+ All Categories
Home > Documents > la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una...

la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una...

Date post: 11-Jun-2020
Category:
Upload: others
View: 2 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
56
vita ospedaliera e informazioni culturali - milano - fondazione IRCCS ospedale maggiore policlinico, mangiagalli e regina elena - anno XLVII - n. 1 - 2006 la ca’ granda
Transcript
Page 1: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

vita ospedaliera e informazioni culturali - milano - fondazione IRCCS ospedale maggiore policlinico,mangiagalli e regina elena - anno XLVII - n. 1 - 2006

la ca’ granda

Page 2: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

vita ospedaliera e informazioni culturali - milano - fondazione IRCCS ospedale maggiore policlinico,mangiagalli e regina elena - anno XLVII - n. 1 - 2006

La copertinaDal chiostro secentesco nel cortile richiniano della Ca’ Granda, oggi sede dell’Università degli Studi, unbellissimo... “fiore primaverile”.

Direttore responsabile: FRANCA CHIAPPA. Attività e programmi culturali della Fondazione.Direzione, redazione, amministrazione: via F. Sforza 28, 20122 Milano, telefoni 02-55038311 e 02-55038376fax 02-5503.8264

È consentita la riproduzione totale o parziale degli articoli, purché di volta in volta autorizzata e citando la fonte.

sommario

Ai lettori 1

pagina

La Geriatria nell’Ospedale Policlinico intervista di Sara Casati a Carlo Vergani 2

La cura del malato - Il mondo dell’anziano Marco Ferretti 7

la ca’ granda

Asterisco 26

Asterisco 36

Dal Passato - La verità al malato Alberto Crespi 46

Il cambiamento del rapporto medico-paziente negli ospedali:il modello milanese Vittorio A. Sironi 17

Fra Serendipity ed “effetto Hawthorne” il difficilepercorso del clinico che vuole essere “anche” ricercatore Andrea Finzi 22

Un inaspettato giacimento di sapere: la Bibliotecadell’Istituto ostetrico ginecologico “Luigi Mangiagalli” Laura Vecchio 37

La professione infermieristica oggi: per non restare mai senza “nuovi” obiettivi Marisa Cantarelli 27

Tra moda e rivoluzione: la Lombardia nel 1848 Cristina Cenedella 31

La chiarezza Antonella Cremonese 35

Come si trasformano e trasformano i processi formativiin una prospettiva partecipativa Luciano Vettore 10

Recensioni Elisabetta Zanarotti Tiranini, Mario Mantero, Maurizio De Filippis 40

Cronache amministrative 50

Page 3: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

L’anziano, in molti casi ancora il “grande sconosciuto”. L’anziano, che forse inconsapevolmente ha condizionato e con-diziona le nostre politiche sociali e sanitarie, ha però nel tempo acquisito consapevolezza della sua specificità, richiedeattenzione, comprensione, cure particolari e “obbliga oggi, con la sua ‘diversa’ normalità, a un ripensamento dei conte-sti che promuovono la salute e a un nuovo modo di fare medicina”. Dichiarazioni del prof. Carlo Vergani, direttore del-l’Unità Operativa di Geriatria, nell’intervista di Sara Casati in apertura del fascicolo.

“La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilitàdel dott. Marco Ferretti nella sua quotidiana opera ospedaliera: la partecipazione umana al vissuto dei “suoi” malatiprima nell’esperienza ambulatoriale, di corsia e di pronto soccorso, quindi nell’“incontro” voluto con l’anziano, nellaconoscenza della sua realtà sofferta, non di rado incompresa, che continua.

Il dott. Luciano Vettore, medico internista con una lunga esperienza di formatore, con profondità ci prospetta quale sfidaattuale per tutti gli attori della salute, dai professionisti ai cittadini, un’educazione che richiami ciascuno a partecipareattivamente ai processi di cura, così come al cambiamento dei propri stili di vita.

Il paziente oggi, il medico oggi e nell’ospedale di oggi, in una società sempre più multietnica con esigenze ed esperienzediverse, sollecitano il richiamo sul sempre attuale rapporto medico-malato. Una visione clinica, un approfondimento sto-rico, competenza ed esperienza vissute a lungo sul malato stimolano alla conoscenza delle riflessioni e conclusioni delprof. Vittorio Sironi, con particolare interesse per noi qui, in quanto esemplarmente egli scrive del “modello milanese”.

Un esame approfondito e vissuto con gli interrogativi che la situazione medico-ospedaliera e universitaria comporta ogginello scrupolo di offrire al malato ciò che egli essenzialmente chiede (rapide diagnosi, cura, guarigione) e tuttavia giusti-ficatissimo “impegno-desiderio” di consentire a sé tempi e mezzi per un apporto personale di studio e ricerca nel quoti-diano, sono dichiarata leale amarezza nelle considerazioni del dott. Andrea Finzi. E, tuttavia, amore per la professione efiducia nella scelta dopo anni di provata esperienza divengono autoinvito a persistere non soltanto per sé.

Marisa Cantarelli ha affrontato più volte nella nostra rivista il problema della professione infermieristica in Italia. Quiesamina lo stato della ricerca e, con la competenza che le è propria, illustra l’evoluzione storico-sociale della professio-ne fino all’istituzione della laurea specialistica in scienze infermieristiche (2004) con il commento, le riflessioni, gli inter-rogativi dei tempi successivi e degli attuali.

Riferimenti storici lombardi, e specificamente milanesi, ancora una volta (sia pure “di confine”) nei ritratti dell’Ospeda-le Maggiore e del Pio Albergo Trivulzio. Cristina Cenedella si ferma sulle ragioni giustificate della moda (abbigliamen-to, decorazioni e manifestazioni pubbliche) negli avvenimenti storici del 1848. L’occasione le consente di richiamarel’attenzione su alcuni quadri e personaggi legati ai nostri due Enti.

Una bella pagina di Antonella Cremonese sulla “chiarezza”. Anche questa volta una piacevole lettura quasi invito a pen-sare, a conversare (come già per “la convivenza” e per “il silenzio” dei fascicoli precedenti) sul valore autentico di con-cetti base del nostro vivere e che invece... “passano” nel quotidiano.

Compie cento anni la biblioteca dell’Istituto ostetrico ginecologico Luigi Mangiagalli, medico-scientifica culturale esociale, che attende di essere riscoperta e valutata nella sua complessità. Ne scrive per noi Laura Vecchio.

La verità al malato, argomento-problema sempre presente, dibattuto in occasioni diverse e in particolare nel nostromondo della sofferenza, qui portato a noi nella sua complessità e delicatezza dal prof. Alberto Crespi (rivista “l’Ospeda-le Maggiore”, n.2/1999) Dal Passato.

Le solite rubriche e riferimenti culturali chiudono il fascicolo.

ai lettori

stampe trimestrali - Sped. abb. post. 70% - filiale di Milano - n. 1 - 2006 - registrazione Tribunale di Milanon. 5379, II-8-1960.

stampa: Stampamatic Spa - Settimo Milanese (MI) - via Albert Sabin, 20; fotocomposizioni: Artea (SettimoMilanese) - via E. Fermi, 28; fotolito: Digital Seleprint s.r.l. - Milano - via Cortina d’Ampezzo,12.

Page 4: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

2

Come è nata la sua scelta di optare nell’Ospedalee nell’Università per la Geriatria? Ho optato per la Geriatria venti anni fa contro ilparere di molti colleghi. La Geriatria era vista comeuna sorella minore della Medicina interna, unadisciplina senza contenuto specifico, consideratauna zona di passaggio verso qualifiche più presti-giose. Ho fatto quella scelta senza ritorno, bruciando ivascelli, perché mi rendevo conto che stava emergen-do un nuovo protagonista, l’anziano, con i suoi segretida interpretare e le sue potenzialità negate. Mi rende-vo conto che questo soggetto, che oggi condiziona lepolitiche sociali e, in particolare, le politiche sanitarie,era un grande sconosciuto e che i protocolli clinici egli standard di riferimento erano inadeguati per inter-pretarne il bisogno. Per prendersi cura della personain età avanzata era necessario ripartire da lei, fuoriu-scire dagli schemi consueti.

Perché l’anziano è diventato un interlocutore ine-ludibile nella società e nelle pratiche di cura e diassistenza?L’invecchiamento della popolazione è un processointenso e progressivo. Nel corso del secolo scorsogli anziani sono passati dal quattro per cento alventi per cento della popolazione generale e staarrivando l’ondata del baby boom della metà delNovecento. Oggi un italiano su cinque ha più di 65

anni e si prevede nei prossimi anni una grande espan-sione degli ultraottantenni che già ora rappresentanoil 24 per cento degli anziani. Stiamo imparando adinteragire con una vera e propria ondata demografica,un fenomeno che si impone con forza, la forza dellecose. Una visione prospettica della nostra società nonpuò prescindere dalla transizione demografica.

In particolare, che cosa ha motivato in lei il pas-saggio in una branca della medicina ancora tuttada esplorare?Mi interessava indagare le basi biologiche dellasperanza di cui hanno bisogno gli anziani per viveree volevo capire il loro bisogno. L’anziano obbligacon la sua specificità, con la sua diversa normalitàad un ripensamento dei contesti che promuovono lasalute, ad un nuovo modo di fare medicina.

Cosa intende per diversa normalità dell’anziano? Il processo biologico dell’invecchiamento comportala perdita di strutture e funzioni dell’organismo.Questo cambiamento configura una normalità del-l’anziano diversa da quella del giovane. GiuseppePontiggia diceva che noi tutti siamo diversi gli unidagli altri e che accettare la diversità dei normali èpiù difficile che accettare la diversità dei diversi.Accettare la diversità dei normali è il prerequisitoper operare scelte adeguate. Molti anziani sono por-

Dall’Ospedale Policlinico: ricerca, cura, assistenza.La rivista individua nel nostro Policlinico Unità Operative, realizzazioni di lunga data, esempi di scelta indovi-nata che richiamino attenzione, che una volta di più attestino la presenza di valori reali, scientifici, umani e indu-cano alla costanza, all’ottimismo.In questo numero la Geriatria.

La Geriatria nell’Ospedale PoliclinicoSARA CASATI intervista CARLO VERGANI, direttore dell’Unità Operativa di Geriatria

Page 5: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

tatori di una o più malattie croniche che causanodolore e disabilità. Tuttavia, secondo l’Istat, il 40per cento degli ultrasessantacinquenni dichiara unostato di salute buono o molto buono pur in presenzadi compromissione fisica perché salute nell’anzianonon significa assenza di malattia. Gli acciacchi, laconvivenza con la malattia cronica, si relativizzanose l’ambiente in cui l’anziano si muove è favorevo-le. Nel vissuto personale assumono un notevolesignificato lo stato psico-affettivo positivo e i rap-porti sociali. Tutto ciò non può essere trascuratoquando l’anziano si rivolge all’Unità Operativa diGeriatria o all’Ospedale, soprattutto al Pronto Soc-corso, dove esprime bisogni nascosti che spessonon hanno niente a che fare con lo stato fisico.

L’incontro con un soggetto anziano fa alloraemergere una multidimensionalità dello stato disalute e di malattia? Si parla di “paradosso della disabilità”: sto bene puressendo ammalato, quando il mondo che mi circon-da mi riconosce. Già nel 1988 il Consiglio d’Euro-pa parlava della salute come di un “bene instabileche bisogna acquisire, difendere e ricostruirecostantemente durante tutto l’arco dell’esistenza”.L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001ha indicato tra i fattori determinanti per lo stato disalute o malattia i fattori contestuali, ambientali (illuogo di vita e di lavoro, i servizi sociali, le agenziegovernative, i trasporti, le regole formali e informali,le ideologie prevalenti) e personali (l’età, il sesso, lascolarità, gli stili di vita, le abitudini, il livello socia-le). Costruire un percorso di prevenzione, cura edassistenza per una persona in età avanzata significatenere presente questa multidimensionalità.

Come avete costruito questo percorso personaliz-zato di cura per l’ anziano?L’anziano ha caratteristiche fisiologiche che condi-zionano l’approccio clinico: è portatore di piùmalattie che spesso interferiscono fra loro e nemodificano la sintomatologia, è spesso in terapiacon più farmaci che possono essere causa di reazio-ni avverse, ha una fragilità di base e una minorcapacità di compenso nei confronti degli stressdestabilizzanti. L’anziano, dice Piero Ottone, ècome un fortino assediato dalla malattia, dalla soli-

tudine, dalla povertà. A Milano un terzo deglianziani vive solo e un anziano su quattro percepisceuna pensione che lo colloca al di sotto della sogliadella povertà.L’anziano ha perciò bisogno di una valutazione glo-bale e di una assistenza continuativa nelle istituzio-ni e sul territorio: l’ospedale non è più una monadeisolata dal resto del sistema ma deve fungere da col-lante tra sé ed i servizi territoriali, assumendo unruolo strategico nell’organizzazione socio-sanitariaper l’anziano. Quando l’anziano viene ricoverato in day hospital oin degenza ordinaria presso l’U.O. di Geriatria si pro-cede, con il coinvolgimento anche del medico difamiglia, alla stesura di un piano personalizzato per ladimissione protetta così da stabilire una continuità dicura. Al reparto di degenza dell’U.O. di Geriatria delPoliclinico vengono trasferiti anziani ricoverati diret-tamente dal Pronto Soccorso e anziani stabilizzati,non più bisognosi di terapia intensiva, provenientidalla Medicina d’urgenza. Si riduce in tal modo l’oc-cupazione di letti nella Medicina d’urgenza che sirendono disponibili per il Pronto Soccorso.

Ha trovato resistenze nella costruzione di questipercorsi che rispondono al bisogno dell’anziano?Oggi la medicina è per lo più particolaristica, anco-rata ad una visione cartesiana che considera l’orga-nismo un orologio di precisione: è alla ricerca dellamagic bullet che risolve la singola malattia. Hapoco a che fare con il vissuto personale. Assistiamoad una crisi del paradigma medico-biologico chenon è in grado di interpretare il bisogno globale del-l’anziano. Basti pensare che su 13.739 anziani pre-sentatisi al Pronto Soccorso del Policlinico nel 2004solo il 32 per cento è stato ricoverato perché affettoda patologia acuta: l’Ospedale, il punto di approdoper anziani che non trovano altrove luoghi di riferi-mento, non può disinteressarsi e mandare a casa glialtri due terzi.

Ha trovato obiezione tra i suoi colleghi?L’obiezione dei colleghi sostanzialmente è: “Ma noinon siamo assistenti sociali”. In età avanzata simuore anche di solitudine e di crepacuore: la ricer-ca indica, per esempio, che quando un anzianoviene ricoverato in ospedale il suo coniuge, nei sei

3

Page 6: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

mesi successivi al ricovero, rischia la morte due-trevolte di più rispetto al coetaneo che non ha patito lostesso evento.È mai possibile che tutto ciò passi inosservato enon preoccupi il medico? In Italia sei medici sudieci sono specialisti che curano la patologia delsingolo organo o apparato, spesso non interessatiad una visione globale della persona.

In definitiva la relazione di cura e di assistenzaall’anziano obbliga ad un ripensamento dellamedicina?L’assistenza all’anziano si avvale delle procedureproprie della medicina della complessità, cheprende in considerazione il vissuto personale, chenon fornisce linee guida o protocolli precostituitie che privilegia la medicina del territorio. Diver-samente dalla medicina dell’evidenza, che si basasul sapere e il saper fare e che risolve il fenomenosemplice, la medicina della complessità prende inconsiderazione non solo la malattia ma anche “ilproblema” della persona. In questo caso il mediconon dispone di procedure predefinite e deve con-frontarsi con tutte le figure che hanno a che farecon la cura continuativa, dal Medico di famiglia alfamiliare, dal volontario all’assistente sociale, senzatrascurare le istituzioni.Non è un caso che anche la Società Italiana diMedicina Interna, la SIMI, si sia recentemente con-frontata con la necessità di contrastare la parcelliz-zazione della pratica medica e che spinga verso unavisione unitaria della persona. Ovviamente i geriatrisono in prima fila. Ma la formazione professionalee l’abitudine rallentano tale evoluzione. MarkTwain diceva che “l’abitudine non la si può buttaredalla finestra; se mai la si può sospingere giù dallescale, gradino per gradino”. L’importante è muover-si, superando l’inerzia del sistema.

Torniamo un po’ alle origini di questa esperien-za: come si elaborò il progetto di un reparto pergli anziani all’interno del Policlinico?Il forte flusso degli anziani ha motivato l’istitu-zione di un’Unità Operativa autonoma di Geria-tria nel 1992. Come direttore della Cattedra diGerontologia e Geriatria dell’Università degliStudi di Milano mi trovai a dirigere la neonata

Unità Operativa che è anche sede di insegnamentoperché è frequentata dagli iscritti alla Scuola dispecializzazione in Geriatria e al dottorato diricerca in fisiopatologia dell’invecchiamento. Inseguito il generoso contributo di molti privati e lapartecipazione di AGER, Associazione per laricerca geriatrica e lo studio della longevità diMilano, permisero la ristrutturazione degli spaziche ospitano l’ambulatorio, il day hospital e illaboratorio di ricerca.

Ci racconti del giorno dell’inaugurazione deinuovi spazi. L’inaugurazione è avvenuta il 24 ottobre 1998 allapresenza del cardinale Carlo Maria Martini, delsindaco Gabriele Albertini, del commissariostraordinario Daniela Mazzuconi, del rettore del-l’Università degli Studi professor Paolo Mante-gazza. Alla tavola rotonda, tenutasi nell’AulaMagna dell’Università, in occasione dell’inaugu-razione, hanno partecipato Giuseppe Pontiggia,Giovanni Raboni e Arrigo Levi. Proprio Pontiggiaci suggestionò parlando della “diversità dei nor-mali”. Levi ha parlato di un’età che comporta una“nuova libertà” perché affrancata dal bisogno didover fare e di dover apparire, un’età che consen-te, secondo Raboni, di fare “le cose supremamen-te gratuite e quindi le cose più importanti dellavita”.

4

Il cardinale Carlo Maria Martini, il sindaco Gabriele Albertini, ilcommissario straordinario Daniela Mazzuconi, il rettore dell’UniversitàPaolo Mantegazza e il direttore dell’U.O. di Geriatria Carlo Vergani, ilgiorno dell’inaugurazione.

Page 7: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

Come avete progettato ed organizzato questanuova Unità Operativa?L’U.O. di Geriatria si avvale dell’ambulatorio, delday hospital e del reparto di degenza. Annessoall’U.O. vi è il laboratorio di ricerca. Abbiamo pen-sato, innanzitutto, ad un percorso riservato ai dueanziani su tre che, presentatisi in Pronto Soccorso,non vengono ricoverati. Nell’astanteria di via Sfor-za ci sono due medici geriatri che danno l’appunta-mento per una visita ambulatoriale da effettuarepresso l’U.O. di Geriatria entro due o tre giorni. Intale modo l’anziano non viene abbandonato a sestesso e si interrompe il ricircolo domicilio-ospeda-le-domicilio che peraltro sovraccarica il ProntoSoccorso. Si stima che il 25 per cento degli anzianidimessi dal Pronto Soccorso vi faccia ritorno entro iprimi tre mesi dalla dimissione. Il motivo per cuiaccedono nuovamente al Pronto Soccorso è semprelo stesso, non riconosciuto e risolto.

Ci può accompagnare nel vostro ambulatorio,farci comprendere cosa accade ad una personache si rivolge a voi?In ambulatorio viene organizzato il “pacchettoaging” che assembla i dati clinici e i dati ambientaliutili per programmare l’assistenza integrata socio-sanitaria. Gli anziani vengono sottoposti a visitageriatrica e ad esami ematochimici e strumentali.Tra gli esami strumentali, qualora se ne ravvisi lanecessità, sono previsti l’elettrocardiogramma dina-mico, il monitoraggio continuo della pressione arte-riosa, l’ecocardiogramma, l’ecografia parenchima-le, l’endoscopia digestiva che utilizza una strumen-tazione ad hoc per l’anziano, la spirometria, l’eco-colordoppler arterioso, la somministrazione di testneuropsicologici. Tutti gli esami vengono eseguitiin sede, percorrendo un tragitto diagnostico cheprende in considerazione i settori più facilmentecompromessi nell’anziano. Nell’ambulatorio è atti-va anche una Unità Valutativa Alzheimer (UVA).Consulenze specialistiche vengono effettuate dal-l’urologo, dal neurologo, dal cardiologo, dal derma-tologo e dallo psichiatra, presenti periodicamenteall’interno della struttura. Non è l’anziano che simuove ma è la struttura che si muove attorno all’an-ziano. Gli accertamenti che non vengono effettuatiin sede (risonanza magnetica nucleare, tomografia

ad emissione di positroni ecc.) vengono program-mati ed eseguiti presso i reparti competenti all’in-terno dell’Ospedale ove la persona anziana vieneaccompagnata. Alla fine dell’indagine viene scrittaper il medico curante una lettera che evidenzia ilresiduo funzionale dell’anziano e la tipologia delbisogno assistenziale, che fornisce il consiglio tera-peutico e indica il follow up.

Le problematiche degli anziani hanno modificatol’organizzazione del personale?La valutazione multidimensionale, che prende inconsiderazione contemporaneamente la condizionefisica, lo stato psicoaffettivo e l’interazione sociale,ha richiesto il passaggio da un rapporto medico-soggetto ad un rapporto team multiprofessionale-soggetto. Noi abbiamo messo a punto uno strumen-to per la valutazione multidimensionale dell’anzia-no (il “Diagramma polare”, disponibile anche su unsito web ed utilizzato dalla Regione Toscana per unprogramma speciale del Ministero della Sanità) eabbiamo organizzato una équipe che comprende ilgeriatra con il medico specializzando, l’assistentesociale e l’infermiere. I componenti dell’équipe svol-gono un ruolo paritetico nella formulazione del pianopersonalizzato. Fanno parte dell’équipe anche ivolontari Antea, l’Associazione nazionale terza etàattiva della F.N.P. Cisl, che affiancano gli anziani, liintrattengono, sbrigano alcune formalità, li trasporta-no in e dall’Ospedale e forniscono teleassistenza.

Qual è la vostra relazione ospedale-territorio?All’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano piùdella metà dei degenti sono anziani. Come ho detto,per gli anziani dimessi dal reparto dell’U.O. diGeriatria viene organizzata, con la partecipazionedel medico di famiglia, dell’assistente sociale e del-l’infermiere, la “dimissione protetta” con la stesuradi un programma di assistenza sul territorio cheprevede, a seconda del bisogno, l’Assistenza Domi-ciliare Integrata (ADI), la riabilitazione e il passag-gio in struttura residenziale. Il prendersi cura dell’anziano non si esaurisce nelguarire la polmonite. Significativo, torno a ripeter-lo, è il disagio espresso in Pronto Soccorso dai dueanziani su tre che non vengono ricoverati. Sono icosiddetti “codici bianchi” o “codici verdi”. Una

5

Page 8: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

indagine della Società Italiana di Medicina d’Emer-genza e Urgenza evidenzia che il 25 per cento dellepersone che si presentano in Pronto Soccorso sono“codici bianchi”, il 58 per cento sono “codiciverdi”; in entrambi i casi si tratta di persone chenon necessitano di una valutazione medica urgente.In particolare sono “anziani con patologie cronichee multiple che arrivano al Pronto Soccorso più perproblemi assistenziali che per emergenze mediche”.Come vede, il compito del geriatra in ospedale èimportantissimo. Non si riduce certamente all’orga-nizzazione del trasferimento in strutture di lungodegenza dei pazienti che occupano un posto letto eche non possono tornare a casa.

Bisogna trasformare il compito dell’ospedale?L’ospedale si rende conto che avrà sempre più a chefare con malati cronici da inserire in un sistemaassistenziale. Non solo la transizione demograficama la stessa medicina crea malati cronici. In Italiaogni anno si registrano più casi di scompenso car-diaco che di eventi coronarici acuti. Ci sono ancheaspetti di carattere economico da rivedere. Per esem-pio, il fee for service, il DRG, non ha senso per la

cura dell’anziano portatore di polipatologia. La valu-tazione multidimensionale e la costruzione di unadimissione protetta comportano un impegno diversoda quello richiesto da una prestazione per un sogget-to giovane, per cui la remunerazione non può esserela stessa.

Concludendo, cosa suggerisce per un correttoapproccio all’anziano?Due cose. È necessario che i medici non si faccianoirretire dalla medicina dell’evidenza che mira allasoluzione del fenomeno semplice e che trascura ilvissuto personale. Bisogna affiancare la medicinadella complessità secondo la quale l’insieme è piùimportante delle singole parti.È necessario, inoltre, promuovere i servizi sul terri-torio integrando l’assistenza sanitaria con quellasociale. L’anziano ha bisogno di un unico sportellodi entrata a cui possa rivolgersi. E l’ospedale deveinterfacciarsi con il territorio.

Cambierebbe la sua scelta iniziale?No. L’importante è fare passi, non importa se picco-li, nella giusta direzione.

6

I medici, le infermiere e i collaboratori dell’Unità Operativa di Geriatria.

Page 9: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

7

Come avviene per tutti noi in occasione di una ricor-renza importante, il primo decennale trascorso nel-l’Unità Operativa di Geriatria mi induce a rifletteresugli incontri e sui valori che sto vivendo in questoarco di vita ospedaliera. Tralascio la lista di dati demografici e sociologici chedi solito irrobustisce queste relazioni perché i grandinumeri e le percentuali sono certamente importanti,ma scorrono con una monotonia freddina che stenta acoinvolgermi. Preferisco fissare l’attenzione sullavarietà dei vissuti soggettivi dei singoli pazienti,occuparmi del momento pratico delle loro vicendemediche, vivere gli aspetti caldi e quotidiani delleumane relazioni fra medici, pazienti e familiari: è lìche colgo il senso del mio agire professionale. Iovoglio tradurre in un’attività integrata e aggiornata lasapienza proveniente da concezioni diverse dellaMedicina: chi sostiene che la sua essenza sia un’arteantica dalle radici remote, chi la concepisce come unarigorosa e solida tecnica figlia della modernità, chi lainterpreta lievemente come una prassi sempre flessi-bile. In dosi variabili a seconda delle circostanze,tutto questo trova posto nel bagaglio culturale delmedico che voglia prendersi cura di un'altra persona.Non è facile sapersi adattare alla variabilità delle cir-costanze, tanto più quando si è alle prese con i proble-mi della vecchiaia. Infatti, finché ci si limita all’etàadulta la diluizione convenzionale della singolarità diogni persona nelle stime statistiche può risultare utile;ma quando ci si riferisce alla vecchiaia, il vantaggiodi questo metodo svanisce perché con il passare deltempo le influenze della personalità, del carattere,degli accadimenti personali e sociali si accentuano esi ravvivano mille diversità ineludibili. L’esperienzadella cura agli anziani insegna che nella realtà nonesiste l’anziano medio, quello trattabile secondo sche-mi già pronti. Ci si accorge che con questi soggetti iprotocolli non funzionano bene e le soluzioni standar-dizzate zoppicano, mentre le cose cominciano a

migliorare quando l'approccio ai problemi medici esociali di una persona in età senile viene personaliz-zato e calibrato di volta in volta con pazienza. Conviene considerare la vecchiaia come un modellodi sistema complesso, la cui analisi deve essere multi-dimensionale. In termini pratici, questo significa cheil geriatra può governare la situazione in maniera effi-cace solo quando collega gli aspetti prettamentemedici a quelli cognitivi, relazionali e socioambienta-li. Non è più sufficiente il tradizionale schematismoanamnesi - diagnosi - terapia, tanto meno se applicatonei termini rigidi delle prestazioni specialistiche. Èdiventata indispensabile la valutazione del pazienteanziano anche sotto il profilo della funzionalità, cioèdella sua abilità nell'accudimento di se stesso, nellarelazione con gli altri e nella partecipazione sociale;inoltre si deve tenere in considerazione la partecipa-zione alla cura da parte dei familiari e la necessità delricorso ai servizi socioassistenziali. La geriatria hasviluppato nel tempo un’applicazione sistematica diquesti concetti che consiste nel raccogliere informa-zioni, per esempio, sulla capacità di vestirsi, di lavar-si, di fare la spesa, di pagare un conto, di recarsi ad unappuntamento; nell’esame della memoria, dell’equili-brio, del linguaggio e del ragionamento; occorre sape-re chi governa la casa, chi è presente durante la notte,chi controlla le terapie; interessano moltissimo ancheil comportamento, le preoccupazioni e le aspettativedel paziente e dei familiari. Per non affaticare glianziani con lunghi pellegrinaggi ospedalieri da unambulatorio all’altro, sono stati concentrati negliambulatori e nel day-hospital di Geriatria quasi tuttigli accertamenti strumentali: endoscopie digestive,ecografie parenchimali e cardiaca, ecocardio ed eco-doppler, Holter ECG e pressorio, prove di funziona-lità respiratoria. Questa ricca multidimensionalità divalutazione permette di avvistare tempestivamenterischi insidiosi come i disturbi dell’umore, i deficitcognitivi, le neoplasie e gli stati di malnutrizione-mal-

La cura del malatoIl mondo dell’anziano

MARCO FERRETTI

Page 10: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

Questo nostro schema favorisce lo sviluppo del pro-cesso di cura perché offre molti vantaggi: facilita lacomunicazione dei dati, dimostra l’interazione dellevariabili cliniche, sociali e ambientali e suggerisce ladirezione dei provvedimenti più opportuni. Un’altrasua importante caratteristica è la possibilità di moni-torare l’evoluzione di un paziente durante i controllisuccessivi alla prima visita. Stiamo sfruttando questepotenzialità nell’ambito di un nostro modello di assi-stenza concepito per gli anziani dimessi dal ProntoSoccorso, cioè i “codici bianchi” e i “codici verdi” delgergo ospedaliero. Si tratta di centinaia di persone chenon hanno una vera necessità di valutazione medicaurgente, e tuttavia patiscono patologie croniche, sonoin trattamento multifarmacologico o mancano di sup-porti assistenziali efficaci: persone fragili con proble-mi reali, che si rivolgono al Pronto Soccorso percarenza di alternative e che vogliamo rivalutare sottoil profilo della funzionalità e della qualità di vita.Abbiamo dunque attivato una corsia preferenziale

8

trattamento. In pratica, il paziente viene circondato danumerose attività diagnostiche relative all’interazionefra condizione fisica, stato psico-affettivo e rapportisociali, tutte conoscenze che confluiscono entro pianiterapeutici e socio-assistenziali personalizzati. È cosìche possiamo semplificare le prescrizioni farmacolo-giche, oppure programmare ulteriori indagini, oaffrontare le esigenze assistenziali delle famiglie deidisabili con l’attivazione dei servizi territoriali piùidonei, con l’offerta di counseling psicologico e diaiuto economico tramite il riconoscimento dell’invali-dità civile. Le attività che ho elencato richiedono la descrizioneoggettiva delle singole capacità funzionali della per-sona anziana, e a tale scopo è stata validata negli anniun’infinità di scale di valutazione settoriale. Noiabbiamo voluto integrare quelle più significative in ununico “schema polare”, una rappresentazione graficariassuntiva che può essere disegnata manualmente ocon un apposito software (Fig. 1).

Figura 1 - Valutazione multimediale dell’anziano. Lo schema polare

Page 11: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

te e i volontari che operano all’interno dell’ospedale.Lo scopo è quello di allestire una cura personalizzatae intermedia fra l’acuzie della malattia e la fase suc-cessiva alla dimissione, quando la continuità assisten-ziale viene spesso meno (Fig. 2).È chiaro che questo progetto richiede tempo e buonadisposizione: d’altra parte è una caratteristica delgeriatra quella di adattarsi ai ritmi pacati e alle reazio-ni lente dell'anziano. A me piace la molteplice natura della Geriatria,fatta sia di grandi teorie sull'invecchiamento e suldeclino, sia di impatti empatici quotidiani con lavarietà del vissuto degli anziani, sia di pratiche piùmodeste come la prescrizione dei pannoloni. Tuttoha una enorme benefica rilevanza. Questo è unmodello culturale di assistenza che può essere svol-ta dovunque, dalla corsia di degenza al day hospitalagli ambulatori; dobbiamo saper riconoscere le dif-ficoltà dell'anziano e dei suoi familiari per poterintervenire efficacemente.

che, con la collaborazione del medico di guardia e diun geriatra presente in Pronto Soccorso, entro due-tregiorni riporta l’anziano alla nostra valutazione ambu-latoriale. L’impostazione personalizzata della visita edegli interventi, controllati nel loro insieme dopo tre-sei mesi secondo i criteri descritti, produce migliora-menti nel settore cognitivo-comportamentale, dimi-nuisce il rischio di riospedalizzazione e di mortalità eriduce il burn-out dei familiari e dei curanti.Per quanto riguarda gli anziani ricoverati nel repartodi degenza della U.O. di Geriatria, l’86% dei qualiproviene dal Pronto Soccorso, il metodo valutativomultidimensionale è il medesimo, anche se in questocaso assume un’importanza particolare perché ilgrado di capacità funzionale è il principale indice pre-dittivo della destinazione dei pazienti dimessi. Perfornire una soluzione adeguata al singolo paziente uti-lizziamo le competenze professionali del geriatra, delmedico di famiglia, dell’assistente sociale e dell’in-fermiere, ma coinvolgiamo anche i parenti del pazien-

9

Figura 2 - Flusso degli anziani presso l’U.O. di geriatria e percorso diagnostico terapeutico(valutazione multidimensionale1 , dimissione protetta)

*Geriatria, Medico di Medicina Generale, Assistente Sociale, Assistente Sanitario, Volontario

1 - Valutazione multidimensionale (stato fisico, funzionale, cognitivo comportamentale, socio-ambientale)con scale di valutazione, esami biochimici e strumentali (ecografia, endoscopia digestiva, Holter PA e ECG, spirometria) effettuati in sede.

ProntoSoccorso

> 65 aadimessi dal P.S.

DomicilioTerritorio

GeriatriaAmb./D.H.

Medicinad’urgenza

Medicina int.Chirurgia

GeriatriaDimissione protetta*

Piano personalizzato

RiabilitazioneDomicilio RSA

Page 12: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

10

1. Il passato, ovvero l’etiologiaI processi formativi rivolti ai “professionisti dellasalute” (medici in primis, ma non solo) nel passa-to hanno tenuto in scarsa considerazione le com-petenze comunicative e di conseguenza l’attenzio-ne per la partecipazione alla cura del soggetto“curato” o da curare; questa scarsa attenzione pergli aspetti relazionali era abituale nella formazio-ne così come nella pratica medica quotidiana,dove per lungo tempo è stata volontariamentemantenuta una forte asimmetria curante/curato; sitratta di un’asimmetria naturalmente costitutivadel rapporto medico-paziente, ma che negli ultimidecenni è stata accentuata dallo sviluppo tecnolo-gico e biologico-riduzionistico della medicinascientifica; ciò si è manifestato con alcuni fenomeniabbastanza emblematici, anche se in parte presentigià in tempi più lontani: l’atteggiamento paternali-stico dei medici nelle relazioni con i loro pazienti;l’uso di un linguaggio tecnico senza grande attenzio-ne per i livelli di comprensione degli interlocutori;l’uso dell’anamnesi quasi soltanto per l’acquisizionedelle informazioni sullo stato di organi e apparati, enon anche per la comprensione dei vissuti soggetti-vi; l’unilateralità nelle decisioni mediche, che confi-nano la negoziazione ai soli aspetti formali, tanto datrasformare molto spesso lo stesso consenso infor-mato in una mera incombenza burocratica.Anche se si sta fortunatamente constatando unadiscreta attenuazione di questi atteggiamenti insod-disfacenti nella comunicazione tra professionistidella salute e pazienti, ancora oggi le abilità perse-guite con maggiore attenzione nella formazionemedica sono quelle orientate alla performance dia-gnostico-terapeutica limitata al curare, mentre faticaa farsi strada l’attenzione al prendersi cura.D’altra parte ogni professionista riceve un forte“imprinting” comportamentale dalla scuola in cuiè stato formato.

La formazione in medicina (come nelle altre pro-fessioni) avviene per lo più attraverso due tipi dicanali, entrambi fino ad ora poco sensibili alleistanze poste dalla relazione d’aiuto: come vedre-mo tra poco, solo recentemente e ancora in modoparziale l’insegnamento delle abilità relazionali èentrato nelle Facoltà di Medicina italiane (corsi dilaurea e di specializzazione post-laurea), che rap-presentano i canali d’istruzione esplicita assiemeall’ECM (Educazione continua in medicina),peraltro ancora ai primi passi; ancora meno sensi-bili agli aspetti umanitari sono i canali impliciti oinapparenti, ma non meno efficienti nell’induzio-ne dei comportamenti personali, perché portanoall’imitazione inconsapevole di esempi incontratinel vissuto quotidiano e sollecitano l’adattamentoindividuale all’osservanza di norme e prassi com-portamentali diffuse, ma spesso improprie: certa-mente non facilitano l’acquisizione di comporta-menti comunicativi attenti alla persona fenomenicome: l’imperativo categorico dell’aziendalizza-zione ad oltranza; i vincoli prescrittivi di naturaburocratica ed economica che ne derivano, attentipiù all’efficienza che all’efficacia dei processiassistenziali; l’indifferenza per le condizioniambientali dei luoghi di cura non certo a misurad’uomo (si pensi agli orari negli ospedali); la pre-valenza delle ragioni della medicina difensivanella ricerca del consenso informato.Gli aspetti psicorelazionali per lungo tempo all’U-niversità non sono stati insegnati, anche perché -forse - si riteneva che non potessero essere oggettod’insegnamento disciplinare: si presumeva chedovessero e potessero essere appresi solo per imita-zione dei “maestri modelli” (senza tenere conto chepurtroppo i modelli erano spesso “cattivi”).Più recentemente, con l’introduzione nel curricu-lum dell’insegnamento di Psicologia medica, s’in-segnano le tecniche comunicative (che tengono

Come si trasformano e trasformano i processi formativiin una prospettiva partecipativa

LUCIANO VETTORE

Page 13: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

fatto è quasi impossibile addestrare senza istruire,perché anche l’esecuzione intelligente e nonmeramente meccanica di atti materiali richiede laconoscenza delle ragioni teoriche dell’atto;- formare significa sostanzialmente “dare forma”,modificare comportamenti, e nella fattispecie avràlo scopo di indurre prassi e comportamenti pro-fessionali adeguati ai fini; a questo aspetto sembraprevalentemente dedicata l’attività didattica delleScuole di medicina, ma i suoi limiti derivanoessenzialmente dalla forte valenza di “condiziona-mento” dei comportamenti, in buona parte nutritodi addestramento e di istruzione; infatti questo èciò che soprattutto viene richiesto da un esercizioprofessionale inteso restrittivamente come appli-cazione efficiente ed efficace di tecnologie voltealla diagnosi e alla terapia delle malattie, al mas-simo alla loro prevenzione, più che al prendersicura della persona integrale;- educare ha il significato etimologico di e-ducere, di aiutare una persona a “tirar fuori” ilmeglio di sé, cioè a far emergere valori di attitudi-ne e d’impegno - oltre che di conoscenza e dicompetenza - che, spesso anche se inconsapevol-mente, albergano in ogni soggetto. L’educare ha uno spessore valoriale con connota-zioni umanistiche ed etiche che trascendono,senza peraltro negarli o trascurarli, gli aspetticonnessi all’addestrare, all’istruire e al formare;educare vuol dire chiamare la persona a parteci-pare attivamente alla costruzione del propriopatrimonio umano oltre che culturale, tecnico epiù strettamente orientato alla preparazione pro-fessionale.Se nelle Scuole di medicina l’educazione in que-sta accezione rappresentasse una finalità istituzio-nale primaria, probabilmente i professionisti dellasalute sarebbero a loro volta più attenti a richiede-re la partecipazione attiva di coloro che si affida-no alle loro cure, i quali sarebbero così riconosci-bili più come soggetti che come oggetti di cura. Questo purtroppo finora succede raramente e ne ètestimonianza emblematica l’assoluta prevalenzadella metodologia didattica che meno di tutte sti-mola la partecipazione attiva dei discenti: la lezio-ne ex cathedra o “frontale”; infatti ben poco prati-cata è la così detta didattica tutoriale a piccoli

conto anche delle componenti psicologiche, masempre in modo strumentale, cioè funzionale afacilitare l’atto medico nell’esercizio professiona-le), mentre generalmente non c’è grande attenzio-ne alla relazione empatica.D’altra parte, forse è vero che l’empatia non sipuò insegnare né apprendere a scuola, perché nonè un’abilità ma un’attitudine, cioè è il frutto diuna ricchezza personale: per far crescere l’attitu-dine empatica bisogna far crescere le doti dellapersona. A questo dovrebbero contribuire leMedical Humanities recentemente introdotte nelleFacoltà mediche (ma anche queste - come granparte di ciò che viene proposto nelle nostreFacoltà mediche - troppo spesso vengono inse-gnate come nozioni teoriche, appartenenti allediscipline umanistiche).

2. Il presente, ovvero la diagnosiNonostante l’introduzione nel percorso curricula-re della Psicologia medica e delle Medical Huma-nities, i risultati restano ancora, almeno in parte,deludenti perché molti professionisti della salutenon mostrano comportamenti empatici, cioè nondimostrano una capacità reale di ascoltare e rece-pire le istanze personali dei pazienti, e quindi nonsono sensibili, né propensi a renderli attivamentepartecipi al processo di cura.Perché si verifica tutto ciò ? Una ragione è probabilmente individuabile nelfatto che gli stessi professionisti della salute sonostati in gran parte oggetto di una formazione“deformante”, nella quale hanno prevalso lemodalità didattiche di tipo addestrativo e istrutti-vo, rispetto a quelle con più elevata valenza peda-gogica di tipo formativo ed educativo:Forse serve a questo punto qualche definizioneterminologica:- addestrare significa insegnare a compiere azio-ni; concerne quindi aspetti operativi delle profes-sioni sanitarie, importanti perché riguardano abi-lità irrinunciabili, ma non sufficienti nell’ambitodella professione perché attengono a funzionimeramente esecutive;- istruire significa trasmettere (letteralmente:“mettere dentro”) informazioni che potrannorisultare utili in alcune circostanze operative; di

11

Page 14: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

gruppi, che prevede una setting fortemente inte-rattivo, per lo più basato sulla soluzione di proble-mi che inducono un apprendimento per ricerca eper scoperta, ed è stimolato dalla curiosità, dallapresa di coscienza della propria ignoranza e dallacondivisione degli obiettivi educativi.Sarebbe per lo meno singolare che professionisti“allevati” all’apprendimento mnemonico, indottodalla trasmissione unidirezionale e dogmaticanelle nozioni, fossero naturalmente propensi adapprezzare la partecipazione attiva degli interlo-cutori che incontrano durante la loro avventuraprofessionale e che in qualche misura intrattengo-no con loro un rapporto molto asimmetrico similea quello tra docente e discente.Oltre all’inappropriatezza delle metodologiedidattiche, e forse in modo ancora più incisivo diqueste, i contenuti dell’insegnamento e dell’ap-prendimento giocano nel favorire un costume pro-fessionale di scarsa attenzione alla persona; pur-troppo nella scelta dei contenuti prevalgono:- l’approccio esclusivamente “biologico” ai pro-blemi di salute, individuati esclusivamente comemalattie, e la soluzione di tali problemi in chiaveprevalentemente diagnostico-terapeutica;- la “totemizzazione” delle “prove di efficacia”,che nella lettura corrente dell’EBM (Evidencebased medicine) spesso fa torto al messaggio ini-ziale di Sackett: in tale lettura distorta assumonovalore preponderante sull’esperienza del sanitarioe sulle attese del malato i risultati della ricerca(soprattutto degli studi clinici controllati, stru-menti indubbiamente preziosi per assumere deci-sioni affidabili e pur tuttavia portatori di cono-scenze probabili, sempre provvisorie, sempresuscettibili di correzione, e mai di certezze immo-dificabili, quando - purtroppo - non sono asservitia interessi economici di mercato); in ogni caso laricerca scientifica riduce l’area dell’incertezza etradirebbe la propria natura se pretendesse di con-ferire certezze solo perché è espressa statistica-mente con la forza dei numeri; ciò la rende infidanella misura in cui viene falsamente percepitacome rassicurante;- la pretesa di applicare alle condizioni irrepetibilidel singolo i risultati - pur apprezzabili - derivatida studi di popolazione; in questa ottica spesso

vengono utilizzati i protocolli terapeutici, chesono sicuramente più affidabili delle “impressio-ni” individuali del medico, ma hanno un valorealmeno parzialmente astratto quando applicati alsingolo individuo; purtroppo questi limiti, soffertipersonalmente da molti pazienti affetti dallemalattie più gravi, aprono nella pubblica opinionepericolose derive verso le medicine alternative overso una sorta di “new age” terapeutico;- la scadente “personalizzazione” delle decisioni,conseguente alla disattenzione per le peculiaritàfisiopatologiche di ogni singolo soggetto;- le influenze dell’ineliminabile limitatezza dellerisorse a fronte dell’aumento della domanda, fata-le nell’industria della salute dove le tecnologieinnovative offrono strumenti d’intervento semprepiù sofisticati, ma anche sempre più costosi: perfarvi fronte si è aperto il fronte del “governo”della spesa sanitaria con lo scopo di evitare glisprechi e di migliorare la corretta allocazionedelle risorse; ma purtroppo - troppo spesso - l’ap-proccio si è rivelato inefficace per questi fini in ségiustificabili, perché ha le caratteristiche del“governo” imposto dall’alto (top-down) e nonquelle della “governance” cui partecipano dalbasso (bottom-up) anche i fruitori del servizio.Questi sono i paradigmi prevalenti ai quali oggis’ispirano i processi formativi del personale sani-tario, contribuendo sensibilmente a quella realtàspesso percepita e descritta come “disumanizzan-te” la medicina; pertanto questi paradigmi -ovviamente accanto ad altri - debbono venire cor-retti se si aspira a una sua “riumanizzazione”.

3. Il futuro, ovvero la terapia per migliorarela prognosiLa domanda cruciale a questo punto è la seguente:come formare i professionisti della salute - oltreche a una competenza tecnica di eccellenza -anche a una sensibilità capace di fare spazio allapartecipazione di tutti gli attori alla governance inmedicina con un “funzionamento dal basso versol’alto - come scrive Mariachiara Tallacchini - inun continuum ricorsivo ed evolutivo di scambio eintegrazione fra saperi e poteri” ?Innanzi tutto formare una sensibilità vuol direeducare, nel senso che abbiamo sopra tratteggiato

12

Page 15: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

e non solo addestrare, istruire e formare nel sensodi “dare forma”; educare significa soprattutto aiu-tare la trasformazione, di cui peraltro gli stessiattori devono essere in gran parte artefici.In altri termini la prima cosa da fare è prendersicura dei professionisti della salute: infatti, permodificare il loro atteggiamento psico-relazionalenon basta aumentare il loro bagaglio di conoscen-ze; è necessario migliorare il loro bagaglio diumanità e il loro personale “equilibrio psicoemo-tivo” (le professioni sanitarie richiedono infattiuna cospicua capacità di gestione di eventi ad ele-vato impatto emotivo).E allora servirebbero almeno due approcci inno-vativi, oltre a quelli scolastici tradizionali:- la selezione iniziale dei futuri professionistidella salute non solo sulla base delle conoscenzeo al massimo delle doti intellettive (comunqueindispensabili), ma anche delle attitudini dipen-denti dalle caratteristiche psicologiche; questaesigenza appare ragionevole, ma è tutt’altro chepacifico stabilire come attuarla;- l’introduzione nel cursus studiorum di iniziativeche aiutino e se possibile aumentino la maturazio-ne della personalità; anche questo è un obiettivoragionevole, ma non è facile individuare qualisiano concretamente le iniziative realizzabili.In sintesi: nella preparazione dei professionistidella salute l’informazione per trasformarsi in for-mazione necessita di interventi che comportino latrasformazione profonda anche nella personalitàdei professionisti medesimi, ma non possiamonasconderci che una siffatta trasformazione è unobiettivo molto ambizioso.Si consideri inoltre che esso è solo parte dell’o-biettivo della “riumanizzazione” della medicinache è certamente ancora più ambizioso e difficile,anche se non possiamo accettare che sia impossi-bile da raggiungere. In ogni caso, oltre che aiutare la maturazioneempatica delle persone, bisognerà anche modifi-care gli approcci per la loro formazione professio-nale: bisognerà allora realizzare quegli atteggia-menti didattici e ancor più pedagogici che riguar-dano sia le metodologie di insegnamento e diapprendimento, sia i contenuti di conoscenza, conl’intento dichiarato - lo ripeto - di aiutare oltre la

crescita armonica dei saperi anche l’acquisizionedi una sensibilità personale capace di modificaresostanzialmente le relazioni interpersonali; ciòrichiede innanzi tutto che il professionista dellasalute diventi disponibile a riconoscere e aiutarelo sviluppo, nelle persone che incontra, dellecapacità intrinseche di esprimere la propria espe-rienza in relazione al proprio stato di salute. Va peraltro posta attenzione a evitare in propositoderive populiste e quindi demagogiche piuttostoche democratiche: non v’è dubbio che tutt’oggi sipuò constatare un insufficiente rispetto dei dirittidelle persone malate (ma anche di quelle sane,soprattutto ma non solo in relazione alla tuteladella salute). Ma se la tutela dei diritti è sacrosan-ta, questa spesso è stata conseguita solo parzial-mente e con strumenti più rivendicativi che dicorresponsabilità gestionale, quali sono per esem-pio i Tribunali dei diritti del malato (luoghi doveopportunamente si denunciano pratiche di malasa-nità, ma talora si vantano anche diritti presuntipiù che reali). L’obiettivo “nobile” da perseguire èquello della responsabilizzazione degli attori, cia-scuno con le proprie caratteristiche specifiche,cioè senza confusioni improprie. E allora assume-re responsabilità personali nel processo significanon solo rispettare diritti, ma anche assolveredoveri personali per rendere compatibili i finiindividuali con quelli collettivi; cioè il concorrereal processo decisionale circa la salute non puòriguardare egoisticamente la propria salute senzatenere in considerazione anche i riflessi sullasalute degli altri e le parole chiave per realizzareciò sono per l’appunto inscindibilmente tre: dirit-ti, doveri e responsabilità.Tutto ciò richiede un impegno sociale educativorivolto non solo ai professionisti della salute maanche a tutti quegli attori che si ritiene auspicabi-le partecipino attivamente al processo.

4. La necessità di una sinergia progettuale traeducazione, etica e politicaCon l’espressione “paziente esperto”, si sottoli-nea il ruolo rinnovato del paziente che mette adisposizione la propria esperienza di malattia, chesolo lui può conoscere fino in fondo, per aiutare epersonalizzare il processo di cura. Ma per diven-

13

Page 16: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

tare effettivamente “esperto” anche il paziente habisogno di essere educato: questa attività formati-va si concretizza oggi in quella che viene comu-nemente denominata “educazione terapeutica delpaziente”, che si rivolge soprattutto a pazienticronici. Ma come tutti i processi educativi, anchequesto ha uno sviluppo bidirezionale: infatti, seper aderire con responsabilità personale alla curail paziente deve essere educato, a sua volta leconoscenze che nascono dalla sua personale espe-rienza non aiutano soltanto i curanti nell’eserciziodella cura stessa, ma fanno crescere anche leconoscenze utili su caratteristiche “nascoste”della malattia; potremmo così dire che anche losviluppo delle conoscenze scientifiche può essereaiutato dall’esperienza diretta dei pazienti.Così, il significato tradizionale dell’EBM come“Medicina basata sulle evidenze” (abitualmentetradotta come “Medicina basata sulle prove diefficacia”, prove raccolte e valutate con gli stru-menti rigorosi della ricerca scientifica) potrebbevenire ampliato e arricchito da una diversa letturadell’acronimo EBM come “Medicina basata sul-l’esperienza”: non solo l’esperienza del curanteche adatta alla situazione specifica i risultati dellaricerca, ma anche l’esperienza diretta del pazienteche aumenta di per sé le conoscenze scientifichedel ricercatore.Tuttavia sarebbe a mio avviso riduttivo rivolgerel’attività educativa solo ai pazienti di malattie cro-niche; soprattutto in relazione alla prevenzionedovrebbero essere soggetti di educazione anche isoggetti sani, che preferirei chiamare in un conte-sto democratico “cittadini” piuttosto che “utenti”(parola di sapore burocratico), o peggio “pazienti(perché il sano non patisce, né deve avere pazien-za), o peggio ancora “clienti” (vocabolo che portacon sé uno sgradevole sapore mercantile): si trattadi educare i cittadini soprattutto al cambiamentodei propri stili di vita. Anche in questo caso l’e-ducazione porta a trasformazione, nella quale ilprofessionista della salute gioca pienamente ilruolo di educatore.E anche in quest’ottica l’educazione è fatta nonsolo di informazione, ma anche di formazione,che si giova di una comunicazione empatica, cioècapace di condividere valori e convinzioni tra

educatore ed educando nel rispetto della libertàindividuale; tale modalità, che si fonda sulla per-suasione, deve peraltro svolgersi in maniera tra-sparente, cioè in modo ben diverso dalla cosìdetta persuasione occulta, tipica ad esempio dellacomunicazione pubblicitaria. La comunicazione empatica si basa su una relazioneinterpersonale nella quale gioca un ruolo importantela considerazione e la stima reciproca, elementi chesi sviluppano attraverso la negoziazione di scelteresponsabili e personalizzate, in quanto attente eadattate alle situazioni individuali.Tutto ciò richiede e si giova fortemente dello stru-mento del dialogo; in altri termini la parola diven-ta mezzo essenziale di cura e si dimostra veicoloefficace di ogni tipo di intervento medico, sia essodi natura preventiva, diagnostica, prognostica,terapeutica o riabilitativa.Vale la pena al proposito d’insistere sul fatto chela sola informazione non basta: ne è un esempioeclatante la scarsa efficacia sul miglioramentodello stato di salute dei singoli e della collettività,conseguita dalle trasmissioni televisive e radiofo-niche o dai giornali; probabilmente buona partedel loro insuccesso educativo è dovuta al fatto chequeste comunicazioni riguardano molto spessol’informazione sulle malattie e non l’informazionesulla salute, e quindi inducono bisogni sanitariimpropri (prescrizione di farmaci o di indaginidiagnostiche con indicazioni generali che non ten-gono conto della peculiarità delle situazioni indi-viduali), anziché facilitare cambiamenti reali epositivi degli stili di vita. A ciò deve aggiungersi che spesso all’informazio-ne non si accompagna la relazione interpersonalecapace di individualizzare l’intervento; così nonvengono mobilitate le risorse personali e la capa-cità di assumere in proprio decisioni completa-mente consapevoli e perciò mature e responsabili;infine, informazioni veritiere debbono esser tra-smesse con il linguaggio più adatto alle capacitàdi comprensione del singolo soggetto.L’approccio complessivo appena descritto sostan-zia la tecnica del così detto “counselling” ed èfinalizzato a conseguire la condivisione informatadelle scelte; tale risultato è più valido e significati-vo del così detto consenso informato; infatti l’ob-

14

Page 17: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

bligo deontologico al consenso informato, oramaiconsueto in ogni decisione medica, è di per sé unostrumento necessario ma non sufficiente, in quantotroppo spesso si è trasformato in una incombenzaburocratica finalizzata più a proteggere i sanitarida persecuzioni giudiziarie che non a rendereeffettivamente partecipe il paziente di decisioniimportanti per la sua vita e per il suo benessere. Purtroppo il counselling finalizzato a modificaregli stili di vita è scarsamente praticato in Italia peralmeno tre ragioni:- la carenza di esperti nelle tecniche di counsel-ling; per esempio tali tecniche non vengono inse-gnate nelle Facoltà di Medicina e pochi sono glieventi con tali contenuti offerti dal programmanazionale di educazione continua in medicina(ECM); ne consegue che pochi sono in grado diesercitare queste competenze comunicative tra imedici di Medicina generale (MMg), cioè tracoloro che hanno il compito istituzionale dellaprevenzione anche attraverso l’educazione di chiaffida loro la tutela della propria salute;- l’attività di counselling richiede tempo, un beneoggi scarsamente disponibile per i professionistidella salute che potrebbero/dovrebbero praticarla,purtroppo occupati in innumerevoli mansioni perlo più burocratiche, di fatto ininfluenti sulla salutedei singoli e della collettività;- in carenza dei due requisiti precedenti non circo-lano proposte operative praticabili, che abbianouna qualche probabilità di efficacia proprio ai finidel cambiamento degli stili di vita.Appare allora indispensabile per questo tipo di“educazione del cittadino sano” una precedenteeducazione specifica dei professionisti della salu-te, oggi ancora molto carente. Sia l’educazione degli operatori sanitari che quel-la dei cittadini dovrebbe diventare un impegnopermanente e continuo, tanto che si potrebbe sug-gerire una variante dell’acronimo ECM in ECS:Educazione Continua alla Salute accanto e oltre aEducazione Continua in Medicina. Anche questo - che oserei chiamare un obiettivo“etico” - è sicuramente un obiettivo ambizioso edifficile, perché il suo conseguimento richiede unprofondo cambiamento comportamentale in moltiprofessionisti della salute; infatti non si migliora-

no gli stili di vita singoli e collettivi se, oltre aicontenuti e agli strumenti, non si sviluppano leattitudini e le motivazioni, che si riflettono inprima istanza sulle qualità della relazione inter-personale: affinché una comunicazione diventioccasione educativa non basta parlarsi; è indi-spensabile essere disposti a farsi raccontare,imparare ad ascoltare, chiedere per capire, aiutarea capire, partecipare e condividere; questi sonoinfatti i connotati di quella che poco sopra abbia-mo chiamato relazione empatica, che molto sinutre di componenti narrative depurate dai tecni-cismi del linguaggio medico-scientifico.La programmazione e la realizzazione di pianid’intervento come quelli sopra proposti coinvol-gono fortemente anche le responsabilità dei gesto-ri della salute pubblica a livello politico e tecnico,e necessitano altresì del riconoscimento ufficialee dell’apporto concreto da parte delle Autoritàsanitarie; vorrei dire che anche la considerazionedi tali iniziative come bisogni prioritari per la rea-lizzazione a livello nazionale e locale di una poli-tica efficace della salute rappresenta di per sé unproblema etico, e precisamente di etica pubblica,che dovrebbe rappresentare un imperativo catego-rico per coloro che hanno la responsabilità politi-ca del perseguimento del bene comune. In fondo,l’attenzione dell’Istituzione (Servizio SanitarioNazionale) per questi valori ha pure una valenzaeducativa perché conferisce alla Istituzione stessale caratteristiche di una learning organization.Per concludere, mi sembra paradossale che questodovere etico sia così poco avvertito, se non altroin considerazione dei vantaggi “materiali” chepotrebbero derivare dal miglioramento diffusodegli stili di vita; ne conseguirebbero infatti: uncerto grado di demedicalizzazione degli eventinon sanitari, il contenimento delle indagini dia-gnostiche e delle terapie inutili, la diminuzionedei danni iatrogeni e la riduzione effettiva deicosti sanitari, oltre ovviamente al conseguimentodel fine ultimo, che è il miglioramento dello statodi salute dei singoli e della collettività. Forsealcuni di voi considereranno tutto ciò uno stimo-lante miraggio: ma se è pur vero che “nessunacarovana ha raggiunto il proprio miraggio, sonoda sempre i miraggi a muovere le carovane”.

15

Page 18: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

Il medico al letto del malato, particolare dell’opera scultorea “Il buon governo dell’istituzione ospedaliera” di Angelo Biancini, situata nelgiardino antistante la sede amministrativa dell’Ospedale.

16

Page 19: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

17

IntroduzioneSul finire dell’Ottocento Milano si propone, oltreche come capitale “economica e morale” d’Italiaanche come “capitale sanitaria” (1). In realtà la tradi-zione sanitaria lombarda e milanese, già sul finiredel Settecento, ancora sotto il dominio austriaco,era stata antesignana di una vocazione alla tutelasanitaria che attraverso l’attuazione di un organicosistema di “polizia medica” – come aveva ipotizza-to il clinico pavese Peter Frank (1745-1821) – vede-va, mediante il potere del sovrano illuminato, rea-lizzarsi una salute individuale e sociale che andava“dalla cuna all’urna”, cioè dal momento della nasci-ta a quello della morte. S’era poi arricchita duranteil dominio napoleonico del primo Ottocento dell’e-sperienza di una sanità pubblica ideologicamentefondata e organizzativamente ben articolata. In questo contesto lo studio della realtà esistenteall’interno delle strutture ospedaliere milanesi nel-l’arco degli ultimi due secoli rappresenta qualcosadi più di una semplice indagine locale, configuran-do un modello più generale di lettura della realtàsanitaria nazionale (e in parte internazionale). Lavisione dei regolamenti ospedalieri, la raccolta ditestimonianze individuali e la lettura di alcune fontiletterarie coeve (autobiografie, diari, racconti eromanzi) consente di delineare i modelli prevalentidella relazione tra medico e paziente nelle struttureospedaliere di Milano, permettendone un’analisistorica e una lettura antropologica.

1. La medicina clinicaL’Ospedale Maggiore di Milano si configura sindalla metà dell’Ottocento come l’istituzione princi-pale (anche se non unica) che aspira ad essere “laculla della clinica in Italia” (2). Quella stessa medici-

na clinica nata alcuni decenni prima in Francia chetrasformava l’antica arte medica in medicina“osservativa e descrittiva”, per consentire, con l’in-dagine del caso clinico esaminato al letto del mala-to, l’elaborazione analitica dei dati clinici in quellascienza dei grandi numeri (statistica) che avrebbepermesso a sua volta di fondare una nuova tipologiadelle malattie (nosografia). La nuova medicina clinica consente una più sicura eagile diagnosi, basata sull’analisi dei segni (semio-logia). La medicina inizia anche il suo processo dispecializzazione: accanto al medico generale nasceil medico che si occupa solo di certe categorie dimalati (come il pediatra e il ginecologo), di deter-minati apparati (come l’endocrinologo e l’ortopedi-co), di interi sistemi (come il neurologo), di partico-lari organi (come il cardiologo). Accanto agli ospedali generali, tra fine Ottocento einizio Novecento, vengono fondati anche ospedali“specializzati” in relazione ai vari saperi medici:l’ospedale per le malattie dei bambini, la clinica perle malattie del lavoro, l’istituto per la cura dei rachi-tici e quello per le malattie delle donne e, nel borgomilanese di Vialba, l’ospedale per la “cura delsole”, uno dei pochi rimedi efficaci contro la temi-bile tubercolosi (3).Quale il rapporto medico paziente dentro questeistituzioni? L’ideologia medica del tempo vede lamalattia come un disturbo naturale del corpo: lasede e la causa della malattia sono nella “lesioneanatomopatologica” che Gian Battista Morgagni(1682-1771) ha posto negli organi, che FrancoisXavier Bichat (1771-1802) ha spostato nei tessuti eche Rudolph Virchow (1821-1902) ha definitiva-mente identificato nelle cellule. Occorre osservare,descrivere, classificare, diagnosticare il “caso clini-co”. Questo modello conoscitivo della medicinapropone una pratica professionale caratterizzata da

Il cambiamento del rapporto medico-paziente negli ospedali: il modello milaneseUn’analisi tra storia sanitaria e antropologia medica *

VITTORIO A. SIRONI

*Relazione presentata al workshop Per un’antropologia medicain ospedale, Firenze, 2 aprile 2005

Page 20: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

un coinvolgimento neutro del medico, che agiscecon un operato distante, freddo, distaccato, formale.Al medico sembra interessare, più che la personamalata, l’organo leso, il tessuto danneggiato, la cel-lula alterata.Sul finire del secolo e nel primo Novecento la“medicina sociale” tende a trasformarsi in “sociali-smo medico”. Questa rinnovata “scienza medicaconcettualmente mutata tanto quanto socialmenteimpegnata” (4) trova in Angelo Filippetti (1866-1936), presidente dell’Ordine dei medici di Milanodal 1912, in Edoardo Bonardi (1860-1919), prima-rio medico dell’Ospedale Maggiore chiamato ainsegnare “Fisiopatologia e clinica delle malattiesociali”, e in Paolo Pini (1875-1945), medico deipoveri prima e curante dei malati nervosi poi, i suoipiù emblematici rappresentanti. Essi, per la loro militanza politica e grazie alla loroformazione professionale, s’avvedono meglio dialtri dell’incidenza dei fattori ambientali, sociali epsicologici nella patogenesi di molte manifestazionipatologiche.La malattia nasce da un disturbo artificiale dellasocietà, una “ingiustizia sociale” (povertà, disugua-glianza, diversa classe d’appartenenza, differenzeeconomiche) contro cui occorre lottare, per estirpa-re le cause esterne del male. Il medico è interessatoall’aspetto sociale della malattia e non solo alladimensione corporea della patologia. È solidale conil malato, vive nei suoi confronti un atteggiamentoche configura un modello solidaristico, che lo portaa condividerne i disagi e a fornirgli un aiuto nonsolo medico, ma anche politico. La “socialità medi-ca” si trasforma inevitabilmente in “medicina politi-ca” con due modalità di realizzazione: individuale,attraverso la solidarietà umana verso il malato, ecollettiva, mediante l’attuazione di un impegnocivile a favore dalla collettività. Il potere del saperemedico si fonde con l’azione sociale e politica: nescaturisce un coinvolgimento umano del medicoautenticamente sentito e vissuto.

2. La medicina scientifica Il passaggio dal metodo soggettivo (dal letto delmalato) al metodo oggettivo (laboratorio e crescen-te tecnologia medica), già iniziato con la nascitadella clinica, diventa preponderante nella prima

metà del Novecento, quando la medicina divienesempre più una “biomedicina” che fonda la suaprassi e il suo sapere scientifico non più solo sullescienze fisiche e chimiche, ma soprattutto sulle cre-scenti conoscenze delle scienze biologiche.In quell’Atene lombarda che è Milano questo pas-saggio prende avvio con la fondazione dell’Univer-sità degli studi (1924) da una madre che è la rifor-ma Gentile e da un padre che è Luigi Mangiagalli(1850-1928), figura emblematica del medico-scien-ziato e del medico-politico, in un periodo (quellodell’inizio del ventennio fascista) che tende a fon-dare una medicina di Stato ideologicamente struttu-rata quanto scientificamente fondata. La nascitadella cittadella universitaria (la città degli studi) nel1925 e dell’Istituto per il cancro (il male del secolo)nel 1928, rafforzano il ruolo di insegnamento della“scienza medica” degli Istituti Clinici di Perfezio-namento e della Ca’ Granda. A questi si aggiungonoi nuovi ospedali: quello decentrato di Garbagnate(1923) per la tubercolosi e quello urbano polispe-cialistico di Niguarda (1939), perché, come affermail presidente del neonato ospedale Massimo DellaPorta, “il progresso della scienza richiede continua-mente l’apprestamento di maggiori mezzi ausiliari[al punto che] si è sentita la necessità di un nuovoOspedale” (5).Come cambia il rapporto medico-malato all’internodi questa visione “scientifica” della medicina? Lamalattia nasce da un “errore biologico”: il medicoha l’autorità scientifica (la conoscenza) e gli stru-menti tecnici (la terapia) per tentare di correggerequesto errore. Ne discende un modello autoritarioche configura un coinvolgimento interessato delmedico desideroso di mostrare il suo potere (domi-nio) sulla malattia e sul malato.Parallelamente un ottimismo medico crescente(dalla malattia si può guarire grazie ai “trionfi”della medicina) trasforma il medico nel buon padreche possiede le chiavi della guarigione da donare almalato. Ne scaturisce un modello paternalistico nelquale il medico-padre esercita con autorità il suoruolo: esige obbedienza assoluta alle sue indicazio-ni per elargire il suo “dono” (la guarigione). Un’e-largizione particolare che sovente non è gratuita,ma acquistabile a pagamento (libera professione).Ne scaturisce un rapporto interumano talvolta utili-

18

Page 21: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

taristico, centrato sull’arrogante potere scientifico-economico della biomedicina, con un coinvolgi-mento negativo o comunque assai povero sul pianoumano del medico nei confronti del malato.

3. La medicina tecnologica Negli ultimi decenni è andata emergendo una sen-sazionale medicina tecnologica che fonda il suosapere e i suoi progressi su nuove indagini biochi-miche e genetiche, su strabilianti possibilità diagno-stiche (tecniche di imaging), sull’uso dell’informa-tica e sulle applicazioni biotecnologiche, sulla pos-sibilità di raggiungere traguardi sino a pochi anni faimpensabili in ambito terapeutico sia sul versantefarmacologico che su quello chirurgico. Essa trova nei diversi poli ospedalieri di eccellenzapresenti a Milano una delle sue più compiuteespressioni nazionali e internazionali, riconferman-do anche in epoca attuale quell’immagine di Milano“capitale sanitaria” che sembrava appartenere soloal passato. Trapianti, medicina e chirurgia d’avan-guardia trovano nell’Ospedale Maggiore Policlinico(ora Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Poli-clinico, Mangiagalli e Regina Elena) e nell’Ospeda-le di Niguarda i poli qualificanti, così come l’Istitu-to Nazionale dei Tumori e l’Istituto Europeo diOncologia sono istituzioni di riferimento nazionale einternazionale per la cura del cancro. L’Ospedale SanRaffaele con l’annessa università Vita-Salute si distin-gue nell’ambito della medicina biotecnologica cosìcome l’Ospedale “Luigi Sacco” di Vialba è conosciu-to soprattutto per gli studi sulle malattie infettive. Némancano poi autorevoli istituzioni specializzate inambito neurologico (Istituto Besta), ortopedico (Gae-tano Pini e Galeazzi), cardiovascolare (San Donato eIstituto Monzino), per citare solo le maggiori.Quale medicina e quale antropologia in questi“nuovi templi” della medicina futuribile? Nell’am-bito di questa medicina tecnologica prevale il para-digma interpretativo genetico: la malattia è vistacome espressione di un’alterazione del patrimoniogenetico individuale. In questo contesto il rapportomedico paziente si instaura prevalentemente attra-verso una relazione basata su un modello comunica-tivo (consensuale): il paziente deve essere messo aconoscenza dei suoi potenziali rischi (in quantogeneticamente predisposto a esprimere fenotipica-

mente una patologia), ma per ottenere da lui un’a-desione (consenso informato) all’azione medicacurativa e/o preventiva nei confronti della malattia odella possibilità che essa si manifesti, e deve essereattivamente coinvolto nel processo di prevenzione(evitando o riducendo i fattori di rischio e le con-dotte sanitariamente scorrette) attraverso un “pattomedico” normato e condiviso.La relazione si configura sempre più spesso anche suun modello difensivo (legale). Il malato deve essere“dissezionato in vivo” (con le tecnologie di bioima-ging, con gli accertamenti di laboratorio più sofistica-ti, con le indagini fisiologiche maggiormente accura-te) per cercare tutto ciò che non va (o che potrebbenon andare). Questa “indagine a tutto campo” sulcorpo del paziente mette il medico al riparo da possi-bili errori (diagnosi mancate e conseguenti comunica-zioni non fornite), difendendolo da possibili rivendi-cazioni (anche legali) del malato, il quale non basapiù il rapporto col medico sulla fiducia, ma sulla pre-tesa (quasi assoluta) di guarigione. Questo modo di procedere porta sempre più a uncoinvolgimento ambiguo del medico, che in appa-renza sembra agire nell’interesse del malato (e dellasua salute), ma che in realtà agisce solo per tran-quillizzare la propria coscienza medica (e salva-guardare la sua attività professionale). Il consenso ottenuto dal paziente crea l’illusionedella condivisione. Informando il malato dei suoirischi potenziali si pongono però quasi sempre con-temporaneamente in atto proibizioni e limitazionialla sua libertà in nome di una “integrità biologica”che è considerata come l’unico bene da ottenere. Ladimensione soggettiva della libertà di scelta (anchedannosa o autolesiva) viene eliminata, esigendo tal-volta un consenso che appare “forzato” più che“informato”.

ConclusioniL’analisi storica del rapporto medico-paziente den-tro le strutture ospedaliere mette in rilievo come l’e-voluzione dalla medicina clinica a quella tecnologi-ca ha provocato un progressivo distacco del medicodal paziente. L’arricchimento tecnologico è dram-maticamente coinciso con un impoverimento antro-pologico. Il passaggio dal solidarismo al paternalismo prima e

19

Page 22: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

al difensivismo poi hanno comportato il fatto che larelazione si è andata sempre più centrando sulmedico invece che sul paziente.Anche l’analisi antropologica mostra come il coin-volgimento del medico nei confronti del paziente daneutro sia diventato negativo e infine ambiguo.Questo perché in realtà il rapporto è stato semprecentrato sul sapere e sul potere del medico e nonsulla sofferenza individuale del malato.Questo ha comportato una crescente “crisi dellamedicina” che, perdendo le sue radici olistiche, nonè più capace di rispondere alle esigenze primariedella prassi medica: cura e solidarietà prima ancoradi terapia e guarigione. Occorre invertire la rotta efare in modo che la medicina recuperi la dimensio-ne umana del suo agire.Una relazione centrata sul paziente presuppone losvilupparsi di due modelli operativi per il medico:a) il modello della competenza, alternativo a quellodella diffidenza e della distanza difensiva, cheponendoci sullo stesso piano del paziente recuperi ilrapporto confidenziale e amicale che ha per lungotempo caratterizzato la nostra medicina occidentale;b) il modello della comprensione, alternativo aquello dell’arroganza biomedica, che in una societàsempre più multietnica sia in grado di accogliere ecapire anche esperienze e prassi mediche di pazientiprovenienti da culture sanitarie e aree geografichediverse dalla nostra.

20

Note

1 - G. Cosmacini, Milano capitale sanitaria, Le Monnier,Firenze 2002

2 - G. Cosmacini, La ca’ granda dei milanesi. Storia dell’Ospe-dale Maggiore, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 157

3 - V. A. Sironi, F. Taccone (a cura di), I bambini e la cura. Storiadell’Ospedale dei bambini di Milano, Laterza, Roma-Bari 1997;M. De Filippis, L’Ospedale “Luigi Sacco” nella Milano delNovecento, Angeli, Milano 2003; G. Cosmacini, L’Ospedale e lacittà. Milano e il “Gaetano Pini”, Istituto G. Pini, Milano 2005.

4 - G. Cosmacini, Milano capitale sanitaria, cit., p. 37

5 - Ivi, pp. 104-105.

.

Page 23: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

21

Da “Opera Medica”, in un’antica stampa delle Civiche Raccolte Bertarelli (Castello Sforzesco, Milano).

Page 24: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

22

“Assistenza, didatt ica, r icerca!”. . . “E poeucus’è?!” può venir spontaneo di esclamare conbonario scetticismo meneghino a chi sente citarequesto imperativo categorico di sapore alfierianoche riassume lapidariamente la “mission” deimedici del nostro Ospedale Maggiore. Ma non èuna nostra esclusiva: anche se meno esplicitamen-te o con parole diverse, lo stesso motto sta allefondamenta di tutte le istituzioni sanitarie dove sifa medicina d’avanguardia, si trattano malattiecomplesse o rare, dove è presente l’Università,dove lo Stato o i privati investono capitali e perso-nale per fornire risorse sofisticate alla cura deimalati; ciò avviene, ad esempio, agli Istituti Man-giagalli e Regina Elena, recentemente uniti alPoliclinico nella FondazioneLa bellezza e la purezza concettuale di questeparole collegate, “assistenza, didattica, ricerca”,che potrebbero coronare un logo riproducentel’uomo leonardesco incastonato nella quadraturadel cerchio, è fin troppo evidente per dover discu-tere il significato e l’intima connessione di questetre direttrici dell’ attività medica. Da sempre, l’e-sperienza clinica dei medici ospedalieri ne ha sti-molato la curiosità e la volontà di espandere erazionalizzare le conoscenze per trarne indicazio-ni utili a migliorare la cura dei malati; da qui,corollario altrettanto importante, il piacere intel-lettuale e l’orgoglio di esporre i propri risultatialla comunità scientifica e di trasmettere ai giova-ni colleghi il sapere teorico e pratico accumulatoin anni di lavoro.Lo spirito di osservazione, di iniziativa, la casua-lità, la vastità dell’ignoto a fronte di poche certez-ze acquisite erano fino ad alcuni decenni orsono il“grande West” nel quale chiunque fosse attrattodalla ricerca in medicina poteva cimentarsi con lasperanza di farcela prima o poi a scoprire qualco-sa di nuovo, a dimostrare le proprie teorie, giun-

gendo talvolta a conclusioni del tutto diverse daquelle attese, attraverso percorsi imprevisti.Serendipity è un vocabolo coniato dallo scrittoreinglese Horace Walpole (1717-1797) per indicarela capacità di scoprire, in maniera del tutto casua-le, qualcosa di inatteso che non ha nulla a chevedere con quanto si stava cercando e che bendescrive questo metodo - anzi, non metodo - difare ricerca. L’origine del nome si deve ad unaleggenda, secondo la quale il sultano di Serendip(antico nome arabo dell’isola di Ceylon), essendopartito in cerca di oro, dopo aver attraversatomonti e vallate con esito negativo, trovò del té diottima qualità, che risultò essere ben più preziosodell’oro.Oggi questa Camelot dello spontaneismo scienti-fico è quasi del tutto tramontata di fronte ad unarealtà sempre più complessa ed efficientistica, allemolte condizioni che devono essere soddisfatteperché la ricerca possa realizzarsi secondo i ferreidettati della Evidence Based Medicine, alla ridu-zione degli spazi di libertà intellettuale di chidovrebbe portarla avanti. Si dovrebbe riflettere, inparticolare, su cosa significa oggi “fare ricerca”negli ospedali clinicizzati o di insegnamento, inun momento nel quale vi è una innegabile contra-zione dei mezzi disponibili ma ciononostante,almeno in teoria, il motto “publish or perish”, ilbrutale e sintetico imperativo categorico made inUSA, e l’ “impact factor” (cioè il punteggio attri-buito alla Rivista scientifica sulla quale un lavoroviene pubblicato) condizionano anche le decisioniamministrative sull’assegnazione dei finanzia-menti e delle risorse aggiuntive, stabilendo indefinitiva una graduatoria difficilmente alterabile,per la sua deriva inerziale, fra “chi va avanti e chiresta fermo”, in pratica fra i sommersi e i salvati. Come gli eserciti, anche gli ospedali, compresiquelli più celebri sono composti da Unità Operati-

Fra Serendipity ed “effetto Hawthorne” il difficilepercorso del clinico che vuole essere “anche” ricercatore

ANDREA FINZI

Page 25: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

ve con diversa finalità e quindi diversamentestrutturate: in estrema sintesi, vi sono “Unità d’é-lite” celebri e blasonate che accrescono con laloro notorietà il prestigio dell’Ospedale; ma lamassa di manovra che gestisce la mole della rou-tine non selezionata è costituita da sobrie e tetra-gone, ma assai meno rinomate, “Unità di fanteriadi linea”. Il determinarsi ed il cristallizzarsi dellasuddivisione fra queste due componenti ha spessole sue radici nella storia remota dell’Ente: negliIstituti dove è tenuta viva da decenni una tradizio-ne, non solo accademica, di studio e insegnamen-to in una determinata branca specialistica, con uncontinuo ricambio generazionale e afflusso dall’e-sterno di medici esperti e di pazienti, richiamatigli uni dalla celebrità della Scuola, gli altri dal-l’efficacia delle terapie, un solido filone di ricercaprosegue senza gravi difficoltà di pari passoall’eccellenza clinica, sempre più ampliandosi eramificandosi. E anche le “Unità d’élite” di piùrecente formazione, nate dalla parcellizzazionedelle specialità mediche e chirurgiche in branchediagnostiche e interventistiche tecnologicamenteavanzate, con personale superspecializzato, dotatedi apparecchiature sofisticatissime e continua-mente aggiornate, non hanno difficoltà a tradurrein “produzione scientifica” l’ordinata esposizionedei risultati ottenuti con lo strumento più recentein casistiche ampie o selezionate a seconda dellanecessità; oppure a elaborare il significato dellescoperte rese possibili dall’ uso accorto e origina-le di un dispositivo diagnostico di ultima genera-zione. “Publish or perish” è dunque recepito nelle“Unità d’élite” come un’ovvia condizione permantenersi nella parte alta della classifica nellasfida con la concorrenza scientifica internazionalee per alimentare il circuito virtuoso degli investi-menti e del proprio “peso”, già per definizioneelevato, all’interno della Istituzione. La regolaviene sempre rispettata, pur con notevole impegnopersonale dei collaboratori, selezionati e quindifortemente motivati, prediligendo in diversa misu-ra a seconda dei casi la qualità o la quantità dellaproduzione scientifica, con un occhio all’impactfactor e uno al presenzialismo congressuale.“Publish or perish” suona invece molto spessocome un’oscura minaccia ed anche come una

impietosa presa in giro agli esausti fanti clinicidelle “Unità di linea” che in appendice ad unaroutine faticosa e spesso poco stimolante devonofare i conti con il loro alter ego interno, quelloche vorrebbe o dovrebbe “produrre scientifica-mente” e ovviamente pubblicare a tambur battenteper sopravvivere alla prossima distribuzione deifondi di ricerca, spesso lamentevolmente impiega-ti per alimentare banali necessità quotidiane comepagare segretarie o comperare computer. Vi è unasensazione di disagio intellettuale, per alcuniassai doloroso, nel constatare che non vi è di fattopiù spazio per la ricerca spontanea che nei tempiandati prendeva le mosse dall’ormai archeologicorito del “tirar giù le cartelle” in ripostigli polvero-si durante solitari pomeriggi di guardia, alla cac-cia di dati clinici ex post, inseguendo intuizionigeniali o fallaci, sempre comunque facendo scom-messe con se stessi, senza precisi limiti di tempo,se non quelli di mandare un abstract ad un con-gresso e scrivere un articolo (avallato dal diretto-re/primario, ovviamente) chissà quando. Ormaitutti sanno che la ricerca va pianificata secondoregole precise, che richiede una strutturazione dibase che non lascia più spazio allo spontaneismo,che comincia a costare già nella fase di progetta-zione statistica, figurarsi poi nella preparazionedei materiali; che in definitiva non è quasi piùrealizzabile motu proprio. Inoltre, se da un lato larete mondiale di Internet dilata le conoscenze efacilita lo studio della letteratura scientifica comenessuno poteva sognare vent’anni fa, è altrettantovero che da essa giunge inesorabile la prova chequella brillante idea che avevamo avuto era giàstata sfruttata e pubblicata in varie parti delmondo, magari già superata e sostituita da altre equindi è inutile duplicare il lavoro altrui. Tutto ciòcrea una sensazione di impotenza e di sconfortoche, in pratica, allarga sempre più il gap con chi èsulla cresta dell’onda della ricerca. E se ne paga-no pesanti conseguenze sul piano personale edella “famiglia allargata” che bene o male ognireparto finisce per essere.Detto questo, facendo ricorso a una simulazionedi incrollabile ottimismo, possiamo scorgerebuoni motivi per non lasciarsi prendere dalladepressione, sempre che vi siano condizioni

23

Page 26: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

ambientali appena minimamente favorevoli, che isingoli individui non siano devastati dal “burn-out” e abbiano ancora un poco di tenacia e di fan-tasia; un pizzico di fortuna è poi naturalmenteindispensabile. Innanzitutto, a dispetto dell’onni-scienza del web, e delle infinite delusioni che ciinfligge, lo spirito di osservazione e di iniziativaha ancora qualche possibilità di affermarsi, laddo-ve vi sono nicchie di questioni inesplorate, anchenella pratica quotidiana apparentemente “minu-ta”: leggiamo spesso brillanti risultati ottenuti epubblicati su prestigiose riviste da medici chehanno condotto studi inappuntabili dal punto divista del metodo e dell’analisi dei dati su proble-mi che sono quotidianamente sotto gli occhi ditutti e che nessuno ha analizzato in dettaglio. Vi è poi la possibilità di avviare studi collaborati-vi “spontanei” o parzialmente sponsorizzati dal-l’industria con i colleghi delle “Unità d’élite” delproprio o di altri ospedali, mettendo a disposizio-ne la “fornitura” di casistiche selezionate, di ade-guati follow-up clinici dopo le procedure sofisti-cate eseguite presso quei reparti specializzati, diexpertise nella valutazione statistica e nella stesu-ra degli articoli, arte nella quale i ”terminator”dell’interventistica-videogame spesso non eccel-lono; il tutto, ovviamente, in uno spirito di onestàe collegialità, con accordi ben precisi dall’iniziosulla distribuzione di oneri ed onori, ad evitaremalintesi e dissidii futuri (precisazione non ridon-dante, alla luce di tante brutte esperienze ).Poche righe sopra ho scritto la magica locuzione“sponsorizzati dall’industria” che introduce laparte più cospicua del capitolo “soluzioni adatteai tempi grami”: quella della partecipazione aigrandi studi collaborativi, i trial dai nomi semprepiù fantasiosi e accattivanti, facili da ricordare,ispiratori di sentimenti positivi e vincenti cheaffollano le riviste più prestigiose e si incolonna-no in lunghe file di citazioni nelle linee guidadelle società scientifiche col potere seduttivo dimerendine, detersivi e dentifrici sugli scaffali diun supermercato. Se, dopo aver letto gli attesissi-mi risultati (anche l’attesa del pubblico fa partedel marketing) del grande trial multicentrico su unnuovo farmaco, si percorre in appendice la lista,lunga come una lapide dei caduti, dei partecipanti

alla ricerca (tutti peraltro insigniti della presenzadel proprio nome - ufficialmente riconosciuta aifini dell’impact factor - sulla prestigiosa rivista) sipuò rilevare come quasi sempre si tratti di decinedi colleghi appartenenti a “Unità di fanteria dilinea” brillantemente condotti al successo dellapubblicazione da uno “steering committee”,ovviamente d’élite e di risonanza internazionale.Questo principalmente perché sono loro, le “fan-terie di linea”, ad avere il controllo dei “grandipascoli” da cui selezionare le casistiche inclusenegli studi.La presenza dello sponsor industriale è inconfon-dibile (e inevitabile) anche quando lo scopo prin-cipale dello studio è di tipo principalmente clinicoo fisiopatologico: si indagano aspetti particolari diuna certa malattia e della sua storia naturale ma aun certo punto del disegno sperimentale compareil dato strumento diagnostico, il nuovo farmacomesso in competizione con il placebo o con unsuo debole competitore inevitabilmente destinatoa soccombere o, come si usa da qualche anno, unomologo dominante verso il quale si vuol dimo-strare il pareggio della “non inferiorità”, e quindistrappargli una quota di mercato. Nulla di male,s’intende, perché industria vuol dire progresso,ricerca, lavoro, benessere eccetera; nessuno è cosìingenuo dal negarlo. Ed è anche una buona solu-zione per uscire dalla “morta gora” di cui si èdetto prima, recuperando un po’ di entusiasmonella ricerca grazie a progetti già bell’e pronti,materiali di lavoro generosamente forniti, parteci-pazione a congressi e workshop avendo alle spallediscreti ma rassicuranti sostegni “esterni”, spessosotto l’egida delle Società Scientifiche nazionali einternazionali che garantiscono la serietà dellaricerca anche di fronte agli arcigni Comitati Eticiche spesso bocciano volonterosi ma incauti pro-getti “spontanei”. Non è più neppure da conside-rarsi lontanamente il rischio di un flop totale dellaricerca che ne impedisca la pubblicazione perchéil suo costo obbliga i responsabili della pianifica-zione a far in modo da escludere questa evenien-za.Tutto bene dunque? Sono lamenti inutili e immo-tivati quelli che si levano dalle corsie della fante-ria di linea, anonime e desolate come trincee car-

24

Page 27: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

siche, se poi invece la ricerca sponsorizzata forni-sce gli strumenti idonei alla révanche che permet-terà di picchiare i pugni sul tavolo del direttorescientifico alla prossima distribuzione dei fondi?Andiamoci piano: anche qui occorre essere moltoattenti perché si possono compiere errori fatali.Innanzitutto, di fronte all’offerta di partecipare aduno studio multicentrico bisogna valutare onesta-mente le proprie forze e le proprie capacità di faresul serio quanto si promette, perché la buona o lacattiva reputazione di un gruppo di ricercatori sidiffonde rapidamente per il tramite delle societàscientifiche che effettuano la selezione. In pratica,chi non è in grado di portare avanti come si deveun protocollo di studio e crea quindi difficoltà eritardi nell’avanzamento della ricerca, soprattuttose non è protetto da un “blasone” che ne rende lapartecipazione di per sé prestigiosa, rischia diessere messo sulla lista nera di quelli da “lasciarea casa”. Vi è poi un altro aspetto con cui occorre confron-tarsi molto seriamente nel guidare la propria scel-ta di partecipare alla ricerca collaborativa sponso-rizzata: è necessario, a mio parere, non dimentica-re mai l’onnipresenza pervasiva dell’ “effettoHawthorne”, che prende il nome da uno studio diefficienza industriale effettuato in una fabbrica diChicago e viene impiegato per descrivere l’effettoindotto da uno studio per il fatto stesso di esseresvolto. Infatti le persone (i pazienti, nel caso dellericerche in campo medico) non si comportanonormalmente quando sanno di essere sotto osser-vazione, e - per lo stesso motivo - anche i mediciche prendono parte ad una ricerca ne sonoinfluenzati e modificano i loro comportamenti findall’inizio. Così, come i pazienti “arruolati” ven-gono selezionati fra i più disponibili e “intelligen-ti” e rendono facile il lavoro di chi deve control-larli nel tempo, trasformandosi pian piano in doci-li animali da esperimento che prevengono ledomande dei curanti con proprietà di linguaggio eprecisione stupefacenti, anche gli “sperimentato-ri” tendono, anzi vengono indotti, a innamorarsidel farmaco o dello strumento di cui sono i primiutilizzatori o di cui stanno indagando virtù scono-sciute e se ne fanno paladini e testimonial referen-ziali di fronte al mercato dei potenziali acquirenti.

Che c’è di male in tutto ciò?.. viene subito dachiedersi. In realtà il male c’è ed è grave. Avvoltinelle nebbie luminescenti dell’effetto Hawthorne,è facile illudersi che la ripetitiva compilazione diCRF (clinical report file) e la distribuzione diconfezioni numerate di capsule sia tutto quantoserva a mantenere nominalmente viva l’attivitàscientifica di un gruppo di lavoro. Purtroppo nonè così ed è incombente il rischio di disperdersi inricerche di livello sempre meno elevato, a cuiperò non si può dire di no soprattutto se la “feeper patient” (remunerazione per caso studiato) èappetitosa, e che portano a pubblicazioni diimpact-factor miserevole, restando privi di tempoe forze per impegni di maggior importanza.La difesa dall’ “effetto Hawthorne” dipendeinnanzitutto dalla libertà di pensiero che tutti inuna qualche misura dovrebbero difendere e poi -guarda un po’ - dal recupero della “serendipity”forse mai del tutto scomparsa dal genoma perquanto sempre più chimerizzato di chi ha scelto difare il medico in ospedale. Come fare possonosaperlo gli anziani (ahimé sì..) che, anche se nonsono primari, sono spesso vecchi gufi saggi, avolte perfino ascoltati dai giovani colleghi; purnon avendo partecipato attivamente al “movimen-to” del ‘68 (orrore, orrore…), spesso ne ricordanouno degli slogan più originali, dirompenti e uni-versalmente applicabili: “uso parziale alternati-vo”. Se a quei tempi esso si applicava allo Stato,ai partiti, ai giornali (e guarda che bella riuscitahanno fatto tanti sessantottini…) noi ora possia-mo efficacemente “implementarlo” (bell’anglo-tecnicismo di moda) quando stiamo per decideredi partecipare ad uno studio multicentrico sponso-rizzato: nulla di rivoluzionario, ovviamente, nes-sun boicottaggio o spionaggio industriale, masemplice sfruttamento delle possibilità che l’orga-nizzazione della ricerca offre. Si tratta, in pratica,di accertarsi che la sperimentazione si svolgasotto l’egida di una società scientifica nazionale ointernazionale che garantisca l’utilizzo non sol-tanto commerciale dei risultati della sperimenta-zione e che quindi, mettendo a disposizione le suestrutture organizzative, consenta agli sperimenta-tori di cimentarsi in sottoprogetti che introducononel corpo centrale della ricerca diramazioni verso

25

Page 28: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

settori di interesse specifici. Così facendo, è pos-sibile tornare a fare ricerca “quasi indipendente”ed a pubblicare con maggior visibilità in piccoligruppi, fuori dalle già citate lapidi ai caduti. Infi-ne, si deve tener presente che le diverse commis-sioni tecniche e i gruppi di studio delle societàscientifiche sono composti perlopiù da “personenormali” che dedicano all’elaborazione, alla con-duzione e all’analisi delle ricerche collaborativegran parte del loro potenziale di ricercatori, spes-so non utilizzabile nell’ambito angusto della lorosede di lavoro abituale. Trattandosi di organismialmeno nominalmente democratici e formalmentenon-profit, le Società sono abitualmente moltoaperte all’apporto di nuovi collaboratori volontariche, oltre a svolgere nel loro ambito (ma in prati-ca senza muovere un passo da casa, grazie a Inter-net) un lavoro fondamentale quanto intellettual-mente stimolante, possono poi a buon titolo appa-rire come primi nomi in pubblicazioni di sub-ana-lisi, metanalisi o editoriali sotto l’egida di unadata società.Comprendo benissimo che, lette queste righe,molti diranno: “bravo lui! venga qui a vedere...madove vive questo?” e prendo atto che lo sconfortoè una costante di accompagnamento, ora più chemai, quando si affrontano questi temi. E tuttavia,a chi vi annega giorno dopo giorno, senza appa-rente volontà di reazione non si può che ricordarel’incitamento talmudico: “se non sono io per me,chi lo sarà?” che Primo Levi tradusse nel celeber-rimo “Se non ora, quando?” Forza!, diamoci unamossa, abbiamo ancora qualcosa da dire...

26

Asterisco

Lentamente muore chi diventa schiavodell’abitudine, ripetendo ogni giornogli stessi percorsi,chi non cambia la marcia,chi non rischia e cambia colore deivestiti,chi non parla a chi non conosce.Muore lentamente chi evita unapassione,chi preferisce il nero su biancoe i puntini sulle “i”piuttosto che una serie di emozioni,proprio quelle che fanno brillare gliocchi, quelle chefanno di uno sbadiglio un sorriso,quelle che fanno battere il cuoredavanti all’errore e ai sentimenti.Lentamente muore chi non capovolge iltavolo,chi è infelice sul lavoro,chi non rischia la certezza perl’incertezza per inseguire un sogno,chi non si permette almeno una voltanella vita di fuggire ai consigli sensati.Lentamente muore chi non viaggia,chi non legge,chi non ascolta musica,chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamente chi distrugge l’amorproprio, chi non si lascia aiutare;chi passa i giorni a lamentarsidella propria sfortuna o della pioggiaincessante.Lentamente muore chi abbandona unprogetto prima di iniziarlo,chi non fa domande sugli argomentiche non conoscechi non risponde quando gli chiedonoqualcosa che conosce.Evitiamo la morte a piccole dosi,ricordando sempre che essere vivorichiede uno sforzodi gran lunga maggiore del semplicefatto di respirare.Soltanto l’ardente pazienza porteràal raggiungimentodi una splendida felicità.

PABLO NERUDA

Page 29: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

Le giornate di lavoro dell’ultimo Congresso dellaFederazione Nazionale dell’IPASVI (FederazioneNazionale Collegi Infermieri Professionali Assi-stenti Sanitari) sono state chiuse da una tavolarotonda dal titolo: “Percezione, immagine, aspet-tative sociali: l’infermiere nella società contempo-ranea”; sottotitolo non dichiarato, ma indicativopoteva essere ‘Ma la gente comune sa davverocos’è un infermiere?’.Due interventi sono stati per me significativi, unodi un filosofo e l’altro di un economista:- Sandro Spinsanti, bioetico e direttore dell’Istitu-to Giano di Roma, ha posto l’accento sulla con-fusione esistente in Italia sull’infermiere, tra‘infermiere buono e buon infermiere’. Secondo lostesso relatore, l’immagine ‘dell’infermierebuono’ (ancora predominante), pur essendo pienadi tanta retorica sui buoni sentimenti e sull’uma-nizzazione, resta un contenitore vuoto. Chi habisogno di essere assistito da un infermiere, nonvuole un professionista buono; preferisce un buonprofessionista che conosca la teoria e la praticadell’assistenza infermieristica, compresa quindi lagestione degli ambiti emozionali, in termini bendiversi dalla compassione e dal buonismo. Ciò presuppone che agli infermieri debba essereinsegnato a relazionarsi con l’interlocutore e conle emozioni in maniera qualificata, per aiutare lepersone a comprendere che cosa accade al propriocorpo, a gestire la malattia e ad accettare anche ilimiti della medicina. - Il secondo intervento, per me spunto di riflessio-ne, è stato presentato da Federico Spandonaro,responsabile del Ceis Sanità dell’Università diRoma Tor Vergata. Lo stesso, mette in rilievo lapoca attenzione nei confronti dell’infermieristicae sottolinea come nel nostro Paese, ma anche nelmondo,vi siano una enorme quantità di studi dieconomia riguardanti qualsiasi branca medica ma

ben pochi inerenti le attività infermieristiche,“segno di una forte sottostima e sottoconoscenzadel ruolo infermieristico anche da parte degli eco-nomisti”. Eppure, ha rilevato il medesimo relato-re, dovrebbe essere ormai chiaro che nessun prov-vedimento può risolvere i problemi di economiasanitaria se prima non si rinnova il modello diorganizzazione del sistema sanitario, ancorafermo agli anni ’20, con gli infermieri confinati inruoli secondari.Riflettendo su queste relazioni mi è venuta spon-tanea la domanda: “a che punto si trova la profes-sione infermieristica?” L’evoluzione negli ultimi decenni è stata vortico-sa, molti traguardi sono stati raggiunti, soprattut-to dal punto di vista della normativa. Ritengo perònecessario che all’interno della professione ci sifermi a riflettere sui problemi che impediscono ilpieno riconoscimento dell’infermiere quale pro-fessionista e, conseguentemente, si possano assu-mere quelle opportune strategie che consentano diraggiungere l’obiettivo di rimuovere ciò che anco-ra ostacola tale traguardo.Un valido contributo per approfondire questo aspet-to l’ho trovato in una delle prime e pochissimericerche sull’assistenza infermieristica, risalente al1973, diretta da Mino Vianello della Facoltà di Sta-tistica dell’Università La Sapienza di Roma “Con-tributo alla teoria classica dell’organizzazione”;ricerca sull’assistenza infermieristica negli ospedaligenerali condotta sotto il patrocinio del ConsiglioNazionale delle Ricerche.Nell’introduzione viene tracciato un profilo sullastoria della professione infermieristica che con-sente di comprendere i problemi legati al muta-mento di ruolo dell’infermiere. È una lettura tut-tora valida; a tal proposito in essa si dice:“Non v’è dubbio che il Cristianesimo costituiscela base su cui esso si è sviluppato: a differenza

La professione infermieristica oggi: per non restare maisenza ‘nuovi’obiettivi

MARISA CANTARELLI

27

Page 30: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

28

te l’orientamento delle cure, non quello dei servi-zi infermieristici. Dal XIII secolo in poi, e soprat-tutto dopo la Riforma, si assiste a un movimentodi secolarizzazione dell’ospedale che però noncambia sostanzialmente l’organizzazione dei ser-vizi infermieristici. Le monache cattoliche e lediaconesse protestanti continuano a essere il per-sonale addetto all’assistenza diretta ai malati. Sol-tanto nella seconda metà del XIX secolo, in pienarivoluzione tecnologica e industriale, si ha inGran Bretagna la comparsa di una nuova catego-ria, che presto aspirerà a considerarsi una profes-sione: le infermiere professionali laiche, che con-siderano l’assistenza ai malati fondamentalmenteun’occupazione come un’altra e non una missionespirituale. L’affermarsi di tale categoria è lento intutti i paesi. Da un lato esso è incoraggiato dallecose e anche (ma meno) dagli uomini; dall’altro,esso è osteggiato dagli interessi (dei medici, degliamministratori, del clero) e dagli abiti mentali delpubblico, non abituato ancora a vedere unasostanziale differenza tra l’infermiera e l’inser-viente e disposto, semmai, a concedere maggiorrispetto e considerazione alla religiosa per l’abito

delle altre religioni, infatti, il Cristianesimo nonsolo predicava il valore della vita umana, maanche dell’assistenza ai poveri e ai malati per lasalvezza eterna.Inoltre, l’insistenza sull’abbandono della propriacasa e la vita in comune, che trovò la sua massimaespressione negli ordini monastici, fecero dellanuova religione il terreno più adatto allo sviluppodei servizi infermieristici su base organizzata: benpresto, infatti, abbiamo degli ordini che si dedica-no esclusivamente all’assistenza dei malati.Durante il Medio Evo le funzioni infermieristichefurono prevalentemente svolte dalle religiose etale tradizione è ancora viva oggi (1973). La for-mazione di questo personale non aveva nulla dimedico. Alle suore spettava il compito di custodi-re i ricoverati, di assisterli, soprattutto in pericolodi morte, di guidarli sotto il profilo religioso. Sol-tanto più avanti si ebbe, ma da parte dei monaci,un qualche indottrinamento in campo medico,grazie alla civiltà greco-islamica e ai suoi fiorenticentri dell’Italia meridionale. Ma, appunto, si trat-ta innanzitutto solo di monaci e, in secondoluogo, d’un fenomeno che influenzerà direttamen-

Medici, malati e infermieri in una antica stampa (Civiche Raccolte A. Bertarelli del Castello Sforzesco di Milano - g.c.)

Page 31: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

che porta che non all’infermiera. Tuttavia, vatenuto presente che, malgrado l’aumento notevoledelle vocazioni religiose femminili, passate dal9,9 per ogni 10000 abitanti nel 1881 a 30,3 nel1951 (e cioè più che quintuplicato in cifre assolu-te, da 28172 a 144171, e più che triplicato in rela-zione all’aumento della popolazione dal 1850), ilnumero delle vocazioni negli ordini che tradizio-nalmente si consacrano all’assistenza ai malati ènotevolmente diminuito (tanto che spesso vengo-no indirizzate in questo senso religiose che loaccettano per obbedienza, ma che aspiravano, inrealtà ad altre attività). Di conseguenza è naturaleche i vuoti creati da questa regressione sianoriempiti da infermiere laiche (purtroppo, non sem-pre - anzi raramente – professionali). Questo fa sìche uno dei problemi più acuti dell’attuale situa-zione sia la crisi del reclutamento del personalelaico professionale (1973)”.Risale a quegli anni l’inizio della rapida evoluzio-ne della normativa; nel 1971 l’esercizio dellaprofessione infermieristica viene esteso anche alpersonale maschile. La formazione continua adessere in tutta Europa uno degli strumenti princi-pali attraverso cui promuovere la crescita profes-sionale: quella infermieristica sarà infatti unadelle prime professioni ad ottenere una regola-mentazione degli standard formativi. Nel 1973l’Italia recepisce l’accordo di Strasburgo sullaformazione.Nel 1974 un Decreto (DPR) sostituisce l’ormaidatato mansionario del 1940, che verrà definitiva-mente abbandonato nel 1999. Infatti, la legge n.42/99 abroga il ‘mansionario’ e cancella di con-seguenza l’anacronistica definizione di ‘professio-ne sanitaria ausiliaria’. È del 1991 l’istituzionedel diploma universitario in scienze infermieristi-che e del 1994 la definizione del profilo profes-sionale.Nel 1999 vede inoltre la luce una nuova riformadegli studi universitari, ispirata ancora una volta acriteri europei. Le lauree triennali sostituiscono ilprecedente diploma universitario; opportunitàcolta anche dagli infermieri. Il successivo traguar-do legislativo viene raggiunto nel 2002 con unprovvedimento nato sulla spinta di una emergenzainfermieristica, nel quale si afferma la centralità

del lavoro infermieristico per il mantenimentodegli standard assistenziali da cui deriva la neces-sità di ricorrere alle prestazioni aggiuntive.Nel 2004 la laurea specialistica in scienze infer-mieristiche diventa una realtà concreta.Attualmente quindi in Italia il quadro normativoche regolamenta sia la formazione che l’eserciziodegli infermieri è tra i più avanzati del mondo.La panoramica presentata evidenzia gli aspettipositivi, ma questo non esclude purtroppo l’esi-stenza di problematiche negative. Proverò ad ana-lizzarne alcune suddividendole in due campi: laformazione e l’esercizio professionale.- La prima domanda che mi pongo investeentrambi i campi. In Italia quanti infermieri ser-vono? Come nel resto del mondo, la carenza delpersonale infermieristico costituisce un problemaricorrente. Non solo: nel nostro Paese il numerodegli infermieri è inferiore a quello dei medici aiquali la programmazione universitaria continua ariservare (secondo alcune fonti attendibili) moltipiù posti di quelli effettivamente necessari. Scar-seggiano, invece, i posti destinati ai corsi di infer-mieristica. Il problema va affrontato con urgenza per poterrispondere alle esigenze della popolazione e all’e-voluzione della società. Risolverlo non significacoprire gli organici infermieristici (come in alcu-ne sedi già succede) con figure ausiliare denomi-nate, con molta fantasia, in modo diverso nellevarie regioni italiane.- Parallelamente deve essere risolta anche la que-stione delle docenze agli infermieri. Il difficile einsostituibile compito del corpo docente infermie-ristico è infatti quello di trasmettere agli studenti icontenuti disciplinari e l’immagine della profes-sione in tutto il suo valore positivo, per contribui-re alla preparazione di infermieri autonomi eresponsabili, che possano sviluppare appieno leloro attitudini e individuare all’interno di un siste-ma sanitario moderno ed efficiente nuove prospet-tive di carriera; per formare così ‘un buon infer-miere’.Ma l’attuale formazione ha questo obiettivo? Gliattuali docenti infermieri (esclusi rarissimi casi,non più di dieci fra ricercatori ed associati su tuttoil territorio nazionale) non fanno parte del corpo

29

Page 32: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

docente dell’università e in alcuni atenei l’inse-gnamento della disciplina infermieristica è affida-to ai medici. Le competenze tra medici e infer-mieri sono diverse e diversi perciò devono esseregli insegnanti e gli insegnamenti.In conclusione, richiamo la riflessione iniziale, dacui sono partita: a che punto si trova la professio-ne infermieristica? Appaiono evidenti alcuni nodiche ancora ‘interrompono’ la corsa verso la com-pleta crescita degli infermieri.L’importante traguardo raggiunto, quale l’inseri-mento della formazione in università, non deveessere vanificato dal persistere dell’attuale pro-grammazione che non risolve il problema dicarenza di personale qualificato. Secondariamen-te, è necessario dare consistenza alla laurea inscienze infermieristiche e alla laurea magistrale,affidando con chiarezza la docenza della discipli-na agli infermieri, in modo preciso secondo leregole universitarie.Infine, l’eliminazione del problema di carenzadel personale infermieristico eviterebbe, di conse-guenza, l’inserimento di personale non qualifica-to, che abbassa il valore del servizio offerto, creaconflitti di ruolo e determina altresì anche confu-sione sull’immagine dell’infermiere fra i pazienti,che non si ‘raccapezzano’ fra le varie figure chelo circondano.L’analisi fin qui fatta ha messo in evidenza che larisoluzione delle problematiche e l’assunzionedelle conseguenti necessarie scelte strategiche,presuppongono il confronto con poteri forti,ragion per cui vedo il percorso che la Professioneinfermieristica deve fare, ancora lungo e in salita,prima di poter raggiungere su tutto il territorionazionale un numero sufficiente di ‘buoni infer-mieri’.

30

Page 33: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

31

Nella precedente breve indagine tra i dipinti del-l’Ospedale Maggiore e del Pio Albergo Trivulzioè stato notato che le quadrerie degli enti assisten-ziali offrono agli studiosi e al pubblico una sor-prendente quantità di livelli di lettura, a comincia-re, per esempio, da ciò che nel ritratto gratulatorioè davvero in primo piano: l’abbigliamento.La moda imperante si riflette attraverso il lin-guaggio pittorico, svelando così anche gli aspetti,i caratteri e la cultura di un’epoca, riflessi, appun-to, nel gusto estetico in voga.Ma non si tratta, semplicemente, di puro sensoestetico: la necessità di manifestare con segniesteriori la propria appartenenza e la propria ideo-logia, sia personale, sia di gruppo, è connaturataalla storia dell’uomo. La moda, in questo senso, èstata un veicolo preferenziale e significativo: lefogge degli abiti, l’utilizzo di taluni tessuti invecedi altri e persino gli accessori stessi sono testimo-ni fedeli non solo delle ideologie imperanti o diopposizione, ma della situazione politica ed eco-nomica di un intero Stato.I moti rivoluzionari del ’48 e la moda che neseguì sono, in questo senso, un esempio evidente.

Nel marzo 1848 Milano era circondata dall’eser-cito austriaco, cacciato dalla città dopo cinquegiorni di insurrezioni e barricate. Le campanedelle chiese suonavano a stormo e il tricolore eraissato su tutti i campanili. Il Governo Provvisorio, in questa pericolosasituazione, aveva un vitale bisogno di comunicarecon il circondario e con tutto il territorio lombar-do, per chiedere soccorsi, diffondendo i bollettinidi guerra.Due furono le soluzioni trovate dai milanesi perfar fronte alle necessità comunicative. Per leinformazioni interne tra le varie zone della cittàfurono utilizzati i piccoli Martinitt, gli “orfani di

Milano”, i figli di tutti e di nessuno; piccoli, agili,insospettabili, si intrufolarono tra una via e l’al-tra, una barricata e l’altra, come abili staffetteportaordini. Per divulgare le notizie esterne, inve-ce, gli insorti elaborarono un mezzo geniale, i pal-loni aerostatici, leggerissimi, di carta, che sorvo-larono le linee austriache e si dispersero nel terri-torio. Alcuni fecero ben poca strada; altri arriva-rono sino a Gorgonzola, in Brianza, nel comascoe addirittura in Piemonte e nel Canton Ticino.Grazie a questo ingegnoso sistema di comunica-zione, i bollettini di guerra del Governo Provviso-rio sortirono il loro effetto e migliaia di uominiarmati - spesso in modo casuale - arrivarono sinsotto le mura di Milano.Anche le ferrovie vennero usate per favorire irinforzi agli insorti: oltre a condurre gratuitamen-te i gruppi armati verso il capoluogo lombardo,raccolsero, copiarono e diffusero i bollettini diguerra inviati con i palloni aerostatici. La lettura di proclami e avvisi sembra fosse diffu-sa in modo capillare: l’impatto della rivolta mila-nese dovette quindi essere notevole su tutta lapopolazione, dal momento che in città sembravache tutti non fossero impegnati in altro se nonnella scorsa dei bollettini di guerra.

Anche il Corriere delle Dame seguiva e commen-tava fedelmente gli avvenimenti: il 23 marzo1848, nell’inserto dedicato ai figurini di moda, sidiceva esplicitamente che “Il Corriere delleDame darà ogni numero un breve sunto de’ prin-cipali avvenimenti politici che raccoglierà dallefonti più esatte e specialmente dal Giornale Offi-ciale del Governo Provvisorio”.Ancora l’8 di aprile dichiarava: “Milano non èpiù riconoscibile, tanta è la gioia, il brio, la con-cordia dopo la cacciata degli Austriaci. (…)Anche le signore hanno mezzo di distinguersi in

Tra moda e rivoluzione: la Lombardia nel 1848

CRISTINA CENEDELLA

Page 34: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

questo nuovo ordine di cose. La principessa Bel-giojoso, i cui scritti e le idee politiche tenevanolontana dalla Lombardia, si è rimpatriata secoconducendo circa duecento volontari calabresi dalei assoldati. Molte signore, oltre a concorrerecon soccorsi pecuniari al sostegno della guerraper l’indipendenza italiana, si adoperano col pre-stare alloggio e assistenza ai feriti.”Il collegamento tra gli avvenimenti politici e lamoda, dunque, non è per nulla singolare, comepotrebbe sembrare in apparenza, e non solo per ilfatto che un giornale femminile come il Corrieredelle Dame ne parlasse ampiamente. I fatti politi-ci notevoli e i grandi mutamenti sociali hannodeterminato vere e proprie rivoluzioni in fatto diabbigliamento (e a sostegno di questa affermazio-ne basterebbe citare la Rivoluzione Francese e ilseguente periodo napoleonico). Fu, infatti, proprio grazie ai moti del ’48 che l’Ita-lia, succube per tutto l’Ottocento delle mode fran-cesi, riuscì a svolgere un ruolo creativo, elaboran-do nuove tendenze molto particolari e moltoseguite. I fermenti politici e gli aneliti di indipen-denza, effettivamente, diedero vita al tentativo diuna nuova moda, tutta italiana, quale testimonian-za della rinnovata coscienza nazionale.Della grande spinta innovativa e creativa di quelperiodo, d’altronde, parla anche un autorevole mila-nese, Giovanni Visconti Venosta, nei suoi Ricordi digioventù, rammentando che soltanto la parentesi del’48 sembrava aver spezzato la monotonia e l’inerziadella vita cittadina: “da allora tutto mutò rapida-mente nelle abitudini domestiche, nella vita cittadi-na, nelle usanze, nelle menti, quasi come se fossepassato un secolo”.La moda cambiò, seppure per un periodo piuttostobreve, tuttavia in modo radicale, tentando dirispecchiare e di esprimere nelle fogge del vestirel’ideologia che aveva ispirato le rivoluzioni del’48. Questo collegamento, moda-ideologia-politi-ca, fu chiaramente percepito anche dai contempo-ranei: il Corriere delle Dame elaborò una sorta diassunto secondo il quale “…l’abbigliamentoentra sempre a parte della vita politica e moraledel paese”. Il 20 luglio del ’48 il giornale pubbli-cava una dissertazione per spiegare chiaramente ilconcetto, portando ad esempio i fatti storici dalla

Rivoluzione francese in poi, e concludendo con laconstatazione che “…il potere della moda eser-citò sempre la sua influenza; ebbe vita attiva neigrandi movimenti politici, si mischiò nei partiti, simostrò come l’espressione del pensiero, ora adot-tando le fogge di una nazione guerriera, ora icolori della libertà, dell’indipendenza, or quellidi una nazione prospera e tranquilla. (…) Che lamoda sia collegata cogli avvenimenti sociali epolitici…è provato anche dai recenti avvenimentiin Italia. Abbiamo visto lo scorso carnevale lesignore presentarsi al teatro colle cuffie guarnitedi nastri di tre colori, presenti i dominatori dellacasa d’Austria; abbiamo visto la moda dei vestitidi velluto proposta per danneggiare le case com-merciali della Germania; poi i cappelli acumina-ti, simbolo della rivoluzione napoletana, calpe-

32

Quadreria del Pio Albergo Trivulzio. Amerino Cagnoni, 1897: Ritrattodi Enrico Cernuschi.

Page 35: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

stati al loro apparire dal bastone della polizia;ma risorti più tardi a nuova e gloriosa vita,accompagnarsi con le fogge svelte e marziali deipopoli della Calabria”.

Il costume all’italiana o alla lombarda, scaturito aseguito dei moti rivoluzionari, nacque a Milano e fumotivo di scelte politiche ed economiche nello stes-so tempo. Se da un lato, infatti, si mostravano lefogge dei costumi popolari come vessilli di libertà(richiamandosi ai costumi dei rivoltosi calabresi odel bandito romantico Ernani), dall’altro, utilizzan-do il velluto di fabbricazione locale, si mettevano albando le stoffe di lana germaniche.Già negli anni precedenti comparvero barbe e piz-zetti come simboli carbonari; dal ’47, a seguitodei moti in Calabria, venne adottato il cappelloalla calabrese, come simbolo di liberalismo, quel-lo alla puritana (da I Puritani del Bellini) o anchequello piumato all’Ernani (il bandito protagonistadell’omonima opera verdiana). Nel febbraio del’48 un decreto della polizia austriaca proibival’uso di questi copricapo e i patrioti adattarono inormali cappelli a fogge che ricordavano vaga-mente quelli proibiti.L’utilizzo del velluto diede poi vita al costumealla lombarda, divenuto in via informale quasi l’u-niforme dei combattenti delle Cinque Giornate:“…un camiciotto o blouse di velluto nero, di fab-brica nazionale, stretta alla vita da una cintura dipelle da cui pendeva una daga o spada: collettobianco grande rovesciato sulle spalle: calzonicorti di velluto nero, stivali che arrivavano alginocchio, cappello alla calabrese con pennac-chio e una collana che scendeva sul petto e da cuipendeva un medaglione, ch’era di solito il ritrattodi Pio IX”, come la ricorda Giovanni ViscontiVenosta. Anche le donne portavano il vestito allalombarda, di velluto, aperto su una sottana biancadi raso o di lana, rifinito da fusciacche tricolori,cappelli alla calabrese, pistole e persino spade esciabole usate dalla cavalleria. Il capo venivacoperto non dai frivoli cappellini alla francese,ma da grandi veli neri o da mantiglie di pizzo, chescendevano a coprire spalle e vita.Nella quadreria del Pio Albergo Trivulzio non siconservano ritratti di personaggi vestiti alla lom-

barda. Si può ricordare, tuttavia, per la strettarelazione con i fatti narrati, il grande ritratto afigura intera di un patriota, personaggio di spiccodelle Cinque Giornate, Enrico Cernuschi. Ram-pollo di una nota famiglia borghese di mercanti eindustriali, orfano di entrambi i genitori non anco-ra ventenne, aderì al diffuso sentimento antiau-striaco e alle ideologie risorgimentali. Membrodel Comitato di Difesa durante le Cinque Giorna-

33

Quadreria dell’Ospedale Maggiore. Giuseppe Bertini e Antonietta Bisi,1886: Ritratto di Giuseppe Pastori.

Page 36: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

te, il Cernuschi aveva assistito all’impegno con ilquale i piccoli Martinitt avevano svolto il ruolo diportaordini. Dopo aver trascorso una vita in esilio(trasferitosi a Parigi nel 1849, rimase in Franciaanche dopo l’Unità d’Italia, morendo a Mentonenel 1896) dispose qualche mese prima di passarea miglior vita, un cospicuo lascito all’orfanotrofiomilanese, che giustificò, da parte dell’ente, l’ese-cuzione di un ritratto a figura intera.L’opera fu eseguita da Amerino Cagnoni nel1897: il Cernuschi è rappresentato con una grandebarba e con folti capelli, non lontano dai modidella scapigliatura lombarda.

Anche nella raccolta pittorica dell’Ospedale Mag-giore si ricorda, con un ritratto a figura intera deipittori Giuseppe Bertini e Antonietta Bisi del 1886,un gentiluomo, patriota e benefattore dell’ospedale:Giuseppe Pastori. Nato a Orzinuovi nel 1814,dovette emigrare, come il Cernuschi, a Parigi permotivi politici. Laggiù divenne amministratore deibeni della principessa Belgiojoso e dei principiGonzaga. Dopo l’Unità d’Italia fece ritorno in terrabresciana, dove morì nel 1885, non senza averprima beneficato diversi istituti, tra i quali, appuntol’Ospedale Maggiore di Milano.Nel ritratto il Pastori è rappresentato con aristo-cratica ricerca di solennità, nella stessa postura,nelle vesti, nell’ambientazione.

Vorrei concludere ricordando come sia stato propriol’Ospedale Maggiore a svolgere un ruolo politico epatriottico attivo nel periodo risorgimentale, nonsolo per la presenza tra il personale di medici, chi-rurghi, infermieri (famoso il medico Agostino Ber-tani!) che svolgevano assidua propaganda antiau-striaca, ma soprattutto per il ruolo di base strategicae di informazione: nei camini, nei condotti fognari enei solai dei padiglioni dell’Ospedale furono ritro-vati i depositi di armi utilizzati proprio durante il’48 e moltissimi furono i medici arruolati volontarinelle guerre d’Indipendenza.

34

Page 37: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

35

Tra i soggettisti degli studios di Hollywood gira unaleggenda che forse non è lontana dalla realtà:“Amico, puoi scordarti che un produttore ti accettiil soggetto di un film se non riesci a raccontarglielocon una sola frase.” Maurizio Costanzo, quandodiventò direttore della Domenica del Corriere, inca-rico che ebbe per circa due anni, raggelò l’interaredazione con un assunto analogo: “Gli articolidevono essere chiari e brevi. A mio giudizio, si puòraccontare tutta la Grande Guerra in una cartella.”È vero, ma un rischio c’è: sfrondando e selezionan-do è più facile raggiungere la chiarezza, ma perquesta strada si può arrivare a sintesi chiarissimeche sono tuttavia false per eccesso di semplificazio-ne. E si va incontro al gusto di massa, che scarta lacomplessità (definita “oscura”) e molto spesso pre-mia una chiarezza che è stata raggiunta omettendole contraddizioni e le incertezze.Per definizione, nell’immaginario collettivo la chia-rezza si accompagna alla brevità. Se guardiamo allinguaggio come a un habitat (un insieme ben preci-so e assolutamente correlato di determinati animali,determinate piante, determinate condizioni climati-che) troveremo ben presto molte parole “gemella-te”, che appartengono allo stesso habitat concettua-le. È il caso della coppia chiarezza-brevità, percepi-ta in una correlazione tanto assoluta che basta effet-tuare la sostituzione di “breve” con “lungo” per ren-dersi conto che si sono violate le regole dell’habitatconcettuale, o perlomeno delle abitudini acquisite.Per esempio, se diciamo che un discorso è stato“breve e chiaro” restiamo all’interno di un giudiziodi positività condiviso da tutti. Se, al contrario,dicessimo che un discorso è stato “lungo e chiaro”,la sostituzione dell’abituale parola “gemella” appa-rirebbe una palese violazione, come un canguromesso al Polo Nord: ci resterebbe da spiegare sequel discorso ci è veramente piaciuto, “pur” essen-do lungo.

Ma se essere brevi è una scelta strategica per nonannoiare (già i Greci dicevano che un “grosso libroè un grande male”), la chiarezza è un dovere assolu-to per chiunque fa comunicazione, e quando ungiornalista si sente dire che è stato molto chiaro, sache è la più importante e seria delle possibili lodi, eche conta molto di più di quei dubbi apprezzamenticome essere stati “divertentissimi”, aver scritto “inpunta di penna”, aver fatto capire che “si è informa-ti sui retroscena”. Così, se appena si ha un po’ dionestà e di coscienza autocritica, ci si sente, nell’or-dine: uno che fa cronaca-spettacolo, una ballerina intutù, un vigliacchetto che ha temuto la querela e si èlimitato a punzecchiare il Potere.La chiarezza, come tutte le cose serie, si nutre difatti, e non di opinioni. Né delle opinioni di chiscrive, né delle opinioni-esternazioni-battutacce-ingiurie di chi è intervistato. Soltanto per unastraordinaria distorsione del giornalismo (collegataa sua volta al problema di una società involgarita, etributaria di una tv idiota) si è arrivati a considerare“notizia” lo sfogo maleducato del politico o delmanager, i quali a loro volta hanno perso di vista lacomunicazione (chiarezza sui fatti e sui misfatti,chiarezza sulle prospettive reali, chiarezza sui pro-grammi possibili) e vogliono soltanto intimorire gliavversari o richiamare l’attenzione.In una società che ha perso la bussola, e nella quale,come dice Gino Strada di Emergency, diventa media-tica anche la guerra, chi vuole comunicare con chia-rezza deve sentire il dovere di sfuggire alla spettaco-larizzazione, e rintracciare i semplici fatti, raccontan-doli per esteso e con onestà. Perché dall’altra partenon c’è un cliente cui vendere una casa, un aspira-polvere o un partito politico, ma una persona.Ma la chiarezza è molto di più del dovere di farsicapire quando si scrive, è uno di quei valori positiviche coincidono con la vita stessa. Nascendo “siviene alla luce”, e l’istinto vitale ci porta poi a sce-

La chiarezza

ANTONELLA CREMONESE

Page 38: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

gliere, sia in senso reale che figurato, tutto ciò che èchiarità, chiarezza, luce, luminosità, splendore e afuggire da tutto ciò che è oscuro, buio, notturno,sotterraneo. Come le piante tendono alla luce erivolgono gli steli e le foglie nella direzione delsole, così noi umani cerchiamo la chiarezza comeuna luce irrinunciabile.Per stare bene con gli altri abbiamo bisogno di“rapporti chiari”, detestiamo le cose ambigue edesideriamo sempre che “si chiarisca la situazione”,ci sentiamo pieni di gioia contemplando il cielochiaro e luminoso o la chiara luce della luna nelcielo notturno, amiamo la dolcezza del verso delPetrarca che evoca le “chiare, fresche e dolciacque”, consideriamo “bui” i secoli senza cultura,definiamo “oscurantismo” le posizioni dogmaticheche respingono le indagini e i quesiti e si rifiutanodi fare chiarezza, condividiamo la definizione di“secolo dei lumi” per il Settecento, che iniziò aporre le basi della ricerca nei vari campi del sapere.Tutto il poema dantesco è un’ascensione verso la“luce intellettual piena d’Amore”, ma tutte le cultu-re pongono la luce e la chiarezza tra i beni da rag-giungere. In antico, fioriva l’arte di interpretare iresponsi degli oracoli per cercarvi un significato esia la mitologia occidentale che quella orientalesono ricche di racconti che vedono i protagonistiimpegnati in cammini iniziatici per trovare la“verità”, mentre la felicità non viene mai evocata.Se poi guardiamo alle tradizioni popolari, quantefavole raccontano il bambino sperso nella forestabuia, che finalmente vede un “lumicino lontano lon-tano”, quante principesse ammalate di crudeltà pro-mettono se stesse e il reame a chi risolverà un indo-vinello, e la morte a chi non ci riuscirà? Sulle traccedella chiarezza, si potrebbe perfino vedere un cro-cevia culturale tra le osservazioni di Propp sullastruttura delle fiabe archetipiche e il loro significatonelle diverse società, e l’entrata della psicanalisinell’interpretazione dei sogni.

36

Asterisco

Per una pace e una bontà interiori

L’uomo nobile è generosamente rilassato amotivo della sua pace interiore, l’uomopiccolo è continuamente in agitazione acausa di qualunque cosa.C’è una cortesia senza forme esteriori, equesta è il rispetto. C’è un lutto senza abitida lutto, e questa è la tristezza. Esiste unamusica senza suoni, questa è la gioia. C’èun’affidabilità che non ha bisogno di espri-mersi in parole, c’è un rispetto che nonviene provocato in primo luogo dalle azioni,c’è una bontà che non ha bisogno per primacosa di fare delle opere buone; questa è ladisposizione d’animo. Il suono della campa-na che viene emesso nell’ira è guerresco; seinvece viene emesso nel lutto allora èmelanconico. Se cambia la disposizione d’a-nimo, così cambia anche il suono. Se dun-que una vera disposizione d’animo puòaddirittura influenzare metallo e pietra puònaturalmente fare molto più per gli uomini.

CONFUCIO (551- 479 a.C.)

Fare ciò che è necessario fare

Delle piccole buone azioni fatte al momen-to giusto per colui che le riceva sono le piùgrandi.Non è un benefattore colui che mira a unaricompensa, bensì colui che ha la volontàdi fare il bene per un impulso libero.Quando i benestanti riescono ad ottenereda se stessi di dare del denaro a coloro chenulla possiedono e di soccorrerli e far lorodel bene, qui è già presente la compassio-ne, il non essere solo e la fratellanza e ilreciproco aiuto e la concordia dei cittadinie altre cose buone, quante nessuno potreb-be mai contare.Giustizia significa: fare ciò che è necessa-rio; ingiustizia: non fare ciò che è necessa-rio ma metterlo da parte.

DEMOCRITO (460- 371 a. C.)

Page 39: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

37

Nel 1906, all’atto dell’istituzione dell’IstitutoOstetrico Ginecologico che oggi ne porta il nome,Luigi Mangiagalli previde una biblioteca comenecessario strumento di ricerca e studio; l’impor-tanza di tale biblioteca si accrebbe notevolmentesotto la direzione di un personaggio così celebre evalente. Il direttore del nuovo Istituto portò presti-gio e catalizzò la benevolenza di medici italiani estranieri, non solo ginecologi. A titolo d’esempio,citiamo una Miscellanea lavori di neurologia1889-1923, che raccoglie tutte le pubblicazionidel professor Enrico Rossi, medico primario nelmanicomio provinciale di Milano dal 1923, cheriporta la seguente dedica autografa: Al Sen. LuigiProf. Mangiagalli: A voi, Illustre Maestro diScienza, creatore geniale e munifico donatoredella R. Università di Milano, queste umili memo-rie frutto del mio fervente lavoro.Nel 1928 poco prima della morte, fu lo stessoMangiagalli a donare la parte eminentementemedica della sua biblioteca personale alla clinica,con la dote di ben 200.000 lire, la cui rendita eraespressamente dedicata al mantenimento in buonostato dei fondi librari della clinica. In quello stesso anno, il 1928, l’Istituto e labiblioteca passarono sotto la direzione di EmilioAlfieri, eminente studioso, docente della neonataUniversità degli studi di Milano, nonché grandeappassionato bibliofilo. La personalità e gli inte-ressi di Alfieri si rifletterono sicuramente sullacomposizione e sulla gestione della bibliotecadell’Istituto da lui diretto, tanto da renderlo omo-genea alla sua biblioteca personale, utilizzando lostesso sistema bibliometrico che sostituì a quelloeminentemente topografico prima applicato nel-l’Istituto. La biblioteca di Alfieri costituisce oggiil “Fondo Alfieri”, vero e proprio “tesoro” dell’U-niversità degli Studi di Milano, e si rivela comple-mentare alla biblioteca della “Mangiagalli”. Innu-

merevoli potrebbero essere gli esempi di conti-guità tra le due raccolte librarie ma almeno uncaso merita di essere citato in questa sede. Duran-te il lavoro di smistamento e organizzazione deivolumi della Biblioteca “Mangiagalli” sono statitrovati numerosi opuscoli, appartenenti a raccoltemiscellanee, recanti il timbro “Emilio Alfieri”.Dovrebbero bastarci queste poche indicazioni percapire quanto la biblioteca, già afferente agli Isti-tuti Clinici di Perfezionamento e acquisita oradalla Fondazione IRCCS Ospedale MaggiorePoliclinico, Mangiagalli e Regina Elena, siaimportante e meritoria di attenzione, ma c’è benaltro.Nella biblioteca della Clinica Ostetrico-Ginecolo-gica, erede e continuatrice dell’attività della RegiaScuola d’Ostetricia sono confluiti lungo il volgeredel tempo vari fondi librari, sia delle istituzioni adessa preesistenti o dei vari direttori e professoriche operarono nella pia casa di Santa Caterinaalla Ruota prima, e nel nuovo edificio dell’IstitutoOstetrico ginecologico poi, ma anche di altra pro-venienza. L’importanza della dotazione libraria della RegiaScuola di Ostetricia può essere ben esemplificatada una pubblicazione: La Evoluzione spontaneasorpresa in atto mediante la congelazione per ilprof. Cav. Domenico Chiara, Direttore della R. S.pareggiata di Ostetricia in Milano con 6 tavoledal vero 9/10 della grandezza naturale e testoillustrativo, stampata a Milano presso la Tipogra-fia dei F.lli Rechiedei nel 1878, utile testo diricerca ostetrica della fine del secolo XIX. Tantoraro che solo due esemplari risultano censiti inItalia, uno presso la Biblioteca Reale di Torino,l’altro nella Biblioteca APICE - dell’Universitàdegli Studi di Milano. L’esemplare rinvenuto nelleoperazioni di ordinamento dei volumi, è accompa-gnato dalle note manoscritte del Chiara e dai dise-

Un inaspettato giacimento di sapere: la Bibliotecadell’Istituto ostetrico ginecologico “Luigi Mangiagalli”

LAURA VECCHIO

Page 40: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

gni originali di Angelo Trezzini, utilizzati per larealizzazione delle tavole litografiche della pub-blicazione stessa. Trezzini, patriota e poeta mila-nese, in seguito realizzò per l’Ospedale Maggiorei ritratti dei benefattori Francesco Biffi (1880) eAntonio Chiodo (1897).Dalla Regia Scuola di Ostetricia provengonoanche, a titolo d’esempio, una bella edizionebodoniana: Guillaume de la Motte Mauquest,Trattato generale dei parti naturali, Parma, 1801,e l’opera di Angelo Dolcini, Guida delle levatrici,Bergamo, 1810.Parte integrante del patrimonio ereditato dallaScuola è la redazione degli “Annali di ostetricia eginecologia”, che sin dal 1879, permise un conti-nuo scambio di riviste specializzate con i princi-pali istituti, italiani ed esteri, accrescendo inmodo specialistico e con un respiro internazionaleil già cospicuo patrimonio della biblioteca. Purtroppo, allo stato attuale, le notizie relativealle acquisizioni dei libri sono inesistenti, non viè traccia degli schedari e degli inventari esistentiun tempo. Inoltre, le varie vicissitudini storiche,che videro la biblioteca spostata dalla sede origi-naria fino al completo abbandono presso un depo-sito in via Maffucci, non permettono certo di rico-struire il posseduto attuale o immediatamente pre-cedente a tale spostamento.Fortunatamente, per una la ricostruzione parzialee sommaria della biblioteca, si rivelano di grandeaiuto gli studi di Alessandro Porro, docente di sto-ria della medicina presso l’Università di Brescia.Al professor Porro fu infatti affidata, nel 1988, lariorganizzazione della biblioteca, durante la qualepoté ricostruirne in parte la storia evidenziando,laddove possibile, le provenienze dei volumi. Grazie al suo lavoro abbiamo la descrizione deivari timbri utilizzati e la relativa datazione, oltre aun elenco di monografie con le relative prove-nienze dal XVIII secolo all’Unità d’Italia. Almomento non è stato possibile identificare che unpiccolo numero di tali volumi, ma ciò ci permettedi verificare le provenienze delle donazioni: Brio-schi, Decio, De Cristoforis, Casati, Rocchini eMangiagalli.Per la parte riferita ai periodici, è indispensabilefare riferimento a quanto registrato nel Catalogo

Italiano dei Periodici (ACNP), dove il possedutodella Clinica è dichiarato, anche se in modo par-ziale, fino al 1988. Tra il patrimonio della biblio-teca, si trova un cospicuo numero di testate inter-nazionali già a partire dalla seconda metà del XIXsecolo. Avanzando negli anni il numero dei titolipresenti cresce in modo esponenziale, tanto daraggiungere o forse superare le 200 testate, per unnumero complessivo di più di 10.000 volumi, dicui almeno i due terzi sono formati da riviste pub-blicate a partire dagli anni ’70 dell’Ottocento, sin-tomo evidente della specializzazione dell’istitutogià dai suoi primi anni della fondazione.In questo incommensurabile patrimonio l’Italia èrappresentata nella sua totalità da nord a sud, finoalle isole con i periodici: Giornale medico del-l’Alto Adige; Giornale della Regia Accademia dimedicina di Torino; Liguria medica; Bollettinodella Società medico-chirurgica di Pavia; Gazzet-ta medica di Milano; Bollettino della Società lan-cisiana degli ospedali di Roma.; Bollettino sani-tario delle Puglie, Lucania e Calabria; Gazzettamedica siciliana; Bollettino della Società medico-chirurgica di Catania; Studi sassaresi. A livello internazionale moltissime sono le rivistedall’Europa: British ginecological journal; Revuemensuelle de l´ancienne Union Médicale Franco-Ibéro-Américaine (U.M.F.I.A.); Edinbourgh medi-cal journal.Ovviamente presenti testate dalle Americhe: Ame-rican journal of the medical sciences; Phila-delphia Medical Journal; Archivos de la Sociedadde estudios clinicos de La Habana; Revista medi-ca de Chile; Revista de la Sociedad MedicaArgentina.Non mancano riferimenti perfino dall’Asia: Japa-nese journal of medical sciences; e dall’Austra-lia: University medical magazine of University ofSidney; Journal of the cancer research committeeof the Un. of Sydney. Quest’elenco, seppur sommario e frettoloso,esemplifica la ricchezza del patrimonio contenutoin questa biblioteca. Al momento sono in corso gravose operazioni direcupero e di ricognizione dei materiali. Al di làdelle edizioni antiche e rare, si deve comunquesottolineare la specializzazione e la omogeneità

38

Page 41: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

della biblioteca, caratteristiche che ne fanno oggi,insieme al Fondo Alfieri, una delle maggiori rac-colte sulla ostetricia e ginecologia in Italia.

Biografia

R. Costa, Il nuovo Istituto Ostetrico-Ginecologico di Milano,Milano, Cogliati, 1907, pp. 25-27 (estr. da: Annali di Ostetriciae Ginecologia)

G. Sapori, Il fondo di medicina antica della biblioteca gineco-logica Emilio Alfieri, Milano, Università degli Studi, 1975.

A.Porro, La bibliothèque de la “Clinica Mangiagalli” à Milan,Actes du 4. colloque des conservateurs des musées d’histoiredes sciences médicales. 7 au 10 septembre 1988 Pavia-Milano,Lyon, Fondation Merieux, 1990, pp. 317-319

A. Porro, Volumi appartenuti a Francesco Brioschi, conservatinella Biblioteca della Clinica Ostetrico –Ginecologica “LuigiMangiagalli” di Milano, in Francesco Brioschi e il suo tempo(1824-1897). Saggi. A cura di C.G. Lacaita e A. Silvestri, Mila-no, Franco Angeli, 2000, pp. 435-442.

Arte e medicina. Le suggestioni di una grande collezione libra-ria a cura di G. Bora, G. Garavaglia, D. Spagnolo Martella,Milano, Università degli Studi di Milano, 2006;

ivi in particolare i saggi di:

A. Porro, Il fondo Alfieri, fonte per la storia dell’ostetricia,della ginecologia e della medicina, pp. 203-215

G. Garavaglia, Rivoluzione scientifica, progresso medico e con-dizione femminile nel Fondo librario di Emilio Alfieri, pp.21-36.

39

Page 42: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

Luigi Offeddu Storia del Bene.Figure positive che hanno illumina-to il mondo Collana: storia, storie,memorie. Boroli Editore, Milano2005; pp. 189. Euro 19,00.

Una splendida carrellata su diecipersonaggi - alcuni celeberrimi,altri invece purtroppo passati rapi-damente nell’ombra della memoriacollettiva - che, per stile, un po’ sidiscosta dalle consuete biografie.Di solito, queste mettono in luceindividui il cui carattere, positivo onegativo, ha lasciato una tracciaindelebile oppure appariscente.Luigi Offeddu ha il pregio di farrisaltare alcune persone, fra le diecicitate, che non hanno dedicato l’in-tera esistenza al bene dell’umanità,che non hanno elargito tutti i loroaveri ai poveri, che non hanno com-piuto scoperte tali da migliorare oprolungare la vita ai propri simili,però... con un solo atto di estremocoraggio ed encomiabile forza d’a-nimo hanno portato avanti le pro-prie idee di vero Bene, tali da sacri-ficare materialmente la propria esi-stenza. Quindi, uno spazio di tempoassai limitato, ma talmente incisivoda lasciare un segno in ciò che siintende oggettivamente per “Bene”.Si tratta di magnifici dieci cosìdiversi per nazionalità, età, circo-stanze, carattere, ideali che puòapparire strano accomunarli, matutti ispirano un grande senso diammirazione poiché, ribadiamo,sono “uniti” dal filo variegato delBene.

più fronti, aveva cominciato ilsuo declino), per opporsi con leproprie idee ai sistemi semprepiù oppressivi e repressivi delnazionalsocialismo. Il nome delgruppo è tratto da un raccontodel noto scrittore tedesco ma diorigine italiana Clemens-MariaBrentano (1778 - 1842) esponen-te del Romanticismo germanico.Alcuni universitari iscri t t i amedicina: Hans Scholl (24 anni),Alexander Schmorell (25), Chri-stoph Probst (23), Willi Graf(25), la sorella di Hans, Sophie(21) iscritta al primo anno difilosofia e biologia, insieme conun loro professore Kurt Huber(49), decisero di unirsi e di stam-pare volantini affinché il popolosi svegliasse dal proprio torporeo apatia e aprisse gli occhi sulloscempio che si stava compiendoin Europa contro gente di ogniPaese, coinvolto anche suo mal-grado, nel terribile conflitto bel-lico, compresi perfino molti deglistessi cittadini tedeschi vittimedelle folli prevaricazioni orditedai fanatici e seguaci del regime. Inizialmente, Sophie come quasitutti si era lasciata convinceredalla propaganda e aveva aderitocon un certo entusiasmo alle ini-ziative riguardanti la Hitler-Jugend; ottenendo anche qualchecompito di responsabilità. Poi,sentite le numerose testimonian-ze di soldati tornati dai territorioccupati, si era resa conto delleefferatezze e dei misfatti compiu-

Eppure molti non avevano caratte-ristiche di estrema cordialità, anzi,presentavano sfaccettature o una“corteccia” un po’ spinosa che inrealtà copriva una stupenda tene-rezza interiore. La santità non èesteriorità, né esibizionismo e in unmondo dove il Male domina, essacomunque esiste e c’è. Sebbene proprio per le eclatantidifferenze non siano legati cosìstrettamente l’uno all’altro, io mipermetto suggerire di leggerlisecondo la sequenza ordinata deicapitoli, perché spesso ci si rife-risce ai precedenti per confrontie giudizi, quindi è opportunoconoscere con precisione ciò cheè stato scritto dall’autore in pagi-ne iniziali.Qui si cercherà di non caderenella banalità del r iassunto,comunque di alcuni personaggimeno noti o finiti nel “dimentica-toio”, si accennerà qualche noti-zia biografica o storica, peraltroriscontrabile nel volume, perfocalizzare meglio ogni interpre-tazione.

Alla giovanissima Sophie Schollè dedicato il primo capitolo,assai lungo, esaustivo e il piùcorposo di tutto il libro.Il movimento storico “La RosaBianca” (Die Weisse Rose) erasorto in Germania a Monaco diBaviera e si era sviluppato fral’estate del 1942 e il febbraio1943, (quando la nazione, acausa della belligeranza verso

Recensioni

40

Page 43: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

ti dai suoi connazionali e avevadeciso di dare una svolta diffe-rente alla sua vita. Incurante delpericolo, aveva deciso di osteg-giare il regime. A causa della suatemerarietà e quindi scoperta,aveva mostrato la sua indomitavolontà di giustizia, tanto dasuscitare la perplessità del gerar-ca inquisitore. Anche durante ilbreve processo sommario avevatenuto testa ai giudici del famige-rato “tribunale del popolo” accet-tando con grande coraggio lasentenza che condannava lei e glialtr i al l’esecuzione capitale,mediante decapitazione, peraltroeseguita poche ore dopo. La figu-ra semplice, forse ingenua diSophie, ci mostra come le circo-stanze facciano crescere la deter-minazione in un essere umano amostrare la propria forza divolontà e di equità, prescindendodalle conseguenze. Nel momentoin cui Luigi Offeddu, con grandeefficacia espressiva ci intrattene-va su questi avvenimenti, in Ger-mania e poi in Italia si proiettavauna buona pellicola cinematogra-fica realizzata sullo stesso argo-mento.

Cheikh Sarr, era un muratoresenegalese islamico in possessodi regolare permesso di soggior-no, un nome forse da moltidimenticato, ma che nel giro dipochi minuti di un pomeriggio disabato 14 agosto 2004, sullaspiaggia toscana di Marina diCastagneto Carducci (Livorno)ha dato luogo ad un’esplosionedi accecante bontà. Mentre moltepersone stavano godendosi ore disvago in attesa della festa di Fer-ragosto, un bagnante chiedeva

aiuto in perfetto italiano e anna-spava fra le onde del mare. Nes-suno ci fece caso, eccettuatoCheikh Sarr, il quale senza esita-zione si gettò fra i flutti salvandoil malcapitato e portandolo sullariva: ma nel giro di pochi secon-di, un destino crudele ghermì ilsalvatore, scomparso rapidamen-te nell’acqua, risucchiato dallaforza pelagica. In questa vicenda l’autore ponein risalto due comportamentiestremi: il sublime atto di altrui-smo di un essere umano che dà lapropria vita per salvare quella diun altro sconosciuto e quest’ulti-mo che rimane tale mostrando unegoismo e un’ingratitudine senzapari: perché, ancora oggi, nonconosciamo l’identità del salvato,il quale poco dopo essere statodeposto sulla spiaggia, si è rial-zato andandosene via indifferen-te e freddo, privo di qualsiasislancio di ringraziamento. Cheikh Sarr, piccolo grandeuomo che con il lavoro sostenevala propria famiglia a migliaia dichilometri di distanza, non c’èpiù, ma forse è nel suo paradiso,come eroe per caso.

È superflua ogni presentazioneper Madre Teresa di Calcutta,pseudonimo dell’albanese AgnesGonxha Bojavhiu, dedicatasicompletamente ai più miserabilifra i derelitti.Non proveniva da una famigliapovera e da ragazza non pensavaal proprio futuro fatto di sacrificie di preghiere o di grande noto-rietà. Non possedeva un caratteremite e sottomesso, inoltre fuspesso tormentata da un gravedilemma: è vera umiltà o segreta

41

superbia soccorrere gli altri?Ebbe lunghe crisi spiri tuali ,durante le quali sentiva vacillarela sua vocazione. Questo feno-meno di incertezza, di dubbiricorrenti e di depressione è fre-quente fra coloro che decidono diorientare la propria esistenza alservizio della carità verso il pros-simo, quasi che una potenza con-trapposta, diciamo quella delMale, metta a dura prova la forzad’animo. È assai interessante l’analisi cri-tica che Luigi Offeddu riserva aquesta suora. Ella ha colto i fruttidi una meditazione durata decen-ni, sostenuta da un’energia ecce-zionale. Lei stessa affermava cheè necessario mostrare un visosorridente e disponibilità versoun essere umano in punto dimorte, perché aveva sperimentatoche la dolcezza e la comprensio-ne infondono serenità anche nelmomento della sofferenza piùgrande e del trapasso.Una vita da santa, ma una santitàvissuta nell’esperienza praticaquotidiana, una via di mezzodella regola monastica fra l’Oraet labora dei Benedettini e lamilitanza francescana tutta foca-lizzata sui poveri. Premio Nobelper la pace nel 1979.

Ogni giorno, purtroppo, ci sonopersone vittime di incidenti stra-dali e Paolo Berro, giovane ven-tinovenne di Castelfranco Vene-to, dal maggio 1998 fa parte diqueste. Dopo un lungo periodotrascorso in ospedale, si è salva-to, rimanendo però affetto datetraplegia flaccida, cioè paralisitotale. Una forza incredibile nonsoltanto gli consente di vivere,

Page 44: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

ma anche di studiare e di rendersiutile agli altri. Grazie alla presen-za costante dei suoi genitori e adalcuni strumenti molto particolari,riesce a usare il suo personal com-puter. È professionista Web desi-gner (progettista di reti Internet),laureato in ingegneria meccanica,più nuovi studi in ingegneria logi-stica e delle produzioni, consulen-te del Ministero per l’innovazionetecnologica.Il male che in una sola notte lo haprivato di tutto ciò che facevaprima, lui lo ha trasformato inBene. I suoi studi presso il Poli-tecnico di Torino, effettuati trami-te collegamento telematico (online) e la presenza di un professo-re-tutor gli hanno consentito direalizzare e di brevettare il piùimportante dei suoi progetti: “unacarrozzina per disabili sdoppiabilecon sistema di inserimento scorre-vole e aggancio ad autovettura”.Paolo Berro è sempre circondatoda amici, dimostrando che è “nor-malità” riconquistata anche la vitadi tutti i giorni, senza autocommi-serarsi, ma aiutando gli altri.

“Santo subito!” Con queste parolela folla in lutto assiepata in piazzaSan Pietro il 2 aprile 2005 inneg-giava a papa Giovanni Paolo II, alsecolo Karol Josef Wojtila, polacco.Dopo 27 anni di pontificato,durante i quali aveva sopportatoprove assai dolorose, delle qualitutti siamo perfettamente a cono-scenza, è stato chiamato alla casadel Padre.Quest’uomo semplice, lavoratore,aveva assistito, contribuito e parte-cipato ad eventi storici assai note-voli. Il Bene lo aveva dimostratomettendo in pratica i dettami del

bile, ma in un momento di emer-genza per aiutare rapidamente unsuo collaboratore aveva tralasciatouna precauzione, rimanendo a suavolta contagiato.Dopo una settimana, morì lascian-do la moglie e cinque figli.Diceva che la sua vocazione eraquella di salvare vite ed essersidedicato con amore e passionesincera alla sua missione tanto darimetterci la propria esistenza, è ilsenso del Bene di questo medico ilcui nome era sconosciuto allamaggioranza.

Invece, noto a tutti è un altromedico, Albert Schweitzer, fonda-tore della missione a Lambarenèin Gabon.Lui stesso ha scritto pagine moltotoccanti e molti hanno scritto di lui. Qualcuno lo definisce un “orsogentile”, per quell’aspetto di uomoottocentesco, pronto a curareschiere di lebbrosi, mettendofinalmente in pratica il senso reli-gioso di carità, proprio lui che eralaureato in teologia, ma anchericco di sensibilità artistica incampo musicale. I pochi momentiliberi erano dedicati alla lettura ditesti sacri, a comporre musica e asuonare. Una personalità molto forte, unospirito indipendente, che amavamisurarsi con se stesso, trascuran-do talvolta anche alcuni suoidoveri familiari, ma chi lo haconosciuto personalmente affermadi averlo trovato molto cortese edisponibile.Aver lasciato l’Europa, per tra-scorrere tutta la vita in Africacome medico di gente povera, èstato un grande atto d’amore. Lasua vocazione di aiutare gli altri

Vangelo, andando da buon pastorein giro per tutto il mondo a portarela sua parola e il suo conforto.Un pontefice sempre presente equindi anche criticato dai suoidetrattori che lo consideravanotroppo politicante, forse dimenti-cando che ogni papa è anche capodi uno Stato seppure piccolo comeil Vaticano.Un papa, e in questo caso Giovan-ni Paolo II, prescindendo dalleproprie convinzioni religiose omeno, è una figura troppo impor-tante per poterne esprimere intempi così ravvicinati delle opi-nioni; sicuramente è stato ed èmolto amato, perché il Bene staanche nell’essere una personaumile, vicina al cuore della gente,come lui ha saputo essere.

Soltanto due pagine, ma chedescrivono la grande umanità deldottor Matthew Lukwiya, medicotropicalista, specializzatosi aLiverpool in Gran Bretagna. Il sogno di tornare ad esercitare lamedicina nel suo Paese lo avevaportato a Gulu nell’Uganda setten-trionale, con la qualifica di diret-tore in una missione fondata da uncollega italiano. Nella nazionesconvolta da una guerriglia pseu-do-religiosa, da cannibalismo emagia nera, aveva avuto già occa-sione di offrirsi come ostaggio persalvare una suora e gli era statamiracolosamente risparmiata lavita. Poi era subentrata un’epide-mia di Ebola, un virus responsabi-le della malattia più contagiosa eletale attualmente esistente, chestava uccidendo diverse persone.Matthew Lukwiya, affettuosamen-te soprannominato “dottor Ebola”,aveva tentato di fare tutto il possi-

42

Page 45: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

ha potuto manifestarsi per lungotempo, dal 1918 al 1965, perché èmancato all’età di 90 anni, nellasua missione, lasciando un grandevuoto in noi tutti. Premio Nobelper la pace nel 1952.Anche di Mohandas K. Gandhi,detto il Mahatma, è stato scrittomolto; lui stesso ha lasciato un’au-tobiografia; ma Luigi Offeddu cipresenta alcuni lati del suo caratte-re, poco conosciuti, per esempiol’intemperanza giovanile, l’impul-sività, la gelosia. Ebbe il coraggiodi sfidare la polizia, la galera, lepotenti istituzioni britanniche, per-fino le incomprensioni del suostesso popolo, che alla fine loassassinò. Disse: “Il percorso del-l’amore passa attraverso la provadel fuoco, coloro che tremano dipaura è meglio che rinuncino”. Fuun uomo ricco di contraddizioni,ma queste non fermarono il suocammino, anzi cercò in esse laforza per vincerle, tanto da tra-sformarlo in uno dei più grandiproduttori di Bene mai conosciutidalla storia umana.Gandhi portò libertà e dignità acoloro che lo seguirono, insegnòad avere speranza, inculcò il sensodella giustizia, e quello famosodella non-violenza, diffondendouna specie di “esperanto del bene”una lingua comune come feceroaltri personaggi citati sopra.Albert Schweitzer disse che lafilosofia del Mahatma Gandhi èun mondo in se stessa.

Flavio Marcelli, quarantacinquen-ne, affetto da una forma moltograve di psoriasi, una patologianon contagiosa della pelle, e diorigine sconosciuta, curabile maancora non guaribile definitiva-

tettore dei bambini”. Quest’uomodiceva di aver raggiunto una gran-de gioia, quando poteva stare incompagnia dei suoi orfanelli, per-ché la vita ha valore se vienedonata, e questo è un modo perrinnovarla.

Il valore del libro di Luigi Offed-du consiste anche nelle minuziosericerche di fonti bibliografiche estorico-biografiche che sono riu-scite a farci conoscere soprattuttoaspetti inediti e curiosità di perso-ne più o meno note. La scorrevo-lezza dell’esposizione lo rendeassai avvincente e il carattere tipo-grafico ne facilita la lettura. Unottimo saggio per incrementare ilnostro bagaglio culturale e pertoccare la nostra sensibilità d’ani-mo.

Elisabetta Zanarotti Tiranini

*******

Carlo Lorenzo Cazzullo: Un medicoper la libertà (una testimonianzadella Resistenza a Milano), EdizioniSperling & Kupfer, Milano 2005.

Questo libro è un’analisi minuziosae precisa del proprio ruolo di medi-co e partigiano cattolico nella Mila-no della Repubblica Sociale.Il sottotitolo lo definisce giustamen-te una testimonianza, ma l’opera èqualcosa di più perché si connotacome un’indagine nelle radici delproprio impegno civile, ed è il fruttodi una ricerca negli archivi più per-sonali e privati oltre che in quelli delComune di Milano per trovare i datipiù preziosi e cioè i piccoli appuntiche documentano la quotidianità

mente, diversi anni fa provò ildolore di sentirsi isolato come sefosse un lebbroso. Faceva il came-riere, avrebbe desiderato aprire unristorante suo per stare in mezzoalla gente, invece il destino fudiverso. Le persone che lui fre-quenta quotidianamente sono glianziani malati di un istituto nelVaresotto, dove provvede ad accu-dirli dalle ore 8 del mattino finoalle 19, come volontario. È unmodo per sentirsi utile e nellostesso tempo dispensare del Benead esseri umani più bisognosi opiù sfortunati di lui, perché moltivivono dimenticati. La forza chelo sostiene è costituita da questocontinuo atto di carità, ma ancheda fede e speranza, insomma rie-sce ad avere e a comunicare unagrande serenità.

L’ultimo personaggio descritto èun sacerdote missionario, Clemen-te Vismara (padre del P.I.M.E.Pontificio Istituto delle MissioniEstere), morto nel 1988 all’età di91 anni. Oltre 65 vissuti per liberascelta in Birmania, in una forestadove abbondavano insetti, malat-tie, guerre, rivoluzioni, miseria eun clima caldo umido da sfini-mento. Una delle zone più difficilidove vivere e dove poter evange-lizzare. Clemente, da giovane, erastato in guerra, quindi le avversitànon lo spaventavano, ma qui eraassai duro sopravvivere. Con infi-nito coraggio, pazienza e buonavolontà si mise all’opera cercandodi rendere più decente e decorosala missione e l’organizzazione diedifici così rustici.Per la sua opera infaticabile edencomiabile è in corso un proces-so di canonizzazione quale “pro-

43

Page 46: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

dell’attività partigiana nella Milanooccupata dai tedeschi durante laseconda guerra mondiale e quindinelle primissime fasi della ricostru-zione post bellica.Non si parla quindi d’imprese leg-gendarie ma di continui eroismiquotidiani per contribuire al ritornodella libertà, per salvaguardare ilproprio senso di dignità personale emantenersi vivi.Il lettore confrontato con la vividez-za della memoria indelebile di queigiorni potrà capire che cosa signifi-casse attendere il proprio turno alcontrollo di un posto di blocco conun lasciapassare di medico, mentresi svolgevano azioni partigiane,oppure agire nelle notti buie nellacampagna oscurata dal coprifuoco.Il libro permette di sentire le emo-zioni dell’autore in tutta la lorogamma: verso i propri malati, versola città mortificata dalla guerra,verso la propria famiglia e verso leistituzioni milanesi.Non vi sono concessioni all’odio ealla vendetta e neppure agli aspettipersonali e privati. Si coglie inveceil sentimento etico e la tensione pro-gettuale cui sembra assoggettataanche la straordinaria vitalità di que-sto giovane medico in bicicletta. Èun libro pervaso dalla voglia di rico-noscere e rendere omaggio ai com-pagni di quei tragici e formidabiligiorni. Si coglie lo sforzo di recupe-rarli uno ad uno e ripensarli constraordinario rispetto.Il libro trasmette anche la straordi-naria intensità di quella fase storica,con un rapidissimo susseguirsi dieventi che determinavano continuesituazioni d’emergenza e di riorga-nizzazione.Nell’appendice viene ricostruito ilrapporto tra la ditta tessile diretta dal

Il libro, la cui stesura ha richiestomolto tempo, costanza e grandeimpegno per le molteplici ed accu-rate ricerche effettuate a Milano efuori città presso tante persone esvariati organismi, (peraltro eviden-ziati nella pagina dei ringraziamen-ti), è strutturato in più parti: i cennistorico-sociali della psichiatria edella neurologia italiana e straniera,la biografia e l’opera di EugenioMedea ottenute vagliando moltetestimonianze, una buona iconogra-fia reperita in numerosi archivi e,infine, una ricca bibliografia diconsultazione. Quasi ogni pagina è corredata dacospicue note illustrative per chia-rire al lettore “non addetto ai lavo-ri” termini tecnici o vicende dipersonaggi che hanno avutoinfluenza nella vita di EugenioMedea o in quella dell’umanità.Il protagonista, nato a Varese nel1873, rimasto purtroppo orfano dipadre all’età di soli quattro anni,con la madre si trasferì a Milano.Qui, fin da bambino, visse semprein una famiglia di elevato livellosocio-culturale dove primeggiava-no il prozio Serafino Biffi e lo ziomaterno Angelo De Vincenti ,entrambi medici molto affermatied apprezzati per la loro compe-tenza e senso umano. Frequenti icontatti con numerosi personaggiillustri quali per esempio: CamilloGolgi, premio Nobel per la medi-cina nel 1906, Luigi Mangiagallifondatore degli Istituti Clinici diPerfezionamento e primo rettoredell’Università degli Studi diMilano, Andrea Verga, direttoredell’Ospedale Maggiore di Milano(la famosa Ca’ Granda di viaFrancesco Sforza, oggi sede diateneo). Questi rapporti favoriro-

padre del prof. Cazzullo e gli occu-panti tedeschi, illuminando alcuniaspetti della resistenza nascosta chegli italiani, tra mille pericoli e diffi-coltà, riuscirono a opporre alla pre-potenza disperata dell’invasore. Purambientandosi in quei tragici giornidilaniati dalla guerra, non si avvertemai la paura della morte, parados-salmente, così presente nelle ango-sce di oggi. Lo spirito dell’autore hala forza della gioia di vivere conentusiasmo, temerarietà e sfida. Con“le nuvole nelle tasche dei pantalo-ni” come scriveva Cechov.

Mario Mantero

*******

Elisabetta Zanarotti Tiranini: Laluce nella mente. Eugenio Medea,precursore della Neuropsichiatriae Riabilitazione infantile (1873 -1967). Edizioni La Nostra Fami-glia, Ponte Lambro (Como), 2004,pp. 215 s. p.

Il miglioramento della qualità divita, conferendo dignità e serenitàai bimbi disabili è, come recita iltitolo scelto con cura, l’argomentodi questo saggio edito nel novem-bre 2004 e presentato in occasionedell’inaugurazione del recenteavveniristico VII padiglione non-ché dell’apertura del nuovo repar-to ad alta specialità di Neuroriabi-litazione dell’età evolutiva del-l’IRCCS “Eugenio Medea”-“LaNostra Famiglia” a Bosisio Pariniin provincia di Lecco. Non si trova in vendita nelle libre-rie, ma solitamente i l volumeviene consegnato dietro un’offertacaritativa da devolvere diretta-mente all’Istituto, come espressavolontà dell’autrice.

44

Page 47: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

no la sua scelta di conseguire lalaurea in medicina e chirurgia,presso l’Università di Pavia conuna tesi di neuropsichiatria.Assunto presso l’Ospedale Mag-giore di Milano, vinse alcuni con-corsi che gli permisero di recarsiper qualche anno in Francia, Ger-mania, Austria, Svizzera dove fre-quentò le migliori cliniche medi-co-chirurgiche specializzandosinelle moderne tecniche diagnosti-che e terapeutiche neurologiche,acquisendo fondamentali espe-rienze e allargando il cerchio delleamicizie. Nel 1912, l’inaugurazione delpadiglione “Antonio Biffi” (1),presso il Policlinico di Milano,per la cura delle malattie nervose,lo vide primario e direttore fino al1938 quando andò in pensione perraggiunti limiti di età.Da diverso tempo, però, la suapreoccupazione era quella di dedi-carsi soprattutto al recupero deibambini “minorati”, come si dice-va un tempo.Già durante e alla fine della primaguerra mondiale si era dedicatoalla riabilitazione dei soldati conpostumi psico-neurologici, otte-nendo risultati soddisfacenti pres-so l’Istituto “Anna Borletti” diArosio.Fu promotore e fondatore insiemecon altri suoi carissimi e celebriamici medici, come per esempioSante e Carlo De Sanctis, MariaMontessori, Giuseppe FerruccioMontesano, di diverse scuole spe-ciali e associazioni, nonchédocente alla Regia Universitàdegli Studi di Milano; e poi all’U-niversità Cattolica del SacroCuore di Milano, grazie alle suequalità e alla profonda duratura

l’opera magnifica di questo gran-de benefattore che ha avuto l’asse-gnazione di molti riconoscimenti,benemerenze e premi italiani non-ché stranieri.Oggi, il complesso dei Centri diRiabilitazione La Nostra Famigliae Istituto di Ricovero e Cura acarattere scientifico “EugenioMedea” di Bosisio Parini (Lecco)è strutturato in modo da potercurare ed assistere bambini congravi affezioni neurologiche o psi-comotorie in un ambiente sereno,accogliente, modernamente attrez-zato, ospitare convegni e corsianche universitari , i l tutto dieccellente livello internazionale.

Maurizio De Filippis

amicizia (malgrado la diversità dicarattere) con il rettore, padreEdoardo Agostino Gemelli, giàsuo compagno presso il Collegiouniversitario Ghislieri di Pavia. Fondamentale fu nel 1950, duran-te un convegno, l’incontro condon Luigi Monza e le sue PiccoleApostole della Carità che già ave-vano iniziato a curarsi dei bimbidisabili, grazie anche alla fattivacollaborazione di medici dell’Isti-tuto Neurologico “Carlo Besta” diMilano. Eugenio Medea mise a disposizio-ne tutta la sua scienza, il grandesenso di umanità che lo avevasempre contraddistinto nel contat-to con ogni tipo di paziente egenerosamente le sue risorsefinanziarie, tanto che nel 1963 fuinaugurato il primo padiglione aBosisio Parini (Lecco), al qualenel giro di pochi anni seguì lacostruzione di molti altri. Diverse pagine sono dedicate alladescrizione della sua vita privatache fu molto serena. Il suo matri-monio nel 1902 con Bianca Pisa-ni, figlia di galleristi d’arte aFirenze, nel 1905 fu allietato dallanascita della figlia Alba, tuttoravivente. Questa è stata la testimo-ne più diretta contattata dall’autri-ce. A suo tempo e soprattuttodopo la scomparsa della madreavvenuta nel 1946, Alba ha colla-borato con i l padre che vienedescritto come una persona gio-viale e assai affabile con tutti.Il libro di Elisabetta ZanarottiTiranini, attraverso il reperimentodi documenti inediti e importan-tissimi riportati nel testo, desideraricordare e far conoscere la figuradel medico, (peraltro membro divari e prestigiosi organismi), e

Per informazioni sulle funzioni svoltedall’Istituto e per acquisire il libro:www.lanostrafamiglia.ite-mail: [email protected]

www.e.medea.it e-mail: [email protected] e-mail: [email protected]

Note1 - Il padiglione “Antonio Biffi” fu com-pletamente distrutto dai bombardamentiaerei anglo-americani nell’agosto 1943;era situato dove attualmente ci sono i padi-glioni della dispensa e la Guardia II di Psi-chiatria.

45

Page 48: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

46

atteggiamento intonato alla maggiore riservatez-za: anche, occorrendo, nei confronti dei familiaripiù stretti se costoro - per insensibilità o per unasorta di rusticitas - non appaiano idonei ad unaassistenza responsabile del malato.Inutile insomma, e soprattutto estremamente dan-noso provocare possibili sofferenze morali inpazienti che si sa non essere in grado di sopporta-re e superare, qualora la manifestazione della dia-gnosi risultasse perfettamente indifferente sotto ilprofilo della efficacia della terapia adottata.A questo orientamento si è venuto gradatamentesostituendo - sotto l’evidente influsso di una pras-si largamente seguita oltre oceano - l’indirizzonettamente opposto che, condannando ogni formadi nascondimento della verità in quanto aperta-mente lesivo della dignità della persona delpaziente, afferma viceversa l’utilità pratica dellaconoscenza della vera diagnosi, la quale, lungi dalpoter essere qualificata unicamente come possibi-le fonte di dannosa depressione psicofisica o addi-rittura di disperazione, si appalesa piuttosto comelo strumento più valido per evitare che il paziente,ignaro della realtà che lo riguarda, eluda o cerchiquantomeno di allentare una terapia ritenuta trop-po pesantemente impegnativa, per un verso e, perl’altro verso, addirittura superflua se proiettatanell’ottica della “diagnosi” di comodo compia-centemente escogitata per aggirare la comunica-zione al paziente della verità.Conoscere la diagnosi (quella vera) è d’altrondeun diritto preciso del malato, non rispettando ilquale si rischia di indurre la persona coinvolta

Dal Passato

La verità al malatoALBERTO CRESPI

Quello della “verità al malato” era, fino a pochidecenni or sono, un problema che neppure siponeva, o che, comunque, se fosse stato sollevatoera semplicemente per decidere se in qualche spo-radico caso si potesse, oppure no, comunicare alpaziente la vera diagnosi. Trattavasi quindi,sostanzialmente, di eccezioni alla regola d’ordinegenerale della massima riservatezza: era infatticonvincimento diffuso che tanto più efficacesarebbe risultata la terapia quanto meglio si fosseriusciti ad allontanare dal paziente inutili allarmi-smi sulla reale natura del processo morboso, non-ché sull’effettiva portata delle sue conseguenze.Svelare al malato la diagnosi (e la prognosi) puòinvero comportare - questo l’assunto di base -preoccupanti stati d’ansia, quando non anche didisperazione, che soltanto poco o nulla gioverebbe-ro al paziente ma potrebbero anzi portare a un com-plessivo peggioramento delle sue condizioni gene-rali: con ovvia ricaduta su quanti, familiari e perso-nale sanitario, provvedono alla sua assistenza.Un atteggiamento di radicale chiusura, dunque,nel dichiarato interesse del paziente quante voltela conoscenza della diagnosi non costituisca l’in-dispensabile presupposto per una sua più efficace(e non sostituibile) collaborazione nella scrupolo-sa osservanza delle prescrizioni terapeutiche. Inaltri termini, un paziente “sereno”, non turbatocioè dal timore dell’irreversibilità della propriamalattia, rende più agevole l’assistenza da partedel medico curante, e se quella “serenità” nonfosse altrimenti raggiungibile se non mediantel’occultamento della verità si giudica doveroso un

Page 49: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

nella malattia a provvedere ai propri interessisecondo schemi e modalità irrimediabilmentediversi da quelli che il paziente avrebbe viceversaverosimilmente seguito se avesse avuto piena con-sapevolezza del proprio effettivo stato di salute. Eprecisamente a questo riguardo non si manca disottolineare quanto gravi potrebbero essere leconseguenze di carattere patrimoniale a carico delmedico curante che avesse tenuta nascosta la dia-gnosi qualora il paziente, illuso in tal modo circale concrete chances di sopravvivenza, avesseintrapreso iniziative, anche non necessariamentedi carattere tipicamente imprenditoriale, rivelatesipoi rovinose per i familiari superstiti a causa dellamorte del congiunto da costui non prevista, néprevedibile, proprio per la mancata conoscenzadella natura della malattia.Un diritto dunque, quello del paziente, che nonpotrebbe plausibilmente essere pretermesso perun malinteso senso di pietà nei suoi confronti.

Tanto l’uno che l’altro dei suesposti orientamentihanno un’anima di verità, perché pur movendo daposizioni chiaramente contrastanti si propongonoentrambi di corrispondere al meglio a quella che èla finalità dell’attività medico-chirurgica: la guari-gione del paziente.Ma pur nell’apparente loro netta divergenzaentrambi i contrapposti indirizzi risultano tuttaviaapparentati da un elemento comune, quale l’asso-luto apriorismo a sfondo “regolamentare” chesembra voler tassativamente escludere, in capo almedico, qualsivoglia apprezzamento discrezionalenella valutazione del singolo caso e delle conse-guenti scelte concernenti non soltanto la terapiada adottare ma altresì le modalità da seguire con-cretamente nella assistenza del malato stesso:modalità alle quali appartiene sicuramente anchela partecipazione, o meno, al paziente di quantoriscontrato a suo carico nel corso degli accerta-menti diagnostici.I surriferiti criteri, pertanto, se rigidamente appli-cati sono entrambi inaccettabili. E non può essereloro riconosciuta alcuna validità perché non ten-gono il minimo conto della enorme variabilitàdelle circostanze nelle quali, di fatto, il medico èvolta a volta chiamato a prestare la propria opera:

l’ambiente familiare del paziente, la sua attivitàprofessionale, l’utilità ovvero la pericolosità, perla salute dello stesso paziente, nel tacere come nelpartecipare l’esito degli accertamenti diagnosticia seconda della solidità o precarietà dell’equili-brio psichico del malato, dipenda poi quella soli-dità o precarietà della malattia accertata piuttostoche da fattori esterni; per tacere delle caratteristi-che specifiche della malattia e, conseguentemen-te, del tipo di assistenza richiesto. Un ventaglio disituazioni e di ipotesi, dunque che non consentesoluzioni rigidamente uniformi nell’uno e nell’al-tro senso, imponendo esso, all’opposto, una atten-ta riflessione sulla linea di condotta più opportu-na: che non potrà non essere necessariamentemutevole, adattata cioè alla molteplice variabilitàdelle circostanze alla stregua delle quali deveessere ponderatamente assunta la decisione delmedico.Si tratta pertanto di stabilire, fin dove possibile, deipunti di riferimento in grado di dare al medico lanecessaria sicurezza allorquando si trovi a doverdecidere se tacere oppure informare e, in quest’ulti-ma ipotesi, con chi materialmente conferire.

Un primo criterio direttivo è certamente offertodalla natura della malattia, e in particolare dallaentità e qualità del conseguente impegno terapeu-tico. Volendo esemplificare, parrebbe alquantoevidente la difficoltà di sottoporre il malato a untrattamento chemioterapeutico senza averlo pre-ventivamente e compiutamente informato sullapatologia che ne mina l’esistenza: a parte i pesantieffetti collaterali collegati alla surriferita terapia,questa esige comunque la massima collaborazioneda parte del paziente, collaborazione che puòessere assicurata solo se si è pienamente consape-voli tanto della diagnosi quanto della prognosi. Equesto vale per qualsiasi altra terapia, più o menoinvasiva, che presenti una certa oggettiva rischio-sità: il paziente deve infatti essere messo nellacondizione di poter consapevolmente scegliere frala certezza di un exitus a più o meno breve sca-denza, e la possibilità di un immediato verificarsidi quello od altro evento avverso.Lo stesso dicasi per quelle patologie - tipiche inproposito, le malattie cardiovascolari - per le

47

Page 50: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

quali la richiesta collaborazione del malato consi-ste soprattutto in un mutamento, più o meno radi-cale, del regime di vita: una dieta particolarmentesevera o la proibizione di tutta una serie di attivitàfisiche o stressanti, pur del tutto normali per unsoggetto sano, non avrebbero invero alcuna garan-zia di rigorosa osservanza al di fuori di una cor-retta e non ambigua informazione al paziente e aisuoi familiari (destinatari pur sempre di un doveredi vigilanza sulla esecuzione della terapia da partedel congiunto).

Qualche “distinguo” sembra invece suggerire iltrattamento propriamente chirurgico allorquandoad esso non faccia seguito una terapia del tipo diquelle testè riferite.Vi sono infatti interventi chirurgici che lascianopoco spazio all’immaginazione per intuirne lafinalità: tale, a esempio la mastectomia radicale,stante l’estrema rarità di una sua esecuzione incaso di tumore mammario benigno. In simili eve-nienze la comunicazione della diagnosi al pazien-te è d’obbligo, considerata altresì la frequenza delricorso alla chemioterapia dopo l’intervento.Diversamente, sempre esemplificando, si presentainvece un intervento di nefrectomia, non potendo-si escludere l’asportazione del rene non più fun-zionante anche all’infuori della presenza in locodi un ipernefroma: il collegamento fra interventochirurgico e malattia sistemica risulta infatti assaimeno frequente in questa ipotesi rispetto a quellaprecedentemente prospettata. Per cui una diagnosidi tumore maligno, anche se non venga dispostain aggiunta all’intervento la chemioterapia, puòugualmente essere comunicata al paziente, previotuttavia un accurato controllo della sua persona-lità psichica: il trauma che può essere cagionatoda una informazione di questa specie non è cosada sottovalutare, soprattutto in un soggetto neuro-labile e fisicamente debilitato.Un atteggiamento improntato alla maggiore cau-tela è d’altronde tanto più necessario non appenasi rifletta che ai soggetti operati per tumore mali-gno non viene per ciò stesso imposto un particola-re regime di vita diverso da quello suggerito aipazienti operati per tumore benigno, né soprattut-to, i primi risultano bisognosi di assistenza posto-

peratoria diversa rispetto ai secondi: si tratta anzidi ipotesi contrassegnate da una prescrizione fon-damentalmente comune, quale la sottoposizione acontrolli periodici per verificare eventuali evolu-zioni del processo morboso.Tutte situazioni, in definitiva, che nessun regola-mento potrebbe pretendere di disciplinare impo-nendo d’autorità il da farsi e sottraendo la valuta-zione di quanto maggiormente interessa alla salu-te del malato all’unica persona in grado di prov-vedervi, ossia al medico.

Può altresì accadere che la malattia diagnosticata,per la specifica sua natura oppure per essere stataindividuata in uno stadio ormai avanzato, nonconsenta più alcuna terapia se non quella diretta arendere meno dolorosa la sopravvivenza in attesadi un exitus ormai non lontano, ancorché nonimminente. In simili circostanze potrebbe alloraverificarsi che sia lo stesso malato a chiedereespressamente al proprio medico di essere esatta-mente informato sul risultato degli accertamentidiagnostici; così come potrebbe ben darsi il casoche, indipendentemente da una richiesta ad hoc,sia la stessa attività lavorativa svolta dal pazientea suggerire al medico l’opportunità di comunicarequei risultati, considerata l’utilità che la cono-scenza di essi da parte della persona coinvoltapresenta per la tempestiva sistemazione dei propriaffari ed interessi. L’ipotesi di scuola - già pro-spettata in premessa - è quella dell’imprenditoreche mette in cantiere progetti industriali di ampiorespiro che tuttavia, a causa della propria gravemalattia, non potrà sicuramente portare a compi-mento: con ripercussioni disastrose sul piano eco-nomico-finanziario tanto per l’impresa quanto pergli eredi dell’imprenditore, non in grado di succe-dere al paziente nella direzione e gestione dellasocietà.Il criterio al quale il medico dovrà uniformare ilproprio comportamento non potrà evidentementecoincidere con quello individuato nelle ipotesiprese precedentemente in considerazione, nellequali l’indispensabilità della collaborazione daparte del malato finiva coll’imporre inevitabil-mente la comunicazione della diagnosi e dellaconseguente prognosi. Esaurita perciò ogni possi-

48

Page 51: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

bilità, da parte della scienza e della esperienzamedica, di allungare i tempi della sopravvivenzamigliorandone nel contempo la qualità, la sceltadella linea di condotta non potrà che essere rimes-sa, totalmente, alla esclusiva valutazione che ilmedico riterrà di dover fare caso per caso, scar-tando tutte quelle soluzioni idonee non già a recu-perare l’irrecuperabile bensì a compromettere leresidue possibilità di una sopravvivenza appenatollerabile.Al malato terminale che chiede di conoscere ildestino che lo riguarda il medico potrà pertantofornire l’informativa richiesta, se ciò risponde allapropria coscienza: e nessuno potrà per questocondannarlo. Alla censura si sottrarrebbe peròanche la decisione di senso opposto, quante volteil medico dovesse aver ragione di temere che ilpaziente, consapevole della propria sorte, potreb-be peggiorare ulteriormente le proprie condizionirifiutando la prosecuzione della terapia del doloree accordando invece preferenza alla soluzione cheponga immediatamente termine alla propria vita.Risvolti un poco più problematici presenta l’ipo-tesi del malato (terminale, per lo più) che svolgaattività imprenditoriale, quando il medico curanteabbia avuto cognizione, per esserne stato informa-to dallo stesso paziente o dai suoi familiari, deiprogetti industriali in corso di elaborazione o giàin fase di attuazione. Nessun problema se il mala-to-imprenditore nulla chieda del proprio statooppure, pur chiedendo notizie precise, i familiarivietino comunque al medico di svelare al lorocongiunto gli elementi diagnostici e prognosticidella sua malattia: in questo caso, infatti, il medi-co nulla potrà ovviamente riferire al malato. Unproblema sorge invece quando siano i familiari ainvitare il medico affinché informi compiutamen-te il paziente circa il proprio stato, e il mediconon sia affatto d’accordo: la conflittualità fra gliopposti punti di vista non potrebbe essere risoltada parte del medico dissenziente invitando a pro-pria volta i familiari del malato a procedere essistessi a informare il loro congiunto. È d’altraparte un dato di esperienza che il più spesso ilfamiliare non solo per mancanza di quella prepa-razione che sa trovare le parole adatte al momentoopportuno ma anche per la naturale emotività che

49

Bibliografia

1 - Riz R. Il consenso dell’avente diritto. Padova Ed. Cedam1979 299-429

2 - AAVV. La responsabilità medica (Collana della RivistaResponsabilità civile e Previdenza. n 1). Milano, Giuffrè, 1982129-46.

3 - AAVV. Il consenso informato. Tra giustificazione per ilmedico e diritto del paziente. Santosuosso A (a cura di). Mila-no, Raffaello Cortina Editore, 1996.

.

lo attanaglierebbe nel farsi portatore di similimessaggi, sarebbe in ogni caso il soggetto menoidoneo. E il medico non può non renderseneconto. E l’eventuale insistenza nel proprio rifiutoa fare quanto chiestogli dai familiari finirebbecoll’esporre il medico a pesanti responsabilità diordine patrimoniale qualora, in seguito alla mortedel paziente l’azienda dovesse cadere in dissesto acausa delle operazioni finanziarie che risultasserointraprese dall’imprenditore per mancata consape-volezza delle proprie condizioni di malato termi-nale. Il medico dovrà dunque riferire puntualmen-te al paziente ogni elemento utile a persuaderlodella inopportunità della assunzione di impegnifinanziari che i familiari non sarebbero poi ingrado di gestire e di onorare: un compito non faci-le, e alquanto scomodo, forse il più difficile eingrato di tante “complicanze” operatorie.Ma è parte integrante della professionalità e dellacultura del medico assumersi anche quelleresponsabilità che egli sa bene essere il solo nontanto a poter portare quanto, e soprattutto, a saperportare.

Page 52: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

50

Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione ha,tra altro, adottato le seguenti deliberazioni:- ratifica dell'ordinanza presidenziale d'urgenza n. 4 del3 marzo 2006;- regolamentazione interna relativa al sistema preven-zione della Fondazione ex D. Lgs n.626/94;- accettazione della donazione di apparecchiaturediverse da parte dell'Associazione per il BambinoNefropatico” (ABN Onlus) da destinare alla Clinicapediatrica De Marchi della Fondazione (euro71.300,55 oltre Iva).

a - direzione amministrativa- regolamento per il funzionamento dei dipartimentiassistenziali;- donazione di euro 10.800,00 da parte dell'Associazio-ne “Progetto Alice” per l'acquisizione di una strumen-tazione da destinare al laboratorio di genetica moleco-lare della Fondazione;- partecipazione della Fondazione alla Fondazione“Scuola per la formazione professionale di dirigenti,quadri, funzionari degli Enti locali e delle loro parteci-pate”.

b - unità operativa progetti speciali e processi ammi-nistrativi- approvazione del progetto preliminare relativo allarealizzazione dell'Istituto Nazionale di Genetica Mole-colare c/o il padiglione “Romeo ed Enrica Invernizzi”.

c - unità operativa patrimonio- successione Giuseppina Fossati; legato disposto infavore dell'IRCCS Ospedale Maggiore.

d - unità operativa funzioni tecniche- approvazione del progetto esecutivo per la ricostru-zione del padiglione Monteggia;- modifica ed ampliamento dell'intervento di ristruttu-razione del padiglione Guardia/Accettazione.

Il Direttore generale della Fondazione ha, tra altro,adottato le seguenti determinazioni:

a - direzione amministrativa- accordo tra Les Heures - Fundaciò Bosch i Gimpe-ra, Universitat de Barcelona per l'effettuazione ditirocini nell'ambito del master in donazione e tra-pianto di organi, tessuti e cellule;- convenzione con l'Università degli Studi di Paviaper lo svolgimento di tirocinio pratico post laureamper l'ammissione all'esame di stato per l'abilitazioneall'esercizio della professione di psicologo;- interventi operativi per la promozione della salute edella sicurezza nei luoghi di lavoro in Lombardia peril triennio 2004-2006: piani attuativi locali e incari-chi di collaborazione;- istituzione di un centro di ricerca universitario perlo studio delle leucemie: autorizzazione;- servizio di medico competente ai sensi del D. LGS626/94: determinazioni;- determinazioni in ordine alla nomina del coordina-tore del nucleo di gestione del rischio (“risk mana-ger”) e del coordinatore del comitato di valutazionedei sinistri;- riordino e ricollocazione dell'archivio remoto car-telle cliniche della Fondazione presso la strutturaantistante l'Abbazia di Mirasole;- esito della trattativa privata per l'assegnazione inconcessione del servizio di biglietteria aerea-ferro-viaria-marittima e servizi accessori all'interno dellaFondazione.

b - unità operativa risorse umane- assunzione a tempo indeterminato di tre dirigentimedici nella disciplina ginecologia-ostetricia;- selezioni interne varie per dieci assunzioni a tempoindeterminato di personale amministrativo;- selezioni interne per copertura dei sei posti diamministrativo;

Cronache amministrative

primo trimestre 2006a cura del Consiglio di Amministrazione

e del Direttore generale della Fondazione IRCCS OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena

Page 53: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

51

- selezioni interne per la copertura di nove posti di col-laboratori amministrativi e tecnico professionali;- concorsi e indizione di selezioni per copertura atempo determinato di posti di dirigente medico e colla-boratori professionali sanitari.

c - direzione scientifica- attività di collaborazione Italia-Cina: borse di studioper ricercatori cinesi;- premi di ricerca a favore del Centro emofilia e trom-bosi “A. Bianchi Bonomi” dell'Ospedale Maggiore diMilano da parte della Bayer Healthcare LLC - Biologi-cal products division per lo svolgimento del program-ma di ricerca “Trattamento con interferone pegilato eribavirina in pazienti emofilici con epatite cronica daHCV ed infezione da HIV”: variazione dell'importostanziato alla cooperativa Alekos per la conduzione diun incarico di consulenza;- accettazione del contributo di euro 40.800,00 messo adisposizione dalla Società Air Liquide Sanità ServiceSpa per l'esecuzione del progetto di ricerca “Progetti diricerca presso la Milano Cord Blood Bank/Biobancanazionale italiana” sotto la responsabilità scientificadel dott. Paolo Rebulla presso l'Unità operativa Centrotrasfusionale e di immunologia dei trapianti;- progetto di ricerca: “Ricerca e sviluppo di sonde fluo-rescenti per analisi multi-parametrica di patologia sucromosomi umani mediante tecnica Fish (Fluorescen-ce in situ Hybridization)” finanziato da Euroclone Spa:accettazione del contributo e autorizzazione alla sotto-scrizione del contratto di ricerca;- collaborazione dell'U.O. Neuroradiologia diagnosticaed interventistica della Fondazione IRCCS OspedaleMaggiore ai progetti di ricerca corrente 2005 e 2006dell'IRCCS “E. Medea”;- conferimento di un incarico a progetto nell'ambito delprogetto di ricerca finanziato dal Ministero della Salu-te: “Attivazione del laboratorio per la caratterizzazionee tipizzazione delle cellule linee cellulari e del materia-le biologico conservati nella criobanca Stembank” aldott. Luigi Civitano;- ricerca finalizzata 2002 “Progetto nazionale integratoper lo studio, la prevenzione e la cura dell'epatopatiacronica” (convenzione n. 188); coordinatore prof. Fer-ruccio Bonino, parziale utilizzo del finanziamento;- collaborazione a programmi e progetti di ricerca vari;- accettazione del contributo di Euro 70.000,00 messoa disposizione dalla Fondazione per la ricerca e la tera-

pia urologica Onlus (RTU) per l'esecuzione del proget-to di ricerca “Dimissione protetta” sotto la responsabi-lità scientifica del prof. Francesco Rocco;- progetto di ricerca “Studi e ricerche sulle tecniche dicrioconservazione dei gameti e degli embrioni orfani”assegnato dal Ministero della Salute, responsabilescientifico locale il dott. Paolo Rebulla: istituzione eassegnazione di una borsa di ricerca sul tema n. 3;- accettazione del contributo di Euro 100.000,00 messoa disposizione dal signor Aldo Antognozzi per l'esecu-zione del progetto di ricerca “I macronoduli epatocitarinella cirrosi epatica come predittori dello sviluppo diepatocarcinomi”. Studio clinico-sperimentale sotto laresponsabilità scientifica del prof. Massimo Colombo,U.O. gastroenterologia: assegnazione di una borsa diricerca sul tema 1;- assegnazione di borse di studio e ricerca varie;- collaborazione della Fondazione al progetto di ricercafinalizzata 2004: “Trapianto di cellule staminali emo-poietiche e mesenchimali per scopi di terapia cellularesostitutiva, riparativa e rigenerativa; convenzione n.120assegnata dal Ministero della salute all'IRCCS Policli-nico San Matteo”: istituzione di una borsa di ricercasul tema n.1.- progetto a concorso 2005 n.15 cod. 230/08: “Lamalattia di Alzheimer: analisi genetica e biochimicaper l'identificazione di potenziali poteri di fattori dirischio per la diagnosi precoce e lo sviluppo di nuoviapprocci terapeutici”; responsabile scientifico dott.Elio Scarpini, assegnazione di una borsa di ricerca;- accettazione del contributo di Euro 15.000,00 dispo-sto dalla Società Pfizer Italia srl per l'esecuzione delprogetto di ricerca “Attività di ricerca nel campo delleinfezioni respiratorie, della bronchite cronica e dell'a-sma bronchiale” sotto la responsabilità scientifica delprof.Francesco Blasi, U.O. Broncopneumologia;- progetto di ricerca “Early innovative diagnostic pro-cedures of lung cancer progression” finanziato dall'As-sociazione Italiana per la ricerca sul cancro (AIRC);sostituzione del responsabile e istituzione di due borsedi ricerca sui temi nn. 3 e 4;- progetto a concorso 2005-2006 n. 5 cod. 170/04:“Linfomi della zona marginale e linfoplasmaticiHCV correlati: caratterizzazione fenotipica, moleco-lare e risposta alla terapia antivirale”: borsa di ricer-ca sul tema n. 1 istituita con determinazione n. 2678del 16.11.2005: riapertura del concorso a seguito dirinuncia;

Page 54: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

l'introduzione di tolleranza al trapianto di cellule sta-minali emopoietiche”, convenzione n. 122 assegnatadal Ministero della Salute all'IRCCS FondazioneCentro San Raffaele del Monte Tabor: assegnazionedi due borse di ricerca sui temi nn. 1 e 2.

d - direzione sanitaria- servizio di farmacovigilanza, di vigilanza sui pro-dotti farmaceutici, sui dispositivi medici in generalee sui dispositivi medico-diagnostici in vitro.

e - unità operativa progetti speciali e processiamministrativi- appalto lavori di restauro dell'Abbazia di Mirasole:completamento funzionale dell'edificio con porticatoe stalle ad uso quadreria e delle case coloniche corposud-est: approvazione certificato di collaudo e deter-minazioni in ordine alle riserve dell'impresa esecutri-ce dei lavori;- ultimazione dei lavori di restauro dell'Abbazia diMirasole: approvazione del progetto esecutivo delleopere edili e impiantistiche;- gara mediante pubblico incanto per l’assegnazionein gestione del servizio di rivendita di giornali e rivi-ste nei padiglioni del presidio Ospedale MaggiorePoliclinico per la durata di otto anni; aggiudicazione;- aggiudicazione della gara mediante pubblico incan-to per l'assegnazione in gestione del servizio dirivendita di giornali e riviste all'interno dei padiglio-ni del presidio Mangiagalli - De Marchi per la duratadi quattro anni.

f - unità operativa approvvigionamenti- prog. concorso 2005: acquisto di un videomediasti-noscopio per l'unità operativa chirurgia generale I,pad. Zonda;- indizione di pubblico incanto per l'acquisizione diun sistema PET-CT e di un sistema Spect a doppiatestata da installare presso il servizio di Medicinanucleare;- aggiudicazione della licitazione privata per la forni-tura di un sistema polifunzionale Flat panel per dia-gnostica in ambito vascolare, un impianto radiologi-co biplanare Flat panel per diagnostica neurovascola-re, un sistema di archiviazione delle immagini e rela-tive opere edili e impiantistiche da installare per l'u-nità operativa Neuroradiologia diagnostica e inter-ventistica;

- progetto a concorso 2006-2007 n. 11 cod. 190/04:“Incidenza, quadri clinici e di laboratorio della sin-drome di Willebrand e di altri difetti acquisiti dell'e-mostasi in pazienti con malattie linfo-mieloprolifera-tive”: borsa di ricerca sul tema n. 2 istituita condeterminazione n. 2849 del 1.12.2005, riapertura delconcorso a seguito di rinuncia;- contributo messo a disposizione dalla Lega italianaper la lotta contro i tumori (sezione di Napoli) allaFondazione per l'esecuzione del progetto di ricerca:“Il ruolo dell'infezione occulta da HBV nello svilup-po del carcinoma epatico: valutazione dell'interazio-ne con il virus HCV e con la dieta”, responsabilescientifico prof. Massimo Colombo, U.O. Medicinainterna 3, parziale utilizzo del finanziamento;- assegnazione di finanziamenti per progetti di ricer-ca corrente 2006: istituzione di 145 borse di ricerca ericerca corrente 2006, borse di ricerca istituite condeterminazione n. 2718 del 18.11.2005: approvazio-ne dei verbali di concorso e conseguente assegnazio-ne di n. 138 borse di ricerca: parziale rettifica delledeterminazioni n. 2718 del 18.11.2005 e n. 3164 del30.12.2005;- accettazione del contributo di Euro 70.000,00messo a disposizione dalla Fondazione per la ricercae la terapia urologica onlus (RTU) per l'esecuzionedel progetto di ricerca “Dimissione protetta”: parzia-le rettifica della determinazione n. 282 del 2.2.2006;- finanziamento per studi e ricerche sulle tecniche dicrioconservazione dei gameti e degli embrioni orfanipresso il Centro trasfusionale, assegnato dal Ministe-ro della Salute;- convenzione n. CS 137 per lo svolgimento del pro-gramma di ricerca: “A bank of extensively characte-rized human stem cells suitable for in vitro studiesand for therapeutic purposes (stembank 2003)” nel-l'ambito del progetto dal titolo “Programma naziona-le delle cellule staminali”, proposto dall'IstitutoSuperiore di Sanità: assegnazione di due borse diricerca sui temi nn. 2 e 22;- progetto di ricerca dal titolo “Global gene-expression profiling of multiple myeloma: insightsinto the bio-clinical diversity of the disease” finan-ziato dall'AIRC; responsabile scientifico il dott.Antonino Neri: assegnazione di una borsa di ricer-ca sul tema n.3;- collaborazione della Fondazione al progetto diricerca finalizzata 2004: “Approcci innovativi per

52

Page 55: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

- aggiudicazione della trattativa privata per l'acquisi-zione di: uno stimolatore per ionoforesi da installarepresso il laboratorio di Patologia clinica (Clinica delLavoro Devoto), e di una bilancia analitica da instal-lare presso il Centro Fibrosi cistica - Clinica DeMarchi, mediante utilizzo dei fondi stanziati dallaGiunta Regionale della Lombardia al Centro di rife-rimento regionale per fibrosi cistica;- trattativa privata per la fornitura di materiale perneuroradiologia diagnostica vascolare ed interventi-stica: approvazione bozze del contratto di contodeposito per spirali Matrix distribuite dalla dittaBoston scientific e spirali Cerecyte/Micrus distri-buite dalla ditta AB medica;- trattativa privata per l'acquisizione di cinquecontenitori criobiologici da trasporto da utilizzarepresso l'unità operativa Centro trasfusionale e diimmunologia dei trapianti “Banca del sangue pla-centare”: rettifica di alcune specifiche tecnichedel capitolato.- aggiudicazione di trattative private per l'acquisi-zione di diverse apparecchiature e di attrezzaturenecessarie al Centro di riabilitazione visiva degliipovedenti mediante l'utilizzo dei fondi stanziatidalla Giunta Regionale della Lombardia con decre-to n. 23429 del 29.12.2004- indizione di trattativa privata per la fornitura diarredi e attrezzature varie da destinare al nuovoreparto fibrosi cistica adulti presso il padiglioneSacco dell'Ospedale Maggiore;- indizione di trattativa privata diretta per la fornitu-ra di endoprotesi per la riparazione endovascolaredegli aneurismi aorto-iliaci della aorta toracica.

g - ufficio formazione e aggiornamento - direzionescientifica- istituzione di un fondo da destinare alla formazio-ne e all'aggiornamento del personale dell'OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina ElenaFondazione IRCCS.

h - unità operativa funzioni tecniche- appalto per “demolizione, scavi e formazioneparatie e piano di fondazione” del padiglione Mon-teggia: autorizzazione al subappalto;- indizione gara d'appalto mediante pubblico incan-to per la ristrutturazione del padiglione Monteggia(fase di ricostruzione);

- appalto per la manutenzione straordinaria dell'Ospe-dale Maggiore di Milano: autorizzazione al subappalto;- aggiudicazione trattativa privata per la fornitura el'installazione di impianti di condizionamento dell'a-ria per i laboratori prefabbricati presso il padiglioneMarangoni.

i - unità organizzativa sviluppo e promozione- convenzione con enti e istituti vari.

l - settore libera professione- convenzioni per l'espletamento di attività libero pro-fessionali varie.

m - ufficio relazioni con il pubblico- convenzione con l'Associazione per il bambino inOspedale (ABIO).

n - servizio beni culturali- interventi di manutenzione straordinaria su beni cul-turali dell'Ospedale Maggiore di Milano nell'anno2006.

o - servizio prevenzione e protezione- affidamento della fornitura e posa in opera di mezziantincendio presso il presidio Mangiagalli ReginaElena.

p - unità operativa sistemi informativi e informatici- estensione del contratto con la società Telecom ItaliaSpa per la fornitura e gestione della rete fonia dati allestrutture del presidio Mangiagalli Regina Elena dellaFondazione.

q - contributi e beneficenzaÈ stato donato un personal computer Fujitsu SiemensP 320 dalla Società Gamma Servizi per l'unità operati-va di Medicina nucleare.

Per la continuità di questa rivista concorre ancheuna disposizione testamentaria della benefattriceGemma Sichirollo.

Page 56: la ca’ granda - Policlinico di Milano · “La cura del malato - Il mondo dell’anziano”. Una lezione professionale e di vita già nel titolo, e chiara la disponibilità del

Direzione, redazione, amministrazione: 20122 Milano, via F. Sforza, 28 - telefono 02-5503.8311/02-5503.8376

Sped. abb. post. 70% - filiale di Milano


Recommended