ballo con lui. Asorpresa, lei accetta (e il marito pure). Successo inatteso.Un tabù infranto. L’orchestra di Kabasele gli dedicherà unacanzone, Jamais Kolonga. Ma la storia di “Kolonga” nonfinisce qua. Alla cerimonia di proclamazione dell’indi-pendenza lui c’era: nel frattempo era diventato giornali-sta. È in quell’occasione che il primo ministro Lumumbapronuncia il suo storico, “scortese” discorso davanti a reBaldovino. Sarà soppresso sei mesi dopo quel 30 giugno1960; una barbarie, ma che non deve cancellare i suoi er-rori. «Persino i sostenitori più ferventi di Lumumba – an-nota l’autore – si interrogarono dubbiosi sulla vicenda. Ma-rio Cardoso, che veniva da Stanleyville, e che lo aveva rap-presentato personalmente durante la Conferenza dellaTavola rotonda economica, mi ha raccontato: “Ero sedutonella sala ed ero stupefatto. Lumumba si comportava co-me un demagogo. […] Sta commettendo un suicidio poli-tico, mi dissi”». Il libro è un mosaico di microstorie e di grande storia chesi intarsiano al punto giusto. E, quasi a difendere il sen-so di un’opera così impegnativa, l’autore sottolinea comeil Congo non sia appena «la dispensa del mondo» grazie

alle sue materie prime, ma come su di esso il mondo ab-bia giocato tante partite. Dalla guerra fredda che qui «co-minciò», alle elezioni del 2006, le «più complesse di cui lacomunità internazionale si sia mai fatto carico».Più di ogni altra, la recensione che Van Reybrouck avràgradito è quella di Le Potentiel, principale giornale indi-pendente di Kinshasa: questo libro «è un percorso senzaerrori nella storia del Congo. Andate in Congo? Portate voiCongo. Una cosa è certa: questo libro segna la fine di un’e-ra, quella di Tintin in Congo (che non ha bisogno di pro-cessi) e della Filosofia bantu, quella di un Congo visto dae per il Belgio, che ora cede il posto a un Congo da vede-re anche con il Belgio».

*Pier Maria Mazzola, direttore responsabile del bimestrale Africa(www.africarivista.it).

AMANI

di Pier Maria Mazzola*

Congo, tutta un’altra storia

Algeria

Ghana

Costad’Avorio

Liberia

Sierra Leone

GuineaGuinea BissauBenin

Togo

Libia Egitto

Sudan

Rep.Centrafricana

Etiopia

Eritrea

Gibuti

RuandaBurundi

R.D.Congo

Gabon

Camerun

Nigeria

Niger

Burkina Faso

Congo

Tanzania

Uganda

Malawi

Swaziland

LesothoSudafrica

Zambia

Botswana

Namibia

AngolaMozambico

Madagascar

Comore

Seicelle

Zimbabwe

Kenya

Mauritania Mali

Marocco

Ciad

Somalia

Tunisia

SenegalGambia

Capo Verde

Maurizio

Sahara Occ.

Licenziati per un bacio. È andata male in Tanza-nia ad una coppia di poliziotti che si era scambiatal'effusione mentre era in servizio. Un gesto di te-nerezza scoperto dai loro superiori dopo che idue agenti si erano fatti fotografare in atteggia-mento romantico e avevano postato l'istantaneasui social network.A riportare la notizia sono stati i principali quoti-diani africani. Anche la Bbc si è interessata del ca-so e ha pubblicato un lungo articolo online solle-vando la domanda: "Quando è giusto baciare uncollega?".La fotografia è stata scattata da un terzo poliziottoa Kagera, nel nord-ovest della Tanzania, e ritrae idue agenti, un uomo ed una donna, lei seduta so-pra di lui, mentre si scambiano un tenero bacio.L'istantanea è stata poi pubblicata su internet enon è passata inosservata alle autorità di polizia,che hanno preso il provvedimento. A perdere il po-sto non sono stati solo i due innamorati, ma an-che l'agente che ha scattato la foto.

Licenziati per un bacio

La giustizia sudanese ha annullato il matrimoniodi una bambina che all’età di 5 anni è stata datain sposa a un quarantenne. Lo ha reso noto un’as-sociazione che si occupa dei diritti delle donne edei bambini nel Sudan. La piccola ora ha otto an-ni. A prendere la decisione è stato il tribunale di Oum-durman, città situata sulla riva occidentale delNilo, di fronte alla capitale Khartoum, che ha an-nullato l'unione affermando che «la legge vietaqualsiasi matrimonio con bambine al di sotto dei10 anni di età», come riferito da Nahed Jabrallah,direttore dell'associazione che aveva portato ilcaso davanti alla giustizia.Il giorno delle nozze Ashjan Youssef -così si chia-ma la bambina- aveva solamente 5 anni e suo ma-rito, di 43 anni, era già sposato e padre di 4 figli.Il Sudan viene regolarmente criticato dalle orga-nizzazioni che lottano in difesa dei diritti umani perla legge che autorizza i matrimoni anche con mi-norenni.

Matrimonio con minorenni

In Namibia la Corte Suprema ha emesso un verdettoche farà giurisdizione e potrebbe aprire una sortadi class action. Secondo la sentenza, infatti, lo Sta-to dovrà risarcire tre donne malate di Aids e steri-lizzate con la forza in un ospedale pubblico. La de-cisione è stata accolta con favore anche da nu-merose organizzazioni impegnate in difesa dei di-ritti umani. Secondo i giudici, che hanno confermatouna sentenza del 2012, le donne sono state spin-te dai medici ad autorizzare le sterilizzazioni conl’inganno o comunque dopo aver ricevuto infor-mazioni errate o parziali. Le donne non sarebberostate informate del fatto che il rischio della tra-smissione del virus dell’Hiv da madre in figlio puòessere ridotto con terapie farmacologiche. Secon-do le stime fornite da alcune organizzazioni localila pratica della sterilizzazione su donne affette dalvirus Aids sarebbe stata molto diffusa negli ospe-dali locali all'epoca dei fatti.

Sterilizzazioni con l’inganno

In Breve

Sud Sudan

S.Tomée Principe

Guinea Eq.

a cura di Raffaele Masto

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ulla questione gay l'A-frica si gioca la faccia. Non tantoperché gay e lesbiche sono trattatipeggio che in altre parti del mondo,ma semplicemente perché leaderpolitici e dittatori hanno saputo co-gliere in questo tema un modo di ot-tenere consensi senza dover conce-dere nulla sul piano politico e so-ciale, cioè senza dover fare quelleriforme che consentirebbero di di-stribuire la ricchezza e il potere eche, alla fine, metterebbero in di-scussione i loro privilegi e la loropermanenza al comando. Il grande tema del diverso in am-bito sessuale è l'ideale per muove-re sentimenti ed emozioni del popoloe cavalcarne gli umori. Uno stra-tagemma, questo, che hanno uti-lizzato con forza e spregiudicatez-za i peggiori “dinosauri” del conti-nente, come l'ugandese Yoweri Mu-seweni o l'inossidabile presidentedello Zimbabwe Robert Mugabe. Di fatto, però, nessuno dei capi distato e di governo africani si è tiratoindietro su questo tema, tanto chela legislazione dei 54 paesi del con-tinente ne porta i segni: in Africagay e lesbiche sono discriminati,insultati, relegati ai margini dellavita sociale, imprigionati, disprez-zati, costretti a subire ogni sorta divessazione, sopruso, violenza. Ma se chi detiene il potere può usa-re impunemente questo argomento,evidentemente l'omofobia e la que-stione del diverso dal punto di vistasessuale sono qualcosa che muove lecorde profonde del popolo, che affon-da le radici nella storia del conti-nente. Certamente in quella recen-te determinata dallo schiavismo,dal colonialismo e poi ancora dalleindipendenze e dal post-coloniali-smo, ma anche in quella antica.

Nella tradizione africana l'omoses-sualità è un argomento tabù. La di-versità sessuale non esiste e quan-do si manifesta è un tema del qua-le non bisogna parlare. In sostan-za è questo il messaggio tacito chetraspare nei costumi e nei compor-tamenti delle persone, sia nei vil-laggi che nelle grandi città. Il rifiu-to categorico, intransigente, quasiparanoico di una sessualità tra per-sone dello stesso sesso è accompa-gnato da un’auto-censura altrettan-to ferma, integralista e diffusa. Pre-vale il silenzio, la volontà di igno-rare la questione, l'imperativo è farfinta di niente, rimuovere. Almenoa parole. Perché nei fatti in moltipaesi africani gli omosessuali ven-gono trattati alla stregua dei cri-minali. E non solo per le violenzeverbali e fisiche che sono costrettia subire nella vita di tutti i giorni,nelle scuole, nei posti di lavoro, nel-le strade, anche in casa, anche daipropri genitori, fratelli, sorelle. C'èdell'altro. C'è di peggio. Alle lesbi-che e ai gay africani la polizia e gliagenti delle forze statali riservanotrattamenti disumani: abusi, tor-ture, arresti arbitrari, detenzioni il-legali. Tutto questo grazie a unaragnatela di leggi che non lascianoscampo, che condannano i diversie lasciano impuniti gli aguzzini. Non sono rari, poi, i casi di con-danne a morte eseguite senza re-golari processi. Avviene in AfricaAustrale, nel Maghreb, in AfricaCentrale. Passare in rassegna i diversi paesiafricani è un buon modo per farsiun’idea di come stanno le cose: qua-si ovunque gli omosessuali sono re-pressi da norme e pratiche socialiche negano loro diritti di ugua-glianza, di libertà e salvaguardia fi-sica, così come altri diritti fonda-mentali quali la libertà di associa-zione, di espressione, il diritto allaprivacy, al lavoro, all'educazione ealle cure mediche. È interessante

notare però come in buona partequeste norme derivino o siano re-miniscenze della dominazione co-loniale. La domanda che sorge spontanea difronte a questo groviglio di leggi, dinorme tacite, di comportamenti con-solidati e approvati dalla gente co-mune è: su cosa si fonda l'accani-mento contro gay e lesbiche in uncontinente dove la tolleranza è uncomportamento spontaneo, dove ilconfronto con il diverso (il bianco inpassato, oggi l'uomo con gli occhi amandorla, l'handicappato, il cieco,l'anziano) diventa, meno che in al-tre regioni, occasione di conflitto, didiffidenza, di paura? Il tema potrebbe essere oggetto del-lo studio di un antropologo o di unsociologo, che quasi certamente nonarriverebbero a conclusioni univo-che. Quello che si può dire qui è chein Africa ha pesato, e influisce an-che oggi, la posizione di alcune gran-di istituzioni come la Chiesa e ilmodo di affrontare questi temi daparte dell'altra grande religionecontinentale, cioè l'Islam. Come pure, oggi, l'influenza cheproducono gli strali e le condannedei leader al potere consolida un si-stema che, di fatto, tiene gay e le-sbiche prigionieri di organizzazio-ni sociali profondamente ingiusteche hanno bisogno di capri espiatori,che hanno bisogno di nemici inter-ni ed esterni. Del resto i comportamenti di moltileader sono significativi. Oltre aigià citati Uganda e Zimbabwe cisono paesi nei quali il dibattito suquesti temi ha prodotto frasi che ladicono lunga su un accanimentoche sembra voluto espressamentedal potere piuttosto che dal popolo.In Namibia un ex ministro degliesteri, Jerry Ekandjo, aveva di-chiarato che «bisogna eliminare dal-la faccia della terra gay e lesbiche.Gli omosessuali andrebbero classi-ficati come sbagli della natura e an-drebbero considerati come malati difronte alla società e a Dio». In Na-mibia questo ministro e le sue di-chiarazioni vengono spesso ripreseper mantenere vivo il sentimentocontro gay e lesbiche. Oppure an-cora alcune frasi di Robert Muga-be che vengono riproposte in conti-nuazione in Zimbabwe: «Sono peg-gio dei cani e sono ripugnanti perla mia coscienza, non meritano nes-sun diritto». E, ancora, sempre lostesso Mugabe: «È estremamente ol-traggioso e ripugnante che gli omo-sessuali possano avere difensori inquesto mondo». Il Kenya, che pureè un paese con una grande presen-za europea, di organizzazioni per lacooperazione e di agenzie delle Na-zioni Unite, vanta dichiarazioni ecomportamenti tra i più razzisti eviolenti a questo proposito: «L'o-mosessualità è un flagello che vacontro gli insegnamenti della tra-dizione africana» - disse il vecchiopresidente Arap Moi. Recentemen-te questa dichiarazione è stata ri-presa dall'attuale vice presidenteWilliam Ruto. Nella Repubblica de-mocratica del Congo, il presidenteKabila è stato ancora più esplicito:«Gli omosessuali sono esseri de-pravati e non dovrebbero godere dinessun diritto perché si comporta-no alla stregua degli animali».

*Raffaele Masto, giornalista di Radio Po-polare, segue da anni le vicende africane.È autore del blog Buongiorno Africa.

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DossierDiritti

AMANI

Diversamenteafricani

Entebbe, Uganda, 9 agosto 2014. Manifestazione a sostegno della comunità LGBTI(Lesbian Gay Bi Trans Intersex, detta “Kuchu” in Uganda) per l'abrogazione della contestatissima legge contro gli omosessuali.

Leggi e sentenze omofobesono usate per ottenere facili

consensi da poteri politicidediti a conservare se stessi.

Gli effetti sono disumanie le minoranze si mobilitano

di Raffaele Masto*

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4 AMANI

Progetti

l cielo sempre limpido, pieno di sole e i tramonti ros-so amarena sono la cornice quotidiana di quella che è sta-ta un’esperienza importante ed emozionante. Nell’agosto diquest’anno io e Alessandra, Bruno, Elia, Margherita e Si-mona, cinque ragazzi che frequentano da tempo i labora-tori del Teatro Testoni Ragazzi di Bologna, siamo stati alMthunzi Centre di Lusaka per realizzare un segmento delnostro progetto “Ambasciatore”, che ha lo scopo di portaregratuitamente spettacoli e laboratori teatrali nei paesi incui i bambini vivono in situazioni di disagio sociale ed eco-nomico.

A Mthunzi vivono per lo più ragazzi tra i 10 e i 17 anni, or-fani o con situazioni famigliari drammatiche, che nel cor-so della loro infanzia hanno vissuto condizioni terribili qua-li nessun bambino o bambina dovrebbe vivere.Sono cresciuti con la fame, nello sporco, in ambienti fati-scenti privi di bellezza. Sono cresciuti poco: a causa delladenutrizione e degli ambienti malsani sembrano tutti piùpiccoli di quello che sono. Ma c’è una cosa che nulla è riu-scito a scalfire: la voglia di vivere, di gioire, di ridere, di es-sere bambini, di continuare a credere che esista l’amore esoprattutto che esista un mondo migliore che li possa ac-cogliere e restituire loro quella dignità che ogni essere vi-vente dovrebbe avere garantita.

Ho conosciuto Amani nel novembre 2013 in occasione del-lo spettacolo Tiyende Pamodzi, quando ho condotto un la-

boratorio con i ragazzi zambiani in viaggio in Italia. L’in-contro è stato magico e divertente. C’era con noi anche pa-dre Kizito, che quel giorno mi ha detto: «Sai Bruno, anchese non parli bene l’inglese dovresti venire in Zambia per la-vorare un po’ con loro!». Detto-fatto, ad agosto siamo par-titi.

L’incontro con i bambini è stato davvero intenso. Nel pre-sentarmi vedo nei loro occhi molta timidezza ma subito no-to anche che c’è spazio per aprirsi, che c’è voglia di incon-tro… L’avevo già percepito a Bologna, ma essere a casa lo-ro è molto diverso. Qui nel centro c’è già da un mese un grup-po di volontari italiani che hanno deciso di dedicare le lorovacanze ai bimbi. Noto subito la grande confidenza e l’af-fettività che si è creata tra loro. Questo mi permette di en-trare piano, di scoprire e conoscere i ragazzi senza fretta,non voglio impormi, qui si tratta di incontro e di fiducia, epoi io non so nulla di loro, non conosco questo paese e la suastoria. Padre Kizito mi racconta della crisi del rame, delladevastazione dell’Aids e di alcuni aspetti culturali, mentreGiacomo mi presenta tutte le persone che lavorano nel cen-tro, mi parla dei loro ruoli e delle loro competenze. Poi ini-zio a incontrare i ragazzi. A pelle mi fanno subito allegria,sono liberi e intelligenti, curiosi e orgogliosi, sensibili e dol-ci, educati e rispettosi. Ma quello che più mi ha colpito è illoro bisogno di affetto, il bisogno di sentirsi amati e ascol-tati. Io sorrido timidamente e faccio quello che faccio an-che in Italia: ascolto, gioco, rido, e soprattutto cerco di es-sere vero. Non faccio l’amicone e soprattutto guardo.

Il lavoro è stato intenso e complesso, ma questa storia haqualcosa di magico.

Durante la nostra permanenza a Lusaka è iniziato un fe-stival internazionale di arti performative chiamato Bare-feet, a cui siamo stati invitati a partecipare. Il tema di que-st’anno era “Revolution”, in onore del 50° anniversario del-l’indipendenza dello Zambia.I ragazzi del centro sono dei musicisti e danzatori davverostraordinari, ma ciò che gli manca è la capacità di elabo-rare uno spettacolo completo, riempirlo di contenuti, tro-vare una storia. Questo è quello che abbiamo provato a tra-smettere. E così nel giro di due giorni siamo riusciti a crea-re una performance chiamata “Marziani vs Venusiani”,una piccola azione di 10 minuti nata in modo sorprenden-

da pag 1 Io non ho paura

Questo virus è moralmente letale quando intacca gli organismi nazionali capaci di inve-stire un capitale per un singolo cittadino, e fregarsene altamente quando una pandemiacolpisce migliaia di persone, soprattutto se si trovano anni luce lontani dai propri inte-ressi. Una pandemia chiamata Ebola, pensate. Le hanno affibbiato il nome di un fiumedella Repubblica democratica del Congo, il fiume Ebola. Potevano chiamarlo, come si fageneralmente, con un nome scientifico oppure con il nome di chi l’aveva individuato. In-vece in questo modo si è circoscritto il fenomeno, identificandolo con uno stato, in un con-tinente avvezzo a morire. Ma questa volta l’Ebola ha rotto le linee di demarcazione afri-cane, e il timore ora è palpabile. Ed è questa la gran paura dell’Occidente, che sembrapiù spaventato per il fatto di venirne contagiato (pur sapendo che avrebbe mezzi a suffi-cienza per arginare il male), che non per le migliaia di vittime già fatte in alcuni paesiafricani. È questo che deve far paura. Deve farci paura la fredda logica che reputa che questi sonofatti loro, perché l’importante è che qui si prendano misure drastiche per lasciare fuori lemiserie endemiche dell’Africa. Se non fosse perché la situazione è davvero tragica, verrebbeda sorridere nel guardare le mastodontiche misure di sicurezza prese in America e in Eu-ropa per i pazienti zero, che hanno contratto il virus Ebola. Ma c’è poco da sorridere se sipensa invece che quelle precauzioni sono chimera per quei paesi che hanno pazienti controppi zeri. Non dobbiamo avere paura dell’Ebola, ma dobbiamo aver paura del fatto chenon sono state prese precauzioni importanti per impedire che 5.000 persone in Liberia,Sierra Leone e Guinea morissero. Dobbiamo avere paura del fatto che l’Oms, un organi-smo mondiale che dovrebbe salvaguardare la salute di tutta l’umanità, ha sfacciatamen-te ammesso che si sono fatti degli errori nella gestione dell’emergenza e – non soddisfat-ta – ha pure sottolineato che si è data una risposta inadeguata per fermare il virus letalein Africa. Tanto si sa, errore più errore meno, tutto dipende a quale latitudine ci si trova.Una dichiarazione simile, nei riguardi di un paese dell’Occidente, sarebbe costata comeminimo il posto agli (ir)responsabili di cotanta avventata leggerezza. Ma i morti, le vitti-me, hanno un peso specifico se si trovano a sud o a nord del mondo. È di questo che dob-biamo avere paura. Non facciamo finta di non sapere che dietro i morti per un virus ci so-no degli interessi commerciali altissimi. È questo che ci deve far paura. Sapere che si spe-cula sulla pelle e sulla vita della gente. E allora più che l’Ebola, alla quale non serve il pa-nico, ma misure adeguate di sicurezza, progetti di salute dignitosa, a noi devono fare pau-ra coloro che cavalcano il panico e l’ignoranza collettiva, pur di umiliare la dignità del singolo,di chi è percepito come un diversamente altro e quindi una potenziale minaccia; devonofarci paura coloro che usando ogni mezzo trasmettono falsi e ambigui messaggi, senza nes-suna base scientifica, mettendo a repentaglio il lungo percorso intrapreso per una convi-vialità plurale e diversa. È di questi che dobbiamo avere paura, dei sabotatori di utopie,non dell’Ebola, che come qualsiasi virus, per quanto letale possa essere, se preso con le do-vute precauzioni può venire circoscritto e debellato. Altrimenti, mi chiedo, se non siamocapaci di debellare il virus dell’egoismo, se qui su questa Terra non siamo in grado di pro-teggere ogni singolo individuo, che ci andiamo a fare sulla Luna?

*Elisa Kidané, missionaria comboniana, direttrice editoriale di Combonifem.

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di Bruno Cappagli*

Bruno Cappagli durante un laboratorio a Lusaka.

Lusaka, 18 settembre 2014

Carissimi,con grande piacere vi informo che ieri alle 11:30 è arrivato a Lusaka il container con il trattore nuo-vo donato ad Amani dalla New Holland di Modena e gli attrezzi da lavoro e le macchine agricole of-ferte gratuitamente dal Sermig e dalla Cooperativa Agripò di Torino.Abbiamo lavorato tutto il giorno in squadra per riuscire a scaricare; alle 17:00, arrivati a Mthunzi, ab-biamo messo in sicurezza tutti i materiali che sono in ottimo stato.In serata abbiamo fatto un primo festeggiamento con tutti i bimbi: una bella cena a base di polenta,cavolo e salsiccia per poi chiudere a grande richiesta con l'ennesima proiezione del video su TiyendePamodzi. C'erano circa 80 persone non solo di Mthunzi ma di tutta la zona. Sono tutti emozionati e fe-lici, e soprattutto sinceramente grati per questo investimento di cui beneficerà l’intera collettività.Non so davvero come descrivervi l'emozione della comunità e la soddisfazione per l'esito positivo diquesta spedizione che ci ha visti impegnati a testa bassa per due mesi. Senza il serio impegno degliamici che ci hanno supportato in Italia, tra cui soprattutto il Sermig e la Cooperativa Agripò, sarebbestato tutto ancora più complesso.Adesso manca soltanto un agronomo professionista che abbia tempo e voglia di passare qualche me-se a Mthunzi per sfruttare al meglio i 40 ettari di terra che abbiamo a disposizione.Aspettiamo, chissà che non arrivi presto anche lui…Un caro saluto,Giacomo D’Amelio

Un trattore a Mthunzi dalla mail di Giacomo D’Amelio, responsabile dei progetti in Zambia

LUSAKA RIVOLUZIO

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è una foto dello scorso agosto che ritrae il vicepresidente dello Zambia esignora ricevuti alla Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti e signora. Tuttie quattro sorridono per la circostanza. La coppia zambiana è bianca, Guy Scott eCharlotte Harland-Scott. La coppia americana che li inquadra, lui a sinistra, lei adestra, è nera: Barack e Michelle Obama. Qualcuno ci potrebbe vedere il mondoalla rovescia: due bianchi arappresentare un Paese afri-cano e due afroamericani ad ac-coglierli in quella che fino a po-chi anni or sono era una Casamolto Bianca. Ma tutti appaio-no contenti e nessuno sembrafarci caso, come è giusto che sia.All'epoca i media non hannoconsiderato l'avvenimento unanotizia degna di nota.

Adesso che il presidente delloZambia è morto (si chiamavaMichael Sata ed era una per-sona interessantissima, di umi-li origini, eletto a furor di po-polo), Guy Scott lo ha sostitui-to, sia pure per un periodo di so-li 90 giorni al termine del qua-le ci saranno nuove elezioni. Almomento il capo dello Statozambiano è dunque lui. E al-l'improvviso il colore della suapelle è diventato una notizia. Adir la verità non tanto in Zam-bia, dove è una personalità no-

ta e popolare da tempo, quanto sui media anglosassoni, in particolare quelli bri-tannici, e di riflesso da noi. «Il primo bianco a guidare uno Stato africano dalla fi-ne dell'apartheid in Sudafrica vent'anni fa» (The Economist). Tutti hanno seguito piùo meno su questo tono, chi meno, chi peggio come il londinese Telegraph che ha fat-to un titolo (poi cancellato) sul «ritorno alla white rule», cioè all'epoca in cui i bian-chi dominavano e governavano la Rhodesia, di cui l'odierna Zambia faceva parte.La cosa imbarazzante è che questa attenzione al colore della pelle è tutta nostra,tutta europea. Il settantenne Scott è nato in Zambia, è uno zambiano a tutti gli ef-fetti e tale lo considerano i suoi concittadini, anche se suo padre era uno scozzese

di Glasgow. Si è laureato aCambridge, ma parla perfet-tamente i due idiomi maggior-mente diffusi nel suo Paese, ilNyanja e il Bemba. È in po-li-tica da tempo e chi ha ascolta-to i suoi comizi dice che è un tri-buno anche più brillante diquanto non sapesse esserlo Mi-chael Sata. Con il defunto pre-sidente Scott era in piena sin-tonia, con-dividendone il na-zionalismo economico che haper principale bersa-glio la pe-netrazione dei capitali e delleimprese cinesi in Zambia, spe-cie nel settore minerario. Ades-so nel partito al potere è in cor-so una lotta per la successionee non è chiaro se Scott abbiaintenzione di presentarsi. Maquesta è un'altra storia, che conil colore della pelle non c'entranulla.

*Pietro Veronese, giornalista, segue datrent’anni le vicende africane.

te grazie a una serie di buonissime sinergie, ma soprattuttograzie a una grande fiducia fin da subito concessa. Ci sia-mo esibiti al Barefeet Festival insieme a tantissimi ragaz-zi di altre realtà della città e dello Stato intero. Poi gli or-ganizzatori del festival mi hanno chiesto se potevamo es-sere presenti in una performance collettiva all’interno delmuseo nazionale. Una vera follia, si trattava di preparareuna scena in 2 giorni con il tema di un matrimonio ostaco-lato da un terzo incomodo. Ed è qui che avviene la mera-viglia: riesco a scrivere un testo, ai ragazzi piace, dicono chesi può fare, che vogliono mettersi al lavoro.C’era da imparare un testo, cosa assolutamente nuova perloro, c’era da fare un’azione corale, con grande controllo delcorpo e dello sguardo, c’era da imparare la chiave poeticae tragica, che nel loro modo di fare teatro non esiste affat-to. Questa novità però li intrigava ed è in quel momento cheè nata una grande intesa: nell’affrontare qualcosa di nuo-vo e difficile, nel tentativo di andare oltre, nel capire, poi,di poter fare grandi cose in futuro.Infine il colpo a sorpresa: l’ultimo giorno di festival il cen-tro Mthunzi riceve due premi per la performance “Marzia-ni vs Venusiani”. Si tratta del premio per le migliori ma-schere e soprattutto per il gruppo più creativo ed ispirato!Per tutti noi è stata una grande emozione e soddisfazione.Ma la cosa più bella è stata l’esperienza di incontro econfronto quotidiano con questi ragazzi così ricchi di poe-sia e di vita. Sapere che la bellezza può vincere il male èpura gioia. Grazie a tutti i ragazzi di Mthunzi e a tutti quel-li che lavorano per portare la bellezza nelle nostre vite.

*Bruno Cappagli, autore, attore, regista e conduttore di laboratori, è di-rettore artistico de La Baracca-Testoni Ragazzi di Bologna.

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5 agosto 2014, Guy Scott e Charlotte Harland-Scott ricevuti alla Casa Bianca.

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Guy Scott: il primo leader democratico bianco in Africa©

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di Pietro Veronese*

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6 AMANI

Progetti

ove anni dopo. Tornare ad Anita dopo così tantotempo permette di vedere i piccoli o grandi passi fatti. Per-cepire che molto è cambiato, in meglio, e che nove anni sonoserviti al progetto per crescere e camminare con più sicurezza.

I fili con il bucato steso ad asciugare sono sempre lì, così co-me il grande lavatoio, i fiori. Il parco giochi no, quello è fini-to dal lato opposto, rispetto al 2005: la giostrina su cui Ugofaceva volare le bimbe ora è appena dietro il “gazebo”, il gran-de cerchio dove si balla, si lavora, si sta insieme. I giochi han-no lasciato spazio all’orto, sempre più grande. E sullo sfon-do restano le stalle.

Nosotua ha più o meno l’età di Anita’s Home, fondata 15 an-ni fa. Nosotua era piccina piccina nel 2005, non parlava, siaggrappava, cercava abbracci. Ora è un’adolescente sveglia,diffidente come è giusto che sia. Ma l’intelligenza si vededallo sguardo, dal modo in cui scherza, anche con le più pic-cole. I capelli ordinati, i vestiti impeccabili. Ecco, i vestiti. No-ve anni dopo ho visto bimbi e ragazzi ben vestiti, armadi inordine, letti di casa, stanze vissute. Aria di casa.

Anche Cynthia allora era una bimba. L’ho ritrovata giovanedonna. In attesa di potersi iscrivere a un corso universitariofa la volontaria ad Anita da qualche mese. Dà una mano alledue mamme e intanto impara. Sempre con quel sorriso dol-

ce, quello sguardo sognante che non l’ha abbandonata, nono-stante gli anni e il ritorno certo non facile allo slum dopo lescuole superiori. «Anita per me è casa, è stata la possibilitàdi crescere, di studiare. Torno volentieri, qui sto bene. E pos-so dare una mano, come altri hanno fatto con me». Ride,Cinthya, gioca. Accompagna le altre più piccole, insegna a fa-re chapati perfettamente tondi, perfettamente lisci, ha occhie mani per stare dietro a tutto, per non lasciare che le ospitisi sentano sole, aiuta le ragazze ai bracieri appoggiati a ter-ra per verificare che la cottura dei chapati sia fatta come sideve, senza mai smettere di cantare, di chiacchierare. E tro-vando un minuto per dare una mescolata al pentolone di fa-gioli che borbotta sul fuoco, nella cucina comune dove tutti in-sieme, quando ci sono ospiti, preparano i pasti comunitari.

Salire lungo la strada che porta ad Anita è un po’ come per-correre 15 anni di progetto. Di fronte al cancello dietro il qua-le le bambine trovano rifugio c’è un altro grande cortile, edi-fici che prima non esistevano. Il terreno l’avevamo compra-to allora, ora si è trasformato in spazi, progettualità. Lì ci so-no i laboratori in cui le GtoG con l’aiuto di Grace si inventa-no un futuro fatto di vestiti, moda, design, stoffe eprofessionalità. Un lavoro. Con lo stipendio c’è chi è riuscitaa prendere una casetta, uscire dallo slum. Comprare una tv.Le ragazze di allora sono donne, con figli, combinare tutto nonè semplice. Ma se si entra nel regno di Monica, fatto di car-tamodelli appesi e vestiti da terminare, di ritagli di stoffa te-nuti «perché magari riusciamo a farci qualcosa», si intrave-dono i colori di un futuro possibile per tante ragazze che adAnita hanno trovato una speranza ma, alla fine, restano so-le ad affrontare il mondo. E tutto questo scalda il cuore.

Dorkas io me la ricordo con una cuffia di lana, infradito, fel-pona e pantaloni larghi, qualche parola di italiano mastica-ta bene e spirito critico. La rivedo in abitino e ballerine, ca-pelli raccolti e borsetta mignon. Una signorina. Da due an-ni lavora come commessa in un negozio nello slum in cui vi-ve ancora con la mamma malata. È lei che pensa alla fami-glia, ha 23 anni ed è stata una delle prime ragazze di Anita.Aveva sette anni, nel 1999, ha vissuto in strada e poi attra-verso il Rescue Dada, il centro di prima accoglienza, è arri-vata nella casa rifugio sulle colline Ngong. Susan, la sorel-la, compirà 19 anni il 31 dicembre: vuole diventare chirur-go, senologa: ha dovuto lottare con tutte le sue forze, ma il22 settembre si è seduta tra i banchi di quell’aula. «Quandomia mamma si è ammalata ho deciso che sarei diventata undottore», racconta. Per farlo ha dovuto confrontarsi anche conun sistema scolastico in cui le ragazze valgono meno, figu-riamoci se vengono da una comunità. Ad Anita lei è arriva-ta nel 1999, a tre anni, con le prime otto. Era già stata instrada, prima dei due anni. «Le mie cose le portavo nelle bor-se di plastica –racconta- eravamo io, Dorkas, Monica, Mary,Mwendo, Salome, Nzambu ed Ester». Ha lottato per avereun buon voto agli esami e potersi iscrivere a medicina. Poiha chiesto ad Amani di aiutarla con una borsa di studio. Perl’università le servivano due uniformi, vestiti, scarpe e zoc-coli da medico. I libri. Una spesa ragionevole per noi, enor-me laggiù. Ce l’ha fatta. Anche se casa sua, nonostante lacorrente sia finalmente arrivata nel quartiere, la sera si ac-cendono ancora le candele.

*Anna Ghezzi, giornalista de La Provincia Pavese e volontaria di Amani,vive e lavora a Pavia

KENYAKivuli Centre: progetto educativo che accoglie in forma residenziale 60 ex bambini di strada, copre le spesescolastiche di altri 70 bambini ed è aperto a tutti, proponendo diverse attività. Kivuli è diventato un punto di riferimentoper i giovani del quartiere circostante, con laboratori artigianali di avviamento professionale, una biblioteca, un dispensariomedico, un progetto sportivo, un laboratorio teatrale, una sartoria, un pozzo che vende acqua a prezzi calmierati,una scuola di lingue, una scuola di computer e uno spazio sede di varie associazioni, per momenti di dibattito e confronto.

Casa di Anita: casa di accoglienza a Ngong (20 km da Nairobi) curata da due famiglie keniane. La Casa di Anitaaccoglie 20 ex bambine e ragazze di strada vittime di violenze di ogni genere, inserendole in una struttura familiaree protetta, permettendo una crescita affettivamente tranquilla e sicura, e continua a seguire le ragazze più grandiche sono rientrate in famiglia.

Ndugu Mdogo (Piccolo Fratello): progetto socio-educativo, è un punto di riferimento per i 200 ragazzi che, con leloro famiglie, sono stati accolti nel programma di assistenza e riabilitazione dal 2006 ad oggi.

Kivuli Ndogo e Ndugu Mdogo Rescue Centers: sono centri di prima accoglienza e soccorso per i bambini e i ragazziche negli immensi quartieri di Kibera e Kawangware sono ancora costretti a sopravvivere per strada senza la curae l'affetto di un adulto. Questi centri sono il primo passo di un percorso di recupero che potrà portarli poi a Kivuli,Ndugu Mdogo o alla Casa di Anita.

Borse di Studio don Giorgio Basadonna: permettono a studenti meritevoli privi di possibilità economiche diproseguire nel percorso di studi superiore e acquisire una preparazione qualificata per il loro futuro: un modoconcreto per ricordare l’impegno di tutta una vita spesa da don Giorgio per la crescita dei giovani.

Riruta Health Project (RHP): programma di prevenzione e cura dell'Aids, nato in collaborazione con Caritas Italiana,offre assistenza a domicilio a malati terminali e a pazienti sieropositivi nelle periferie di Nairobi.

Families to Families (FtoF): programma di sviluppo comunitario nato da un gruppo di famiglie italiane per sosteneregli ex ospiti dei centri nel percorso di reinserimento familiare e nella comunità locale.

Geremia School: una scuola di informatica che fornisce una formazione professionale di alta qualità, per contribuirea colmare il digital divide Nord-Sud.

Diakonia Institute: offre corsi universitari in Scienze Sociali e Sviluppo Comunitario (microcredito, impresa sociale)per formare a livello accademico figure in grado di lavorare nelle baraccopoli con professionalità.

ZAMBIAMthunzi Centre: progetto educativo realizzato dalle famiglie della comunità di Koinonia di Lusaka. Oltre ad accogliere informa residenziale 60 ex bambini di strada curandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimento per gli altriabitanti dei centri rurali circostanti, con il suo dispensario medico e con i suoi laboratori di falegnameria e di sartoria perl’avviamento professionale.

SUDANCentro Educativo Koinonia: due scuole sui Monti Nuba che garantiscono l’educazione primaria a circa 1200 ragazzi eduna scuola magistrale per selezionare e formare giovani insegnanti Nuba per riattivare la rete scolastica gestita dalle popolazionidella zona.

Progetti

La Casa di Anita compie 15 annidi Anna Ghezzi*

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Adozioni a distanza

Perché tutti insiemeL'adozione proposta da Amani non è in-dividuale, cioè di un solo bambino, ma èrivolta all'intero progetto di Kivuli, della Ca-sa di Anita, di Ndugu Mdogo, di Mthunzio delle Scuole Nuba. In questo modo nessuno di loro correràil rischio di rimanere escluso. Insomma"adottare" il progetto di Amani vuol direadottare un gruppo di bambini, garan-tendo loro la possibilità di mangiare, stu-diare e fare scelte costruttive per il futu-ro, sperimentando la sicurezza e l'affet-to di un adulto. E soprattutto adottare unintero progetto vuol dire consentirci dinon limitare l’aiuto ai bambini che vivo-no nel centro di Kivuli, della Casa di Ani-ta, di Ndugu Mdogo, del Mthunzi o che fre-quentano le scuole di Kerker e Kujur Sha-bia, ma di estenderlo anche ad altri pic-coli che chiedono aiuto, o a famiglie in dif-ficoltà, e di spezzare così il percorso cheporta i bambini a diventare bambini di stra-da o, nel caso dei bambini Nuba, di ga-rantire loro il fondamentale diritto all’e-ducazione. Anche un piccolo sostegno economicopermette ai genitori di continuare a far cre-scere i piccoli nell’ambiente più adatto,e cioè la famiglia di origine.In questo modo, inoltre, rispettiamo laprivacy dei bambini evitando di diffondereinformazioni troppo personali sulla sto-ria, a volte terribile, dei nostri piccoli ospi-ti. Pertanto, all'atto dell'adozione, non in-viamo al sostenitore informazioni relati-ve ad un solo bambino, ma materialestampato o video concernente tutti i bam-bini del progetto che si è scelto di so-stenere. Una caratteristica di Amani è quella di af-fidare ogni progetto ed ogni iniziativa sulterritorio africano solo ed esclusivamen-te a persone del luogo. Per questo i re-sponsabili dei progetti di Amani in favoredei bambini di strada sono keniani, zam-biani e sudanesi.

Con l'aiuto di chi sostiene il progetto del-le Adozioni a distanza, annualmente riu-sciamo a coprire le spese di gestione, pa-gando la scuola, i vestiti, gli alimenti e lecure mediche a tutti i bambini.

Info: [email protected]

Come aiutarciPuoi "adottare" i progetti realizzati daAmani con una somma di 30 euro almese (360 euro all'anno): contri-buirai al mantenimento e alla cura ditutti i ragazzi accolti da Kivuli, dallaCasa di Anita, da Ndugu Mdogo, dalMthunzi o dalle Scuole Nuba.

Per effettuare un'adozione a distanzabasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato adAmani Ong - Onlus via Tortona 86 – 20144 Milanoo sul c/c bancario pressoBanca Popolare Etica IBAN IT91 F050 1801 6000 0000 0503010BIC/SWIFT: CCRTIT2T84A

Ti ricordiamo di indicare, oltre al tuo no-me e indirizzo, la causale del versa-mento: "adozione a distanza".Ci consentirai così di inviarti il mate-riale informativo.

AMANI

Ci sono i camerieri che arrivano a piedi al primo turno di mattina, sonnolenti, inti-rizziti dal freddo, sorridenti non ho mai capito se per natura o per contratto, nel lus-suoso albergo di Sandton, Johannesburg. Sandton è chiamata "il miglio quadratopiù ricco dell'Africa" e loro arrivano in giacchetta, in un'alba di ghiaccio.

C'è il canto del gallo che fa alzare centinaia di milioni di persone nelle loro capanne,dalle stuoie distese su pavimenti di terra battuta. Risvegli senza acqua, senza elet-tricità, senza un fornello da accendere con la leggera pressione di un bottone. Don-ne che stancamente attizzano il fuoco, bambini che indossano l'uniforme scolastica.

C'è una luce di speranza, un sole che si leva sul continente più povero e più ottimi-sta del mondo, dal presente più incerto e più di ogni altro sicuro che il futuro sarà mi-gliore. Un mondo che non ha niente in tasca e molto da insegnare, che manda i suoifigli a cercare fortuna sui nostri marciapiedi, ad additarci un avvenire comune che noinon riusciamo a vedere.

Noi siamo piccoli, rispetto all'Africa: cento volte più grande dell'Italia, e appena sedi-ci volte più popolata. Pur eliminando dal conto il grande deserto che ne occupa tuttoil nord – nove milioni di chilometri quadrati – resta pur sempre il continente degli spa-zi infiniti. Degli slums dove si affolla la povertà, delle colline coltivate passo a passocome nell'abitatissimo Ruanda; ma anche degli orizzonti apparentemente disabitati,delle savane dove la figura lontana di un cacciatore solitario appare come l'unica for-ma di vita. L'Africa mille volte violentata, l'Africa del perdurante boom demografico,è pur sempre, rispetto al nostro mondo esausto, un continente vergine. Il continentedelle possibilità. Che lo rimanga ancora, dopo secoli di saccheggi e di violenze, testi-monia la sua grandezza, la sua forza.

Questa grandezza ha ispirato nel tempo, invece che ammirazione e rispetto, ingordigiae volontà di rapina. Dapprima fu la semplice legge del più forte. I re del Congo checinquecento anni fa si convertirono ammirati alla fede cristiana, scoprirono ben pre-sto che gli uomini bianchi venuti alle coste dell'Africa sospinti dal vento, su mera-vigliosi velieri, volevano schiavi ed avorio, e non fratellanza. (Riassume con sinte-si geniale il vescovo sudafricano Desmond Tutu, sovversivo premio Nobel per la Pa-ce: «Loro avevano la Bibbia, e noi la terra; adesso noi abbiamo la Bibbia e loro laterra»).

Seguì l'ipocrisia della missione civilizzatrice, il "fardello dell'uomo bianco", lo sfrut-tamento giustificato con la paradossale motivazione di rendere migliore la sorte de-gli oppressi. Infine, dopo un secolo di colonialismo, il mercato, le "ragioni di scam-bio" delle merci. Anche qui, direbbe Tutu, gli africani avevano le merci, gli occidenta-li il mercato. La "ragione" era tutta da una parte. Le foreste, le miniere, i giacimenti,le acque pescose hanno continuato a riversare le loro ricchezze lontano dall'Africa.E tuttavia il continente, che nel XXI secolo lentamente si va riappropriando di se stes-so, rimane immensamente ricco, di risorse e di segreti.

«Soltanto di diritti di sorvolo, questo Paese vale un'immensa fortuna», mi disse un di-plomatico a Kinshasa, capitale dell'allora Zaire, oggi Repubblica democratica del

Congo. Il Paese era in guerra, Kinshasa era una metropoli allo stremo, gli ambascia-tori giravano sotto scorta, non c'era un bianco che vi si avventurasse a piedi, negliuffici pubblici erano stati rubati perfino gli interruttori della luce (che del resto nonc'era quasi mai). Eppure, seduto al bordo di una piscina al lume di una lampada a pe-trolio, protetto da guardie armate, quell'uomo mi fece quasi sottovoce un lungo elen-co di ricchezze che il mio taccuino – era il 2001 – ancora conserva: «Uno spazio scon-finato, un crocevia obbligato; risorse minerarie immense» – lo definì «uno scandalogeologico»; «una quantità d'acqua smisurata: il serbatoio del mondo, e un potenzia-le idroelettrico che potrebbe bastare all'intero continente; terre che si estendono a unincrocio ideale di latitudini e longitudini e opportunamente coltivate potrebbe sfama-re tutta l'Asia».

Una volta liberata, l'Africa è rimasta in larga parte oppressa dai suoi tiranni e dai suoierrori. Piano piano, dove ha potuto, si è sbarazzata degli uni e degli altri e ha prova-to a cambiare il nostro sguardo accondiscendente. Ha vinto nelle più proibitive disci-pline dello sport. Ha studiato, lavorato, faticato. È rinata dalle proprie ceneri, a Kiga-li, a Mogadiscio, a Bamako. Ha promosso qui e là le sue donne ai vertici del poterepolitico e economico. Si è conquistata un posto nel mondo della creatività, della mo-da, dell'arte. Ha attirato turisti, sedotto donatori, conquistato cuori. Ha fatto timida-mente notare che era da tempo maestra in ciò che noi stiamo soltanto adesso gof-famente imparando: economizzare risorse, limitare consumi, riciclare sprechi, convi-vere con il proprio ambiente e con il proprio passato. Alla fine, ha ancora una voltapiegato parzialmente la testa alla mentalità dominante e si è attirata consensi reni-tenti nel modo più vieto: con le performance dei suoi Pil, l'esibizione di una ricchez-za questa volta domestica e non d'esportazione, il crescente appetito di nazioni chehanno qualche soldo da spendere e voglia di consumare. Oggi l'Africa convince in-vestitori e accumula diseguaglianza.

Sopravviverà anche a questo. Nella sua infinità varietà, nei suoi opposti eccessi enelle differenze estreme, nelle sue grandezze e nei suoi orrori, con i suoi picchi e isuoi abissi, l'Africa troverà una sintesi, equilibrio. Siamone certi, come lo sono gliafricani. Perché questo è, secondo me, il segreto che tutti gli altri racchiude: l'Afri-ca è un continente di credenti. Dove la fede – nella vita, nel domani, negli spiriti de-gli antenati e nella volontà di Dio – è più forte, più accettata, più condivisa che ovun-que altrove. Altrimenti non ce l'avrebbe fatta. Solo così l’Africa risorge, ogni gior-no. E noi con lei.

Il calendario è disponibile in formato da parete (42 x 29,7 cm) al costo di € 10 e in formato da scrivania al costo di € 5(spese di spedizione escluse)

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IL CALENDARIO AMANI 2015accompagna alla scoperta di un futuro che è già qui, di storie capaci di stupire, sensibilizzare, insegnare e contribuire a diffondere una visione fiduciosa sul futuro del continenteafricano.

Introduzione al calendario Amani 2015 di Pietro Veronese

L’Africa risorge ogni giorno

Iniziative

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Chi siamoAmani è un’associazione non profit che si impegna per affermare il dirittodei bambini e dei giovani ad avere un’identità, una casa protetta, cibo, istru-zione, salute e l’affetto di un adulto.

Dal 1995 abbiamo istituito e sosteniamo case di accoglienza, centri educati-vi, scolastici e professionali in Kenya, Zambia e Sudan. Da allora offriamoogni giorno opportunità e alternative concrete a migliaia di bambini e bam-bine costretti a vivere sulla strada nelle grandi metropoli, nelle zone ruralie di guerra.

Amani ha carattere laico, apolitico e indipendente. Organizzazione non Go-vernativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri, ha sede legale a Mi-lano e gruppi locali attivi in diverse città italiane.

Collaboriamo con scuole, associazioni, enti pubblici e privati, parrocchie, am-ministrazioni locali, fondazioni e imprese.

In Italia Amani organizza iniziative e incontri culturali, di informazione eapprofondimento. Ogni anno offriamo la possibilità di partecipare a campidi incontro in Kenya e in Zambia a gruppi organizzati, giovani volontari efamiglie che desiderano conoscere in prima persona la realtà africana e vi-vere un periodo di condivisione con la comunità locale.

Come contattarciAmani Ong - OnlusOrganizzazione non governativa e Organizzazione non lucrativa di uti-lità sociale

Via Tortona, 86 - 20144 Milano - ItaliaTel. +39 02 48951149 - Fax +39 02 [email protected] - www.amaniforafrica.it

Come aiutarciBasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad Amani Ong - Onlus - Via Tortona 86 - 20144 Milano, o sul c/c bancario presso Banca Popolare Etica IBAN IT91 F050 1801 6000 0000 0503 010BIC/SWIFT: CCRTIT2T84ANel caso dell'adozione a distanza è previsto un versamento di 30 euro almese per almeno un anno. Ricordiamo inoltre di scrivere sempre la causale del versamento e il vostroindirizzo completo.

Dona il 5x1000 ad Amani, basta la tua firma e il nostro codice fiscale: 97179120155

Le offerte ad Amani sono deducibiliI benefici fiscali per erogazioni a favore di Amani possono essereconseguiti con le seguenti possibilità:

1. Deducibilità ai sensi della legge 80/2005 dell’importo delle donazioni (so-lo per quelle effettuate successivamente al 16.03.2005) con un massimodi 70.000 euro oppure del 10% del reddito imponibile fino ad un massimodi 70.000 euro sia per le imprese che per le persone fisiche.in alternativa:2. Deducibilità ai sensi del DPR 917/86 a favore di ONG per donazioni de-stinate a Paesi in via di Sviluppo. Deduzione nella misura massima del2% del reddito imponibile sia per le imprese che per le persone fisiche.3. Detraibilità ai sensi del D.Lgs. 460/97 per erogazioni liberali a favoredi ONLUS, nella misura del 24% per un importo non superiore a euro2.065,83 per le persone fisiche; per le imprese per un importo massimo dieuro 2.065,83 o del 2% del reddito di impresa dichiarato. Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario scrivere sempre ONG - ONLUSdopo AMANI nell'intestazione e conservare:- per i versamenti con bollettino postale: ricevuta di versamento;- per i bonifici o assegni bancari: estratto conto della banca ed eventualinote contabili.

Iscriviti ad Amaninews Amaninews è la newsletter di informazione e approfondimento di Amani:tiene informati gli iscritti sulle nostre iniziative, diffonde i nostri comu-nicati stampa, rende pubbliche le nostre attività. Per iscriverti ad Amaninews invia un messaggio a:[email protected]

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Editore: Associazione Amani Ong-Onlus, via Tortona 86 - 20144 MilanoDirettore responsabile: Pietro Veronese Coordinatore: Gloria FragaliProgetto grafico e impaginazione: Ergonarte, MilanoStampa: Grafiche Riga srl, via Repubblica 9, 23841 Annone Brianza (LC)Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milanon. 596 in data 22.10.2001

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