8 La conciliazione stragiudiziale societaria
ex artt. 38 – 40 del d. lgs. n. 5/2003.
Cenni sulle tecniche di negoziazione.
avv. Alessandra Bellandi (Avvocato in Milano – Conciliatore societario – Studio Legale Dalmartello)
Sommario: 1.- Normativa di riferimento e definizione di conciliazione stragiudiziale societaria. 2.- Ambito di applicazione. 3.- Volontà delle parti. 4.- Gli organismi di conciliazione ed il loro regolamento. 5. – Il procedimento conciliativo ex art. 40. 6.- Il verbale di conciliazione e le agevolazioni fiscali. 7.- Tipi di negoziazione. 8.- Prima del negoziato: quattro concetti chiave. 9.- La fase di negoziazione: due metodi a confronto. 10.- Il negoziato dei criteri obiettivi (o negoziato dei principi).
1.- NORMATIVA DI RIFERIMENTO E DEFINIZIONE DI CONCILIAZIONE
STRAGIUDIZIALE SOCIETARIA - La conciliazione può essere definita come una negoziazione facilitata sotto il controllo di un terzo
neutrale, il conciliatore, con lo scopo di guidare le parti al
raggiungimento di un accordo satisfattorio per entrambe, con la
auspicata possibilità di porre le stesse parti in una situazione migliore
di quella in cui versavano in precedenza.
L’istituto è conosciuto dal nostro ordinamento di diritto
processuale civile: nell’ambito del processo civile ordinario è infatti
previsto il tentativo di conciliazione tra le parti (si pensi, in primo
luogo, all’art. 183 c.p.c. che disciplina l’udienza di prima
comparizione; all’art. 410 c.p.c. che, nel processo del lavoro,
configura il tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di
procedibilità della domanda), tentativo che tuttavia, nella prassi, si
riduce per lo più ad una mera formalità senza sortire esito positivo.
La riforma del processo civile introdotta dalla Legge n. 69/2009
ha abrogato il cosiddetto rito societario di cui al d. lgs. n. 5/2003,
salve alcune disposizioni, tra le quali gli artt. 38, 39, 40 contenute al
Titolo IV e relative alla “Conciliazione stragiudiziale” (cosiddetta
conciliazione societaria).
Gli artt. 38-40 d. lgs. 5/2003, ad oggi, disciplinano dunque la
conciliazione stragiudiziale societaria (o mediazione civile),
unitamente al D.M. n. 222 del 23 luglio 2004, intitolato “Regolamento
recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione
nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui
all’art. 38 del Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5” nonché al
D.M. del 23 luglio 2004, n. 223 intitolato “Regolamento recante
approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione
a norma dell’art. 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”.
L’art. 60 della Legge n. 69/2009 ha delegato il Governo di
emanare “uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di
conciliazione in ambito civile e commerciale”, da adottarsi secondo le
modalità, i principi ed i criteri direttivi ivi meglio specificati.
Il 29 ottobre 2009 il consiglio dei Ministri n. 67, su proposta dal
Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha approvato uno schema di
decreto legislativo che, in attuazione della delega conferita al Governo
dalla legge n. 69 del 2009 in materia di processo civile, riforma la
disciplina della conciliazione civile stragiudiziale (o mediazione civile),
con obiettivi di deflazione e di diffusione della cultura del ricorso a
soluzioni della controversia che non prevedono la emanazione di un
provvedimento reso da un giudicante.
Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009, inoltre,
adegua la legislazione ad alcune norme comunitarie che disciplinano
la mediazione. Il provvedimento sarà trasmesso alle Commissioni
parlamentari per il parere.
Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 ha l’intento
di far ordine nella materia della mediazione e della conciliazione in
ambito civile e commerciale, parzialmente recependo, elaborando e
coordinando la normativa frammentaria ad oggi in essere , con
particolare riferimento agli artt. 38 – 40 del D. lgs. 5/2003, nonché ai
D.M. 222 e 223 del 23 luglio 2004.
Poiché lo schema di decreto legislativo, ragionevolmente, è
destinato a subire inevitabili modifiche prima di divenire definitivo, il
presente intervento esaminerà la conciliazione societaria come
disciplinata dalla normativa attualmente vigente, menzionando solo
nelle parti di maggiore interesse lo schema di decreto legislativo.
La caratteristica della conciliazione stragiudiziale societaria,
rispetto alle conciliazioni di altro tipo, è che essa è una conciliazione volontaria ma amministrata, ovvero una conciliazione affidata a organismi privati assoggettati a particolari forme di controllo da parte
della pubblica amministrazione allo scopo di garantire la correttezza e
la funzionalità del procedimento1.
La conciliazione, poi, potrà essere facilitativa, nel caso in cui il conciliatore si limiti ad agevolare la parti, promuovendo o favorendo il
raggiungimento dell’accordo2;ovvero aggiudicativa, nel caso in cui il conciliatore formuli una o più proposte di accordo basandosi sulla
valutazione delle opposte ragioni, in base alle leggi applicabili; oppure
di tipo misto. L’accordo che le parti raggiungeranno al termine della procedura
ha valore contrattuale ed integra o sostituisce integralmente il
precedente contratto in ordine al quale è insorta la lite.
E’ una procedura: i) il più possibile informale; ii) volontaria; iii)
confidenziale; iv) con la presenza di un terzo neutrale che aiuta le
parti a raggiungere un accordo.
Perché la conciliazione sia di tipo stragiudiziale societario3
occorre la sussistenza di tre requisiti: 1) ambito di applicazione; 2) le
parti devono aver sottoscritto una clausola contrattuale o statutaria
che preveda il ricorso al tentativo di conciliazione – prima di adìre
l’Autorità Giudiziaria Ordinaria o la procedura arbitrale – ovvero
devono aver sottoscritto un accordo in tal senso al sorgere della lite
(volontà delle parti); 3) la procedura deve essere amministrata
esclusivamente dagli organismi di conciliazione accreditati dal
Ministero di Giustizia che potranno servirsi di conciliatori a loro volta
accreditati e che dovranno adottare specifiche procedure e tariffe
disciplinate dai Decreti Ministeriali n. 222 e n. 223 del 23 luglio 2004
(organismi di conciliazione).
1 Già la Legge n. 366 del 3 ottobre 2001 “Delega al Governo per la riforma del diritto societario” prevedeva forme di conciliazione delle controversie civili in materia societaria anche innanzi ad organismi istituiti da enti privati, che dessero garanzia di serietà ed efficienza e che fossero iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. 2 La Relazione Illustrativa dello schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 precisa che la mediazione facilitativa è una “forma di mediazione nella quale il mediatore non è, a differenza del giudice, vincolato strettamente al principio della domanda e può trovare soluzioni della controversia che guardano al complessivo rapporto tra le parti. Il mediatore non si limita a regolare questioni passate, guardando piuttosto a una ridefinizione della relazione intersoggettiva in prospettiva futura. Si pensi ai contratti bancari, in cui il cliente ha spesso la necessità non soltanto di vedersi riconoscere competenze negategli dall’istituto, creditizio, ma anche di rinegoziare il complessivo rapporto bancario in tutti i suoi molteplici aspetti (…)”. 3 In ogni caso, il ricorso alla conciliazione è libero: le parti possono sempre ricorrervi, anche senza seguire la procedura dettata dall’art. 40 d.lg. n. 5/2003. In tal caso, tuttavia, non sarà possibile che al tentativo di conciliazione, riuscito o meno, conseguano gli effetti previsti dagli artt. 38-40 del d. lgs. n. 5/2003.
2.- AMBITO DI APPLICAZIONE- Perché possa darsi corso alla
conciliazione societaria occorre che la controversia abbia ad oggetto
diritti disponibili.
Ciò posto, l’ambito di applicazione degli artt. 38-40 è individuato
dall’art. 1 del D. Lgs n. 5/2003.
Nonostante che l’art. 1 del D. Lgs. n. 5/2003 sia stato abrogato
dalla L. n. 69/2009 è infatti ragionevole ritenere che, con questa
ultima riforma del diritto processuale, il legislatore abbia inteso (o,
meglio, sottinteso) che il medesimo art. 1 sia ancora efficace
limitatamente all’ambito di applicazione della conciliazione societaria
di cui agli artt. 38-40; ambito di applicazione che, diversamente
opinando, non sarebbe altrimenti delimitato.
Nello specificare le categorie di controversie che possono essere
definite con la conciliazione stragiudiziale societaria, il legislatore non
si è limitato alla materia strettamente societaria, ma ha esteso
l’applicazione della conciliazione stragiudiziale anche al campo della
intermediazione finanziaria ed alla materia bancaria e creditizia.
Riepilogando il disposto dell’art. 1, l’ambito di applicazione degli
artt. 38-40 riguarda:
a) rapporti societari, tra i quali, per esplicita previsione,
debbono ricomprendersi:
- le società di fatto;
- l’accertamento, costituzione, modificazione od estinzione
del rapporto societario;
- le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro
gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i
direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici
e delle società cooperative, nonché contro il soggetto
incaricato della revisione contabile per i danni derivanti
da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei
confronti della società che ha conferito l’incarico e nei
confronti dei terzi danneggiati.
b) trasferimento delle partecipazioni sociali ed ogni altro
negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti
inerenti;
c) patti parasociali ed altri accordi di collaborazione di cui all’art. 2341bis cod. civ.
d) rapporti di intermediazione mobiliare, servizi e contratti di investimento, tra i quali per esplicita previsione, debbono ricomprendersi:
- servizi accessori;
- fondi di investimento;
- gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di
strumenti finanziari;
- vendita di prodotti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione
dei crediti;
- offerte pubbliche di acquisto e di scambio;
- contratti di borsa
e) rapporti bancari e creditizi, per controversie tra istituti
bancari, o promosse da o contro associazioni rappresentative di
consumatori o camere di commercio.
f) credito per le opere pubbliche. Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009, fermo
restando che la mediazione dovrà avere ad oggetto diritti disponibili,
individua all’art. 5, I comma alcune categorie di controversie per le
quali la conciliazione è obbligatoria (rectius: è condizione di
procedibilità), utilizzando i criteri guida esplicitati nella Relazione
Illustrativa allo schema di decreto:
- cause aventi ad oggetto un rapporto tra le parti che è destinato a prolungarsi nel tempo, anche oltre la
definizione aggiudicativa della singola controversia
(condominio, locazione, comodato, affitto d’azienda); ovvero
cause aventi ad oggetto rapporti in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, gruppo sociale, area territoriale (diritti reali, divisione, successioni ereditarie, condominio, patti di famiglia); ovvero cause aventi
ad oggetto rapporti particolarmente conflittuali e complessi in cui “è più fertile il terreno della composizione
stragiudiziale” (responsabilità medica e diffamazione a mezzo
stampa);
- cause aventi ad oggetto alcune tipologie contrattuali che, oltre a sottendere rapporti duraturi tra le parti, conoscono una diffusione di massa e sono alla base di una parte non irrilevante del contenzioso (contratti assicurativi,
bancari e finanziari).
3.- VOLONTÀ DELLE PARTI- In sede contrattuale, le parti possono
approvare una clausola (la “clausola di conciliazione”) con la quale
esse si impegnano ad esperire, innanzi ad un soggetto già
determinato (con la indicazione di uno specifico Organismo di
Conciliazione) o determinabile, un tentativo di composizione in sede
conciliativa della lite tra di esse insorta, prima di instaurare la fase
contenziosa innanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria o all’Arbitro4.
Un accordo in tal senso potrà essere concluso dalle parti anche al
sorgere di una lite, in sede extra-contrattuale.
Tuttavia, la sussistenza di una clausola di conciliazione all’interno
di un contratto o di uno statuto societario avrà l’effetto di precludere
alle parti il ricorso immediato all’Autorità Giudiziaria Ordinaria in forza
del disposto dell’art. 40, VI comma:
“Qualora il tentativo di conciliazione sia previsto da una clausola
inserita in un contratto od in uno statuto societario, il mancato
rispetto di essa potrà comportare la sospensione del giudizio
eventualmente iniziato da una delle parti, competendo al giudice il
potere di fissare, su istanza della parte interessata, un termine tra i
30 e i 60 giorni per il deposito della domanda di conciliazione presso
l’organismo indicato dalla clausola o, in assenza, presso un qualsiasi
altro organismo di conciliazione. (…)”.
Trattandosi di una questione di procedibilità esclusivamente
rimessa alla disponibilità delle parti, spetterà ad esse sollevare la
relativa eccezione, non essendo diversamente fatto obbligo al giudice
di sospendere il procedimento davanti a sé.
Il disposto dell’art. 40, VI comma è recepito e sviluppato dallo
schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 che alla condizione
di procedibilità dedica l’intero art. 55, il quale: 4 La “clausola di conciliazione” potrà avere contenuto “misto”, laddove essa preveda che, nell’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione fallisca, le parti devolveranno la cognizione della controversia ad un Arbitro o ad un Collegio Arbitrale. 5 L’art. 5, comma I dello schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 così dispone: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, deve esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento di attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e successive modifiche, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo tempestivamente depositato e può essere
- dispone che la mediazione (termine scelto dal legislatore per
identificare l’attività volta a conseguire la conciliazione) sia
“condizione di procedibilità” per le controversie aventi ad oggetto le
materie indicate al comma 1; in tali ipotesi, la mediazione (oppure
il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8
ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento di attuazione dell’art.
128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di
cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e successive
modifiche, per le materie ivi regolate) è obbligatoria e
l’improcedibilità, oltre che eccepita dal convenuto, può essere
rilevata d’ufficio.
- prevede (al comma 2) che il giudice possa sollecitare la mediazione
nelle controversie aventi ad oggetto materie diverse da quelle
indicate al comma 1, oppure nelle ipotesi in cui la mediazione
obbligatoria ai sensi del comma 1 abbia avuto esito negativo ed il
giudice intraveda nuovi spazi di composizione della controversia;
- disciplina, al comma 5) l’ipotesi in cui, pur in presenza di una
clausola conciliativa, le parti non abbiano tentato la mediazione di
una controversia avente ad oggetto materie diverse da quelle
indicate al comma 1.
4.- GLI ORGANISMI DI CONCILIAZIONE ED IL LORO REGOLAMENTO – Il
carattere privatistico che il legislatore ha conferito alla procedura di
risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia societaria è
bilanciato dal carattere pubblicistico riservato alla gestione dei
procedimenti conciliativi da parte di enti e/o organismi di conciliazione
opportunamente registrati presso il Ministero di Giustizia, allo scopo
di garantire la correttezza, la serietà e l’efficienza della procedura
conciliativa medesima.
Al riguardo, l’art. 38 del D. Lgs. n. 3/2005 stabilisce che gli
organismi deputati a gestire la conciliazione stragiudiziale delle
controversie in materia societaria possono essere costituiti solo da
enti pubblici o privati iscritti in un apposito registro tenuto presso il
rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6, comma 1. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 e successive modificazioni, e dal titolo X del codice delle assicurazioni provate di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209”.
Ministero della Giustizia, cui compete anche il controllo sulle garanzie
di serietà ed efficienza degli enti fondatori e degli organismi di
gestione.
Ai sensi del disposto del comma II dell’art. 38 è stato emanato il
D.M. del 23 luglio 2004 n. 222 intitolato “Regolamento recante la
determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di
tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del
Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”.
Ai sensi del successivo art. 39, III comma è stato emanato il
D.M. del 23 luglio 2004, n. 223 intitolato “Regolamento recante
approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione
a norma dell’art. 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”6.
Il registro degli organismi autorizzati alla gestione dei tentativi di
conciliazione, ai sensi dell’art. 3 del D.M. 23 luglio 2004 n. 222, è una
banca dati tenuta presso il Ministero della Giustizia, di cui è
responsabile il direttore generale della giustizia civile o un suo
delegato; in esso sono individuati gli organismi che, avendone fatto
domanda ed essendo in possesso dei requisiti richiesti all’art. 4 del
medesimi D.M. n. 222, hanno la qualificazione a svolgere gestire i
tentativi di conciliazione ai sensi degli artt. 38-40 del D. Lgs. n.
5/2003.
Gli organismi di conciliazione possono essere soggetti autonomi
di diritto ovvero essere istituiti da altri enti e possono essere soggetti
privati o pubblici, come le Camere di Commercio (le quali hanno
“diritto di ottenere l’iscrizione di tali organismi nel registro su
semplice domanda”) 7.
6 Con il Regolamento 23 luglio 2004, n. 223 è stata approvata la tabella delle indennità minime e massime per ogni affare di conciliazione, cui ciascun organismo dovrà adeguarsi nel fissare le tabelle dei costi (indennità) del proprio servizio conciliativo. Per gli enti privati, l'iscrizione nel registro ministeriale comporta anche l'approvazione delle tariffe allegate alla domanda di iscrizione (cfr. art. 5, comma I del D.M. n. 222). 7 Il D.M. 23 luglio 2004, all'art. 4, rubricato “Criteri per l'iscrizione nel registro” così dispone: 1. “ Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi di conciliazione costituiti da enti
pubblici e privati o che costituiscano autonomi soggetti di diritto pubblico o di diritto privato.
2. Gli organismi di conciliazione costituiti, anche in forma associata dalle CIAA sono iscritti su semplice domanda.
3. Il responsabile verifica la professionalità e l'efficienza dei richiedenti diversi da quelli indicati al comma 2 e, in particolare: a) la forma giuridica dell'ente o dell'organismo, il suo grado di autonomia, nonché la compatibilità della sua attività con l'oggetto sociale o lo scopo associativo; b) la consistenza dell'organizzazione di persone e mezzi, e il suo grado di adeguatezza, anche sotto il profilo patrimoniale; l'istante, in ogni caso, deve produrre polizza
A norma dell’art. 5 del D.M. 222, la domanda di iscrizione al
registro ministeriale deve essere corredata, tra l’altro: a) dal
“regolamento di procedura”, le caratteristiche del quale, ispirate ai
principi di informalità, di rapidità e riservatezza, nonché di
imparzialità e idoneità del conciliatore al corretto e sollecito
svolgimento dell’incarico, sono elencati all’art. 7 del D. M. 2228; b) la
assicurativa di importo non inferiore a 500.000 euro per le conseguenze patrimoniali comunque derivati dallo svolgimento del servizio di conciliazione; c) i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dei predetti enti, non inferiori a quelli fissati a norma dell'art. 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; d) la trasparenza amministrativa e contabile dell'ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l'ente e i singoli conciliatori; e) le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio, nonché la conformità del regolamento di procedura di conciliazione alla legge e della tabella delle indennità ai criteri stabiliti dal regolamento emanato a norma dell'art. 39 del decreto; f) il numero di conciliatori, non inferiori a sette, che abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di conciliazione in via esclusiva per il richiedente; g) la sede dell'organismo di conciliazione.
4. Il responsabile verifica in ogni caso: 1. i requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori per i quali, ove non siano professori universitari in discipline economiche o giuridiche, o professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni, ovvero magistrati in quiescenza, deve risultare provato il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati presso il responsabile in base a criteri fissati a norma dell'art. 10, comma 5; 2. il possesso, da parte dei conciliatori, dei seguenti requisiti di onorabilità: 3. non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche per contravvenzione; 4. non avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non inferiore a sei mesi; 5. non essere incorso nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; 6. non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; 7. non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento.
5. Qualora l'ente sia un'associazione tra professionisti o una società tra avvocati, all'organismo devono essere destinati, anche in via non esclusiva, almeno due prestatori di lavoro subordinato, con prevalenti compiti di segreteria, ai quali risulti applicato il trattamento retributivo e previdenziale previsto dal rispettivo contratto collettivo nazionale di lavoro; in ogni altro caso, i compiti suddetti devono essere svolti da almeno due persone nominativamente indicate con riferimento anche al tipo di trattamento giuridico ed economico applicato. 6. I predetti compiti non possono essere svolti dalle persone indicate alle lettere c) ed f) del comma 3. 8 Il D.M. 23 luglio 2004, all'art. 7, rubricato “Regolamento di procedura” così dispone: 1. “ Il regolamento di procedura si ispira ai principi di informalità, rapidità e riservatezza ed
ai principi indicati nell'art. 40 del decreto; è, in ogni caso, vietata l'iniziativa officiosa del procedimento.
2. Il regolamento contiene l'indicazione del luogo dove si svolge il procedimento di conciliazione, che è derogabile su accordo delle parti per singoli atti; qualunque altra disposizione del regolamento è derogabile per accordo delle parti; il regolamento assicura la possibilità che il conciliatore designato, se le parti lo richiedono, concluda il procedimento con una proposta a norma dell'art. 40, comma 2, del decreto.
tabella delle indennità redatta in conformità all’art. 39 del d.lg.s n.
5/2003 .
5.- IL PROCEDIMENTO CONCILIATIVO EX ART. 40 – Il procedimento
conciliativo societario, ai sensi dell’art. 40 II e V comma, ha inizio con
la presentazione da parte del soggetto interessato di una domanda di
conciliazione presso la segreteria dell’ente iscritto nel registro tenuto
presso il Ministero della Giustizia, il quale deve provvedere
immediatamente alla nomina di un conciliatore.
La presentazione della domanda di conciliazione presso uno degli
organismi registrati, dal momento della sua comunicazione alle altre
parti con mezzo idoneo a dimostrare l’avvenuta ricezione, è in grado
di determinare sulla prescrizione gli stessi effetti di una domanda
giudiziale, impedendo altresì il verificarsi della decadenza delle azioni.
In caso di fallimento del tentativo di conciliazione, il termine
della decadenza comincia a decorrere dal momento del deposito del
verbale di mancato accordo; gli stessi effetti interruttivi non si
determineranno in presenza di una domanda di conciliazione proposta
presso soggetti non iscritti nel registro tenuto dal Ministero9.
Le linee guida del procedimento conciliativo sono tracciate
dall’art. 40 del d. lgs. n. 5/2003, il quale, accanto ai principi della
riservatezza, della libera determinazione delle parti, della
inutilizzabilità delle loro dichiarazioni ai fini testimoniali10, dispone
che:
3. Il regolamento stabilisce le cause di incompatibilità allo svolgimento dell'incarico; in ogni
caso, i giudici di pace, finchè dura il loro mandato, non possono svolgere la conciliazione in forme e modi diversi da quelli stabiliti dall'art. 322 del codice di procedura civile.
4. Il regolamento deve, in ogni caso, prevedere che il procedimento di conciliazione possa avere inizio solo dopo la sottoscrizione da parte del conciliatore designato della dichiarazione di imparzialità di cui all'art. 15, comma 3, lettera a).
5. Le parti hanno, in ogni caso, diritto di accesso agli atti del relativo procedimento che il responsabile, designato dall'ente o organismo, è obbligato a custodire in apposito fascicolo debitamente registrato e numerato nell'ambito del registro di cui all'art. 12;; sono escluse eventuali comunicazioni riservate al solo conciliatore, tali espressamente qualificate dalle parti ; i dati, comunque raccolti, sono trattati nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante “Codice in materia di protezione dei dati personali”.
9 Art. 40, comma IV: “Al momento della comunicazione alle altre parti con mezzo idoneo a dimostrare l’avvenuta ricezione, l’istanza di conciliazione proposta agli organismi istituiti a norma dell’art. 38 produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale. La decadenza è impedita, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di cui al comma 2 presso la segreteria dell’organismo di conciliazione. 10 Art. 40, I comma: “I regolamenti di procedura debbono prevedere la riservatezza del procedimento e modalità di nomina del conciliatore che ne garantiscano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico”.
- i regolamenti adottati dagli organismi di conciliazione devono
prevedere la riservatezza del procedimento conciliativo, nonché
prescrivere specifiche modalità di nomina del conciliatore che ne
garantiscano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico;
- le dichiarazioni rese dalle parti durante il procedimento non
possono essere utilizzate nella successiva ed eventuale sede
giudiziale, né possono essere oggetto di prova testimoniale;
- il giudice potrà valutare la mancata comparizione di una delle parti o il suo rifiuto a conciliare ai fini della decisione sulle spese processuali, che potranno essere poste anche totalmente
a carico del vincitore che abbia rifiutato la conciliazione, anche ai
sensi dell’art. 96 c.p.c11.
Nell’ipotesi in cui le parti non raggiungano un accordo all’esito
della procedura di conciliazione ed entrambe ne facciano richiesta, il
conciliatore potrà formulare una proposta e potrà riportare nel
verbale di mancato accordo le posizioni definitivamente assunte dalle
parti con riferimento a quella proposta, ovvero le condizioni alle quali
ciascuna parte sarebbe disponibile a conciliare. In tale ipotesi, la
riservatezza che impronta la procedura di conciliazione potrà venire
meno.
Pertanto, per il caso in cui la conciliazione dia esito negativo e
solo se le parti avranno consentito alla verbalizzazione delle loro posizioni, il giudice, nell’eventuale successivo giudizio, valuterà comparativamente le posizioni assunte dalle parti innanzi al
conciliatore ed il contenuto della sentenza, al fine di escludere, in
tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che
ha rifiutato la conciliazione.
Attualmente è dunque in ipotesi possibile per la Banca convenuta
rifiutare una soluzione conciliativa equa ma da essa non ritenuta
conveniente sulla base di valutazioni meramente soggettive (per
esempio, di carattere commerciale o legate a valutazioni della
complessiva gestione interna del contenzioso), senza che la
riservatezza che caratterizza la procedura conciliativa venga meno
Art. 40, III comma: “ Le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento non possono essere utilizzate, salvo quanto previsto dal comma 5, nel giudizio promosso a seguito dell’insuccesso del tentativo di conciliazione, né possono essere oggetto di prova testimoniale”. 11 Sull’argomento, cfr. la comunicazione dell’avv. TOMMASO LANG, La condanna alle spese di
lite nella riforma al processo civile, allegata agli atti della presente giornata di studi.
sull’argomento; nell’eventuale futuro giudizio, il rischio più elevato
che la Banca correrà sarà quello della soccombenza e della condanna
alla refusione delle spese di lite che ad essa consegue.
Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009, invece,
sottrae alla volontà delle parti la possibilità di richiedere al
conciliatore – nella ipotesi di accordo non raggiunto – di formulare
una proposta di conciliazione che, ove non accolta, verrà inserita nel
verbale unitamente alle ragioni del mancato accordo in ogni caso12.
Non sarà più possibile che le parti, negando il proprio assenso
(come attualmente previsto dall’art. 40 del d. lg.s. n. 5/2003),
mantengano la riservatezza sul verbale di mancata conciliazione
come sopra formato ed evitino che tale verbale venga tenuto in
considerazione da parte del giudice, nel futuro eventuale giudizio, ai
fini della liquidazione delle spese processuali13.
Nella complessiva valutazione dell’opportunità di conciliare la
controversia, la Banca convenuta, dunque, dovrà in futuro tenere in
debita considerazione tanto le consuete ragioni di merito e di rischio
processuale, quanto il rischio di incorrere nella condanna alle spese
processuali anche nell’ipotesi di vittoria del giudizio.
Una delle principali caratteristiche del procedimento di
conciliazione è quello della rapidità: lo schema di decreto legislativo
12 L’art. 11 dello schema di D.M. del 29 ottobre 2009, al comma I, dispone:“Se è raggiunto
un accordo amichevole, il mediatore forma il processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo, sottoscritto dalle parti. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore formula una proposta di conciliazione dopo averle informate delle possibili conseguenze di cui all’art. 13.( …).” Il comma IV prosegue prevedendo che: “Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con indicazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione”. 13 L’art. 13 dello schema di D.M. del 29 ottobre 2009, al comma I, dispone: ”Quando il
provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8, comma 4” Il comma II dispone che: “Qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8 comma IV (….)”.
del 29 ottobre 2009, all’art. 6, dispone che il “procedimento di
mediazione ha durata non superiore a quattro mesi”.
La rapidità sarà perseguita anche grazie alla possibilità che la
procedura di conciliazione venga svolta on line, utilizzando sia
funzioni asincrone, come la condivisione e lo scambio di documenti,
sia funzioni sincrone, quali gli incontri di conciliazione on line.
Nella prassi, instaurato il procedimento di conciliazione e tenutasi
la prima riunione davanti al conciliatore alla presenza di entrambe le
parti, sarà facoltà del conciliatore sentire i contraddittori anche
separatamente, allo scopo di comprendere i reali bisogni di ciascuno
di essi, di individuare una soluzione conciliativa che sia ritenuta
accettabile e che costituisca una base da sviluppare con la
controparte.
Il conciliatore, in osservanza del principio della riservatezza che
caratterizza il procedimento, non potrà rivelare all’una parte alcuna
delle informazioni rese dall’altra sentita singolarmente (né potrà
rivelare a quali condizioni essa si è detta disponibile a conciliare);
salvo che la parte che quelle informazioni ha reso non acconsenta a
che il conciliatore le riveli alla controparte.
6.- IL VERBALE DI CONCILIAZIONE E LE AGEVOLAZIONI FISCALI – Nel caso
il cui le parti raggiungano un accordo conciliativo, l’art. 40 al comma
VIII prevede che il verbale di accordo, sottoscritto dalle parti e dal
conciliatore, è omologato con decreto del Presidente del Tribunale nel
cui circondario ha sede l’organismo di conciliazione, previo
accertamento della sua regolarità formale e, dunque, senza entrare
nel merito del contenuto dell’accordo stipulato tra le parti.
Il verbale di conciliazione così omologato costituisce titolo
esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma
specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Il legislatore ha previsto alcune agevolazioni fiscali, all’art. 39,
allo scopo di rendere più appetibile l’impiego della conciliazione
stragiudiziale per le controversie societarie: tutti gli atti, i documenti
ed i provvedimenti relativi ad un procedimento di conciliazione sono
esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi
specie e natura, mentre il verbale di accordo eventualmente stipulato
è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di €. 25.000.
Tale limite di valore è aumentato sino ad €. 51.646,00 dallo
schema di decreto ministeriale del 29 ottobre 2009 (art. 17).
Il valore per l’esenzione in parola è da riferirsi al contenuto
dell’accordo conciliativo sottoscritto tra le parti, irrilevante invece il
valore della controversia con riferimento alle pretese avanzate dai
contraddittori durante il procedimento di conciliazione.
I verbali di conciliazione di valore superiore ad €. 25.000 sono
assoggettati all’imposta secondo i normali criteri, ovvero con tassa
fissa se le prestazioni dedotte nell’accordo sono soggette ad IVA
oppure con aliquota proporzionale o variabile, secondo il diverso
contenuto dell’accordo, per il caso in cui le prestazioni oggetto del
verbale non sia soggette ad IVA.
7.- TIPI DI NEGOZIAZIONE – Si è sopra illustrato come la conciliazione
sia stata congegnata dal legislatore come soluzione alternativa al
giudizio.
Essa non presuppone né un vinto né un vincitore, ma solo che le
parti raggiungano, con il suggerimento di un terzo, un accordo negoziato che ha il pregio di non scontentare nessuno e, quindi, di avere maggior forza nella normalizzazione dei rapporti rispetto alla
pronuncia resa al termine di un giudizio.
Il buon esito della conciliazione è affidato (anche) alle capacità
delle parti di negoziare nonché alle capacità del conciliatore di
accompagnare i contraddittori lungo il percorso della negoziazione.
Si possono individuare due tipi di negoziazione, tenendo conto
che, nella prassi, quasi tutti i negoziati presentano caratteristiche
dell’uno e dell’altro tipo:
- negoziazione competitiva, nella quale le parti competono per la
distribuzione di un valore prefissato; in tali ipotesi, il
guadagno di una parte avviene a spese dell’altra
(cosiddetta negoziazione a somma zero); essendoci in
gioco un solo elemento, è impossibile allargare l’ambito
negoziale includendovi una pluralità di aspetti
importanti per entrambe le parti; inoltre, la relazione
tra i negoziatori e la loro reputazione sono fattori per
essi irrilevanti perché i contraddittori non sono in
genere disposti a cedere valore nella trattativa in
cambio di valore nella relazione con la controparte.
- negoziazione collaborativa, nella quale le parti cooperano per ottenere i massimi benefici attraverso l’integrazione
dei loro rispettivi interessi in un accordo (cosiddetta
negoziazione win-win); gli elementi in gioco sono
molteplici e ciascuna parte mirerà ad ottenere ciò cui
essa tiene maggiormente, rinunciando al resto; si
possono dunque soddisfare le esigenze di entrambe le
parti.
Il negoziatore deve pertanto sviluppare la capacità di scegliere
con consapevolezza se competere dove gli interessi sono in conflitto,
cercando di conseguire il maggior valore possibile, oppure se creare
valore, scambiando le informazioni che portano ad opzioni
reciprocamente vantaggiose.
8.- PRIMA DEL NEGOZIATO: QUATTRO CONCETTI CHIAVE – Prima di
intavolare la negoziazione, il negoziatore deve considerare con
attenzione i seguenti elementi14:
- la migliore alternativa ad un accordo negoziale (MAAN); con riferimento alla conciliazione stragiudiziale
societaria, la alternativa all’accordo negoziale è
rappresentata dal ricorso all’autorità giudiziaria; la
individuazione della MANN consisterà in questo caso in
una attenta previsione sull’esito del giudizio e sui costi
del medesimo, con riferimento alla quantificazione della
possibile condanna nel merito, alla condanna alla
rifusione delle spese di lite (condanna, questa seconda,
che è destinata a non seguire più il principio della
soccombenza e che potrà conseguire anche alla vittoria
nel merito), nonché ai possibili riverberi che un
giudicato negativo potrebbe avere quale precedente
giudiziario e quale possibile fattore lesivo dell’immagine
della Banca.
- il prezzo di riserva, ovvero il prezzo minimo accettabile per la
conclusione di un accordo; esso dovrebbe essere
individuato grazie all’esame della migliore alternativa
ad un accordo negoziale (MAAN).
14 Cfr.R. FISCHER, W. URY, B. PATTON, L'arte del negoziato, ed. Corbaccio, 2008.
- la zona del possibile accordo (ZOPA), ovvero il range entro cui si potrebbe concludere un accordo; tale range, se
esiste, è da individuare nello spazio compreso tra i
prezzi di riserva di ciascuna parte; se non esiste la zona
del possibile accordo (ZOPA), non si potrà in alcun
modo raggiungere un’intesa, salvo che le parti
modifichino i loro prezzi di riserva o che vengano
contemplati altri elementi di valore.
- la creazione di valore attraverso gli scambi, ovvero lo
scambio di valori e servizio che hanno una minore
rilevanza per la parte che li possiede o li eroga, mentre
risultano di fondamentale importanza per la
controparte; per esempio accade spesso che il Cliente
della Banca abbia interesse alla conclusione di
determinati accordi commerciali.
9.- LA FASE DI NEGOZIAZIONE: DUE METODI A CONFRONTO – In ogni tipo
di negoziato, ciascuna delle parti prende delle posizioni, le difende e
fa concessioni, per giungere ad un compromesso; ciò è utile in quanto
permette a ciascuna parte di fornire all’altra indicazioni sui propri
obiettivi, permette di fare chiarezza su situazioni incerte e spesso
permette di individuare i punti di una intesa accettabile.
Tuttavia, gli stessi risultati possono essere perseguiti anche con
altri strumenti, mentre invece la “trattativa su posizione” (o
negoziato su posizione) spesso allontana da una conciliazione
ragionevole, raggiunta in modo efficiente ed amichevole.
E’ utile evidenziare che il negoziato su posizione:
- produce accordi malfatti: se rigidamente ancorati alle rispettive
posizioni, le parti tendono ad identificarsi con esse, distogliendo
l’attenzione dagli interessi sottostanti della controparte; l’accordo
diviene meno probabile e, ove raggiunto, poco soddisfacente
perché corrisponderà più ad una divisione meccanica tra i prezzi di
riserva di ciascuna parte piuttosto che ad una soluzione
congegnata per soddisfare gli interessi di entrambe le parti.
- è inefficiente: in quanto costituisce una interferenza che accresce i
tempi ed i costi necessari per giungere all’intesa, aumentando il
rischio che l’accordo non si concluda; tipicamente, quando le parti
rimangono caparbiamente salde sulle loro reciproche posizioni,
difficilmente rivelano l’una all’altra i loro veri fini, limitandosi a
fare piccole concessioni, giusto il minimo indispensabile perché le
trattative proseguano; in tal modo, i tempi e gli sforzi per
comprendere se ed in che termini un accordo è possibile si
dilatano; ciò vale, in particolare ed a maggior ragione, quando le
parti sono più di due.
Le parti che trattano su posizione tendono spesso ad adottare
uno stile di negoziazione che è il frutto di una drastica scelta tra uno
stile morbido (specie quando esse mirano a salvaguardare i rapporti
che intercorreranno con la controparte) ed uno stile duro (in taluni
ambienti erroneamente ritenuto preferibile perché maggiormente
aggressivo).
Sono facilmente intuibili le ragioni per le quali stile duro
raramente porta alla conclusione di un accordo.
Tuttavia, anche “essere gentili non è una soluzione”15: il gioco
negoziale morbido enfatizza l’importanza di costruire e mantenere il
rapporto, facilita l’esito positivo della trattativa, ma la conciliazione
avverrà grazie ad un accordo che … non è un buon accordo perché il
negoziatore cede per evitare lo scontro e il negoziato è falsato a
favore del negoziatore che ha adottato una linea più dura. Meglio
allora essere gentili con le persone e duri nel difendere i propri
interessi.
Più proficuo del negoziato su posizioni è il negoziato dei criteri obiettivi (o negoziato dei principi16).
Attraverso il negoziato dei criteri obiettivi le parti esplicitano non
soltanto le rispettive posizioni negoziali, ma altresì gli interessi per i
quali esse avanzano le richieste in cui le posizioni negoziali si
sostanziano. 15 Cfr.R. FISCHER, W. URY, B. PATTON, L'arte del negoziato, ed. Corbaccio, 2008, i quali
precisano: “Potete essere tanto duro nel parlare dei vostri interessi quanto qualsiasi negoziatore lo è nel parlare della propria posizione. Di fatto, è generalmente consigliabile essere duro. Può non essere saggio l'immedesimarvi con la vostra posizione, ma è saggio che vi immedesimiate con i vostri interessi. Questo è, nel negoziato, il momento nel quale impiegare la vostra aggressività (…) Spesso le soluzioni più ragionevoli, quelle che comportano il massimo vantaggio per voi con il minimo costo per la controparte, vengono conseguite con la semplice forte perorazione dei vostri interessi. Due negoziatori che premono ambedue con forza per i rispettivi interessi stimolano la creatività l'uno dell'altro per escogitare soluzioni reciprocamente vantaggiose”. 16
La definizione inglese di tale tipo di negoziazione è “Principled negotiation”, ovvero
“negoziato dei princìpi”. Nella lingua italiana, tuttavia, il termine “principìo” ha una accezione negativa quando riferita ad un conflitto, richiamata anche alcuni detti popolari che evidenziano l’inefficacia delle “questioni di principio”; per evitare fraintendimenti, si è qui preferito indicare la tipologia di negoziato in parola denominandola, appunto, “negoziato dei criteri obiettivi”, perché come si dirà in appresso, caratterizzato da criteri oggettivi di equità.
La comprensione degli interessi della controparte è la password
per aprire la porta del dialogo (esteso anche ai reciproci stati
emotivi), grazie al quale le parti potranno giungere ad un accordo
fondato su criteri obiettivi (e, come tali, difficilmente opinabili)
normalmente percepiti come equi. La percezione di equità, infatti è la
via primaria di risoluzione di un conflitto.
Il fine del negoziato dei criteri obiettivi è dunque quello di
portare i contraddittori a risolvere il conflitto grazie ad un accordo
integrativo, che soddisfi entrambe le parti, e non già grazie ad un
accordo distributivo, che comporta rinunce da parte di ciascuno,
avvalendosi della cosiddetta logica generativa (che persegue i
massimi vantaggi reciproci) piuttosto che della cosìddetta logica
ripartitiva (che persegue i minimi svantaggi reciproci)17.
10.- IL NEGOZIATO DEI CRITERI OBIETTIVI (O NEGOZIATO DEI PRINCIPI)- Per consolidare e raffinare le strategie volte a dar corso al negoziato
dei criteri obiettivi, il negoziatore dovrebbe tenere presente il metodo
ideato da alcuni professori dello Harvard Negotiation Project18, ovvero
da Roger Fisher, William Ury, e Bruce Patton.19.
Occorre in primo luogo distinguere le persone dal problema, ovvero sfrondare le questioni di merito, oggetto del negoziato, dalle
questioni personali, che dovranno essere trattate a parte.
La negoziazione è sempre costituita da due elementi:
a) la volontà di raggiungere un accordo che soddisfi i propri
interessi;
b) l’interesse a costruire un buon rapporto con la controparte (se
ciò è compatibile con un accordo accettabile).
Un conseguenza di questa duplice natura delle trattative è che il
rapporto si intreccia sovente con il problema, con l’effetto che spesso
17 Ponendo l’attenzione a tale caratteristica del negoziato che viene svolto nel contesto della conciliazione, si coglie facilmente la differenza tra la l’istituto in parola e la transazione di cui agli art. 1965 e ss. cod. civ. 18 Lo Harvard Negotiation Project è un progetto di ricerca presso la Harvard University che si occupa di problemi del negoziato e sviluppa e diffonde metodi perfezionati di negoziazione e mediazione: Fa parte del Program on Negotiation della Facoltà di Legge di Harvard, un consorzio di studiosi e di progetti al quale partecipano Harvard, il MIT, il Simmons College di Boston e la Tufts University di Medford, con l’impegno di migliorare la teoria e la prassi per la risoluzione dei conflitti. 19 Sull’argomento, cfr. l’importante contributo di HOWARD RAIFFA, Professore Emerito di Economia manageriale alla Harvard Business School, in L’arte e la scienza della negoziazione, ed. NPL Italy (con particolare riferimento alla teoria dei giochi, alla teoria delle decisioni statistiche, all’analisi decisionale, nonché alla mediazione e la risoluzione dei conflitti); cfr. altresì Alessio Roberti, Negoziare secondo Harvard.
si travisano le affermazioni della controparte, le quali vengono intese
come una critica diretta alla persona anziché una constatazione sui
fatti.
Sarà fondamentale dunque concentrarsi sugli interessi e non sulle posizioni; ovvero non ci si deve limitare a considerare la
posizione ufficialmente assunta dalla controparte, ma occorre
considerare gli interessi dell’interlocutore, sottostanti alla posizione
negoziale, molte volte inespressi, impalpabili e incoerenti.
“Gli interessi motivano la gente; essi sono i moventi silenziosi
dietro il baccano delle posizioni”. Le posizioni sono la concretizzazione
delle decisioni; gli interessi, invece, determinano la decisione20.
Nel contesto del tentativo di conciliazione come architettato da
alcune norme processuali attualmente vigenti nel nostro ordinamento
processuale (si pensi alla conciliazione prevista dal diritto processuale
del lavoro, o alla conciliazione giudiziale), le parti sono inibite dal
rivelare i loro interessi, per il timore che quanto svelato possa essere
utilizzato contro di loro in un futuro eventuale giudizio.
Per tentare di identificare gli interessi della controparte, che
identificano il problema fondamentale in un negoziato, si può tener
conto dei seguenti spunti di riflessione:
- chiedersi “perchè”: ovvero, mettersi nei panni della controparte,
esaminare la sua posizione negoziale e chiedersi le ragioni che la
potrebbero determinare; la risposta che ci si può dare coglie
probabilmente uno degli interessi della controparte; è possibile
rivolgere all’interlocutore una domanda diretta sul punto, in tal caso
20 R. FISCHER, W. URY E B. PATTON, ibidem, riportano il seguente esempio di negoziazione che
si concentra sugli interessi delle parti: “Il trattato di pace israelo-egiziano maturato a Camp David nel 1978 dimostra l'utilità di guardare al di là delle posizioni. Israele occupava la penisola egiziana del Sinai fin dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967. Quando Egitto e Israele si sedettero di nuovo insieme nel 1978 per negoziare la pace, le loro posizioni erano incompatibili. Israele insisteva per mantenere una parte del Sinai. L'Egitto, d'altra parte, insisteva perchè ogni pollice del Sinai fosse restituito alla sovranità egiziana. Più e più volte vennero disegnate le carte che mostravano tutte le linee di confine possibili che avrebbero diviso il Sinai tra l'Egitto e Israele. Un compromesso in questo senso era del tutto inaccettabile per l'Egitto. Tornare alla situazione del 1967 era ugualmente inaccettabile per Israele. Guardare ai loro interessi invece che alle loro posizioni fu ciò che rese possibile una soluzione. L'interesse di Israele era la sicurezza: non voleva che i carri armati egiziani stessero in bilico sulla sua frontiera, pronti a rotolare dall'altra parte in qualsiasi momento. L'interesse dell'Egitto era la sovranità: il Sinai era stato parte dell'Egitto fin dal tempo dei Faraoni. Dopo secoli di dominazione romana, greca, turca, francese e inglese, l'Egitto aveva solo di recente recuperato la piena sovranità e non era in vena di cedere territorio a un altro conquistatore straniero. A Camp David, il presidente egiziano Sadat e il primo ministro israeliano Begin si accordarono su un piano che avrebbe restituito il Sinai alla completa sovranità egiziana e, smilitarizzando vaste aree, avrebbe tuttavia garantito la sicurezza di Israele. La bandiera egiziana avrebbe sventolato dovunque, ma i carri armati egiziani non sarebbero stati in nessun posto vicino a Israele. ” .
preoccupandosi di specificare che la domanda non viene posta per
chiedere una giustificazione, ma solo per capire i bisogni, speranze,
timori o desideri posti alla base della sua posizione negoziale;
- chiedersi “perchè no”; considerare la loro scelta: ovvero identificare
la proposta che la controparte probabilmente immagina che le si
voglia imporre, chiedendosi perchè quella proposta non è stata
formulata dalla controparte medesima;
- rendersi conto del fatto che ogni parte ha interessi molteplici: al
riguardo è utile tenere a mente che spesso il negoziato subisce
l’influenza e tiene conto di interessi ulteriori a quelli delle parti
direttamente coinvolte; comprendere gli interessi della controparte
significa anche avere contezza della varietà dei medesimi, a volte tra
loro divergenti, dei quali egli deve tener conto;
- gli interessi più potenti sono gli interessi umani elementari: avendo
cura di tali interessi (ad esempio: sicurezza, benessere economico,
senso di appartenenza, riconoscimento, controllo sopra la propria
vita), l’accordo, se vi sarà, avrà maggiori possibilità di essere
rispettato da controparte
Concentrasi sugli interessi significa altresì concentrarsi su propri
interessi e, dunque, comunicarli ed illustrarli affinché la controparte
possa chiaramente e con facilità averne contezza.
Sarà importante difendere con fermezza i propri interessi (tanto
è saggio non immedesimarsi con la propria posizione quanto è saggio
immedesimarsi con i propri interessi), in tal modo stimolando la
creatività di controparte a ricercare soluzioni vantaggiose per
entrambe le parti.
Nell’approcciare la controparte, è preferibile non esordire
limitandosi ad esporre solo la propria posizione negoziale, in quanto
l’interlocutore si concentrerà ad escogitare qualche argomento contro
di essa e non sarà disponibile ad ascoltare quali sono gli interessi ed i
bisogni che sono sottesi alla posizione negoziale: “se volete che
qualcuno ascolti e comprenda le vostre ragioni, esponete i vostri
interessi e le vostre osservazioni prima, e le vostre conclusioni o
proposte dopo”.
Proficuo per l’iter della trattativa sarà altresì incentrare la
discussione non già su quanto accaduto in passato, ma su ciò che ci si
augura accadrà in futuro; è facile che tale concretezza sia
accompagnata dalla apertura a nuove idee e alla individuazioni delle
intese.
Nel negoziato dei criteri obiettivi, i contraddittori, con l’aiuto del
conciliatore, sono chiamate ad inventare soluzioni vantaggiose per entrambe le parti.
Tale obiettivo è a volte reso difficile dalla pressione cui si è
sottoposti o dalla presenza della controparte stessa; la difficoltà, in
sede di conciliazione, potrà essere superata grazie all’intervento del
conciliatore, il quale, nella sua qualità di terzo qualificato, potrà
sentire le parti anche separatamente tra loro ed individuare soluzioni
creative che soddisfino entrambe, a ciò facilitato dalla caratteristica
del suo ruolo che non si sostanzia nel rendere un giudizio (né,
ovviamente, a definizione della controversia, né con riferimento
all’operato o alla persona di ciascuna parte).
I contraddittori, con l’aiuto del conciliatore, dovranno cercare di parametrare i loro interessi con valori di riferimento oggettivi e riscontrabili, oltre che imparziali ed applicabili ad entrambe, che
funzioneranno da filtro rispetto alle proprie (rispettabili) volontà
individuali.
In tal modo si potrà addivenire ad un accordo equo anche nelle
ipotesi in cui gli interessi delle parti divergano irreparabilmente.
Occorre dunque prendere le distanze dalla nozione per la quale la
“torta negoziale” è definitivamente delimitata. L’approccio fondato su
tale nozione ci porta a negoziare su posizione e a concepire la
soluzione del conflitto solo come una perdita o come una vittoria.
Una volta che il negoziatore avrà superato il mito della “torta
negoziale” come definitivamente delimitata, ovvero una volta che le
parti avranno allargato la torta negoziale identificando nuovi valori
comuni ad entrambi, la soluzione del conflitto sarà più facilmente
raggiungibile21.
Compito del conciliatore è quello di accompagnare la parti lungo
un maturato percorso di ragionevolezza e di facilitarle ad individuare
una equa soluzione del conflitto, che sia satisfattiva per entrambe: “Il
metodo … è di decidere le soluzioni in base ai loro meriti piuttosto che
attraverso un processo di tira-e-molla concentrato su ciò che ciascuna
parte dice di volere o non voler fare. Suggerisce che si miri, fin dove
21 cfr. il contributo di M.H. BAZERMAN, The mythical fixed pie, in Negotiaton del novembre 2003, Program on Negotiation at Harvard Law School
è possibile, al vantaggio reciproco e che laddove gli interessi sono in
conflitto, si insista affinché il risultato si basi su alcuni criteri di equità
indipendenti dalla volontà delle parti. Il metodo del negoziato per
principi è duro nel merito, morbido verso le persone. Non ricorre né a
trucchi né a tentativi di impressionare la controparte. Il negoziato di
principi vi mostra come ottenere ciò di cui avete diritto pur
comportandovi bene. Vi consente di essere corretti pur proteggendovi
contro coloro che vorrebbero approfittare della vostra correttezza” 22.
avv. Alessandra Bellandi
22 cfr. R. FISHER, W. URY, B. PATTON, ibidem: