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DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO DELL'ECONOMIA E DELL'IMPRESA
XXIV CICLO
LA CRISTALLIZZAZIONE DEI DEBITI TRIBUTARI
NELL'AMBITO DELLA TRANSAZIONE FISCALE: IL
PROBLEMA DEGLI EFFETTI "TIPICI" DELL'ISTITUTO DI CUI
ALL'ART. 182TER DEL R. D. N. 267/1942
Coordinatore del corso di Dottorato di Ricerca:
Chiar.ma Prof.ssa GIULIANA SCOGNAMIGLIO
Tutor:
Chiar.mo Prof. GIULIANO TABET
Dottoranda:
FRANCESCA SANTORO CAYRO
ANNO ACCADEMICO: 2011/2012
3
ABSTRACT
La transazione fiscale è un istituto disciplinato dall’art. 182ter legge fall.,
norma introdotta nel nostro ordinamento giuridico con la recente riforma delle
procedure concorsuali. La medesima si configura come sub-procedimento accessorio
ad una procedura di concordato preventivo, o ad un accordo di ristrutturazione dei
debiti ex art. 182bis, che consente all’imprenditore in crisi di “concordare” con
l’Erario la percentuale, le eventuali garanzie e i tempi di pagamento dei tributi
amministrati dalle Agenzie fiscali e dei relativi accessori, ad eccezione dei tributi
costituenti risorse proprie dell’Unione europea.
L’iter si articola nella presentazione di una proposta di transazione fiscale sia
presso l’ufficio dell’Agenzia fiscale sia presso il concessionario (ora agente) della
riscossione territorialmente competenti, contestualmente al deposito presso il
Tribunale. Nei trenta giorni successivi alla presentazione della proposta l’Agenzia
dovrà procedere alla liquidazione delle dichiarazioni per le quali non è pervenuto
l’esito dei controlli automatici ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità,
nonché al rilascio di una certificazione attestante l’entità dei debiti non ancora iscritti
a ruolo; nel medesimo lasso temporale l’agente della riscossione dovrà procedere al
rilascio della certificazione dei debiti d’imposta iscritti a ruolo. Entrambe le predette
certificazioni andranno consegnate al commissario giudiziale affinché proceda agli
adempimenti di cui agli artt. 171, comma 1 e 172 legge fall. L’adesione o il diniego
alla proposta sono espressi, previo parare conforme della competente Direzione
Regionale dell’Agenzia delle Entrate, tramite voto favorevole o contrario in sede di
adunanza dei creditori, ovvero, in caso di transazione siglata in sede di accordi ex art.
182bis, con apposito atto equivalente alla sottoscrizione dell’accordo di
ristrutturazione.
Le criticità che la formulazione letterale dell’art. 182ter legge fall. solleva sono
molteplici, e numerose di esse restano tuttora insolute.
Il presente lavoro si propone di analizzare specificamente due delle
problematiche ancora aperte, che continuano ad alimentare un serrato dibattito
dottrinale e giurisprudenziale: trattasi dei cosiddetti effetti “tipici” della transazione
fiscale, espressione che allude all’effetto di “consolidamento del debito fiscale” di
cui al comma 2 dell’art. 182ter, ed alla “cessazione della materia del contendere
4
nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”, disciplinato dal comma
5. Come si vedrà, la difficoltà maggiore nel tentare di proporre una plausibile lettura
delle citate disposizioni deriva dall’esigenza di conciliare la normativa tributaria con
i principi e le regole che governano le procedure di composizione negoziale della
crisi di impresa, attesa la natura “ibrida” della transazione fiscale, istituto a cavallo
fra diritto tributario e diritto concorsuale.
Quanto al “consolidamento del debito fiscale”, non avendo il legislatore
chiarito cosa debba esattamente intendersi con tale locuzione, il principale aspetto
critico concerne le ricadute che il perfezionamento di una transazione ha sugli
ordinari poteri di accertamento dell’Amministrazione finanziaria: in altri termini, ci
si chiede se sia possibile emanare, successivamente all’omologazione di un
concordato con transazione fiscale, nuovi avvisi di accertamento sui tributi e sulle
annualità oggetto della proposta transattiva. In dottrina sono state prospettate varie
interpretazioni: se alcuni ritengono che il consolidamento debba intendersi come
definitivo congelamento dei poteri accertativi dell’Erario, secondo altri all’opposto
l’Amministrazione conserverebbe integra la possibilità di attivare i controlli di
merito sulla posizione fiscale dell’imprenditore proponente; una diversa corrente,
ancora, ritiene che il consolidamento vada riferito alla sola attività di liquidazione in
senso proprio delle dichiarazioni fiscali da allegare alla proposta transattiva
(intendendosi per tale l’attività volta a rilevare eventuali errori materiali o di calcolo
commessi in sede di compilazione della dichiarazione, e verifica della regolarità dei
pagamenti dovuti). La prevalente giurisprudenza di merito sembra aderire alla prima
soluzione interpretativa, mentre la Cassazione, in due pronunce del 4 novembre
2011, ha deliberatamente omesso di pronunciarsi sulla questione.
Dopo aver analizzato diffusamente le varie proposte interpretative suggerite, e
le argomentazioni addotte a supporto delle medesime, si è tentata una lettura che
considera l’effetto di consolidamento nell’ottica sia del diritto tributario, sia del
diritto concorsuale: in particolare, si vedrà che la disciplina di cui all’art. 182ter non
ha alcun valore derogatorio rispetto alle norme che disciplinano l’accertamento
tributario, ben potendo l’Amministrazione procedere alla successiva (ed eventuale)
emissione di nuovi avvisi di accertamento, nel rispetto dei termini decadenziali ed in
presenza dei presupposti all’uopo previsti dalla normativa fiscale.
5
Il consolidamento, all’opposto, avrebbe una portata esclusivamente endo-
concorsuale, nel senso che sarebbe un effetto circoscritto alla sola procedura di
concordato preventivo in cui la transazione si inserisce: tale locuzione, infatti,
dovrebbe essere intesa in termini di definitiva quantificazione del debito d’imposta
valevole ai soli fini della determinazione del voto spettante all’Erario in sede di
adunanza dei creditori, nonché del quantum da soddisfare in moneta concordataria a
seguito dell’omologazione del concordato. Discorso parzialmente diverso vale,
ovviamente, per la transazione siglata in sede di accordi di ristrutturazione dei debiti:
mancando la fase della votazione, il consolidamento va inteso come quantificazione
delle pretese creditorie del Fisco da soddisfare secondo le percentuali e le modalità
proposte con l’accordo transattivo.
Quanto all’ulteriore effetto di estinzione del contenzioso tributario pendente, la
difficoltà maggiore consiste nel conciliare la previsione di cui al comma 5 dell’art.
182ter con il principio generale sancito dall’art. 176, comma 1, il quale prevede
l’attivazione ovvero la prosecuzione degli ordinari giudizi di cognizione aventi ad
oggetto crediti contestati, che saranno ammessi alla procedura di concordato ai soli
fini del voto e del calcolo delle maggioranze. Un ulteriore aspetto critico attiene alla
presunta violazione dell’art. 24 Cost., con particolare riguardo ai diritti di difesa
dell’imprenditore-contribuente, posto che l’immediata cessazione del giudizio
tributario comporta inevitabilmente l’accettazione della pretesa contenuta nell’atto
impositivo originariamente impugnato (ferma restando la sua soddisfazione in misura
percentuale e/o dilazionata). Si cercherà di dimostrare che tali criticità potrebbero
essere superate ammettendo la possibilità di presentare una proposta di transazione
“parziale”, ovvero avente ad oggetto soltanto una parte dei crediti tributari sub
iudice, che per la restante parte continueranno ad essere oggetto di contenzioso al
pari di ogni altro credito contestato, ferma restando l’apposizione di una congrua
riserva secondo le modalità stabilite dal Tribunale ex art. 180, comma 6.
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INDICE
CAPITOLO I.
CENNI INTRODUTTIVI
1. Il carattere “ibrido” della transazione fiscale, a cavallo fra normativa
tributaria e disciplina concorsuale ....................................................................13
2. La valorizzazione del consenso nell'ambito del diritto pubblico ………17
2.1. In particolare: il rapporto fra autorità e consenso nell'ambito del
diritto tributario .......................................................................................22
2.2. La transazione fiscale come strumento deflattivo del contenzioso
tributario ed il problema dell'indisponibilità delle obbligazioni
fiscali……………………………………………………………………34
3. Il “consenso” nel diritto della crisi di impresa e la riconducibilità della
transazione al nuovo trend “privatistico” della legislazione
concorsuale............................................................................................………39
4. Il profilo funzionale della transazione fiscale: la “cristallizzazione” del
debito tributario…………………………………………….………………49
CAPITOLO II.
EVOLUZIONE NORMATIVA E CARATTERISTICHE
DELL'ISTITUTO
1. Il precedente storico: la transazione dei tributi iscritti a ruolo ai sensi del
d.l. n. 138/2002..................................................................................................55
2. Il passaggio alla transazione fiscale di cui all'art. 182ter legge fall.:
evoluzione normativa di un istituto ancora in fieri ...........................................71
3. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo
soggettivo. ........................................................................................................79
4. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo
8
oggettivo………………………………………………………………………87
4.1. La vexata quaestio della transigibilità dell'Iva.................................90
5. Il contenuto della proposta di transazione................................................95
6. Il trattamento dei crediti tributari privilegiati..........................................99
7. Sull’obbligatorietà o meno della proposta di transazione fiscale..........108
8. La procedura e gli adempimenti del Fisco.............................................112
9. I criteri di valutazione della proposta di transazione, la conclusione del
sub-procedimento ex art. 182ter e la questione dell’impugnabilità del
diniego.............................................................................................................120
10. La transazione fiscale in sede di accordi di ristrutturazione dei
debiti……………………………………………………………....................134
11. Natura giuridica ed “autonomia” della transazione fiscale...................141
CAPITOLO III.
LA NOZIONE DI “CONSOLIDAMENTO DEL DEBITO FISCALE”
NELL'AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO
1. Introduzione della problematica............................................................151
2. La posizione dell'Agenzia delle Entrate................................................154
3. Le opinioni espresse in dottrina.............................................................162
3.1 La tesi dell'effetto preclusivo del consolidamento conseguente
all'omologazione del concordato preventivo.........................................164
3.2 La tesi dell'effetto preclusivo conseguente all'assenso prestato
dall'Amministrazione finanziaria alla proposta di transazione
fiscale………………………………………………………………….168
3.3 La tesi dell'effetto preclusivo conseguente al rilascio della
certificazione di cui al comma 2............................................................174
3.4 La tesi contraria all'effetto preclusivo del consolidamento …......178
3.5 La tesi del consolidamento in chiave esclusivamente
liquidatoria…………………………………………………………….186
4. La posizione della giurisprudenza …………………………................192
9
5. Proposta di soluzione interpretativa..................................................... 196
5.1. Il rapporto fra l'art. 182ter e i poteri pubblicistici
dell'Amministrazione finanziaria...........................................................201
5.2. Consolidamento del debito tributario e normativa
concorsuale............................................................................................226
5.3 Il mancato rilascio della certificazione, l’obbligatorietà della
medesima e la natura del termine di cui all’art. 182ter.……………….232
6. Il trattamento dei debiti d'imposta accertati successivamente
all'omologazione............................................................................................ 239
CAPITOLO IV.
LA “CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE”
NELL'AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO
1. Introduzione della problematica............................................................247
2. Il perimetro dell'effetto di cui al comma 5.............................................257
3. Necessità o meno del consenso dell'Amministrazione finanziaria ai fini
dell'effetto processuale estintivo ……............................................................267
4. Gli effetti dell'intervenuto annullamento o della risoluzione del
concordato preventivo.....................................................................................276
5. Il rapporto fra l'effetto estintivo di cui al comma 5 e la regola generale di
cui all'art. 176, comma 1. Problemi di legittimità costituzionale....................287
6. Ipotesi di lettura. Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato del
proponente.......................................................................................................294
7. (Segue). Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato
dell'Amministrazione finanziaria....................................................................306
8. L’impugnabilità delle certificazioni e degli “avvisi di
irregolarità”.....................................................................................................312
9. Effetto processuale estintivo e natura giuridica della transazione
fiscale...............................................................................................................317
10
CAPITOLO V.
IL PROBLEMA DELLA CRISTALLIZZAZIONE DEL DEBITO DI
IMPOSTA NEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
E NELLA “TRANSAZIONE PREVIDENZIALE”
1. La transazione fiscale in sede di trattative precedenti la stipula di un
accordo di ristrutturazione dei debiti
1.1. Accordi di ristrutturazione, consolidamento e cessazione della
materia del contendere...........................................................................321
1.2. Proposta di soluzione interpretativa................................................329
1.3. Il mancato rilascio della certificazione............................................339
1.4. La cessazione della materia del contendere nelle liti
pendenti……………………………………………………………......344
1.5. La mancata omologazione dell'accordo di ristrutturazione contenente
una transazione fiscale.......................................................................... 347
1.6. L’inadempimento dell'accordo transattivo e la tutela del creditore
pubblico.................................................................................................350
2. La transazione dei contributi e premi dovuti ad enti gestori di forme
di previdenza ed assistenza obbligatorie (“transazione previdenziale”)
2.1. La disciplina generale dei crediti contributivi ed
assistenziali………………………………………................................357
2.2. I poteri ispettivi, l’accertamento e la riscossione dei contributi
previdenziali...........................................................................................361
2.3. Il contenuto della proposta di transazione previdenziale............... 362
2.4. Gli effetti della transazione previdenziale: sulla possibilità di
estendere il consolidamento e l'estinzione delle controversie pendenti
anche a tale fattispecie ..………………………....................................369
2.5. Eventi patologici e sorte dei crediti contributivi dopo la caducazione
del concordato o dell'accordo di ristrutturazione con transazione
previdenziale …………………………….............................................375
11
CAPITOLO VI.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
..……………..........................................................................................379
BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA.
1) Letture di carattere generale…………………….……….………………389
2) Sulla transazione dei tributi iscritti a ruolo………………………….......401
3) Sulla transazione fiscale ex art. 182 ter legge fall. ……………………...402
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CAPITOLO I.
CENNI INTRODUTTIVI
1. Il carattere “ibrido” della transazione fiscale, a cavallo fra normativa
tributaria e disciplina concorsuale.
Nella gran parte dei contributi dottrinali dedicati al tema della transazione
fiscale non sono mancati rilievi critici in merito alle aporie ed alle profonde
contraddizioni che tuttora circondano l'art. 182ter legge fall., frutto di una
produzione legislativa a dir poco grossolana e frettolosa, poco attenta alla coerenza
dell'insieme e soprattutto varata senza un'approfondita meditazione delle criticità che
l'istituto avrebbe finito inevitabilmente per incontrare nella sua concreta
applicazione.
In primis, non risultano ancora del tutto sopite le dispute in merito alla natura
giuridica della transazione fiscale. La tesi che attribuisce all’istituto de quo carattere
esclusivamente endo-procedimentale, considerandolo come mera fase, tra l’altro
soltanto eventuale ed accessoria, della procedura di concordato preventivo, se ha
coagulato i consensi della prevalente dottrina e della giurisprudenza, anche di
legittimità, continua tuttavia a non trovare concorde più di qualche Autore; qualcuno
infatti, valorizzando l'anima consensuale dell’istituto di cui all’art. 182ter, è
propenso a ravvisarsi una certa “autonomia” rispetto al procedimento concorsuale di
cui agli artt. 160 e ss. legge fall. Senza considerare che questa seconda lettura
sembrerebbe più adatta ad inquadrare la “sottospecie” della transazione fiscale
conclusa nell'ambito delle trattative che precedono la stipula di un accordo di
ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182bis.
In secondo luogo, e sempre sotto un profilo prettamente dogmatico, non privo
tuttavia di rilevanti implicazioni pratiche, va rammentato che la quasi totalità degli
studi in materia di transazione fiscale si è sforzata di ricercarne una conciliazione con
il tradizionale canone di indisponibilità dell'obbligazione tributaria: l'orientamento
oggi consolidato tende a disconoscere che il principio de quo abbia copertura
costituzionale, superando la contrapposta tesi che tendeva a ricondurlo all'art. 53
Cost. Si tende, pertanto, ad attribuire al principio di indisponibilità delle pretese
fiscali un valore “relativo”, riconducendolo ad una norma di fonte legislativa
14
ordinaria, come tale suscettibile di deroghe o disapplicazioni ad opera di successivi
interventi del legislatore tributario. Va detto, comunque, che non mancano posizioni
ancora fortemente conservatrici, che facendo leva sulla portata “assoluta” del canone
della non negoziabilità dei crediti tributari tacciano di incostituzionalità la disciplina
dettata dall'art. 182ter.
Ancora, l'infelice formulazione letterale della disposizione testé richiamata ha
sollevato più di qualche dubbio: se qualcuno è stato definitivamente risolto, vuoi
grazie ad una consolidata interpretazione giurisprudenziale e/o dottrinale1, vuoi ad
opera di successivi interventi legislativi2, altri restano tuttora insoluti. Si pensi, ad
esempio, alla vexata quaestio dell’obbligo di attivare il sub-procedimento transattivo
in presenza di debiti d’imposta da soddisfare in moneta concordataria, sulla quale è
ancora piuttosto vivo il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in attesa di constatare
quale saranno le reazioni a due recentissime pronunce della Corte di Cassazione, che
hanno optato per la mera facoltatività della transazione fiscale.
Tutte queste tematiche saranno riprese nel prosieguo, ed in particolare nel
capitolo II, dove sarà sinteticamente illustrata la disciplina attualmente in vigore e le
problematiche interpretative ancora aperte.
L’oggetto principale del presente lavoro, invece, sono i due effetti cosiddetti
“tipici” della transazione fiscale, secondo l’aggettivazione tradizionalmente in uso
per descrivere le conseguenze connesse al perfezionamento di una transazione
fiscale: trattasi del “consolidamento del debito fiscale”, di cui al comma 2 dell’art.
182ter, e della “cessazione della materia del contendere” nelle liti pendenti,
contemplata al comma 5 della medesima disposizione. Tali effetti, secondo
l'opinione unanime degli interpreti, concreterebbero la cosiddetta “cristallizzazione”
del debito d’imposta, intesa come la definitiva ed irretrattabile determinazione dei
1 Si pensi alla questione relativa agli effetti di un eventuale voto negativo del Fisco (nella duplice
veste di Agenzia delle Entrate ed Agente della riscossione) in sede di adunanza dei creditori,
unanimamente risolta nel senso di ritenere comunque falcidiabile il credito tributario alla luce del
principio generale di cui all'art. 184 l. fall.
2 Sotto questo secondo profilo emblematica è la vicenda che ha interessato il credito Iva. Si rammenti
anche la problematica relativa alla possibilità di falcidiare i crediti tributari privilegiati, discussa in
un primo momento, anche in ragione del differente trattamento che il legislatore concorsuale
riservava in sede di concordato preventivo alla restante parte dei crediti assistiti da prelazione, ed
incontestabilmente ammessa solo dopo le modifiche introdotte con il d. lgs. 169 del 2007.
15
carichi tributari da ammettere al passivo della procedura concordataria.
Il capitolo III sarà dunque dedicato alla tematica del “consolidamento del
debito fiscale”, locuzione piuttosto atecnica ed inconsueta nell’ambito della
disciplina della crisi d’impresa, che il legislatore tra l’altro ha impiegato senza
chiarirne il significato: si tratterà dunque di vedere in che modo, e soprattutto in
quali termini, il debito d’imposta si “consolidi”.
Il dibattito dottrinale sul punto si è focalizzato in particolare sulla pretesa
valenza “sostanziale” da attribuirsi al consolidamento dei crediti tributari, ossia sulle
eventuali ricadute che la stipula di una transazione fiscale avrebbe sui poteri
accertativi dell’Amministrazione finanziaria: alla tesi che attribuisce al
consolidamento efficacia inibitoria, nel senso che la stipula di una transazione fiscale
sortirebbe l’effetto di precludere del tutto il successivo esercizio dei controlli di
merito sui tributi e sulle annualità d’imposta oggetto dell'accordo transattivo, si
contrappone una diversa lettura del comma 2, secondo la quale la transazione, una
volta perfezionata grazie al voto favorevole dell'Erario ed alla conseguente
omologazione del concordato, non potrebbe comunque inibire il successivo (e pur
sempre eventuale) esercizio dei normali poteri di accertamento, che sarebbe sempre
ammissibile nel rispetto degli ordinari termini di decadenza previsti dalla normativa
tributaria.
Quanto alla “cessazione della materia del contendere” di cui al comma 5
dell’art. 182ter, oggetto del capitolo IV del presente lavoro, si tratterà di stabilire se
tale effetto processuale estintivo si concili con la regola generale della prosecuzione
degli ordinari giudizi di cognizione di cui all'art. 176 legge fall., applicabile alla
restante parte dei creditori concordatari, nonché con il principio costituzionale della
tutela giurisdizionale dei diritti di ambedue le parti coinvolte nel sub-procedimento
transattivo.
Infine, si cercherà di estendere le soluzioni interpretative proposte nei capitoli
III e IV anche alle ipotesi di transazione siglata in sede di accordi di ristrutturazione
dei debite e di transazione avente ad oggetto crediti per contributi previdenziali e/o
premi assistenziali, cui è dedicato il capitolo V.
Occorre puntualizzare che ai fini ai fini di un corretto inquadramento
16
sistematico dell'istituto in generale, e dei menzionati effetti tipici in particolare, va
preliminarmente sottolineato un profilo di fondamentale importanza: trattasi del
carattere “ibrido” della transazione fiscale.
La peculiarità dell'istituto, infatti, consiste nel collocarsi a cavallo fra la
normativa concorsuale ed il diritto tributario, quasi a costituire una sorta di ponte fra
le due branche dell'ordinamento, attesa la particolare natura giuridica delle pretese
che ne sono interessate, ossia i crediti che il Fisco vanta nei confronti di un
imprenditore che acceda ad uno degli strumenti di composizione concordata della
crisi previsti dal nostro ordinamento: sicché la disposizione di cui all'art. 182ter,
lungi dal limitarsi a dettare norme di carattere solo “sostanziale”, afferenti cioè al
trattamento da riservare alle obbligazioni tributarie in sede di concordato preventivo
o di accordi di ristrutturazione dei debiti, contiene anche disposizioni di tipo
procedurale, che disciplinano i compiti devoluti all'Amministrazione finanziaria e
l'iter da seguire per l'espletamento dei medesimi, da considerare alla stregua di un
vero e proprio procedimento amministrativo, come meglio sarà chiarito.
Pertanto, per riprendere le parole di uno dei più autorevoli studiosi della
materia, la transazione fiscale, collocandosi a metà strada fra diritto tributario e
diritto delle procedure concorsuali, quasi come “cerniera” fra le due branche
dell'ordinamento giuridico, dirime in un unico istituto una questione di ordine
privato, qual è il governo della crisi di impresa, ed una di ordine pubblico, qual è
l'efficacia dell'attività sovrana di riscossione dei tributi, muovendosi a cavallo tra due
sistemi normativi connotati entrambi da principi assolutamente diversi, talvolta
opposti, e comunque di difficile conciliazione3. Il risultato è una figura che, appunto,
potrebbe essere definita “ibrida”, e che si distingue nettamente dal suo immediato
antecedente storico, rappresentato dall'abrogata transazione dei tributi iscritti a ruolo
(o “transazione esattoriale”) di cui al d.l. n. 138/2002: quest'ultima, infatti,
atteggiandosi come accordo autonomo siglato tra il contribuente e l’Agenzia delle
Entrate nell'ambito di una procedura di esecuzione coattiva già avviata, e non
essendo inserita nel contesto del r.d. n. 267/1942, non poneva analoghi problemi di
coordinamento fra la normativa concorsuale ed il diritto tributario.
3 Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, Maggioli, Milano,
2011, 8 e ss.
17
È nell'ottica di questa “bivalenza” dell’istituto che saranno analizzati gli effetti
tipici del consolidamento del debito fiscale e dell'estinzione delle liti pendenti: la
cristallizzazione del carico fiscale che i medesimi concretano, infatti, dovrà essere
conciliata sia i principi generali che governano il diritto tributario, sia con la struttura
ed il modus operandi propri delle procedure concorsuali.
Ancora, il carattere “ibrido” dell'istituto potrebbe essere apprezzato anche sotto
un altro punto di vista, più squisitamente teorico: l'accordo (ammesso e non concesso
che di autentico accordo negoziale possa parlarsi) siglato fra l'Amministrazione
finanziaria e l'imprenditore in crisi, avente ad oggetto la definizione concordata
dell'entità, delle modalità e dei tempi di pagamento dell'obbligazione tributaria
nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, se da un lato è assimilabile
agli istituti deflattivi del contenzioso previsti dal diritto tributario, tendenti alla
valorizzazione di moduli consensuali nell'attuazione della norma impositiva,
dall'altro è ascrivibile al novero delle soluzioni stragiudiziali, o meglio negoziali,
della crisi di impresa, che al tradizionale esito liquidatorio della procedura
fallimentare privilegiano la conservazione dei valori aziendali, perseguita anche
grazie ad una più attiva partecipazione dell'imprenditore alla gestione della propria
crisi.
Sicché, una possibile ed interessante chiave di lettura potrebbe essere quella di
inquadrare la transazione fiscale, ed i suoi pretesi effetti tipici, nell'ambito delle due
tendenze appena menzionate. Queste, del resto, pur interessando ambiti
assolutamente distinti del nostro ordinamento giuridico, sembrerebbero in realtà
ricollegarsi ad un'identica e più generale impostazione di fondo del medesimo, la
quale, seppur sviluppatasi oramai da qualche decennio, va recentemente acquistando
nuovo vigore: si allude alla diffusa valorizzazione del “consenso”, inteso come
concorso di più volontà alla produzione dell'effetto giuridico desiderato.
2. La valorizzazione del consenso nell'ambito del diritto pubblico.
Quella da ultimo citata rappresenta, come accennato, una tendenza
generalizzata, in quanto la ricerca di moduli consensuali caratterizza, in modo per
così dire trasversale, tanto il diritto pubblico quanto il diritto privato.
Sono tuttora illuminanti, a tal proposito, le teorizzazioni della dottrina tedesca
18
di fine ottocento concernenti la categoria giuridica della Vereinbarung4, termine
equivalente all’italiano “accordo”; tale concetto ha trovato larga applicazione anche
in Italia5, dove celeberrimi Maestri del diritto privato hanno cercato soprattutto di
delineare i tratti differenziali dell'accordo rispetto alla distinta categoria del
contratto6.
4
La teoria della Vereinbarung fu elaborata per la prima volta da BINDING, che la espose in un
saggio edito nel 1889 con il titolo “Die Grundung des Norddeutschen Bundes”; in esso l'A.
impiegava tale concetto per spiegare il processo di fondazione della Confederazione nord-
germanica. Successivi approfondimenti, volti soprattutto ad individuarne i tratti distintivi rispetto
alla figura del contratto, furono condotti da KUNTZE e TRIEPEL, mentre la teorizzazione
dell'accordo come categoria autonoma, suscettibile di trovare applicazione nei diversi settori del
diritto, si deve a JELLINEK: egli inquadrò nella Vereinbarung sia atti di diritto privato (quali le
delibere di società per azioni e gli atti istitutivi delle corporazioni), sia atti di diritto pubblico
interno (come leggi, delibere delle Camere e dei Collegi giudiziari, provvedimenti e ordinanze
ministeriali), nonché ancora atti di diritto internazionale (come gli accordi tra più Stati). Su una
ricostruzione della categoria della Vereinbarung cfr. A. MANCA, voce Accordi, in Noviss. Dig.
It., Utet, Torino, 1957, I1, 145 e ss.
5 I giuristi italiani impiegarono la categoria della Vereinbarung, o “accordo”, dapprima nell'ambito
del diritto internazionale, dove essa fu utilizzata per fondare la distinzione fra “trattati-accordi” (o
“trattati normativi”), finalizzati alla formazione di una volontà collettiva volta alla realizzazione di
un unico interesse, consistente nel regolamentare in modo uniforme ed obbligatorio i mutui
rapporti fra gli Stati aderenti, e “trattati-contratti”, aventi invece ad oggetto lo scambio di
prestazioni di diritto internazionale limitatamente agli Stati che avevano stipulato il patto, e che
finivano per assumere la veste di autentiche parti contraenti (cfr. D. ANZILOTTI, Corso di diritto
internazionale, Athenaeum, Roma, 1912, 47 e ss., ed E. ULLMANN, Trattato di diritto
internazionale pubblico, Utet, Torino, 1914, 66 e ss). Successivamente, la figura venne impiegata
nell'ambito del diritto processuale civile, dove l'accordo è stato concepito come espressione del
fondamentale principio dispositivo, codificato sia dall'art. 2907 c.c. sia dall'art. 99 c.p.c., che
consente alle parti in causa di regolare lo svolgimento dell'attività giurisdizionale civile secondo la
loro privata volontà (cfr. E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, Utet, Torino, 1955, 461; S.
SATTA, voce Accordo (diritto processuale civile), in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1958, I, 300; F.
CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, Società Editoriale del “Foro italiano”,
Roma, 1956, I, 272). Per una sintetica rassegna delle varie tipologie di accordo processuale cfr. G.
BONGIORNO, voce Accordo processuale, in Enc. giur., Aggiornamento X, Treccani, Roma, I;
per una ricostruzione delle diverse posizioni dottrinarie in materia cfr. invece M. TRIMARCHI,
voce Accordo (Teoria generale), in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1958, I, 298).
6 Si allude agli studi di E. BETTI, secondo il quale il proprium dell'accordo risiederebbe
nell'unificazione di più volontà, convergenti verso un interesse comune, laddove il contratto si
configurerebbe piuttosto come l'incontro di due o più volontà diverse, tendenti alla composizione
di interessi contrapposti. L'A. dunque ricostruisce il “contratto” come negozio (bi- o plurilaterale)
ad interessi “contrapposti” o “divergenti”, laddove nell' “accordo” (qualificato anch'esso come
negozio bi- o plurilaterale) emergerebbero interessi “paralleli” o “convergenti” verso uno scopo
comune: con una formula ad effetto, egli affermò che mentre nell'accordo le volontà stanno l'una
accanto all'altra, nel contratto sono invece collocate l’una di fronte l'altra (cfr. Teoria generale del
negozio giuridico, Utet, Torino, 1960, 312 e 313). Sulla stessa scia di pensiero, nel senso di
fondare il contratto sulla contrapposizione di interessi, si colloca anche F. MESSINEO, Il
contratto in genere, Giuffrè, Milano 1968, 651 e 652 (secondo questo A., appunto, ciò che
differenzia l'accordo dal contratto, specie quello di scambio, è l'identità di contenuto delle
dichiarazioni di volontà).
19
La figura dell'accordo ha trovato comunque le sue più rilevanti applicazioni
teoriche, quantomeno in Italia, nell'ambito del diritto pubblico.
In particolare, il tema delle intese e convenzioni pubbliche catturò l'attenzione
degli studiosi italiani a partire dalla seconda metà del XX secolo: gli studi degli
“amministrativisti” si concentrarono non tanto sugli accordi siglati fra enti pubblici,
bensì sugli accordi conclusi fra la pubblica Amministrazione da un lato e soggetti
privati dall'altro7, in concomitanza con l'affermarsi della figura dell'“amministrazione
per consenso”8.
La ragione dell'accresciuta preoccupazione per l'ottenimento del consenso dei
soggetti amministrati era ravvisata nel nuovo quadro socio – politico che era venuto
progressivamente delineandosi per effetto del moltiplicarsi delle forze e dei centri di
aggregazione promananti dal tessuto sociale: col tempo, infatti erano emersi una
molteplicità di gruppi sociali portatori di valori ed interessi tra loro contrastanti,
meritevoli comunque di analoga tutela9, la cui composizione richiedeva un'azione
amministrativa ben può complessa ed incisiva di quella esercitata sino a quel
momento per il tramite dei tradizionali modelli imperativi ed unilaterali. Tanto che la
7 La letteratura in materia di “accordi amministrativi” è assai vasta. Gli studi più interessanti sono
quelli di R. FERRARA: cfr. Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. disc. pubbl.,
Utet, Torino, 1993, VIII, 562 e ss., nonché Gli accordi tra i privati e la pubblica amministrazione,
Milano, Giuffrè, 1985. Cfr. anche AA.VV, L'accordo nell'azione amministrativa, a cura di A.
MASUCCI, Formez, Roma, 1988. Illuminanti sono anche le pagine scritte da alcuni Maestri del
diritto amministrativo, tra cui soprattutto M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993,
II, 14 e ss., il quale offre un'interessante disamina del fenomeno in chiave storica, e A. AMORTH,
Osservazioni sui limiti dell'attività amministrativa di diritto privato, in Arch. dir. pubbl., 1938, III,
455 e ss. Gli accordi fra pubblica Amministrazione e privati, variamente denominati (“protocolli
d'intesa”, “accordi-quadro”, “accordi di programma”, “convenzioni”, ecc.), avevano quale oggetto
immediato l'esercizio, appunto in forma concordata, di funzioni di carattere pubblico, normalmente
gestite con procedimenti ed atti amministrativi; le tipologie di accordi maggiormente diffuse nella
prassi delle pubbliche Amministrazioni furono le concessioni – contratto, aventi ad oggetto beni e
servizi pubblici, gli accordi bonari conclusi nel corso di un procedimento di espropriazione, le
convenzioni urbanistiche, gli accordi di programmazione e le convenzioni sanitarie.
8 Cfr. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 345: l'A. sottolinea come il modello di
amministrazione “per accordi”, sulla scia di quanto già avvenuto in altri paesi (quali USA,
Inghilterra, Germania e Francia), era all’epoca in netta espansione, ed in esso sarebbe stato
ravvisabile l'amministrare del futuro.
9 Cfr. G. BERTI, Dalla unilateralità alla consensualità nell'azione amministrativa, in AA.VV.,
L'accordo nell'azione amministrativa, cit., 30, parla di “amministrazione pluridimensionale”, in
riferimento proprio alla pluralità e diversità di interessi effettivi che si agitano nell'azione
amministrativa.
20
dottrina giunse a teorizzare un nuovo modello dell'agire pubblico, quello dello “Stato
pluriclasse”, così definito in quanto maggiormente attento alle esigenze sociali ed
incentrato su una più incisiva democratizzazione del potere amministrativo.
La prassi, di pari passo con le menzionate teorizzazioni dottrinali, segnò
dunque il progressivo stemperamento dei tratti di autoritarietà che erano stati tipici
della pregressa azione amministrativa, puntando viceversa sulla crescente
valorizzazione delle diverse forme di partecipazione dei privati. Emblematica, a
questo riguardo, è l'evoluzione che ha interessato il procedimento amministrativo:
alla tradizionale concezione “formale”, che ravvisava in esso un mero iter
procedurale, cioè una serie di atti collegati da un nesso di carattere teleologico, in
quanto funzionalmente preordinati al perseguimento di un unico scopo10, venne
contrapponendosi l'innovativa concezione “sostanziale” o “contenutistica”, che
intendeva il procedimento amministrativo come il luogo naturale di emersione e
bilanciamento dei variegati interessi, sia pubblici che privati, incisi dal
provvedimento finale11.
10
Cfr. A.M. SANDULLI, voce Procedimento amministrativo, in Noviss. dig. it., Utet, Torino, 1966,
XIII, 1021 e ss., che scompose il procedimento in varie fasi, individuando per ciascuna di esse gli
atti che le compongono, la rispettiva natura e le funzioni, nonché le situazioni giuridiche
soggettive che vengono in rilievo in ciascuna fase.
11
Si trattava del cosiddetto “procedimento – garanzia” o “procedimento – partecipazione”, inteso al
tempo stesso come forma di esercizio della funzione amministrativa ed istituto di garanzia del
cittadino. Le prime teorizzazioni in questo senso sono da attribuirsi a F. BENVENUTI:
celeberrima è rimasta la sua prolusione al Corso di diritto amministrativo tenuta il 3 dicembre
1951 alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Padova, pubblicata con il titolo “Funzione
amministrativa, procedimento, processo” in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 118 e ss. Con essa l'A.
proponeva l'esercizio della funzione amministrativa nelle forme del processo, anziché del
procedimento, ossia attraverso un meccanismo che garantisse la partecipazione del privato, in
qualità di portatore di un interesse diverso rispetto a quello ravvisabile in capo all'autorità
procedente, muovendo da quella che avrebbe dovuto essere la concezione più alta
dell'amministrazione, ossia l'agire al servizio della comunità, nel rispetto degli interessi del
cittadino: “questa collaborazione è processo; e processo è garanzia di giustizia della decisione; e
garanzia di giustizia è il massimo bene di ogni pubblica amministrazione e insieme di ogni
cittadino”. Cfr. anche Il ruolo dell'Amministrazione nello Stato democratico contemporaneo, in
Jus, 1987, 277 e ss.
Una parte della dottrina portò alle estreme conseguenze questa teorizzazione del procedimento
amministrativo, attribuendo al medesimo una funzione di tutela giurisdizionale degli interessi
privati coinvolti simile a quella svolta dal processo: trattasi della concezione cosiddetta “para-
giurisdizionale” del procedimento (cfr. M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela
giurisdizionale contro la P.A. (il problema di una legge generale sul procedimento
amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, 252 e ss., nonché R. FERRARA, Intese, convenzioni e
accordi amministrativi, cit.).
21
Non vanno sottaciute, tuttavia, le critiche mosse da una parte della dottrina,
schierata su posizioni maggiormente conservatrici, all'affermarsi di forme
consensuali di esercizio delle potestà pubblicistiche: qualche Autore, infatti,
sosteneva l’inammissibilità di accordi fra Amministrazione e privati aventi ad
oggetto la regolazione di rapporti di diritto pubblico, vertendo i medesimi su materie
tipicamente “incommerciabili”12. La volontà dello Stato, in altri termini, avrebbe
dovuto reputarsi “sovrana ed imperante”, ed al di sotto della stessa si sarebbe
collocata la volontà “suddita e passiva” del cittadino.
Questa rigida impostazione tradizionalista è stata del tutto superata dalla
successiva elaborazione dottrinale. Da un lato venne recepita la concezione secondo
la quale l'interesse della pubblica Amministrazione dovesse considerarsi
equiordinato, e non sempre e comunque prevalente, rispetto all'interesse del privato,
riconoscendo a quest'ultimo “pari dignità e valore”13; dall'altro lato fu rivisitato il
dogma dell'indisponibilità e della non negoziabilità del potere amministrativo14. In
particolare si ravvisò nella “funzionalizzazione” alla cura dell'interesse pubblico la
caratteristica precipua del potere amministrativo: in altri termini a connotare una
potestà come pubblica non sarebbe tanto il suo esercizio in via unilaterale ed
autoritativa, quanto piuttosto la sua finalizzazione al perseguimento di un interesse di
carattere generale15.
12
Cfr. F. CAMMEO, La volontà individuale ed i rapporti di diritto pubblico. Contratti di diritto
pubblico, in Giur. it., 1900, 1: secondo l'A. il contratto sarebbe stato inconcepibile sul terreno del
diritto pubblico, in quanto avrebbe assunto a proprio oggetto una pubblica funzione, cioè una
“cosa pubblica”, non costituente ricchezza in quanto non “surrogabile o permutabile”. Si trattava
quindi di una cosa certamente “utile”, ma sicuramente “non commerciabile”.
13
Cfr. F. BENVENUTI, Il ruolo dell'Amministrazione nello Stato democratico, cit., 292 e 293.
14
Cfr. F. PIGA, Presentazione, in L'accordo nell'azione amministrativa, cit., 13: l'A. sostiene che il
momento storico che aveva visto la pura supremazia della pubblica Amministrazione è ormai
inattuale e superato; di contro, il ricorso all'accordo ed al procedimento consensuale non ha il
significato di un trasferimento, di una rinuncia alle prerogative della funzione pubblica, ma può
significare invece una modernizzazione del modo di essere dello Stato. Cfr. anche M. NIGRO,
Conclusioni, ivi, 86 e ss.: l'A. afferma l'esigenza di superare definitivamente il pregiudizio
dell'inammissibilità del contratto di diritto pubblico, intendendo come tale quello avente per
oggetto lo svolgimento di funzioni pubbliche, pregiudizio alimentato dall'oramai obsoleta
concezione del rapporto Stato-individuo come un rapporto fra sovrano e suddito.
15
Sulla “funzionalizzazione”, da intendersi come preordinazione del potere alla cura di interessi
pubblici, cfr. su tutti M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 7 e ss.
22
Il vincolo della funzione riguarderebbe tanto l'attività unilaterale ed imperativa
quanto quella di tipo consensuale della pubblica Amministrazione. Né si potrebbe
obiettare che le nuove modalità di esercizio dei poteri pubblici contrastino con i
precetti costituzionali che governano l'agire amministrativo, ritenendo la dottrina che
i canoni dell'imparzialità e del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. possano essere
meglio soddisfatti proprio grazie al coinvolgimento dei soggetti incisi da quei poteri.
2.1 In particolare: il rapporto fra autorità e consenso nell'ambito del
diritto tributario.
E' proprio nel solco di questo generale rafforzamento dei moduli consensuali di
esercizio dei pubblici poteri che si inscrive la recente tendenza del legislatore
tributario a ricorrere alla figura dell'accordo anche nell'ambito delle procedure di
attuazione della norma fiscale.
La tematica, che in questa sede non è dato di approfondire nel dettaglio, è di
notevole interesse. Basti ricordare la nutrita serie di studi monografici, convegni,
incontri di studio e seminari che si sono occupati del rapporto fra potere impositivo e
consenso del privato16, anche in una prospettiva interdisciplinare17. Secondo qualche
Autore, addirittura, sarebbe proprio nell'ambito del diritto tributario, ancor prima che
16
Quanto ai lavori di carattere monografico cfr. M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti
negoziali nell'attuazione della norma tributaria, Giuffrè, Milano, 2007, nonché M.
VERSIGLIONI, Accordo e disposizione nel diritto tributario, Giuffré, Milano, 2001. Importanti
seminari ed incontri di lavoro si sono svolti, a cavallo fra il 2005 ed il 2006, presso le Università di
Catania (Facoltà di Giurisprudenza) e Verona (Facoltà di Economia), nell'ambito di un Progetto di
Ricerca di Interesse Nazionale cofinanziato dal MIUR sul tema “Autorità e consenso nel diritto
tributario”: i contributi forniti dai partecipanti all'iniziativa sono racchiusi in un'opera collettanea, a
cura di S. LA ROSA, dall'omonimo titolo Autorità e consenso nel diritto tributario, Giuffrè,
Milano, 2007. Nuovi spunti di riflessione, poi, sono emersi nel corso del Convegno conclusivo del
citato Progetto di Ricerca, tenutosi presso l'Università di Catania nei giorni 14 e 15 settembre
2007, le cui Relazioni sono contenute nel volume curato sempre da S. LA ROSA, dal titolo Profili
autoritativi e consensuali del diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2008.
17
Si allude agli studi che, coniugando diritto amministrativo e diritto tributario, hanno tentato di
estendere al secondo il modello dell' “agire per consenso”. Interessante ad esempio fu il III
incontro di studio tra amministrativisti e tributaristi promosso dal Dipartimento di Scienze
Giuridiche dell'Università degli Studi “G. D'Annunzio” di Chieti – Pescara, tenutosi a Pescara in
data 5 ottobre 2007 e confluito nel volume “Azione amministrativa e azione impositiva tra autorità
e consenso”, a cura di S. CIVITARESE MATTUECCI – L. DEL FEDERICO, Franco Angeli,
Milano, 2010. In quest'ottica, dunque, si è cercato di estendere al settore tributario i principi
generali che informano l'azione amministrativa di tipo consensuale, ed in particolare quelli dettati
dalla legge sul procedimento amministrativo, fra cui spicca il disposto dell'art. 11.
23
in altri settori dell’agire pubblico, che il legislatore, in modo per così dire
lungimirante, avrebbe ravvisato l'importanza che riveste l'apporto offerto dal privato
all'esercizio delle funzioni proprie dell'Amministrazione18: del resto, si deve a questa
brillante intuizione l'avvento del sistema di autoliquidazione dell'imposta, fondato
sulla dichiarazione tributaria e sui connessi obblighi formali imposti al contribuente
(Ezio Vanoni, in particolare, fu il primo a teorizzare l'obbligo generalizzato di
dichiarazione come prima ed essenziale forma di partecipazione del contribuente
all'accertamento ed alla susseguente attuazione del prelievo tributario).
In un primo momento, alla partecipazione del privato all'attività di
accertamento dell’Amministrazione finanziaria erano comunque riservati spazi
piuttosto ristretti e nessuna immediata tutela: la partecipazione del contribuente
all’azione impositiva, infatti, poteva aver luogo nelle sole forme ammesse dal
legislatore tributario19, ed era concepita in chiave solo collaborativa, nel senso che ad
essa era assegnata la limitata funzione di fornire all’ente pubblico impositore dati,
notizie ed informazioni volte ad una migliore determinazione della base imponibile,
senza che potesse configurarsi in capo al contribuente un vero e proprio “diritto al
contraddittorio”.
Lo scenario mutò sensibilmente solo nel corso degli anni '80, a fronte
dell'introduzione di nuovi meccanismi di determinazione del presupposto impositivo,
destinati soprattutto alla platea dei contribuenti medio - piccoli e fondati su
coefficienti, parametri e criteri statistico-matematici, in sostituzione del pregresso
modello di accertamento basato sui dati contabili: l'opinabilità che ne conseguiva,
18
Qualche Autore ha addirittura sottolineato come, a differenza del diritto amministrativo, in cui alla
copiosità delle elaborazioni dottrinali ha fatto fronte la scarsa applicazione pratica delle figure
consensuali teorizzate, il diritto tributario registra già da tempo un largo ricorso della prassi a
forme consensuali di attuazione del prelievo, tanto da generare l'impressione che l'interesse della
dottrina per l'argomento segua, e non preceda, la concreta diffusione degli istituti in questione: cfr.
M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma
tributaria, cit., 75. Non va però sottaciuto che altra parte della dottrina rileva criticamente la scarsa
diffusione dei moduli consensuali in ambito tributario, a differenza della fioritura che questi hanno
conosciuto nel diritto amministrativo: cfr. L. DEL FEDERICO, Autorità e consenso nella
disciplina degli interpelli fiscali, in S. LA ROSA, Profili autoritativi e consensuali del diritto
tributario, cit., 156.
19
Quali la presentazione della dichiarazione dei redditi, la tenuta delle scritture contabili, la risposta a
questionari, quesiti, richieste di documenti e chiarimenti formulate dai funzionari del Fisco
nell'esercizio dei loro poteri istruttori, nonché ancora la possibilità di fornire la prova contraria
rispetto a presunzioni relative previste da svariate disposizioni di legge.
24
infatti, impose di valorizzare maggiormente l’apporto informativo del privato, tanto
da indurre il legislatore ad introdurre l'obbligo della preventiva richiesta di
chiarimenti nel caso di accertamento condotto in base a coefficienti20.
Fu dunque la crescente attenzione verso le emergenti esigenze di “civiltà” del
Fisco a portare allo sviluppo delle prime forme di partecipazione del contribuente in
funzione non più di semplice collaborazione, bensì di autentico contraddittorio, in
quanto concepite in difesa di propri diritti ed interessi giuridicamente tutelati21: in
altri termini, alla partecipazione solo “collaborativa” venne sostituendosi una
partecipazione all’attività dell’Amministrazione finanziaria anche di tipo
“difensivo”22.
Occorre comunque chiarire che, quanto alla posizione soggettiva del
contribuente a fronte delle nuove forme di partecipazione all'azione impositiva, non
vi è ancora unanimità di vedute fra gli interpreti: se la dottrina maggioritaria, infatti,
esclude che possa configurarsi un autentico diritto soggettivo al contraddittorio,
ritenendo in tal senso decisiva la circostanza che la sua partecipazione continua ad
essere ammessa nelle sole ipotesi specificamente disciplinate dal legislatore
tributario23, la Corte di Cassazione ha talvolta ravvisato in capo al contribuente una
20
L'obbligo della preventiva richiesta di chiarimenti fu introdotto dall'art. 2, comma 29 della l.. n.
17/1985 (meglio nota come legge “Visentini ter”). Successivamente altre norme ne hanno esteso
l'ambito di applicazione: si trattava essenzialmente di disposizioni di legge che disciplinavano
accertamenti di tipo induttivo, contrassegnati da un elevato grado di aleatorietà, per i quali dunque
appariva quanto mai opportuno prevedere un contraddittorio anticipato con il contribuente, in
funzione deflattiva del contenzioso.
21
Sul punto cfr. A. FANTOZZI, Corso di diritto tributario, Utet, Torino, 2004, 166 e ss.
22
Sulla distinzione fra partecipazione “collaborativa” e partecipazione “difensiva” del contribuente,
come riflesso della differenza che esiste tra mera collaborazione e autentico contraddittorio, cfr. L.
SALVINI, La “nuova partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto
del contribuente ed oltre), in Riv. dir. trib., 2000, I, 13 e ss.
23
Cfr. M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma
tributaria, cit., 77 e ss. Negli stessi termini si è espresso anche L. SALVINI, La “nuova
partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed
oltre) cit., 37 e 38, che attribuisce rilievo alla scelta del legislatore di non introdurre una norma
generale in materia di partecipazione – contraddittorio, poiché solo la previsione di un obbligo
generalizzato di attivare la partecipazione del contribuente, e motivare l'atto successivamente
emanato facendo riferimento anche alle indicazioni emerse in sede di contraddittorio, farebbe
sorgere in capo al privato un’autentica situazione soggettiva avente rilevanza giuridica in termini
di diritto soggettivo. Cfr. ancora S. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Giappichelli, Torino,
2009, 339 e ss., il quale esclude l'esistenza di una norma a carattere generale che sancisca
l'obbligo, in capo all'ufficio, di “sentire” sempre il contribuente prima di procedere
25
situazione giuridica soggettiva tutelabile a pena di nullità dell’atto impositivo24.
Occorre dire, al riguardo, che nessuna norma di carattere generale in materia di
partecipazione all’azione impositiva ovvero diritto soggettivo al contraddittorio è
contenuta nella l. 27 luglio 2000, n. 212 (recante “Disposizioni in materia di statuto
dei diritti del contribuente”): l'art. 6, comma 2, ad esempio, si limita a sancire in
capo all'Amministrazione finanziaria l'obbligo di informare il contribuente di ogni
fatto o circostanza dai quali possa derivare il disconoscimento di un credito
d'imposta ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o
correggere gli atti da lui prodotti, laddove il comma 5 della medesima disposizione
statuisce che prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione
automatizzata, e qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione,
l'Amministrazione deve invitare il contribuente a fornire i necessari chiarimenti o
produrre i documenti mancanti. Priva di portata generale è anche la norma di cui
all'art. 12, che consente al contribuente di formulare osservazioni e richieste nel
rispetto del principio di cooperazione con l'Amministrazione finanziaria, ma solo
nell'ipotesi in cui lo stesso abbia subito una verifica fiscale.
Nonostante sia assodata la mancanza, in ambito tributario, di una previsione
che sancisca l’esistenza di un autentico diritto al contraddittorio dotato di valenza
generale, non può tuttavia disconoscersi il favor mostrato dal legislatore, soprattutto
in tempi recenti, per gli strumenti consensuali di attuazione della normativa fiscale.
L'intento che si è inteso perseguire è lo snellimento delle procedure attuative e la
deflazione del contenzioso, anche al fine di sviluppare un nuovo rapporto tra Fisco e
contribuente basato sulla dialettica e sulla reciproca fiducia. Attraverso successivi
interventi normativi, dunque, sono stati progressivamente introdotti vari istituti a
vocazione collaborativa, nella duplice prospettiva di garantire una più rapida e sicura
percezione del tributo e di ridurre le controversie connesse all'attuazione del prelievo
fiscale.
Occorre rilevare, comunque, che già nell'ordinamento italiano di fine ottocento
all'accertamento, salvo poi affermare comunque la natura contenziosa dell’eventuale
partecipazione al procedimento impositivo.
24
Cfr. Cass., 11 giugno 2010, n. 14105, in GT, 2010, 875. Contra però cfr. Cass., 29 dicembre 2010,
n. 26316, in banca dati Fisconline.
26
esistevano svariate disposizioni normative che facevano leva sull'accordo fra
l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente in ordine alla determinazione del
presupposto impositivo25. Il tratto che le accomunava era rappresentato dalla deroga
al normale meccanismo di imposizione: se questo era essenzialmente basato su un
atto unilaterale ed autoritativo del Fisco, costitutivo dell'obbligazione tributaria, nelle
menzionate fattispecie il provvedimento era preceduto dall'adesione del contribuente,
che prestava il proprio consenso sulla misura del prelievo, con l'effetto che tale
elemento rimaneva definitivamente accertato. Il rilievo assegnato dal legislatore al
consenso del privato indusse la dottrina a qualificare tali ipotesi come forme di
“imposizione concordata”: in particolare, era invalso nel lessico comune l'uso della
nozione “concordato tributario”, o “concordato fiscale”, per individuare il genus in
cui poter ricomprendere i vari istituti all’epoca vigenti26.
Con la riforma del 1971-1973 le ipotesi di intervento consensuale del privato,
nella forma dell'adesione preventiva all'accertamento operato dall'ufficio, furono
limitate soltanto alla sfera dell'imposta di registro, dell'imposta sulle successioni e
donazioni e dell'Invim, per essere eliminate del tutto nella seconda metà degli anni
'80, con l'emanazione dei testi unici in materia di imposte indirette sui trasferimenti
di ricchezza. Fra le ragioni che determinarono la soppressione del concordato
25
Si veda, ad esempio, l'art. 40 del r.d. 24 agosto 1877, n. 4021, recante il testo unico sull'imposta di
ricchezza mobile, che parlava di “somme di reddito netto concordate con i contribuenti”: al
riguardo, la Relazione Ministeriale del 30 marzo 1887 accennava alla capacità dell'agente di
concordare con il contribuente le correzioni all'accertamento. Analoghe disposizioni erano
contenute nel r.d. 24 agosto 1877, n. 4024, contenente il regolamento dell'imposta fondiaria, e
nella l. 6giugno 1877, n. 3684, in materia di imposta sui fabbricati. Una più compiuta disciplina
venne dettata con il Regolamento di attuazione dell'imposta di ricchezza mobile, approvato con
r.d. 11 luglio 1907, n. 560: tale normativa prevedeva l'intervento del contribuente nel
procedimento di imposizione, sia sotto forma di preventiva adesione alla rettifica operata
dall'ufficio ex art. 77, sia in forma di accordo successivo alla notifica dell'avviso di accertamento
ai sensi dell'art. 81. Quest'ultima disposizione, in particolare, prevedeva che detto accordo,
vertente sul valore da assoggettare ad imposizione, dovesse essere formalizzato in una
dichiarazione datata e sottoscritta da ambo le parti, a pena di nullità. Con il r.d. 7 agosto 1936, n.
1639, la possibilità di concordare la base imponibile con l’ufficio venne estesa anche all'imposta
di registro: l'art. 14 disponeva infatti che “nella materia delle imposte sui trasferimenti della
ricchezza, gli Uffici del Registro [...] hanno competenza a concordare con i contribuenti , senza
limiti di somma, i valori imponibili”.
26
Fu probabilmente il tenore letterale del menzionato art. 81 del r.d. n. 560/1907, secondo cui
“quando l'agente concordi con il contribuente le somme dei redditi, fa constatare dell'accordo
mediante dichiarazione [...]”, ad indurre la prassi e la dottrina prevalenti ad impiegare il nomen
“concordato tributario”, al fine di individuare, più in generale, le varie fattispecie di accordo tra
Amministrazione finanziaria e contribuente previste dall'ordinamento giuridico dell’epoca.
27
tributario vi furono essenzialmente le rilevanti difficoltà incontrate da dottrina e
giurisprudenza nel tentare un corretto inquadramento della figura a livello
dogmatico27, e soprattutto nell'individuazione del regime giuridico ad essa
applicabile; un ruolo di rilievo giocò anche il malcostume che l'istituto aveva
contribuito a determinare28, nonché ancora il diffondersi di nuovi metodi di
imposizione, che alla tassazione dei redditi con sistemi sintetici ed induttivi
sostituivano quella dei redditi effettivi29, riducendo drasticamente i margini di
discrezionalità di cui l'Amministrazione godeva nella misurazione del presupposto
impositivo, e dunque la connessa possibilità di addivenire ad un accordo con il
contribuente.
27
Acceso era lo scontro fra i fautori della tesi contrattuale, che ravvisava nel concordato un vero e
proprio contratto, specificamente inquadrabile nel modello della transazione civilistica (cfr. O.
QUARTA, Commento alla legge sull'imposta di ricchezza mobile, Società Editrice Libraria,
Milano, 1902, II, 482-512, che sostenne apertamente che “il concordato è una transazione”, ed E.
VANONI, Lezioni di diritto finanziario e scienza delle finanze, Roma, 1934, 428), ed i sostenitori
della tesi pubblicistica, che all'opposto configurava il concordato fiscale come atto unilaterale di
accertamento, contrassegnato dall'adesione del contribuente alla misura dell'imposizione (A. D.
GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1956, 171 e ss., B. COCIVERA, Il
concordato tributario, Società Editrice Libraria, Milano, 1948, B. GRIZIOTTI, Natura ed effetti
dell'accertamento e del concordato. Impugnabilità e termini, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1938, II, 283).
La tesi pubblicistica finì per essere condivisa anche dalla prevalente giurisprudenza di legittimità:
cfr. ex multis Cass., 17 maggio 1935, in Foro it., 1935, I, 1161; Cass., 12 marzo 1936, n. 871, in
Rep. Foro it., 1936, voce Tasse e imposte in genere, n. 35; Cass., SS.UU., 20 febbraio 1936, in
Foro it., 1936, I, 1344. Anche nella giurisprudenza tributaria venne consolidandosi la massima
secondo cui il concordato fiscale rivestiva carattere di atto amministrativo unilaterale: cfr. ex
multis Comm. Centr., 4 febbraio 1954, n. 56946, in Riv. leg. fisc., 1955, 1212, e Comm. Centr., 13
giugno 1946, in Giur. imp. dir., 1948, 43.
28
Nella Relazione di maggioranza della VI Commissione permanente del Senato, che accompagnava
il disegno di legge delega n. 1639/1970 (reperibile in Tributi, 1970, I, 176 e ss.), era espressamente
riconosciuto che il “patteggiamento” tra Fisco e contribuente, se portato alle estreme conseguenze,
non avrebbe fatto altro che produrre effetti negativi, consentendo evasioni d’imposta più o meno
diffuse: il contribuente, infatti, era spesso indotto a presentare una dichiarazione infedele,
consapevole di poter successivamente pervenire ad un conveniente accomodamento con il Fisco in
sede di definizione della pretesa. Anche la dottrina si era espressa contro l'uso deprecabile del
concordato fiscale: cfr. R. LUPI, Diritto tributario. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2005, 66,
secondo cui con l'abolizione delle varie forme di patteggiamento esistenti nell'ordinamento
tributario il legislatore si era ripromesso di combattere il fenomeno degli accordi illeciti fra
funzionari del Fisco e contribuenti, e la diffusa corruzione che ne conseguiva.
29
Si allude al metodo dell'”accertamento contabile” previsto dal legislatore per imprenditori ed
esercenti arti e professioni, fondato sulle risultanze delle scritture contabili (alla cui tenuta tali
soggetti erano obbligati): con esso si intendeva porre un freno all'eccessiva discrezionalità di cui
l'Amministrazione godeva per effetto del metodo induttivo, per addivenire ad una determinazione
dell'imponibile certa ed inequivocabile, nonché maggiormente rispettosa del principio
costituzionale di capacità contributiva (cfr. la Relazione di maggioranza, cit., nt. 85).
28
Con il passare del tempo, tuttavia, la crescente sfiducia mostrata nei confronti
dell'accertamento contabile, che si rivelò ben presto uno strumento poco efficace,
soprattutto nei confronti dei contribuenti che fruivano di regimi contabili
semplificati30, e la conseguente predisposizione in via legislativa di metodi di
forfetizzazione della base imponibile, quali coefficienti di congruità, parametri e
studi di settore31, stimolarono una crescente spinta verso la reintroduzione di forme di
attuazione concordata della norma tributaria. A ciò si aggiunga che l'eliminazione del
concordato fiscale e di ogni ulteriore forma di contraddittorio anticipato lasciava al
contribuente, come unico strumento per far valere le proprie ragioni contro il Fisco,
il ricorso alle Commissioni tributarie, con conseguente aumento esponenziale del
contenzioso.
In questo contesto autorevole dottrina propose il ripristino di quegli istituti, già
ampiamente collaudati in passato, volti alla definizione in via consensuale dei
rapporti fra Fisco e contribuente, in modo da restaurare un clima di maggior fiducia
30
Tali soggetti, infatti, riuscivano a predisporre una contabilità formalmente corretta, ma
sostanzialmente infedele. Sicché la prassi aveva evidenziato che il rigido formalismo su cui sino ad
allora si era imperniato il controllo fiscale su piccole imprese e professionisti, basato, come detto,
sulle risultanze contabili, non consentiva di conseguire in modo soddisfacente quegli obiettivi di
effettività e giustizia del carico tributario che la riforma degli anni ’70 si era proposta di soddisfare,
finendo per diffondere un diffuso senso di malcontento che accentuò notevolmente la conflittualità
nei rapporti fra Fisco e contribuenti: critiche all’eccessiva rilevanza che il legislatore dell’epoca
attribuiva alle scritture contabili furono avanzate, fra gli altri, da F. TESAURO, Appunti sulle
procedure di accertamento dei redditi di impresa, in Impresa, ambiente e P.A., 1978, 470, F.
GALLO, Accertamento e garanzie del contribuente: prospettive di riforma, in Dir. prat. trib.,
1989, I, 52, nonché L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale, Giuffré,
Milano, 1999, passim.
31
I “coefficienti di congruità e presuntivi di reddito”, da impiegarsi per l’accertamento delle imprese
minori in regime di contabilità semplificata, furono introdotti nel nostro ordinamento con la l. 17
febbraio 1985, n. 17, di conversione del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, il quale consentiva agli
uffici di determinare il reddito basandosi anche sulle caratteristiche esteriori dell’azienda.
Successivamente, la l. 10 dicembre 1991, n. 413 introdusse, con riferimento agli imprenditori e
agli esercenti arti e professioni con un limitato volume d’affari, i “coefficienti presuntivi di ricavi e
compensi”. In verità, già il d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito con l. 27 aprile 1989, n. 154,
consentiva agli uffici di basare sui coefficienti presuntivi la rideterminazione induttiva
dell’ammontare dei ricavi o delle operazioni imponibili ai fini IVA, spostando l’onere della prova
contraria sul contribuente che avesse dichiarato importi inferiori; sicché, la l. n. 413/1991 ha
soppresso i coefficienti di congruità e ha ridenominato “coefficienti presuntivi di compensi e
ricavi” i previgenti coefficienti presuntivi, basandoli su una serie di parametri extracontabili
relativi all’attività esercitata. Detti coefficienti furono sostituiti dagli “studi di settore” previsti
dall’art. 62sexies del d.l. 3 agosto 1993, n. 331, convertito con l. 29 ottobre 1993, n. 427. In attesa
della predisposizione degli studi di settore, con l’art. 3 della l. 28 dicembre 1995, n. 549 furono
introdotti i “parametri”.
29
nei rapporti tra le due parti e ridurre le mole del contenzioso esistente32.
Fu sulla scorta di questa nutrita corrente di pensiero, favorevole al recupero del
modello del concordato fiscale, che nel corso del 1994 il legislatore intervenne sulla
materia, introducendo i nuovi istituti dell'accertamento con adesione e della
conciliazione giudiziale: con essi veniva riconosciuta all'ufficio la possibilità di
definire, in contraddittorio con il contribuente, la rettifica della dichiarazione o la
conciliazione della controversia, a seconda dell'ambito, amministrativo o
processuale, in cui si fosse trovato il rapporto tributario33.
Per la verità i due istituti conobbero un'evoluzione normativa piuttosto
travagliata, che vide il susseguirsi di vari decreti legge prima di approdare alla
disciplina definitiva tuttora in vigore, contenuta nel d. lgs. 19 giugno 1997, n. 218.
Questo prevede, nella formulazione attualmente in vigore, che l’ufficio dell’Agenzia
delle Entrate ed il contribuente possano addivenire ad un accordo, su iniziativa
dell’una o dell’altra parte, prima dell’emissione di un avviso di accertamento o anche
in seguito, al fine di definire la maggiore imposta dovuta, fruendo della riduzione
delle sanzioni ad un terzo del minimo edittale (accertamento con adesione); ovvero è
possibile chiudere una controversia pendente dinanzi al giudice tributario di primo
grado, non oltre la prima udienza, con riduzione delle sanzioni al 40% dell’importo
irrogato (conciliazione giudiziale).
Come accaduto in precedenza per il concordato fiscale, anche per
l'accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale si è riproposta in dottrina la
32
Già nel 1986 il BERLIRI aveva rilanciato l'idea del concordato tributario, in occasione di un
intervento presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna. Successivamente anche
altri autori si pronunciarono in senso favorevole alla reintroduzione del soppresso istituto: cfr. R.
LUPI, Lezioni di diritto tributario. Parte generale, Giuffré, Milano, 1992, 115, e G. TINELLI,
L'accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell'IRPEF, Cedam, Padova, 1993,
37. Del dibattito concernente la reintroduzione dell'istituto de quo diede ampio risalto il quotidiano
Il Sole 24 Ore nei mesi di marzo ed aprile del 1993: la discussione trasse origine dalla proposta di
reintroduzione del concordato fiscale, avanzata da G. TREMONTI e S. PATRIARCA con
l'articolo Fisco, è meglio tornare al concordato, del 30 marzo; nei giorni successivi intervennero
F. GALLO, Concordato solo per gli accertamenti, F. BOSELLO, Il concordato può rivivere senza
cadere nei vecchi errori, R. LUPI, Trasparenza al concordato con le “liste di controllo”, P.
RUSSO, Concordato grazie agli “studi di settore”, ed E. DE MITA, Prima di concordare si
rinnovino gli uffici.
33
Se la figura dell'accertamento con adesione ricordava il vecchio concordato tributario, la
conciliazione giudiziale rappresentava una novità assoluta per la tradizione processuale tributaria:
cfr. F. BATISTONI FERRARA, Conciliazione giudiziale, in Riv. dir. trib., 1995, 1029 e ss.
30
querelle relativa alla natura giuridica dei due istituti: ai fautori della tesi negoziale,
che sottolineano il carattere privatistico e negoziale di ambedue gli istituti34, si
contrappongono coloro, che in realtà sembrerebbero rappresentare la dottrina
maggioritaria, i quali ne valorizzano la natura pubblicistica, ravvisandovi un'ipotesi
di atto amministrativo unilaterale, pienamente inquadrabile nel contesto della
funzione autoritativa di accertamento dell'Amministrazione finanziaria35. Altra
dottrina, ancora, escluso che possano essere “scomodate” entrambe le categorie del
negozio di diritto privato e del provvedimento amministrativo unilaterale, individua
un tertium genus, rappresentato dall'attività consensuale di diritto pubblico che si
esplica mediante la conclusione di un accordo fra le parti: si tratterebbe di una
fattispecie complessa, in cui la volontà del soggetto privato e quella della pubblica
Amministrazione, anche se non collocate su un piano di assoluta parità, concorrono
entrambe alla produzione dell'effetto giuridico finale, dispiegando rispetto ad esso
34
Cfr. F. BATISTONI FERRARA, Accertamento con adesione, in Enc. dir. Aggiornamento,
Giuffrè, Milano, II, 1998, 27 e ss., R. LUPI, Diritto tributario. Parte generale, cit., 69, e P.
RUSSO, Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, in S. LA ROSA,
Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, cit., 89 e ss.
A favore della tesi negoziale sembrerebbe essersi schierata anche la recente giurisprudenza di
legittimità: cfr. Cass., 20 settembre 2006, n. 20386, in Dir. e giust., 2006, 35, in cui si fa
riferimento all'obbligazione ”negozialmente convenuta” dalle parti all'esito di una conciliazione
giudiziale; cfr. anche Cass., 22 aprile 2005, n. 8455, in Mass., 2005, 611, in cui l'istituto della
conciliazione giudiziale è ricostruito come fattispecie a formazione progressiva, espressione dei
poteri dispositivi delle parti e avente natura negoziale (in senso conforme cfr. anche Cass., 13
giugno 2006, n. 21325, in Foro it., 2007, I, 1689, in cui si precisa che l'accordo raggiunto dalle
parti predispone un assetto negoziale paritariamente formato ed avente natura novativa rispetto alle
originarie pretese di ciascuna). Quanto all'accertamento con adesione, Cass., 9 maggio 2006, n.
14945, in Boll. trib., 2006, 1665, ha affermato la necessità della forma scritta ai fini della
formazione dell'atto, richiamandosi ai principi generali che regolano la materia dei contratti della
pubblica Amministrazione.
35
Cfr. M. MICCINESI, Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, in M. MICCINESI (a
cura di), Commentario agli interventi di riforma tributaria, Cedam, Padova, 1999, 10, e G.
FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Cedam, Padova 2005, 355. Cfr. anche
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale d'appello per la Regione Sicilia, sentenza n. 2 del 18 gennaio
2006, in Foro amm. - Cons. Stato, 2006, 267: dopo aver escluso la possibilità di considerare il
procedimento di accertamento con adesione come libera contrattazione fra le parti, secondo la
schema del vecchio concordato fiscale, i giudici contabili ravvisano lo scopo dell'istituto
nell'esigenza di garantire, attraverso l'instaurazione di uno stretto rapporto di collaborazione con il
contribuente, l'individuazione dell'imposta realmente dovuta; pertanto la mancata indicazione,
nell'atto di adesione, degli elementi che consentono di ricostruire con precisione l'an e il quantum
dell'obbligazione tributaria non si pone come mera irregolarità formale dell'atto, bensì come causa
di inesistenza del medesimo, in quanto sarebbe un sintomo della rinuncia da parte dell'ufficio ai
suoi poteri di accertamento.
31
un’analoga efficacia causale36.
Il nuovo “corso” della legislazione fiscale, volto ad incrementare e rafforzare
le forme di determinazione consensuale del prelievo, ha dato impulso a fattispecie
ulteriori rispetto a quelle dell'accertamento con adesione e della conciliazione
giudiziale. Trattasi, comunque, di “figure” eterogenee, in quanto da un lato esse si
collocano in fasi diverse del procedimento di attuazione del rapporto giuridico
d'imposta, inserendosi ora nella fase dell'accertamento del presupposto impositivo,
ora nella fase della riscossione dell’obbligazione già accertata, mentre dall'altro lato
sono connotate da un diverso grado di partecipazione del contribuente. Ciò che
accomuna tali istituti, comunque, è la previsione di un potere di iniziativa in capo a
costui, volto a sollecitare un esercizio dell'azione impositiva non meramente
unilaterale: il fine è quello di pervenire ad una determinazione della misura del
concorso alle pubbliche spese “concordata” con la controparte pubblica, attenuando
il ricorso al giudice tributario37.
Si pensi all'interpello, termine generico che definisce una categoria piuttosto
ampia, la quale comprende in sé fattispecie assai diverse tra loro: tra esse merita
primaria attenzione la figura di interpello cosiddetto “ordinario” di cui all'art. 11
della l. n. 212/2000, che consente al contribuente di interpellare preventivamente
l'Amministrazione finanziaria circa il comportamento da adottare in relazione ad un
caso concreto; la risposta fornita è vincolante per entrambe le parti, con la
conseguente nullità di qualsiasi atto, sia impositivo che sanzionatorio, eventualmente
difforme rispetto ad essa.
Una peculiare tipologia di interpello, qui degna di nota, è il ruling di standard
internazionale, introdotto con il d.l. 30 settembre 2003, n. 269: trattasi di un
procedimento attivabile da imprese con attività internazionale, che culmina con la
36
Cfr. M. STIPO, L’accertamento con adesione del contribuente ex D. Lgs. 19 giugno 1997, n. 218,
nel quadro generale delle obbligazioni di diritto pubblico e il problema della natura giuridica, in
Rass. trib., 1998, 1231 e ss.; F. GALLO, La natura giuridica dell’accertamento con adesione, in
Riv. dir. trib., 2002, I, 425 E SS., e M. L. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali
nell'attuazione della norma tributaria, cit., 156 e ss. Da un punto di vista pragmatico, la tesi de
qua ritiene che a tali accordi non vadano applicate le regole codicistiche in materia di contratti,
bensì trovi applicazione la disciplina speciale appositamente prevista per i primi, e, laddove essa
risulti lacunosa, i principi generali in materia di accordi.
37
Di qui il carattere deflattivo che comunemente viene riconosciuto alle varie fattispecie in esame.
32
stipula di un accordo, dotato di efficacia vincolante per almeno un triennio, tra
l’istante ed il competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto il
regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties. In
ordine alla natura giuridica di detto istituto la dottrina è pressoché concorde
nell'affermarne il carattere negoziale38, se non addirittura autenticamente
transattivo39.
Ancora, tratti di consensualità sono da ravvisare nella rateizzazione delle
somme iscritte a ruolo di cui all'art. 19 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60240, nella
partecipazione delle associazioni di categoria, rappresentative di liberi professionisti
ed imprenditori, alla predisposizione degli studi di settore (anche se qualche autore
ritiene che l'apporto di tali associazioni sia in concreto piuttosto modesto e
marginale, costituendo gli studi uno strumento che viene generato e si sviluppa nelle
mani dell'Amministrazione41), nel procedimento di irrogazione delle sanzioni di cui
all'art. 16 del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 47242, nella comunicazione degli esiti del
38
Cfr. G. GAFFURI, Il ruling internazionale, in Rass. trib., 2004, 488 e ss.. Secondo l'A., l'intesa
negoziale è il connotato qualificante dell'istituto: “il nucleo pattizio assume una notevole
pregnanza, perché diversifica in radice il nuovo istituto dall'attività consultiva della pubblica
amministrazione [...] e determina la sorte del ruling per gli aspetti non diversamente disciplinati”.
Si afferma dunque che l'accordo, compatibilmente con le peculiarità del contesto, è soggetto alla
disciplina codicistica in materia di contratti.
39
Cfr. P. ADONNINO, Considerazioni in tema di ruling internazionale, in Riv. dir. trib., 2004, IV,
70: “l'accordo costituisce atto bilaterale a possibile contenuto transattivo, concluso dopo una fase
di confronto ed estraneo a manifestazioni autoritarie dell'amministrazione”. Cfr. anche L. TOSI -
R. TOMASSINI - R. LUPI, Il ruling di standard internazionale, in Dial. dir. trib., 2004, 489 e ss.
40
La disposizione riconosce al contribuente la possibilità di accordarsi con il concessionario della
riscossione per un pagamento dilazionato del carico a ruolo, secondo un piano di rientro
concordato tra le parti.
41
Cfr. M. BEGHIN, Autorità e consenso nella disciplina degli studi di settore: dalla validazione
dello strumento alle interferenze sul versante della motivazione e della prova dell'atto
amministrativo, in S. LA ROSA, Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, cit., 175 e
ss.: l'A. evidenzia un disequilibrio esistente in questa materia, con prevalenza dell'autorità sul
consenso.
42
Il comma 4 della menzionata disposizione prevede la possibilità, per colui cui sia stato notificato
l'atto di contestazione delle violazioni, di produrre deduzioni difensive, con l'obbligo per l'ufficio,
che intenda comunque disattenderle, di irrogare la sanzione con “atto motivato, a pena di nullità,
anche in ordine alle deduzioni” (cfr. Cass., 20 settembre 1997, n. 9338, in Riv. dir. trib., 1999, II,
111 e ss.). Il procedimento adottato per l'irrogazione delle sanzioni tributarie, dunque, è diretto ad
attuare la partecipazione del contribuente in chiave difensiva, attivando il preventivo
contraddittorio sui presupposti e sulle condizioni della violazione
33
controllo automatizzato e del controllo formale della dichiarazione, introdotte nel
nostro ordinamento dal d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241 e disciplinate rispettivamente
dagli artt. 36bis e 36ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60043, nell'autotutela,
disciplinata dal d.P.R. 27 marzo 1992, n. 28744. Ancora, sono indubbiamente
riconducibili alla categoria dei moduli consensuali anche i recenti istituti
dell'adesione del contribuente al processo verbale di constatazione di cui all'art. 5bis
del citato d. lgs. n. 218/199745, e dell'adesione agli inviti al contraddittorio di cui al
comma 1bis dell'art. 5 del medesimo decreto, su cui si avrà modo di soffermarsi nel
prosieguo.
Infine, sempre nel novero degli strumenti deflattivi del contenzioso si colloca
anche la recentissima definizione delle liti fiscali pendenti al 1° maggio 2011,
introdotta con l'art. 39, comma 12 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con l. 15
luglio 2011, n. 111: l’istituto consiste nella chiusura del contenzioso in atto con
l'Amministrazione finanziaria tramite il pagamento di una somma di denaro
commisurata al valore della lite.
43
Trattasi di un istituto avente, tra gli altri, lo scopo di consentire al contribuente la prospettazione di
dati ed elementi non considerati dall'ufficio all’atto della liquidazione dell’imposta dovuta, al fine
di dimostrare l'illegittimità del controllo e l'infondatezza della pretesa impositiva prima della sua
iscrizione a ruolo. Sul punto cfr. L. SALVINI, La “nuova partecipazione del contribuente (dalla
richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), cit., 26 e ss., nonché P. RUSSO,
Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2005, 220 e 221.
44
Il quale statuisce che “salvo che non sia intervenuto giudicato, gli uffici dell'amministrazione
finanziaria possono procedere all'annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti
illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell'atto”.
Successivamente, il d.l. 18 luglio 1994, n. 452 rimandò ad un successivo decreto ministeriale, poi
effettivamente adottato nel 1997, la regolamentazione dei casi in cui avrebbe potuto essere
esercitato il potere di annullamento d'ufficio o revoca anche in pendenza di giudizio, in ossequio al
principio di economicità dell’azione amministrativa.
45
L'istituto, introdotto dall'art. 83, comma 18 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con l. 6
agosto 2008, n. 133, si rifà alla prassi, piuttosto diffusa in passato, di redigere in contraddittorio
con il contribuente un verbale in cui l'Amministrazione esplicava le ragioni che l'avevano indotta
ad un accoglimento solo parziale dei rilievi effettuati dalla Guardia di Finanza, archiviando quelli
considerati infondati, e di cui il contribuente prende atto, dichiarando implicitamente di rinunciare
all'impugnazione del successivo avviso di accertamento. Sulla menzionata prassi, e sugli effetti
che essa esplicava nei confronti dei soggetti del rapporto tributario, cfr. G. TABET, In tema di
accertamento preventivamente concordato, in Boll. trib., n. 8/2002, 565 e ss.
34
2.2. La transazione fiscale come strumento deflattivo del contenzioso
tributario ed il problema dell'indisponibilità delle obbligazioni fiscali.
Conclusa questa breve rassegna, occorre ora esaminare se e come la
transazione fiscale si collochi nel novero dei citati strumenti deflattivi, in quanto tesa
anch’essa ad una valorizzazione del consenso del privato nell'attuazione della norma
tributaria.
Se la dottrina maggioritaria propende per una riconducibilità dell'istituto al
nuovo trend della legislazione fiscale, inquadrando la fattispecie di cui all'art. 182ter
nell'ambito degli istituti di definizione concordata del debito tributario46, qualche
autore, all'opposto, ne esclude il carattere autenticamente deflattivo, almeno
nell'ipotesi in cui l'accordo con il Fisco non abbia ad oggetto un'obbligazione
tributaria sub iudice o ancora astrattamente impugnabile, ma concerna crediti oramai
definitivi, per i quali non vi è più alcuna possibilità di contestazione (si pensi ai ruoli
scaduti o agli accertamenti per i quali sono inutilmente decorsi i termini per
l'impugnazione, oltre che ai debiti d'imposta risultanti da sentenza passata in
giudicato). In particolare, si è detto che mentre l'accertamento con adesione, la
conciliazione giudiziale e le altre fattispecie di definizione lato sensu transattiva del
rapporto tra il cittadino e l'Amministrazione finanziaria, non specificamente
indirizzati alla soluzione della crisi di impresa, si riferirebbero sempre a pretese
erariali non ancora definitive, e ciò sembrerebbe sufficiente ad attenuare le criticità
connesse alla “negoziabilità” del credito erariale, l’istituto di cui all'art. 182ter, nel
caso in cui abbia ad oggetto pretese definitive, si tradurrebbe in una vera e propria
“rinuncia”, sia pure solo parziale, a crediti fiscali del tutto incontestati, non bilanciata
necessariamente da un’adeguata controprestazione47. Da tale constatazione
deriverebbe una qualificazione dell'istituto in termini di figura atipica di pactum ut
46
Cfr. ex multis L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure
concorsuali, in Riv. dir. trib., 2008, I, 216.
47
Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di G.
SCHIANO DI PEPE Cedam, Padova, 2007, 679; F. MARENGO, Il correttivo e la nuova
Transazione Fiscale, in www.ilcaso.it, II, 95/2008, 8; ID., Il correttivo al correttivo della
Transazione Fiscale, in www.ilcaso.it, II, 132/2008, 10; D. PISELLI, Concordato e transazione
fiscale, in www.ilcaso.it, II, 143/2009, 2 e ss.; M FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale,
in La legge fallimentare. Commentario teorico – pratico, a cura di M. FERRO, Cedam, Padova,
2007, 1444.
35
munis solvatur, dal contenuto remissorio, dilatorio o misto, o comunque un'ipotesi di
accordo tra contribuente ed Amministrazione finanziaria non riconducibile al tipo
legale della transazione civilistica di cui all'art. 1965 c.c., difettando il presupposto
delle reciproche concessioni: il punto sarà chiarito meglio nel prosieguo, quando
saranno illustrate le diverse teorie allo stato rinvenibili in merito alla natura giuridica
dell’istituto di cui all’art. 182ter.
Giova qui precisare che la definitività delle obbligazioni oggetto di un
“accordo” transattivo (a prescindere, per ora, dalla vexata quaestio del carattere
autenticamente negoziale o procedimentale dell’istituto di cui all’art. 182ter) ha
alimentato seri problemi di ordine dogmatico: in particolare, soprattutto all'indomani
della sua introduzione ad opera della riforma del 2005/2006, era stato sollevato da
più di qualche Autore il dubbio che l'istituto segnasse un vulnus inaccettabile al
principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, il quale, seppur dettato da una
norma di legge ordinaria48, godrebbe di copertura costituzionale, essendo
direttamente riconducibile ai principi di capacità contributiva ed imparzialità
nell'azione della pubblica Amministrazione sanciti rispettivamente dagli artt. 53 e 97
Cost.
La disputa, come accennato anche in precedenza, può considerarsi
definitivamente sopita: al giorno d’oggi, infatti, risulta essere di gran lunga
prevalente la tesi secondo cui il canone di indisponibilità della pretesa erariale
sarebbe privo di portata costituzionale, trovando esso la propria fonte in una norma
di legge ordinaria, come tale suscettibile di essere derogata da successive
disposizioni del medesimo rango. Conseguentemente l'art. 182ter, nel prevedere la
falcidiabilità dei crediti fiscali, ivi compresi quelli già divenuti definitivi,
rappresenterebbe una deroga perfettamente legittima, al pari degli altri istituti
deflattivi disciplinati dal diritto tributario49.
48
Si tratta della disposizione di cui all'art. 49 del r. d. 23 maggio 1924, n. 827, contenente il
regolamento per l’esecuzione della legge sulla amministrazione del patrimonio e sulla contabilità
dello Stato: la norma dispone che “Nei contratti non si può convenire esenzione da qualsiasi
specie di imposte o tasse vigenti all'epoca della loro stipulazione”.
49
Molteplici sono i contributi dottrinali dedicati al tema dell’indisponibilità dell’obbligazione
tributaria: fra questi cfr., senza alcuna pretesa di completezza, G. FALSITTA, Funzione vincolata
di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, I, 1047 e ss., R.
LUPI, Insolvenza, fallimento e disposizione del credito tributario, in Dial. trib., 2006, 457 e ss.,
36
Né è mancato chi, all'opposto, si è sforzato di ravvisare il fondamento
dell'istituto de quo in quegli stessi principi costituzionali di tutela dell'iniziativa
economica privata e buon andamento della pubblica Amministrazione che secondo
altri verrebbero ad essere sacrificati: tali principi consiglierebbero, in un contesto di
crisi di impresa, atteggiamenti dell'Amministrazione finanziaria più duttili e meno
rigorosi, che prestino maggiore attenzione all'esigenza di favorire il risanamento
dell'impresa, commisurando l'attività dispiegata per l'esazione dei tributi all'effettiva
possibilità di recupero del gettito fiscale50.
Non meno pertinente sarebbe il richiamo allo stesso principio di capacità
contributiva: si è detto infatti che anche l'art. 53 Cost., a ben guardare, imporrebbe
all’Erario di accettare la soluzione transattiva ogniqualvolta essa riservi al creditore
pubblico un trattamento comunque migliore rispetto a quello concretamente
conseguibile all'esito di una procedura liquidatoria. Sicché, la strada di un accordo
con il Fisco, lungi dal rappresentare una violazione di quel principio, ne costituirebbe
una concreta attuazione.
Senza dimenticare che la soluzione transattiva consentirebbe anche la
salvaguardia di altri valori parimenti dotati di rilievo costituzionale, quali la
conservazione dei livelli occupazionali e dei complessi produttivi non ancora
completamente decotti.
Chiariti i dubbi in merito alla possibilità di conciliare l’istituto con il
tradizionale canone di indisponibilità dell’obbligazione fiscale, sono evidenti le
analogie con gli strumenti deflattivi propri del moderno diritto tributario: come
questi si fondano sulla valorizzazione di moduli consensuali nell’attuazione della
ID., Accertamento con adesione, giurisprudenza della corte dei conti e pretesa “indisponibilità”
del credito tributario, in Dial. dir. trib., 2007, 1089 e ss., A. FANTOZZI, La teoria
dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, in AA.VV., Adesione, conciliazione e autotutela,
a cura di M. POGGIOLI, Cedam, Padova, 2007, 49 e ss. Fra i “fallimentaristi” cfr. soprattutto A.
LA MALFA - L. MARENGO, La transazione fiscale, cit., passim., nonché A. LA MALFA,
Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, in Corr. trib., n. 9/2009, 710.
50
Cfr. D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 2. Sull’esigenza di valutare la proposta di
transazione alla luce delle concrete capacità di esazione del credito, avendo comunque di mira gli
interessi istituzionalmente perseguiti dall’Amministrazione, quali l’efficienza e l’efficacia
dell’azione di riscossione, cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, in Commentario alla legge
fallimentare. Artt. 124-215 e disposizioni transitorie, diretto da C. CAVALLINI, Egea, Milano,
2010, 838 e 839.
37
norma tributaria, anche la soluzione transattiva poggia inevitabilmente sul consenso
di ambedue le parti coinvolte nella vicenda. Tramite l’iter di cui all’art. 182ter,
infatti, l’imprenditore intende perseguire un’intesa, o comunque una qualche forma
di accomodamento con l'Erario: come si vedrà meglio nel prosieguo, oggetto
dell’intesa sarà principalmente il quantum da corrispondere al Fisco, oltre che profili
ulteriori quali tempi di pagamento, interessi ed eventuali garanzie. Si vedrà anche
che tale intesa non si perfeziona secondo il meccanismo proprio dei contratti di
diritto privato, né delle varie tipologie di accordi amministrativi che la prassi odierna
conosce, trattandosi, all'opposto, di una vicenda che trova il proprio inquadramento
esclusivamente nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, dove alla
proposta del debitore, comunque modificabile, almeno sino ad un certo termine,
segue il voto dei creditori, vincolante anche per la minoranza dissenziente.
La transazione, dunque, lungi dal costituire un autentico accordo negoziale
bilaterale, concreterebbe piuttosto una species di procedimento amministrativo51, la
cui caratteristica peculiare è quella di incanalarsi in una procedura di concordato
preventivo, di cui subisce appieno sorti ed effetti, dovendo sottostare alle regole ed ai
principi generali che la governano.
Discorso parzialmente diverso, ovviamente, vale per la transazione siglata in
sede di accordi di ristrutturazione dei debiti, per la quale, ferma restando la sua
connotazione in termini di procedimento amministrativo, sembrerebbero trovare
maggiore applicazione i moduli negoziali, nella misura in cui l’iter transattivo è
destinato a sfociare non già in un voto, bensì in un autentico accordo, sottoscritto da
entrambe le parti e collegato all’accordo (o agli accordi) siglati con la restante parte
del ceto creditorio da un nesso di carattere funzionale. Si tratterà dunque di vedere se
ed in quale misura siano applicabili alla fattispecie in esame i principi generali che
disciplinano il negozio giuridico, e soprattutto le regole codicistiche afferenti alla
materia contrattuale.
In ogni caso, in entrambe le ipotesi l'elemento del “consenso” è innegabile: si
tratterà di vedere, però, se tale consenso assuma rilievo ai fini della effetti “tipici”
51
O meglio un fascio di procedimenti amministrativi, tanti quanti sono gli enti (Agenzie fiscali,
Concessionario della riscossione, Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie)
chiamati ad esprimere il proprio voto in sede di adunanza.
38
dell'istituto, e quale portata esso abbia in concreto.
In particolare, è possibile anticipare sin da subito che il “consolidamento del
debito fiscale” di cui al comma 5 non va inteso in termini di rinuncia volontaria
dell’Amministrazione aderente ad ogni residuo potere accertativo sui tributi e le
annualità oggetto della proposta di transazione fiscale: nel capitolo III sarà
ampiamente argomentata la tesi secondo cui l’ufficio conserva integri i propri poteri
di controllo, potendo esercitarli negli ordinari termini di decadenza ed alle condizioni
previste dalla normativa tributaria. Viceversa, quell'espressione andrebbe piuttosto
intesa come quadro di insieme della complessiva esposizione debitoria dell’impresa
in crisi verso l'Erario52, diretta a fotografare la totalità dei debiti di imposta
precedentemente accertati o comunque già esistenti alla data di presentazione della
proposta di concordato, da riepilogare nella certificazione al fine di ottenerne
l'ammissione al voto e la successiva soddisfazione in moneta concordataria; sicché,
la mancata comprensione di alcune pretese nell'ambito della menzionata
certificazione dovrebbe precluderne la partecipazione alla procedura di concordato.
Il consenso, dunque, non potrebbe avere valore di abdicazione ai propri poteri.
Quanto alla cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie
pendenti, nel capitolo IV si vedrà che la peculiare struttura impugnatoria del
processo tributario, connessa al modus operandi del concordato preventivo, ed in
particolare al principio maggioritario e alla regola della vincolatività del concordato
omologato di cui all’art. 184, induce a ritenere che l’Amministrazione finanziaria
abbia comunque interesse all’estinzione del contenzioso in atto. Sicché, l’eventuale
assenso non riguarda principalmente detto effetto estintivo, ma finirà per appuntarsi
piuttosto sulla misura di soddisfacimento offerta dal debitore.
Ma allora, ne deriverebbe che il consenso del soggetto pubblico finirà per
assumere valenza analoga a quello di ogni altro creditore privato: per entrambi i
soggetti, infatti, si tratta di accettare il trattamento proposto in sede concordataria,
esprimendo una valutazione di merito sulla fattibilità del piano, o attuabilità
dell’accordo di ristrutturazione, consistente nel sindacare la sufficienza delle risorse
52
Negli stessi termini si è espressa di recente anche la Corte di Cassazione, in due pronunce datate 4
novembre 2011: il contenuto di tali sentenze sarà meglio esaminato nel prosieguo.
39
destinate alla soddisfazione delle proprie ragioni creditorie e le concrete prospettive
di soddisfacimento.
3. Il “consenso” nel diritto della crisi di impresa e la riconducibilità della
transazione al nuovo trend “privatistico” della legislazione concorsuale.
Quanto appena constatato induce ad una piena riconducibilità della transazione
fiscale agli strumenti di “soluzione negoziale della crisi di impresa”, che la recente
riforma del diritto concorsuale ha inteso valorizzare.
L’intento che ha ispirato il legislatore, infatti, è stato quello incentivare il
ricorso a composizioni concordate (o consensuali) delle crisi, imprimendo alle
procedure concorsuali un più marcato carattere negoziale: sono stati così recepiti gli
auspici di chi proponeva di ricondurre la gestione della crisi al mercato, ed al “diritto
dell’impresa” in generale53.
Si è assistito, dunque, ad una radicale inversione di prospettiva rispetto al
passato.
Secondo la tradizionale concezione del diritto fallimentare, infatti, il problema
della crisi, sorto all’interno del mercato, era sottratto al mercato per essere gestito
dallo Stato nell’ambito di schemi prettamente processuali, di stampo pubblicistico:
nella codificazione commerciale ottocentesca, infatti, il fallimento era concepito
esclusivamente come “vicenda processuale del commerciante”54, secondo
un’impostazione mutuata dal code de commerce, in cui l’istituto manifestava una
spiccata connotazione pubblicistico-processuale, essendo governato dalla figura del
magistrato-commissario. Si discuteva, piuttosto, in merito alla riconducibilità del
fallimento al modello del processo esecutivo collettivo55, o allo schema della
53
In tal senso cfr. B. LIBONATI, Prospettive di riforma sulle crisi dell’impresa, in Giur. comm.,
2001, II, 327 e ss.; ID., Crisi delle imprese e crisi del fallimento, in Dir. fall., 1988, I, 455 e ss.
54
Cfr. G. BONELLI, Del fallimento, F. Vallardi, Milano, 1938 – 1939, I, 2 e ss., secondo il quale “è
nel diritto procedurale che nel sistema generale del diritto va classificato il fallimento”. Negli
stessi termini anche C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Fratelli Bocca, Milano, 1901,
I, 324, ad avviso del quale il fallimento “appartiene alle leggi processuali, perché ha
essenzialmente lo scopo di far conoscere diritti già esistenti all’apertura del fallimento”.
55
Cfr. A. CANDIAN, Le parti e le fasi del giudizio di verificazione, in Riv. dir. comm., 1933, I, 166 e
ss.; ID., Diritto fallimentare italiano, ivi, 399 e ss.
40
volontaria giurisdizione56, ovvero ancora al paradigma del processo di liquidazione
del patrimonio del fallito57. Alla base della predominante impostazione processuale
dell’istituto, comunque, vi era la convinzione unanime che il fallimento fosse una
procedura di stampo rigorosamente sanzionatorio, diretta ad attuare la responsabilità
patrimoniale del debitore nel caso di inadempimento.
L’unico istituto alternativo al processo di fallimento, che trovava anch’esso la
propria collocazione all’interno del codice del 1882, era la moratoria dei pagamenti;
essa, tuttavia, non aveva dato buona prova di sé, poiché di fatto finiva soltanto per
ritardare l’avvio della procedura fallimentare, avvantaggiando esclusivamente “i
creditori più audaci, più minacciosi e meno scrupolosi”58.
In tale contesto, l’esigenza di evitare le rigide conseguenze personali e
patrimoniali derivanti dal fallimento aveva finito per alimentare il ricorso a strumenti
negoziali di composizione, detta appunto amichevole o “concordata”,
dell’insolvenza, che inizialmente si collocavano al di fuori di ogni tipizzazione
legislativa: l’accordo (o “concordato”) che il debitore siglava con la maggioranza dei
propri creditori, infatti, restava confinato esclusivamente all’area stragiudiziale, tanto
che autorevole dottrina aveva definito tali fenomeni negoziali quali fattispecie
spontanee avvinte l’una all’altra in una “arruffatissima matassa” che spettava solo
all’interprete districare59.
In realtà l’origine del concordato era assai più risalente. Se già la tradizione
giuridica romana aveva elaborato l’istituto del pactum ut minus solvatur, tramite il
quale l’erede di un’eredità oberata da debiti (hereditas damnosa) si accordava con i
creditori del de cuius per una riduzione dei debiti di costui entro i limiti dell’attivo
56
Cfr. F. CARNELUTTI, Natura del processo di fallimento, in Riv. dir. proc. civ., 1937, I, 213 e ss.
57
Cfr. A. BRUNETTI, Natura giuridica del processo di fallimento, in Riv. dir. comm., 1933, I, 666 e
ss.
58
Cfr. L. V. MELIS, voce Concordato preventivo (e piccoli fallimenti), in Enc. giur. it., Soc. Editrice
Libraria, 1914-1936, vol. 3, pt. III, sez. IV, 180. Sulla non felice esperienza della moratoria
disciplinata dal codice di commercio la dottrina era pressoché concorde: cfr. ex multis A.
MAISANO, voce Concordato preventivo, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, VII, 1.
59
Cfr. E. VIDARI, Corso di diritto commerciale, Ulrico Hoepli, Milano, 1898, IV, 5.
41
ereditario60, è nell’età medioevale che emersero le prime forme di concordato quale
tramandato sino ad oggi. In particolare, la pratica consuetudinaria mercantile,
successivamente trasfusa in vari Statuti comunali italiani, aveva accordato al
mercante, prima che intervenisse la dichiarazione di fallimento, e proprio al fine di
evitarne le disastrose conseguenze, la possibilità di presentarsi di persona dal
magistrato, esibendo il bilancio ed i libri, al fine di chiedere la convocazione dei
creditori per la ricerca di un componimento amichevole dell’insolvenza; il
magistrato, qualora avesse accolto la domanda, concedeva una dilazione di
pagamento, e se durante tale lasso temporale la maggioranza dei creditori avesse
acconsentito, il concordato doveva ritenersi concluso, e ad esso era tenuta a
sottostare anche la minoranza dissenziente61.
La prima tipizzazione normativa dell’istituto si ebbe soltanto con la legge 24
maggio 1903, n. 197, con la quale il concordato venne disciplinato come “procedura
concorsuale” riservata al debitore meritevole, sulla falsariga del modello belga62. La
disciplina sarebbe stata successivamente ritoccata dal regio d.l. 8 febbraio 1924, n.
136, relativo ai concordati siglati da imprese bancarie, e successivamente dalla l. 10
luglio 1930, n. 99563. I citati interventi normativi, comunque, non valsero a scalfire la
60
Notizie circa l’esistenza di pacta ut minus solvatur sono fornite da Ulpiano (cfr. ULP, lib. IV, ad
Edictum; cfr. anche fr. 8 e 10 princ. de pactis, 2, 14, dove si riferisce di un rescritto dell’imperatore
Marco Aurelio che si limitò a dare formam ad un istituto già noto al diritto romano); dalle fonti
emerge che il pactum, ottenuta l’approvazione del pretore, diveniva vincolante anche per la
minoranza dissenziente. Per tali profili storici cfr. A. ROCCO, Il concordato nel fallimento e
prima del fallimento, Fratelli Bocca, Torino, 1902.
61
Cfr. L. V. MELIS, voce Concordato preventivo (e piccoli fallimenti), cit., 177, il quale cita
l’esempio dello Statuto dei mercanti del Comune di Lucca, risalente al 1610. Gli Statuti comunali
prevedevano anche un concordato siglato dopo la dichiarazione di fallimento: cfr. A. ROCCO, Il
concordato nel fallimento e prima del fallimento, cit., 36 e ss.
62
La legge belga, risalente al 1883, riservava il concordato al “debitore onesto ma sventurato” (“de
bonne foi et malheureux”, di cui all’art. 2), volendo premiare la condotta non speculativa, dunque
la moralità, del debitore.
63 Sulla disciplina del “vecchio” concordato preventivo, alla luce delle citate modifiche legislative, cfr.
la dettagliata ricostruzione di L. BOLAFFIO, Il concordato preventivo secondo le sue tre leggi
ispiratrici, Utet, Torino, 1932. Secondo l’A. l’istituto si atteggiava come composizione amichevole
giudiziale del dissesto commerciale, atta a soddisfare tre interessi: principalmente, l'interesse del
debitore ad evitare il fallimento, rovinoso sia economicamente che socialmente, salvaguardando
così il proprio patrimonio e l'avviamento (di cui la liquidazione fallimentare non teneva conto
adeguatamente), oltre che la propria reputazione personale; in secondo luogo, l’interesse dei
creditori, che ottenevano una soddisfazione (sia pure parziale) più rapida e sicura rispetto alla
liquidazione fallimentare; da ultimo, l'interesse pubblico dello Stato alla diminuzione del numero
42
natura giudiziale, ossia processuale, del concordato, sostenuta dalla prevalente
dottrina64, nonostante una diversa e più risalente corrente interpretativa ne avesse
tentato una ricostruzione in chiave negoziale65.
Il paradigma processuale connotava anche la disciplina varata con il r.d. 16
marzo 1942, n. 267, in cui i diversi strumenti elaborati dal legislatore per
fronteggiare la crisi d’impresa (fallimento, concordato preventivo, amministrazione
controllata e liquidazione coatta amministrativa) erano destinati a svolgersi secondo
le regole del processo: di qui la denominazione comunemente invalsa di “procedure
concorsuali”.
Ciò era particolarmente evidente a proposito del fallimento: all’autorità
giudiziaria, che poteva anche attivare l’iter d’ufficio, era riservato il ruolo di dominus
dell’intera procedura66.
Su un piano sostanziale, la dottrina non mancò di rilevare in termini critici che
l’attenzione del legislatore era rivolta quasi esclusivamente all’imprenditore,
dei fallimenti incolpevoli e delle pericolose ripercussioni che essi avevano sul commercio
nazionale.
64
Sul carattere processuale del concordato preventivo cfr. soprattutto A. CANDIAN, Il processo di
concordato preventivo, Padova, 1937, 13 e ss.: “Se dovessi tentarne una definizione, direi che
trattasi di un processo di natura esecutiva concorsuale, aperto dietro certi presupposti su
domanda di un commerciante o di una società commerciale cessanti, avente per obiettivo la
esenzione di costoro dalla espropriazione fallimentare attraverso un pagamento – egualitario e
garentito – di particolare vantaggio per i creditori partecipanti”. Cfr. altresì R. PROVINCIALI,
Trattato di diritto fallimentare, Giuffré, Milano, 1974, IV, 2213 e ss.; ID., voce Concordato
preventivo, in Noviss. Dig. it.,Utet, Torino, 1959, III, 980 e 981, che lo qualifica in termini di
“processo volontario concorsuale di esecuzione”.
65
Cfr. L. BOLAFFIO, Il concordato preventivo secondo le sue tre leggi ispiratrici, cit., 25, che lo
definì come “contratto giudiziale fra il commerciante dissestato e i suoi creditori”, e T.
ASCARELLI, Sulla natura dell’attività del giudice nell’omologazione del concordato, in Riv. dir.
proc. civ., 1928, II, 223. Alcuni Autori, tuttavia, pur ammettendo a natura negoziale del
concordato, non nascosero le venature pubblicistiche che lo connotavano: cfr. soprattutto F.
CARNELUTTI, Sui poteri del tribunale in sede di omologazione del concordato preventivo, in
Riv. dir. proc. civ., 1924, II, 61, che ricondusse l’istituto all’alveo della volontaria giurisdizione
(“il concordato preventivo è essenzialmente un contratto conchiuso fra il debitore e una
determinata maggioranza dei creditori con effetti obbligatori anche per i creditori dissenzienti. In
vista di questa sua efficacia anomala e pericolosa, la legge vuole che questi effetti non si
dispieghino se alcuni requisiti non sono controllati dal Tribunale”). Per una critica rivolta ad
entrambe le tesi (della natura contrattuale o processuale del concordato) cfr. A. BONSIGNORI,
Del concordato, in Commentario della legge fallimentare a cura di A. Scialoja – G. Branca,
Zanichelli, Bologna – Roma, 1977, 135 e ss.
66
Cfr. ex multis A. JORIO, Le procedure concorsuali fra tutela del credito e salvaguardia dei
complessi produttivi, in Giur. comm., 1994, I, 497.
43
soprattutto quello individuale67, piuttosto che all’impresa quale organizzazione dotata
di un suo valore intrinseco68: la disciplina dettata dalla legge fallimentare, pertanto, si
riduceva essenzialmente ad un’espropriazione concorsuale dei beni
dell’imprenditore, considerando così preminenti le ragioni della proprietà rispetto a
quelle dell’impresa, e di riflesso del mercato.
Non migliore erano stato il giudizio espresso dagli interpreti in merito alle
procedure cosiddette “minori”, quali il concordato preventivo e l’amministrazione
controllata. Quanto al primo, molteplici fattori ostavano ad una effettiva diffusione
dell’istituto: tra questi, in particolare, la circostanza che fosse riservato
all’imprenditore “onesto ma sfortunato”69, il rigoroso presupposto rappresentato dal
pagamento integrale dei creditori privilegiati e dal soddisfacimento dei chirografari
in misura non inferiore al 40%, ed ancora il requisito della doppia maggioranza (per
teste e per somma, ossia importo dei crediti) necessaria ai fini dell’approvazione
della proposta. Quanto all’amministrazione controllata, limitata alle imprese in
condizioni di “temporanea difficoltà” nei pagamenti, la dottrina maggioritaria
concordava nel ritenere che i due anni concessi dall’art. 187 rappresentassero un
lasso temporale assolutamente irrisorio per poter risollevare le sorti dell’impresa e
garantire il pagamento integrale di tutti i creditori; per cui la procedura finiva per
risolversi in una sorta di anticamera del fallimento.
Come noto tali criticità, unite alla diffusa insoddisfazione nei confronti delle
67
Per una critica all’assimilazione di fondo delle imprese “collettive”, specie quelle societarie, alle
imprese individuali cfr. A. NIGRO, Procedure concorsuali e società in Italia e in Europa, in Dir.
fall., 2005, I, 614 e ss.; ID., Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle
s.p.a., diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, Utet, Torino, 1993, IX, 209 e ss.
68
Cfr. G. TERRANOVA, Le procedure concorsuali, in AA.VV., Giuseppe Ferri e il legislatore: atti
del Convegno commemorativo della nascita di Giuseppe Ferri, Jovene, Napoli, 2009, 54, il quale
sottolinea come l’impresa non fosse considerata in alcun modo una realtà separata e diversa dal
relativo titolare.
69
L’accesso al concordato preventivo era circoscritto agli imprenditori che soddisfacessero stringenti
requisiti di “meritevolezza”: ai sensi dell’art. 160, comma 1 “l’imprenditore che si trova in stato di
insolvenza, fino a che il suo fallimento non è dichiarato, può proporre ai creditori un concordato
preventivo secondo le disposizioni di questo titolo se: a) è iscritto nel registro delle imprese da
almeno un biennio o almeno dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, ed ha
tenuto una regolare contabilità per la stessa durata; b) nei cinque anni precedenti non è stato dichiarato fallito o non è stato ammesso a una procedura di concordato preventivo; c) non è stato
condannato per bancarotta o per delitto contro il patrimonio, la fede pubblica, l'economia
pubblica, l'industria o il commercio”.
44
pesanti inefficienze e lungaggini della procedura fallimentare, indussero il
legislatore, dopo un susseguirsi di proposte di riforma mai attuate, ad una radicale
revisione delle procedure concorsuali, varata a cavallo tra il 2005 ed il 2007. Va
detto, soprattutto, che il recente restyling della disciplina dettata dalla legge fall. ha
inteso dare voce alle ragioni ed alle regole del mercato, che imporrebbero il
coinvolgimento attivo del ceto creditorio nella gestione della crisi: è stato affermato
che nel momento in cui il capitale di rischio è interamente perduto, i creditori
dell'imprenditore diverrebbero di fatto “soci senza diritti”, fornendo loro malgrado
capitale di rischio, e dunque finendo per rappresentare i veri interessati alla migliore
gestione e realizzazione del patrimonio dell'impresa debitrice70. Sicché, la soluzione
più efficiente sarebbe quella che trasferisse in capo ai creditori il controllo
dell'impresa in dissesto, attribuendo loro i poteri gestionali, con connesso
arretramento della giurisdizione71.
Il nuovo corso della legislazione della crisi di impresa ha interessato, in primis,
la principale procedura concorsuale, ossia il fallimento: in quest'ottica, si veda ad
esempio il rafforzamento del ruolo del curatore e del comitato dei creditori, con la
retrocessione dei compiti del giudice delegato ad una mera attività di vigilanza e di
controllo della legalità72. Ancora, rilevante è stata l'attenuazione del carattere di
inquisitorio della procedura, uno dei tratti salienti della disciplina originariamente
dettata dalla legge del 1942, grazie all'eliminazione del “fallimento d'ufficio”.
70
In tal senso cfr. L. STANGHELLINI, Le crisi di impresa tra diritto ed economia, Il Mulino,
Bologna, 2007, passim, che conduce un’interessante disamina in chiave comparatistica,
focalizzandosi in particolare sul diritto statunitense. Sull’affidamento dei poteri gestori ai creditori,
quando per effetto della crisi il capitale di rischio risulti azzerato e non rinnovato, cfr. anche B.
LIBONATI, Prospettive di riforma sulle crisi dell’impresa, cit., 327 e ss., secondo cui i creditori
finirebbero per trasformarsi in residual owners dell’impresa in crisi.
71
Si è detto che con la riforma delle procedure concorsuali il legislatore avrebbe inteso attuare una
“disintermediazione” dell'insolvenza, da intendersi ne l senso di un rafforzamento dei vertici
“privati” (debitore e creditori) a scapito dello Stato, che rappresenta il vertice pubblico del
triangolo ideale coinvolto nella gestione dell'insolvenza, ed interviene nelle due diverse forme del
potere giudiziario (sempre necessario) ed amministrativo (il quale può invece mancare): cfr. L.
STANGHELLINI, Creditori “forti” e governo della crisi di impresa nelle nuove procedure
concorsuali, in Fall., 2006, n. 4, 377. Si è parlato anche di “degiuridisdizionalizzazione”: cfr. ad
esempio F. D’ALESSANDRO, Il “nuovo” concordato fallimentare, in Giur. comm., 2008, I, 349.
72
Sulla funzione direttiva del giudice delegato nella disciplina ante riforma cfr. ex multis A.
CANDIAN, Il processo di concordato preventivo, cit., 79 e ss.
45
Ma ciò che va soprattutto messo in luce è il retrocedere dello stesso fallimento,
a fronte della maggiore rilevanza riconosciuta alle procedure ad esso alternative,
tradizionalmente denominate “minori” ed ora, secondo la nomenclatura
maggiormente in voga, definite di “composizione (negoziale) delle crisi”73. L’intento
che la riforma ha inteso perseguire, infatti, è stato quello di evitare drastici sbocchi
liquidatori, puntando ad una conservazione e valorizzazione dell’impresa che passa
attraverso un accomodamento con il ceto creditorio: l’impresa, dunque, viene
considerata nella prospettiva del going concern, ossia come valore da salvaguardare
nel primario interesse di chi abbia fornito i necessari mezzi finanziari, dunque anche
dei creditori. Con un’espressione ad effetto si è parlato di “privatizzazione” della
soluzione della crisi74.
E’ in questo trend che vanno inquadrati sia il concordato preventivo,
significativamente novellato dalla riforma del 2005/2007, sia gli accordi di
ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182bis ed i piani attestati di risanamento di cui
all’art. 67, comma 3, lettera d), che sono stati introdotti ex novo con la medesima
riforma.
Con i due istituti da ultimo menzionati il legislatore avrebbe inteso recepire
altrettanti strumenti elaborati dalla disciplina aziendalistica ed ampiamente collaudati
73
La valorizzazione dell’autonomia negoziale delle parti nella gestione della crisi è stata sottolineata
anche dalla giurisprudenza di merito: parla di rafforzamento delle “soluzioni negoziali della crisi
di impresa”, pur nel persistente dovere del Tribunale di svolgere un preliminare controllo di
legalità, Trib. Roma, 5 novembre 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1894/2009, in materia di accordi
di ristrutturazione dei debiti. Sempre in tema di accordi cfr. Trib. Roma, 16 ottobre 2006, decr., in
www.ilcaso.it, I, 395/2006, che parla di “trionfo dell’autonomia privata in ambito concorsuale”.
Sulla “netta accentuazione del profilo negoziale” che connota il nuovo quadro normativo in tema
di concordato preventivo, invece, cfr. Trib. Milano, 21 gennaio 2010, decr., in www.ilcaso.it, I,
2208/2010.
74
L’espressione è stata utilizzata per la prima volta da A. JORIO, Le soluzione concordate delle crisi
d’impresa tra “privatizzazione” e tutela giudiziaria, in Fall., 2005, 1453 e ss. Fra gli Autori che
hanno ribadito il concetto cfr. ex multis A. NIGRO, “Privatizzazione” delle procedure concorsuali
e ruolo delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, 363, e B. LIBONATI, Crisi societarie e
governo dei creditori, in Dir. giur., 2007, 10 e ss., secondo il quale la “privatizzazione” non si
esaurirebbe nel maggior peso concesso a determinate figure, bensì esprimerebbe fiducia ed invito
per soluzioni raggiunte in un contesto di autonomia privata, collocate nel gioco del mercato.
Interessante è anche la ricostruzione di F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi di impresa,
Giuffré, Milano, 2011, 3 e ss., secondo cui la privatizzazione è da intendersi non come
arretramento della legge tout court, bensì come arretramento del diritto pubblico, di fronte al
prevalere della legge privata. Di “privatizzazione” (o “contrattualizzazione”) parla anche la
giurisprudenza di legittimità: cfr. da ultimo Cass., 15 settembre 2011, n. 18864, in www.ilcaso.it, I,
6740.
46
nella prassi, funzionali a fronteggiare le crisi imprenditoriali nel modo più rapido ed
efficace possibile: i piani di risanamento sono attuati al di fuori di qualsiasi
procedura concorsuale, e dunque di qualsiasi intervento ab externo, laddove gli
accordi di ristrutturazione dei debiti tipizzano, legittimandola, la prassi dei
concordati stragiudiziali, che avevano dato buona prova di sé in passato (il
riferimento corre soprattutto ai concordati siglati da banche ed istituti finanziari)75.
Quanto al “novellato” concordato preventivo, l'intento che ha animato il
legislatore è stato quello di ampliare le possibilità di accesso all'istituto, nonché di
agevolare la buona riuscita del medesimo: quanto al primo profilo si pensi
all'abbandono della vecchia concezione che limitava la fruibilità del concordato
all'imprenditore “onesto ma sfortunato”, che qualcuno aveva definito ormai come
“figurino ottocentesco”. In merito al secondo profilo basti pensare all'eliminazione
del requisito della “doppia maggioranza”, prima indispensabile ai fini
dell'omologazione del piano concordatario, nonché alla possibilità di suddividere il
ceto creditorio in classi.
Con la recente riforma il nostro legislatore ha inteso così adeguarsi alle
tendenze in atto nella legislazione concorsuale della gran parte degli altri Paesi
occidentali76, dove il ricorso all’autonomia negoziale ed a soluzioni concordate della
crisi di impresa è ampiamente collaudato già da diverso tempo. Basti qui solo un
rapidissimo accenno ad istituti quali la Reorganization ed il Prepackaged plan di cui
75
Cfr. soprattutto gli studi di E. FRASCAROLI SANTI, fra cui Il concordato stragiudiziale, Cedam,
Padova, 1984, Effetti della composizione stragiudiziale dell'insolvenza, Cedam, Padova, 1995,
Crisi dell'impresa e soluzioni stragiudiziali, in Trattato del diritto commerciale e del diritto
pubblico dell'economia, diretto da F. GALGANO, Cedam, Padova, 2005, XXVII, 3 e ss. Cfr.
anche R. PROVINCIALI, voce Concordato stragiudiziale, in Noviss. Dig. It., Utet, Torino, 1959,
987 e ss.: il concordato stragiudiziale veniva concepito dall’A. come contratto plurilaterale (ai
sensi dell’art. 1420 c.c.), che il debitore siglava con la maggioranza dei propri creditori, la cui
causa (ex art. 1325, n. 2) era ravvisata nell’intento di evitare il fallimento dell’imprenditore. Sotto
il profilo del contenuto il concordato poteva essere remissorio, dilatorio o misto, ovvero poteva
assumere le forme del contratto di cessione dei beni ai creditori ex art. 1977 c.c. I creditori
dissenzienti dovevano essere pagati regolarmente, mentre il concordato aveva efficacia liberatoria
verso quelli consenzienti (della liberazione parziale potevano fruire sia i fideiussori che i
coobbligati in solido). Ad esso si applicavano le disposizioni codicistiche in tema di nullità,
annullamento, risoluzione e rescissione, con la precisazione che il venir meno dell’accordo aveva
come effetto l’integrale ripristino dello status ante quo.
76
Cfr. F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi di impresa, cit., 2, nt. 1, con ampi riferimenti
bibliografici alla letteratura straniera.
47
al Chapter 11 dello U.S. Code (Title 11)77, all'Insolvezplan regolato
dall'Insolvenzordnung (InsO) di diritto tedesco78, ai Company o Individual Voluntary
Arrangements disciplinati dall'Insolvency Act britannico del 1986 (più volte
modificato, da ultimo con l'Enterprise Act del 2002)79, alle nuove procedure di
Conciliation e di Sauvegarde di diritto francese80, allo strumento del Convenio
previsto dalla Ley Concursal spagnola n. 22/200381, all'istituto della
Ausgleichsverfahren disciplinato dalla legge fallimentare austriaca
(Konkursordnung, KO)82.
Tratteggiata per sommi capi l’intonazione privatistica delle “nuove” procedure
concorsuali, così come rimaneggiate dalla recente riforma legislativa “a tappe”83,
occorre ora vedere se e come la transazione fiscale si ponga in sintonia con le linee
guida ispiratrici di detta riforma.
La dottrina maggioritaria che si è occupata dell’istituto di cui all’art. 182ter è
concorde nel ritenere che il medesimo sia perfettamente inquadrabile nell'ambito del
77
Trattasi di procedure concepite come alternative alla Liquidation, che prevedono il superamento
della crisi tramite la formulazione di un piano (anche ad opera di un terzo o del trustee
eventualmente designato dall'autorità giudiziaria) variamente strutturato.
78
Trattasi di un piano o “concordato” che può inserirsi in ogni momento nell'ambito della procedura
concorsuale (che resta comunque unica), predisposto su iniziativa del debitore o del curatore: il
piano può assumere i contenuti più vari, potendo derogare anche a disposizioni legislative.
79
Trattasi di accordi stragiudiziali, conclusi da imprenditori che versino in una condizione di
financial distress, e che consentono agli stessi di rimanere alla guida delle proprie imprese.
80
Tali procedure sono state introdotte dalla Loi n. 2005-845 du 26 juillet 2005 de sauvegarde des
entreprises del 26 luglio 2005: la prima consente al debitore che versi in difficoltà economiche o
finanziarie accertate o comunque prevedibili di ricercare, sotto l'egida del Tribunale, una
sistemazione amichevole con i propri principali creditori; con il secondo il debitore che versi in
difficoltà suscettibili di condurlo alla cessione dei pagamenti può proporre ai creditori un piano di
risanamento, il quale, dopo un periodo di osservazione ed a condizione che riscuota il consenso
delle maggioranze prescritte, può venire omologato dal Tribunale.
81
Trattasi di un concordato consistente nella predisposizione di un piano di risanamento, con finalità
conservative dell'impresa, e tale da comportare una remissione del debito in misura non superiore
al 50% o una dilazione di pagamento non superiore a 5 anni.
82
Tale istituto configura un concordato preventivo che può essere richiesto nell'imminenza dello stato
di insolvenza; anche nel corso del fallimento, comunque, è possibile proporre un concordato con
remissione parziale dei debiti di impresa.
83
L'espressione è di U. APICE: cfr. Le ragioni di una riforma, in Dir. prat. fall., 2006, I, 7 e ss.
48
recente trend legislativo che connota il diritto concorsuale. È invero largamente
diffusa l'opinione che esso abbia lo scopo di rendere più agevole il raggiungimento
di una soluzione concordata della crisi di impresa: l' “accomodamento” con l'Erario,
infatti, risulta spesso indispensabile per la buona riuscita del concordato o
dell'accordo di ristrutturazione, costituendo il debito con il Fisco, assai di frequente,
una parte rilevante, se non maggioritaria, del passivo d'impresa. Del resto la
possibilità di ravvisare nell'istituto caratteri di negozialità non sarebbe nemmeno
preclusa dalla pretesa indisponibilità dell'obbligazione tributaria, in quanto si è visto
che tale concezione risulta oggi largamente superata.
Quanto detto renderebbe anche ragione dei frequenti ritocchi normativi che
hanno interessato la transazione fiscale, e che saranno diffusamente analizzati nel
capitolo II. Basti qui rilevare che non v'è motivo di dubitare che il legislatore, con
tali reiterati interventi, abbia inteso agevolare, proprio per il tramite di un accordo
con l’Amministazione finanziaria, il ricorso a soluzioni pattizie della crisi di
impresa84.
Occorre ribadire, tuttavia, che la transazione non ha carattere negoziale puro,
quanto meno se conclusa nell'ambito di un concordato preventivo. Non è ravvisabile,
infatti, un vero e proprio accordo fra imprenditore ed Amministrazione finanziaria, in
cui alla proposta del primo segue l'accettazione da parte della seconda; l'intera
vicenda, infatti, è destinata a svilupparsi all'interno di una procedura concordataria,
di cui l'istituto contemplato dall'art. 182ter finirà inevitabilmente per condividere la
natura e le sorti. Ed al concordato la dottrina maggioritaria, come del resto la
giurisprudenza di legittimità, tendono ad attribuire carattere procedimentale, pur non
disconoscendone rilevanti elementi di consensualità. La principale conseguenza
dell'asserito carattere procedimentale è la falcidiabilità dell'obbligazione tributaria
anche in caso di voto negativo dell'Erario, come si vedrà meglio in seguito85.
84
Nella Relazione illustrativa al d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169 si legge che l'apertura degli accordi
di ristrutturazione alla transazione fiscale è riconducibile alla volontà legislativa di “eliminare uno
dei maggiori ostacoli all'utilizzo degli accordi stragiudiziali”.
85
Discorso diverso vale per la transazione fiscale conclusa in sede di accordi di ristrutturazione dei
debiti: tale sottospecie di transazione, infatti, risente inevitabilmente del carattere prevalentemente
negoziale dell'istituto di cui all'art. 182bis, rilevato dalla migliore dottrina e giurisprudenza. Sicché
alla luce della disciplina dettata dalla disposizione da ultimo citata ai fini della remissione o
dilazione del debito d’imposta sarà indispensabile il consenso espresso dal creditore Fisco, che
49
Inoltre, atteso il carattere pubblico del soggetto protagonista dell'iter
procedurale di cui all'art. 182ter, quest'ultimo finisce per assumere anche la veste di
procedimento amministrativo: come già detto, infatti, questa duplice connotazione
della transazione fiscale, in termini di procedimento (o meglio sub-procedimento)
concorsuale ed amministrativo al tempo stesso, è un riflesso della sua natura
“ibrida”.
4. Il profilo funzionale della transazione fiscale: la “cristallizzazione” del
debito tributario.
Dato per assodato l’inquadramento della transazione fiscale nell’ambito della
recente tendenza alla valorizzazione delle soluzioni concordate della crisi d’impresa,
è possibile comprendere meglio anche la funzione peculiare e specifica che ad essa è
assegnata.
Sotto questo profilo, la totalità dei contributi dottrinali sul tema ravvisa lo
scopo dell'istituto nella “cristallizzazione” del carico fiscale da ammettere al passivo
concordatario, intendendo l’espressione in termini di definitiva quantificazione del
debito d’imposta da soddisfare in seno ad una procedura di concordato preventivo; la
ratio dell’art. 182ter, in altri termini, risiederebbe nell’esigenza di accelerare e
semplificare le operazioni di quantificazione del debito tributario che operano
all’interno di quella procedura, e che sono sempre state connotate da un’estenuante
lentezza e farraginosità86. Tanto che, secondo autorevole dottrina, questi
inconvenienti costituivano probabilmente uno degli aspetti più critici della disciplina
ante riforma, portando a tardive emersioni dei carichi tributari che in molti casi
sortivano l’effetto di sconvolgere le valutazioni di merito compiute dalla restante
parte del ceto creditorio, alterando la convenienza e soprattutto la fattibilità dei piani
altrimenti andrà inquadrato nel novero dei “creditori estranei”, da soddisfare integralmente.
86
Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, 577
e ss. L'A. critica la restrizione dell'ambito di applicazione dell'istituto al solo concordato
preventivo, considerato che le esigenze di accelerazione e semplificazione delle procedure di
accertamento del debito tributario non sono proprie solo di detta procedura concorsuale. Cfr. anche
G. ROCCO, Il debito fiscale nelle procedure concorsuali (1995 – 2006). Parte prima – I debiti
sorti prima della procedura, inserto redazionale di Dir. prat. trib., 2006, 1072, nonchè L. DEL
FEDERICO, Commento sub art. 182ter, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. JORIO e
coordinato da M. FABIANI, Zanichelli, Bologna-Torino, 2007, 2562.
50
concordatari già approvati87.
D’altra parte il legislatore fallimentare è sempre stato propenso ad accordare ai
crediti tributari una posizione del tutto peculiare rispetto al resto dei crediti ammessi
al passivo concordatario: si veda, ad esempio, l’art. 7 della l. n. 197/1903, che dopo
aver disciplinato l’effetto moratorio conseguente alla presentazione del ricorso per
l’ammissione al concordato (consistente nell’impossibilità di acquistare diritti di
prelazione sopra i beni mobili del debitore, nonché nella sospensione di prescrizioni,
perenzioni e decadenze), prevedeva al comma 3 che “I crediti per tributi diretti, o
indiretti ancora privilegiati, non sono sottoposti agli effetti contemplati dal presente
articolo”88
.
Ancora, sotto il vigore della disciplina originariamente dettata dal r.d. n.
267/1942, sia pure nel contesto di istanze volte ad un attenuazione del carattere
rigidamente procedimentalizzato della medesima, si era osservato che comunque era
necessario distinguere la classe dei “creditori di impresa” in senso stretto dai
“creditori non di impresa”, fra cui il Fisco: se ai primi era riservato il potere gestorio
nel caso di mancato rinnovamento del capitale di rischio, i secondi andavano
soddisfatti nella loro pretesa nominale. E per questi ultimi l’estraneità alla vicenda
imprenditoriale propriamente detta avrebbe legittimato la deroga alla par condicio
creditorum, con la conseguente necessità di un pagamento integrale, dato che le
relative ragioni creditorie si connotavano immediatamente per una riconosciuta
valenza di interesse generale, quale la garanzia del gettito tributario89
.
87
Cfr. G. TERRANOVA, Le procedure concorsuali. Problemi d'una riforma, Giuffrè, Milano, 2004,
12.
88
La ragione dell’esenzione dagli effetti moratori previsti da tale disposizione era stata ravvisata nella
speciale natura dei crediti tributari, “più politici che civili, della cui esazione non puossi fare a
meno, e non puossi disconoscere il loro privilegio ad impedirne gli atti esecutivi”: cfr. L. V.
MELIS, voce Concordato preventivo (e piccoli fallimenti), cit., 205. L’A. prosegue affermando
che “Comune, Provincia e Stato devono far fronte al soddisfacimento dei bisogni collettivi, di
assoluta urgenza e necessità per i cittadini, e devon venir messi in grado di essere certi della
riscossione integrale [...]. Rimane in tal senso giustificato lo speciale ed eccezionale privilegio, e
la speciale esenzione dall’effetto moratorio, sia che agiscano sui mobili che sugli immobili del
debitore. Devesi però trattare di tributi diretti, o indiretti, che ancora godono di privilegio
secondo il codice civile; perchè altrimenti sarebbero da trattarsi alla stregua di tutti gli altri
crediti ordinari e chirografari; devono riflettere i tributi dell’anno in corso, nel quale si fanno
valere i diritti, o quanto meno dell’anno precedente”.
89
Cfr. B. LIBONATI, Prospettive di riforma sulla crisi dell’impresa, cit., 331.
51
Al fenomeno delle rinvenineze di nuovi crediti tributari in corso di procedura si
cercò di trovare adeguato rimedio già nel corso dei lavori della prima Commissione
Trevisanato: entrambi gli schemi di disegno di legge delega licenziati in data 20
giugno 200390, tra i criteri direttivi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi nel
riformare la disciplina concorsuale, prevedevano all'art. 17, lettera a) “un
procedimento amministrativo volto al rilascio, da parte dell'amministrazione
finanziaria e degli enti gestori dei rapporti contributivi ed entro breve termine
dall'apertura delle procedure di cui agli artt. 4 e 5 (ossia i procedimenti di
“composizione concordata della crisi” e “liquidazione concorsuale”, n.d.r.), di una
certificazione dei debiti tributari e contributivi maturati fino all'ultimo periodo di
imposta liquidato ovvero per il quale risultano effettuati versamenti; in caso di
silenzio dell'amministrazione competente, si devono intendere non esistenti gli oneri
predetti”. Ancora, la lettera b) del medesimo art. 17 prevedeva anche “la possibilità,
da parte dell'amministrazione finanziaria e degli enti impositori, di transigere le liti
relative ai soggetti per i quali sono aperte le procedure di cui agli artt. 4 e 5, se
risulta la convenienza rispetto alle attività di riscossione coattiva ovvero in rapporto
al prevedibile esito delle procedure concorsuali, nonché l'assenza di pregiudizio per
gli altri creditori”.
Analoghe disposizioni erano contenute nello schema di disegno di legge
ordinaria elaborato dalla seconda Commissione Trevisanato91. L’intento di tali
previsioni è illustrato in modo eloquente dalla Relazione di minoranza al predetto
schema, in cui si legge che “uno dei fattori esterni al fallimento e alle altre
procedure concorsuali che maggiormente condiziona l'efficienza delle procedure è
quello del ruolo degli obblighi fiscali e del Fisco quale creditore. L'aspetto fiscale
delle operazioni svolte in ambito concorsuale ha assunto nel tempo un'importanza
sempre maggiore, per una complessa serie di motivi. La complessità della materia,
frammentaria e disorganica, l'atteggiamento dell'amministrazione finanziaria, che
spesso “scarica” sul curatore tutti gli adempimenti fiscali che facevano capo
all'imprenditore, considerando il professionista alla stregua di un sostituto del
90
Entrambi consultabili in Dir. fall., 2003, I, 2064 e ss.
91
Consultabile in Fall., 2004, Speciale riforma, 5 e ss.
52
fallito e la procedura come il presupposto per attivare provvedimenti sanzionatori a
tutela dell'interesse erariale, in modo non sempre collegato alla complessa serie di
altri interessi pubblici e privati coinvolti nelle procedure concorsuali”.
Nonostante il “naufragio” di quei progetti il legislatore della riforma ha
recepito, per ciò che qui interessa, il punto relativo alla determinazione del carico
fiscale, mercè un apposito iter procedimentale92 teso al rilascio, entro il termine di
trenta giorni dal deposito dell’istanza, di una “certificazione” dei crediti tributari, al
fine di conseguire il “consolidamento” dei medesimi.
Come si vedrà diffusamente nel capitolo III la locuzione “consolidamento del
debito fiscale” è intesa da una parte della dottrina come rinuncia definitiva
dell’Amministrazione finanziaria ai propri residui poteri accertativi, il cui esercizio
andrebbe dunque concentrato in quel ridotto lasso temporale. Nel prosieguo saranno
illustrate le ragioni che inducono a rigettare tale interpretazione, basate da un lato
sull’incapacità dell’art. 182ter di introdurre deroghe alla normativa tributaria (ed in
primis alle disposizioni di legge che disciplinano che disciplinano l’esercizio di quei
poteri), e dall’altro sull’esigenza di conciliare l’istituto con i principi generali che
governano la procedura concordataria.
Giova tuttavia anticipare sin da ora, con riferimento a questo secondo aspetto,
la soluzione interpretativa proposta nel presente lavoro: la funzione del
consolidamento risiederebbe esclusivamente nella fissazione definitiva del carico
tributario da ammettere al passivo concordatario, sia ai fini del voto sia in vista della
successiva fase esecutiva, funzionale ad escludere la successiva emersione di debiti
tributari ulteriori, già esistenti ma non ricompresi nelle prescritte certificazioni. In
altri termini sarà l’ammontare del credito fiscale determinato in via definitiva
all’esito del “sub-procedimento” transattivo a determinare il “peso” del voto ad esso
spettante in adunanza, nonché la base su cui applicare le percentuali di
soddisfacimento indicate nella proposta di concordato.
Il legislatore della riforma dunque avrebbe fatto proprie le medesime esigenze
di fondo che avevano ispirato il menzionato art. 17 del primo progetto Trevisanato:
92
A differenza dei progetti elaborati dalla Commissione Trevisanato, l’art. 182ter non parla
espressamente di “procedimento amministrativo”: tuttavia, nonostante tale silenzio, è indubbia la
qualificazione della transazione fiscale in tali termini, come si vedrà meglio oltre.
53
se questo prevedeva espressamente che il “silenzio dell'Amministrazione
competente” era da intendersi come inesistenza di oneri tributari ulteriori (rispetto a
quanto indicato nella proposta del debitore), lo stesso potrebbe sostenersi a proposito
dell’art. 182ter, che, sia pure con una terminologia non del tutto chiara, lascerebbe
intendere che l’inerzia dell’ufficio determini il “congelamento” delle obbligazioni
tributarie quantificate unilateralmente dal debitore nella proposta di transazione, ai
soli effetti tuttavia della procedura concorsuale in corso, ferma restando l’eventualità
di nuovi accertamenti successivi. L'esigenza di definire il carico tributario già
esistente alla data della proposta, evitando emersioni tardive dello stesso (con
salvezza, lo si ribadisce, delle pretese derivanti da ulteriori ed eventuali controlli di
merito, sempre possibili sino alla scadenza dei termini decadenziali previsti dalla
normativa tributaria), non può essere infatti lasciata in balia dell'Amministrazione
finanziaria e dei possibili atteggiamenti colposamente omissivi della medesima.
Anche con riferimento all'ulteriore effetto “tipico” di cessazione della materia
del contendere di cui al comma 5 dell’art. 182ter non può essere disconosciuto un
richiamo implicito alla “facoltà di transigere le liti pendenti”, contemplata dal
disegno di legge delega del 2003, con una rilevante differenza di fondo: se l’art. 17,
lettera b) di quel progetto accordava all’Amministrazione la sola possibilità di optare
per una cessazione anticipata del contenzioso in essere, previo adeguato
bilanciamento dei contrapposti interessi ivi esplicitamente menzionati (convenienza
della soluzione transattiva per l’Erario da un lato, salvaguardia delle altrui ragioni
creditorie dall’altro), la disposizione di cui al comma 5 dell’art. 182ter sembrerebbe
prefigurare l’estinzione del contenzioso come effetto automatico dell’omologazione
del concordato, indipendentemente dal voto favorevole dell’ufficio.
Ma allora occorre rilevare che ambedue i menzionati effetti “tipici” della
transazione fiscale sembrerebbero prescindere dall'assenso del Fisco: nel senso che la
cristallizzazione del debito d’imposta opererà comunque, anche nel caso in cui
l'Erario abbia votato contro la proposta di transazione, oppure non abbia espresso
alcun voto in adunanza, ovvero ancora non abbia proceduto al rilascio della
certificazione. Si tratta di un profilo di particolare interesse, che tuttavia non sembra
scalfire l’inquadramento dell’istituto nel novero degli strumenti di soluzione
concordata della crisi: anche perché l’attivazione di una transazione fiscale è limitata
55
CAPITOLO II.
EVOLUZIONE NORMATIVA E CARATTERISTICHE DELL'ISTITUTO
1. Il precedente storico: la transazione dei tributi iscritti a ruolo ai sensi
del d.l. n. 138/2002.
Il carattere “ibrido” della transazione fiscale, quale fattispecie a cavallo fra
normativa tributaria e disciplina concorsuale, consente di comprendere meglio alcuni
dei profili più problematici sollevati dall’art. 182ter. Il presente capitolo è appunto
dedicato alla disamina di tali aspetti.
Occorre premettere che la transazione fiscale non è un istituto del tutto nuovo
per il nostro ordinamento giuridico, trovando il suo antecedente storico nella oramai
abrogata “transazione dei tributi iscritti a ruolo” (nota anche come “transazione sui
ruoli” o “esattoriale”) di cui all'art. 3, comma 3 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138,
convertito con l. 8 agosto 2002, n. 178. Tale provvedimento legislativo venne
ribattezzato dalla dottrina come “decreto salva-Lazio” o “salva-calcio”, dal momento
che la fattispecie ivi contemplata, introdotta con lo strumento della decretazione
d’urgenza, era essenzialmente finalizzata a fronteggiare la gravissima esposizione
debitoria di alcune società calcistiche, in primo luogo la Lazio, nei confronti
dell'Erario93.
La norma, la cui formulazione apparve sin da subito piuttosto lacunosa ed
ambigua, è stata oggetto di una circolare interpretativa dell'Agenzia delle Entrate, la
93
La norma di cui all’art. 3, comma 3 così recitava: “L'Agenzia delle entrate, dopo l'inizio
dell'esecuzione coattiva, può procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo dai propri uffici
il cui gettito è di esclusiva spettanza dello Stato, in caso di accertata maggiore economicità e
proficuità rispetto alle attività di riscossione coattiva, quando nel corso della procedura esecutiva
emerga l'insolvenza del debitore o questi è assoggettato a procedure concorsuali. Alla transazione
si procede con atto approvato dal direttore dell'Agenzia, su conforme parere obbligatorio della
Commissione consultiva per la riscossione di cui all'art. 6 del decreto legislativo 13 aprile 1999,
n. 112,, acquisiti altresì gli altri pareri obbligatoriamente prescritti dalle vigenti disposizioni di
legge. I pareri si intendono rilasciati con esito favorevole decorsi 45 giorni dalla data di
ricevimento della richiesta, se non pronunciati espressamente nel termine predetto. La transazione
può comportare la dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo anche a prescindere dalla
sussistenza delle condizioni di cui all'art. 19, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 602/1973”. Va segnalato
che il decreto n. 138, nella sua versione originaria, prevedeva la possibilità di transigere soltanto i
tributi iscritti a ruolo per importi complessivamente superiori a 1,5 milioni di euro; tale limite
minimo venne successivamente eliminato ad opera della legge di conversione.
56
n. 8/E del 4 marzo 200594, emanata a distanza di ben 2 anni dalla data di entrata in
vigore del decreto (23 febbraio 2003), segno eloquente del disinteresse di fondo e
soprattutto del timore dell'Amministrazione finanziaria verso un istituto dalla portata
innovativa assolutamente dirompente: esso infatti rappresentava una svolta radicale
rispetto al dogma dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, all'epoca ancora
fortemente radicato nel nostro ordinamento giuridico. Del resto, anche la quasi
totalità dei contributi dottrinali editi sul tema non ha mancato di sottolineare il vulnus
che la transazione esattoriale avrebbe inferto al principio della incommerciabilità
delle pretese erariali: comparata agli istituti che l'avevano preceduta (in primis
accertamento con adesione e conciliazione giudiziale), rispetto ai quali la dottrina
maggioritaria, come si è visto nel capitolo introduttivo, aveva avuto gioco facile nel
contestarne la natura propriamente transattiva o latamente negoziale, riconducendoli
viceversa all'alveo degli atti amministrativi unilaterali concernenti pretese impositive
non ancora definitive, la transazione sui ruoli, traducendosi nella rinuncia ad una
porzione del credito erariale definitivamente accertato, rappresentava un autentico
punto di rottura rispetto alla consolidata tradizione giuridica95. Tanto che l'Agenzia
delle Entrate, come si legge nel menzionato documento di prassi96, a fronte del
carattere fortemente innovativo della norma e delle numerose problematiche
interpretative che la medesima poneva, aveva reputato necessario acquisire il
preventivo parere del Consiglio di Stato su taluni aspetti ritenuti determinanti ai fini
della concreta applicazione dell'istituto.
Venendo ad un esame più approfondito della disciplina di cui al citato art. 3, va
detto che la disposizione prevedeva la possibilità per l'Agenzia delle Entrate di
94
“Riscossione – Transazione dei tributi iscritti a ruolo – Art. 3, comma 3, del decreto legge 8 luglio
2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178”, varata dalla
Direzione Centrale Accertamento dell'Agenzia delle Entrate e reperibile sul sito
www.agenziaentrate.gov.it.
95
Cfr. ex multis A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo per
imposte statali, in Boll. trib., n. 20/2004, 1467, nonché M. BASILAVECCHIA, La transazione dei
ruoli, in Corr. trib., n. 15/2005, 1217, il quale, nel suo commento alla circolare n. 8/E dell'Agenzia
delle Entrate, parlava di “valenza iconoclasta (della disposizione di cui all’art. 3, comma 3, n.d.r.)
rispetto ad un mito, quello della irrinunciabilità della pretesa tributaria”. Ancor prima, leggasi
l’opinione espressa dallo stesso autore in Azione impositiva ed economicità , in Corr. trib., n.36/
2002, 3223.
96
Cfr. soprattutto p. 2.
57
addivenire ad una “transazione” con il contribuente avente ad oggetto tributi iscritti a
ruolo il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello Stato, al ricorrere di taluni
presupposti rigorosamente individuati dal legislatore. In particolare, ai fini della
proponibilità della soluzione transattiva era necessario che: a) fosse già iniziata
l'azione esecutiva da parte del concessionario della riscossione; b) nel corso di
siffatta procedura esecutiva fosse emersa l'insolvenza del debitore o questi fosse
stato assoggettato a procedure concorsuali; c) fosse comprovata la convenienza della
soluzione transattiva per l'Agenzia delle Entrate, sotto il profilo di una “maggiore
economicità e proficuità della stessa rispetto alla procedura di esecuzione coattiva”.
In ordine alla necessità che la transazione avesse ad oggetto tributi iscritti a
ruolo, parte della dottrina aveva chiarito che l'iscrizione a ruolo poteva essere
indifferentemente a titolo definitivo, ex art. 14 del d.P.R. n. 602/1973, o provvisorio,
ai sensi dell'art. 15 del medesimo decreto97: se nel primo caso il debito d’imposta è
definitivamente determinato nel suo esatto ammontare (risultando ad esempio da un
provvedimento impositivo non impugnato nei termini o da una sentenza passata in
giudicato), nella seconda evenienza l'an e il quantum del tributo derivano da un titolo
ancora precario, in quanto oggetto di contestazione o tuttora astrattamente
impugnabile. Altri, invece, ritenevano che la locuzione “transazione” dovesse
intendersi in senso tecnico, conformemente al disposto di cui all'art. 1965, comma 1
c.c. in materia di contratto di transazione, il quale richiede l'esistenza di una lite,
attuale o anche solo potenziale: pertanto, l’istituto introdotto dal legislatore tributario
poteva concernere soltanto i ruoli provvisori, ossia essenzialmente gli importi ancora
sub iudice98. Sul punto la posizione dell'Agenzia delle Entrate non era
97
Cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o stravaganza normativa? (appunti
a margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), in Boll. trib., n. 18/2002, 18, 1301; F.
PACE, Transazione dei debiti iscritti a ruolo: i dubbi della nuova disciplina, in Forum fiscale n. 1
del novembre 2002, 33; L. FERRAJOLI, Il Fisco “tratta” sui maxi-debiti a ruolo, in Il Sole 24
Ore del 18 novembre 2002. Sono iscritte a ruolo a titolo definitivo: le imposte e le ritenute alla
fonte liquidate ai sensi degli artt. 36bis e 36ter del d.P.R. n. 600/1973; le imposte, le maggiori
imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti divenuti definitivi; i redditi
dominicali dei terreni e i redditi agrari determinati in base alle risultanze catastali; i relativi
interessi, soprattasse e pene pecuniarie. L'art. 15 dispone l'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio
delle imposte, dei contributi e dei premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non
ancora definitivi, nonché i relativi interessi, a seguito della notifica dell'atto di accertamento e per
un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati.
98
Cfr. E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, in Boll. trib.,
58
sufficientemente chiara, non specificando la circolare interpretativa del 2005 se la
transazione esattoriale potesse avere ad oggetto esclusivamente imposte definitive o
anche tributi soltanto provvisori99.
La formulazione letterale dell'art. 3, comma 3 portava poi ad escludere
dall'ambito applicativo dell'istituto tributi il cui gettito non fosse di esclusiva
spettanza dello Stato, ancorché si trattasse di imposte amministrate dagli Uffici
dell'Agenzia delle Entrate in forza di apposite convenzioni siglate con gli enti titolari
della relativa potestà impositiva: fra i tributi esclusi la circolare n. 8/E menzionava
espressamente l'Irap100, le addizionali Irpef, i tributi locali e le tasse automobilistiche.
Era poi discusso se tra i tributi “patteggiabili” potesse includersi anche l'Iva, essendo
questa un'imposta di origine comunitaria il cui gettito era parzialmente destinato al
finanziamento del bilancio dell'Unione Europea: trattasi di una questione che è stata
a lungo dibattuta, come meglio si vedrà, anche con riferimento alla “nuova”
transazione fiscale di cui all'art. 182ter, prima dell'intervento chiarificatore operato
con il d.l. n. 185/2008101.
Inoltre, riferendosi il legislatore ai soli “tributi” iscritti a ruolo, la dottrina
maggioritaria giunse alla conclusione che la transazione esattoriale non potesse
estendersi alle sanzioni, mentre gli interessi, in quanto qualificabili come “accessori”
n. 20/2003, 1466.
99
Sulla lacunosità del menzionato documento di prassi cfr. T. LAMEDICA, Imposte che possono
essere “patteggiate”, in Corr. trib., n. 14/2005, 1101, secondo il quale comunque non sarebbe
fuori luogo pensare che la transazione dovesse attenere all'intero carico tributario iscritto a ruolo,
senza distinguere fra imposte definitive ed imposte solo provvisorie.
100
Cfr. anche E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit.,
1465: l'A. affermava chiaramente che essendo l'Irap tributo di spettanza della Regione nel cui
territorio è realizzato il valore della produzione netta, ai sensi dell'art. 15 del d. lgs. n. 446/1997,
non avrebbe dovuto essere consentito transigere anche questa imposta.
101
M. BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 1218, riteneva che fosse eccessivo
considerare il gettito Iva come di “non esclusiva spettanza dello Stato”, nel senso di escludere
radicalmente l'imposta sul valore aggiunto dal novero dei tributi transigibili. In tal senso anche R.
RIZZARDI, Tributi a rate? La UE perplessa, in Il Sole 24 ore dell'11 marzo 2005, e T.
LAMEDICA, Imposte che possono essere “patteggiate”, cit., 1102, secondo cui anche l'Iva
poteva formare oggetto di transazione, nonostante detta soluzione sicuramente prestasse il fianco
ad indubbi problemi di legittimità comunitaria, poiché ”l'Unione europea potrebbe ritenere che lo
“sconto” sul debito IVA equivalga ad un (non consentito) aiuto di Stato”.
59
del tributo, avrebbero potuto essere transatti102.
Quanto alla necessità che fosse stato già avviato il procedimento di esecuzione
coattiva, in dottrina era stata ravvisata l'opportunità di interpretare il dato normativo
in modo rigoroso, nel senso di non ritenere sufficienti a tal fine l'iscrizione a ruolo
del tributo né la successiva notifica della cartella esattoriale, ma essendo altresì
necessario l'atto di pignoramento notificato dal concessionario della riscossione103.
In merito, poi, al presupposto di cui alla lettera b), la dottrina aveva rimarcato
la necessità di distinguere lo stato di “insolvenza” del contribuente dal suo
“assoggettamento a procedura concorsuale”, interpretando la norma nel senso che le
due condizioni dovessero considerarsi alternative104. In particolare, assodato che
accanto alla nozione di insolvenza propria del diritto fallimentare, intesa come
incapacità di adempiere regolarmente al complesso delle proprie obbligazioni, e
quindi come situazione di totale dissesto patrimoniale, era possibile enucleare una
nozione “civilistica” di insolvenza, ricorrendo più volte questo termine nel codice
civile con il significato, meno stringente, di incapacità di soddisfare una o più
obbligazioni105, la dottrina era divisa fra chi optava per la prima soluzione
interpretativa, sicuramente più restrittiva106, e chi invece era propenso ad intendere
102
Cfr. E BELLI CONTARINI, , La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1466. La
circolare n. 8/E, invece, considerava anche le sanzioni come “accessori” del tributo (cfr. pp. 7 e 8).
103
Sulla necessità del pignoramento anche nell'esecuzione coattiva dei crediti tributari cfr. C.
ASPRELLA, La nuova esecuzione esattoriale, in Le nuove leggi civili commentate, 1999, 840, e
M. C. GIORGETTI, La nuova esecuzione esattoriale, in Riv. esec. forz., 2000, 273. In tal senso si
era espressa anche la circolare interpretativa dell'Agenzia delle Entrate (cfr. p. 5).
104
Cfr. M. L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, in
Riv. dir. trib., 2005, I, 488: secondo l’A., pur essendo l'insolvenza presupposto indefettibile per
l’avvio di una procedura concorsuale, il legislatore avrebbe voluto intendere la prima come
condizione (di accesso alla transazione) autonoma e alternativa rispetto alla seconda, in quanto la
coincidenza fra le due poteva pur sempre mancare, sia sotto il profilo soggettivo, laddove
l'incapienza del patrimonio si fosse manifestata rispetto a contribuenti non assoggettabili a
procedure concorsuali, sia sotto il profilo temporale, quando, pur essendosi già manifestato lo stato
di insolvenza, non era stata ancora avviata alcuna procedura concorsuale.
105
La distinzione fra “insolvenza civile” e “insolvenza fallimentare” è stata messa in luce soprattutto
da G. RAGUSA MAGGIORE in Fallimento. I) Presupposti del fallimento, in Enc. Giur.,
Treccani, Roma, 1989, 3 e ss.
106
Cfr. E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1465:
l’A. giustificava l'adozione della nozione “fallimentare” di insolvenza, indubbiamente più rigida di
quella “civilistica”, in base alla considerazione che l'istituto della transazione sui ruoli comportava
una deroga al principio generale di irrinunciabilità della potestà di imposizione, circostanza questa
60
l'insolvenza di cui alla lettera b) in termini civilistici107. Quanti avevano abbracciato
questa seconda interpretazione non mancavano però di sottolineare le incertezze
derivanti dalla circostanza che nel codice civile il termine “insolvenza” non
compariva con un significato univoco: se alcune norme, infatti, intendono
l'insolvenza come incapienza attuale del patrimonio del debitore rispetto ad uno o più
crediti, ravvisandola dunque nella situazione concreta in cui egli versa dopo
l'infruttuoso esperimento di un'azione esecutiva108, in altre disposizioni codicistiche il
termine denota piuttosto una generica situazione di pericolo astratto per il creditore
in merito alla soddisfazione del proprio diritto109. La migliore dottrina propendeva
per la prima accezione del termine, ravvisando dunque il presupposto oggettivo per
l'attivazione di una transazione esattoriale nella situazione di conclamata
insufficienza dei beni del debitore-contribuente al soddisfacimento delle ragioni
creditorie dell'Erario, salvo poi rilevare criticamente la non idoneità
dell'Amministrazione finanziaria ad accertare tale condizione economica, mancando
delle prerogative proprie dell'autorità giudiziaria110. Viceversa la circolare
che avrebbe dovuto ostacolare un'estensione eccessiva del relativo ambito di applicazione,
dovendo la transazione risultare legittima nelle sole ipotesi in cui il debitore versi in uno stato di
totale dissesto patrimoniale, tale da non poter soddisfare nessuno dei propri creditori, ivi compresa
l'Amministrazione finanziaria.
107
Cfr. M.L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit.,
489.
108
Rientrano in questo primo gruppo di norme l'art. 1274 (il quale disciplina gli effetti dell'insolvenza
del nuovo debitore nell'ambito della delegazione di pagamento), l'art. 1299, comma 2 (in materia
di effetti dell'insolvenza di uno dei condebitori in solido), l'art. 1313 (che regola il caso
dell'insolvenza di uno dei condebitori in solido nel caso in cui il creditore abbia rinunciato alla
solidarietà) e l'art. 1954 (il quale detta la normativa da applicarsi ai rapporti fra più fideiussori, nel
caso di insolvenza di uno di essi).
109
Rientrano in questo secondo gruppo di disposizioni l’art. 1626 (che prevede la risoluzione del
contratto d'affitto per insolvenza dell'affittuario), l’art. 1833 (che disciplina l'ipotesi di recesso dal
contratto di conto corrente per insolvenza dell'altra parte), l’art. 1868 (che prevede il riscatto della
rendita nel caso di insolvenza del debitore), l’art. 1943, comma 2 (il quale dispone che nel caso di
successiva insolvenza del fideiussore, qualora sia previsto l’obbligo di prestare fideiussione, deve
esserne dato un altro): trattasi di fattispecie in cui l'insolvenza non deve essersi manifestata a
seguito dell'infruttuoso esperimento dell'esecuzione forzata, ma configura una semplice situazione
di pericolo per le ragioni creditorie.
110
Cfr. M.L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo,
cit.,, 489 e 490: atteso che in assenza di un accertamento giudiziale dello stato di insolvenza
sarebbe spettato all'Amministrazione finanziaria valutare la condizione economica del
contribuente, per verificare l'effettiva inidoneità del suo patrimonio all'integrale soddisfazione del
credito tributario, “qualche perplessità sorge in merito alla possibilità per un organo
61
dell'Agenzia delle Entrate aveva optato chiaramente per la nozione “fallimentare” di
insolvenza, richiamando all'uopo l'art. 5 legge fall., e quindi attribuendo rilievo
determinante a tutti quegli elementi che, secondo la consolidata giurisprudenza di
legittimità in tema di onere della prova, potevano essere considerati indizi dello stato
di insolvenza111; salvo poi escludere la possibilità di concludere accordi transattivi
con debitori che rivestivano la qualifica di imprenditori commerciali assoggettabili a
fallimento, stante il rischio dell’eventuale revocatoria fallimentare delle somme
ottenute in pagamento durante il periodo sospetto nell’ipotesi di successiva
dichiarazione di fallimento112.
Nel caso di transazione promossa nell'ambito di una procedura concorsuale,
non avendo il legislatore precisato nulla al riguardo, era lasciato all'interprete il
compito di tener conto della diversa morfologia delle varie procedure, chiarendo per
ognuna di esse quali dovessero essere le concrete modalità operative della
transazione esattoriale: ad esempio, se nel concordato preventivo sarebbe stato
l'imprenditore a manifestare la volontà di transigere, nel fallimento la legittimazione
sarebbe spettata al curatore. La dottrina non mancò di sottolineare gli innumerevoli
inconvenienti che l'applicazione pratica dell'istituto avrebbe incontrato nell'ambito
delle varie procedure concorsuali: quanto al fallimento lo scopo della transazione,
ravvisabile nell'ottenere la somma concordata con il debitore immediatamente, o
comunque con una certa sollecitudine, non sarebbe stato agevolmente attuabile, dato
amministrativo di accertare tale condizione, mancando delle prerogative e dei poteri propri
dell'autorità giudiziaria” .
111
Il documento di prassi richiamava esemplificativamente l'esistenza di procedimenti esecutivi
mobiliari e/o immobiliari avviati da terzi creditori, l'esistenza di iscrizioni ipotecarie giudiziali e la
presentazione di ricorsi per fallimento, tutti elementi oggettivamente riscontrabili (sia pure di
valore relativo), che indurrebbero a ritenere che il debitore non è più in grado di soddisfare
regolarmente le obbligazioni scadute.
112
Cfr. pp. 6 e 7, dove si diceva che il pagamento ricevuto dall'Amministrazione finanziaria in
esecuzione di una transazione esattoriale sarebbe stato un normale atto dispositivo assoggettabile a
revocatoria fallimentare, nonostante esso riguardasse imposte ormai scadute, in relazione alle quali
l'art. 89 del d.P.R. n. 602/1973 dispone l'esenzione da revocatoria; gli stessi timori erano stati
condivisi anche dal Consiglio di Stato nel parere reso in materia di transazione esattoriale, ivi
menzionato. La circolare, comunque, ammetteva un'eccezione, consentendo la stipula di un
accordo transattivo anche con debitori fallibili qualora esso fosse stato inserito in un piano di
riassetto dell'impresa e di ristrutturazione dei debiti che prevedesse il coinvolgimento di tutti i
creditori, precisando che in tal caso sarebbe necessario che i creditori assistiti da privilegio di
grado pari o superiore a quello dell'Erario avessero prestato il loro assenso all'accordo transattivo.
62
che le regole del concorso prevedono che il pagamento debba avvenire in sede di
riparto dell'attivo, non configurando le pretese erariali una specifica ipotesi di credito
prededucibile113. Ancora, con riferimento all'ipotesi di transazione esattoriale
proposta nell'ambito di un concordato fallimentare, se era possibile ottenere un
pagamento più celere, senza la necessità di sottostare alle lungaggini proprie della
liquidazione dell’attivo, sarebbe stato comunque opportuno per l’Erario chiedere
l’inserimento, nella proposta di cui all’art. 124 legge fall., di clausole a garanzia di
detto pagamento, quali ad esempio una condizione sospensiva o risolutiva, sulla cui
apponibilità, tuttavia, non vi è ancora unanimità di vedute fra gli interpreti114.
Un tema ampiamente discusso in dottrina concerneva la possibilità di
ricondurre al novero delle “procedure concorsuali” di cui all'art. 3 anche
l'amministrazione controllata, il cui presupposto era legislativamente individuato
nella condizione di “temporanea difficoltà di adempiere”, ben diversa dallo stato di
insolvenza115.
La terza ed ultima condizione prevista dal legislatore per accedere all'istituto de
quo era rappresentata dalla maggiore “economicità e proficuità” della transazione
esattoriale rispetto all'esecuzione coattiva, sia individuale che concorsuale: in altri
termini l'Amministrazione finanziaria avrebbe potuto dar corso alla transazione sui
113
Cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione
individuale, in Fall., 2003, 1035 e 1036: secondo questo A., sarebbe stata proprio la difficoltà di
ottenere un rapido pagamento dell'importo concordato a costituire un deterrente alla concreta
applicazione dell'istituto, l'utilizzo del quale avrebbe finito per essere limitato ai soli fallimenti non
particolarmente ricchi o privi addirittura di ogni attivo.
114
Se la giurisprudenza di legittimità, infatti, si è pronunciata in senso favorevole ad un concordato
fallimentare risolutivamente condizionato (cfr. Cass., 8 agosto 1990, n. 8009, in Dir. fall., 1991, II,
331), la giurisprudenza di merito e la dottrina maggioritaria non ammettono l'apposizione di
termini e condizioni (cfr. Trib. Cassino, 10 maggio 1989, in Fall., 1989, 855; in dottrina cfr. A.
BONSIGNORI, Del concordato, cit., 173, nonché F. FERRARA, voce Concordato fallimentare,
in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, 1961, VIII, 489). La circolare dell’Agenzia delle Entrate ammetteva
la possibilità di inserire nell'atto di transazione clausole finalizzate ad assicurare l'effettività di
comportamenti del debitore (cfr. p. 4).
115
Cfr. E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1465.
Escludeva l'amministrazione controllata dal novero delle “procedure concorsuali” nelle quali era
possibile avvalersi della transazione esattoriale, in ragione della diversità di presupposto oggettivo,
L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione
individuale, cit., 1034. Nello stesso senso cfr. anche G. RIPA, Transazioni sui ruoli con ostacoli,
in Italia Oggi del 25 luglio 2002, 30. Contra F. PACE, Transazione dei debiti iscritti a ruolo: i
dubbi della nuova disciplina, cit., 33.
63
ruoli solo qualora dall'azione esecutiva non avesse potuto recuperare alcunché, o
comunque fosse riuscita ad ottenere una somma inferiore rispetto a quella offertagli
con l'accordo transattivo (tale situazione, ad esempio, poteva verificarsi nel caso in
cui oggetto di apprensione fossero beni inseriti nell'ambito del complesso aziendale
dell'imprenditore, che generalmente subiscono forti deprezzamenti in sede di
esecuzioni coattive)116. In dottrina è stata salutata con favore l'assenza di una
predeterminazione legislativa dei parametri cui ancorare la valutazione del
presupposto in esame, con la conseguente attribuzione di un ampio margine di
discrezionalità agli uffici, chiamati ad una verifica delle condizioni di operatività
dell’istituto da condurre flessibilmente caso per caso117; era sottolineata comunque
l'opportunità di garantire maggiore trasparenza nell’operato dell’Amministrazione
finanziaria, onde evitare irragionevoli disparità di trattamento118. Sul punto, la
circolare n. 8/E si limitava a precisare che la valutazione dell'ufficio doveva essere
condotta sulla scorta delle informazioni in suo possesso (sia quelle fornite dal
contribuente e dal concessionario, sia quelle già presenti in Anagrafe Tributaria),
senza ulteriori specificazioni.
L'istanza, poi, doveva contenere l'indicazione della somma offerta ad
estinzione dell'obbligazione tributaria, delle relative modalità e tempi di pagamento,
oppure la proposta di semplice dilazione di pagamento119; ancora, doveva essere
116
Una parte della dottrina, comunque, aveva rilevato che la transazione esattoriale risultava sempre e
comunque maggiormente proficua ed economica per l'Erario rispetto ad una riscossione coattiva
e/o ad una procedura concorsuale: cfr. A. JORIO, Senza limiti la transazione sui ruoli, in Il Sole
24 Ore del 19 luglio 2002, e G. RIPA, Transazioni sui ruoli con ostacoli, cit.
117
Cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione
individuale, cit., 1034 e 1037, secondo il quale l'assenza di parametri rigidi e la conseguente
valutazione casistica avrebbe permesso all'Amministrazione di ottimizzare l'azione coattiva di
riscossione dei tributi da un punto di vista economico – processuale. Secondo M.
BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 3223, la norma sembrava attribuire agli uffici
una discrezionalità superiore, anche qualitativamente, a quella che sino ad allora era stata
riconosciuta ai medesimi, estendendo le valutazioni di opportunità anche al quantum della
riscossione, oltre che alle modalità di estinzione del debito erariale (laddove in precedenza la
possibilità di “accordo” con il contribuente riguardava soltanto quelle fasi del procedimento
impositivo in cui l'obbligazione d'imposta non era stata ancora determinata nella sua esatta entità).
118
Cfr. ex multis A. JORIO, Una valutazione caso per caso, in Il Sole 24 Ore del 12 luglio 2002.
119
Nell'ipotesi di istanza di transazione contenente una dilazione di pagamento, la norma prevedeva la
possibilità di prescindere dalle condizioni di cui all'art. 19 del d.P.R. n. 602/1973. La disposizione
da ultimo citata prevede che il contribuente che versi in una “temporanea situazione di obiettiva
64
quantificato l'ammontare delle spese relative al procedimento esecutivo in corso ed il
compenso spettante al concessionario della riscossione, da calcolarsi sulla somma
offerta in pagamento o sull'intero importo iscritto a ruolo, a seconda che la
transazione avesse avuto carattere remissorio o soltanto dilatorio. La circolare
dell’Agenzia delle Entrate, inoltre, conteneva una dettagliata elencazione dei
documenti da allegare all'istanza, pur riconoscendo al debitore la facoltà di integrare
la domanda, con l'aggiunta di uno o più elementi inizialmente mancanti, entro il
termine massimo di 15 giorni dall’apposita richiesta dell'Amministrazione.
Quanto all'individuazione dei possibili rimedi giurisdizionali esperibili in caso
di rigetto dell'istanza di transazione esattoriale, il Consiglio di Stato, nel parere reso
in sede consultiva e menzionato nella circolare n. 8/E, aveva ravvisato in capo al
contribuente una situazione di interesse legittimo, quasi a voler “prenotare” la
propria giurisdizione in materia, salvo poi escludere ogni sindacato di merito sulle
scelte discrezionali dell'Amministrazione finanziaria: ne derivava che il
provvedimento di diniego non poteva essere censurato sotto il profilo, ritenuto
appunto insindacabile, della non convenienza della transazione esattoriale rispetto
alla procedura di esecuzione coattiva, in termini di minore proficuità ed economicità
della prima rispetto alla seconda. Anche in dottrina era stata esclusa la giurisdizione
delle Commissioni tributarie120.
Discussa, poi, era l'esperibilità dell'azione di risoluzione a seguito del
successivo inadempimento del debitore o del suo assoggettamento a procedura
concorsuale121, con conseguente obbligo per il concessionario di riattivarsi per la
difficoltà” può chiedere al Concessionario della riscossione la dilazione del pagamento del
quantum dovuto fino ad un massimo di 72 rate mensili. Va rammentato che l'obbligo di presentare
idonea garanzia (sotto forma di fideiussione bancaria o polizza fideiussoria), precedentemente
previsto per la dilazione di somme superiori ad € 50.000, è stato soppresso dal d.l. n. 112/2008;
inoltre, il recente d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con l. 22 dicembre 2011, n. 241, ha
concesso la possibilità di accordare una proroga della dilazione di ulteriori 72 mensilità nel caso di
comprovato peggioramento della situazione di difficoltà del contribuente.
120
Cfr. M. BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 1219, e M. L. MOSCATELLI, La
disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit., 502.
121
Favorevole era M. L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del
tributo, cit.,, 502. In senso contrario cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o
stravaganza normativa? (appunti a margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002, cit.,
1302, e A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo per
imposte statali, cit., 1468: poiché secondo tale dottrina l'istituto non era configurabile in termini di
65
riscossione dell'intero importo originariamente iscritto a ruolo, al netto ovviamente
del quantum già corrisposto dal debitore in esecuzione dell’accordo transattivo.
La questione su cui si era maggiormente incentrata la riflessione dottrinale,
tuttavia, atteneva alla natura giuridica (negoziale o pubblicistico-unilaterale) della
transazione sui ruoli: sul punto si era formato un ventaglio di opinioni diversificate.
Una certa corrente interpretativa, muovendo anche dalla formulazione letterale
dell'art. 3, comma 3, ravvisava nell'istituto i caratteri propri della transazione di
diritto civile, attribuendovi dunque natura contrattuale: pertanto, sarebbe stata
pienamente applicabile la disciplina codicistica di cui agli artt. 1965 e ss.122. Negli
stessi termini si erano espressi anche l'Agenzia delle Entrate ed il Consiglio di Stato:
la prima, nella circolare del 2005, aveva condiviso la tesi secondo la quale con il
termine “transazione” il legislatore del 2002 avrebbe inteso riferirsi alla fattispecie
contrattuale tipica di cui all'art. 1965 c.c., inferendone, quali corollari, l'impossibilità
di azzerare il debito tributario123, la risoluzione dell'accordo a seguito
dell'inadempimento del debitore ex art. 1976 c.c., con conseguente ripristino delle
posizioni creditorie preesistenti, nonché l'ammissibilità di un'estinzione del debito
residuo tramite il pagamento proveniente da un terzo estraneo al rapporto
tributario124. Il Consiglio di Stato, del pari, nel parere reso in sede consultiva, aveva
transazione di diritto civile, non sarebbe possibile attivare la risoluzione per inadempimento,
prevista dalla disciplina codicistica per le sole transazioni non novative. La circolare interpretativa
dell'Agenzia, invece, aveva previsto espressamente il rimedio della risoluzione per inadempimento
ex art. 1976 c.c. (cfr. pp. 4 e 11).
122
Cfr. G. LOMBARDO, Transazioni tributarie da allargare, in Italia Oggi del 11 luglio 2002, 25,
G. RIPA, Transazioni sui ruoli con ostacoli, cit., 30, A. JORIO, Una valutazione caso per caso,
cit., E. BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1466
(secondo cui la nozione “transazione” avrebbe dovuto essere intesa in senso tecnico, cioè in
conformità al disposto di cui all'art. 1965, comma 1 c.c.).
123
Solo la mera riduzione del debito fiscale, infatti, avrebbe consentito di salvaguardare il presupposto
delle “reciproche concessioni”, tipico del contratto di transazione, in quanto il totale azzeramento
della pretesa avrebbe integrato, all'opposto, una rinuncia unilaterale del Fisco.
124
L'apertura agli schemi civilistici, infatti, avrebbe comportato la possibilità di utilizzare istituti di
natura privatistica quali l'espromissione ex art. 1272 c.c., l'accollo del debito ex art. 1273 c.c. e
l'adempimento del terzo ex art. 1180 c.c. La circolare, tuttavia, finiva per contraddirsi, poiché se da
un lato ravvisava nell'istituto i caratteri propri del contratto tipico di transazione, così come
delineati dall'art. 1965 c.c., tra cui l'esistenza di una res litigiosa, attuale o anche solo potenziale
(oltre all'ulteriore presupposto rappresentato dalla reciprocità di concessioni, il cosiddetto aliquid
66
qualificato l'istituto come “accordo transattivo” o “accordo con effetti transattivi”:
esso derogava al tradizionale principio di indisponibilità del credito tributario, e la
sua ragionevolezza risiedeva nella circostanza di far conseguire all'Amministrazione
finanziaria un più proficuo introito rispetto a quello ottenibile dal prevedibile
sviluppo delle procedure esecutive (individuali o collettive). A giudizio dell'organo
consultivo, dunque, l'interesse pubblico perseguito ed il principio di economicità
dell'azione amministrativa avrebbero dovuto indurre a ritenere che tale peculiare
accordo fosse utilizzabile non solo in presenza di liti attuali, ma in ogni ipotesi di
credito tributario derivante da iscrizioni a ruolo nei confronti di contribuenti rimasti
insolventi, evitando la stessa insorgenza di episodi contenziosi. Ancora, nel citato
parere si afferma che in caso di inosservanza di quanto stabilito nell'accordo
transattivo non può che rivivere integralmente l'originaria pretesa tributaria.
Parzialmente difforme era la soluzione interpretativa prospettata da chi negava
che l'istituto fosse riconducibile alla categoria giuridica della transazione di diritto
civile, ribadendone comunque il carattere negoziale: in esso sarebbero stati
ravvisabili, infatti, i tratti di un negozio giuridico avente ad oggetto la
determinazione di condizioni di recupero del credito tributario più proficue per
l'Erario rispetto a quanto realisticamente fosse ottenibile all'esito di una procedura di
esecuzione coattiva125, ovvero i caratteri di un negozio solutorio atipico, non
transattivo, avente contenuto remissorio e/o dilatorio, a mezzo del quale il creditore,
essendo fuori di discussione la fondatezza del proprio diritto ma dubbia la sua
realizzazione, conveniva con il debitore una riduzione dell'importo dovuto ovvero
una modalità di pagamento differente e/o dilazionata nel tempo, a fronte del
datum aliquid retentum), dall'altro escludeva che la transazione potesse chiudere controversie di
cognizione pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie o ad altro giudice. In realtà, a giudizio
dell'Agenzia, il contenzioso suscettibile di essere “transatto” era rappresentato dalle sole
controversie relative alla fase di riscossione del tributo, purché le stesse presentassero
connotazioni di effettiva fondatezza tali da renderne incerto l'esito.
125
In tal senso cfr. A. DOLMETTA, Relatività dei nomina in diritto civile e in diritto tributario: la
nozione di “transazione” nella L. n. 178 del 2002, in Dir. prat. trib., 2004, I, 1515 e ss.: l'A.
critica la presa di posizione dell'Agenzia delle Entrate, che riconduce in toto l'istituto alla
transazione di diritto civile ex art. 1965 c.c. Cfr. anche A. LA MALFA, La transazione fiscale ex
art. 182ter legge fallim., dubbi sulla natura negoziale e possibilità di inserire clausole pattizie, in
Dir. fall., 2010, II, 70.
67
vantaggio di una soddisfazione certa126.
Sul versante opposto, invece, erano schierati quanti disconoscevano la natura
autenticamente contrattuale o anche semplicemente negoziale della transazione sui
ruoli: escludendo che nella fattispecie de qua potessero ravvisarsi i due requisiti
propri del contratto di transazione, quali la res litigiosa e l'aliquid datum aliquid
retentum, l'istituto avrebbe concretato, all'opposto, una rinuncia unilaterale
dell'Amministrazione alla riscossione coattiva dell'importo iscritto a ruolo127.
Un'ulteriore ed acuta tesi interpretativa, poi, aveva ritenuto necessario operare
un distinguo a seconda del titolo esecutivo in forza del quale il concessionario agiva
in executivis128. Nell'ipotesi in cui si fosse trattato di ruoli definitivi non era
configurabile alcuna res litigiosa, essendo l'obbligazione tributaria oramai
cristallizzata sia nell'an che nel quantum, con la conseguenza che non vi sarebbe
stato alcuno spazio operativo per una transazione civilistica tra le parti; in tale
evenienza, dunque, era ravvisabile in capo al Fisco soltanto una pretesa definitiva
insoddisfatta dall'inadempimento del contribuente, a fronte del quale il primo
accettava con la transazione un pagamento ridotto, con effetto liberatorio per la
controparte privata. Sicché, l'accordo siglato fra i due soggetti ex art. 3, comma 3 d.l.
n. 138/2002 avrebbe configurato un'ipotesi di pactum ut minus solvatur, intendendosi
come tale il negozio bilaterale con il quale il creditore acconsente a ricevere una
prestazione minore rispetto a quella originariamente dovuta, con carattere
integralmente satisfattivo. Diversamente, l’accordo avente ad oggetto tributi
risultanti da un titolo ancora provvisorio, presupponendo una res litigiosa, era
pienamente inquadrabile nell'ambito della transazione di diritto civile129.
126
Cfr. M.L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit.,
510; ID, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma tributaria, cit., 336 e
ss.
127
Cfr. F. PACE, Transazione dei debiti iscritti a ruolo: i dubbi della nuova disciplina, cit., 33, e L.
MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione
individuale, cit., 1033.
128
Cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o stravaganza normativa? (appunti a
margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), cit., 1301 e 1302. Negli stessi termini si
espresse anche A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo
per imposte statali, cit., 1467.
129
La dottrina di cui trattasi aveva parlato, polemicamente, di “previsione transattiva monca”, non
68
La transazione sui ruoli ebbe scarsa applicazione, per diverse ragioni.
In primo luogo, alla stipula di accordi a carattere transattivo in fase di
riscossione del tributo ostava, come accennato in precedenza, l'atteggiamento
timoroso e restrittivo del Fisco, frenato dal tradizionale dogma dell'indisponibilità
dell'obbligazione tributaria e dal pericolo di una revocatoria fallimentare delle
somme incassate durante il periodo “sospetto” in esecuzione di un accordo
transattivo, nonostante la disposizione speciale di cui all'art. 89 del d.P.R. n.
602/1973130. La ritrosia dell'Amministrazione finanziaria è stata formalizzata anche
nella circolare del 2005, dove trapela chiaramente un senso di disagio e sfavore verso
l’istituto131: il citato documento di prassi, infatti, aveva finito per dettare istruzioni
riuscendo a comprenderne la ratio: “resta però da scoprire la ragione per cui il contribuente,
indifferente all'accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale, possa cambiare idea
determinandosi a pagare (seppur in misura ridotta) il debito verso il Fisco proprio quando
raggiunga la certezza – fallita l'esecuzione esattoriale che lo ha trovato insolvente – di non dovere
pagare più nemmeno un centesimo” (cfr. F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso
o stravaganza normativa? (appunti a margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), cit,
1302). Secondo A. MERCATALI, La transazione, in sede esecutiva, sulle somme iscritte a ruolo
per imposte statali, cit., 1468, invece, “le ragioni che inducono il contribuente ad avvalersi della
transazione invece che del concordato per adesione o della conciliazione giudiziale o ad
avvalersene nel caso di sua totale insolvenza sembrano abbastanza chiare”, poiché nel primo caso
egli doveva addurre prove che avessero consentito all'ufficio di modificare l'accertamento già
emenato, laddove ai fini della stipula di un accordo transattivo era sufficiente l'insolvenza; in
secondo luogo, nel caso di accertamento con adesione o conciliazione seguiti dall'inadempimento
del contribuente “l'eventuale esito totalmente negativo dell'esecuzione non provoca la
cancellazione del debito di imposta, che anzi verrà iscritto fra i crediti di dubbia o di difficile
esazione e potrà essere richiesto dall'Amministrazione per un lungo periodo di tempo, sì che
incomberà ancora per lunghi anni sul debitore che potrebbe nel frattempo ricostituire il proprio
patrimonio eliminando l'insolvenza ed essere così ancora costretto a risponderne”.
130
La norma così recita: “I pagamenti di imposte scadute non sono soggetti alla revocatoria prevista
dall'art. 67, r.d. 16 marzo 1942, n. 267”. Il pericolo della revocabilità dei pagamenti effettuati in
esecuzione di un accordo transattivo, in quanto atto a carattere dispositivo, era stato confermato
anche dal Consiglio di Stato nel parere reso in sede consultiva. Contra cfr. L. MANDRIOLI, La
transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e nell'esecuzione individuale, cit., 1035, che
escludeva la possibilità di sottoporre a revocatoria, sia fallimentare che ordinaria, il pagamento
delle imposte oggetto di transazione esattoriale.
131
M. BASILAVECCHIA, La transazione dei ruoli, cit., 1217, parlava di “senso di imbarazzo”
creato dalla disposizione. L'A., nel commentare la circolare n. 8/E, rilevava criticamente che essa
trascendeva lo spirito della norma: mentre quest'ultima delineava un istituto essenzialmente
funzionale alle esigenze del Fisco, permettendo la riscossione di somme che altrimenti,
avvalendosi delle ordinarie procedure esattoriali, sarebbero state di difficile realizzazione, il
documento di prassi, preoccupato essenzialmente della discrezionalità da gestire, costruiva un
congegno macchinoso, in cui il principale interessato alla transazione sembrava essere il
contribuente, tratteggiando la fattispecie come concessione da farsi a costui, quasi fosse una sorta
di agevolazione. Ne deriva una sostanziale inapplicabilità dell'istituto, mentre secondo l'A. sarebbe
69
operative congegnate quasi come deterrente volto disincentivare la presentazione di
richieste di transazione (si pensi alla minuziosa elencazione dei documenti da
allegare all'istanza), limitandone fortemente l'ambito di operatività132. La chiusura
manifestata dall'Amministrazione finanziaria era stata ricondotta anche allo scarso
appeal che l'istituto presentava nei confronti della stessa, comportando in ogni caso
una parziale rinuncia unilaterale alle proprie ragioni creditorie senza il bilanciamento
di alcuna apprezzabile controprestazione133: tanto che qualche Autore non mancò di
mettere in luce l'inutilità della previsione legislativa di cui trattasi, la quale,
rivelandosi sempre e comunque dannosa per il Fisco, si sarebbe ridotta ad una mera
“trovata lessicale” priva di apprezzabili riscontri nella pratica ed utile ad innescare
solo qualche disputa accademica, tanto da essere degna di un posto nel “mausoleo
delle stravaganze normative”134.
stato più opportuno concedere maggiore fiducia agli uffici, che sino a quel momento avevano dato
buona prova nel gestire le altre forme di accordo con i contribuenti previste dalla normativa
tributaria. Contra cfr. M. CORVAJA - A. GUERRA, La transazione fiscale, in Fisco.
Approfondimento, fascicolo 1, n. 13/2006, 1916, secondo i quali la circolare avrebbe
regolamentato, in modo adeguatamente chiaro ed esaustivo, l'iter procedurale per il
perfezionamento dell'accordo.
132
Ne era circoscritta l'applicazione alle sole ipotesi di lite, attuale o potenziale, con il contribuente,
era imposta l'integrale estinzione, all'atto della stipula dell'accordo transattivo, di tutti i debiti
iscritti a ruolo non oggetto di transazione, ed ancora era precludeva l'utilizzo dell’istituto quando il
debitore/contribuente rivestisse la qualifica di imprenditore commerciale assoggettabile a
fallimento, salvo che l'accordo transattivo, come visto, non si inserisse in un più generale piano di
ristrutturazione dei debiti aziendali che prevedesse il coinvolgimento di tutti i creditori (ciò per
ovviare al menzionato pericolo di revocatoria dell'accordo nel caso di successivo fallimento del
debitore).
133
M. L. MOSCATELLI, La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, cit.,
509, esclude la necessità di approntare garanzie a tutela dell'Erario. Per M. CORVAJA - A.
GUERRA, La transazione fiscale, cit., 1916, l'istituto era di sicuro appeal per i contribuenti a
rischio di insolvenza, che potevano così definire in via stragiudiziale le loro pendenze tributarie.
134
F. BRIGHENTI, La transazione dei tributi: nuovo corso o stravaganza normativa? (appunti a
margine dell'art. 3, comma 3, della legge n. 178/2002), cit., 1302. L'A., pur condividendo
astrattamente l'intento del legislatore di prevedere la possibilità di un accordo transattivo tra
contribuente in crisi e Fisco, ne bocciava la relativa disciplina, in quanto la stessa avrebbe
comportato sempre e comunque una perdita secca per l’Amministrazione finanziaria. Infatti, nelle
ipotesi in cui il tributo derivava da un titolo definitivo, poiché la norma non prevedeva la
prestazione di idonee garanzie da parte del contribuente, non vi sarebbe stata alcuna certezza che
l'Erario avesse successivamente introitato le somme su cui era stato raggiunto l'accordo con il
contribuente, né si sarebbe potuto ricorrere alla risoluzione per inadempimento; nel caso di tributi
risultanti da titolo provvisorio, invece, le cautele imposte dal legislatore (quali la ricerca dei
“pareri obbligatoriamente prescritti dalle vigenti disposizioni di legge”) sarebbero risultate
talmente eccessive da frenare il lavoro dei funzionari dell'Amministrazione finanziaria. Infine, nel
caso di accordo stipulato nel corso di una procedura esecutiva, il credito tributario da soddisfare
70
In secondo luogo, la sfortuna dell'istituto è sicuramente imputabile anche alla
sua infelice formulazione normativa: il tenore letterale dell'art. 3, comma 3 del d.l. n.
138/2002 non era sicuramente di immediata comprensione, sollevando una serie di
dubbi difficilmente superabili135. A ciò va il difettoso coordinamento fra la fattispecie
in esame, dettata da una disposizione di carattere “emergenziale”, e la disciplina
delle procedure concorsuali contenuta nella legge fall.
Ancora, non mancò chi avanzò perplessità in merito alla compatibilità della
transazione esattoriale con l'ordinamento comunitario, ed in particolare con la
normativa dettata dall'art. 87 del Trattato CE in materia di aiuto di Stato136.
Il tutto condito dalle accese polemiche che accompagnarono i primi, e tra l'altro
unici, tentativi di applicazione dell'istituto nei confronti di società sportive
calcistiche137, cui i media diedero ampio risalto138.
non poteva essere pagato in via immediata, bensì doveva essere ammesso al passivo come credito
concorsuale, essendo il relativo presupposto sorto prima dell'apertura della procedura: in assenza
di una disposizione legislativa ad hoc, infatti, la pretesa di cui trattasi non potava assurgere al
rango di credito prededucibile, subendo pertanto la falcidia fallimentare alla pari di ogni altro
credito. Contra cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e
nell'esecuzione individuale, cit., 1037, che sottolineava invece come l'istituto risulti vantaggioso
per l'Amministrazione finanziaria, in quanto “rimuovendo numerose posizioni da tempo
“incagliate” dovrebbe finire per apportare denaro “fresco” alle casse dell'erario, soprattutto in
caso di situazioni cosiddette “anomale”, quali ad esempio quelle attinenti alle procedure
concorsuali, in relazione alle quali il Fisco potrebbe ottenere qualcosa subito o in comode rate,
piuttosto che niente e mai”.
135
Cfr. M. L. MOSCATELLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e
nell'esecuzione individuale, cit., 484, M. POLLIO, La transazione fiscale, in Fallimento e altre
procedure concorsuali, diretto da G. FAUCEGLIA e L. PANZANI, Utet, Torino, 2009, III, 1837,
e T. LAMEDICA, Imposte che possono essere “patteggiate”, 1101. La genericità della norma,
soprattutto con riferimento ai presupposti per l'accesso all'istituto, è stata sottolineata anche da E.
BELLI CONTARINI, La transazione con il Fisco sui ruoli della riscossione, cit., 1464.
136
Sulle perplessità di cui trattasi cfr. ex multis R. RIZZARDI, Tributi a rate?La UE perplessa, cit..
Contra, nel senso che l'istituto sarebbe rientrato nel novero degli aiuti di Stato concessi una
tantum, caratterizzati cioè dalla peculiarità e selettività dell'intervento, tali da non compromettere o
falsare la concorrenza sul Mercato comune, in piena coerenza con i principi dettati dal Trattato
CEE, cfr. L. MANDRIOLI, La transazione dei tributi iscritti a ruolo nel fallimento e
nell'esecuzione individuale, cit., 1037. In generale, l'A. da ultimo citato formulava un giudizio
complessivamente positivo, nonostante non negasse le difficoltà che la relativa disciplina
sollevava a livello applicativo.
137
Di fatto, le uniche transazioni esattoriali furono concluse con la Lazio ed altre società calcistiche di
serie C.
138
Eloquenti sono le parole, riportate dal Messaggero in data 10 marzo 2005, di uno dei Ministri che
pure avevano fatto parte della compagine di Governo quando la norma fu introdotta, il quale ne
sottolineò la pericolosità e la problematicità, soprattutto sotto il profilo complessivo dei rapporti
71
2. Il passaggio alla transazione fiscale di cui all'art. 182ter legge fall.:
evoluzione normativa di un istituto ancora in fieri.
Le insormontabili difficoltà che l'istituto della transazione esattoriale incontrò,
sul piano sia pratico che teorico-interpretativo, indussero il legislatore alla sua
precoce eliminazione: l'art. 151 del d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 abrogò con effetto
immediato139 la norma di cui all'art. 3, comma 3 del d.l. n. 138/2002, mentre l'art.
146, comma 1 introdusse nel corpus della legge fall. l'art. 182ter, rubricato
“Transazione fiscale”, con decorrenza dal 16 luglio 2006140.
Trattasi di una figura le cui differenze rispetto alla previgente transazione sui
ruoli sono particolarmente marcate, nonostante la medesima denominazione adottata
dal legislatore (“transazione”) sembrerebbe suggerire un'ideale linea di continuità fra
i due istituti: in particolare, l'ambito di applicazione della transazione fiscale, se per
alcuni versi sembra essere più ampio rispetto a quello delineato dall’art. 3, comma 3
del d.l n. 138, sotto altri profili presenta margini operativi sicuramente più ristretti141.
fra Amministrazione e generalità dei contribuenti.
139
Cioè a decorrere dal 16 gennaio 2006, giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del
menzionato d. lgs. n. 5/2006.
140
Si è verificato, pertanto, un disallineamento temporale, dato dal fatto che la disposizione di cui
all'art. 3, comma 3 del d.l. n. 138/2002 è stata abrogata con effetto immediato, mentre quella di cui
all'art. 182ter del r.d. n. 267/1942 è entrata in vigore soltanto dopo il periodo di vacatio legis di sei
mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (16 gennaio 2006), come previsto dall’'art.
153 del d. lgs. n. 5/2006. La Relazione illustrativa al citato decreto, nel commentare l'art. 151, ha
giustificato tale disallineamento con il fine di evitare che, durante il periodo di vacatio, potesse
verificarsi un'accentuazione del ricorso al vecchio istituto da parte dei contribuenti. Sul punto non
sono mancate critiche: cfr. ex multis L. MANDRIOLI, La Transazione fiscale, in La riforma
organica delle procedure concorsuali, a cura di S. BONFATTI e L. PANZANI, Ipsoa, Milano,
2008, 742.
141
È opportuno riportare il testo dell'art. 182ter, così come risultante a seguito delle modifiche subite
nel corso degli anni, di cui si dirà meglio infra: “1. Con il piano di cui all'art. 160 il debitore può
proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle Agenzie fiscali
e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di
previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito
avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti
risorse proprie dell'Unione europea; con riguardo all'imposta sul valore aggiunto, la proposta
può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Se il credito tributario o contributivo è
assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono
essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli
che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli
enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo
ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri
creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è
72
Così, se l'accordo transattivo sui tributi a ruolo poteva essere concluso sia a
seguito di una procedura di esecuzione forzata dall'esito infruttuoso, attivata nei
confronti di qualsivoglia contribuente, non necessariamente imprenditore, sia nel
previsto un trattamento più favorevole.
2. Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della
relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata
al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all'ufficio competente
sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni
fiscali per le quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni
integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire
il consolidamento del debito fiscale. Il concessionario, non oltre trenta giorni dalla data della
presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto
a ruolo scaduto o sospeso. L'ufficio, nello stesso termine, deve procedere alla liquidazione dei
tributi risultanti dalle dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente
ad una certificazione attestante l'entità derivante da atti di accertamento ancorché non definitivi,
per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati al
concessionario. Dopo l'emissione del decreto di cui all'art. 163, copia dell'avviso di irregolarità e
delle certificazioni devono essere trasmessi al Commissario giudiziale per gli adempimenti
previsti dall'articolo 171, primo comma, e dell'articolo 172. in particolare, per i tributi
amministrati dall'agenzia delle dogane, l'ufficio competente a ricevere copia della domanda con la
relativa documentazione prevista al primo periodo, nonché a rilasciare la certificazione di cui al
terzo periodo, si identifica con l'ufficio che ha notificato al debitore gli atti di accertamento.
3. Relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario
del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, l'adesione o il
diniego alla proposta di concordato è approvato con atto del direttore dell'ufficio, su conforme
parere della competente direzione regionale, ed è espresso mediante voto favorevole o contrario
in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall'articolo 178, primo comma.
4. Relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale
della riscossione alla data di presentazione della domanda, quest'ultimo provvede ad esprimere il
voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del direttore dell'ufficio, previo conforme
parere della competente direzione regionale.
5. La chiusura della procedura di concordato ai sensi dell'articolo 181, determina la cessazione
della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma.
6. Il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma anche nell'ambito delle trattative
che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182bis. La proposta di
transazione fiscale, unitamente con la documentazione di cui all'articolo 161, è depositata presso
gli uffici indicati nel secondo comma, che procedono alla trasmissione ed alla liquidazione ivi
previste. Alla proposta di transazione deve altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa
dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente
della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione di cui al periodo che precede
rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle
poste attive del patrimonio. Nei successivi trenta giorni l'assenso alla proposta di transazione è
espresso relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al
concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda,
con atto del direttore dell'ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, e
relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale
della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del concessionario su
indicazione del direttore dell'ufficio, previo conforme parere della competente direzione
regionale. L'assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione.
7. La transazione fiscale conclusa nell'ambito dell'accordo di ristrutturazione di cui all'art.
182bis è revocata di diritto se i debitore non esegue integralmente, ovvero entro 90 giorni dalle
scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di
previdenza e assistenza obbligatorie”.
73
corso di una procedura concorsuale, il nuovo istituto è destinato ad operare
esclusivamente nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo, ed a
seguito delle novità introdotte con il d.lgs. n. 169/2007 anche all'interno di un
accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis. Destinatari della nuova disciplina
saranno dunque i soli soggetti passibili di fallimento, ossia coloro cui è possibile
attribuire la qualifica di imprenditore commerciale medio-grande, avendo superato le
soglie dimensionali di cui all'art. 1, comma 2 legge fall. Non potranno dunque fruire
della transazione fiscale, come si vedrà meglio nel prosieguo, sia gli imprenditori
non fallibili, anche se con la manovra correttiva di luglio 2011 (ossia con il d.l. n.
98/2011) sono state introdotte significative aperture verso gli imprenditori agricoli,
sia gli insolventi civili, nonostante per i medesimi un recentissimo intervento
legislativo abbia riconosciuto la possibilità di addivenire ad un accomodamento con
la maggioranza qualificata dei propri creditori142.
Di contro, sotto il profilo oggettivo, si registra sicuramente un'estensione
dell'ambito di operatività degli accordi transattivi con il Fisco: se la transazione
esattoriale concerneva i soli “tributi il cui gettito fosse di esclusiva spettanza dello
Stato”, la nuova transazione fiscale può riguardare tutti i “tributi amministrati dalle
Agenzie fiscali”, indipendentemente sia dalla titolarità della relativa potestà
impositiva sia dalla destinazione del gettito introitato (con la sola esclusione dei
tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea); inoltre non è indispensabile
l'iscrizione a ruolo del quantum dovuto. Ancora, a seguito del d.l. 29 novembre 2008,
142 Si allude alle disposizioni di cui agli art. 1 e ss. del d.l. 22 dicembre 2011, n. 212 (recante
“Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina
del processo civile”), successivamente inglobate nella l. 27 gennaio 2012, n. 3. In estrema sintesi,
secondo la nuova disciplina il debitore (non assoggettabile a procedure concorsuali) che versi in
una situazione di sovraindebitamento può proporre ai propri creditori un accordo di
ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori
estranei all’accordo stesso; la proposta può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la
soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di crediti futuri,
ovvero, al ricorrere di talune condizioni, una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei
creditori estranei. La proposta di accordo, da depositarsi presso la cancelleria del Tribunale
territorialmente competente, deve essere approvata dai creditori che rappresentino almeno il 60%
dei crediti (ovvero il 50% nel caso di sovraindebitamento del consumatore), ed è successivamente
omologata ad opera del giudice. Non è chiaro se con il medesimo accordo il debitore può proporre
anche una transazione fiscale, e quale sia eventualmente il particolare iter da attivare.
74
n. 185, convertito con l. 28 gennaio 2009, n. 2, sono transigibili anche i contributi
previdenziali ed assistenziali, disancorando così la fattispecie de qua dalle sole
entrate aventi natura di “tributo”.
Degna di rilievo è anche la circostanza che il nuovo istituto è disciplinato da
una norma della legge fall., laddove l'abrogata transazione esattoriale era
contemplata da una disposizione di legge speciale avente carattere “emergenziale”,
in quanto introdotta essenzialmente per soddisfare le esigenze estemporanee di una
ristretta platea di contribuenti (si trattava, come accennato in precedenza, di alcune
società calcistiche, la cui esposizione debitoria verso l'Erario era a dir poco
drammatica). La collocazione “endo-concorsuale” della transazione fiscale,
espressamente prevista dall'art. 1, comma 5 della l. 14 maggio 2005, n. 80, di
conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, ne accentua il carattere “ibrido”,
esaltandone la duplice valenza di fattispecie di diritto tributario e procedimento, o
meglio sub-procedimento, di diritto fallimentare: sicché, come si è visto nel capitolo
introduttivo, se da un lato essa va ad affiancarsi agli istituti deflattivi del contenzioso
che l'ordinamento ha elaborato già da tempo per valorizzare i profili di consensualità
nell'attuazione della norma impositiva, dall'altro lato sarà assoggettabile ai principi
generali che governano il diritto concorsuale, ed in particolare a quelli afferenti le
soluzioni “negoziali” della crisi di impresa.
Le differenze fra l'abrogata transazione esattoriale e la nuova transazione
fiscale sono particolarmente marcate sotto il profilo della ratio dei due istituti: se la
transazione sui ruoli era stata congegnata come strumento di potenziamento
dell'attività di riscossione, data la maggiore proficuità per il Fisco di un accordo con
il debitore rispetto ad una procedura di esecuzione forzata, individuale o collettiva,
l'attuale normativa è stata disegnata per incentivare il ricorso alle soluzioni
concordate della crisi, al fine di evitare drastici sbocchi liquidatori143. Ne deriva,
dunque, una decisa inversione di prospettiva: l'interesse prioritario da tutelare non è
più quello dell'Amministrazione finanziaria all'acquisizione del gettito tributario
nella massima misura possibile, quanto piuttosto quello del singolo imprenditore, e
143
Cfr. ex multis P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di A. SOLIDORO), in Codice del
fallimento, a cura di M. BOCCHIOLA e A. PALUCHOWSKI, Giuffrè, Milano, 2009, 1795.
75
di riflesso dell'economia in generale, ad evitare il dissesto irreversibile di complessi
imprenditoriali non ancora completamente decotti, salvaguardando anche la congerie
di valori (a cominciare dal mantenimento dei complessi occupazionali) che gravitano
attorno ai medesimi.
Non vi è dubbio, poi, che nei primi cinque anni dalla sua entrata in vigore il
nuovo istituto ha avuto applicazioni pratiche notevolmente maggiori e ben più
interessanti rispetto alla vecchia transazione esattoriale, alimentando anche una
nutrita giurisprudenza di merito, cui si sono affiancate di recente anche importanti
pronunce della Corte di Cassazione.
Evidente sintomo dell'interesse suscitato dalla nuova transazione fiscale, e
delle attese su di essa riposte in ordine alla capacità di rafforzare il ricorso a
soluzioni stragiudiziali della crisi di impresa, che nella maggioranza dei casi non
possono prescindere da una sistemazione delle pendenze con il Fisco, è la frequenza
con cui il legislatore è intervenuto sull’istituto, ritoccando più volte l'art. 182ter.
Dapprima, il citato decreto correttivo n. 169/2007 ha previsto la possibilità di
avvalersi della transazione fiscale anche nell'ambito delle trattative che precedono la
stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182bis, disciplinando
la procedura all'uopo applicabile (che ricalca, essenzialmente, quella prevista per la
transazione conclusa nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo).
Successivamente, l'art. 32 del decreto anticrisi n. 185/2008 ha esteso l'oggetto
della transazione fiscale anche ai contributi amministrati dagli enti gestori di forme
di previdenza ed assistenza obbligatorie e ai relativi accessori, rimettendo ad un
successivo decreto interministeriale, da emanarsi entro 60 giorni dall'entrata in
vigore della legge di conversione, la regolamentazione delle modalità applicative, dei
criteri e delle condizioni di accettazione da parte degli enti previdenziali degli
accordi sui crediti contributivi. Di conseguenza il legislatore in quell'occasione ha
circoscritto alle sole transazioni sui “crediti di natura fiscale” l’ambito di
applicazione delle disposizioni procedurali di cui ai commi 2 e seguenti dell'art.
182ter. Il preannunciato decreto ministeriale è stato varato nell'agosto del 2009144, e
144
Trattasi del d. m. del 4 agosto 2009, recante “Modalità di applicazione, criteri e condizioni di
accettazione da parte degli enti previdenziali degli accordi sui crediti contributivi”, varato dal
Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e
76
ad esso hanno fatto seguito le circolari interpretative di Inail145, Inps146 ed Enpals147.
Ancora, con riferimento all'Iva il medesimo art. 32 ha precisato che la proposta
non può avere carattere remissorio, bensì soltanto dilatorio, mettendo così fine alla
querelle relativa alla falcidiabilità o meno di detto tributo, il cui gettito sembrerebbe
costituire una delle fonti di finanziamento dell'Unione Europea.
Un ulteriore intervento sull'istituto si è avuto con il d.l. 31 maggio 2010, n. 78,
convertito con l. 30 luglio 2010, n. 122, il cui art. 29, comma 2 ha statuito che anche
con riferimento alle ritenute operate e non versate la proposta può avere, al pari
dell'imposta sul valore aggiunto, carattere soltanto dilatorio. Inoltre, è stato previsto
l’obbligo di allegare alla proposta presentata in sede di trattative precedenti la stipula
di un accordo di ristrutturazione dei debiti una dichiarazione sostitutiva di atto
notorio, con la quale il debitore attesta che la documentazione prodotta rappresenta
fedelmente ed integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle
poste attive del patrimonio: Ancora, è stato aggiunto all'art. 182ter un nuovo comma
(il 7°), con la previsione della revoca di diritto della transazione conclusa nell'ambito
di un accordo ex art. 182bis nell'evenienza in cui il debitore, entro i 90 giorni
successivi alle scadenze previste, non esegua integralmente i pagamenti dovuti alle
Agenzie fiscali e agli enti previdenziali/assistenziali. Sempre il menzionato decreto
n. 78/2010 ha introdotto il nuovo reato di “transazione fraudolenta”148, oltre ad aver
delle finanze.
145
Trattasi della circolare n. 8 del 26 febbraio 2010, “Accordi su crediti contributivi ai sensi dell'art.
182ter della legge fallimentare. Modalità operative”, varata dalla Direzione Generale – Direzione
Centrale Rischi dell'Inail e reperibile sul sito www.normativo,inail.it/dbninternet/2010/ci201008.
146
Si tratta della circolare n. 38 del 15 marzo 2010, “Decreto Ministero del Lavoro, della Salute e
delle Politiche Sociali 4 agosto 2009. Art. 32, commi 5 e 6 del decreto legge n. 185/2008,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 2/2009. Estensione della transazione fiscale di cui
all’art. 182-ter della Legge fallimentare ai crediti contributivi. Modalità di applicazione, criteri e
condizioni di accettazione degli accordi sui crediti contributivi”, emanata dalla Direzione Centrale
Entrate - Coordinamento Generale Legale dell'Inps e reperibile sul sito www.inps.it.
147
L'Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo ha formulato i
propri chiarimenti in materia con la circolare n. 15 del 5 novembre 2010, “Estensione dell'istituto
della transazione fiscale ai debiti per contributi previdenziali ed oneri accessori. Decreto del
Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali 4 agosto 2009”, varata dalla Direzione
Centrale – Area contributi e vigilanza, Ufficio Normativa e Circolari, e reperibile sul sito
www.enpals.it.
148
Cfr. il nuovo testo dell'art. 11, comma 2 del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rubricato “Sottrazione
77
limitato alla sola ipotesi di dolo la responsabilità contabile dei funzionari
dell'Agenzia delle Entrate impegnati nella valutazione delle proposte di
transazione149.
Da ultimo, con la manovra correttiva di luglio 2011 il legislatore ha esteso
l'istituto (come pure gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis) anche
agli imprenditori agricoli “in stato di crisi o di insolvenza”, in attesa di una
“revisione complessiva della disciplina dell'imprenditore agricolo in crisi e del
coordinamento delle disposizioni in materia”.
Le aspettative che il legislatore nutre nei confronti della transazione fiscale
sembrerebbero essere condivise anche dalla stessa Amministrazione finanziaria:
l'Agenzia delle Entrate, infatti, ha varato diversi documenti di prassi, a partire dalla
circolare interpretativa n. 40/E del 2008150, con la quale sono stati forniti i primi
chiarimenti in materia151. In particolare, il favor verso l’istituto de quo trapela con
netta evidenza dalla circolare n. 20 del 2010, che richiama l'attenzione degli uffici
periferici sull'esigenza di dare adeguata rilevanza all'attività necessaria per
addivenire alla conclusione di transazioni fiscali, rilevando come “in presenza di
situazioni di crisi aziendale, sia prodromiche alla dichiarazione di fallimento sia
evidenziate in una proposta di concordato preventivo, lo strumento transattivo può
fraudolenta al pagamento di imposte”.
149
Cfr. l'art. 29, comma 7 del d.l. n. 78/2010, che prevede analoga limitazione di responsabilità anche
per le valutazioni di diritto e di fatto operate nell'ambito di accertamenti con adesione e
conciliazioni giudiziali.
150
Dal titolo “D. Lgs. n. 169 del 2007, recante disposizioni integrative e correttive al R.D. n. 267 del
1942, nonché al D. Lgs. n. 5 del 2006 – Concordato preventivo e transazione fiscale”, varata dalla
Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell'Agenzia delle Entrate in data 18 aprile 2008 e
reperibile sul sito www.agenziaentrate.gov.it.
151
Gli altri documenti di prassi concernenti l’istituto di cui all’art. 182ter sono la nota del 7 febbraio
2008, prot. n. 6579/2008, della Direzione Regionale dell'Emilia Romagna, commentata da M.
POLLIO, “Transazione fiscale” e accordi di ristrutturazione, in Fall., 2008, 475, la risoluzione n.
3/E del 5 gennaio 2009, “Consulenza giuridica – Art. 182-ter, secondo comma della legge
fallimentare – Termini per la presentazione della proposta di transazione fiscale”, la circolare n.
14/E del 10 aprile 2009, “Transazione fiscale – Art. 32, comma 5 del decreto-legge 29 novembre
2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2”, la circolare n.
20/E del 16 aprile 2010, “Prevenzione e contrasto all'evasione – Anno 2010 – Indirizzi operativi”,
e la circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, “Decreto-legge del 31 maggio 2010,n. 78, convertito
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 – Commento alle novità fiscali – Primi chiarimenti”. Tali
documenti sono reperibili sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate.
78
infatti rivelarsi decisivo per garantire l'effettivo introito di somme dovute all'erario
in misura certamente superiore (ed in tempi ovviamente ben più rapidi) rispetto a
quanto potrebbe avvenire, con le ordinarie modalità di riscossione, in caso di
fallimento del contribuente”.
Dalla sintetica rassegna degli interventi legislativi che hanno interessato l'art.
182ter deriva quasi l'impressione di essere al cospetto di un istituto ancora in fieri, la
cui attuale fisionomia è il frutto di svariate stratificazioni normative succedutesi a
breve distanza l'una dall'altra, e forse non del tutto concluse, tese ad individuare,
volta per volta, una plausibile risposta ad alcune delle numerose questioni e criticità
che la fattispecie non ha mancato di sollevare, sin dalle sue prime applicazioni
pratiche.
Va sottolineato, comunque, che le criticità maggiori sono forse quelle generate
dalla duplice natura, tributaria e concorsuale, dell'istituto, stante la difficoltà di
conciliare principi generali assai dissimili, a cominciare dall'indisponibilità
dell'obbligazione tributaria, da un lato, e dalla par condicio creditorum, dall'altro.
Criticità, queste, destinate quasi paradossalmente ad acuirsi alla luce
dell'intervento normativo di fine 2008, che, come visto, ha esteso l'istituto di cui
all'art. 182ter anche ai crediti previdenziali ed assistenziali, facendo così della
transazione un crocevia non più soltanto fra due, bensì fra tre distinte branche
dell'ordinamento giuridico: tanto che oggi continuare a parlare di “transazione
fiscale” con riferimento all'intera normativa dettata dall'art. 182ter e dai
provvedimenti al medesimo connessi sarebbe a dir poco improprio e riduttivo,
essendo necessario, invece, qualificare diversamente la procedura a seconda della
natura (fiscale in senso lato, previdenziale o assistenziale) dei crediti oggetto di
definizione. Ne deriva che la rubrica di quella disposizione (dove continua a
campeggiare la locuzione “Transazione fiscale”) non riesce a cogliere in pieno la
reale portata operativa dell'istituto ivi regolato, essendovi oggi spazio anche per
transazioni “previdenziali” ed “assistenziali”: il disallineamento fra la rubrica e il
corpus della norma, a prima vista, sembrerebbe essere il frutto dell'ennesima svista
del legislatore, reo, ancora una volta, di aver propinato frettolosamente innovazioni
non adeguatamente coordinate con il quadro sistematico di riferimento. Tuttavia, si
potrebbe ritenere anche che si tratti della consapevole scelta di focalizzarsi sulla sola
79
transazione dei crediti fiscali, cui del resto sono dedicati i commi secondo e seguenti
di quella disposizione, rinviando la regolamentazione degli aspetti procedurali delle
nuove fattispecie di transazione previdenziale ed assistenziale alla normativa di
secondo grado.
3. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo
soggettivo.
L'incipit dell'art. 182ter statuisce che la transazione fiscale può essere proposta
“con il piano di cui all'art. 160”. Ne deriva che l'accesso all'istituto è limitato a
quanti non soltanto sono ammessi potenzialmente a fruire del concordato preventivo
(soddisfacendo i due presupposti soggettivo ed oggettivo, rappresentati
rispettivamente dalla qualifica di imprenditore commerciale non piccolo152 e dallo
stato di crisi), ma che in concreto abbiano chiesto l'accesso a quella procedura
concorsuale.
Tuttavia tale disposizione andrà necessariamente coordinata con le novità
introdotte con il recente d.l. n. 98/2011, che, come visto, ha esteso anche agli
imprenditori agricoli l’accesso alla transazione fiscale ed degli accordi di
ristrutturazione dei debiti. Il legislatore, dunque, sembra aver prestato ascolto a
quella nutrita corrente dottrinale contraria ad escludere l'impresa agricola dall'ambito
di operatività della transazione fiscale: era stata infatti aspramente criticata la
chiusura manifestata dal legislatore nei confronti dell'imprenditore agricolo, che
sarebbe stato privato irragionevolmente della possibilità di pervenire ad un accordo
transattivo con il Fisco, considerato che molto spesso la sua esposizione debitoria
verso l'Erario è tanto estesa quanto quella di un qualsiasi imprenditore commerciale,
necessitando pertanto di soluzioni identiche. Più in generale, e per analoghe ragioni,
era stata (e rimane tuttora) contestata la radicale esclusione dall'area di fallibilità
degli imprenditori agricoli, confermata dalla recente legge di riforma del 2006: i
152
Ovviamente l'espressione imprenditori “non piccoli” utilizzata nel testo è atecnica, posto che il
decreto correttivo del 2007, nel novellare il citato art. 1, comma 2, ha eliminato ogni riferimento
alla nozione di “piccolo imprenditore”, al fine di evitare ulteriori rimandi alla figura di cui all'art.
2083 c.c.: ne deriva che l'area di esonero è individuata esclusivamente sulla base dei parametri
dimensionali di tipo quantitativo (attivo patrimoniale, ricavi lordi, debiti totali) previsti dalla legge
fallimentare, e non più dei criteri qualitativi (prevalenza del lavoro personale e familiare)
contemplati dal codice civile.
80
problemi di tutela del credito generati dall'insolvenza dell'imprenditore agricolo,
infatti, non appaiono poi molto diversi da quelli posti dall'insolvenza
dell'imprenditore commerciale, sembrando così necessitare di risposte simili153.
Né la giustificazione tradizionalmente addotta a fondamento di questa
esclusione, che fa leva sul duplice rischio (naturale – biologico – atmosferico da un
lato, imprenditoriale in senso stretto dall'altro) cui è soggetto l'imprenditore agricolo,
sembrerebbe avere fondamento, alla luce delle più recenti ed avanzate tecnologie in
grado di prevedere e circoscrivere le incognite legate ai fattori naturali,
congiuntamente alla possibilità di ricorrere a coperture assicurative contro i danni
cagionati da avversità atmosferiche154. Soprattutto, questa scelta appare tanto più
criticabile quanto maggiore è l'estensione della nozione di impresa agricola: questa,
infatti, è andata progressivamente dilatandosi sino a ricomprendere peculiari
tipologie di coltivazione ed allevamento in cui il collegamento con il fondo è
piuttosto labile (si pensi alle coltivazioni in vitro o agli allevamenti in batteria),
ovvero attività che di agricolo hanno ben poca cosa (si pensi all'agriturismo).
Qualcuno pertanto ha ritenuto che la qualificazione giuridica di un'attività economica
in termini di impresa agricola potrebbe continuare ad aver rilievo ai soli fini del
riconoscimento di particolari provvidenze ed agevolazioni dettate da speciali
disposizioni di legge, ma non anche in funzione dell'assoggettamento a procedure
concorsuali155. Si potrebbe, ancora, fare leva su un’argomentazione di sapore
squisitamente tributario, nel senso di qualificare come commerciale, anche agli
effetti concorsuali, un'attività che superi i limiti delineati dall'art. 32 t.u.i.r. (la
disposizione da ultimo citata prevede delle soglie quantitative, superate le quali i
proventi delle attività di coltivazione, allevamento, nonché attività agricole connesse
transitano dalla categoria del reddito agrario a quella del reddito d’impresa).
153
Cfr. ex multis G. COTTINO, Diritto commerciale, Cedam, Padova, 2000, I, 100.
154
Tuttavia non manca in dottrina chi ravvisa alla base dell’esclusione dell’imprenditore agricolo dal
fallimento un fondamento politico: cfr. M. NOTARI, Ambito di applicazione delle discipline delle
crisi, in AA.VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, Giuffrè, Milano, 2007, 103.
155
S. FORTUNATO, La nuova nozione di impresa agricola, in La riforma dell'impresa agricola, a
cura di N. ABRIANI e C. MOTTI, Giuffrè, Milano, 2003, 23: l'A. muove dal presupposto che fra
gli artt. 2135 e 2195 c.c. non esisterebbe un presupposto di reciproca esclusività.
81
Del resto, la persistente esclusione dell'imprenditore agricolo dall'area di
fallibilità, se in passato veniva tradizionalmente intesa come un privilegio accordato
a tale categoria di operatori economici, alla luce del carattere fortemente punitivo
dell’originaria disciplina del fallimento, oggi suona piuttosto come un’indebita
discriminazione proprio ai danni dei medesimi soggetti, nella misura in cui gli stessi
non sono ammessi a fruire di alcuni dei vantaggi introdotti con la recente riforma
delle procedure concorsuali, fra cui soprattutto l'esdebitazione e la possibilità di
adottare meccanismi di soluzione concordata della crisi, ivi compreso, per quanto qui
interessa, l’istituto di cui all’art. 182ter.
Con il recentemente intervento del luglio 2011 il legislatore, perfettamente
conscio del problema, ha cercato di darne una soluzione, la quale, sia pur ristretta, è
di immediata fruizione, in quanto attivabile indipendentemente da una più generale
(ed auspicata) revisione dell'intera normativa concorsuale applicabile all'impresa
agricola in stato di crisi: all'imprenditore agricolo è ora consentito di pervenire ad
una sistemazione consensuale della propria esposizione debitoria solo concludendo
un accordo di ristrutturazione ex art. 182bis con una maggioranza qualificata dei
propri creditori, oppure stipulando una transazione con le Agenzie fiscali e con gli
enti previdenziali e/o assistenziali secondo la procedura di cui all'art. 182ter156.
Tuttavia, la norma introdotta con l'art. 23, comma 43 del d.l. n. 98/2011, come
è del resto tipico di qualsiasi intervento normativo di carattere “emergenziale”,
sembra essere stata varata in modo grossolano e frettoloso: innanzitutto, il
riferimento all'art. 182ter “come modificato da ultimo dall'articolo 32, commi 5 e 6,
del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla
legge 28 gennaio 2009, n. 2”, denuncia chiaramente una svista da parte del
legislatore, posto che l'ultimo intervento normativo sulla disposizione de qua è stato
quello varato non con il decreto anticrisi del 2008, quanto piuttosto con il d.l.
78/2010157.
156
Per un primo commento sulle novità legislative cfr. M. FERRO, Manovra fiscale: più tutele ai
crediti tributari e prime procedure concorsuali per gli imprenditori agricoli, in Fall., 2011, 909 e
ss.
157
A tale svista il legislatore ha posto rimedio in sede di conversione del d. l. n. 98/2011, sicché ora il
comma 43 contiene un generico rinvio “agli articoli 182bis e 182ter e successive modificazioni”.
82
Al di là di questa “veniale” dimenticanza, però, vi è un problema di fondo assai
più grave, che rischia di pregiudicare la concreta applicazione della transazione
fiscale agli imprenditori agricoli. Occorre premettere che la fattispecie di cui all'art.
182ter, se si escludono gli ultimi due commi, è destinata necessariamente ad inserirsi
nell'alveo di una procedura di concordato preventivo, di cui, secondo l’orientamento
interpretativo oramai unanime, finirebbe per condividere la sorte e gli effetti (il punto
sarà esaminato meglio nel prosieguo, quando si analizzerà il profilo della non
“autonomia” della transazione ed i suoi rapporti con il concordato preventivo). Ora,
occorre rilevare che l'imprenditore agricolo continua tuttora a rimanere escluso dal
concordato, poiché nella formulazione del citato comma 43 non vi è alcun
riferimento all'art. 160, ma soltanto ad una futura, ipotetica e piuttosto vaga
“revisione complessiva della disciplina dell'imprenditore agricolo in crisi”. Ne
deriva che i titolari di un'impresa agricola, non avendo accesso al concordato
preventivo, potranno in concreto addivenire ad una transazione fiscale
esclusivamente in sede di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis:
pertanto il richiamo all'art. 182ter contenuto nel d.l. n. 98/2011 sembrerebbe limitato
esclusivamente ai commi 6 e 7 di quella disposizione.
Al di là di queste innegabili criticità, la novità di cui trattasi va salutata con
favore, essendo condivisibile l'intenzione del legislatore di estendere anche
all'impresa agricola la fruibilità di istituti che consentono di addivenire ad una
soluzione negoziale della crisi che eviti la disgregazione del complesso aziendale:
disgregazione che in questo caso non deriverebbe dal fallimento, dal quale
l’imprenditore agricolo continua a restare escluso, quanto piuttosto dall'attivazione di
molteplici procedure esecutive individuali che potrebbero compromettere
irrimediabilmente la produttività di un'impresa che presenti ancora qualche
possibilità di recupero di valore.
L'esclusione dall'ambito di applicazione della transazione fiscale per carenza
del presupposto soggettivo persiste con riferimento agli altri soggetti non fallibili:
trattasi, come noto, degli imprenditori commerciali al di sotto delle soglie
dimensionali di cui all'art. 2, comma 1 legge fall.,degli enti pubblici e degli
83
“insolventi civili”158.
Anche sul punto non sono mancate aspre critiche da parte della dottrina
maggioritaria, che ha denunciato l'irragionevole discriminazione che tale disciplina
restrittiva opererebbe a discapito di tutti coloro che rimangono al di fuori dell'area di
fallibilità, con palese violazione dell'art. 3 Cost.159: anche in questo caso, come già
visto a proposito dell'esclusione degli imprenditori agricoli, viene criticata la
privazione dei benefici derivanti dalle procedure concorsuali, ivi compresa, per ciò
che qui interessa, la definitiva sistemazione dei debiti tributari e/o previdenziali,
connessa alla possibilità di falcidiare in via definitiva le residue prerogative
creditorie non soddisfatte.
In una prospettiva più ampia, che va al di là del solo istituto di cui all’art.
182ter, è stata contestata soprattutto la scelta del legislatore di escludere dall'area
della fallibilità le cosiddette “insolvenze civili”: trattasi di un’impostazione classica,
mutuata dalle radici storiche dell'istituto160, secondo la quale al di fuori dell'impresa il
dissesto rappresenterebbe un fenomeno limitato, fondandosi l'attività civile solo
marginalmente ed eccezionalmente sul credito, ed essendo essa adeguatamente
fronteggiabile attraverso gli ordinari mezzi di esecuzione coattiva individuale. Va
detto che tale assunto di fondo sembra al giorno d'oggi mostrare qualche crepa, a
fronte della sempre più massiccia espansione del credito al consumo e del crescente
158
La letteratura in materia è pressoché sterminata: una sintetica illustrazione di tali problematiche,
ricca di riferimenti in chiave comparatistica, è ad esempio quella contenuta in S. AMBROSINI -
G. CAVALLI - A. JORIO, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G.
COTTINO, Cedam, Padova, 2009, IX, 1 e ss.
159
Cfr. ad esempio M. R. GROSSI, Transazione fiscale, in La riforma della legge fallimentare, a
cura di M. R. GROSSI, Giuffrè, Milano, 2008, 1574 e 1575.
160
L'istituto del fallimento nacque nel Basso Medioevo nell'ambito degli statuti comunali, dunque in
piena età mercantile, e fu sin dalle origini concepito come strumento di tutela delle “ragioni sacre”
dell'affidamento che i creditori riponevano nell'adempimento delle obbligazioni contratte dal
mercante: cfr. U. SANTARELLI, voce Il fallimento (storia del), in Dig. disc. priv., Sez. comm.,
Utet, Torino, 1990, 366 e ss. Questa impostazione venne recepita successivamente sia dal Code de
commerce del 1807, che appunto limitava il fallimento ai soli commercianti, sia dai codici di
commercio italiani del 1865 e del 1882, che al primo direttamente si ispirarono, per poi essere
trasfusa nell'attuale legge fall.: cfr. L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Giappichelli,
Torino, 2008, 22, il quale sottolinea come l'unificazione dei codici operata nel 1942 portò
inevitabilmente ad estrapolare dall'unitario testo normativo l'istituto del fallimento, che anche la
Relazione del Guardasigilli sottolineò essere proprio dei soli commercianti., in ossequio alla
tradizione giuridica italiana.
84
indebitamento delle famiglie161. Del resto, in chiave comparatistica, l'esonero
dell'insolvente civile dall'area della fallibilità non è una costante dei diversi
ordinamenti giuridici, posto che nei paesi di common law, come anche in quelli di
tradizione giuridica tedesca, le procedure concorsuali trovano applicazione nei
confronti di qualsivoglia debitore; nello stesso senso si veda anche il Regolamento
dell'Unione Europea n. 1346/2000, che al punto 9) dei Considerando prevede
l'applicazione della disciplina concorsuale comunitaria a qualsiasi debitore “persona
fisica o giuridica, commerciante o non commerciante”. Inoltre anche in ordinamenti
più spiccatamente vicini al nostro, quali quello francese, di recente l'area di fallibilità
è stata significativamente estesa.
Di contro altra corrente dottrinale162, come anche la giurisprudenza della Corte
Costituzionale163, hanno sottolineato che un processo tanto oneroso, qual è quello di
fallimento, sarebbe giustificabile solo di fronte a fenomeni di crisi atti a generare un
sufficiente livello di allarme sociale, evitando altrimenti l'attivazione di mezzi che
risulterebbero sproporzionati rispetto all'entità del danno arrecato al sistema
economico complessivo.
Un’ulteriore precisazione sembra doverosa, sempre sul versante “soggettivo”.
Come visto, a seguito delle modifiche apportate con il decreto correttivo n.
169/2007 è stata riconosciuta all'imprenditore la possibilità di concludere una
transazione fiscale anche in sede di trattative finalizzate alla stipula di un accordo di
ristrutturazione dei debiti. Tale fattispecie, almeno in un primo momento, ha risentito
della disputa dottrinale concernente il presupposto soggettivo richiesto ai fini
dell’accesso all'istituto di cui all’art. 182bis: posto infatti che la disposizione da
ultimo citata parla semplicemente di “imprenditore”, senza ulteriori specificazioni, in
dottrina si è posto il problema di stabilire se l'istituto sia riservato ai soli imprenditori
161
Cfr. G. CAVALLI, I presupposti soggettivi del fallimento in generale, in Trattato di diritto
commerciale, diretto da G. COTTINO, cit., 22.
162
Cfr. A. NIGRO, L'insolvenza delle famiglie nel diritto italiano, in Dir. banc., 2008, I, 202.
163
Cfr. Corte cost., 16 giugno 1970, n. 94, in Foro it., 1970, I, 1857, la quale ha rigettato la questione
di costituzionalità in relazione ad una pretesa disparità di trattamento fra le diverse categorie di
debitori agli effetti dell'art. 3 Cost.
85
commerciali medio – grandi che versino in stato di crisi, al pari del concordato
preventivo, ovvero sia accessibile anche a quanti, in ragione dell'oggetto o delle
dimensioni della propria impresa, siano esclusi dall’area di fallibilità164.
La migliore dottrina, comunque, è propensa a circoscrivere l’ambito di
applicazione della fattispecie di cui all'art. 182bis, e quindi anche della connessa
possibilità di addivenire alla stipula di un accordo transattivo con il Fisco, ai soli
imprenditori commerciali fallibili165. Ovviamente le modifiche apportate con il d. l. n.
98/2011 sono destinate a sopire tale annosa querelle, almeno in parte: nel senso che,
avendo il legislatore esteso gli accordi di ristrutturazione dei debiti e la transazione
fiscale anche agli imprenditori agricoli, ora avrebbe senso continuare ad interrogarsi
sull'estensione dell'ambito applicativo di tali istituti in relazione soltanto ai “piccoli”
imprenditori commerciali.
Quanto all’ulteriore presupposto rappresentato dallo “stato di crisi”
dell’imprenditore proponente la mente corre all'elaborazione interpretativa cui il
concetto è stato sottoposto nel corso degli anni, sino alla precisazione legislativa
secondo cui esso è comprensivo anche dello stato di insolvenza166.
Ai fini del presente lavoro, tuttavia, è doverosa una puntualizzazione:
potrebbero verificarsi, infatti, situazioni in cui il passivo d'impresa è rappresentato
esclusivamente da debiti tributari. In tale evenienza sembra legittimo chiedersi se
possa comunque parlarsi di vera e propria “crisi d'impresa”, tale da legittimare la
presentazione di una proposta di concordato in cui l'unico creditore da soddisfare in
misura falcidiata o dilazionata sia l'Amministrazione finanziaria: del resto,
164
Cfr. ex multis C. D'AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fallimento e altre
procedure concorsuali, cit., 1805 e ss.
165
Cfr. M. LIBERTINI, Accordi di risanamento e ristrutturazione dei debiti e revocatoria, in
Autonomia negoziale e crisi d'impresa, a cura di F. DI MARZIO e F. MACARIO, Giuffrè,
Milano, 2010, 378. In senso conforme anche G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,
ovvero la sindrome del teleobiettivo, in S. AMBROSINI, Le nuove procedure concorsuali,
Zanichelli, Bologna, 2008, 567 e G. PELLIZZONI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il
piano di risanamento, alla luce del decreto correttivo della riforma della legge fallimentare, in
www.unijuris.it, 2008, 19.
166
La letteratura sul punto è vastissima: cfr. su tutti G. TERRANOVA, Stato di crisi e stato di
insolvenza, Giappichelli, Torino, 2007.
86
indipendentemente dalla soluzione che si possa escogitare sotto il profilo sistematico
o ermeneutico, sul piano pratico-operativo occorre tener conto del concreto
atteggiamento che il Fisco adotterebbe in tali ipotesi, sembrando arduo che l’ufficio
decida di approvare la proposta transattiva.
È pacifico, comunque, che la transazione fiscale possa aver luogo solo
nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, o all'interno di un accordo di
ristrutturazione dei debiti. È esclusa pertanto ogni possibilità di addivenire ad una
sistemazione delle pendenze verso l'Erario, con i connessi effetti di cristallizzazione
della complessiva esposizione debitoria e cessazione della materia del contendere, al
di fuori delle due ipotesi legislativamente individuate.
Invero non è mancato in dottrina chi ha criticato la predetta limitazione, che
sembrerebbe essere del tutto irragionevole, soprattutto con riferimento a quelle
procedure concorsuali che prevedono una continuazione dell'attività
imprenditoriale167. Ancora, in una prospettiva de iure condendo, è stata proposta
un'estensione dell'istituto ad ogni procedura concorsuale, non essendo ravvisabile
alcun concreto vantaggio, né per l'Erario né per il debitore, derivante dalla
limitazione del relativo ambito di operatività168.
167
Cfr. E. DE MITA, Transazione con il fisco per tutte le crisi, in Il Sole 24 Ore del 28 giugno 2009.
168
Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, in
www.fallimentitribunalemilano.net, 2006, 3, e V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e pagamento
percentuale dei crediti privilegiati nel concordato preventivo: più dubbi che certezze, in Fall.,
2007, 579. Palesa una violazione ingiustificata del principio di parità di trattamento di cui all’art.
3 Cost., con particolare riferimento all'esclusione dall'ambito di applicazione dell'art. 182ter degli
istituti che prevedono una composizione negoziale del debito (quali il concordato fallimentare ed il
concordato siglato in sede di amministrazione straordinaria), E. MATTEI, La transazione fiscale
nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato delle procedure
concorsuali, a cura di L. GHIA - C. PICCININNI - F. SEVERINI, Utet, Torino, 2011, IV, 722. A.
LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, in Le procedure concorsuali, a cura di A.
CAIAFA, Cedam, Padova, 2011, 1429, sembra criticare l’impossibilità di attivare la transazione
fiscale in sede di piano attestato di risanamento e di concordato fallimentare, posto che essi
presenterebbero evidenti analogie con il concordato preventivo e con gli accordi di
ristrutturazione; l’A. comunque giudica l'istituto incompatibile tanto con il concordato in sede di
l.c.a. di cui all'art. 214 legge fall., quanto con il concordato attivabile nell'ambito
dell'amministrazione straordinaria di cui all'art. 78 del d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270, poiché
entrambe le procedure hanno carattere non convenzionale ma autoritativo, ed i creditori non sono
ammessi alla votazione, sicché per l'Erario sarebbe impossibile esprimere il proprio voto secondo
quanto previsto dall'art. 182ter. Ancora, la transazione fiscale non potrebbe operare neppure
nell'ambito del concordato previsto dal decreto “Parmalat” (d.l. 23 dicembre. 2003, n. 347,
convertito con l. 18 febbraio 2004, n. 39), il quale non prevede in radice alcuna falcidia dei crediti
87
In ogni caso, indipendentemente dalla fondatezza o meno di tali rilievi, nelle
altre procedure concorsuali il debitore potrà pur sempre avvalersi degli ordinari
strumenti deflattivi del contenzioso fiscale, ricorrendone i relativi presupposti169.
4. L’ambito di applicazione della transazione fiscale sotto il profilo
oggettivo.
Il comma 1 dell’art. 182ter prevede che la proposta di transazione può
riguardare esclusivamente “i tributi amministrati dalle Agenzie fiscali e i relativi
accessori”, nonché, a seguito delle integrazioni apportate con il d. l. n. 185/2008, i
contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza
obbligatorie ed i relativi accessori, ancorché non iscritti a ruolo.
Anche sotto il profilo oggettivo la norma ha sollevato non poche criticità,
alcune delle quali restano tuttora insolute.
In dottrina, anzitutto, è sorto il problema di individuare che cosa debba
intendersi esattamente per “tributo”, posto che nessuna norma del nostro
ordinamento tributario ne dà una precisa definizione. La questione non ha soltanto
rilievo teorico-dogmatico, considerati i risvolti pratici che derivano dalla
qualificazione di una certa entrata in termini di tributo, a partire dall'assoggettamento
delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario e, per
quanto qui interessa, dalla transigibilità o meno dell'introito ai sensi dell'art. 182ter.
L'interpretazione dottrinale prevalente, avallata anche dalla giurisprudenza
costituzionale, qualifica il tributo come “prestazione patrimoniale imposta,
caratterizzata dall'attitudine a determinare il concorso dei consociati alle pubbliche
spese”: si tratterebbe dunque di un sacrificio economico individuale imposto da un
atto autoritativo a carattere ablatorio, il cui gettito è destinato ad alimentare la
finanza pubblica, fornendo i mezzi necessari per il finanziamento delle pubbliche
privilegiati. Sulla possibilità di falcidiare i crediti tributari anche nell’ambito di una procedura di
concordato fallimentare cfr. A. LA MALFA, La transazione fiscale, il concordato preventivo e il
concordato fallimentare, in Dir. fall., 2008, 463 e ss., nonché ID., Transazione fiscale applicabile
anche al concordato fallimentare, in Corr. trib. n. 37/2008, 2997 e ss.
169
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2565: in particolare, saranno esperibili
l'accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, le definizione agevolata delle sanzioni e
la rateizzazione della riscossione.
88
spese170. Ne deriverebbe l'esclusione dal novero dei tributi di quelle entrate a
carattere soltanto patrimoniale, quali i contributi di varia natura, i canoni demaniali,
le tariffe e i prezzi pubblici, che non soddisfano i menzionati criteri.
Quanto all'espressione “tributi amministrati dalle Agenzie fiscali”, con la quale
si è inteso perimetrare l'ambito di applicazione dell'istituto, il legislatore avrebbe
attribuito rilevanza esclusivamente al potere di gestione dell'imposta, inteso come il
fascio dei poteri funzionali al controllo, all’accertamento ed alla riscossione della
stessa171, indipendentemente dalla destinazione del relativo gettito; si tratta dunque
di una scelta diversa da quella compiuta all'atto dell'introduzione della vecchia
transazione esattoriale, che era stata limitata ai soli tributi il cui gettito fosse stato di
esclusiva spettanza dello Stato. L'attuale formulazione abbraccia così entrate che
vedono la compartecipazione anche di altri Enti impositori, ma la cui gestione è
devoluta ad una delle Agenzie fiscali, quali l'Irap, le addizionali Irpef (regionale e
comunale) e le tasse automobilistiche172; viceversa, non sarà possibile transigere i
tributi locali (quali l’Ici, la Tarsu, la Tosap, l’imposta sulle pubblicità e i diritti sulle
pubbliche affissioni), rispetto ai quali le medesime Agenzie non vantano alcun potere
di accertamento e/o riscossione173.
170
Cfr. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, Utet, Torino, 2003, 20 e ss., e G. FALSITTA, Manuale di
diritto tributario, Cedam, Padova, 2010, 20 e ss. In giurisprudenza cfr. C. Cost., 11 gennaio 1995,
n. 2 e n. 11, in Riv. dir. trib., 1995, II, 261. In particolare, secondo la consolidata giurisprudenza
costituzionale i criteri da adottare per qualificare le entrate erariali come tributarie,
“indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina tali entrate,
consistono nella doverosità della prestazione e nel collegamento di questa alla pubblica spesa,
con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante” (cfr. da ultimo Corte Cost., 10
marzo 2008, n. 64, reperibile sul sito www.giurcost.org/decisioni)
171
Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 682.
172
Gli altri tributi transigibili sono: l'Irpef, l'Irpeg, l'Ires, l'imposta di registro, le imposte ipotecaria e
catastale, l'imposta di bollo, l'imposta sulle successioni e donazioni, l'imposta sugli intrattenimenti,
la tassa sulle concessioni governative, la tassa sui contratti di borsa, il canone RAI, l'abrogato
contributo per il S.S.N. (tutti amministrati dall'Agenzia delle Entrate); le imposte e i canoni
demaniali, sempre che per i secondi se ne escluda la natura patrimoniale (gestiti dall'Agenzia del
Territorio); i dazi di importazione ed esportazione e le imposte di fabbricazione e consumo (di
competenza dell'Agenzia delle Dogane). Sul punto cfr. la circolare dell'Agenzia delle Entrate n.
25/E del 21 marzo 2002, in www.agenziaentrate.gov.it, contenente l'elenco dei tributi di
competenza dell'Agenzia delle Entrate, come tali devoluti alla giurisdizione del giudice tributario.
173
L'art. 57, comma 2 d. lgs. 30 luglio 1999, n. 300 stabilisce comunque che “Le Regioni e gli Enti
locali possono attribuire alle Agenzie fiscali, in tutto o in parte, la gestione delle funzioni ad essi
spettanti, regolando con autonome convenzioni le modalità di svolgimento dei compiti e gli
obblighi che ne conseguono”. Sui dubbi che una parziale attribuzione di dette funzioni potrebbe
89
Un'ulteriore questione interpretativa attiene alla nozione di “accessori” del
tributo: se non vi è mai stato alcun problema nel ricomprendervi gli interessi, dubbi
sono sorti con riferimento alle sanzioni pecuniarie, posto che nell'ottica punitiva che
permea l'intero sistema dell'illecito amministrativo tributario le medesime presentano
un carattere afflittivo difficilmente conciliabile con una loro transigibilità. La
dottrina maggioritaria, tuttavia, propende per una lettura estensiva ed
omnicomprensiva della locuzione di cui trattasi, tale da ricomprendervi anche le
sanzioni, la cui esclusione penalizzerebbe altrimenti la funzionalità dell'istituto174; in
tal senso si è espressa anche la circolare interpretativa n. 40/E delle Entrate.
Ancora, il comma 1 esclude dall’ambito di applicazione della transazione
fiscale i “tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea”. Ai sensi di quanto
previsto dall'art. 2 della Decisione Euratom del 29 settembre 2000175 tali risorse sono
costituite da: prelievi e contributi agricoli; dazi doganali; una quota del gettito Iva
applicata agli imponibili armonizzati di ciascuno Stato membro; una percentuale del
P.N.L. di ciascuno Stato (attualmente l'aliquota uniforme è attestata sull'1,2%);
tributi istituiti nell'ambito della politica comunitaria in attuazione delle disposizioni
dei Trattati. Ancora, la menzionata circolare n. 40/E, conformandosi all'orientamento
espresso dalla Commissione europea nella Comunicazione 2007/C-207/05176, ha
generare, circa l'individuazione del soggetto cui riferire l'“amministrazione del tributo” e la
conseguente possibilità di transigerlo o meno, cfr. M. CORVAJA e A. GUERRA, La transazione
fiscale, cit., 1918, i quali auspicano un intervento chiarificatore del Ministero.
Quanto all'esclusione del credito per interessi e sanzioni dovute per l'omesso pagamento dell'ICI
cfr. Corte dei Conti, Sez. reg. Emilia Romagna, 27 febbraio 2007, delibera n. 2/2007, in GT, 2007,
515, con nota critica di C. LAMBERTI, La Corte dei Conti “ignora” la nuova transazione fiscale
del diritto fallimentare e l'autonomia finanziaria degli Enti locali.
174
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2568; M. POLLIO, La transazione
fiscale, cit., 1843. Contra L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 682 e S. GOLINO, La
transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fisco, n. 46/2007, fascicolo 1,
6705. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, in Fisco, n. 20/2006, 3015, vi
ricomprende anche le somme dovute a titolo di risarcimento danni.
175
“Decisione del Consiglio del 29 settembre 2000 relativa al sistema delle risorse proprie delle
Comunità europee”, 2000/597/CE, Euratom, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità
Europee L. 253/42 del 7 ottobre 2000.
176
“Verso l'esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri
di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
dell'Unione Europea del 15 novembre 2007.
90
escluso che possano costituire oggetto di una transazione fiscale i crediti relativi al
recupero di aiuti di Stato illegittimamente accordati all'impresa.
4.1. La vexata quaestio della transigibilità dell'Iva.
Quanto all'Iva, il decreto anticrisi del 2008 sembra aver definitivamente risolto
la querelle relativa alla sua falcidiabilità: se in passato la dottrina maggioritaria177,
come anche la giurisprudenza di merito178, avevano ammesso la possibilità di
proporre un trattamento remissorio anche per questa imposta, altra corrente
interpretativa179 aveva invece escluso tale possibilità. Di quest’ultimo avviso era
anche l'Agenzia delle Entrate, che nella circolare n. 40/E del 2008 invitava gli uffici
ad escludere l'Iva dalle transazioni fiscali, almeno fino al consolidamento
dell'orientamento giurisprudenziale in materia; secondo il citato documento di prassi
sarebbero stati comunque transigibili interessi e sanzioni, ed inoltre veniva precisato
che il debito Iva per imposta avrebbe dovuto essere ricompreso nella certificazione
da rilasciare al debitore.
La soluzione interpretativa più rigorosa muoveva dall'origine comunitaria del
tributo, il cui gettito era (ed è tuttora) parzialmente destinato al finanziamento delle
istituzioni europee ai sensi di quanto previsto dall'ottavo considerando della Direttiva
CE del 28 novembre 2006 n. 112180, attuativo dalla menzionata decisione Euratom
177
Cfr. ex multis L. TOSI, La transazione fiscale, in Rass. trib., 2006, 1078; L. MAGNANI, La
transazione fiscale, cit., 682; L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale secondo il
Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, in Fall.,
2008, 343.
178
Cfr. Trib. Bologna, 26 ottobre 2006, decr., in Fall., 2007, 579 e ss., Trib. Milano, 13 dicembre
2007, decr. in Fall., 2008, 333, Trib. Milano, 16 aprile 2008, decr., in www.ilcaso.it, I, 1214/2008,
nonché Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, decr., in Dir. fall., 2009, II, 66 e ss.
179
Cfr. L. MAZZUOCCOLO, Transazione fiscale: nuove disposizioni introdotte dall'art. 182ter del
R.D. n. 267/1942, in Fisco, n. 15/2006, fascicolo 1, 2258, e L. MANDRIOLI, Transazione fiscale
e concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, in Giur. comm., 2008, 301,
che si era mostrato dubbioso sulla possibilità di applicare la transazione fiscale anche all'Iva. In
giurisprudenza avevano escluso la remissione del debito Iva Trib. Lamezia Terme, 23 giugno
2008, decr., in Dir. fall., 2009, II, 224 e ss, e Trib. Piacenza, 1 luglio 2008, decr., in Dir. fall.,
2009, II, 66 e ss..
180
Trattasi della “Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema
comune d'imposta sul valore aggiunto”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea
L. 347/1 dell'11 dicembre 2006. Tale direttiva riconduce al sistema delle risorse proprie delle
91
del 2000. A favore della tesi più rigorosa militava anche il divieto, che le norme
comunitarie impongono a carico di ciascuno Stato membro, di disporre una rinuncia
generale e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica dei tributi
aventi origine comunitaria181.
L’orientamento dottrinale prevalente, viceversa, riteneva che la “quota di
richiamo Iva” da versare annualmente all'UE, essendo calcolata sul prodotto
nazionale lordo di ciascuno Stato membro, non aveva nulla da spartire con l'imposta
riscossa presso il singolo contribuente, né con il gettito complessivo annuale del
tributo: ad essere riversata alle istituzioni comunitarie non era, dunque, una frazione
dell'Iva riscossa, quanto piuttosto una porzione del proprio P.N.L., rispetto alla quale
la prima rappresentava semplicemente un riferimento (“parametro di contribuzione”)
cui commisurare convenzionalmente la misura di partecipazione di ciascuno Stato
membro al fabbisogno finanziario delle istituzioni comunitarie. Ne sarebbe derivata,
dunque, la transigibilità anche di detta imposta.
Il d. l. n. 185/2008, con un chiarimento che secondo alcuni avrebbe carattere
interpretativo piuttosto che innovativo182, ha statuito che “con riguardo all'IVA la
proposta di transazione può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento”.
Alla base dell'intervento correttivo vi è stato sicuramente il timore di non incappare
in una nuova condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea, dopo la
Comunità europee quelle provenienti dall'IVA, ottenute applicando un'aliquota comune ad una
base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie, ed attualmente pari
allo 0,5% del PIL di ciascuno Stato membro.
181
Cfr. artt. 2 e 22 della VI direttiva Iva prima citata, nonché l'art. 10 del Trattato Ce.
182
Cfr. M. POLLIO, La transazione fiscale, cit., 1845: ne deriverebbe che la nuova norma dovrebbe
applicarsi anche per il passato, ossia alle proposte di transazione già pendenti alla data di entrata in
vigore del decreto n. 185. Lo stesso è stato ribadito dalla circolare n. 14/E del 10 aprile 2009, in
cui l'Agenzia delle Entrate sostiene che per le procedure di concordato preventivo pendenti alla
data del 29 novembre 2008 il debitore potrà presentare una nuova proposta di transazione
(eventualmente anche mediante integrazione della proposta originaria), contenente la dilazione del
debito Iva, purché le operazioni di voto non siano già iniziate (questo perché l'art. 175 legge fall.
dispone che l'avvio della votazione preclude la modifica della domanda di concordato). Quando la
transazione sia inserita in un accordo ex art. 182bis il debitore potrà integrare/modificare la propria
proposta originaria nell'ambito delle trattative ancora in corso alla data di entrata in vigore del
decreto anticrisi. Contra cfr. Trib. Mantova, 26 febbraio 2009, decr., in www.ilcaso.it, I,
1641/2009, il quale esclude che la novella che vieta la remissione del credito Iva sia applicabile
alle proposte di concordato preventivo presentate prima dell'entrata in vigore della suddetta
modifica normativa.
92
bocciatura del condono Iva varato nel 2002183; sono state però deluse, in tal modo, le
aspettative di quanti caldeggiavano la soluzione opposta, facendo leva sulla
circostanza che un pagamento integrale di detto tributo, che spesso costituisce una
parte rilevante del passivo d'impresa, sicuramente non agevola la riuscita dei piani
concordatari.
L'attuale formulazione dell'art. 182ter, inoltre, sembra essere difficilmente
conciliabile con il principio generale dell'osservanza dell'ordine delle cause legittime
di prelazione di cui all'art. 160, comma 2 legge fall.: dal combinato disposto delle
due norme discenderebbe infatti l'obbligo di pagamento integrale non solo del
credito Iva, collocato al 19° posto nella graduatoria dei privilegi di cui all'art. 2778
c.c., ma anche dei crediti privilegiati ad esso antergati, con buona pace dell'effettiva
attuabilità del concordato. Dottrina e giurisprudenza tendono a risolvere la questione
attribuendo all'art. 182ter portata derogatoria rispetto alla regola generale di cui al
comma 2 dell'art. 160, ravvisandovi una norma di carattere eccezionale, valevole per
il solo credito Iva, in ragione dell'origine comunitaria di detto tributo, e tale da non
dispiegare alcun effetto sull’ordine delle cause di prelazione che assistono gli altri
crediti184.
In particolare, coma chiarito anche da una recentissima giurisprudenza di
legittimità, la norma di cui all’art. 182ter attribuirebbe al credito Iva un trattamento
peculiare ed inderogabile, aggiuntivo rispetto a quello imposto ex lege nei confronti
della generalità dei crediti privilegiati (per i quali il pagamento deve essere ancorato
al valore dei beni oggetto della garanzia), in ragione dell'interesse comunitario del
tributo, sulla cui gestione gli Stati membri non sono esenti da vincoli: ne deriva che
183
Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia UE, 17 luglio 2008, causa C-132/06, in cui l'Italia è stata
condannata per il condono previsto dalla l. n. 289/2002: in particolare, secondo la giurisprudenza
comunitaria le disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 di detta legge (concernenti rispettivamente
l'integrazione degli imponibili per gli anni pregressi ed il“condono tombale”), sono in contrasto
con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva CEE in materia di Iva, nonché con l'art. 10 del Trattato
istitutivo della Comunità Europea, in quanto prevedono una rinuncia generale ed indiscriminata
all'accertamento Iva.
184
Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della transazione fiscale, in Il nuovo diritto fallimentare,
diretto da A. JORIO e M. FABIANI, Zanichelli, Bologna, 2010, 1222. Il carattere eccezionale
della disposizione che prevede l’obbligo di pagamento integrale del debito Iva è stato ribadito
anche dalla Corte di Cassazione nelle due recenti pronunce del 4 novembre 2011, di cui si dirà
infra.
93
la disciplina della graduazione dei crediti di cui all'art. 160, comma 2 vincolerebbe il
solo debitore, ma non anche il legislatore, sempre libero di “attribuire un trattamento
particolare a determinati crediti come avviene nella prededuzione, senza che ciò
incida automaticamente sul trattamento degli altri. Diversamente opinando, tra
l'altro, si dovrebbe attribuire al legislatore, se non l'intento quantomeno
l'accettazione del rischio di rendere in molti casi sostanzialmente inattuabile il
percorso concordatario in quanto, tenuto conto del basso grado di privilegio
dell'Iva, la necessità di proporne l'integrale pagamento comporterebbe l'analoga
necessità per tutti i crediti privilegiati, anche non tributari, rendendo oltretutto priva
di contenuto la stessa transazione fiscale”185.
Risolta definitivamente, ed in senso negativo, la vexata quaestio relativa alla
possibilità di un trattamento remissorio del debito Iva nell'ambito di una transazione
fiscale, il successivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale si è concentrato su una
problematica che risulta strettamente connessa alla precedente: ossia la possibilità di
un pagamento in misura percentuale del credito Iva nell'ambito di un concordato
preventivo non contenente una proposta di transazione.
La disputa, ovviamente, presuppone che si aderisca alla tesi della facoltatività
della transazione fiscale, che risulta essere al giorno d'oggi prevalente sia in dottrina
che in giurisprudenza, grazie anche alla recente presa di posizione della Corte di
Cassazione, con le pronunce nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011. Il punto sarà
chiarito meglio nel prosieguo: basti qui rammentare che la non obbligatorietà della
transazione implica che l'imprenditore possa offrire un pagamento parziale e/o
dilazionato dei crediti tributari con la sola domanda di concordato preventivo.
Si tratta a questo punto di accertare se la falcidia ivi contemplata possa
riguardare anche l'Iva: in altri termini, i due poli dell'alternativa sono quelli di
riconoscere alla disposizione che vieta il pagamento parziale dell'Iva, di cui al
comma 1 dell'art. 182ter, carattere di norma sostanziale, dunque di generica
applicazione, ovvero norma meramente processuale, come tale connessa
185
Cfr. Cass., 4 novembre 2011, n. 22931 e 22932, rispettivamente in www.ilcaso.it, I, 6682/2011 ed
in banca dati Fisco d'Italia.
94
esclusivamente allo specifico procedimento di transazione fiscale e non applicabile
al di fuori del medesimo.
La dottrina maggioritaria, al pari della prevalente giurisprudenza di merito186,
avevano optato per la seconda soluzione interpretativa, ammettendo la possibilità di
un trattamento remissorio del debito Iva al di fuori della transazione fiscale.
Favorevoli all'opposta soluzione interpretativa erano stati, invece, alcuni Autori, e
qualche sparuta pronuncia giurisprudenziale187, alla luce dell’asserita natura
imperativa della disposizione di cui al comma 1 dell'art. 182ter, la quale imporrebbe
un comando precettivo, come tale non suscettibile di essere derogato.
Sulla querelle è intervenuta di recente la Corte di Cassazione, che con le citate
pronunce del 4 novembre 2011 ha ribadito l'impossibilità di falcidiare il debito Iva
anche nell'ambito di un concordato senza transazione fiscale. In primo luogo, a
giudizio della Suprema Corte non sarebbe credibile che il legislatore abbia inteso
lasciare alla valutazione discrezionale del debitore la scelta di assoggettarsi o meno
all'onere dell’integrale pagamento dell'Iva, imposta armonizzata a livello
comunitario sulla cui gestione gli Stati membri non sono esenti da vincoli. In
secondo luogo, la disposizione che impone il divieto di falcidia di detto tributo
avrebbe valore di norma sostanziale, e non già meramente processuale: essa dunque
disciplinerebbe il trattamento da riservare a tale imposta nell'ambito di qualsivoglia
esecuzione concorsuale, in ragione della peculiarità del medesimo e prescindendo
dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi.
In ogni caso, a giudizio della Corte l’obbligo di pagamento integrale del debito
Iva “non comporta l’’inderogabile accoglimento della pretesa fiscale in quanto
nell’ambito del concordato senza transazione fiscale resta ferma la facoltà del
contribuente di opporsi alla stessa, così che è solo l’imposta definitivamente
186
Cfr. Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, decr., in Dir. fall., 2009, II, 487 e ss; Trib. Milano, 12 ottobre
2009, decr., inedito; App. Genova, 19 dicembre 2009, decr., in www.ilcaso.it., I, 1971/2010.
187
Cfr. Trib. Roma, 16 dicembre 2009, decr., in Dir. fall., 2011, II, 369 e ss., e Trib. Monza, 23
dicembre 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1947/2010. In dottrina cfr. G. GAFFURI, Aspetti
problematici della transazione fiscale, in Rass. trib., 2011, 1120 e ss., V. ZANICHELLI, I
concordati giudiziali, Utet, Torino, 2010, 263, e A. LA MALFA, Del consolidamento dei debiti
fiscali, e del carattere vincolante del ricorso alla transazione ex art. 182ter legge fallim. per la
falcidia dei crediti privilegiati fiscali (note in margine a Tribunale Roma 16 dicembre 2009), , in
Dir. fall., 2011, II, 374 e ss.
95
accertata che è soggetta al vincolo richiamato”188.
5. Il contenuto della proposta di transazione.
La proposta transattiva può avere contenuto remissorio, dilatorio o misto,
salvo, come visto, l’obbligo di pagamento integrale del debito Iva nonché, a seguito
delle modifiche introdotte con il d.l. n. 78/2010, delle ritenute operate
dall'imprenditore e non versate: per entrambi, infatti, è ammessa soltanto una
dilazione di pagamento.
Quanto all'impossibilità di falcidiare il debito per le ritenute alla fonte la
dottrina ha ravvisato la ragione del divieto nella circostanza che esse, al pari dell'Iva,
non costituirebbero un tributo “proprio” dell'imprenditore, non essendo questi il reale
soggetto passivo d'imposta, poiché interviene nella riscossione del tributo solo in
qualità di sostituto d'imposta: pertanto è sembrato al legislatore non giustificabile il
comportamento dell'imprenditore che in un primo momento trae vantaggio
dall'omesso versamento delle ritenute operate sugli emolumenti corrisposti a terzi per
poi fruire della transazione fiscale, approfittando della provvista creata in danno del
contribuente-sostituito189.
Una certa corrente dottrinale, all'opposto, non ha mancato di criticare
l’eccessiva chiusura manifestata dal legislatore, reo di aver depotenziato l'appeal
dell'istituto, laddove si consideri che il debito relativo alle ritenute spesso
rappresenta, congiuntamente a quello Iva, la parte più consistente della complessiva
esposizione debitoria dell'impresa in crisi: nell'attuale contesto di congiuntura
economica negativa, che implica un generale disequilibrio economico oltre che
finanziario, con conseguente contrazione del reddito imponibile, i debiti per Ires ed
Irap non costituiscono quasi mai le voci di debito fiscale più rilevanti, a differenza
188
Nello stesso senso cfr. G. ANDREANI e M. RATTI, Il problematico ricorso a procedure
concorsuali e transazione fiscale, in Corr. trib., n. 12/2011, 944 e ss., secondo cui il debito per Iva
dovrebbe essere falcidiabile qualora non sia stato ancora accertato definitivamente, ma risulti a
livello di mera pretesa impositiva in attesa di definizione.
189
Sulla portata morale del divieto di falcidia delle ritenute operate cfr. L. DEL FEDERICO, Profili
evolutivi della transazione fiscale, cit., 1223, il quale attribuisce alla motivazione che alla base del
medesimo carattere “pseudo-etico”, salvo criticare l'eccessiva rigidità dell'intervento legislativo,
che lederebbe ingiustificatamente il principio della par condicio creditorum e svilirebbe la
convenienza della transazione.
96
appunto dell'imposta sul valore aggiunto e delle ritenute erariali. Inoltre, l'obbligo di
pagamento integrale di questi ultimi tributi potrebbe avere ripercussioni negative sul
perfezionamento della procedura concorsuale in cui la transazione fiscale si innesta,
perché determina molto spesso la riduzione delle risorse finanziarie a disposizione
degli altri creditori concordatari, con contrazione delle relative percentuali di
soddisfazione, rendendo meno agevole il raggiungimento della maggioranza di cui
all'art. 177190.
Per quanto attiene, invece, al debito erariale per ritenute non operate
dall'imprenditore qualcuno ha affermato l'ammissibilità della relativa falcidia,
muovendo dalla formulazione letterale dell'art. 182ter191.
Con riferimento alla dilazione di pagamento la normativa in materia di
transazione fiscale non opera alcun richiamo alla disposizione generale di cui all'art.
19 del d.P.R. n. 602/1973, con la conseguenza che sarà possibile proporre una
diluizione temporale dei pagamenti prescindendo dalle condizioni previste da quella
norma (sussistenza di una temporanea situazione di obiettiva difficoltà e
frazionamento in un numero massimo di 72 rate mensili, con possibilità di proroga di
ulteriori 72 mesi nel caso di comprovato peggioramento di quella situazione), come
in precedenza era stato sostenuto già a proposito della transazione sui ruoli a
carattere dilatorio192.
190
Cfr. M. ZANNI - G. REBECCA, La disciplina della transazione fiscale: un “cantiere” sempre
aperto, in Il Fisco, n. 39/2010, fascicolo 1, 6303, nonché M. POLLIO – P. P. PAPALEO,
Transazioni fiscali con la zavorra, in Italia Oggi, 14 giugno 2010, 5. Secondo G. ANDREANI -
M. RATTI, Il problematico ricorso a procedure concorsuali e transazione fiscale, cit., 944 e ss., il
debito per le ritenute non versate, al pari del debito Iva, dovrebbe essere falcidiabile qualora non
sia stato ancora accertato definitivamente, ma risulti a livello di mera pretesa impositiva in attesa
di definizione.
191
Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A.
NIGRO - M. SANDULLI - V. SANTORO, Giappichelli, Torino, 2010, III, 2323, nonché M.
ZANNI - G. REBECCA, La disciplina della transazione fiscale: un “cantiere” sempre aperto,
cit., 6302 e 6303, dove viene prospettato l'esempio di un accertamento dell’Agenzia delle Entrate
per pagamenti fuori busta corrisposti a lavoratori dipendenti o compensi in nero pagati a lavoratori
autonomi: in tale ipotesi il relativo debito d'imposta (comprensivo delle ritenute non operate, più
relative sanzioni ed interessi) sarebbe transigibile.
192
Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, in Fisco, n. 21/2006, fascicolo 1, 3188
e ss., il quale ritiene, tuttavia, che si applichi alla transazione fiscale la disciplina di cui all'art. 19,
comma 3 del d.P.R. n. 602/1973: secondo la previgente formulazione della citata disposizione il
mancato pagamento della prima rata, o di due rate consecutive, determinava l’automatica
decadenza dal beneficio della rateizzazione, e l'intero importo iscritto a ruolo ed ancora dovuto era
97
La dottrina, poi, è unanime nel ritenere che la soddisfazione del credito erariale
debba avvenire esclusivamente con pagamento in denaro: in tal senso deporrebbe la
lettera della norma, che parlando di “pagamento” (parziale e/o dilazionato) dei
tributi, nonché di “percentuale di pagamento” (con riferimento ai crediti assistiti da
privilegio), escluderebbe la possibilità di ricorrere alle altre modalità di
soddisfazione contemplate dall'art. 160193. Qualcuno ha tuttavia precisato che, se
sono sicuramente inibite la cessio bonorum e l'attribuzione all'Erario di azioni, quote,
obbligazioni ed altri strumenti finanziari o titoli di debito, non vi sarebbe una
particolare preclusione per le proposte transattive che prevedano l'attribuzione delle
attività di impresa ad un assuntore o l'accollo di debiti, posto che in questi casi il
debito d'imposta sarebbe comunque destinato ad essere estinto con un successivo
pagamento in denaro, ancorché proveniente da un soggetto terzo rispetto al debitore
originario194.
Ancora, la dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che il debito tributario
possa essere soddisfatto anche tramite compensazione con i crediti, sia chirografari
che privilegiati, che l’imprenditore vanta nei confronti dell’Amministrazione
finanziaria, purché essi presentino i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità di cui
all'art. 1243 c.c., e siano maturati con riferimento ad annualità per le quali sia
prescritta l'azione accertatrice, ovvero risultino da provvedimenti dell'autorità
giudiziaria passati in giudicato195.
Sempre con riferimento al contenuto di una proposta di transazione fiscale la
dottrina maggioritaria ritiene che essa possa essere anche “parziale”, nel senso che
può riguardare solo una parte dei debiti d’imposta potenzialmente transigibili
gravanti sull’imprenditore, che per la restante parte dovranno soggiacere
immediatamente riscuotibile in unica soluzione. A seguito delle novità introdotte con d.l. 2 marzo
2012, n. 16, convertito con l. 26 aprile 2012, n. 44, la decadenza si verifica solo a seguito del
mancato pagamento di due rate consecutive.
193
Cfr. ex multis M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1576.
194
Cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi
del concorso, cit., 308 e ss., nonché G. RIPA, La transazione fiscale, in Commentario sistematico
al fallimento, Celt, Piacenza, 2011, 812 e 813.
195
Cfr. M. QUATRARO, La transazione fiscale, in www.fallimentitribunalemilano.net, 2005, 2.
98
esclusivamente alla regola generale della falcidia concordataria ex art. 184, senza che
si producano, per essi, gli ulteriori effetti tipici di consolidamento ed estinzione delle
liti pendenti196.
Tale conclusione sembrerebbe essere supportata dalla formulazione letterale
dell'art. 182ter, nell'ambito del quale non si rinverrebbero elementi tali da escludere
l’ammissibilità di una proposta parziale. A supporto della medesima tesi, inoltre,
sono state addotte anche argomentazioni di carattere logico, in quanto sembrerebbe
eccessivo e controproducente costringere l'imprenditore ad inserire nella proposta di
transazione fiscale anche debiti d'imposta che egli abbia già contestato con ricorso o
che intenda comunque contestare: in tale ipotesi, infatti, egli non avrebbe alcun
interesse ad ottenere l'estinzione delle controversie, pendenti o solo potenziali,
soprattutto quando l'ammontare del tributo preteso dall’Amministrazione è
particolarmente elevato, o qualora le probabilità di vittoria del contenzioso siano
sufficientemente alte. Pertanto se vi fosse un obbligo di ricomprendere nella proposta
l'intero carico tributario, comprensivo anche di detti debiti, l'utilizzo dell'istituto
sarebbe fortemente ridimensionato.
Ne deriva che, secondo la corrente dottrinale maggioritaria, la determinazione
del campo di azione della transazione fiscale è rimessa alla volontà del debitore,
libero di valutare quali tributi sarà opportuno e conveniente definire in via transattiva
e quali invece soddisfare secondo le ordinarie regole concordatarie. Parimenti, il
contribuente sarà libero di selezionare anche le annualità d’imposta da
ricomprendere nella propria istanza di transazione, potendo la medesima concernere
sia periodi di imposta ancora suscettibili di accertamento, sia periodi già “chiusi” per
effetto del decorso del termine di decadenza prescritto per l'esercizio dei controlli
sostanziali197.
196
Cfr. ex multis E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, in Il nuovo diritto
fallimentare, cit., 1189, G. ROCCO, I privilegi tributari e il riparto dell'insolvenza, tra
interpretazione estensiva, eccesso di delega e transazione fiscale, in Dir. prat. trib., 2010, I, 511, e
B. SANTACROCE - D. PEZZELLA, La gestione del debito fiscale da parte dell'imprenditore in
crisi nel concordato preventivo, in Corr. trib., n. 24/2010, 1960 e 1961. Contra S. PACCHI - L.
D'ORAZIO – A. COPPOLA, Il concordato preventivo, in Le riforme della legge fallimentare, a
cura di A. DIDONE, Utet, Torino, 2009,1805.
197
Cfr. M. FERRO, Transazione fiscale, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a
cura di M. FERRO, Cedam, Padova, 2011, 2162.
99
Quanto ai debiti contributivi ed assistenziali il d. m. del 4 agosto 2009 regola
minuziosamente il contenuto della proposta transattiva, prevedendo percentuali di
pagamento diversificate a seconda che si tratti di crediti chirografari o privilegiati e,
con riferimento a questi ultimi, a seconda del grado di privilegio che li assiste, ai
sensi della graduazione di cui all'art. 2778 c.c. La disciplina applicabile alla
transazione “previdenziale” e/o “assistenziale” sarà esaminata in dettaglio nel
prosieguo del presente lavoro: giova qui anticipare che non sono mancate forti
critiche in ordine all'eccessiva rigidità della normativa ministeriale, che fissando
rigorosamente precise percentuali di soddisfazione finirebbe per travalicare sia il
testo dell'art. 182ter sia lo spirito della riforma198.
6. Il trattamento dei crediti tributari privilegiati.
Anteriormente alle modifiche introdotte dal correttivo del 2007 un tema
“classico”, ampiamente dibattuto in dottrina, era rappresentato dal trattamento da
riservare ai crediti tributari privilegiati: si discuteva, cioè, in merito alla possibilità di
falcidiare o meno le pretese creditorie dell'Erario assistite da privilegio, essendo
sempre stata indubbia, all'opposto, la falcidiabilità dei crediti fiscali chirografari sulla
scorta della regola generale di cui all’art. 184, che sancisce l'obbligatorietà del
concordato omologato per tutti i creditori anteriori, ivi compresi quelli astenuti o
dissenzienti199.
Prima di analizzare le linee generali della accennata disputa sembra opportuna
una sintetica illustrazione dei vari privilegi che assistono i diversi crediti tributari,
alla luce delle novità apportate dalla recente manovra correttiva di luglio 2011200
.
198
Sul punto cfr. ex multis E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato
preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto e coordinato da U. APICE,
Giappichelli, Torino, III, 2011, 576.
199
Cfr. ex multis L. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso
della transazione fiscale, testo della relazione al Convegno “Azione amministrativa e azione
impositiva tra autorità e consenso”, tenutosi a Pescara il 5 ottobre 2007, in Giust. trib., 2008, 28.
200
Sulla quale cfr. M. FERRO, Manovra fiscale: più tutele ai crediti tributari e prime procedure
concorsuali per gli imprenditori agricoli, cit., 909 e ss.
100
Il legislatore, all’art. 2752 c.c., accorda ai crediti per imposte dirette (Irpef,
Irpeg, Ires, Irap ed Ilor) un privilegio generale mobiliare; limitatamente all'imposta o
alla quota proporzionale di imposta imputabile ai redditi immobiliari, l'art. 2771 c.c.,
abrogato per effetto dell'art. 23, comma 38 del d.l. n. 98/2011, prevedeva un
privilegio speciale immobiliare (avente ad oggetto i beni immobili siti nel territorio
del Comune in cui il tributo si riscuote ed i frutti, i fitti e le pigioni dei medesimi
immobili). Infine, l'art. 2759 c.c., tuttora vigente, accorda all'imposta o alla quota
proporzionale d’imposta imputabile al reddito d'impresa un privilegio speciale
mobiliare, gravante sui beni che servono all'esercizio dell'impresa e sulle merci
reperite nel locale adibito all'esercizio stesso o nell'abitazione dell'imprenditore. Il
privilegio generale mobiliare (al pari dell'abrogato privilegio speciale immobiliare)
assisteva i soli crediti per imposte ed interessi (in particolare, l'estensione del
privilegio a questi ultimi è sancita dall'art. 2749 c.c.), iscritti nei ruoli resi esecutivi
nell'anno stesso in cui il concessionario del servizio di riscossione procedeva o
interveniva nell'esecuzione e nell'anno precedente: pertanto, i crediti per sanzioni
pecuniarie, al pari di quelli (per imposta, interessi e sanzioni) iscritti in ruoli resi
esecutivi prima dell'anno precedente l'attivazione della (o l'intervento nella)
procedura esecutiva ad opera del concessionario, avevano natura chirografaria. A
seguito delle novità introdotte con il citato decreto n. 98/2011 il privilegio generale
mobiliare è stato esteso anche alle sanzioni, ed è venuta meno la limitazione
temporale prima contemplata dal comma 1 dell'art. 2752 c.c.: ne deriva che avranno
natura privilegiata tutti i crediti tributari, ivi compresi quelli per le sanzioni,
indipendentemente dalla data di iscrizione a ruolo.
Resta invariata, invece, la norma relativa ai crediti Iva di cui al comma 3
dell'art. 2752 c.c., che accorda un privilegio generale mobiliare al credito per
imposta, sanzioni201 ed interessi, nonché le disposizioni relative ai crediti per tributi
indiretti di cui agli artt. 2758 e 2772 c.c., assistiti da privilegio speciale
(rispettivamente mobiliare ed immobiliare)202.
201
Va rammentato che prima delle novità introdotte con il d.l. n. 98/2011 l'Iva e l'Invim erano le
uniche imposte per le quali il legislatore aveva esteso il privilegio anche alle sanzioni: cfr.
rispettivamente gli artt. 2752, comma 3 c.c. e 28 del d.P.R. n. 643/1972.
202
Sul privilegio speciale immobiliare di cui all’art. 2772 c.c. cfr. M. BASILAVECCHIA, Problemi
101
Alla luce delle novità recentemente introdotte nel nostro ordinamento203,
dunque, sembrerebbe che le uniche ipotesi di crediti tributari non assistiti da
privilegio siano i crediti per sanzioni relative a tributi indiretti, posto che il privilegio
speciale (sia mobiliare ex art. 2758 c.c., sia immobiliare ex art. 2772 c.c.) continua a
riguardare la sola imposta (oltre agli interessi, stante la regola generale di cui all'art.
2749 c.c.).
Premessa questa sintetica rassegna, si può ora procedere ad illustrare, per
sommi capi, la querelle relativa al trattamento da accordare ai crediti tributari
privilegiati, che è stata sopita solo a seguito delle novità apportate dal decreto n.
169/2007. Ad alimentare il dibattito vi era, da un lato, la non chiara formulazione del
primo comma dell'art. 182ter, e dall'altro la tematica, di più ampio respiro, della
falcidiabilità tout court dei crediti muniti di privilegio nell'ambito di una procedura
di concordato preventivo.
Quanto al primo profilo, va detto che l’art. 182ter prevede che la possibilità di
proporre il pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi sia limitata “alla quota di
debito avente natura chirografaria”, indipendentemente dall'iscrizione a ruolo, per
poi puntualizzare, con riferimento ai crediti assistiti da privilegio, che “la
percentuale di pagamento” non può essere inferiore a quella offerta ai creditori
assistiti da privilegio di grado inferiore o aventi posizione giuridica ed interessi
economici omogenei a quelli delle Agenzie fiscali e/o enti previdenziali. Il
legislatore sembrerebbe dunque contraddirsi, in quanto la prima disposizione, se
interpretata testualmente, limiterebbe la falcidia alla sola porzione del debito
tributario non assistita da privilegio, laddove la seconda parrebbe invece ammettere
il trattamento remissorio anche per i crediti tributari privilegiati.
L'orientamento prevalente, sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito,
ammetteva la falcidia dei crediti erariali muniti di prelazione, pur non mancando
interpretativi ed applicativi concernenti il privilegio speciale immobiliare per i tributi indiretti,
Studio del Consiglio Nazionale del Notariato del 18 marzo 2005 n. 31/2005/T, in
www.notariato.it.
203
Esse hanno applicazione retroattiva, posto che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 23, comma 37
del d.l. n. 98/2011, la norma che prevede l'estensione del privilegio anche alle sanzioni, nonché
l'abbattimento del limite temporale rappresentato dalla data di iscrizione a ruolo, si applica anche
ai crediti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto (6 luglio 2011).
102
tuttavia qualche voce discorde204: tale interpretazione era prospettata come la più
conforme alla ratio dell'istituto, ravvisabile nell'intento di agevolare il ricorso a
soluzione concordate della crisi di impresa, che la necessità di un integrale
soddisfacimento dei crediti erariali privilegiati avrebbe seriamente ostacolato, specie
nei casi in cui l'esposizione debitoria verso il Fisco fosse particolarmente rilevante205.
Dello stesso avviso era anche l'Amministrazione finanziaria, secondo la quale
la medesima ratio di fondo avrebbe dovuto ispirare una lettura della locuzione
“credito assistito da privilegio” che andasse oltre il mero dato testuale: nella
circolare n. 40/E, pertanto, si legge che quell'espressione non andrebbe limitata ai
soli privilegi in senso stretto, intendendosi come tali le cause legittime di prelazione
accordate dalla legge in considerazione della causa del credito ovvero del rapporto
da cui esso è sorto (ex art. 2745 c.c.), ma dovrebbe essere interpretata in modo
atecnico, in quanto sarebbe comprensiva di tutti i crediti tributari muniti di un diritto
di prelazione diverso dal privilegio206.
Qualche Autore, ancora, aveva sostenuto che con riferimento ai crediti tributari
privilegiati il legislatore avesse inteso limitare la possibilità di pagamento parziale ai
soli importi iscritti a ruolo, laddove i crediti chirografari sarebbero stati falcidiabili in
ogni caso207; tale interpretazione, tuttavia, era stata respinta sia dalla dottrina
maggioritaria208 sia dall'Agenzia delle Entrate, prevalendo la tesi secondo la quale la
204
Cfr. V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e pagamento percentuale dei crediti privilegiati nel
concordato preventivo: più dubbi che certezze, cit., 579 e ss.
205
Cfr. G. MARINI, Art. 182ter. Transazione fiscale, in La riforma della legge fallimentare, a cura di
A. NIGRO - M. SANDULLI, Giappichelli, Torino, 2006, II, 1119.
206
Il citato documento di prassi menziona nello specifico i crediti erariali assistiti da ipoteca ex art. 77
del d.P.R. n. 602/1973. Si legge anche che “diversamente interpretata, la disposizione
determinerebbe una illegittima alterazione della cause di prelazione, in quanto il trattamento dei
crediti tributari privilegiati, oggetto di falcidia, sarebbe deteriore rispetto al trattamento dei
crediti aventi un grado di prelazione inferiore”. In dottrina cfr. E. STASI, Profili istituzionali della
transazione fiscale, cit., 1191, e M. FERRO, Transazione fiscale, cit., 2163.
207
Cfr. V. SELVI, Art. 182ter. Transazione fiscale, in Il nuovo fallimento, a cura di F.
SANTANGELI, Giuffrè, Milano, 2006, 796, e G. MARINI, Art. 182ter. Transazione fiscale, cit.,
1119 e 1120. Quest'ultimo A., tuttavia, ha successivamente rivisto la propria posizione sulla
questione: cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2322.
208
Cfr. ex multis L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative
e principi del concorso, cit., 299 e ss., che respinge l'interpretazione de qua sulla base del principio
ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, nonché L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1077.
103
falcidia sarebbe stata ammissibile indipendentemente dall'iscrizione a ruolo del
credito privilegiato.
In una prospettiva più ampia, si era rilevato che l’originaria formulazione della
legge fall. non contemplava espressamente la possibilità di falcidiare i crediti muniti
di prelazione nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, diversamente
dalla disciplina dettata dall'art. 124, comma 3 in materia di concordato
fallimentare209. La dottrina era divisa fra quanti ritenevano che la disposizione da
ultimo citata potesse applicarsi in via analogica anche al concordato preventivo210, e
quanti negavano tale possibilità, ritenendo che il legislatore avesse intenzionalmente
circoscritto al solo concordato fallimentare la possibilità di una soddisfazione non
integrale dei crediti privilegiati, come avrebbe lasciato intendere anche il testo
dell'art. 177, comma 3211.
Anche in giurisprudenza non esisteva un orientamento uniforme: dopo le prime
pronunce di segno contrario, i tribunali fallimentari sembravano aver ammesso la
possibilità di soddisfazione parziale dei crediti muniti di prelazione anche nell'ambito
del concordato preventivo212. Un passo indietro rispetto a questa parziale apertura è
209
Tale disposizione, introdotta con il d. lgs. n. 5/2006, disponeva che “La proposta può prevedere
che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il
piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della
collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di
mercato attribuibile al cespite o al credito oggetto della garanzia indicato nella relazione
giurata di un esperto o di un revisore contabile o di una società di revisione designati dal
tribunale”.
210
Cfr. ex multis P. F. CENSONI, Concordato preventivo e coinvolgimento dei creditori con diritti di
prelazione, in Fall., 2007, 434 e ss.
211
La norma accordava il diritto di voto ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca nella sola
ipotesi in cui costoro avessero rinunciato volontariamente al proprio diritto di prelazione, con la
conseguenza che al di fuori di quell’ipotesi i privilegiati non avrebbero avuto la possibilità di
votare, e ciò sarebbe stato indice della volontà legislativa di escluderne una falcidia “imposta” dal
proponente (il cd impairment o danneggiamento): cfr. in tal senso L. PANZANI, Il d.l. n. 35 del
2005 e la riforma della legge fallimentare, in www.fallimentonline.it, 2005, secondo cui “sarebbe
lesivo dei diritti del creditore privilegiato prevedere che la proposta di concordato presentata dal
debitore ne possa prevedere il soddisfacimento in percentuale, con il conseguente
assoggettamento alla falcidia concordataria, senza nel contempo consentire al creditore falcidiato
di esprimere il suo voto sulla proposta stessa”.
212
Cfr. ex multis Trib. Torino, 20 dicembre 2006, decr., in Fall., 2007, 431 e ss.; Trib. Verona, 13
ottobre 2006, decr., in Fall., 2007, 665 e ss.. In senso contrario alla falcidiabilità dei crediti
privilegiati, a pena di inammissibilità della proposta concordataria, si era espresso Trib. Bologna,
26 ottobre 2006, decr., cit.
104
stato però segnato da una sentenza della Corte di Cassazione, la quale, facendo leva
proprio sull'esclusione del diritto di voto sancita dal previgente comma 3 dell'art.
177, ha negato che, anteriormente all'entrata in vigore del decreto correttivo del
2007, la proposta di cui all'art. 160 potesse prevedere il pagamento solo percentuale
dei crediti assistiti da prelazione213.
A seconda della soluzione interpretativa prescelta sul piano generale variava
anche la lettura data alla norma in materia di transazione fiscale. A supporto della
tesi della falcidiabilità dei crediti privilegiati anche nell'ambito del concordato
preventivo veniva richiamata, fra l'altro, proprio la lettera dell'art. 182ter, contenente,
come visto, un riferimento alle “percentuali di pagamento” offerte ai creditori con
grado di privilegio inferiore a quello che assisteva il credito tributario: tale
disposizione, si era detto, non avrebbe rappresentato null'altro che la conferma di una
regola di portata ben più ampia e generale, che la riforma del 2006 avrebbe
introdotto per la totalità dei crediti muniti di prelazione, ed il d. lgs. n. 169/2007 si
sarebbe limitato ad esplicitare. All'opposto, chi riteneva che la falcidia dei crediti
privilegiati potesse aver luogo solo nell'ambito di un concordato fallimentare,
interpretava l'art. 182ter come norma eccezionale, che limitava la possibilità di una
soddisfazione parziale alle sole pretese creditorie vantate dal Fisco: si sarebbe
trattato, in altri termini, di una disposizione assolutamente specifica e settoriale,
come tale non in grado di comportare il superamento di un principio tanto radicato
quale era quello del pagamento integrale dei crediti privilegiati214.
213
Cfr. Cass., 22 marzo 2010, n. 6901, in Fall., 2010, 653 e ss.: la S. C. ha rigettato sia l'argomento
analogico, sia quello che fa leva sul tenore letterale dell'art. 182ter.
214
In tal senso cfr. F. MARELLI, Transazione fiscale, principi generali del concorso e soddisfazione
parziale dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2007, 661 e ss. In
giurisprudenza cfr. Trib. Bologna, 26 ottobre 2006, decr., cit., e Trib. Messina, 29 dicembre 2006,
decr., in Fall., 2007, 663 e ss., secondo cui “risulta un'evidente forzatura ricavare da due
disposizioni normative eccezionali, quali gli artt. 182ter e 127 (che disciplina la votazione, in sede
di concordato fallimentare, dei creditori muniti di prelazione ai quali la proposta riserva un
pagamento non integrale, n.d.r.) il principio generale secondo cui nel concordato preventivo
sarebbe possibile una soddisfazione parziale dei creditori privilegiati, i quali sarebbero
conseguentemente costretti a subire la defalcazione del privilegio, quando invece l'art. 177 l. f.
subordina detta defalcazione ad una rinuncia espressa totale o parziale del creditore al
privilegio”. Da ultimo cfr. Cass., 22 marzo 2010, n. 6901, cit., che condivide l'argomentazione
sulla valenza assolutamente specifica e settoriale dell'art. 182ter.
105
Coloro che aderivano a questa seconda interpretazione non mancavano anche
di rilevare che la falcidia dei crediti tributari sarebbe stata proponibile, in concreto,
nelle sole ipotesi in cui non sussistessero altri crediti muniti di privilegio di grado
inferiore: altrimenti, dovendo questi essere soddisfatti integralmente, ed imponendo
l'art. 182ter il pagamento dei crediti erariali in misura almeno pari a quella offerta ai
crediti privilegiati postergati, sarebbe stato necessario il pagamento integrale anche
delle pretese erariali215.
Le modifiche apportate dal decreto correttivo del 2007 alla disciplina del
concordato preventivo, con l'introduzione di una norma di tenore analogo a quello
dell'art. 124, comma 3, e l'aggiunta del nuovo comma 4 all'art. 177, contenente
l'equiparazione, ai fini del voto, dei creditori privilegiati falcidiati ai chirografari per
la parte di credito non soddisfatta, hanno definitivamente fugato ogni dubbio in
ordine alla possibilità di proporre un pagamento percentuale ai crediti assistiti da
prelazione.
Rimangono tuttora aperte, comunque, diverse questioni interpretative, cui in
questa sede è dato solo accennare. Anzitutto, è dubbio se la norma di cui all'art. 160,
comma 2 si applichi anche ai crediti muniti di privilegio generale, ossia quello
gravante sull'intero patrimonio dell'imprenditore216: la relativa formulazione letterale
sembrerebbe escluderlo, adottando come parametro di commisurazione il ricavato
ritraibile dal realizzo, al valore di mercato, di singoli beni o diritti su cui la
prelazione insiste. La Relazione governativa al decreto correttivo, tuttavia, si è
espressa in termini favorevoli alla falcidiabilità anche di dette pretese217.
215
Cfr. L. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della
transazione fiscale, cit., 27.
216
Come visto, sono assistiti da privilegio generale (mobiliare) i crediti per imposta, interessi ed ora
anche sanzioni in materia di imposte dirette ed Iva, fatta eccezione per l'imposta o la quota di
imposta relativa al reddito d'impresa, che gode di privilegio speciale (sempre mobiliare) si sensi di
quanto previsto dall’art. 2759 c.c. Ancora, sono minuti di privilegio speciale anche i tributi
indiretti: l’art. 2758 c.c. prevede infatti che “essi hanno privilegio sui mobili i quali i tributi si
riferiscono e sugli altri beni indicati dalle leggi relative”.
217
In essa si legge che “In accoglimento dell’osservazione della Camera, si precisa,
analogamente a quanto già previsto nel concordato fallimentare, che il debitore ha la
possibilità di offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori muniti di un
privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente, ma anche a quelli muniti di
un privilegio generale, sempre nella misura in cui tale credito non risulti capiente.
106
Ancora, la dottrina non ha mancato di rilevare che la condizione generale cui è
subordinata la remissione del credito munito di prelazione, ossia la possibilità di
soddisfarlo in misura superiore a quella che sarebbe ricavabile dalla liquidazione
fallimentare del bene su cui la prelazione insiste, in concreto sarebbe realizzabile nei
soli concordati caratterizzati da nuova finanza, ossia dall'apporto di risorse esterne
all'impresa; un concordato meramente liquidatorio, in cui i mezzi finanziari destinati
alla soddisfazione delle pretese creditorie sono ritraibili esclusivamente dal
patrimonio del proponente, difficilmente potrà soddisfare detta condizione218.
Altro quesito attiene alla necessità o meno di creare un'apposita classe in cui
inserire i crediti tributari e/o contributivi da falcidiare, separandoli dunque dalla
restante massa delle passività d'impresa, ovvero creare tante classi quanti sono i
diversi gradi di privilegio che assistono le varie pretese erariali219
. Una parte della
dottrina reputa necessaria la creazione di una classe ad hoc riservata all'Erario, in cui
inserire sia il credito chirografario soddisfatto in misura percentuale, sia la porzione
falcidiata del credito privilegiato, e ciò al fine di salvaguardare la tenuta
costituzionale dell'istituto di cui all'art. 182ter: altrimenti, comportando l'art. 184 la
falcidia di detti crediti anche senza il consenso del relativo titolare, tale norma si
risolverebbe in una inammissibile compressione del principio di indisponibilità
dell'obbligazione tributaria. L’inserimento delle pretese fiscali falcidiate in apposita
classe consentirebbe invece all'Amministrazione finanziaria dissenziente di opporsi
all'omologazione, sollecitando il cram down power di cui al comma 4 dell'art. 180220,
laddove la collocazione dell'Erario in una classe che comprenda anche altri creditori
rischierebbe di annacquarne il voto, potendo precludere allo stesso la possibilità di
218
Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, in S. AMBROSINI - P.G. DEMARCHI -
M. VITIELLO, Il concordato preventivo, Zanichelli, Bologna, 2009, 280. Secondo questo autore,
dunque, la possibilità di pagare in misura percentuale i crediti erariali privilegiati sussiste nelle sole
ipotesi di erogazioni e apporti finanziari esterni, come pure nel caso di vendita dei beni del
debitore ad un prezzo superiore a quello di mercato, oppure nell'ipotesi di postergazione di alcuni
crediti.
219
Sulla non obbligatorietà del classamento dei crediti privilegiati degradati dalla proposta cfr. Cass.,
10 febbraio 2001, n. 3274, in www.unijuris.it, nonché Trib. Udine, 15 giugno 2011, decr., in
www.ilcaso.it, I, 6121/2011.
220
Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 278 e 279, nonché e L. MANDRIOLI,
Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, cit., 316
e ss.
107
richiedere al Tribunale una valutazione di merito nell'ipotesi in cui sia raggiunta la
maggioranza all'interno di quella classe, proprio grazie al voto favorevole degli altri
creditori in essa ricompresi.
Quanto al credito tributario chirografario, cui andrà equiparata ai soli fini del
voto la quota di credito privilegiato non soddisfatta, la norma impone un trattamento
non diverso da quello accordato agli altri crediti chirografari o, nell'ipotesi di
concordato con classi, alla classe cui è riservato il trattamento più favorevole221.
Se l'intento del legislatore è ravvisabile nella volontà di evitare che l'Erario
possa subire un trattamento deteriore rispetto a quello accordato alla restante parte
dei creditori chirografari, la formulazione letterale della norma sembrerebbe però
escludere anche la possibilità di un trattamento più favorevole. Ancora, non è
sfuggito ad un'attenta dottrina che tale disposizione mal si concilierebbe con le
regole generali sancite in tema di classi dalle lettere c) e d) dell'art. 160, comma 1,
che impongono un trattamento diversificato, in quanto commisurato alla posizione
giuridica ed agli interessi economici dei crediti ricompresi in ciascuna classe: i
crediti tributari chirografari, alla stregua di quanto previsto dall'art. 182ter,
finirebbero per essere inseriti, sempre e comunque, nella classe che riceve il
trattamento migliore, indipendentemente dall'equivalenza di posizione giuridica ed
interesse economico rispetto agli altri crediti in essa ricompresi222.
A prescindere da tali criticità, occorre tener conto delle novità apportate dal d.l.
n. 98/2011, che ha esteso il privilegio generale mobiliare praticamente ad ogni
credito tributario, stante la nuova formulazione dell'art. 2752, comma 1 c.c.: ne
deriva che la disposizione relativa al trattamento da riservare ai crediti fiscali
chirografari atterrà essenzialmente alla percentuale del credito privilegiato degradata
in chirografo, cioè alla porzione di esso destinata a subire la falcidia concordataria.
221
L’obbligo di riservare ai crediti chirografari tributari un trattamento identico a quello degli altri
chirografari è stato introdotto dall'art. 32, comma 5 del d.l. n. 185/2008, mentre il d.l. n. 78/2010
ha chiarito che nell'ipotesi di suddivisione in classi il trattamento da riservare ai crediti fiscali deve
essere almeno pari a quello previsto per i crediti della classe trattata con più favore.
222
Cfr. V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 843 e 844.
108
7. Sull’obbligatorietà o meno della proposta di transazione fiscale.
Risolte definitivamente le dispute in merito alla falcidiabilità dei crediti
privilegiati tout court, e di quelli tributari nello specifico, uno dei profili su cui al
giorno d'oggi dottrina e giurisprudenza appaiono maggiormente divise riguarda la
possibilità di un pagamento non integrale dei crediti tributari al di fuori di una
proposta di transazione fiscale: in altri termini, ci si interroga sull'esistenza o meno di
un obbligo di attivare il sub-procedimento di cui all'art. 182ter in presenza di pretese
creditorie dell'Erario, ed ora anche di enti previdenziali/assistenziali, che il debitore
intenda soddisfare solo parzialmente.
Dottrina223 e giurisprudenza224 prevalenti ritengono che la procedura de qua sia
soltanto facoltativa, riconoscendo dunque al proponente la possibilità di presentare
un piano di concordato preventivo contenente la falcidia e/o la dilazione dei crediti
tributari e previdenziali senza l'obbligo di proporre contestualmente una transazione
fiscale: qualora optasse per questa soluzione, ovviamente, l'imprenditore non
potrebbe fruire degli effetti “tipici” della transazione fiscale, quali il consolidamento
del debito tributario e l'estinzione delle controversie pendenti.
La teoria in questione, meglio nota come “dualistica” o “del doppio binario”, fa
leva su argomentazioni di carattere sia testuale, posto che il 1 comma dell'art. 182ter
prevede che il debitore “può” (e non “deve”), presentare una proposta di transazione
fiscale, sia logico-sistematico, dal momento che la ratio dell'istituto consisterebbe
nel favorire il risanamento in sede concordataria delle imprese in crisi anche tramite
la sistemazione delle pendenze con il Fisco, cui dovrebbero essere applicate le regole
ordinarie di cui agli artt. 160 e ss. Inoltre si è detto che gli effetti discendenti
dall'intervenuta conclusione di una transazione fiscale, riconducibili essenzialmente
223
Cfr. ex multis G. FAUCEGLIA, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, in
Dir. fall., 2009, II, 493 e ss.; G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento
facoltativo del concordato preventivo, in Fall., 2010, 712 e ss.; E. STASI, Anche l'IVA è
falcidiabile?, in Fall., 2009, 1485; E. CECCHERINI, La transazione fiscale. Aspetti di procedura
e contraddizioni, in Dir. fall., 2011, I, 349 e ss.
224
Cfr. ex multis Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, decr., cit.; Trib. Asti, 3 febbraio 2010, decr., in Fall.,
2010, 707 e ss.; Trib. Ravenna, 19 gennaio 2011, decr., in Dir. fall., 2011, II, 528 e ss; Trib.
Bergamo, 10 febbraio 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 5038/2011.
A favore della non obbligatorietà della transazione fiscale sembrerebbe essersi pronunciata anche
la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 22 marzo 2010, n. 6901, cit., in cui, sia pure in un
obiter dictum, qualifica l'istituto di cui all'art. 182ter in termini di “opzione”.
109
alla definitiva cristallizzazione del debito d'imposta, comportano per il proponente la
compressione del diritto di difesa contro gli atti impositivi da cui quel debito
promana, con la conseguenza che detta limitazione risulterà ragionevole soltanto se
volontaria; pertanto è stato argomentato che il debitore avrebbe l'onere di proporre
una transazione solo qualora intenda fruire di quegli effetti, con la conseguenza che
ben potrebbe proporre una riduzione e/o dilazione dei crediti tributari con la sola
domanda di concordato, nel rispetto esclusivamente delle condizioni generali cui
l'art. 160 subordina la falcidia dei crediti concorsuali, senza che si verifichi anche la
cristallizzazione (sul duplice versante sostanziale e processuale) della sua
esposizione debitoria verso l'Erario.
Non privo di rilievo sarebbe anche il principio generale di cui all’art. 184 legge
fall.: nel sancire l’obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori, senza
prevedere esclusioni di sorta, tale disposizione troverebbe applicazione anche ai
crediti tributari, che sarebbero dunque costretti ad “accontentarsi” delle percentuali
di pagamento proposte con il piano concordatario anche in caso di voto negativo, ed
anche nell’ipotesi in cui l’ufficio non sia stato preventivamente interpellato con la
procedura di cui all’art. 182ter.
Ancora, la tesi della facoltatività dell'istituto fa leva anche sui costi
dell’istituto: in particolare, la necessità del pagamento integrale del debito Iva,
collocato al 19° posto nella graduatoria dei crediti privilegiati di cui all'art. 2778 c.c.,
combinata con l'obbligo di rispettare l'ordine della cause legittime di prelazione di
cui al comma 2 dell'art. 160, comporterebbe che anche tutti gli altri crediti muniti di
privilegio, antergati a quello per Iva, debbano essere soddisfatti integralmente225.
Viceversa, al di fuori della norma speciale di cui all'art. 182ter nessuna disposizione
di legge sembrerebbe prevedere l'obbligo di pagamento integrale di quel tributo, con
la conseguenza che il debitore potrà giudicare più conveniente “muoversi”
nell'ambito del solo art. 160 e proporre un pagamento falcidiato anche dell'Iva (ed
ora anche delle ritenute), purché sia rispettata l'unica condizione ivi prevista, cioè
225
Senza considerare che già il solo obbligo di pagamento integrale dell'Iva e delle ritenute alla fonte,
indipendente dalla soddisfazione degli altri crediti privilegiati antergati, rappresenta un costo non
indifferente per l'impresa, considerato che nella maggior parte dei casi il “peso” di questi tributi è
piuttosto gravoso, rappresentando i medesimi la parte più rilevante del passivo d’impresa.
110
l'attribuzione di un importo non inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione, al
valore di mercato, del bene o del diritto su cui la prelazione insiste226.
A supporto di questa soluzione interpretativa soccorre anche la tesi, avallata
dall'oramai unanime orientamento giurisprudenziale e dottrinale, che esclude
l'autonomia della transazione fiscale, qualificandola come sub-procedimento,
soltanto accessorio ed appunto eventuale, della più ampia procedura di concordato
preventivo: tale teoria sarà meglio illustrata nel prosieguo.
Di contro, qualche isolata pronuncia giurisprudenziale227, conformemente ad
una parte minoritaria della dottrina228, reputa indispensabile la presentazione di
transazione fiscale agli effetti del pagamento percentuale dei crediti tributari, a pena
di inammissibilità dell’intera proposta di concordato. Ad avviso di questa tesi
minoritaria la transazione configurerebbe un procedimento volto a determinare con
certezza il debito tributario, la cui quantificazione sarebbe altrimenti rimessa in via
unilaterale al solo debitore, senza possibilità di verifica da parte
dell'Amministrazione; l'istituto sarebbe dunque lo strumento tramite il quale l'Erario
viene messo in condizione di determinare correttamente il debito tributario ed
esprimere una valutazione consapevole sulla proposta di concordato229.
La tesi dell'obbligatorietà della transazione è stata sposata anche
dall'Amministrazione finanziaria, che nella circolare n. 40/E si appella al principio di
indisponibilità del credito tributario per sancire l'impossibilità di una soddisfazione
226
Tuttavia, come si è visto in precedenza, una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene
necessario il pagamento integrale del debito Iva anche nell’ambito di un concordato senza
transazione fiscale.
227
Nella giurisprudenza di merito, a supporto della tesi dell'obbligatorietà della transazione fiscale si
sono espressi soprattutto il Tribunale di Roma e quello di Monza: quanto al primo, cfr. il decreto
del 20 aprile 2010, in www.ilcaso.it, I, 2253/2010, nonchè quello del 16 dicembre 2009, cit.
Quanto al secondo, cfr. i decreti del 15 aprile 2010, in Fall., 2011, 82 e ss., e del 23 dicembre
2009, cit. Lo stesso Tribunale di Monza, tuttavia, si era precedentemente espresso per la non
obbligatorietà della transazione fiscale: cfr. decreto del 7 aprile 2009, in www.ilcaso.it, I,
2059/2010.
228
Cfr. E. DE MITA, L'accordo fiscale ha come arbitro solo l'Agenzia, in Il Sole 24 Ore del 13
dicembre 2009, 21; C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di
transazione fiscale, in Fisco, n. 39/2009, fascicolo 1, 6437 e ss.; A. LA MALFA, La transazione
dei crediti fiscali, cit., 1441 e 1442.
229
In tal senso cfr. anche C. ESPOSITO, Il piano del concordato preventivo tra autonomia e limiti, in
S. AMBROSINI, Le nuove procedure concorsuali, cit., 550 e 551.
111
parziale del medesimo al di fuori della specifica disciplina di cui all'art. 182ter: solo
attenendosi puntualmente alle disposizioni ivi contenute sarebbe dunque ammissibile
la falcidia del credito tributario. Il citato documento, dunque, è piuttosto rigoroso sul
punto, sembrando escludere ogni possibilità di trattamento remissorio e/o dilatorio
dei crediti erariali non solo nel caso di mancata presentazione tout court di una
proposta di transazione fiscale, ma anche nell'ipotesi in cui detta proposta non si
attenga puntualmente alle disposizioni di cui all'art. 182ter: sia l'omessa che
l'irrituale presentazione di detta proposta ne comporterebbero l'inammissibilità230. Né,
a giudizio dell'Agenzia, potrebbe essere invocato, in senso contrario, il disposto di
cui al comma 2 dell'art. 160, nella sua formulazione attualmente vigente, dal
momento che la possibilità, ivi prevista, di un pagamento non integrale dei crediti
muniti di privilegio, pegno ed ipoteca può ritenersi riferibile ai crediti di natura
tributaria soltanto a condizione che siano rispettate (anche) le disposizioni di cui
all'art. 182ter.
Sulla questione si è espresso anche il Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili231: muovendo dalla considerazione che il
principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria trova applicazione
esclusivamente quando si opera fuori dalle regole del concorso, il CNDCEC si è
pronunciato a favore della non obbligatorietà della proposta di transazione,
costituendo la medesima solo una facoltà cui il debitore concordatario può ricorrere
nei casi in cui lo ritenga conveniente. A giudizio dell'organo collegiale, inoltre, la
disposizione di cui all'art. 182ter avrebbe carattere di specialità, rappresentando la
norma in tema di Iva ivi contenuta una deroga al principio generale del rispetto della
graduazione dei crediti fissato dal comma 2 dell'art. 160: sarebbe pertanto possibile
la soddisfazione integrale di questa imposta e contemporaneamente il pagamento in
misura percentuale degli altri crediti privilegiati di grado anteriore.
230
“La presentazione di copia della domanda debitamente documentata, sia al competente agente
delle riscossione sia al competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate, costituisce un onere il cui
assolvimento rileva come requisito di ammissibilità della transazione fiscale” (p. 31). La dottrina,
tuttavia, non ha mancato di rilevare criticamente che non spetta all'Amministrazione finanziaria
stabilire quali debbano essere le condizioni di ammissibilità dell'istituto.
231
Osservazioni in tema di transazione fiscale, aprile 2010, riportato da G. ANDREANI, L'Iva e la
transazione fiscale, in Trattato delle procedure concorsuali, cit., 789.
112
Da ultimo si registra sul punto il recente intervento della Cassazione, che con le
due pronunce del 4 novembre 2011, precedentemente richiamate, si è anch'essa
schierata a favore della facoltatività della transazione fiscale. Escluso che questa
conclusione possa essere ricavata dal mero dato letterale dell'art. 182ter, la Suprema
Corte fa leva sugli effetti tipici dell'istituto: nel senso che l'imprenditore può ricorrere
alla transazione fiscale solo qualora sia interessato ad ottenere il consolidamento del
debito fiscale (inteso dai giudici di legittimità come quadro di insieme del debito
tributario, tale da consentire di valutare la congruità della proposta con riferimento
alle risorse necessarie a far fronte al complesso dei debiti, ed utile certamente a
fronteggiare l'incognita fiscale che normalmente grava sui concordati) e la
cessazione della materia del contendere nei giudizi in corso.
Pertanto sembrerebbe che la tesi “dualistica”, o del “doppio binario”, sia quella
che allo stato attuale raccolga i maggiori consensi, nonostante il dibattito sul punto
sia tutt’altro che sopito232.
8. La procedura e gli adempimenti del Fisco.
La procedura da seguire e gli adempimenti a carico dell'ufficio e del
concessionario della riscossione233 sono minuziosamente disciplinati dal comma 2
dell'art. 182ter.
Tali disposizioni vanno lette congiuntamente alle istruzioni impartite dalla
232
Tra i contributi più recenti a favore della tesi dell'obbligatorietà della transazione fiscale si
segnalano quelli di A. LA. MALFA, Del consolidamento dei debiti fiscali, e del carattere
vincolante del ricorso alla transazione ex art. 182ter legge fallim. per la falcidia dei crediti
privilegiati fiscali (note in margine a Tribunale Roma 16 dicembre 2009), cit., 369 e ss., G.
GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1115, ed E. MATTEI, La
transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in
Trattato delle procedure concorsuali, cit., 745 e ss.
233
All’uopo giova sottolineare che l’art. 3 del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con l. 2
dicembre 2005, n. 248, ha abrogato, con decorrenza dal 1° ottobre 2006, il sistema di affidamento
in concessione del servizio nazionale della riscossione, devolvendo le relative funzioni all’Agenzia
delle Entrate, che le esercita tramite la società “Riscossione S.p.a.”, il cui capitale sociale è
partecipato per il 51% dall’Agenzia e per il 49% dall’Inps. Inoltre, il comma 28 della medesima
disposizione precisa che, a decorrere da quella data, ogni riferimento contenuto in norme vigenti ai
concessionari del servizio di riscossione si intende riferito alla Riscossione S.p.a. ed alle società
dalla stessa partecipate, complessivamente denominate “agenti della riscossione”. Sicché, anche
nel presente lavoro i riferimenti al concessionario della riscossione devono essere intesi come
rivolti all’agente della riscossione.
113
circolare n. 40/E dell'Agenzia delle Entrate, contenente anche la minuziosa
elencazione degli elementi che la proposta dovrà contenere e dei documenti da
allegarvi (che ricalcano, essenzialmente, quelli previsti dall'art. 161, con l'aggiunta
delle dichiarazioni per le quali non è ancora pervenuto al contribuente l'esito dei
controlli automatizzati, da allegare in copia, e delle dichiarazioni integrative relative
al periodo sino alla data di presentazione della domanda). Sotto questo profilo il
documento di prassi sottolinea l'importanza che la proposta di transazione sia redatta
nel modo più analitico ed esauriente possibile, in analogia con le regole che
disciplinano la redazione di una proposta di concordato preventivo234.
In questa sede preme sottolineare essenzialmente le criticità sollevate dalle
citate disposizioni.
In primis, posto che il comma 2 prescrive che copia della domanda debba
essere presentata al concessionario ed all'ufficio competenti in relazione all'ultimo
domicilio fiscale del debitore235, “contestualmente” al suo deposito presso il
Tribunale, ci si è interrogati sul significato da attribuire all'avverbio temporale
impiegato dal legislatore, essendo irrealistico imporre al debitore di porre in essere i
medesimi adempimenti esattamente nello stesso giorno. La dottrina maggioritaria
ammette la possibilità di presentare la proposta di transazione anche in epoca
successiva al deposito della domanda ex art. 160, ma comunque entro il termine
massimo accordato per la modifica o per l'integrazione della proposta di concordato
preventivo, rappresentato dall'adunanza dei creditori. Anche l'Agenzia delle Entrate,
con la risoluzione n. 3 del 2009, ha chiarito che l'avverbio “contestualmente” non
implica necessariamente che la proposta debba essere presentata all'ufficio e al
concessionario nell'arco della medesima giornata in cui si procede al suo deposito in
234
Cfr. pp. 31 e ss: a parere dell'Agenzia, nonostante l'art. 182ter non disciplina la forma ed il
contenuto della domanda di transazione, intendendo il legislatore valorizzare al massimo
l'autonomia delle parti nella formulazione della proposta, la circostanza che l'istituto sia finalizzato
alla conclusione di un accordo per la ristrutturazione e la soddisfazione, anche parziale, del debito
tributario imporrebbe comunque una elevata minuzia e precisione nella predisposizione di tale
domanda.
235
Il “domicilio fiscale” va individuato ai sensi di quanto disposto dall'art. 58 del d.P.R. n. 600/1973,
secondo cui per le persone fisiche il domicilio fiscale è nel comune nella cui anagrafe sono iscritte,
mentre per i soggetti diversi dalle persone fisiche il domicilio è nel comune in cui si trova la sede
legale. Per i tributi amministrati dall'Agenzia delle Dogane lo stesso comma 2 attribuisce la
competenza all'ufficio che ha notificato al debitore gli atti di accertamento.
114
Tribunale, pur essendo interesse dell'istante assicurare la contestualità prevista dalla
norma: ciò perché il termine di trenta giorni accordato all'Agenzia ed al
concessionario per procedere agli adempimenti prescritti decorre proprio dalla data
di presentazione dell'istanza di transazione presso tali soggetti.
Sempre sotto il profilo temporale, un'acuta dottrina non ha mancato di
osservare che sarebbe stato più opportuno, per esigenze di certezza e stabilità
dell'intera procedura concordataria, prevedere un iter procedurale inverso rispetto a
quello delineato dall'art. 182ter, in cui la proposta di transazione, e gli adempimenti
che ne seguono, siano antecedenti e non successivi alla domanda di concordato236. La
certificazione rilasciata dall'Agenzia e/o dal concessionario, infatti, potrebbe
contenere un debito maggiore rispetto a quello originariamente quantificato dal
debitore nella sua proposta, costringendolo ad apportare al piano di concordato le
modifiche necessarie, anche al fine di rivedere la complessiva distribuzione delle
risorse disponibili fra tutti i creditori concorsuali, e ciò determinerebbe un
allungamento della durata della procedura, stante anche l'esigenza di sottoporre la
nuova proposta al vaglio del commissario giudiziale. Anticipando la transazione ed i
connessi adempimenti, invece, l'imprenditore potrebbe contare su una
quantificazione definitiva del credito tributario, ottenuta prima della formulazione
della domanda di concordato, e sulla base di essa potrebbe elaborare il piano
concordatario e ripartire le risorse a sua disposizione.
Ancora, qualcuno ha sottolineato come l'onere di allegare le dichiarazioni di
cui al comma 2 costituisca una violazione dell'art. 6, comma 4, dello Statuto dei
diritti del contribuente, nella misura in cui impone la presentazione di documenti già
in possesso dell'Amministrazione finanziaria237.
Un profilo particolarmente delicato attiene all'esatta individuazione delle
incombenze istruttorie a carico dell'ufficio, da espletarsi nel termine di trenta giorni
236
Cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi
del concorso, cit., 321. Condivide parzialmente tale assunto G. LO CASCIO, Il concordato
preventivo, Giuffrè, Milano, 2011, 847, secondo il quale, tuttavia, anche una proposizione
anticipata della proposta di transazione presenterebbe degli inconvenienti.
237
Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit., 3015.
115
prescritto dal comma 2: il problema sarà discusso approfonditamente nel prosieguo
del presente lavoro, quanto sarà esaminato nel dettaglio l'effetto di “consolidamento
del debito fiscale”.
Giova qui rilevare che per la dottrina maggioritaria detti adempimenti istruttori
configurano un vero e proprio obbligo a carico dell'Amministrazione finanziaria238;
meno chiara, invece, è la reale portata di detto obbligo. La lettera dell'art. 182ter
prevede, in primo luogo, che l'ufficio dovrà procedere alla “liquidazione dei tributi
risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità”: se il
legislatore ha inteso riferirsi indubbiamente ai controlli automatizzati previsti dagli
artt. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972 (relativi
rispettivamente alle imposte dirette ed all'imposta sul valore aggiunto), il cui esito
sarà contenuto in apposita comunicazione (o avviso) di irregolarità da notificare al
contribuente (di regola a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento),
qualcuno ha interpretato la locuzione “liquidazione” in senso atecnico,
ricomprendendovi anche i controlli formali (o documentali) previsti dall'art. 36ter del
citato d.P.R. n. 600. La diversità frale due tipologie di controllo (automatizzato e
formale) sarà illustrata meglio nel capitolo III.
Ancora, l'ufficio dovrà rilasciare al debitore una “certificazione” riepilogativa
del credito tributario (per imposta, sanzioni ed interessi) risultante da atti di
accertamento anche non definitivi, per la parte non ancora iscritta a ruolo, ovvero
degli importi iscritti in ruoli già vistati ma non ancor consegnati al concessionario.
Quanto ai crediti erariali risultanti da ruoli scaduti o sospesi, la relativa certificazione
dovrà essere predisposta e consegnata a cura del concessionario della riscossione.
Non è assolutamente chiaro, invece, se entro il medesimo lasso temporale
l'ufficio dovrà espletare anche i controlli di merito per i quali non siano ancora
scaduti i relativi termini di decadenza, essendogli del tutto inibito l'esercizio di
ulteriore attività accertativa a seguito della conclusione di una transazione fiscale, o
meglio una volta che sia intervenuta l'omologazione del concordato. Ancora, il
238
Cfr. ex multis E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1205; V. ZANICHELLI,
I concordati giudiziali, cit., 271. Dubbioso circa l'esistenza di un vero e proprio obbligo in capo
all'ufficio, avente ad oggetto l'effettuazione di controlli sostanziali in capo al contribuente, è S.
LOCONTE, La transazione fiscale, in Dir. fall., 2008, I, 197.
116
legislatore non dispone nulla in merito alla sorte di quegli elementi emersi in fase
istruttoria, già a disposizione dell'ufficio alla data di presentazione della domanda di
transazione ma non ancora trasfusi in atti aventi valenza impositiva: in particolare, si
pensi ai questionari inviati al contribuente, agli inviti al contraddittorio, ai processi
verbali di constatazione già sottoscritti e consegnati, oppure alla sorte di verifiche
fiscali già avviate ma non ancora concluse con un pvc. Anche tali questioni saranno
esaminate meglio in seguito.
Un ulteriore aspetto critico, tuttora molto dibattuto in dottrina, riguarda la
qualificazione del termine di trenta giorni accordato all'ufficio (ed al concessionario)
per condurre a termine l'attività istruttoria prescritta dal comma 2: se qualcuno
propende per la natura ordinatoria di siffatto termine239, altra corrente dottrinale
ritiene che il medesimo sia perentorio240.
Le argomentazioni addotte a supporto sia dell'una che dell'altra tesi sono
molteplici.
La valenza meramente ordinatoria risiederebbe nella circostanza che
mancherebbe un’espressa ed univoca dichiarazione da parte del legislatore di voler
attribuire al termine de quo carattere perentorio, che sarebbe all'uopo necessaria ai
sensi dell'art. 152, comma 2 c.p.c.241. Inoltre, data la complessità dell'attività
istruttoria che gli uffici sono tenuti ad espletare, il termine di trenta giorni
risulterebbe assolutamente ristretto ed insufficiente per portarla a compimento,
considerato anche che né l'Agenzia né il concessionario possono sottrarvisi242.
Ancora, parlare di perentorietà avrebbe senso solo nel caso in cui ad un termine è
239
Cfr. ex multis MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e
principi del concorso cit., 322; M FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 2007, 1449;
G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2325.
240
Cfr. ex multis L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2573; L. TOSI, La transazione
fiscale, cit., 1082; S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, cit., 3190; V. FICARI,
Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti tributari, in Rass. trib., 2009,
78.
241
Sulla necessità di una espressa qualificazione in termini di perentorietà di un termine
legislativamente imposto cfr. ex multis Cass., 6 giugno 1997, n. 5074, in Mass. giust. civ., 1997,
930.
242
Cfr. POLLIO, La transazione fiscale, cit., 1856.
117
subordinato l'esercizio di un diritto, con conseguente estinzione del medesimo una
volta che quel lasso temporale sia decorso infruttuosamente: poiché invece l'art.
182ter non attribuisce all'ufficio alcun diritto, configurando viceversa un potere-
dovere, la scadenza dei trenta giorni senza che sia stata rilasciata la certificazione
prescritta comporterà esclusivamente che l'Amministrazione voterà in adunanza
esclusivamente sulla base del quantum individuato unilateralmente dal debitore nella
proposta di transazione, anche se non è escluso del tutto l'assoggettamento a sanzioni
disciplinari243.
A supporto della tesi della perentorietà del termine de quo, all'opposto, si è
detto che la norma connota gli adempimenti a carico dell'ufficio e del concessionario
in termini di doverosità. E la mancanza di una sanzione applicabile nell'ipotesi di
sforamento di quel termine, che sarebbe stato comunque opportuno prevedere in
modo espresso, è stata colmata in via interpretativa, leggendo l'art. 182ter in
combinazione con le altre norme che scandiscono, in modo piuttosto rigoroso, la
tempistica delle varie fasi in cui si articola la procedura di concordato preventivo:
posto che l'inosservanza di quel termine intralcerebbe i compiti del commissario
giudiziale, creerebbe incertezze fra i creditori, impedendo loro un'adeguata
ponderazione della proposta, e renderebbe difficoltoso il calcolo delle maggioranze,
un’autorevole dottrina ha ravvisato come plausibile sanzione a carico
dell'Amministrazione la privazione del diritto di voto in sede di adunanza244. Ancora,
soccorrono a favore della perentorietà del termine le esigenze di celerità tipiche del
concordato preventivo, e la connessa necessità di cristallizzare il debito tributario nel
rispetto dei tempi propri di tale procedura245. Non è mancato chi, arditamente, ha
ritenuto applicabile alla fattispecie de qua l'obbligo di concludere il procedimento
entro il termine stabilito per legge ai sensi dell'art. 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241, la
cui applicabilità non sarebbe affatto preclusa dal successivo art. 13, comma 2246.
243
Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2325.
244
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2573 e ss. Il pregiudizio che lo
sforamento di quel termine comporterebbe è messo in luce anche da E. FICARI, Riflessioni su
“transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti tributari, cit., 78.
245
Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 284 e 285.
246
Cfr. L. DEL FEDERICO, La transazione fiscale nel sistema della legga fallimentare, in
118
L'Amministrazione finanziaria, da par suo, afferma la non perentorietà del
termine in questione, anche se la circolare n. 40/E invita gli uffici a richiederne
motivatamente una proroga solo in casi del tutto eccezionali, dovendo prevalere le
esigenze di celerità della procedura.
Sulla questione si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, sia pure in un
obiter dictum: nella citata sentenza n. 6901 del 22 marzo 2010, la S.C. ha affermato
che “in procedimenti connotati da una certa complessità, nell'alternativa tra il
rigoroso rispetto di norme sollecitatorie e quello della garanzia di un voto
informato, la prudenza può imporre la prevalenza del secondo anche a costo di un
modesto sforamento che comunque tenga conto della necessità di rispettare il
termine complessivo di cui all'art. 181, ferma restando l'insussistenza di un diritto”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, dunque, esigenze di certezza in ordine alla
quantificazione del debito tributario, unitamente alla complessità che connota gli
adempimenti istruttori posti a carico dell'Amministrazione finanziaria, porterebbero
ad escludere la rigida perentorietà del termine di cui all'art. 182ter, purché lo
sforamento dei trenta giorni sia comunque contenuto (“modesto”) e la procedura di
concordato si concluda entro sei mesi dalla presentazione del ricorso, fatta salva la
possibilità di ottenere una proroga di ulteriori 60 giorni (proroga, questa, non
costituente un diritto delle parti, ma una facoltà rimessa all'apprezzamento
discrezionale del Tribunale).
Si discute, ancora, sulla possibilità si svolgere trattative dirette alla definizione
del contenuto della proposta di transazione, tramite la rimodulazione di percentuali,
tempi di pagamento e garanzie da rilasciare.
La dottrina maggioritaria tende ad ammettere tale possibilità, che del resto è
conforme alla prassi invalsa negli uffici dell’Amministrazione finanziaria, fermo
restando il rispetto del termine massimo accordato dal comma 2 dell'art. 175 per la
modifica della proposta di concordato, ossia l'inizio delle operazioni di voto.
Qualcuno ha anche affermato che la trattativa, soprattutto nell'ipotesi in cui le risorse
da destinare alla soddisfazione degli obblighi concordatari provengano da fonti
www.unich.it, 6/2010.
119
esterne all'impresa, potrebbe vertere non già sull'an o sul quantum dell'obbligazione
tributaria da soddisfare in misura percentuale, bensì sul quid pluris che l'Erario
potrebbe ottenere dal terzo, maggiore rispetto a quanto possa ritrarre dalla
liquidazione del patrimonio imprenditoriale247.
Il comma 2 dell'art. 182ter prevede, inoltre, che una copia degli avvisi di
irregolarità notificati all'istante e delle certificazioni rilasciate dall'ufficio e dal
concessionario deve essere trasmessa anche al Commissario giudiziale per gli
adempimenti di cui all'art. 171, comma 1 e 172 legge fall. E’ sulla scorta di quella
documentazione, che va ad aggiungersi a quella già allegata alla domanda di
concordato preventivo, che il Commissario dovrà procedere alla verifica dell'elenco
nominativo dei creditori e dei debitori, apportandovi le necessarie modifiche nel caso
in cui risultino divergenze fra i dati trasmessi dal Fisco e quelli indicati dal debitore;
inoltre certificazioni ed avvisi di irregolarità lo coadiuveranno nella predisposizione
della relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore,
sulla proposta di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori.
Nel silenzio della norma la dottrina ritiene che la consegna di copia delle
certificazioni al commissario giudiziale sia incombenza a carico del soggetto
direttamente interessato, ossia l'imprenditore concordatario248. Sul punto la circolare
n. 40/E contiene un riferimento ai soli adempimenti a carico del concessionario,
precisando che è onere di quest'ultimo trasmettere al commissario copia della
certificazione dei carichi a ruolo.
Va sottolineata, altresì, l'importanza che detti adempimenti rivestono
nell'ambito della complessiva procedura di concordato preventivo, soprattutto con
riferimento all'art. 172: sarà essenzialmente sulla scorta della relazione redatta dal
commissario giudiziale, predisposta anche considerando l'effettivo debito d'imposta
scaturente dalle dichiarazioni, dagli avvisi e dalle certificazioni di cui all'art. 182ter,
che il ceto creditorio compierà le proprie valutazioni di merito, saggiando la
247
Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1205, nt. 58.
248
Cfr. M. QUATRARO, La transazione fiscale, cit., 4, e P. PANNELLA, L'incognita transazione
fiscale, in Fall., 2009, 651.
120
convenienza o meno della proposta di concordato prima dell'espressione del voto in
adunanza.
9. I criteri di valutazione della proposta di transazione, la conclusione
del sub-procedimento ex art. 182ter e la questione dell’impugnabilità del
diniego.
L'art. 182ter non precisa quali debbano essere i criteri sulla scorta dei quali
l'ufficio è chiamato a valutare le proposte di transazione fiscale. Tale silenzio
normativo è stato criticato da una parte della dottrina, secondo la quale l'ampia
discrezionalità che in tal modo verrebbe accordata all'Amministrazione finanziaria
finirebbe per accentuare i già numerosi profili di incostituzionalità della disposizione
di cui all’art. 182ter, acuendo soprattutto il vulnus inferto al principio di
indisponibilità dell'obbligazione tributaria249.
Le prime interpretazioni dottrinali, peraltro, una volta ricondotto
concettualmente l'istituto alla pregressa transazione esattoriale (in quanto species del
medesimo genus), hanno ritenuto applicabili anche alla nuova fattispecie i criteri di
“maggiore economicità e proficuità rispetto alle attività di riscossione coattiva” di
cui all'abrogato art. 3, comma 3 d.l. n. 138/2002250: l'Amministrazione finanziaria,
pertanto, sarebbe tenuta a valutare la convenienza della proposta transattiva in
termini di “più proficuo introito rispetto a quello ottenibile dallo sviluppo delle
procedure esecutive”, per riecheggiare le parole adottate dalla circolare n. 8/E
dell’Agenzia delle Entrate. La stessa corrente dottrinale, tuttavia, non ha mancato di
rilavare che l'inserimento del nuovo istituto nell'ambito della procedura di
249
Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2323; quanto all'indisponibilità del credito erariale v. L.
TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della transazione
fiscale, cit., 25 e ss.. Anche M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1582, teme che l'assoluta
discrezionalità di cui gode il Direttore dell'ufficio potrebbe generare atteggiamenti
aprioristicamente ostili contro l’istituto di cui all’art. 182ter.
250
Cfr. M. POLLIO – P.P. PAPALEO, La fiscalità nelle nuove procedure concorsuali, Ipsoa, Milano,
2007, 117, L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione fiscale, in Corr. trib., n.
45/2007, 3661, e TOSI, La transazione fiscale, cit., 1075, secondo il quale, comunque, sotto il
profilo dei criteri di valutazione della proposta di transazione il legislatore avrebbe fatto un passo
indietro rispetto alla previgente disciplina, che almeno prevedeva quali dovessero essere i
parametri cui ancorare tale valutazione; ad avviso di tale A., inoltre, l'assenza di linee guida
espressamente dettate dal legislatore provocherà rallentamenti nelle decisioni degli uffici
periferici.
121
concordato preventivo imporrà che la valutazione di maggiore economicità e
proficuità dovrà essere condotta in un'ottica più ampia, tenendo conto della ratio del
concordato preventivo e, più in generale, delle finalità delle nuove soluzioni
negoziali della crisi di impresa: ne deriva che l'esigenza di favorire la composizione
della crisi, anche con il sacrificio dei creditori dissenzienti (imposto tramite il
giudizio di cram down), dovrebbe implicare una maggiore apertura ed elasticità da
parte del Fisco, chiamato ad andare oltre il mero interesse erariale per considerare gli
effetti che il perfezionamento dell'accordo transattivo sortirebbe sulla concreta
possibilità di salvataggio dell'impresa, tutelando gli altri valori ed interessi in essa
coinvolti, quali essenzialmente la conservazione dei livelli occupazionali e dei
complessi produttivi ancora vitali251.
Le citate considerazioni sono state successivamente recepite dalla circolare n.
40/E dell'Agenzia delle Entrate, la quale dispone appunto che l'ufficio dovrà saggiare
il merito della proposta di transazione valutando in primis “l'effettiva possibilità di
una migliore soddisfazione del credito erariale in sede di accordo transattivo,
rispetto all'ipotesi di avvio di una procedura concorsuale di fallimento, tenendo
conto dei principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa nonché
della tutela degli interessi erariali”: vi è un chiaro richiamo, pertanto, alla
“maggiore economicità e proficuità” di cui alla disciplina della pregressa transazione
sui ruoli. Il menzionato documento di prassi va oltre, invitando gli uffici a tener
conto, altresì, degli obiettivi sottesi alla riforma organica delle procedure concorsuali
in generale, ed alla transazione fiscale in particolare: la ratio dell'intervento
legislativo è quella di “evitare, per quanto possibile, il dissesto irreversibile
dell'imprenditore commerciale, per promuovere le finalità ispirate ad una maggiore
sensibilità verso la conservazione delle componenti positive dell'impresa (beni
produttivi e livelli occupazionali)”, allineandosi agli altri Stati membri dell'Unione
europea e semplificando le procedure di regolazione dell'insolvenza attualmente
esistenti, con una nuova regolamentazione più agile e snella che garantisca la
251
Tuttavia non manca chi esclude che l'Amministrazione finanziaria possa attribuire rilevanza, nella
ponderazione da compiere, ad interessi ad essa estranei, quali il salvataggio dell'impresa in crisi e
la conservazione dei livelli occupazionali: cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 840 e
ss.: secondo l'A., l'Amministrazione dovrebbe tener conto primariamente dei profili di efficienza
ed efficacia dell'azione di riscossione coattiva.
122
conservazione dell'impresa e la tutela dei creditori. L'ufficio sarà chiamato dunque a
considerare anche gli altri interessi coinvolti nella gestione della crisi, quali
esemplificativamente “la difesa dell'occupazione, la continuità dell'attività
produttiva, la complessiva esposizione debitoria dell'impresa, la sua generale
situazione finanziaria e patrimoniale (ad esempio la tipologia dell'attività svolta, le
diverse componenti positive di bilancio, la consistenza immobiliare e la presenza di
eventuali garanzie)”.
Viene dunque confermato l'assunto secondo cui la valutazione
dell'Amministrazione finanziaria andrà condotta sulla scorta dei criteri di maggiore
proficuità della transazione (in termini di tempi di pagamento e percentuale di
incasso dei propri crediti) rispetto ad un'esecuzione concorsuale coattiva, da un lato,
e di concreta possibilità di salvataggio dell'impresa in crisi, con connessa
salvaguardia dei molteplici interessi che gravitano attorno alla medesima, dall'altro.
La circolare, pertanto, sembrerebbe aderire alla tesi, ampiamente consolidata in
dottrina252, secondo la quale quella demandata all'ufficio è una vera e propria
valutazione discrezionale, implicante il bilanciamento dell'interesse primario del
Fisco, da ravvisarsi nella soddisfazione del credito tributario nella misura più ampia
possibile, con gli altri interessi suscettibili di essere incisi dalla crisi imprenditoriale
(tutela degli altri creditori, salvaguardia dei livelli occupazionali, conservazione del
complesso produttivo); in questo modo verrebbe rispettata la funzione dell'istituto,
che sarebbe appunto da ravvisare nel sacrificio parziale dell'interesse erariale, di cui
si ammette la limitata disponibilità, quando ciò sia imposto dall'esigenza di
salvaguardare gli altri valori costituzionalmente tutelati nell'ambito di un tentativo di
soluzione negoziale della crisi d’impresa.
252
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2575 e 2576, nonché nt. 37: secondo
questo A., l'Amministrazione è tenuta, anche in tale evenienza, ad esercitare la sua “funzione”,
attenendosi pertanto alle regole dell'agire funzionalizzato che impongono di perseguire l'interesse
pubblico, ponderandolo con le situazioni soggettive del privato. Troverebbe pertanto applicazione
il consolidato orientamento della dottrina amministrativistica, secondo cui l'Amministrazione deve
comunque garantire la finalizzazione dei propri atti alla cura dell'interesse pubblico
indipendentemente dallo strumento in concreto adottato (unilaterale, consensuale o negoziale): cfr.
F. G. SCOCA, voce “Attività amministrativa”, in Enc. Dir. Aggiornamento, Giuffrè, Milano,
2002, VI, 95. Sulla funzionalizzazione dell'operato dell'Amministrazione finanziaria cfr. anche
M.T. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma
tributaria, cit., 93 e ss.
123
Una volta appurato che la valutazione formulata dall'Erario in sede di
transazione fiscale è espressione di discrezionalità amministrativa, si è posto in
dottrina il problema dell'impugnabilità o meno dell'eventuale diniego
dell'Amministrazione finanziaria. Coloro che abbracciano la soluzione affermativa
discutono ulteriormente in ordine all'individuazione del giudice competente.
Contro l'impugnabilità del diniego manifestato dall’ufficio su una proposta di
transazione fiscale una parte della dottrina ha osservato che si tratterebbe di un atto
di discrezionalità che esula dalla materia tributaria253. Ancora, è stato osservato che
sarebbe problematico operare un controllo giudiziale sulle valutazioni di
convenienza del soggetto pubblico, ed ancora più arduo surrogare alle medesime la
valutazione dell'autorità giudiziaria, che non potrebbe mai estendersi ai profili di
merito254.
L'Agenzia delle Entrate sino ad ora non ha assunto alcuna posizione ufficiale
sulla questione, diversamente da quanto era avvenuto con la vecchia transazione
esattoriale, relativamente alla quale la circolare n. 8/E del 2005, recependo il parere
espresso dal Consiglio di Stato, aveva qualificato la posizione giuridica del debitore
in termini di interesse legittimo, escludendo però la reclamabilità del provvedimento
di diniego per questioni attinenti a valutazioni di convenienza.
Peraltro, sempre con riferimento al vecchio istituto, il T.A.R. Lombardia si era
pronunciato a favore della competenza delle Commissioni tributarie255, mentre la
dottrina era orientata ad escludere la giurisdizione delle medesime, dato che la
vicenda era destinata a svolgersi in quell'ambito del potere impositivo, successivo
alla notifica della cartella esattoriale, sottratto espressamente al giudice tributario ai
sensi dell'art. 2 del d. lgs. n. 546/1992256. La medesima dottrina, pertanto, era
253
Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1090.
254
Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 612 e 613, il quale tuttavia ritiene che l'unica
forma di tutela azionabile sembrerebbe essere il ricorso all'a.g.a. per l'annullamento del diniego,
previa sospensione dell'atto impugnato (prima della deliberazione del concordato preventivo), con
eventuale risarcimento del danno.
255
Cfr. TAR Lombardia, 7 febbraio 2007, n. 191, in Boll. trib., 2007, 733.
256
M. BASILAVECCHIA, La transazione sui ruoli, cit., 1219.
124
propensa ad attribuire la cognizione del diniego al giudice amministrativo, cui del
resto erano già state devolute le impugnazioni dei dinieghi di rateizzazione dei tributi
iscritti a ruolo, nonché, più in generale, quelle degli atti discrezionali che non
rilevavano ai fini della determinazione dell'an o del quantum del tributo257.
Anche con riferimento alla “nuova” transazione fiscale la dottrina
maggioritaria si è schierata a favore dell'impugnabilità del diniego dell'Erario, che
sarebbe censurabile secondo il regime proprio degli atti discrezionali, sia nel caso in
cui l'Amministrazione abbia manifestato il proprio dissenso in adunanza (tramite
voto negativo), sia nell'ipotesi di silenzio-rifiuto258; la medesima dottrina, tuttavia,
non manca di rilevare che sarebbe difficile ottenere una pronuncia giurisdizionale in
tempi utili, considerata la serrata tempistica entro cui la procedura concordataria
deve concludersi.
Quanto al giudice competente, la dottrina maggioritaria lo individua nelle
Commissioni tributarie, alla luce del progressivo ampliamento della loro
giurisdizione, sia in via legislativa (a decorrere dalla l. n. 448/2001, cui hanno fatto
seguito la l. n. 248/2005 ed il d.l. n. 223/2006), sia ad opera della giurisprudenza di
legittimità259, di pari passo con la tendenza al superamento del principio di tipicità
degli atti impugnabili ex art. 19 del d. lgs. n. 546/1992260: alcuni Autori, infatti, non
hanno mancato di rilevare, sia pure criticamente, che l'avvenuta rimozione dei limiti
“esterni” alla giurisdizione speciale avrebbe comportato l'abbattimento anche di
quelli “interni”, tanto da porre in crisi la tradizionale concezione del processo
tributario come giudizio di impugnazione degli atti tassativamente individuati dal
legislatore, facendone viceversa quasi un giudizio di accertamento, in positivo o in
257
Cfr. M. BASILAVECCHIA, Il riparto di giurisdizione fra commissioni tributarie e giudice
amministrativo ordinario, in Boll. trib., 1990, 805; L. DEL FEDERICO, La giurisdizione delle
Commissioni Tributarie, in AA.VV., Il processo tributario, Utet, Torino, 1998, 32.
258
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2576 e G. VERNA, Gli accordi di
ristrutturazione e la transazione fiscale, in S. AMBROSINI, Le nuove procedure concorsuali, cit.,
593.
259
La S.C. ha ribadito in diverse occasioni che la giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie
deve essere interpretata estensivamente: cfr. SS.UU., ord., 10 febbraio 2006, n. 2888, in Rass.
trib., 2006, 587, nonché SS.UU., ord., 14 giugno 2007, n. 13902, in GT, 2007, 929.
260
Cfr. ad es. Cass., 8 ottobre 2007, n. 21045, in GT, 2008, 507.
125
negativo, delle pretese fatte valere dall'Amministrazione finanziaria261. Un appiglio
testuale per questa tesi sembrerebbe ravvisabile nella lettera h) del medesimo art. 19,
che devolve esplicitamente al giudice tributario la giurisdizione sugli atti di rigetto di
domande di definizione agevolata di rapporti tributari262. Altra corrente dottrinale,
all'opposto, propende per l’attribuzione della relativa giurisdizione al giudice
amministrativo, posto che il diniego non configurerebbe un vero e proprio
provvedimento tributario riconducibile agli atti impositivi in senso stretto263, ma
costituirebbe un atto discrezionale contenente una valutazione di interessi
assimilabile a quella sottesa ad un provvedimento di dilazione di pagamento di
tributi iscritti a ruolo, impugnabile per eccesso di potere dinanzi all'a.g.a.
Peraltro è ovvia la constatazione che il problema dell'impugnabilità del diniego
(e quello connesso dell'individuazione del giudice competente) avrebbe ragione di
porsi solo laddove si attribuisca al dissenso dell'Erario valenza ostativa
all'omologazione dell'intera domanda di concordato preventivo, ossia nell'ipotesi in
cui esso abbia impedito il raggiungimento delle maggioranze di cui all’art. 177.
Quanto al primo profilo, si vedrà meglio infra che la dottrina e la giurisprudenza
consolidate disconoscano ogni potere di veto in capo all'Amministrazione
finanziaria, costretta a subire comunque la falcidia delle proprie pretese nel caso di
omologazione di una proposta che abbia riscosso il voto favorevole della
maggioranza (calcolata per numero e per classi) del ceto creditorio, alla luce del
principio generale dell'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori
concorsuali di cui all'art. 184: ne deriva che una volta ottenuta l’omologazione del
261
Per una critica nei confronti della trasformazione della natura del processo tributario (da giudizio di
impugnazione a giudizio di accertamento), ad opera del recente orientamento della giurisprudenza
di legittimità, con conseguente anticipazione della tutela giurisdizionale ad una fase in cui la
pretesa tributaria non si è ancora tradotta in veri e propri atti autoritativi, cfr. G. TABET, Verso la
fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?, in GT, 2008, 511 e ss.; ID, Una giurisdizione
speciale alla ricerca della propria identità, in Riv. dir. trib., 2009, I, 21 e ss.
262
Cfr. ex multis L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2576 e 2577; ID., La
transazione fiscale nel sistema della legga fallimentare, cit.; G. MARINI, Transazione fiscale, cit.,
2329. Anche G. VERNA, Gli accordi di ristrutturazione e la transazione fiscale, cit., 593,
propende per la giurisdizione delle Commissioni tributarie, facendo leva sulla specialità del
giudice tributario.
263
Cfr. M. POLLIO – P.P. PAPALEO, La fiscalità nelle nuove procedure concorsuali, cit., 119,
nonché L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 689.
126
concordato mancherebbe, in capo al debitore, un interesse concreto ed attuale ad
impugnare il diniego dell'Erario. A meno che l’interesse ad agire non possa essere
ravvisato nella cristallizzazione del debito tributario, inteso nel duplice significato di
congelamento dei residui poteri accertativi ed estinzione del contenzioso tributario in
corso: essendo questi i due effetti “tipici” della transazione fiscale, non si
produrrebbero in caso di dissenso del Fisco. Senonché, sembra eccessivo ritenere che
tale interesse, seppur eventualmente possa essere ravvisato, assurga al rango di
situazione giuridica sostanziale azionabile in giudizio264.
Diversamente, nel caso in cui il voto negativo dell'ufficio e/o del
concessionario risulti essere stato determinante, impedendo il raggiungimento delle
maggioranze richieste ai fini dell'approvazione della proposta di concordato,
all'impugnabilità del diniego si potrebbe opporre il principio maggioritario che
domina la procedura di concordato preventivo: esso imporrebbe la cessazione
dell’iter concordatario, senza altra alterativa per l'imprenditore che proporre una
nuova domanda, diversa dalla precedente, che accolga le osservazioni
dell'Amministrazione in modo da catalizzarne il consenso265. In questa seconda
evenienza, dunque, si potrebbe ritenere che il debitore sia privo di legittimazione
attiva.
Senza considerare che, sia pure ammettendo astrattamente una legittimazione
all'impugnazione del diniego, gli ordinari tempi processuali risulterebbero
incompatibili con la snellezza tipica della procedura concordataria, sicché in
concreto l'eventuale accoglimento del ricorso non salverebbe comunque l'esito
negativo del concordato, in quanto quasi sicuramente interverrebbe dopo la chiusura
dello stesso266.
264
Esclude l’esistenza di un interesse concreto alla contestazione del diniego G. GAFFURI, Aspetti
problematici della transazione fiscale, cit., 1124 e 1125. Ancora, sulla mancanza di un interesse
legittimo del debitore, cioè di una posizione giuridicamente rilevante necessaria per l’accesso alla
giurisdizione cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 848, secondo cui il debitore
vanterebbe un mero interesse di fatto, inidoneo a fondare l’impugnabilità del diniego.
265
In tal senso cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione
fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, 836 e 837, secondo cui l’espressione del voto contrario non è
rivolta al debitore, ma si inserisce nella procedura concorsuale, quale elemento partecipativo del
volere dei creditori in ordine all’approvazione della proposta.
266
In tal senso cfr. anche P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare,
127
Ed in ogni caso, al di là di queste considerazioni, già la semplice constatazione
che il sub-procedimento di transazione sia destinato a concludersi con il voto
espresso in adunanza, e non con un vero e proprio provvedimento amministrativo
recettizio, osterebbe all'esperimento di un'autonoma impugnazione giudiziale
avverso il diniego: quel voto, al pari di quello formulato da qualsiasi altro creditore,
sottintende valutazioni di merito insindacabili, posto che in una procedura di
concordato preventivo il giudizio sulla convenienza o bontà della proposta è rimesso
all’esclusivo apprezzamento dei creditori, residuando in capo all'autorità giudiziaria
solo il potere di vagliare la regolarità formale della procedura (salvo, ovviamente, il
giudizio di cram down). Conseguentemente, si potrebbe ritenere che un limitato
spazio per la sindacabilità del diniego vi sia solo laddove siano riscontrabili vizi
procedurali, quali ad esempio lo scostamento del voto contrario formulato in
adunanza rispetto al parere favorevole della Direzione Regionale, oppure rispetto
all'“atto del direttore dell'ufficio” cui il funzionario delegato al voto ha l'obbligo di
attenersi: in tali ipotesi il giudizio dovrebbe essere devoluto all’autorità cui compete
la supervisione della procedura di concordato preventivo, dunque tanto al giudice
delegato quanto al Tribunale.
Qualcuno, inoltre, ha ammesso che il debitore sia legittimato ad esperire
un'azione di responsabilità ex art. 2043 c.c. contro l'Amministrazione finanziaria, nel
caso in cui al rifiuto illegittimo dell'ufficio, e al conseguente rigetto della proposta di
concordato, sia seguita l'apertura di una procedura di fallimento, con i pesanti risvolti
economici e personali che ne derivano267. Trattasi, però, di un'opinione contestata da
altra dottrina, in quanto difficilmente conciliabile con la discrezionalità di cui
l'ufficio gode nel valutare la proposta268.
Inoltre, prima che il d.l. n. 78/2010 modificasse l'art. 1, comma 1 della l. 14
gennaio 1994, n. 20, limitando alla sola ipotesi di dolo la responsabilità contabile dei
funzionari delle Agenzie fiscali per le valutazioni di fatto e di diritto effettuate ai
Giuffrè, Milano, 2008, 903.
267
Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1206; V. FICARI, Transazione
tributaria a doppia giurisdizione, in Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2008.
268
Cfr. POLLIO, La transazione fiscale, cit., 1860, nt. 75.
128
sensi dell'art. 182ter, una parte della dottrina era propensa ad ammettere anche la
possibilità, per l'Amministrazione di appartenenza, di chiamare in responsabilità i
propri funzionari per le negligenze commesse nell'istruttoria della pratica e per il
voto contrario ad una proposta di transazione, qualora fosse ab origine evidente la
maggiore convenienza della stessa rispetto alla liquidazione fallimentare269.
La valutazione andrà condotta dall'ufficio, o dal concessionario, sulla scorta del
parere conforme della Direzione Regionale.
La formulazione letterale dell'art. 182ter induce a ritenere che tale parere abbia
carattere vincolante: sul punto la dottrina ha sottolineato il ruolo necessario espletato
dalla D. R. E., il cui assenso costituisce condizione di perfezione ed efficacia
dell'accordo270. In particolare, essa non si limiterebbe ad accettare o rifiutare in modo
“secco” la proposta transattiva, potendo andare anche oltre, sino ad indicare
all'ufficio periferico la necessarie modifiche ed integrazioni da sottoporre al debitore,
ovvero gli ulteriori chiarimenti da richiedere al fine di appurare la fattibilità del piano
di risanamento. Si ritiene che l'ufficio, a sua volta, sia obbligato a conformarsi al
“rifiuto costruttivo” della Direzione Regionale, al fine di ottenere dal debitore una
seconda bozza di transazione conforme alle indicazioni dell’organo sovraordinato, il
cui assenso sulla nuova proposta dovrebbe allora considerarsi quasi scontato.
Potrebbe astrattamente verificarsi l'ipotesi in cui il voto espresso in adunanza
(dall'ufficio o dal concessionario) sia difforme rispetto al parere formulato dalla
Direzione Regionale: in tale evenienza si dovrebbe ritenere che l'autorità giudiziaria
debba rilevare questo scostamento e dichiarare la nullità del voto271. Come accennato
in precedenza, il sindacato sulla validità formale della dichiarazione di voto resa
269
Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1206, nt. 63.
270
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel
concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. BUONOCORE - A.
BASSI, Cedam, Padova, 2010, I, 617 e 618. Secondo A. LA MALFA, La transazione dei crediti
fiscali, cit., 1432, alla Direzione Regionale spetterebbe il reale potere decisorio, con riferimento
sia ai tributi iscritti a ruolo che a quelli non iscritti.
271
Quanto agli effetti di una eventuale divergenza del voto espresso in adunanza rispetto al parere reso
dalla Direzione Regionale cfr. P. PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 661, secondo
cui, poiché vi è una “dipendenza diretta” del voto dal parere, nel caso di difformità la proposta non
può essere accolta. Per cui, sostiene l'A., il voto avrebbe lo stesso contenuto del parere.
129
dall'Erario potrebbe essere condotto sia dal giudice delegato, in sede di accertamento
dell'avvenuto raggiungimento delle maggioranze necessarie ai fini dell'approvazione
della proposta, da condursi ai sensi dell'art. 179272, sia dal Tribunale, all'atto
dell'omologazione del concordato, alla luce del potere di sindacare “la regolarità
della procedura e l'esito della votazione” di cui al comma 3 dell'art. 180, che
comprenderebbe anche la verifica in ordine alla validità ed efficacia dei voti
espressi273.
Va dato atto, tuttavia, che una recente pronuncia di merito ha considerato
valida ed irrevocabile l'adesione da parte del rappresentante dell'Agenzia delle
Entrate alla proposta di concordato con transazione fiscale anche in assenza del
previo parere della competente Direzione Regionale, equiparabile all'ipotesi di parere
contrario274.
La valutazione dell'Amministrazione si estrinseca, appunto, tramite il voto,
favorevole o contrario, espresso in sede di adunanza dei creditori.
Quanto all'individuazione del soggetto legittimato all'espressione del voto,
occorre distinguere a seconda che il tributo oggetto della proposta di transazione sia
iscritto o meno a ruolo. Per i tributi non iscritti, ovvero iscritti in ruoli non ancora
consegnati al concessionario alla data di presentazione della domanda, il comma 3
prevede che l'accettazione o il diniego sono approvati con atto del direttore
dell'ufficio dell’Agenzia, previo conforme parere della competente Direzione
Regionale (come visto poc'anzi), e sono espressi tramite voto favorevole o contrario;
272
Peraltro una parte della dottrina esclude ogni competenza del giudice delegato in materia di
accertamento dell'avvenuta approvazione del concordato, ritenendo che le modifiche apportate
dalla riforma del 2005 avrebbero inteso rimettere la verifica delle operazioni di voto
esclusivamente al Tribunale: cfr. G. DE CECCO, Commento sub art. 179, in La legge fallimentare
dopo la riforma, cit., III, 2212 e 2213.
273
Cfr. M. VITIELLO, L'omologazione del concordato, in S. AMBROSINI - P. G. DEMARCHI - M.
VITIELLO, Il concordato preventivo, cit., 172 e 190, nonché E. STASI, Profili istituzionali della
transazione fiscale, cit., 1206 e 1207, secondo cui l'invalidità dell'atto di accettazione della
transazione dovrebbe essere considerata anche dal commissario giudiziale in sede di redazione del
parere ex art. 180, comma 2, dal momento che essa, comportando il mancato consolidamento
dell'esposizione debitoria verso il Fisco e la conservazione dei normali poteri accertativi, potrebbe
pregiudicare la fattibilità del concordato.
274
Cfr. Trib. Tivoli, 15 luglio 2009, decr., in Fall., 2009, 1481.
130
quanto invece ai tributi iscritti in ruoli già consegnati al concessionario della
riscossione, il comma 4 attribuisce a quest'ultimo la legittimazione al voto, da
esercitarsi però secondo le indicazioni del direttore del competente ufficio
dell'Agenzia, e sempre previo parere conforme della Direzione Regionale.
Le disposizioni appena citate sono foriere di non poche problematiche
interpretative, soprattutto se si considera che il voto rappresenta il momento in cui il
sub-procedimento di transazione fiscale si congiunge alla procedura principale di
concordato preventivo. La dottrina, del resto, non ha mancato di porre in luce questa
ideale “saldatura”, affermando che il voto dell'Amministrazione finanziaria assume
una duplice valenza, riguardando sia la proposta di transazione che la domanda di
concordato in cui la prima è inserita275.
In primis, controversa è l'obbligatorietà dell'espressione del voto, positivo o
negativo, in sede di adunanza: per la ravvisabilità di un obbligo di tal fatta a carico
dell'Erario, nella duplice veste di ufficio dell’Agenzia ed agente della riscossione, si
è schierata parte della dottrina276, laddove altri autori ritengono che non vi sia alcun
obbligo in tal senso, potendo l'Amministrazione trincerarsi dietro il silenzio-rifiuto,
da valutarsi in termini di provvedimento di diniego277. Qualcuno, ancora, ritiene che
l'obbligo del voto sussiste solo laddove sia stata presentata l’istanza di transazione
fiscale278.
Inoltre, la circostanza che la valutazione dell'Erario, al pari di quella di ogni
altro creditore, è destinata ad estrinsecarsi tramite il voto induce a ritenere
pienamente applicabili le disposizioni che disciplinano la fase della votazione
concordataria, di cui agli artt. 174 e ss: in tal senso depone anche la lettera del
comma 3, il quale stabilisce che il voto (favorevole o contrario) dell'ufficio può
essere espresso sia sede di adunanza dei creditori sia nei modi previsti dal primo
275
Cfr. S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 200.
276
Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 738. Dello stesso ordine di idee è anche la circolare n.
40/E, che ingiunge agli uffici, nell'ipotesi di diniego, di formulare le opportune contestazioni in
sede di adunanza.
277
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2576.
278
Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 2293.
131
comma dell'art. 178279.
Assodato ciò, soccorrono alcune precisazioni.
La facoltà, che il comma 2 dell'art. 174 accorda a ciascun creditore, di farsi
rappresentare da un mandatario speciale, con procura da rilasciarsi anche per iscritto
senza particolari formalità, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali andrebbe
intesa nel senso che il direttore dell'ufficio potrà delegare al voto un proprio
funzionario, ed è questa, del resto, la prassi largamente in uso.
Ancora, ai sensi di quanto previsto dal comma 3 dell'art.175, il funzionario
delegato potrà esporre in sede di adunanza le ragioni per le quali non ritiene
ammissibile (ad esempio, a causa della violazione di una delle norme procedurali di
cui all'art. 182ter) o accettabile (sotto il profilo del merito) la proposta di concordato
e/o transazione, con possibilità di sollevare contestazioni sui crediti concorrenti: sul
punto soccorrono anche le precisazioni contenute nella circolare n. 40/E, in cui si
invitano gli uffici a sollevare le proprie contestazioni già in sede di adunanza,
dunque dinanzi al giudice delegato, senza attendere necessariamente la fase
dell'opposizione all'omologazione esperibile davanti al Tribunale.
Queste osservazioni consentirebbero anche di dare una plausibile lettura alla
norma di cui al comma 3, che parla di “atto del direttore dell'ufficio” con cui
vengono approvati l’adesione o il diniego alla proposta di concordato: se la
valutazione dell'Amministrazione è destinata ad estrinsecarsi in un voto, da
collocarsi sullo stesso piano di quello degli altri creditori, l'atto de quo dovrebbe
essere inteso come mero provvedimento non recettizio, e quindi non tale, di per sé,
da concludere il sub-procedimento di cui all'art. 182ter, che verrebbe invece a
perfezionarsi con la formulazione del voto dell’Agenzia in sede di adunanza, e la
successiva omologazione dell’intero piano concordatario ad opera del Tribunale. Si
tratterebbe, pertanto, di un provvedimento destinato ad avere una valenza meramente
interna all’ufficio, nel senso che esso conterrà le istruzioni in base alle quali il
funzionario delegato voterà in adunanza280.
279
Sulla possibilità per l'Amministrazione di esprimere il proprio voto anche nei venti giorni
successivi alla data fissata per l'adunanza dei creditori cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e
concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, cit., 323.
280
Ma secondo parte della dottrina si tratta di un atto ad hoc, sottoscritto anche dal contribuente al
132
Chiarito questo, potrebbe verificarsi l'ipotesi in cui il funzionario voti in senso
difforme rispetto al contenuto di quell'atto: in tale evenienza, come accennato in
precedenza a proposito della questione dell'impugnabilità del diniego, si potrebbe
ipotizzare un duplice sindacato giurisdizionale, del giudice delegato prima e del
Tribunale poi, in ordine alla validità formale della dichiarazione di voto proveniente
dall'Amministrazione finanziaria, al pari di quanto avverrebbe nel caso di un
eventuale scostamento del voto dal parere vincolante della Direzione Regionale.
Particolarmente problematica sembrerebbe l'applicazione ai crediti tributari
oggetto di un contenzioso pendente della disposizione di cui all'art. 176, comma 1,
afferente l'ammissione provvisoria al voto dei crediti contestati: la regola secondo
cui l'ammissione alla fase della votazione “non pregiudica le pronunce definitive
sulla sussistenza dei crediti stessi”, rispetto ai quali al giudice delegato spetterebbe
una cognizione solo incidentale, si scontra con la previsione contenuta nel comma 5
dell'art. 182ter, che contempla invece la cessazione della materia del contendere per
le liti relative ai tributi oggetto di una proposta di transazione. Tale profilo sarà
approfondito nel capitolo appositamente dedicato all’effetto processuale estintivo
della transazione fiscale.
Perplessità suscita anche la disposizione di cui al comma 2 del medesimo art.
176, in materia di opposizione avverso il provvedimento che abbia escluso uno o più
crediti contestati dalla votazione: ci si potrebbe chiedere se il giudice delegato abbia
il potere di escludere dal voto crediti, quali quelli vantati dall'Erario, su cui sia
totalmente privo di giurisdizione, sia pure incidenter tantum, fermo restando
comunque che la “contestazione” di uno o più crediti erariali, con conseguente
possibilità di esclusione dei medesimi dalla votazione (laddove ammessa),
presuppone il diniego dell'Amministrazione, e quindi la mancata conclusione della
transazione fiscale. Nell’ipotesi estrema in cui riconosca al giudice delegato il potere
di escludere dalla votazione un credito tributario, residuerebbe comunque in capo al
creditore pubblico la facoltà di opporsi all'esclusione in sede di omologazione del
concordato, alle condizioni previste dal medesimo art. 176, comma 2, rimettendo la
relativa decisione al Tribunale: anche in siffatta evenienza riemerge, tuttavia, il
termine di una vera e propria fase di contraddittorio: cfr. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1086, e
S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 202.
133
problema della riserva di giurisdizione a favore del giudice tributario, che sarà
oggetto di più approfondita disamina nel prosieguo.
La giurisprudenza maggioritaria, tenuto conto di tali criticità, circoscrive il
sindacato dell’autorità giudiziaria ordinaria (giudice delegato e Tribunale) alle sole
questioni relative all'esistenza titolo giuridico alla base del credito tributario
ammesso ad una procedura concorsuale (es. atto di accertamento, ruolo,
dichiarazione)281.
Troverà invece integrale applicazione la disposizione di cui all'art. 177, in tema
di maggioranza necessaria per l'approvazione del concordato, che il correttivo del
2007 ha novellato per tener conto della possibilità di falcidia dei crediti muniti di
prelazione (con l'aggiunta della previsione di cui al comma 3), come pure il disposto
di cui all'art.178, ultimo comma, che consente all'Erario di far pervenire il proprio
voto nei venti giorni successivi alla chiusura del processo verbale dell'adunanza dei
creditori.
In ordine all'applicabilità del “nuovo” art. 177, che ha sostituito il meccanismo
previgente, basato su una duplice maggioranza (per “numero” dei creditori e
“somma” dei crediti), con un sistema più snello, in cui è richiesta unicamente la
maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto, si è sostenuto in dottrina che
l'Amministrazione avrebbe comunque la possibilità di formulare un voto divergente,
esprimendo il proprio assenso limitatamente ad una parte soltanto dei crediti tributari
ammessi al concordato; per la restante parte potrebbe, con il proprio diniego,
precludere non già la relativa falcidia, quanto piuttosto la conclusione della
transazione282. Al di fuori del ristretto ambito tributario, tuttavia, la dottrina tende in
281
Su questi profili cfr. L DEL FEDERICO, Profili di specialità ed evoluzione giurisprudenziale nella
verifica fallimentare dei crediti tributari, in Fall., 2009, 1369, ed i riferimenti giurisprudenziali e
dottrinali contenuti in nt. 15. Cfr. anche F. MICCIO, Appunti in tema di verifica dei crediti
tributari, relazione presentata in occasione dell’incontro di studio del CSM sul tema
“L’accertamento del passivo concorsuale”, Roma, 15 – 17 maggio 2006, in
www.giustiziatributaria.it, 9 e ss., secondo cui nell’ambito di una procedura di fallimento la
verifica del giudice delegato sarebbe limitata a tre profili: a) concorsualità del credito tributario,
ossia anteriorità al fallimento del verificarsi del presupposto di fatto del tributo; b) prova del
credito tributario; c) esistenza dei privilegi richiesti.
282
Cfr. G. ROCCO, I privilegi tributari e il riparto dell'insolvenza, tra interpretazione estensiva,
eccesso di delega e transazione fiscale, cit., 512, il quale riconosce anche la piena legittimità di un
voto divergente fra Agenzia e concessionario, sulla scorta anche della loro distinta soggettività
giuridica.
134
generale a disconoscere la legittimità di un doppio voto divergente da parte dello
stesso soggetto.
Ancora, la “saldatura” fra il sub-procedimento di cui all'art. 182ter e la
procedura di concordato preventivo comporta l'equiparazione del voto
dell'Amministrazione finanziaria a quello degli altri creditori, in virtù del principio
della par condicio creditorum, e l'assoggettamento della prima al cram down power
di cui al comma 4 dell'art. 180: Tale conclusione è oramai pacifica in giurisprudenza,
e trova l’avallo anche dalla dottrina maggioritaria, pur non mancando qualche voce
discorde.
Tale conclusione, unitamente alla piena applicabilità dell'art. 184, che sancisce
l'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori al decreto di
apertura della procedura, comporta la falcidiabilità del credito erariale anche nel caso
di voto negativo espresso dall'Amministrazione sulla proposta di concordato e
sull'annessa transazione fiscale, come si vedrà più diffusamente nel prosieguo.
Quanto alla votazione del concessionario, le modalità di espressione del
relativo voto previste dal comma 4 portano ad escludere radicalmente che il suo
intervento in adunanza sia caratterizzato da una qualche discrezionalità, dovendo lo
stesso attenersi rigorosamente alle indicazioni formulate dal direttore dell'ufficio: il
ruolo del concessionario, dunque, è relegato di fatto a quello di mero esecutore delle
decisioni assunte dall'Agenzia delle Entrate283.
10. La transazione fiscale in sede di accordi di ristrutturazione dei
debiti.
Come accennato in precedenza con il decreto “correttivo” n. 169/2007 il
legislatore ha esteso la transazione fiscale anche agli accordi di ristrutturazione dei
debiti di cui all'art. 182bis, recependo pertanto le istanze avanzate da una nutrita
corrente dottrinale, che aveva aspramente criticato l'originaria limitazione della
283
Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di
ristrutturazione dei debiti, cit., 763, nt. 72. M. CORVAJA e A. GUERRA, La transazione fiscale,
cit., 1918 riducono il ruolo del concessionario in adunanza a quello di mero nuncius.
135
transazione al solo concordato preventivo.
Anzi, è stato sostenuto da qualcuno che la transazione fiscale sarebbe un
istituto che molto meglio si adatterebbe proprio alla fattispecie degli accordi di
ristrutturazione dei debiti, piuttosto che alla procedura di concordato preventivo,
nella quale la necessità di coordinare la previsioni dell'art. 182ter, ed il latente
principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, con i principi generali dettati
dagli artt. 160 e ss., ed in primis con il principio maggioritario, pone delicati
problemi interpretativi ed applicativi piuttosto ardui da risolvere284. Negli accordi ex
art. 182bis, di contro, la dilazione o la remissione del credito erariale non possono
prescindere dal consenso espresso dal titolare della pretesa, formalizzato in apposito
atto, senza che l'Erario sia costretto a subire la volontà della maggioranza.
Ancora, si è detto che la prima “occasione” che l'ordinamento offrirebbe
all'imprenditore in crisi per addivenire ad una sistemazione delle proprie pendenze
verso il Fisco sarebbe proprio l'accordo di ristrutturazione, laddove il concordato
preventivo rappresenterebbe l'estrema ratio, in quanto sarebbe esperibile a fronte di
una crisi più grave, o comunque nell'ipotesi in cui non sia possibile pervenire ad un
accordo con la maggioranza qualificata dei creditori d'impresa285.
Sicché, a seguito del menzionato intervento correttivo è caduta la preclusione
di cui al previgente comma 6 dell'art. 182ter. Per effetto del richiamo testuale al
“primo comma”, contemplato dalla nuovo testo della citata disposizione, la
transazione in sede di accordi ex art. 182bis è esperibile alle medesime condizioni
previste in caso di concordato preventivo (deve trattarsi, dunque, di proposta avente
ad oggetto tributi amministrati dalle Agenzie fiscali e relativi accessori, con
esclusione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea e di quelli
locali286, e ferma restando la necessità di pagamento integrale dell'Iva e delle ritenute
284
Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 276 e 287.
285
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel
concordato preventivo, cit., 610.
286
Salvo che l'ente locale, titolare della pretesa impositiva, stipuli un apposito accordo con l'Agenzia
delle Entrate per devolvere alla stessa l'esercizio delle funzioni afferenti la gestione del tributo: cfr.
V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel concordato
preventivo, cit., 612.
136
non versate).
Peraltro, il citato decreto correttivo del 2007 non ha sopito del tutto la querelle,
sorta sotto il vigore del previgente art. 182ter, relativa alla possibilità di utilizzare il
solo accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182bis, ovviamente senza l'annesso
accordo transattivo, per i tributi non transigibili (quali, ad esempio, le imposte
locali). Se una parte della dottrina era propensa ad applicare l'art. 182bis a tali
pretese impositive287, altra corrente interpretativa escludeva decisamente tale
possibilità, ammettendo la falcidiabilità dei soli crediti fiscali che potessero essere
astrattamente oggetto di una proposta di transazione fiscale, altrimenti ostandovi
l'indisponibilità dell'obbligazione tributaria: per gli altri tributi, dunque, essendo
preclusa alla radice l'ammissibilità stessa della transazione fiscale, era da escludersi
anche la possibilità di una loro “ristrutturazione” ai sensi del solo art. 182bis,
potendo eventualmente applicarsi ai medesimi soltanto gli istituti consensuali di
attuazione della norma impositiva specificamente contemplati dalla legge
tributaria288. Anche a seguito del d. lgs. n. 169/2007 qualche Autore continua a
ritenere possibile una ristrutturazione ex art. 182bis dei tributi non transigibili, in
primis quelli locali, argomentando tale conclusione in base al rapporto di genere a
specie che legherebbe i due istituti (rispettivamente accordo di ristrutturazione dei
debiti e transazione fiscale), e ritenendo che una diversa soluzione determinerebbe
una irragionevole discriminazione289.
Peraltro, nonostante il menzionato rinvio al comma 1, le differenze fra la
transazione fiscale perfezionata in sede di concordato preventivo e la transazione
conclusa nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti sono molteplici,
tanto che autorevole dottrina, proprio in considerazione di ciò, ha attribuito
all'istituto di cui all’art. 182ter carattere “ibrido”, a seconda che l’accordo transattivo
287
Cfr. G. GAFFURI, Profili fiscali della riforma concernente le procedure concorsuali, in
www.tibunali.it/Monz; M. FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, in Le insinuazioni al
passivo. Trattato teorico-pratico dei crediti e dei privilegi nelle procedure concorsuali, a cura di
M. FERRO, Cedam, Padova, 2010, III, 1096 e ss..
288
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2579.
289
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel
concordato preventivo, cit., 613.
137
si inserisca nell’una o nell’altra procedura concorsuale290. Tali differenze sono
apprezzabili sia sotto il profilo “sostanziale” (quello relativo al trattamento da
riservare ai crediti tributari), sia sotto il profilo della natura giuridica della due
fattispecie. Quanto all'aspetto procedurale, invece, le due tipologie di transazione
fiscale sembrano essere piuttosto affini, fatta salva la possibilità di presentare al
Fisco una proposta transattiva ex comma 6 anche prima di intavolare le trattative con
la restante parte del ceto creditorio (se non addirittura a prescindere da esse, qualora i
crediti tributari e contributivi rappresentino da soli almeno il 60% della complessiva
esposizione debitoria dell'imprenditore in crisi)291
, oppure in un momento
successivo292, non essendo previsto il requisito della “contestualità” proprio della
transazione proposta in sede concordato preventivo.
Dal punto di vista “sostanziale”, il debitore non sembrerebbe vincolato al
rispetto delle regole sulla par condicio creditorum e sull'ordine delle cause di
prelazione che governano la procedura di concordato preventivo. Uno dei vantaggi
della transazione conclusa in sede di accordi di ristrutturazione, infatti, sembrerebbe
risiedere nella possibilità di proporre per i crediti tributari, sia privilegiati che
chirografari, un trattamento anche deteriore rispetto a quello accordato
rispettivamente ai creditori muniti di privilegio di grado inferiore o agli altri
chirografari: secondo una certa opinione dottrinale, infatti, il richiamo testuale al
comma 1 non dovrebbe estendersi anche alle condizioni di trattamento ivi previste
per la falcidiabilità delle pretese erariali, che si è visto essere diverse a seconda che
queste ultime siano assistite o meno da una causa legittima di prelazione. Tale
conclusione sarebbe basata sulla constatazione che nell'ambito della procedura di
290
Cfr.A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., passim.
291
Cfr. ad esempio Trib. Ancona, 12 novembre 2008, decr., in www.ilcaso.it, I, 1494/2009, con cui è
stato omologato un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale stipulato esclusivamente con
l’Agenzia delle Entrate e l’agente della riscossione, che rappresentavano il 98,95% dell’intero
indebitamento della società proponente. Per un commento su tale pronuncia cfr. G. GENTILI, Il
Tribunale di Ancona ha omologato il primo accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione
fiscale stipulato in Italia, in www.ilcaso.it, II, 136/2009. 292
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel
concordato preventivo, cit., 611, secondo cui l'imprenditore in crisi può aprire due diversi e
paralleli “tavoli di confronto”, uno con il Fisco e l'altro con la restante parte dei creditori, ciascuno
governato da regole diverse in ragione della differente natura dei crediti da ristrutturare.
138
ristrutturazione ex art. 182bis il debitore è libero di definire come meglio crede la sua
complessiva esposizione debitoria, come pure i creditori saranno perfettamente liberi
di accettare o meno il trattamento remissorio e/o dilatorio loro proposto293. A
supporto di tale tesi non mancherebbero nemmeno appigli testuali, posto che la
locuzione “il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma anche
nell'ambito delle trattative che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione”
sembrerebbe riferirsi soltanto all'istituto della transazione fiscale in sé, senza che
quel richiamo debba intendersi esteso anche al trattamento da riservare ai crediti
fiscali interessati dall'accordo di ristrutturazione294. Il punto, tuttavia, non è pacifico
in dottrina295.
Sotto l’aspetto procedurale, si è detto che la disciplina dettata dal comma 6
dell'art. 182ter ricalca essenzialmente quella dettata per la transazione conclusa in
sede di concordato preventivo, come attesta anche il richiamo al comma 2: pertanto
il debitore è tenuto a depositare la proposta presso i medesimi uffici competenti (sia
delle Agenzie fiscali sia del concessionario della riscossione), i quali a loro volta
saranno tenuti ad espletare nei trenta giorni dal deposito i medesimi adempimenti
istruttori (liquidazione delle dichiarazioni, notifica degli avvisi di irregolarità,
certificazione dei carichi tributari) disciplinati da quella disposizione. Una
particolarità è stata introdotta, come già accennato, per effetto del d.l. n. 78/2010,
con il quale è stato previsto che alla documentazione da allegare alla domanda di
transazione, che ricalca quella di cui all'art. 161, va aggiunta la dichiarazione
sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante e redatta ai sensi dell'art.
47 del d.P.R. n. 445/2000, comprovante che la suddetta documentazione rappresenta
fedelmente ed integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riferimento
alle poste attive del patrimonio: l'aggiunta si giustifica essenzialmente alla luce della
293
Sottolinea l'”ampia autonomia negoziale privatistica” di cui gode il debitore che abbia presentato
una domanda di transazione ai sensi del comma 6 A. FELICIONI, La transazione fiscale e
contributiva, in Italia Oggi, 12 luglio 2007, 37.
294
Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 288 e 289.
295
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributarie nel
concordato preventivo, cit., 611, P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di A. SOLIDORO), cit.,
1803, e E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1212.
139
mancanza, nell'ambito della fattispecie degli accordi di ristrutturazione, della figura
del commissario giudiziale, cui in seno al concordato preventivo sono devolute le
funzioni di verifica dei crediti concorsuali, inventario del patrimonio imprenditoriale
ed analisi della contabilità296.
Altra peculiarità è la previsione secondo cui l'assenso espresso dal direttore
dell'ufficio o dal concessionario, a seconda dell'iscrizione o meno dei tributi in ruoli
già consegnati all'agente della riscossione, ed in entrambi i casi previo parere
conforme della competente Direzione Regionale, “equivale a sottoscrizione
dell'accordo di ristrutturazione”. É stato correttamente rilevato che nella logica che
governa l'istituto di cui all'art. 182bis tale assenso costituirebbe l'unico modo per
poter addivenire ad una ristrutturazione del credito tributario, altrimenti dovendosi
pagare lo stesso per intero ed alle scadenze originarie, in quanto credito “estraneo”
all’accordo. Il riferimento legislativo alla sottoscrizione dell'accordo sembrerebbe,
inoltre, dissipare ogni dubbio in ordine alla possibilità di pervenire ad un accordo
separato con la sola Amministrazione finanziaria, che come visto sopra potrebbe
anche precedere, o seguire, le varie intese siglate con la restante parte del ceto
creditorio: la dottrina maggioritaria, del resto, non ritiene necessario concludere un
unico negozio giuridico cui partecipi la maggioranza qualificata dei creditori
d'impresa, ben potendo l'istituto di cui all'art. 182bis presentarsi come un “fascio” di
negozi individuali, la cui unitarietà è recuperata sul piano funzionale del
collegamento negoziale297.
Ulteriore previsione dettata specificamente per il solo accordo transattivo
concluso in sede di trattative ex art. 182bis è quella contemplata dal nuovo comma 7,
introdotto nel 2010, secondo cui qualora il debitore non esegua integralmente i
pagamenti dovuti decorsi i 90 giorni dalle scadenze all’uopo previste l'accordo è
revocato di diritto. Trattasi di una previsione che mira a scoraggiare possibili abusi
nell'uso dello strumento transattivo, rafforzando la tutela dei crediti erariali
296
Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2327.
297
Anche se non mancano posizioni che escludono la pluralità di negozi collegati da un vincolo di
interdipendenza funzionale, reputando invece necessaria la stipula di un unico negozio
plurilaterale: cfr. G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di
ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), in AA.VV,
Manuale di diritto fallimentare, Giuffrè, Milano 2011, 535.
140
attraverso l'eliminazione immediata degli effetti della transazione, non mancando
tuttavia di sollevare diverse perplessità298. Del resto, la dottrina è concorde
nell'ammettere che l'accordo transattivo possa contenere una clausola risolutiva
espressa ex art. 1976 c.c., conformemente all'uso ampiamente invalso nella prassi
degli uffici periferici ed alla natura negoziale dell'istituto, come si vedrà meglio in
seguito299.
Rimangono tuttavia insolute una serie di questioni.
Innanzitutto, si pone il problema di stabilire se gli effetti “tipici” di
consolidamento del debito tributario e cessazione della materia del contendere nelle
liti in corso, che l'art. 182ter prevede testualmente con riferimento alla sola
transazione conclusa in sede di concordato preventivo, trovino applicazione anche
alla fattispecie in esame: la questione sarà discussa approfonditamente nel prosieguo
del presente lavoro.
Ancora, non è chiaro quali siano gli effetti che la mancata omologazione
dell'accordo di ristrutturazione sortisce sulla transazione già conclusa. Qualcuno ha
sostenuto che l'omologazione varrebbe soltanto ai fini dell'esenzione dall'azione
revocatoria ex art. 67, terzo comma, lett. e), senza che essa possa incidere anche
sull'efficacia dell'accordo di ristrutturazione, derivando quest'ultima dalla sola
pubblicazione dell'accordo nel Registro delle imprese: in assenza di una contraria
disposizione legge, analoga soluzione dovrebbe valere anche per la transazione
fiscale300. Altri invece, muovendo dal presupposto che l'accordo con i creditori, ivi
compreso il Fisco, sarebbe stipulato proprio in funzione dell'effetto tipico di
esenzione da revocatoria, ritengono che esso rimarrebbe del tutto privo di effetti nel
298
Sul punto cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1456 e 1457: secondo l'A.
sarebbe stato più opportuno prevedere la risoluzione della transazione, poiché la “revoca” sarebbe
un rimedio giuridico che in ambito civilistico non è contemplato per gli atti negoziali già
perfezionati; inoltre, il rimedio sarebbe troppo drastico, non prevedendo la norma alcun correttivo
(né in termini di assenza di dolo o colpa nell'inadempimento, né di scarsa importanza del
medesimo); ancora, non sono specificate le concrete modalità secondo le quali la revoca sarà
destinata ad operare, né gli effetti che essa esplica sugli accordi siglati con gli altri creditori.
299
Cfr. ex multis M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 288; L. MAZZUOCCOLO,
Transazione fiscale: nuove disposizioni introdotte dall'art. 182ter r.d. n. 267/1942, cit., 2260; E.
STASI, La transazione fiscale, cit., 740.
. 300
Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 741.
141
caso di mancata omologazione da parte del Tribunale301.
11. Natura giuridica ed “autonomia” della transazione fiscale.
Come in passato era accaduto per la transazione esattoriale, molto si è discusso
in ordine all'esatta qualificazione giuridica della transazione fiscale: in altri termini ci
si è chiesti se tale istituto abbia carattere privatistico, partecipando della medesima
natura negoziale della transazione di diritto civile di cui agli artt. 1965 c.c. e ss.,
come suggerirebbe prima facie la lettera dell'art. 182ter, ovvero si tratti di una figura
di tipo pubblicistico – procedimentale, come sembrerebbe invece ricavarsi dalla
collocazione sistematica dell’istituto all'interno della disciplina del concordato
preventivo.
Giova premettere che non esiste una soluzione che possa considerarsi valida in
via assoluta: occorre distinguere, infatti, a seconda che la transazione sia proposta in
sede di concordato preventivo ex art. 160 e ss. o nell'ambito di un accordo di
ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182bis, giacché la diversa natura giuridica
delle due menzionate procedure concorsuali (ammesso e non concesso che l’accordo
di ristrutturazione possa qualificarsi in termini di “procedura”) finisce
inevitabilmente per riflettersi anche sulla qualificazione dell'accordo transattivo
siglato con il Fisco, spezzandone l'unitarietà302.
Con riferimento alla transazione concordataria, a supporto della natura
negoziale dell'istituto si era schierata in un primo momento, ossia anteriormente alle
novità apportate con il correttivo del 2007, la giurisprudenza di merito303. Il
presupposto da cui muoveva il ragionamento dei giudici fallimentari era
rappresentato dalla regola generale dell'inammissibilità, in sede di concordato
preventivo, di un pagamento percentuale dei crediti muniti di prelazione: rispetto a
quella regola, la disciplina di cui all'art. 182ter, che con riferimento al “credito
tributario assistito da privilegio” alludeva alla “percentuale di pagamento”,
301
Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1453
302
Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 8 e ss; D.
STEVANATO, Transazione fiscale, cit.,843.
303
Cfr. Trib. Bologna, 26 ottobre 2006, decr., cit., e Trib. Messina, 29 dicembre 2006, decr., cit., che
definisce la transazione fiscale come “accordo negoziale bilaterale”.
142
rappresentava una deroga, in quanto consentiva, in via del tutto eccezionale, la
falcidia dei crediti fiscali privilegiati, e ciò sarebbe stato possibile solo sulla scorta di
quanto convenuto con l'Amministrazione finanziaria in via negoziale ed extra-
concordataria, in base appunto ad un accordo stipulato fra le due parti304.
Anche l'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 40/E del 2008, ha prospettato
una ricostruzione dell'istituto in chiave prettamente negoziale, parlando di “accordo
per la ristrutturazione e la soddisfazione, anche parziale, del debito tributario”,
pienamente rispondente all'obiettivo generale, perseguito dalla riforma delle
procedure concorsuali, di attribuire maggiore rilevanza alla composizione concordata
della crisi d'impresa attraverso la valorizzazione degli accordi negoziali. Nel citato
documento di prassi tale “accordo” viene configurato come autentica transazione di
diritto privato: la circolare, infatti, allude alla transazione fiscale come ad una
“particolare procedura transattiva fra Fisco e contribuente”, o “accordo
transattivo”, non mancando anche di osservare che “l'istituto della transazione,
tipico del diritto civile (articolo 1965 c.c.), appare del tutto innovativo
nell'ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di
indisponibilità del credito tributario”. Nonostante dunque l'Amministrazione
finanziaria puntualizzi le “significative differenze” che intercorrono fra il nuovo
istituto e l'abrogata transazione dei tributi iscritti a ruolo, la qualificazione in chiave
giuridica è esattamente la medesima: entrambe le fattispecie configurerebbero infatti
un accordo a carattere autenticamente (cioè “civilisticamente”) transattivo, che
quand’anche si inserisse in una procedura di concordato preventivo manterrebbe
integra la propria autonomia.
Anche una parte minoritaria della dottrina qualifica l'istituto in termini di
“transazione” di diritto civile, ravvisandovi un carattere privatistico – negoziale305.In
particolare si rinverrebbe nella figura de qua la conferma di quel trend legislativo,
cui si accennava nel capitolo introduttivo, che punta sulla valorizzazione dei moduli
consensuali nell'attuazione della norma tributaria, affidando la determinazione del
304
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 828.
305
Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale cit., 1071 e ss. ; G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale
e non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo, in Fall., 2010, 146 e ss.
143
tributo a forme di accordo tra contribuente e Fisco306. La stessa dottrina, tuttavia, non
manca di rilevare criticamente la singolarità della scelta operata dal legislatore307 e la
“grave lacunosità” della relativa disciplina, rea di non aver dettato alcuna previsione
in ordine ad aspetti, sia sostanziali che procedurali, di estrema rilevanza, quali i
criteri che l'Amministrazione finanziaria dovrebbe seguire nel valutare la proposta di
transazione308, il momento esatto di perfezionamento dell'accordo e la modalità con
cui esso si inserisce formalmente nella procedura concordataria, lo svolgimento di un
preliminare contraddittorio per la “contrattazione” della proposta formulata dal
debitore309, la necessità o meno dell'autorizzazione del giudice delegato ai sensi
dell'art. 167, essendo dubbio se l'accordo transattivo configuri un atto eccedente
l'ordinaria amministrazione.
Ancora, altra corrente dottrinale, pur avendo escluso che l'istituto sia
riconducibile allo schema della transazione civilistica, ne ribadisce pur sempre la
306
Cfr. ancora L. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della
transazione fiscale, cit., 25.
307
Secondo L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1072, parlare di “transazione” nel diritto tributario
sarebbe davvero singolare: la transazione, infatti, è un istituto tipico del diritto civile, dove viene
ad atteggiarsi come contratto basato sulle reciproche concessioni delle parti e funzionale
all'estinzione di una lite attuale o potenziale scoppiata fra le medesime; il credito tributario, invece,
è per definizione indisponibile e non rinunciabile, e conseguentemente non dovrebbe essere
negoziabile sulla base di criteri prettamente transattivi. Secondo l'A. tale assunto non è scalfito da
istituti quali l'accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, in cui potrebbero pur
sempre scorgersi i tratti peculiari delle forme di definizione transattiva delle controversie, poiché
tali istituti operano in una fase particolare del rapporto tributario, in cui la pretesa erariale non può
considerarsi ancora certa nell'an e nel quantum; inoltre, essi vengono impiegati tendenzialmente
nei casi in cui ad essere dubbie non sono le questioni di diritto, bensì quelle di fatto, fungendo così
da strumenti destinati a risolvere i casi in cui è l'evento generatore dell'obbligo tributario a non
essere accertabile con precisione. Di qui la loro pacifica conciliabilità con il canone
dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, cui invece la transazione fiscale sembrerebbe
arrecare un vulnus maggiore, potendo comportare la soddisfazione non integrale di pretese già
iscritte a ruolo, una non meglio precisata “dilazione di pagamento”, un taglio delle sanzioni in
misura non prestabilita dal legislatore ed ancora tempistiche di pagamento e garanzie concordate
volta per volta tra contribuente e Amministrazione finanziaria.
308
Sotto questo profilo, si sostiene che il legislatore avrebbe fatto addirittura un passo indietro rispetto
all'art. 3, comma 3 del d.l. 138/2002, che almeno prevedeva che la transazione sui ruoli dovesse
aver luogo in caso di “accertata maggiore economicità e proficuità rispetto alle attività di
riscossione coattiva”: cfr. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1075.
309
Cfr. TOSI, Il delicato rapporto tra autorità e consenso in ambito tributario: il caso della
transazione fiscale, cit., 34, secondo cui il postulato della natura transattiva dell'istituto farebbe
ritenere indispensabile un incontro finalizzato allo svolgimento di una trattativa vertente sul
quantum dell'obbligazione tributaria, sulla tempistica di rientro e sulle garanzie da rilasciare.
144
natura negoziale, quale atto consensuale implicante una parziale remissione del
credito tributario310. Tale connotazione negoziale riposerebbe sul carattere
asseritamente contrattuale del nuovo concordato preventivo, che la riforma delle
procedure concorsuali avrebbe spogliato di ogni venatura pubblicistica; sulla
ipotizzata natura negoziale tale dottrina fa leva anche per rivendicare alla transazione
una sua “autonomia” nell'ambito della procedura concordataria311.
Non manca anche chi, ai fini di un corretto inquadramento giuridico della
figura, ne rileva la natura “ibrida”, in quanto relativa sia a tributi contestati e/o
ancora contestabili, sia a pretese impositive oramai divenute definitive: se nel primo
caso avrebbe senso “scomodare” lo schema negoziale di cui all'art. 1965 c.c., nella
seconda ipotesi sarebbe più corretto configurare l'istituto come pactum ut minus
solvatur312.
Sul versante opposto, a sostegno della connotazione pubblicistico –
procedimentale dell'istituto, sono schierate tanto la dottrina maggioritaria quanto la
prevalente giurisprudenza di merito. In particolare, in dottrina viene valorizzato
l'incipit dell'art. 182ter, secondo cui la transazione è proposta “con il piano di cui
all'art. 160”, che testimonierebbe il suo indefettibile inserimento all'interno della più
ampia procedura concordataria. Ne deriva che la rubrica dell'art. 182ter non deve
310
Cfr. G. LO CASCIO, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fall.,
2008, 999; D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 838, parla di negozio solutorio implicante
una (parziale) rinuncia del credito. M. CATTANEO - M. PALLADINO, Commento sub art.
182ter, in La riforma del diritto fallimentare, Egea, Milano, 2006, 209, ravvisano nella transazione
una “vera e propria remissione del debito da parte dell'Erario”. Cfr. anche L. M. PETRONE, La
transazione fiscale tra contratto transattivo e modello di adesione dell'Amministrazione al
concordato fallimentare, in Obbl. e contr., 2007, 791 e ss.: l'A. si pone poi il problema di
individuare una responsabilità dell'Amministrazione finanziaria per culpa in contrahendo
nell'ipotesi di rifiuto illegittimo ed ingiustificato di concludere una transazione fiscale.
311
G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 846 e ss.: egli intende l' “autonomia” nel duplice
senso di iniziativa indipendente di definizione negoziale delle obbligazioni d'imposta e specifico
atto esecutivo per la realizzazione del piano concordatario. Parla di “individualità giuridica” delle
pattuizioni con il Fisco E. STASI, La transazione fiscale, cit., 734 e 735.
312
Cfr. L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e principi
del concorso, cit., 302 e ss.; M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 276 e 277; D.
PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 5 e 6. La giurisprudenza di legittimità ha
ricostruito il fenomeno della parziale esdebitazione ex art. 184 in termini di pactum de non
petendo: cfr. Cass., 7 maggio 1992, n. 5424, in Fall., 1992, 809.
145
trarre in inganno313: l'istituto de quo, infatti, nulla avrebbe da spartire con il tipo
legale della transazione di diritto civile, non potendosi ravvisare i tratti peculiari di
tale fattispecie contrattuale, quali la res litigiosa e l'aliquid retentum.
Una volta negato l'inquadramento nell'ambito del contratto tipico di transazione
l'orientamento dottrinale prevalente si spinge anche oltre, sino a disconoscere
all'istituto ogni carattere contrattuale o semplicemente negoziale. L'inserimento
nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, infatti, porta necessariamente
ad escludere che la transazione fiscale sfoci in un vero e proprio accordo tra Fisco e
contribuente, finalizzato ad una determinazione autenticamente consensuale del
quantum da soddisfare in moneta concordataria: in particolare mancherebbe la
sequenza proposta negoziale – accettazione della controparte tipica di qualsivoglia
tipo contrattuale. Da un lato, infatti, la proposta di transazione non è un atto
autonomo, ma costituisce necessariamente parte integrante di una domanda di
concordato preventivo, senza la quale la prima non potrebbe neppure concepirsi
(fatta eccezione per l'alternativa rappresentata dalla transazione proposta in seno ad
un accordo di ristrutturazione ex art. 182bis); dall'altro lato l'Agenzia delle Entrate ed
il concessionario della riscossione non pongono in essere alcun atto di accettazione
di quella proposta, ma si limitano a formulare il proprio voto in sede di adunanza,
dove concorrono alla formazione della maggioranza concordataria alla pari con tutti
gli altri creditori314. Ancora, non vi sarebbe lo spazio né la tempistica necessaria per
intavolare un’autentica trattativa negoziale fra il debitore e l'ufficio, dal momento
che la struttura stessa del concordato preventivo non prevede alcuna fase
precontrattuale in cui possa aver luogo l'incontro delle volontà dei vari soggetti
partecipanti: la proposta è predisposta unilateralmente dall'imprenditore, ed i
creditori, Fisco compreso, saranno chiamati soltanto a votarla o meno, senza
313
Cfr. FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione dell'imposta e intransigibilità del tributo, cit.,
1066, che esorta a non lasciarsi fuorviare dall'impegnativo vocabolo (“transazione”) impiegato dal
legislatore, che richiamerebbe subito alla mente l'art. 1965 c.c.
314
Cfr. ex multis F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale,
cit., 830 e ss.; A. PENTA, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e
carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale, in Fall., 2010, 233 e ss.; P.
PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 646 e 647; A. LA MALFA, La transazione dei
crediti fiscali, cit., 1435 e 1436.
146
possibilità di presentare una controproposta; l'Agenzia potrebbe pur sempre
sollecitare una modifica dell'originaria proposta di transazione, ma ciò avverrà
soltanto in modo informale, posto che l'art. 175 attribuisce la relativa iniziativa al
solo debitore315.
Anche l’oramai consolidata giurisprudenza di merito316 è concorde nel
disconoscere alla transazione fiscale valenza di accordo negoziale autonomo,
configurandola all'opposto come “sub-procedimento” incardinato nell'alveo della
ampia procedura di concordato preventivo, di cui condivide appieno la sorte e gli
effetti317; la funzione dell'istituto sarebbe semplicemente quella di consentire agli
uffici fiscali la partecipazione al concordato tramite l’espressione del proprio voto in
adunanza, dettando le regole attraverso le quali tale voto è da considerarsi
legittimamente espresso.
Corollario dell’asserita non autonomia della transazione fiscale è la regola
secondo cui la falcidia del credito tributario non necessita dell'assenso del Fisco,
essendo all'uopo sufficiente l’approvazione del concordato ad opera della
maggioranza dei creditori e la successiva omologazione da parte del Tribunale
(eventualmente anche a seguito dell'esercizio del cram down power di cui all'art.
180, comma 4), che renderebbe la proposta obbligatoria per tutti i creditori, ivi
compresi quelli dissenzienti, ai sensi di quanto previsto dall'art. 184. Ragionando
diversamente, invece, si finirebbe per accordare all'Erario un vero e proprio diritto
potestativo di veto, con palese violazione dei diritti del proponente e degli altri
creditori318.
315
Cfr. A. LA MALFA, La transazione fiscale ex art. 182ter legge fallim., dubbi sulla natura
negoziale e possibilità di inserire clausole pattizie, cit., 74 e ss; ID., La transazione dei crediti
fiscali, cit., 1439, dove l'A. afferma che è esclusa ogni “interlocuzione diretta” tra Fisco e
proponente.
316
A partire da Trib. Venezia, 27 febbraio 2007, decr., in Fall., 2007, 1464 e ss.; cfr. anche Trib.
Milano, 13 dicembre 2007, cit., e Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, cit. Più di recente cfr. ex multis Trib.
Ravenna, 19 gennaio 2011, cit., App. Torino, 23 aprile 2010, decr., in www.ilcaso.it., I,
2314/2010, e App. Firenze, 13 aprile 2010, decr., in www.ilcaso.it., I, 2318/2010.
317
Anche le due pronunce della Corte di Cassazione dello scorso 4 novembre, più volte citate,
configurano la transazione in termini di sub-procedimento.
318
Cfr. Trib. Roma, 27 gennaio 2009, decr., in www.ilcaso.it., I, 1500/2009, nonché App. L'Aquila, 16
marzo 2011, decr., in Fall., 2011, 881.
147
Secondo l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale oggi prevalente, dunque,
la transazione conclusa in sede di concordato preventivo sarebbe priva di
qualsivoglia autonomia, mancando di ogni connotazione di stampo negoziale;
all'opposto, essa avrebbe carattere endo-procedimentale, o meglio endo-concorsuale,
connotandosi come fase, secondo i più solo opzionale, della procedura di concordato
preventivo, di cui condivide gli effetti, sotto il duplice profilo fisiologico
(omologazione) e patologico (annullamento e/o risoluzione)319.
Assodato ciò, si pone il problema di valutare se e come eventuali eventi
“patologici”, intervenuti a seguito dell’omologazione del concordato, incidano sulla
transazione fiscale perfezionata all’interno della medesima procedura: in particolare,
se è indubbia la reviviscenza dell'originaria obbligazione tributaria, al pari di quanto
accade per ogni altro credito concordatario, con la possibilità per il relativo titolare di
pretenderne l'integrale pagamento, perplessità sorgono in merito alla sorte delle
controversie tributarie precedentemente estinte per effetto dell'omologazione del
concordato ai sensi di quanto previsto dal comma 5. Tali profili saranno discussi
approfonditamente nel prosieguo.
Discorso diverso vale, ovviamente, per la transazione siglata in sede di accordi
di ristrutturazione dei debiti ex art. 182ter, commi 6 e 7.
In primo luogo, così come la transazione in sede di concordato preventivo
finisce per riflettere la connotazione essenzialmente pubblicistica della procedura de
qua, nonostante la deriva “privatistica” ad essa impressa dalla recente legge di
riforma delle procedure concorsuali, la transazione inserita nell'ambito di un accordo
di ristrutturazione dei debiti non può non condividerne la natura prevalentemente
negoziale: sul carattere negoziale della fattispecie di cui all’art. 182bis si registra il
consenso dalla dottrina320 e della giurisprudenza321 prevalenti, pur non mancando
319
Sulla natura endoconcorsuale della transazione cfr. anche L. DEL FEDERICO, Profili processuali
della transazione fiscale, cit., 3658.
320
La dottrina maggioritaria è propensa a valorizzare la natura negoziale dell'istituto di cui all’art.
182bis, e dunque la sua autonomia rispetto al concordato preventivo: cfr. ex multis G. PRESTI,
L'art. 182bis al primo vaglio giurisprudenziale, in Fall., 2006, 172, e G. GIANNELLI,
Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell'impresa
nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni, in Dir. fall., 2005, I, 1170.
148
qualche voce discorde, propensa a mettere in risalto gli aspetti processual-
pubblicistici dell'istituto322, oppure tesi intermedie, che ne ravviserebbero una
procedura concorsuale di natura composita o mista, in quanto pattizia e
giurisdizionale allo stesso tempo323.
Ancora, l'inserimento della transazione nell’ambito delle trattative antecedenti
la stipula di un accordo di ristrutturazione alluderebbe alla possibilità di intavolare
un negoziato anche con il Fisco, in cui alla proposta iniziale del debitore potrà fare
seguito una controproposta dell'Erario, secondo un iter finalizzato a definire
consensualmente le condizioni economiche e giuridiche della ristrutturazione dei
crediti tributari.
Inoltre il riferimento legislativo alla “sottoscrizione dell'accordo” sembrerebbe
supportare la tesi della natura negoziale della fattispecie, sembrando il legislatore
alludere ad un esplicito atto di accettazione della proposta del debitore324; poiché la
dottrina maggioritaria non reputa necessaria la stipula di un unico accordo di
ristrutturazione dei debiti con struttura plurilaterale, come accennato in precedenza,
321
Cfr. ex multis Trib. Brescia, 22 febbraio 2006, decr., in Fall., 2006, 669, nonché Trib. Milano, 11
gennaio 2007, decr., in Dir. fall., 2008, II, 136, che parla di “contratto consensuale bilaterale, a
causa unitaria, che non vincola i creditori rimesti estranei all'accordo”; negli stessi termini si è
espresso Trib. Milano, 24 gennaio 2007, decr., in www.ilcaso.it, I, 1006/2007. Più di recente cfr.
App. Roma, 1 giugno 2010, decr., in www.ilcaso.it, I, 2246/2010, che definisce gli accordi come
“strumento negoziale per la risoluzione della crisi di impresa”, e Trib. Sulmona, 2 novembre
2010, decr., in banca dati Il Foro italiano online, che, sia pure in un obiter dictum, parla di
“accordo di natura privatistica tra il debitore ed il sessanta per cento dei creditori”.
322
Sulla valorizzazione dei profili pubblicistici dell'istituto di cui all'art. 182bis, con la conseguente
asserita non autonomia del medesimo rispetto al concordato preventivo (tanto che taluno ha
definito il primo come una sorta di “concordato semplificato”), cfr. P. VALENSISE, Art. 182bis,
in La riforma della legge fallimentare, cit., passim; G. VERNA, Sugli accordi di ristrutturazione
ex art. 182bis legge fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, 865 e ss.; M. FERRO, Art. 182bis, la nuova
ristrutturazione dei debiti, in Nuovo dir. soc., 2005, 49.
323
Cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 908, secondo i quali
si tratterebbe di un mezzo di potenziamento della rilevanza degli accordi stragiudiziali ai fini della
soluzione della crisi di impresa. Fra i principali esponenti della tesi secondo cui il legislatore, con
l'introduzione dell'art. 182bis, avrebbe inteso valorizzare l'autonomia privata e
“giurisdizionalizzare” i concordati stragiudiziali, che buona prova di sé avevano dato in passato, vi
è E. FRASCAROLI SANTI: cfr. ad esempio la monografia dal titolo Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, Cedam, Padova, 2009, passim. Del resto, anche la relazione governativa
al d. lgs. n. 169/2007 afferma che con la sostituzione dell'ultimo comma dell'art. 182ter “si è inteso
rimuovere uno dei principali ostacoli all'utilizzo degli accordi stragiudiziali”.
324
Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 735.
149
nulla osta a che l’imprenditore proceda alla stipula di un accordo separato, concluso
con la sola Amministrazione finanziaria, parallelo agli altri accordi remissori e/o
dilatori siglati con la restante maggioranza qualificata del ceto creditorio.
Data per assodata la natura negoziale della fattispecie de qua, non vi sarebbero
particolari ostacoli per l'inserimento di clausole contrattuali che puntino a rendere
l'accordo più aderente agli interessi delle parti: può trattarsi di clausole risolutive
espresse ex art. 1976 c.c. (volte a scongiurare il pericolo che il debitore possa
invocare una pretesa efficacia novativa dell'accordo transattivo per sottrarsi
definitivamente al pagamento dei crediti tributari, appellandosi all’avvenuta
estinzione delle originarie pretese)325, o clausole che prevedano la risoluzione della
transazione nell'ipotesi di mancata omologazione del più ampio accordo di
ristrutturazione in cui essa è inserita326.
Anche nel caso di transazione in sede di accordi di ristrutturazione, comunque,
la dottrina prevalente propende per disconoscerne il carattere propriamente
transattivo, mancando il presupposto delle reciproche concessioni e non essendo
necessario quello della res dubia327; viceversa, l'istituto sembrerebbe piuttosto
atteggiarsi come rinuncia unilaterale del Fisco ad una parte delle proprie pretese,
riemergendo anche in tale ipotesi i caratteri del pactum ut minus solvatur.
325
Si rammenti, tuttavia, che con il d.l. n. 78/2010 il legislatore ha ancorato la revoca (rectius, la
risoluzione) di diritto della transazione fiscale alla mancata esecuzione integrale, entro 90giorni
dalle scadenze previste, dei pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti previdenziali: stante
l’indubbia valenza imperativa della disposizione de qua, si dovrebbe escludere la validità di
clausole risolutive espresse che contemplino un termine inferiore.
326
L'apponibilità di una clausola risolutiva espressa è pacifica in dottrina: cfr. L. MAZZUOCCOLO,
Transazione fiscale, cit., 2260. Sul punto cfr. anche A. LA MALFA, La transazione fiscale ex art.
182ter legge fallim., dubbi sulla natura negoziale e possibilità di inserire clausole pattizie, cit., 72
e 73. Del resto l'utilizzo di clausole risolutive è ampiamente invalso nella prassi degli uffici
finanziari.
327
Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1453.
151
CAPITOLO III.
LA NOZIONE DI “CONSOLIDAMENTO DEL DEBITO FISCALE”
NELL'AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO
1. Introduzione della problematica.
Come già accennato in precedenza, fra le tante criticità che la formulazione
letterale dell'art. 182ter lascia tuttora insolute, nonostante i vari ritocchi cui la
disposizione è stata sottoposta nel corso del tempo, emerge in modo particolare la
problematica della “cristallizzazione del debito fiscale”, sotto il duplice versante del
“consolidamento” dell'esposizione debitoria dell'imprenditore nei confronti
dell'Erario e della “cessazione della materia del contendere” nelle liti pendenti aventi
ad oggetto i tributi interessati da una proposta di transazione fiscale. Trattasi di quelli
che la dottrina maggioritaria ama definire come effetti “tipici" dell'istituto de quo.
Il presente capitolo sarà dedicato alla disamina del primo profilo.
In primis, è stato oggetto di critiche lo stesso impiego del termine
“consolidamento” da parte del legislatore tributario per intendere la definitiva
quantificazione dei debiti fiscali ammessi a partecipare ad una procedura di
concordato preventivo: si tratterebbe, invero, di una nozione alquanto atecnica ed
imprecisa, tanto che la dottrina non ha mancato di rilevare che il concetto
rappresenterebbe, in questa accezione, una novità assoluta nel nostro panorama
legislativo328.
In secondo luogo, resta da chiarire quale sia l'ambito oggettivo entro il quale
detto effetto è destinato ad esplicarsi: in altri termini, ci si chiede se il
consolidamento, così come prevede la lettera del comma 2, riguardi i soli debiti
328
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 837.
L'atecnicità dell'espressione è messa in luce anche da A. LA MALFA - F. MARENGO,
Transazione fiscale e previdenziale, cit., 199, nt. 62: gli Autori rilevano criticamente che in ambito
civilistico si allude al “consolidamento” dei debiti bancari con riferimento alla loro rinegoziazione
convenzionale (per ciò che riguarda le scadenze, il tasso di interesse e le garanzie); sempre in
ambito privatistico si parla atecnicamente di consolidamento delle ipoteche nell'ipotesi in cui siano
esenti da revocatoria fallimentare. Ancora, cosa del tutto diversa è l'istituto del bilancio
consolidato, per non parlare del consolidato fiscale di cui agli artt. 117 e ss. t.u.i.r. Ancora, L.
MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 685, definisce tale espressione “anodina”.
152
d’imposta che trovino la propria fonte nelle dichiarazioni che il contribuente è tenuto
a depositare contestualmente alla domanda di transazione, ivi comprese le
dichiarazioni integrative, nonché negli avvisi di irregolarità eventualmente notificati
a seguito della liquidazione delle medesime dichiarazioni, cui si aggiungono, per
espressa previsione di legge, gli importi contenuti in avvisi di accertamento non
ancora iscritti a ruolo o in ruoli già vistati ma non ancora consegnati al
concessionario della riscossione; oppure se, al di là della formulazione testuale della
norma, la cristallizzazione si estenda anche ai crediti che trovino la propria fonte in
atti non espressamente contemplati dall’art. 182ter, quali processi verbali di
constatazione, inviti al contraddittorio, atti impositivi diversi dagli avvisi di
accertamento in senso stretto (si pensi agli atti di contestazione ex art. 16 del d. lgs.
n. 472/1997, ovvero agli “avvisi di liquidazione e rettifica” in materia di imposta di
registro, ipotecarie e catastali, nonché alle comunicazioni contenenti gli esiti del
controllo formale delle dichiarazioni dei redditi ex art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973).
Ancora, non è chiaro se la “certificazione” che l'Amministrazione è tenuta a
rilasciare debba comprendere solo i dati già noti al momento della presentazione
dell'istanza, intendendosi come tali i maggiori tributi (con relative sanzioni ed
interessi) contenuti in atti impositivi precedentemente notificati al contribuente, in
aggiunta ovviamente a quelli scaturenti dall'attività liquidatoria prevista dalla norma,
oppure debba riguardare anche nuova materia imponibile, contenuta atti emessi
soltanto a seguito della proposizione di un’istanza di transazione fiscale.
Strettamente connessa alla precedente questione è la tematica afferente alla
portata, solo “endo-concorsuale” o anche “sostanziale”, del consolidamento del
debito tributario. In altre parole, occorre chiarire se con quella locuzione il
legislatore abbia inteso alludere ad una quantificazione del debito d'imposta con
efficacia limitata alla sola procedura di concordato preventivo; o se, all'opposto,
detta quantificazione abbia risvolti anche sul piano tributario, nel senso di precludere
del tutto l'esercizio di ogni successiva attività accertativa, costringendo
conseguentemente l'Amministrazione ad anticipare i controlli di merito di propria
competenza nel ridotto lasso temporale previsto dall'art. 182ter. E, qualora si optasse
per questa seconda soluzione, è giocoforza interrogarsi in ordine ai presupposti in
presenza dei quali opererebbe l'asserito consolidamento “sostanziale”: occorrerebbe
153
chiarire se sia necessario, a tal fine, il consenso dell'Amministrazione finanziaria
(naturalmente manifestato con il voto positivo espresso in sede di adunanza dei
creditori, o nei venti giorni successivi ex art. 178 legge fall.), ovvero se possa
reputarsi sufficiente la sola omologazione della proposta di concordato da parte del
Tribunale, indipendentemente dall'assenso del Fisco.
Ancora, sempre in relazione al menzionato effetto di consolidamento, ci si
interroga sull'obbligatorietà della certificazione dei carichi tributari prescritta dal
comma 2 e sulle conseguenze del mancato rilascio, posto che nessuna sanzione è
stata prevista dal legislatore a presidio di quel paventato obbligo.
Infine, strettamente connessa alla problematica da ultimo citata è la questione
relativa alla perentorietà o meno del termine di trenta giorni contemplato dall'art.
182ter per il rilascio di quella certificazione: come si è avuto modo di illustrare nel
precedente capitolo, su tale aspetto non vi è ancora unanimità di vedute, nonostante
sembri prevalente in dottrina la tesi, avallata anche dalla giurisprudenza di
legittimità, che ritiene perentorio detto termine.
In questa sede, dunque, saranno esaminate nel dettaglio le diverse criticità che
tuttora circondano l'effetto di “consolidamento del debito fiscale” di cui al comma 2,
ed in particolare il profilo dell'eventuale preclusione di ogni successiva attività di
accertamento dell'Amministrazione finanziaria. A tal fine, saranno esaminate le
diverse soluzioni interpretative che sono state all’uopo prospettate da dottrina,
giurisprudenza e prassi amministrativa; si illustrerà poi una possibile, diversa chiave
interpretativa, che sembra essere meglio in grado di adattarsi al menzionato carattere
“ibrido” della transazione fiscale, in linea con i principi generali che governano vuoi
il diritto tributario, vuoi la disciplina delle procedure concorsuali.
Si possono comunque anticipare sin da ora le conclusioni che saranno
sviluppate meglio nel prosieguo: la lettura che si intende proporre è quella che
considera il consolidamento come quantificazione del debito tributario sì definitiva,
ma avente una valenza esclusivamente endo-procedimentale, o meglio endo-
concorsuale, in quanto finalizzata a determinare il complessivo ammontare dei
crediti tributari al solo fine di misurare il voto spettante all'Amministrazione
finanziaria in sede di adunanza, nonché il quantum cui applicare le percentuali di
154
soddisfazione proposte dall'imprenditore concordatario.
Pertanto si ritiene che il consolidamento debba essere circoscritto al solo
versante “concorsuale” della transazione fiscale, senza che esso operi anche sul
diverso piano tributario: in altri termini, la determinazione del carico fiscale esistente
alla data di presentazione della proposta non preclude l'esercizio dei normali poteri di
accertamento di cui l'Amministrazione finanziaria è, e resta, titolare. Va da sé,
tuttavia, che i medesimi poteri andranno esercitati in presenza dei presupposti e nel
rispetto degli ordinari termini di decadenza previsti dalla normativa tributaria, e non
nel ridotto lasso temporale di trenta giorni che l'art. 182ter accorda all’ufficio per il
rilascio della certificazione.
Ovviamente, qualora si accettasse questa premessa, si porrà poi il problema di
stabilire quale sia il trattamento da riservare ai maggiori crediti d'imposta derivanti
da avvisi di accertamento o altri atti impositivi emanati successivamente
all'omologazione del concordato preventivo: la risposta, anche in questo caso, non
potrà prescindere dal confronto con le regole generali che governano la procedura
concordataria, fra cui spicca in particolare la norma di cui all'art. 184 legge fall.
Si cercherà, poi, di trovare una soluzione soddisfacente anche per le altre
questioni cui in precedenza si è fatto cenno (trattamento da riservare agli atti
impositivi diversi da quelli espressamente contemplati dalla norma, obbligatorietà o
meno degli adempimenti che la norma pone a carico dell'ufficio e del concessionario,
nonché perentorietà del relativo termine), con la precisazione che si tratta,
comunque, di problematiche fra loro strettamente interconnesse.
2. La posizione dell'Agenzia delle Entrate.
Sulla portata del consolidamento la posizione ufficiale dell'Amministrazione
finanziaria è piuttosto restrittiva: la più volte menzionata circolare n. 40/E del 2008,
infatti, afferma a chiare lettere che l'intervenuta conclusione di una transazione
fiscale non preclude l'esercizio dei normali poteri di accertamento relativamente alle
annualità interessate dall'accordo, purché ne sussistano i relativi presupposti329.
329
Lo stesso principio è ribadito anche in una Guida elaborata dall’Ufficio Riscossione della
Direzione Regionale della Sicilia, dal titolo “Il Fisco a sostegno delle imprese in crisi”, in
www.sicilia.agenziaentrate.it/: a p. 15 dell'opuscolo si legge infatti che “resta salva la possibilità
155
In particolare, è utile analizzare nel dettaglio le istruzioni contenute nel
paragrafo 5.2 di tale documento di prassi, rubricato appunto “consolidamento del
debito fiscale”. In esso, innanzitutto, si invitano gli uffici, previa verifica dei requisiti
cui la legge subordina l'ammissibilità della proposta di transazione, a provvedere,
qualora ne ricorrano i presupposti, ai necessari adempimenti connessi con l'attività di
“controllo”, quali la liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e la notifica
delle relative comunicazioni di irregolarità, nonché la notifica degli avvisi di
accertamento, entro il termine di 30 giorni dalla presentazione della domanda di
transazione fiscale.
Quanto alla preliminare verifica di ammissibilità, la circolare prevede che
l’istanza dovrà essere corredata dal piano di concordato di cui all'art. 160 e dalla
documentazione di cui all'art. 161, oltre che da una copia delle dichiarazioni per le
quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici e delle dichiarazioni integrative
relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda. Ancora, il
medesimo documento di prassi contiene un minuzioso elenco degli elementi che la
proposta dovrà contenere330, sottolineando l'importanza che la medesima sia redatta
nel modo più analitico ed esauriente possibile, in analogia con le regole che
disciplinano la redazione di una proposta di concordato preventivo331. L'ufficio
pertanto, anche alla luce della documentazione allegata all’istanza di transazione,
sarà chiamato ad appurare la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1 dell’art.
per l'Amministrazione di esercitare attività accertatrice ulteriore relativa ai tributi oggetto di
transazione in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”.
330
In particolare: le indicazioni complete del contribuente, gli elementi identificativi della procedura
di concordato preventivo in corso, la completa ed esauriente ricostruzione della posizione fiscale
del contribuente, così come a lui nota e con indicazione di eventuali contenziosi pendenti,
l’illustrazione della proposta di transazione, con indicazione dei tempi, delle modalità e delle
garanzie prestate per il pagamento, l'indicazione del contenuto del piano concordatario, nonché
ogni elemento che il contribuente riterrà utile all'accoglimento della proposta, e che comunque
ponga l'ufficio in condizione di effettuare le relative valutazioni: cfr. pp. 31 e 32.
331
A parere dell'Agenzia, nonostante l'art. 182ter non disciplina la forma ed il contenuto della
domanda di transazione, intendendo il legislatore valorizzare al massimo l'autonomia delle parti
nella formulazione della medesima, la circostanza che l'istituto sia finalizzato alla conclusione di
un accordo per la ristrutturazione e la soddisfazione, anche parziale, del debito tributario
imporrebbe comunque una elevata minuzia e precisione nella predisposizione di tale domanda.
Sull’onere da parte del proponente di un’illustrazione analitica della proposta, al fine di renderla
meritevole di considerazione positiva e quindi ammissibile, si espresso recentemente G.
GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1123.
156
182ter: in particolare, sotto il profilo soggettivo, dovrà accertare il superamento delle
soglie dimensionali di cui all'art. 1 legge fall. e lo stato di crisi dell'imprenditore
proponente, mentre quanto all'oggetto della proposta occorrerà verificare la tipologia
dei crediti d’imposta interessati, la loro natura privilegiata o chirografaria e la
legittimità del tipo di trattamento ai medesimi riservato.
Occorre però rilevare che dette verifiche non richiedono un rigore estremo:
nell'ipotesi qui esaminata, in cui la transazione fiscale accede ad un concordato
preventivo, l'Amministrazione finanziaria, infatti, sarà sufficientemente garantita
dalla presenza dell'autorità giudiziaria. In particolare, il Tribunale è tenuto ad
esprimere una duplice valutazione332 sulla proposta di concordato e sull'annessa
domanda di transazione fiscale; l'intera procedura, poi, si svolge sotto il costante
controllo del giudice delegato. Ancora, ulteriori garanzie sono offerte dalle
incombenze devolute al commissario giudiziale: in particolare, saranno di estrema
importanza sia la verifica dell'elenco nominativo dei creditori e debitori ex art. 171,
dovendo il commissario appurare se siano stati inseriti anche i crediti vantati
dall'Erario, sia la relazione di cui all'art. 172, che l'ufficio sarà tenuto a valutare
accuratamente prima di esprimere il proprio voto sulla proposta (di transazione e
concordato insieme)333. Ben diverso, invece, sarà il caso della transazione proposta
nell'ambito delle trattative che precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione
dei debiti, come si vedrà più avanti: basti accennare qui alla circostanza che, poiché
l'autorità giudiziaria interviene soltanto in un momento successivo, ad accordo già
concluso, l'Amministrazione sarà chiamata ad una valutazione più stringente in
merito ai presupposti di accesso all'istituto di cui all'art. 182bis, onde evitare che il
332
Al Tribunale, infatti, compete una valutazione preliminarmente di ammissibilità della proposta, che
secondo l’indirizzo giurisprudenziale oramai consolidato si traduce in un giudizio di legittimità
formale e sostanziale. Successivamente, in sede di omologazione, lo stesso Tribunale sarà
chiamato ad esprimere un giudizio che, in assenza di opposizioni, sarà anche qui di mera
legittimità, in quanto volto ad accertare la regolarità della procedura e l'esito della votazione; in
presenza di opposizioni, invece, l'autorità giudiziaria, assunti i mezzi istruttori all'uopo necessari, è
tenuta a formulare un giudizio esteso anche al merito della proposta, dovendo sindacarne la
maggiore convenienza rispetto alle altre alternative concretamente praticabili (trattasi del cram
down power di cui al comma 4 dell'art. 180). Sui poteri del Tribunale cfr. ex multis Trib. Roma, 18
settembre 2010, decr., in Dir. fall., 2011, II, 18 e ss.
333
Del resto, la stessa circolare invita gli uffici a tener conto della relazione di cui all'art. 172, sotto il
profilo della valutazione del merito della proposta di transazione e dell'eventualità di sollevare
contestazioni già in sede di adunanza: cfr. pp. 39 e 40.
157
rilevante dispendio di risorse, tempo ed energia su una proposta di accordo sia
vanificato dalla mancata omologazione del medesimo per difetto proprio dei
prescritti requisiti.
Una volta terminata la verifica preliminare dei presupposti di ammissibilità
della proposta di transazione, gli uffici dovranno procedere agli adempimenti
connessi con l'attività di “controllo” previsti dalla medesima circolare n. 40/E, da
compiersi nel termine, qualificato come non perentorio, di 30 giorni dalla
presentazione della domanda.
Sotto questo ulteriore profilo, il documento di prassi si limita a prevedere la
sola “liquidazione delle imposte derivanti dalle dichiarazioni” e la successiva
“notifica delle relative comunicazioni di irregolarità”, nonché la “notifica di avvisi
di accertamento”, da espletarsi prima della predisposizione e trasmissione della
certificazione attestante il complessivo debito tributario. Le istruzioni impartite dalla
circolare n. 40/E non specificano esattamente che cosa debba intendersi con
l'espressione “liquidazione”, ma è indubbio che essa si riferisca alle procedure di cui
agli art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 in materia di imposte dirette e 54bis del d.P.R.
n. 633/1972 in materia di Iva334. Nel documento, poi, è contenuto un accenno al caso
in cui l'ufficio competente a valutare la proposta di transazione in ragione dell'ultimo
domicilio fiscale del debitore sia diverso da quello competente in base al domicilio
risultante alla data di presentazione della dichiarazione da liquidare: in tal caso, viene
sottolineata l'esigenza di un rapido coordinamento fra i due uffici interessati, per
garantire un più puntuale assolvimento delle rispettive incombenze (si intende,
rilascio della certificazione e votazione in adunanza, di spettanza del primo, e
liquidazione delle imposte con notifica del relativo esito di irregolarità, di
competenza del secondo).
Nulla viene precisato, invece, riguardo all'ulteriore procedura di controllo
formale delle dichiarazioni dei redditi di cui all'art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973, per
cui non è chiaro se, a parere dell'Agenzia, entro il termine di 30 giorni l'ufficio
334
Che infatti sono rubricati rispettivamente “Liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e
dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni” e “Liquidazione dell'imposta dovuta in base alle
dichiarazioni”. Occorre precisare che in sede di transazione fiscale i controlli di cui trattasi
vengono espletati con modalità manuali, e non in forma automatizzata come di regola avviene.
158
competente debba anche procedere alla verifica di tipo documentale ivi disciplinata.
Assodato ciò, occorre valutare quale sia la posizione dell'Amministrazione
finanziaria con riferimento all'attività di accertamento, o “controllo sostanziale”,
diversa da quella propriamente liquidatoria sin qui esaminata. In altri termini, si
tratta di verificare se la circolare imponga agli uffici anche l'obbligo di emanare e
notificare all'istante eventuali avvisi di accertamento relativi ai tributi ed alle
annualità di imposta interessate dalla proposta di transazione, previo esercizio dei
poteri istruttori di cui l'Erario è investito335; il tutto, ovviamente, nell'arco dei trenta
giorni previsti dall'art. 182ter, termine che, seppur espressamente qualificato come
non perentorio, andrebbe comunque rispettato per esigenze di celerità del
procedimento. Strettamente connesso a questo è il problema dell'efficacia preclusiva
del consolidamento del debito fiscale, ossia la possibilità di procedere ad ulteriore
attività accertativa anche a seguito dell'intervenuta conclusione di una transazione
fiscale.
Quanto al primo dei menzionati profili, la posizione dell’Agenzia della Entrate
non è del tutto chiara. Da un lato, le istruzioni impartite prevedono che
nell'identificazione del debito d’imposta gli uffici dovranno tener conto, tra l’altro,
degli avvisi di accertamento notificati, ovviamente per la parte non iscritta a ruolo:
tale precisazione potrebbe essere letta nel senso che l'ufficio competente, nel
predisporre la certificazione di cui all'art. 182ter, dovrà considerare i soli avvisi di
accertamento che siano stati già portati a conoscenza del debitore tramite la
procedura di notificazione, ancorché si tratti di atti non ancora definitivi. Ma allora
non sarebbe del tutto chiaro che cosa la stessa circolare abbia voluto intendere in un
precedente passaggio, quando, nel prescrivere all’ufficio i necessari adempimenti
connessi con l’attività di controllo, menzionava espressamente anche la “notifica
degli avvisi di accertamento”, come se fosse possibile procedere all’emanazione ed
alla notifica di eventuali avvisi anche in un momento successivo alla proposizione
dell’istanza di transazione.
Lo stesso documento, poi, prevede che gli uffici dovranno tener conto, a fini
335
Trattasi dei poteri di cui agli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972, come si
vedrà meglio nel prosieguo.
159
istruttori, di eventuali processi verbali di constatazione, redatti dai verificatori a
seguito dell’ultimazione delle operazioni di ispezione e verifica e comunicati al
contribuente, nonché di inviti al contraddittorio inviati al medesimo: non è
specificato, in quali termini l’ufficio debba tenerne conto. Si potrebbe azzardare una
possibile chiave di lettura delle citate istruzioni, ipotizzando che l'ufficio abbia
l’obbligo di emanare un nuovo accertamento qualora ne ravvisi i necessari
presupposti, sulla base dei rilievi (formali e sostanziali) contenuti in processi verbali
di constatazione già redatti336, e/o in inviti al contraddittorio già notificati all'istante ai
sensi degli artt. 5 e 11 del d. lgs. n. 218/1997.
In ogni caso, non è previsto espressamente alcun obbligo di attivare ex novo
una verifica fiscale al momento della ricezione di una proposta di transazione, né di
procedere all'invio di inviti al contraddittorio, né altrimenti di esercitare qualcuno
degli altri poteri istruttori di cui l'ufficio è investito: poteri, questi, che come si
desume chiaramente dal menzionato documento di prassi, potranno essere esercitati
in un secondo momento, anche in seguito all'intervenuta conclusione della
transazione fiscale, con il rispetto delle sole condizioni previste dalla normativa
tributaria.
Su quest'ultimo punto, che attiene alla seconda delle problematiche cui sopra si
accennava, le istruzioni, viceversa, sono piuttosto chiare, affermando che “la
disciplina normativa non dispone la preclusione di ulteriore attività di controllo da
parte dell'Amministrazione finanziaria in caso di transazione fiscale. Ciò comporta
che è sempre possibile per l'Amministrazione finanziaria, ove ne ricorrano le
condizioni, l'esercizio dei poteri di controllo, con la conseguente determinazione di
un debito tributario superiore rispetto a quello attestato nella certificazione
rilasciata al debitore o altrimenti individuato al termine della procedura di
transazione fiscale, che l'Amministrazione finanziaria potrà far valere nei confronti
dello stesso contribuente che ha ottenuto l'omologazione del concordato nonché
degli obbligati in via di regresso”.
Ne deriva che l'omologazione della proposta di concordato non potrà avere
336
Trattasi dei verbali predisposti da militari della Guardia di Finanza o da funzionari dell'Agenzia
delle Entrate a seguito di verifica fiscale.
160
l'effetto di inibire l'esercizio degli ordinari poteri di controllo, ovviamente nel
rispetto, lo si ribadisce, delle relative “condizioni”: trattasi dei presupposti
disciplinati dalle norme generali di diritto tributario, fra cui l’osservanza dei termini
di decadenza previsti per la notifica di un atto impositivo337, nonché la possibilità di
emanare, entro quei termini, un nuovo accertamento, modificativo e/o integrativo di
un precedente avviso, nell'ipotesi di sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi da
parte dell'ufficio.
La tesi sostenuta nella circolare n. 40/E, secondo cui l'omologazione del
concordato preventivo o dell'accordo ex art. 182bis non sortirebbe alcun effetto
inibitorio nei confronti degli poteri di accertamento devoluti all'Amministrazione
finanziaria, vale sia nel caso in cui quest'ultima abbia rigettato la proposta di
transazione, sia nell'ipotesi inversa. Sotto questo secondo profilo, nel documento
viene prospettato l'esempio di una proposta di transazione avente ad oggetto il debito
d'imposta relativo ad un periodo per il quale non è stata ancora presentata la relativa
dichiarazione, in quanto non sono scaduti i termini all’uopo previsti: in tal caso,
“l'accettazione della proposta e la sua successiva omologazione, sia in sede di
concordato che di accordo di ristrutturazione, non preclude all'ufficio l'esercizio dei
poteri di controllo della relativa dichiarazione, presentata successivamente alla
omologa della transazione fiscale”.
Pertanto, dalla lettura del citato documento di prassi deriverebbe che l'ufficio,
nei trenta giorni successivi alla presentazione di una proposta di transazione fiscale,
debba innanzitutto procedere alla liquidazione (manuale) delle dichiarazioni
presentate dal contribuente (ivi comprese le dichiarazioni integrative), procedendo
eventualmente alla notificazione della relativa comunicazione di irregolarità qualora
dai controlli effettuati emerga un debito d'imposta superiore rispetto a quello
dichiarato, o gli importi indicati non risultino versati in tutto o in parte. In secondo
luogo, dovrà verificare se siano stati già emessi e notificati avvisi di accertamento
non ancora iscritti a ruolo, al fine di ricomprenderli nella certificazione. Ancora,
occorrerà verificare la presenza a sistema di processi verbali di constatazione e/o
inviti al contraddittorio già consegnati e/o notificati al debitore, e, nell’ipotesi in cui
337
Tali termini di decadenza, diversi a seconda della tipologia di imposta considerata, saranno meglio
illustrati nel prosieguo.
161
dai medesimi emergano violazioni di carattere formale e/o sostanziale, procedere
all'emissione ed alla tempestiva notificazione del relativo avviso di accertamento o
atto di contestazione ex art. 16 del d. lgs. n. 472/1997. Viceversa, l'ufficio non è
tenuto ad avviare nuove verifiche fiscali, inviare questionari, richiedere chiarimenti,
attivare indagini bancarie, o porre in essere altre attività istruttorie comunque volte
ad appurare l'esistenza di infrazioni alla normativa tributaria, e destinate a sfociare in
un atto impositivo da emanarsi necessariamente entro i trenta giorni dalla
presentazione dell'istanza: tali controlli sostanziali potranno sempre essere esercitati
in un secondo momento, e l'eventuale emersione di violazioni, precedentemente
sconosciute all'ufficio, legittimerà l'emanazione di nuovi avvisi di accertamento a
carico dell'istante, indipendentemente dall'approvazione della proposta di transazione
e dalla sua successiva omologazione.
In altri termini, sembrerebbe scorgersi fra le righe del documento di prassi
l'onere di considerare esclusivamente gli elementi istruttori già a disposizione
dell'ufficio alla data di presentazione di un'istanza di transazione: soltanto nel caso in
cui l'ufficio già disponga di tali elementi, nel senso di essere a conoscenza di
infrazioni formali o sostanziali rilevate in occasione di precedenti verifiche fiscali, o
formalizzate in inviti al contraddittorio già emessi, sarà tenuto a trasfondere detti
rilievi in atti impositivi da emanare e notificare nei trenta giorni dalla ricezione della
proposta. Resta inteso che l'emersione di nuovi elementi prima sconosciuti
all'Amministrazione, sopravvenuta all'omologazione del concordato, potrà
legittimare l'emanazione di un nuovo avviso, integrativo o modificativo del
precedente, ai sensi di quanto previsto dall'art. 43, comma 4 del d.P.R. n. 600/1973.
Ancora, la circolare ribadisce che l'ufficio dovrà tener conto di ruoli già vistati
ma non ancora consegnati al concessionario della riscossione, nonché dei ruoli al
medesimo consegnati nei trenta giorni successivi alla data di presentazione
dell'istanza, con esclusione, invece, dei ruoli già consegnati a quella data: anche gli
importi risultanti da tali ruoli devono essere ricompresi nella certificazione da
rilasciare al debitore.
All'esito delle verifiche di cui sopra, l'ufficio procederà a trasmettere la
“certificazione attestante il complessivo debito tributario”: la circolare non si
162
sofferma nel dettaglio sul contenuto della medesima, limitandosi solo a sottolinearne
la particolare importanza nel caso in cui il debito ricostruito dall'ufficio sia superiore
a quello indicato nella proposta di transazione, e la necessità di ricomprendervi anche
il debito Iva, di cui però esclude, almeno momentaneamente, la transigibilità338.
Senonché, utili indicazioni sul punto potrebbero trarsi dalle precisazioni
contenute in un precedente passaggio della medesima circolare, dove, con
riferimento alle imposte che possono formare oggetto di una transazione fiscale,
viene chiarito, in via solo esemplificativa, che la proposta può riguardare imposte
emergenti da dichiarazioni già presentate e non ancora liquidate, da dichiarazioni
integrative dirette a rettificare o integrare gli importi originariamente dichiarati (le
cosiddette “integrative a sfavore”), oppure ancora imposte derivanti dalla
liquidazione o dal controllo formale delle dichiarazioni dei redditi di cui
rispettivamente agli artt. 36bis e 36ter del d.P.R. n. 600/1973, ovvero il debito
d’imposta quantificato in atti di accertamento, avvisi di liquidazione, atti di recupero,
atti di contestazione e/o irrogazione di sanzioni, ancorché non definitivi, per la parte
non iscritta a ruolo, ed infine i crediti tributari iscritti a ruolo dagli uffici
dell’Agenzia.
Pertanto, se ne ricava che tutti i menzionati tributi debbano essere ricompresi
nella certificazione di cui al comma 2.
Inoltre, posto che la circolare prescrive che l’istanza di transazione debba
contenere, tra l’altro, l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti, anche i debiti
d’imposta sub iudice dovrebbero essere certificati.
3. Le opinioni espresse in dottrina.
In dottrina la problematica del “consolidamento” non ha trovato una soluzione
univoca, essendosi formato sul punto un ventaglio di opinione disparate339.
338
Si rammenti che il documento di prassi è datato 18 aprile 2008, epoca in cui era ancora dubbia la
possibilità di transigere il debito Iva: per questo motivo la circolare invita gli uffici ad escludere
tale imposta dalle transazioni fiscali (in attesa che si consolidi l'orientamento giurisprudenziale in
merito alla riconducibilità dell'Iva al novero delle “risorse proprie dell'Unione Europea”), pur
disponendo che la certificazione del debito tributario dovrà ricomprendere anche quello relativo
all'Iva.
339
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 837.
163
Una certa corrente dottrinale propone un'interpretazione della locuzione
piuttosto rigorosa e sicuramente penalizzante per l'Erario, ritenendo che
l'Amministrazione finanziaria, nei trenta giorni previsti dall’art. 182ter, sia obbligata
ad effettuare a carico del proponente, oltre ai controlli di carattere formale ivi
espressamente contemplati (consistenti nell'attività di liquidazione delle
dichiarazioni e notificazione dei relativi avvisi di irregolarità), anche quelli
sostanziali o di merito, onde non vedersi preclusa questa possibilità in un momento
successivo all’omologazione del concordato, anche a prescindere dall'eventuale
diniego espresso sulla proposta di transazione.
Altri Autori propendono invece per una nozione di “consolidamento del debito
fiscale” meno rigida, ritenendo che l'effetto preclusivo di cui trattasi si produca solo
nel caso in cui l'Amministrazione finanziaria abbia manifestato il proprio assenso
sulla proposta di transazione, tramite il voto favorevole espresso in sede di adunanza
dei creditori. Il voto negativo dell’ufficio, di contro, non comporterebbe alcun
congelamento degli ordinari poteri accertativi, che potrebbero pur sempre essere
esercitati in un secondo momento, nel rispetto dei soli termini decadenziali previsti
dalla normativa tributaria.
Una tesi estrema, poi, ritiene che all'Amministrazione finanziaria sia inibito del
tutto l'esercizio di ogni ulteriore attività accertativa per effetto della sola
certificazione rilasciata ai sensi del comma 2 dell'art. 182ter, indipendentemente non
soltanto dall'accettazione o meno della proposta di transazione, bensì anche
dall'omologazione del concordato.
Altri, all'opposto, escludono decisamente che la conclusione di una transazione
fiscale possa precludere in via definitiva il successivo ed eventuale esercizio degli
ordinari poteri accertativi: l'Amministrazione finanziaria, infatti, potrà in ogni caso
procedere all’esercizio degli stessi, entro i normali termini e sussistendo le
condizione previste dalla normativa tributaria. All'interno di questa corrente
dottrinale, poi, vi è chi propende per limitare il consolidamento, ed il connesso
effetto preclusivo, alla sola attività liquidatoria in senso stretto, consistente
nell’effettuazione di controlli automatizzati sulla dichiarazione finalizzati ad
appurare l’esistenza di errori di calcolo o omissioni di versamenti: ad essa infatti
alluderebbe il concetto di “liquidazione” impiegato dal legislatore, laddove sarebbe
164
sempre possibile il successivo esercizio dei controlli sostanziali e l'emissione dei
conseguenti atti di accertamento.
Sarà opportuno, dunque, procedere ad una più dettagliata ricognizione delle
diverse tesi prospettate in dottrina e delle svariate argomentazioni (alcune di sapore
squisitamente letterale, altre di carattere logico - sistematico) addotte a supporto
delle medesime, prima di tentare l'individuazione di una soluzione interpretativa che
appaia coerente, giova ribadirlo, con i principi generali che governano sia il diritto
tributario sia la disciplina delle procedure concorsuali.
Soccorre tuttavia una precisazione. Si parlerà di consolidamento in senso
“sostanziale” con riferimento a quelle soluzioni interpretative che optano per la
preclusione di ogni ulteriore attività di accertamento, facendola derivare ora dalla
mera omologazione del concordato, ora dall'assenso dell'Amministrazione
finanziaria, ora dalla certificazione del complessivo carico tributario rilasciata
dall’ufficio. In tale prospettiva, la “valenza sostanziale” del consolidamento va intesa
come estensione degli effetti della transazione fiscale al distinto versante tributario:
essa dunque allude all’incidenza che l’accordo transattivo avrebbe sulla posizione
fiscale del debitore, al di fuori del ristretto ambito concorsuale.
All'opposto, in relazione a quelle teorie che escludono ogni effetto inibitorio
sugli ordinari poteri accertativi, si parlerà di consolidamento “formale” o “endo-
concorsuale”, appunto ad intendere che la definizione delle pendenze fiscali rileva
soltanto nell'ambito ed agli effetti propri della procedura concorsuale in cui ha luogo
la transazione con il Fisco, senza interessare il distinto versante propriamente
tributario dell’istituto.
3.1. La tesi dell'effetto preclusivo del consolidamento conseguente
all'omologazione del concordato preventivo.
Un’autorevole e risalente corrente dottrinale340 ritiene che la sola omologazione
340
Cfr. soprattutto L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1084; L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e
concordato preventivo tra lacune normative e principi del concorso, cit., 321 e 322; P.
PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 661 e 662, il quale tuttavia precisa che l'effetto
preclusivo di cui trattasi è condizionato alla definitività del decreto di omologazione, benché il
concordato possa essere successivamente annullato o risolto (inoltre, l'A. aggiunge che tale effetto
si produrrà soltanto per i tributi costituenti oggetto dell'accordo transattivo, che si auspica siano
tutti quelli per i quali vi è anche contestazione, con l'effetto di estinguere i contenziosi). Cfr. anche,
165
del concordato ai sensi dell'art. 181 legge fall. avrebbe l'effetto di inibire del tutto il
successivo esercizio dei normali poteri accertativi relativamente ai tributi ed alle
annualità d'imposta oggetto dell'accordo transattivo, anche qualora
l'Amministrazione finanziaria non sia ancora decaduta dal relativo potere.
Tale conclusione non deriverebbe dal tenore letterale dell'art. 182ter, posto che
dal medesimo non sembrerebbero rinvenirsi indicazioni univoche in ordine alla
sussistenza di una vera e propria preclusione in capo all'Amministrazione finanziaria
relativamente all'emanazione di ulteriori provvedimenti impositivi; a supporto della
medesima tesi, piuttosto, sono state ravvisate motivazioni di “ragionevolezza”.
Si è sostenuto, infatti, che qualora gli uffici potessero “mettere in discussione” i
risultati concordati con la controparte privata, mercé una successiva attività
accertativa, l'accordo transattivo perderebbe significativamente di efficacia,
divenendo poco appetibile: così interpretata, infatti, la norma di cui all’art. 182ter
rischierebbe di non trovare applicazione alcuna nella pratica, in quanto il debitore
non trarrebbe alcun effettivo giovamento dalla transazione, mentre tutti gli altri
creditori sarebbero esposti all'alea della effettiva realizzazione del piano di
concordato, compromessa proprio della sopravvenienza di nuovi o maggiori tributi
conseguenti ad atti impositivi emanati successivamente alla chiusura della procedura
concorsuale. L'interpretazione più ragionevole della nozione di “consolidamento”, o
meglio l'unica che consentirebbe di evitare il depotenziamento della transazione,
sarebbe appunto quella che esclude del tutto la possibilità di emanare,
successivamente all'intervenuta omologazione del concordato, atti di imposizione a
carico dell'istante, con la conseguente preclusione di ulteriori controlli di merito sui
tributi oggetto della proposta di cui all’art. 182ter.
La bontà di questa soluzione interpretativa sarebbe confermata anche dalla
ratio che sottende l’istituto, ossia l’intento di consentire all'impresa in crisi di tornare
in bonis e “ripartire da zero”, anche per il tramite di una ristrutturazione definitiva e
sia pure in senso fortemente critico, S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato
preventivo, cit., 5. Più di recente, a favore della tesi de qua si sono pronunciati M. POLLIO, La
transazione fiscale, cit., 1850 e 1851, A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, Ipsoa,
Milano, 2010, 305, E. TERZANI, La transazione fiscale. Effetti tipici dell'istituto e classi
omogenee di creditori concorsuali, in Fisco, n. 16/2011, fascicolo 1, 2527, nonché G. GAFFURI,
Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1122.
166
non più modificabile dei propri carichi fiscali: nella transazione, dunque, tale dottrina
ravvisa un proficuo strumento capace di imprimere un'accelerazione all'intero tessuto
economico – produttivo italiano, puntando alla valorizzazione dei complessi
aziendali ancora in grado di produrre valore tramite la definitiva sistemazione delle
pendenze verso l'Erario, le quali rappresentano nella maggior parte dei casi buona
parte del passivo d'impresa341. La sopravvivenza dei poteri accertativi, pertanto,
rischierebbe di vanificare la portata innovativa della disposizione, annullando gli
encomiabili sforzi che il legislatore ha fatto a sostegno delle imprese in crisi.
Ancora, al di là della motivazione attinente alla stabilità del piano
concordatario, si è detto che non avrebbe molto senso imporre all'Amministrazione
di quantificare la pretesa, sulla quale verrebbe a coagularsi il consenso del debitore e
sostanzialmente quello degli altri creditori, se poi l'importo fornito dall'ufficio
dovesse essere ritenuto solo indicativo e suscettibile di ulteriori integrazioni, magari
tali da rendere inattuabile il concordato: se la ratio dell'istituto è non solo quella di
ottenere un incasso più rapido e certo, ma soprattutto quella di favorire il recupero
dell'impresa in difficoltà sgombrando l'orizzonte dal rischio fiscale, sarebbe
inevitabile interpretare la disposizione nel senso di imporre all’ufficio la rinuncia ad
avvalersi compiutamente degli strumenti e dei tempi ordinariamente riconosciutigli
dalla legge, accettando di quantificare il credito per le annualità ancora non definite
in modo necessariamente sommario342. E ciò avverrebbe anche nell'ipotesi in cui
l'Amministrazione ritenga la proposta non accettabile, posto che il tenore letterale
della norma non sembra operare distinzioni. Tale soluzione, poi, sarebbe tutt'altro
che irrazionale, in quanto finalizzata anche a sollecitare la collaborazione del
creditore pubblico, non potendosi escludere che il proponente, alla luce della
quantificazione prodotta dal Fisco, modifichi in un secondo momento la propria
proposta in senso migliorativo per la controparte.
Ancora, elementi ulteriori (che potremmo definire “di sistema”)
avvalorerebbero tale lettura: fra di essi in particolare vi sarebbe l'effetto processuale
estintivo di cui al comma 5 della citata disposizione, il quale andrebbe riferito non
341
Cfr. P. PANNELLA, L’incognita transazione fiscale, cit., 662.
342
Cfr. V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 270 e 271.
167
solo alle controversie già pendenti ma anche a quelle potenziali (e che del resto,
come si vedrà meglio oltre, sembrerebbe discendere anch’esso dalla sola
omologazione del concordato), nonché il principio del ne bis in idem, il quale
imporrebbe che, una volta intervenuta la definizione del complessivo carico fiscale
all'esito della procedura di concordato, non sarebbe ammissibile una “riapertura” del
contenzioso limitata ai soli crediti tributari, salve le sole possibilità di reclamo,
risoluzione o annullamento del concordato con le modalità previste dalla legge
fallimentare.
Ne conseguirebbe anche che l'attività accertativa, essendo successivamente
inibita, dovrebbe essere portata a compimento nei trenta giorni successivi alla
presentazione dell'istanza di transazione: in capo all'Amministrazione finanziaria,
pertanto, si configurerebbe un vero e proprio obbligo di espletare i controlli
sostanziali in quel ridotto lasso temporale343. La medesima dottrina, tuttavia, non
manca di rilevare criticamente l'eccessiva brevità di detto termine, anche in
considerazione del fatto che l'Amministrazione potrebbe essere tenuta a svolgere
attività istruttorie particolarmente complesse, e che i dati comunicati dal contribuente
potrebbero risultare errati o incompleti: ciononostante, viene esclusa decisamente la
natura meramente ordinatoria del termine di cui all’art. 182ter, a ciò ostando sia la
terminologia impiegata dal legislatore344, sia le esigenze di celerità e snellezza che
connotano la procedura di concordato. Né tale rilievo critico, pur fondato, potrebbe
scalfire la ragionevolezza della soluzione proposta.
Un ulteriore e più recente filone interpretativo345 fonda l'effetto preclusivo de
343
La tesi della sussistenza di un vero e proprio obbligo in tal senso è sostenuta in particolare da L.
TOSI, La transazione fiscale, cit., 1082: “è pacifico che tale attività – ossia quella che
l'Amministrazione finanziaria è tenuta a svolgere nei trenta giorni dalla presentazione della
domanda di transazione, n.d.r. - avrà ad oggetto i controlli che vengono abitualmente effettuati
mediante procedure automatizzate, come confermato dalla circostanza che il contribuente è tenuto
ad allegare alla propria proposta di transazione solamente le dichiarazioni per le quali non è
pervenuto l'esito di detti controlli. Più dubbio, invece, è che l'Amministrazione finanziaria sia
obbligata ad effettuare [...] controlli sostanziali a carico del contribuente, preclusivi di successive
attività accertative. A tale interrogativo pare che, se non altro sulla base di criteri di
ragionevolezza, si dovrebbe dare risposta affermativa”.
344
Secondo cui “l'ufficio deve “trasmettere la certificazione “non oltre trenta giorni”.
345
Cfr. S. LA ROCCA, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, in Boll. trib., n. 3/2011, 190.
168
quo su considerazioni di carattere pratico-operativo: pur condividendo la posizione
cautelativa espressa dall'Agenzia delle Entrate nella citata circolare n. 40/E, con
riferimento soprattutto alle ipotesi di successiva emersione di palesi e gravi
violazioni della normativa tributaria (si pensi alla scoperta di operazioni fittizie o
fraudolente, tali da aver consentito l'occultamento di ingente materia imponibile o
l'evasione di cospicui redditi), sono stati avanzati dubbi in merito alla concreta
possibilità di esercitare i poteri di verifica ed accertamento a seguito non tanto
dell'approvazione di una proposta di transazione, ma anche della sola omologazione
del concordato346. Secondo questa opinione la potestà accertativa, anche se
astrattamente sarebbe in grado di sopravvivere alla chiusura dell'iter di concordato,
in concreto dovrebbe cedere il passo alle ulteriori esigenze poste dall'istituto di cui
all'art. 182ter, che potrebbe comportare la rinuncia all'incasso delle imposte dovute
nei termini di legge o addirittura la falcidia parziale delle medesime: trattasi di
conseguenze rilevanti, che però sarebbero in linea con l'estinzione di ogni residuo
potere impositivo.
3.2. La tesi dell'effetto preclusivo conseguente al consenso prestato
dall'Amministrazione finanziaria sulla proposta di transazione fiscale.
Altra corrente dottrinale ritiene che l'effetto di consolidamento in termini
sostanziali si produca solo nell'ipotesi in cui l'Agenzia abbia espresso voto
favorevole in sede di adunanza, con conseguente accettazione della proposta di
transazione (e della domanda di concordato preventivo allo stesso tempo): in caso di
voto negativo, invece, non si verificherebbe alcuna cristallizzazione del debito
tributario ed il Fisco conserverebbe i suoi normali poteri accertativi347.
346
Secondo S. LA ROCCA, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, cit., 190, infatti, i
rilevati dubbi in ordine alla concreta possibilità di un successivo esercizio dei poteri di
accertamento si porrebbero, oltre che con riferimento all'ipotesi di accettazione della proposta
transattiva, anche “nel caso di omologazione da parte del Tribunale fallimentare”, il che induce a
ritenere che secondo l'A. il menzionato effetto preclusivo si verificherebbe anche nel caso di
mancata approvazione da parte dell'Erario.
347
Cfr. G. FAUCEGLIA, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, cit., 496; A.
PENTA, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e carattere autonomo o
dipendente della transazione fiscale, cit., 242; E. STASI, La transazione fiscale, cit., 739 e 740;
ID., Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1184; L. TROMBELLA, La transazione
169
Tale corrente dottrinale muove dall'assunto secondo cui la funzione precipua
da attribuirsi all'istituto di cui all'art. 182ter sarebbe condensata nei due effetti,
definiti appunto “tipici”, di consolidamento del debito erariale e cessazione della
materia del contendere, non già nella sola possibilità di falcidiare le pretese creditorie
vantate dal Fisco: alle medesime, infatti, potrà essere ugualmente destinato un
trattamento remissorio e/o dilatorio anche senza un’istanza di transazione fiscale,
essendo all'uopo sufficiente quanto previsto dall'art. 160. Inoltre, il carattere
vincolante del piano concordatario omologato, stante il principio generale di cui
all’art. 184 e l’effetto esdebitatorio ivi contemplato, si imporrebbe anche
all'Amministrazione finanziaria, nonostante il suo eventuale dissenso. Le
disposizioni di cui ai menzionati artt. 160 e 184, infatti, dettano regole generali,
informate al principio della par condicio creditorum, e pertanto sono pienamente
applicabili ad ogni credito ammesso a partecipare ad una procedura di concordato,
ivi compresi i crediti tributari. Per conservare dunque all’art. 182ter una qualche
utilità, evitando che la medesima norma si riduca ad una pleonatistica esplicitazione
di principi già vigenti, l'unica interpretazione possibile sarebbe quella che ne ravvisa
la ratio nella definitiva ed incontrovertibile quantificazione del debito tributario, sul
duplice versante sostanziale (preclusione di ogni ulteriore controllo di merito del
Fisco) e processuale (estinzione delle liti in corso): la conclusione di una transazione
fiscale, dunque, produrrebbe effetti “diversi ed ulteriori” rispetto a quelli remissori
e/o dilatori sulle preesistenti obbligazioni, ivi comprese quelle tributarie. E tali
ulteriori effetti non potrebbero prescindere dal consenso dell’Amministrazione.
Nemmeno si potrebbe ritenere, riduttivamente, che la funzione dell'art. 182ter
sia solo quella di consentire la votazione dell'ufficio e del concessionario. Se
l'intenzione del legislatore fosse stata solo quella di disciplinare l'espressione del
voto da parte dell'Amministrazione finanziaria, senza che ad esso sia attribuito alcun
effetto ulteriore rispetto al voto espresso da ogni altro creditore, non vi sarebbe stato
il bisogno di regolare in termini così minuziosi l'attività ricognitiva della
complessiva posizione debitoria del proponente nei confronti dell'Erario: un simile
fiscale: dalle incertezze interpretative alle interpretazioni azzardate, cit., 279 e 280; G.
ANDREANI, L'Iva e la transazione fiscale, cit.,791 e ss; D. PISELLI,Concordato e transazione
fiscale, cit., 8.
170
risultato, infatti, si sarebbe potuto ottenere altrimenti, senza necessità di introdurre
una norma ad hoc (ad esempio, integrando il precetto di cui all'art. 90 del d.P.R. n.
602/1973348, ovvero intervenendo in via amministrativa tramite una fonte di
normazione secondaria o una circolare).
A ben guardare anche tale chiave di lettura, al pari di quella esaminata nel
paragrafo precedente, poggia su considerazioni che potremmo definire di
ragionevolezza, sia pure in senso parzialmente dissimile. Se la corrente dottrinale
prima esaminata, infatti, considera la ragionevolezza in termini di appetibilità e
convenienza dell'istituto, ossia rispondenza all'effettivo interesse del debitore (che
non avrebbe alcun motivo per attivare una transazione qualora non potesse
conseguire alcuna definitiva cristallizzazione della propria esposizione verso l'Erario,
rimanendo soggetto ad eventuali ed ulteriori controlli di merito), l'opinione
interpretativa qui esaminata sembrerebbe intendere la ragionevolezza in chiave di
utilità e non superfluità dell'art. 182ter (posto che la citata disposizione sarebbe
perfettamente inutile se la sua funzione fosse limitata a consentire la falcidia dei
crediti tributari anche contro la volontà dell'Amministrazione, essendo all'uopo
sufficienti, come visto, le norme che disciplinano il contenuto della domanda di
concordato preventivo ex art. 160 e l’obbligatorietà del medesimo ex art. 184).
Anche le altre argomentazioni addotte a supporto della teoria che àncora il
consolidamento sostanziale all'assenso dell'Amministrazione non sono molto
dissimili da quelle in precedenza esaminate a proposito della tesi che riconosce
all'omologazione del concordato valenza preclusiva rispetto all'ulteriore attività di
accertamento. Così, si è ritenuto che l'espressione “transazione” che campeggia nella
rubrica dell'art. 182ter sarebbe un chiaro indice della volontà legislativa di attribuire
all'istituto il significato di una definitiva chiusura delle partite debitorie nei confronti
del Fisco, onde consentire all'impresa di uscire dalla crisi e tornare in bonis, a meno
di non voler ipotizzare che il legislatore sia stato tanto distratto da scrivere una cosa
348
Tale disposizione regola le modalità di riscossione coattiva dei tributi iscritti a ruolo nell'ipotesi di
ammissione del debitore al concordato preventivo (e all'abrogata procedura di amministrazione
controllata), stabilendo che “il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività
necessaria ai fini dell'inserimento del credito da esso portato nell'elenco dei crediti della
procedura”.
171
diversa da quella che invece realmente pensava e voleva349: questa motivazione si
rifà direttamente alla ratio dell'istituto.
Ancora, anche secondo la teoria qui esaminata la cristallizzazione definitiva
dell'esposizione debitoria nei confronti dell'Erario sarebbe avvalorata, sotto il profilo
sistematico, dalla previsione di cui al comma 5 dell'art. 182ter, che deroga alla regola
generale della prosecuzione, anche in seguito all'omologazione del concordato, degli
ordinari giudizi di cognizione aventi ad oggetto l'esistenza e l'ammontare dei crediti
contestati ex art. 176, comma 1. A ciò andrebbe anche aggiunta la statuizione
contenuta nell'art. 4 del D.M. 4 agosto 2009 in tema di transazione dei crediti
previdenziali e assistenziali: tale disposizione, nel richiedere all'impresa
concordataria il riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi
e premi, nonché la rinuncia a tutte le eccezioni che possono influire sull'esistenza e
sull'azionabilità dello stesso, sembra muovere dall'implicito presupposto che un
corrispondente vincolo sinallagmatico debba parimenti gravare anche sull'ente
creditore350.
Viene sottolinea anche la bontà di questa possibile lettura sotto il profilo della
stabilità e realizzabilità dell'intero piano concordatario: la possibilità di transigere
controversie non più conciliabili351, unitamente al blocco degli accertamenti futuri,
costituirebbero condizioni stabilizzanti del concordato preventivo, evitando future
lievitazioni del passivo concordatario da soddisfare, nell'interesse sia del debitore sia
degli altri creditori, i quali non sarebbero costretti a subire la successiva limitazione
delle risorse originariamente destinate alla soddisfazione delle loro pretese.
Il congelamento dei poteri accertativi dell'Erario e l'estinzione delle liti
tributarie costituirebbero dunque il “cuore” dell'istituto, rappresentandone i due
aspetti maggiormente attrattivi, posto che altrimenti la disposizione di cui all'art.
182ter risulterebbe “spuria, contraddittoria e affetta da dubbi di
349
Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 1209.
350
Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 1185 e 1209.
351
Come si vedrà meglio oltre, infatti, la transazione determina la cessazione delle tutte le liti
attualmente in corso, ivi comprese quelle pendenti in secondo grado di giudizio o in sede di
legittimità, le quali non potrebbero formare più oggetto di una proposta di conciliazione giudiziale
ex art. 48, comma 2 del d. lgs. n. 546/1992.
172
incostituzionalità”352.
Una volta rilevato che l'assenso dell'ufficio comporta la definitiva
consumazione dei normali poteri accertativi, anche tale dottrina ravviserebbe in capo
all'Amministrazione finanziaria e agli altri enti interessati un vero e proprio obbligo
di svolgere l'attività istruttoria prevista dalla legge, non limitata alla mera
liquidazione delle dichiarazioni ma comprensiva anche dei controlli di merito, da
concludere nell'arco dei trenta giorni di cui all'art. 182ter353. Il problema della
eccessiva brevità di detto lasso temporale, soprattutto in considerazione dei tempi
piuttosto lunghi che ordinariamente sono necessari per l'espletamento delle verifiche
fiscali di tipo sostanziale, sarebbe agevolmente superabile in un duplice modo: da un
lato, si potrebbe ritenere che tale termine sia meramente ordinatorio354, mentre
dall'altro lato si potrebbe ovviare a tale inconveniente con una confacente
organizzazione interna degli uffici deputati allo svolgimento di tali attività istruttorie,
adottando anche adeguate metodologie di controllo a campione sulle più significative
poste di bilancio355.
Occorre rilevare, ancora, che tale dottrina, proprio in considerazione dei
complessivi effetti “tipici ed ulteriori” che vengono riconnessi all'intervenuta
conclusione di una transazione fiscale, si preoccupa di accordare alla parte privata un
effettivo “margine di manovra”. In altri termini, si propende per la mera facoltatività
352
Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1580: l'A. sottolinea appunto che le due opportunità
apparentemente accessorie previste dall'art. 182ter costituiscono, in realtà, il nucleo centrale della
transazione fiscale, consentendo la chiusura di ogni vertenza esistente o potenziale.
353
Tuttavia D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 15, ritiene che l'attività di verifica che
l'Amministrazione è tenuta a svolgere nel brevissimo termine di cui al comma 2 sia circoscritta ai
soli controlli effettuabili mediante procedure automatizzate, senza che esista l'obbligo di attivare
controlli sostanziali a carico del contribuente.
354
Cfr. E STASI, La transazione fiscale, cit, 738 e 739, il quale ritiene che la perentorietà del termine
di trenta giorni sembrerebbe “in contrasto con la ratio dell'istituto, che è chiaramente quella di
favorire la composizione della crisi”.
355
Cfr. sempre E STASI, La transazione fiscale, cit., 1210. L'esigenza di garantire una più efficace
trattazione delle istanze di transazione da parte degli uffici dell'Agenzia delle entrate è sottolineata
anche dalla circolare n. 20/E del 16 aprile 2010, in cui viene caldeggiato l'affidamento delle
medesime a personale con competenze professionali idonee a garantire che l'istituto trovi concreta
attuazione.
173
della transazione, sicché l'imprenditore in crisi non avrebbe alcun obbligo di
presentare la relativa proposta nel caso in cui la procedura di concordato sia destinata
ad incidere anche su crediti tributari.
L’istanza di cui all’art. 182ter, infatti, può essere presentata solo ove il debitore
intenda fruire di quegli effetti tipici. Tale assunto muove da una considerazione
dell'istituto in termini di costi/benefici: se la transazione arreca all'imprenditore
indubbi vantaggi, rappresentati dalla definitiva chiusura di ogni pendenza, attuale o
soltanto potenziale, con il Fisco, tuttavia essa comporterebbe anche un costo non
trascurabile per la parte privata, rappresentato in primo luogo dalla necessità di
pagare integralmente sia l'Iva sia le ritenute non versate. A pesare sarebbe soprattutto
il divieto di trattamento remissorio attualmente vigente per l'Imposta sul valore
aggiunto, la quale occupa il 19° posto nell'ordine dei privilegi di cui all'art. 2778 c.c.:
pertanto, letto l'art. 182ter in combinato disposto con l'art. 160, comma 2, si
renderebbe necessario il pagamento integrale anche di tutti gli altri crediti antegati al
credito Iva, al fine di non alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione356.
Viceversa, al di fuori dell'art. 182ter nessuna disposizione di legge prescrive
l'obbligo di pagare integralmente l'Imposta sul valore aggiunto o il debito per le
ritenute non versate, con la conseguenza che con la sola domanda di concordato
preventivo l'imprenditore potrà proporre una soddisfazione percentuale anche di tali
tributi e dei relativi accessori, dovendosi attenere esclusivamente alle condizioni di
cui al comma 2 dell'art. 160.
In secondo luogo, potrebbe verificarsi l'ipotesi in cui siano stati emessi nei
confronti dell'imprenditore atti impositivi manifestamente infondati, che lo stesso ha
già impugnato o avrebbe tutto l'interesse ad impugnare: in tale evenienza la
conclusione di una transazione, comportando l'immediata cessazione delle liti in
corso o potenziali, e la conseguente intangibilità delle pretese erariali contenute in
tali atti, sarebbe una soluzione non conveniente per la parte privata.
Alla luce di queste considerazioni, la corrente dottrinale qui esaminata ritiene
che la proposizione di una transazione fiscale sia meramente facoltativa, e come tale
356
Tale argomentazione è stata prospettata anche in giurisprudenza: cfr. Trib. La Spezia, 1° luglio
2009, cit.
174
rimessa all'insindacabile apprezzamento del debitore concordatario: in altre parole
sarebbe lo stesso a dovere scegliere, all'esito di un'oculata comparazione
costi/benefici, se attivare la disciplina speciale di cui all'art. 182ter, fruendo della
definitiva chiusura di tutte le partite debitorie ancora aperte con il Fisco, ma con
l'obbligo di integrale pagamento del debito Iva e di quello per le ritenute non versate,
oppure limitarsi a proporre un trattamento remissorio e/o dilatorio dei crediti fiscali o
contributivi, ivi compresi anche i crediti per i tributi da ultimo citati, nell'ambito di
un piano di concordato non accompagnato da una proposta di transazione fiscale, che
dunque non consenta di ottenere né il congelamento dei residui poteri accertativi
dell'Erario né l'estinzione delle liti in corso357.
La prospettata facoltatività della transazione fiscale, ancora, oltre ad assicurare
il rispetto delle finalità perseguite dalla legge, si armonizzerebbe perfettamente con
la logica del sistema nel quale l'istituto è inserito, oltre ad evitare un'inammissibile
forzatura del dato testuale, che utilizzando l'espressione “può proporre” lascerebbe
intendere che l'imprenditore non ha alcun obbligo di presentare un'istanza di
transazione fiscale nell'ipotesi in cui la procedura di concordato preventivo da lui
attivata interessi anche crediti “pubblici”.
3.3. La tesi dell'effetto preclusivo conseguente al rilascio della
certificazione di cui al comma 2.
Altra corrente dottrinale, ancora, anticipa l'effetto preclusivo di cui trattasi,
collegandolo al rilascio della certificazione di cui al comma 2 dell'art. 182ter358. Il
legislatore, infatti, avrebbe consapevolmente inteso cristallizzare i debiti d’imposta
esistenti alla data della menzionata certificazione, senza lasciare agli uffici alcuno
spazio per l'esecuzione di controlli ulteriori, ed accordando al debitore l'indubbio
vantaggio di ancorare a quella data la sua complessiva esposizione nei confronti
dell'Erario.
357
Cfr. E STASI, La transazione fiscale, cit., 1200 e ss.
358
Cfr. S. GOLINO, La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 6705 e ss..
Sembrerebbe aderire a tale opinione anche M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1580, poiché
ricollega al mancato rilascio della certificazione la sopravvivenza degli ordinari poteri istruttori in
capo all'ufficio.
175
Ne deriverebbe una lettura della locuzione “consolidamento del debito fiscale”
ancora più rigorosa e pregiudizievole per l'Erario di quelle sinora prospettate, posto
che l'effetto preclusivo, lungi dal discendere dall'omologazione della domanda di
concordato ovvero dall'accettazione della proposta di transazione da parte
dell'Amministrazione, sarebbe riconducibile al semplice rilascio della certificazione
delle pendenze tributarie. Sembrerebbe pertanto che la sorte della procedura
concorsuale non abbia alcuna rilevanza: il diniego dell'Amministrazione, oppure la
mancata omologazione del concordato, non potrebbero far “rivivere” gli ordinari
poteri accertativi, rimasti definitivamente congelati per effetto di quella
certificazione. Sicchè, il debito d'imposta che l'Erario può pretendere sarebbe
solamente quello certificato, senza possibilità di incrementarlo per effetto di
successivi controlli di merito sulla posizione fiscale dell’imprenditore.
Né a supporto dell'opposta conclusione, ossia della tesi secondo la quale
l'ufficio, anche dopo il rilascio della certificazione ed in pendenza degli ordinari
termini di decadenza, potrebbe pur sempre accertare tributi maggiori rispetto a quelli
certificati, sarebbe invocabile in via analogica l'istituto dell'accertamento con
adesione, ed in particolare la norma di cui all'art. 2, comma 4, lettera a) del d. lgs. n.
218/1997359: la disciplina in materia di transazione fiscale, infatti, non prevede alcuna
norma che sia vagamente assimilabile a quella da ultimo citata. Inoltre la
transazione, essendo parte integrante del procedimento di concordato preventivo,
sconta anch’essa la regola dettata dall'art. 175, comma 2, che sancisce
l'immodificabilità della proposta di concordato dopo l'inizio delle operazioni di voto
da parte dell'assemblea dei creditori. Ne deriverebbe che l'ammontare complessivo
del debito tributario risultante dalla certificazione rilasciata dall’ufficio non potrebbe
essere successivamente incrementato, in via unilaterale ed autoritativa, a discapito
non solo del proponente ma anche degli altri creditori concordatari.
Tale indirizzo dottrinale si spinge ancora oltre, fino ad escludere radicalmente
anche la possibilità di espletare controlli di merito immediatamente dopo la
359
Detta disposizione prevede la possibilità di esercitare ulteriore azione accertatrice entro i termini
previsti dall'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 nel caso in cui “sopravviene la conoscenza di nuovi
elementi”, da intendersi come elementi di valutazione non precedentemente noti all'ufficio, da cui
risulti un imponibile maggiore rispetto a quello quantificato nell'avviso di accertamento
precedentemente concluso con l'adesione del contribuente.
176
presentazione della proposta di transazione e prima del rilascio della certificazione:
muovendo dal tenore letterale dell'art. 182ter, che parla di “debito derivante da atti
di accertamento ancorché non definitivi”, questa dottrina ritiene che il legislatore
abbia inteso riferire il consolidamento ai soli atti impositivi già notificati alla data di
presentazione dell'istanza di transazione, escludendo la possibilità di emanare nuovi
avvisi, anche nelle ipotesi in cui risultino processi verbali di constatazione già
consegnati al contribuente ovvero rilievi non ancora trasfusi in un atto formale di
accertamento360. Ad ulteriore riprova della fondatezza di tale assunto viene addotta
anche l'eccessiva brevità del termine di trenta giorni di cui all'art. 182ter, troppo
esiguo per espletare le complesse attività istruttorie previste dalla normativa
fiscale361. La funzione della certificazione sarebbe dunque quella di “raccogliere” e
cristallizzare in via definitiva i soli elementi di qui l'ufficio già dispone.
Pertanto sia la lettera che la ratio dell'art. 182ter indurrebbero a ritenere che
all'Erario sia preclusa ogni azione che comporti l’emanazione di nuovi avvisi di
accertamento dopo la ricezione della domanda di transazione, dovendo limitarsi a
consolidare il debito tributario già esistente a quella data; a fortiori, si dovrebbe
escludere l'esperimento di azioni volte ad accertare nuova materia imponibile dopo
che l’ufficio abbia rilasciato la certificazione, quand'anche sopravvengano ulteriori
elementi di valutazione prima non conosciuti.
Il mancato rilascio della certificazione, all’opposto, legittimerebbe la
sopravvivenza degli ordinari poteri istruttori in capo all'ufficio: questo, in ragione
360
Negli stessi termini cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit., 3021.
361
Cfr. S. GOLINO, La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 6705: “il
termine di trenta giorni per la “certificazione” potrebbe essere congruo per le attività di più
semplice e rapida esecuzione, come la liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni
ex art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e relativi avvisi di irregolarità, o per gli accertamenti
notificati ma non ancora definitivi perché sub iudice o perché non ancora iscritti a ruolo, ma non
è sufficiente per eventuali accertamenti da eseguire […] Infatti, per l’esecuzione di verifiche
presso la sede del soggetto da controllare l’ufficio non potrebbe disporre del pur breve termine di
trenta giorni previsto dall’art. 12, comma 5, della L. 27 luglio 2000, n. 212, tenuto conto dei tempi
tecnici necessari per l'avvio della verifica e per la successiva stesura e notifica dell'avviso di
accertamento. Lo stesso vale per i poteri che attengono all'invio di questionari, all'invito a
comparire o ad esibire documenti, e per tutti gli altri inviti e richieste per i quali l'ufficio deve
fissare, per l'adempimento da parte del contribuente, un termine minimo di quindici giorni dalla
data della notifica […]. Da ciò deriva la concreta impossibilità di ricorrere a tutti gli strumenti di
controllo diversi da quelli resi possibili dall’esame della documentazione già in possesso degli
uffici”.
177
delle norme speciali sull'accertamento e sulla riscossione dei tributi, potrà sempre
integrare o modificare le proprie pretese sino al termine di decadenza e/o
prescrizione dell'azione di accertamento e/o riscossione362.
La medesima dottrina, tuttavia, non manca di sottolineare le “smagliature”
insite nella disciplina dell'istituto. In particolare, la necessaria simultaneità del piano
concordatario e della annessa proposta di transazione imposta dal comma 1 dell'art.
182ter comporta che alla data di presentazione del primo il debitore non conosca
ancora con esattezza l'entità della propria esposizione debitoria nei confronti del
Fisco, di cui sarà reso edotto soltanto all'atto del rilascio della certificazione di cui al
comma 2. Potrebbe dunque rendersi successivamente necessaria una modifica del
piano originario, con la revisione dello schema di riparto delle risorse disponibili fra
tutti i creditori, nell'ipotesi in cui il debito tributario certificato dall'Agenzia risulti
essere maggiore di quello inizialmente quantificato dal proponente363: a tal fine
potrebbe ipotizzarsi l'applicazione in via analogica della norma di cui al comma 1
dell'art. 162, che riconosce al Tribunale il potere di accordare al debitore un termine
non superiore a 15 giorni (che decorrerebbe in tal caso dal rilascio della
certificazione da parte dell'Agenzia), per proporre le necessarie integrazioni al piano
e produrre nuovi documenti. Tuttavia, anche un termine maggiorato rispetto a quello
ordinario potrebbe rivelarsi insufficiente, soprattutto se si dovesse reputare
necessaria una nuova relazione da parte del professionista.
Le accennate difficoltà di ordine pratico inducono tale dottrina a propugnare,
ovviamente in una prospettiva de iure condendo, un'anticipazione della proposta di
transazione rispetto alla domanda di concordato: invertendo l'attuale iter procedurale,
e quindi facendo in modo che il debitore disponga già della certificazione rilasciata
dall'Amministrazione al momento in cui chiede l'ammissione alla procedura
362
Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1580 e 1581.
363
La possibilità di modificare il piano concordatario a seguito delle liquidazioni e certificazioni
provenienti dagli uffici fiscali è confermata da E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato
preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in www.ilcaso.it, II, 104/2008, 32, nt. 54:
l'A. sottolinea come tali modifiche debbano essere apportate in tempo utile rispetto all'adunanza
dei creditori, dovendo considerare il Tribunale un congruo lasso di tempo (compatibile con le
esigenze di celerità e speditezza della procedura) per permettere agli uffici la liquidazione e la
certificazione dei debiti tributari.
178
concorsuale, sarà possibile predisporre il piano di cui all'art. 160 tenendo conto
anche del complessivo debito d’imposta, oramai consolidato e non più suscettibile di
subire incrementi. Ciò permetterà al proponente di elaborare uno schema pressoché
definitivo di destinazione delle risorse di cui dispone, su cui i restanti creditori
potranno fare affidamento al momento della votazione.
3.4. La tesi contraria all'effetto preclusivo del consolidamento.
Altra parte della dottrina, viceversa, esclude che il “consolidamento del debito
fiscale” debba essere inteso in senso sostanziale, disconoscendo dunque che la
conclusione di una transazione fiscale, e, a fortiori, la mera omologazione del
concordato preventivo in assenza del voto favorevole dell’ufficio, abbiano l'effetto di
obbligare l'Amministrazione finanziaria ad anticipare i propri controlli sostanziali,
inibendo del tutto ogni ulteriore attività accertativa364.
In primo luogo l'art. 182ter non conterrebbe alcun divieto espresso di
successivo esercizio dei normali poteri di accertamento e rettifica delle dichiarazioni,
come invece sarebbe necessario365. Né tale preclusione potrebbe ricavarsi dalla
disposizione che prevede la cessazione della materia del contendere, poiché questa
atterrebbe esclusivamente al versante processuale dell’istituto, operando
364
Cfr. ex multis S. LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, in Riv.
dir. trib., 2008, I, 330; E. MATTEI, Transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo,
cit., 596; ID., La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione
dei debiti, cit., 746; A. MAFFEI ALBERTI, Transazione fiscale, in Commentario breve alla legge
fallimentare, Cedam, Padova, 2009, 1088; L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 686 e 687;
G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel
concordato preventivo, cit., 148 e ss. ; M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, in Il
concordato preventivo, cit., 284; A. FELICIONI, La transazione fiscale e contributiva, cit., 37.
Dubbioso circa l'esistenza di un obbligo in capo all'ufficio di effettuare controlli sostanziali in capo
al contribuente è S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197; E. CECCHERINI, La
transazione fiscale. Aspetti di procedura e contraddizioni, cit., 351 e 352.
365
Cfr. S. LA ROSA, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, cit., 330, nonché E.
MATTEI, Transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, cit., 596, nt. 62:
nonostante l'A. sottolinei la portata dirompente del mantenimento del potere accertativo in capo
all'Amministrazione finanziaria, potendo il maggiore onere sopravvenuto sovvertire gli esiti di una
procedura concordataria già omologata, tuttavia egli afferma chiaramente che la norma, così com'è
formulata, decisamente non lascia presupporre deroghe alla normativa sull'accertamento, lasciando
intatti i poteri officiosi in capo all'Amministrazione finanziaria. In tema di accordi di
ristrutturazione, invece, l'A. ritiene che sarà possibile rinunciare all'azione accertatrice con
l'inserimento di apposita clausola nel testo della convenzione, acclarati i costi-benefici
dell'opzione.
179
esclusivamente sulle liti tributarie già instaurate e non potendo dunque riguardare
l'attività di accertamento, che si colloca sul distinto versante amministrativo. Tant'è
che quando il legislatore intende inibire ulteriori attività di controllo sostanziale fa
ricorso ad espressioni verbali ad hoc, che esplicitamente menzionano tale effetto
preclusivo366.
Ancora, è stato argomentato che, ragionando diversamente, si dovrebbe
ritenere che le norme tributarie relative al potere di accertamento devoluto
all’Amministrazione finanziaria, che ne disciplinano condizioni, modalità di
esercizio e termini di decadenza, siano state modificate da una norma specifica,
inserita nel contesto della legge fall., la quale fra l'altro nemmeno prevede
esplicitamente una siffatta deroga: il che non parrebbe ammissibile367.
Escluso dunque che la transazione fiscale, una volta perfezionata con il voto
favorevole dell’ufficio e l’omologazione del concordato, possa inibire il successivo e
pur sempre eventuale esercizio dei controlli di merito sulla posizione fiscale del
contribuente, la medesima dottrina ha anche tentato di interpretare la disciplina
normativa di cui all’art. 182ter in modo coerente tanto con i caratteri di fondo della
tutela giurisdizionale in materia tributaria, che sarebbe una giurisdizione di tipo
esclusivamente impugnatorio, rimessa pertanto all'esclusiva iniziativa del
366
Si pensi all'art. 2, comma 3 del d. lgs. n. 218/1997, il quale dispone che “L'accertamento definito
con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte
dell'ufficio”, mentre il successivo comma 4 prevede tassativamente le ipotesi in cui è possibile
l'esercizio di ulteriore attività accertatrice. Cfr. anche l'art. 10ter della l. n. 8 maggio 1998, n. 146,
in materia di accertamento basato sulle risultanze degli studi di settore, che prevede le condizioni
alle quali opera la preclusione di ulteriori accertamenti basati su presunzioni semplici nel caso di
adesione ai contenuti degli inviti a comparire: cfr. C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato
preventivo in assenza di transazione fiscale, cit., 6440.
367
Cfr. G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel
concordato preventivo, cit., 149. L'A. è fortemente critico anche con chi ritiene che l'effetto di
consolidamento, sia parziale che assoluto, possa derivare in modo automatico dal semplice silenzio
dell'ufficio: da un lato, infatti, sarebbe irragionevole una norma che prevedesse, solo per il Fisco,
la compressione dei propri diritti di difesa, sino a riconoscere all'istituto del concordato preventivo,
nei confronti unicamente di questo creditore, una funzione accertativo-giurisdizionale che esso
invece non ha nei confronti di nessun altro creditore. Dall'altro, l'esperibilità di una transazione
fiscale anche all'interno degli accordi ex art. 182bis, dove non può negarsi l'assoluta potestatività
adesiva dell'Amministrazione, escluderebbe ogni automatismo anche nell'ambito del concordato
preventivo. Secondo l'A., “L'ipotesi di automatica definitività assoluta della pretesa tributaria, in
ipotesi di silenzio degli uffici finanziari, porterebbe con sé una conseguenza decadenziale
specifica che solo la legge – quella speciale in materia, tra l'altro – potrebbe/dovrebbe stabilire
espressamente”.
180
contribuente inciso dall'atto impositivo, quanto con la struttura propria del
concordato preventivo, dove manca del tutto una fase di accertamento giudiziale dei
crediti ammessi368. Ne deriva, da un lato, che senza lo speciale procedimento di cui
all'art. 182ter l'Amministrazione finanziaria sarebbe costretta necessariamente a
subire la quantificazione del debito d’imposta effettuata unilateralmente dal debitore
nell'ambito della proposta di concordato: nell'impossibilità di modificarne
l'ammontare, ad essa nemmeno sarebbe data la facoltà di attivare un giudizio
finalizzato all'esatta quantificazione delle proprie pretese, dal momento che il nostro
ordinamento processuale tributario non prevede la possibilità di esperire azioni
giudiziarie di accertamento positivo dei crediti fiscali.
Dall'altro lato, l'assenza di una fase di autentica verifica giudiziale del passivo
nell'ambito della procedura di concordato preventivo confermerebbe ulteriormente il
pregiudizio che l'Erario subirebbe nell'ipotesi in cui gli fosse disconosciuta la
possibilità di determinare, o contribuire a determinare, l'entità delle proprie pretese.
A tal fine è stato messo in luce che il ruolo, pur rilevante, accordato al commissario
giudiziale non sarebbe all'uopo sufficiente, in quanto egli, ai sensi di quanto previsto
dal comma 1 dell'art. 171, è tenuto soltanto a verificare l'elenco dei creditori sulla
scorta delle sole scritture contabili dell'imprenditore, rimanendogli perciò ignoto
tutto ciò che esuli dalle medesime. Ancora, nonostante il commissario sia tenuto a
comunicare ai creditori un avviso contenente, tra l'altro, la proposta del debitore,
mettendoli in condizione di partecipare all’adunanza in modo consapevole ed
informato, e di sollevare in quella sede eventuali contestazioni in merito
all'ammontare dei rispettivi crediti, si è purtuttavia rilevato che la votazione avverrà
comunque sulla base del contenuto di quella proposta, e quindi commisurando la
quantità dei voti spettanti a ciascun partecipante al quantum ivi determinando, fatte
salve eventuali contestazioni.
Onde evitare questi inconvenienti, pertanto, il legislatore avrebbe previsto un
meccanismo che consente all'Amministrazione di quantificare il reale debito
d'imposta, sottraendola così al rischio di subire il pregiudizio di una determinazione
368
Cfr. C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale,
cit., 6438 e 6439.
181
operata unilateralmente dal debitore in modo non veritiero né agevolmente
rettificabile: l'iter di cui all'art. 182ter avrebbe dunque la funzione di garantire che
l'Erario abbia l'ultima parola in punto di quantificazione delle proprie pretese ai fini
dello svolgimento della procedura concordataria, senza che il perfezionamento
dell'accordo transattivo sortisca l'ulteriore effetto di inibire in via definitiva
l'esercizio dei controlli di merito. In questa prospettiva, dunque, con la locuzione
“consolidamento del debito fiscale” il legislatore avrebbe inteso alludere soltanto a
quella quantificazione, e dunque ad una determinazione del carico tributario dotata di
valenza esclusivamente procedimentale: gli effetti sarebbero quindi circoscritti al
solo ambito concorsuale, senza interessare il distinto versante tributario.
Da ciò si fa discendere anche l'obbligatorietà della transazione fiscale in
presenza di crediti tributari da sottoporre a falcidia, onde evitare che le pretese
dell'Amministrazione siano lasciate in balia del solo debitore concordatario.
Nell'ambito del filone interpretativo qui esaminato merita una particolare
menzione la tesi di Antonino La Malfa, uno dei principali studiosi della materia, il
quale si è sforzato di definire in modo chiaro la portata “procedimentale” del
consolidamento369.
Secondo La Malfa la “cristallizzazione” del complessivo debito d'imposta
varrebbe ai soli fini dell'espressione del voto dell'Agenzia in sede di adunanza dei
creditori; viceversa, sarebbe da escludersi ogni definitiva ed irretrattabile
quantificazione di quel debito anche agli effetti dell'esecuzione del piano
concordatario (ciò che La Malfa definisce in termini di “consolidamento
sostanziale”): ne deriva che anche durante tale fase sarà sempre possibile sollevare
contestazioni dinanzi al giudice competente. L'estensione del consolidamento anche
alla fase dell'adempimento del concordato, infatti, comporterebbe un'inammissibile
compressione dei diritti di tutela giurisdizionale di entrambe le parti coinvolte nella
vicenda, cozzando contro i principi fondamentali del nostro ordinamento, tra cui in
primis l'art. 24 Cost; sicché in sede di esecuzione del concordato le eventuali
contestazioni che dovessero sorgere relativamente all'entità, alla composizione e alle
369
Cfr. A. LA MALFA, Transazione fiscale e previdenziale, cit. 197 e ss., nonché La transazione dei
crediti fiscali, cit.,1442 e ss.
182
garanzie che assistono il credito erariale potranno essere azionate dinanzi all'autorità
giudiziaria competente (in tal caso si tratta della Commissione tributaria),
analogamente a quanto avviene per ogni altro credito concordatario ai sensi della
regola sancita in via generale dall'art.176, comma 1.
La Malfa esclude un consolidamento sostanziale dei crediti tributari muovendo
da un duplice presupposto. Da un lato, l'art. 182ter si limiterebbe a disciplinare la
procedura da seguire per addivenire alla determinazione complessiva e “consolidata”
del debito d'imposta, scandendo i diversi passaggi in cui tale iter si articola, senza
tuttavia precisare su quale importo, indicato da quale soggetto, si determini il
consolidamento. Dall'altro lato, l'effetto di consolidamento verrebbe ad intersecare il
generale ed inviolabile principio di riserva di giurisdizione in materia tributaria.
Quanto al primo profilo, secondo l'Autore non si desume chiaramente dalla
norma se l'ammontare del debito tributario che verrebbe a consolidarsi sia quello
indicato dall'imprenditore nella sua proposta di transazione, oppure quello risultante
dalle certificazioni rilasciate dagli uffici fiscali e dal concessionario della riscossione.
Ritenere, tuttavia, che il consolidamento si determini sul quantum indicato dal
proponente non avrebbe molto senso, sia perché sarebbe iniquo e pregiudizievole per
il Fisco subire una cristallizzazione delle proprie pretese sulla scorta delle sole
indicazioni unilaterali del contribuente, sia perché tale interpretazione renderebbe
inutili le attività di liquidazione, notifica e certificazione prescritte dalla norma.
Muovendo da tali considerazioni, dunque, l'Autore ritiene che il consolidamento si
riferisca all'ammontare indicato dall'Amministrazione nella certificazione rilasciata,
salvo poi rilevare le criticità derivanti dall'assenza di un contraddittorio fra le due
parti volto alla definizione concordata del quantum da consolidare370. Ne deriva,
come corollario, che il consolidamento del debito d’imposta nella misura
determinata dall'Amministrazione, in via unilaterale ed autoritativa, andrebbe inteso
esclusivamente in chiave procedurale, e non anche in termini sostanziali, pena la
violazione dei diritti di difesa della controparte privata.
370
L'A. critica apertamente la tesi di PANNELLA (cfr. L'incognita transazione fiscale, cit., 644 e ss.),
secondo cui la transazione sarebbe una forma di determinazione dell'intera esposizione debitoria
fiscale che deve avvenire nel contraddittorio fra le parti, in quanto l'istituto non sembra prefigurare
un contraddittorio, ma soltanto atti unilaterali del proponente prima e degli uffici fiscali poi: cfr. A.
LA MALFA, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 199, nt. 63.
183
Quanto al rilievo relativo della riserva di giurisdizione, per la quale è devoluta
alla cognizione esclusiva delle Commissioni tributarie ogni contestazione in merito
alla debenza, all'ammontare e agli elementi accessori dei tributi, escludendo in radice
possibili interferenze sia del giudice delegato che di ogni altro organo di giustizia
ordinaria o speciale, La Malfa sottolinea che sarebbe in contrasto con tale riserva un
definitivo accertamento dei crediti tributari operato in sede concorsuale. Senza
contare che nell'ambito del concordato preventivo non è prevista alcuna fase di
accertamento formale dei crediti ammessi, sicché il passivo concordatario, così come
indicato nella proposta ed eventualmente modificato dal giudice delegato, vale ai soli
fini del voto: qualora in sede di adunanza sorgano contestazioni in merito
all'esistenza, all'ammontare o alle garanzie che assistono taluni crediti, queste
saranno risolte dal giudice delegato con provvedimento a cognizione sommaria, la
cui efficacia, cioè, è limitata unicamente all'attribuzione del diritto di voto senza
incidere sulla reale portata del credito contestato. Nel caso in cui le contestazioni non
dovessero essere sopite dall'omologazione del concordato, esse saranno rimesse alla
cognizione ordinaria del giudice competente ex art. 176, comma 1.
Ora, l'effetto di consolidamento non mira ad introdurre alcuna deroga alla
disposizione da ultimo citata, limitandosi a dettare una norma eccezionale valevole
per i soli crediti tributari: la disciplina dettata dal comma 2 dell’art. 182ter ha
soltanto la funzione di determinare entro un breve lasso temporale le pretese
dell'Amministrazione finanziaria in vista dell'espressione del voto in sede di
adunanza, senza attendere i tempi ordinari dell'accertamento e del possibile
contenzioso (che generalmente richiedono anni). In tal modo vengono soddisfatte le
esigenze di rapidità ed efficacia proprie della procedura di concordato371; una volta
ottenuta l'omologazione, i crediti tributari subiranno la sorte di tutti gli altri crediti
d'impresa, con la possibilità di far valere eventuali contestazioni dinanzi al giudice
tributario.
Ne deriva che né il Fisco né il proponente hanno la possibilità di quantificare
unilateralmente il debito d’imposta anche agli effetti sostanziali: si intende così
371
Tali esigenze di celerità discendono dalla regola del voto per capitale, che impone una precisa
determinazione dei crediti al fine di verificare il raggiungimento delle maggioranze di cui all'art.
177.
184
evitare potenziali pregiudizi ai danni della controparte, alla quale viceversa deve
sempre consentirsi la difesa delle proprie ragioni nelle sedi giurisdizionali
competenti. Una diversa lettura darebbe luogo, infatti, ad una inaccettabile disparità
di trattamento, nonché a violazioni dei diritti di tutela giurisdizionale difficilmente
compatibili con i principi fondamentali del nostro ordinamento.
La fondatezza della tesi del consolidamento in senso sostanziale, poi, sarebbe
da escludersi anche alla luce delle situazioni che in concreto possono verificarsi.
Tralasciando l'ipotesi in cui il complessivo credito erariale ricostruito nella
certificazione rilasciata dall'Agenzia coincida con il quantum indicato dal proponente
(evenienza, questa, che non solleverebbe alcun problema), l'Autore analizza gli altri
due casi che possono presentarsi nella realtà operativa: certificazione contenente un
debito maggiore, e mancato rilascio della certificazione.
Nel primo caso la quantificazione rilevante, come già si è visto sopra, è quella
operata unilateralmente dall'Amministrazione finanziaria, ma se essa dovesse
ritenersi definitiva anche sotto il profilo sostanziale il contribuente non avrebbe
alcuna possibilità di controbattere, il che renderebbe la transazione fiscale
controproducente per lo stesso. In secondo luogo, nelle ipotesi (più diffuse nella
pratica) di concordato con assuntore o garante le modifiche dell'onere concordatario
imposte dalla certificazione rilasciata dal Fisco forzerebbero la mano di tale soggetto
terzo, potendo anche condurlo a rinunciare alla proposta. Né sarebbe possibile
pensare ad un intervento del giudice delegato volto a ridimensionare la portata delle
pretese erariali, essendo tale soggetto del tutto privo di giurisdizione in materia
tributaria. Tali considerazioni non escludono, tuttavia, che si produca un parziale
effetto di consolidamento sostanziale del credito erariale, nel senso che non può
essere consentito all'Amministrazione finanziaria di richiedere, successivamente al
rilascio della certificazione, il pagamento di somme ulteriori per gli stessi titoli. La
Malfa però esclude da questo limitato effetto di consolidamento i debiti scaturenti da
dichiarazioni non ancora presentate, perché tuttora pendenti i relativi termini: sui
medesimi, infatti, l'Agenzia non ha ancora avuto modo di svolgere alcuna attività
istruttoria.
L'altra ipotesi analizzata è quella in cui l'Amministrazione finanziaria non
rilasci alcuna certificazione nei 30 giorni dalla presentazione della proposta. La
185
Malfa, preliminarmente, nega la perentorietà di detto termine372, propendendo invece
per un'accezione sollecitatoria del medesimo: ne deriva che alla relativa scadenza il
debito d’imposta non potrà comunque ritenersi cristallizzato in via definitiva
secondo la misura determinata dall'istante. Tuttavia, non essendo possibile il
differimento sine die del voto in attesa della risposta dell'Amministrazione, è
comunque necessario che, decorso un ulteriore congruo lasso temporale senza che gli
uffici abbiano rilasciato la prescritta certificazione, magari fruendo anche di un
rinvio dell'adunanza, la procedura possa andare avanti: pertanto il giudice delegato
darà ugualmente corso all'adunanza dei creditori ed alla votazione, alla quale
l'Agenzia prenderà parte votando in base al quantum dichiarato dal proponente.
Anche in tal caso, dunque, il consolidamento del debito d'imposta, che in questa
ipotesi avviene secondo la misura indicata dal debitore, opererà ai soli fini del voto,
senza comportare alcuna cristallizzazione in termini sostanziali, cioè al di fuori della
procedura di concordato: altrimenti opinando, infatti, si determinerebbe una
inammissibile lesione dei diritti di tutela della parte pubblica, potenzialmente
soggetta a dichiarazioni riduttive contenute nella proposta concordataria. Ne deriva
che anche in questa seconda ipotesi i debiti tributari andrebbero parificati a tutti gli
altri in relazione al differimento ad altra sede giurisdizionale delle contestazioni sul
relativo ammontare, sulla composizione e sulla eventuale natura privilegiata.
Secondo La Malfa la tesi del consolidamento in chiave esclusivamente
procedurale sarebbe dunque l'unica possibile chiave di lettura dell'art. 182ter che non
intaccherebbe i principi generali che governano l’iter di concordato, tenendo conto
372
La perentorietà di tale termine sarebbe esclusa da motivazioni di carattere testuale (la legge, infatti,
non qualifica quel termine come perentorio, come invece sarebbe stato necessario secondo i
principi generali), nonché da argomentazioni di carattere sistematico (se al giudice delegato spetta
il potere di differire l'ultimazione delle operazioni dell'adunanza dei creditori ex art. 178, allora, in
linea di principio, i termini previsti per gli adempimenti concordatari vanno considerati come
sollecitatori e non rigorosamente perentori) e logico (il lasso temporale di 30 giorni sarebbe
assolutamente inadeguato e troppo breve rispetto alle esigenze dell'Amministrazione finanziaria, in
quanto “chiunque sia al corrente delle modalità operative dell'Amministrazione finanziaria sa che
trenta giorni è un arco di tempo insufficiente per compiere le liquidazioni dei tributi,
considerando poi che queste devono essere eseguite con sistemi manuali”: cfr. A. LA MALFA,
Transazione fiscale e previdenziale, cit., 207). L'A., inoltre, rileva che il mancato rispetto del
termine de quo non dipende necessariamente dall'inerzia degli uffici, ben potendo essere causato
dall'insufficienza della documentazione prodotta dal proponente. Pertanto, esclude che la norma
abbia carattere sanzionatorio puro: l'unica sanzione connessa al mancato rispetto del termine
sarebbe il “consolidamento” del credito tributario secondo la misura indicata dal proponente, ma ai
soli fini del voto dell'Agenzia in adunanza.
186
altresì dell’esigenza di tutelare ambedue le parti protagoniste della vicenda
transattiva: da un lato tale interpretazione consentirebbe alla procedura di procedere
speditamente verso l'omologazione, mentre dall’altro lato la soluzione di eventuali
contestazioni viene rimandata ad un momento successivo, in cui si verificherà la
definitiva quantificazione del debito d'imposta anche agli effetti sostanziali. Né
contro tale interpretazione potrebbe essere addotta l'esigenza di stabilità del
concordato e la necessità di impedire che le modifiche del fabbisogno concordatario
possano minare l'attuazione del piano, perché le stesse obiezioni sarebbero valide per
tutti gli altri crediti373; senza contare che all'inadempimento delle pretese tributarie
sarebbe sempre possibile reagire tramite il rimedio generale della risoluzione del
concordato.
3.5. La tesi del consolidamento in chiave esclusivamente liquidatoria.
Altra corrente dottrinale, ancora, circoscrive l'effetto preclusivo alla sola
attività di liquidazione in senso proprio dei tributi oggetto della proposta, escludendo
che la transazione fiscale possa avere una qualche ricaduta sulla distinta attività di
accertamento374.
Secondo questa tesi il consolidamento di cui al comma 2 comporterebbe la
definitiva cristallizzazione dei soli debiti tributari risultanti dai controlli cosiddetti
“automatizzati” effettuati dall’Agenzia ai sensi degli artt. 36bis del d.P.R. n.
600/1973 in materia di imposte dirette e 54bis del d.P.R. 633/1972 in materia di
Imposta sul valore aggiunto375; sarebbe dunque inibita all'ufficio soltanto la
373
Cfr. A LA MALFA, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 203: “La tesi per cui il
consolidamento tende ad evitare modificazioni dell'onere concordatario in fase di esecuzione non
convince, poiché variazioni anche notevoli di crediti successivamente all'omologazione sono
possibili e accadono sovente per tutti i crediti, e non solo per quelli fiscali, e non si vede alcun
motivo per cui solo debba accadere diversamente per i crediti erariali”.
374
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572 e ss; ID., La nuova transazione
fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione
endoconcorsuale, cit., 342; A. GUITTO, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei
crediti privilegiati insoddisfatti, in Fall., 2010, 1281; F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del
debito tributario nella transazione fiscale, cit, 839; G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-
procedimento facoltativo del concordato preventivo, cit., 714 e ss.; D. STEVANATO,
Transazione fiscale, cit., 843 e ss.
375
Giova riportare il testo di ambedue le disposizioni. L’art. 36bis (“Liquidazione delle imposte, dei
contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni”) prevede che “Avvalendosi
187
di procedure automatizzate, l'Amministrazione finanziaria procede, entro l'inizio del periodo
di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo, alla liquidazione delle imposte,
dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni
presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta. Sulla base dei dati e degli elementi
direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell'anagrafe
tributaria, l'Amministrazione finanziaria provvede a: a) correggere gli errori materiali e di
calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei
contributi e dei premi;b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto
delle eccedenze delle imposte, dei contributi e dei premi risultanti dalle precedenti
dichiarazioni;c) ridurre le detrazioni d'imposta indicate in misura superiore a quella prevista
dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;d) ridurre le
deduzioni dal reddito esposte in misura superiore a quella prevista dalla legge; e) ridurre i
crediti d'imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti
sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;f) controllare la rispondenza con la dichiarazione
e la tempestività dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di
acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d'imposta. Se vi
e' pericolo per la riscossione, l'ufficio può provvedere, anche prima della presentazione della
dichiarazione annuale, a controllare la tempestiva effettuazione dei versamenti delle imposte,
dei contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate
in qualità di sostituto d'imposta. Quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato
diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai controlli eseguiti
dall'ufficio, ai sensi del comma 2-bis,emerge un'imposta o una maggiore imposta, l'esito della
liquidazione e' comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta per evitare la reiterazione
di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali. Qualora a seguito della
comunicazione il contribuente o il sostituto di imposta rilevi eventuali dati o elementi non
considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, lo stesso può fornire i
chiarimenti necessari all'Amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al
ricevimento della comunicazione. I dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista nel
presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente e dal sostituto
d'imposta.
L’art. 54bis (“Liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni”) prevede che
“Avvalendosi di procedure automatizzate l'Amministrazione finanziaria procede, entro l'inizio
del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo, alla liquidazione
dell'imposta dovuta in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Sulla base dei dati e
degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso
dell'anagrafe tributaria, l’Amministrazione finanziaria provvede a: a) correggere gli errori
materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione del volume d'affari e delle
imposte;b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze
di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni;c) controllare la rispondenza con la
dichiarazione e la tempestività dei versamenti dell'imposta risultante dalla dichiarazione
annuale a titolo di acconto e di conguaglio nonché dalle liquidazioni periodiche di cui agli
articoli 27, 33, comma 1, lettera a), e 74, quarto comma. Se vi e' pericolo per la riscossione,
l'ufficio può provvedere, anche prima della presentazione della dichiarazione annuale, a
controllare la tempestiva effettuazione dei versamenti dell'imposta, da eseguirsi ai sensi
dell'articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100,
degli articoli 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542, nonché
dell'articolo 6 della legge 29 dicembre 1990, n. 405. Quando dai controlli automatici eseguiti
emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai
controlli eseguiti dall'ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un'imposta o una maggiore
imposta, l'esito della liquidazione e' comunicato ai sensi e per gli effetti di cui al comma 6
dell'articolo 60 al contribuente, nonché per evitare la reiterazione di errori e per consentire la
regolarizzazione degli aspetti formali. Qualora a seguito della comunicazione il contribuente
rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei
tributi, lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all'Amministrazione finanziaria entro i
trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione. I dati contabili risultanti dalla
188
possibilità di procedere in un secondo momento a nuove liquidazioni d'imposta,
modificando gli importi scaturenti dalle comunicazioni di irregolarità già notificate.
Sul versante dei controlli sostanziali, invece, è da escludersi ogni effetto preclusivo
riconducibile alla conclusione di una transazione fiscale, o semplicemente
all'omologazione del piano concordatario cui la proposta transattiva accede: ne
deriva, dunque, che nel ridotto lasso temporale di trenta giorni l'ufficio sarà tenuto a
procedere soltanto al controllo automatizzato delle dichiarazioni allegate alla
proposta di transazione fiscale, senza che sussista l'ulteriore obbligo di esercitare i
propri poteri istruttori ed accertativi, per i quali resterebbero impregiudicati gli
ordinari termini di decadenza previsti dalla normativa fiscale.
La portata esclusivamente “liquidatoria” del consolidamento poggerebbe sia su
motivazioni di ordine testuale, sia su argomentazioni di carattere logico –
sistematico. Quanto al primo profilo, la norma di cui all'art. 182ter non conterrebbe
alcun riferimento all'ordinario potere di accertamento: la locuzione “liquidazione dei
tributi risultanti dalle dichiarazioni” non sembrerebbe infatti idonea ad abbracciare
anche i poteri sostanziali di controllo e l'emissione dei conseguenti avvisi di
accertamento, ma dovrebbe essere intesa in senso letterale. Essa dunque alluderebbe
soltanto al controllo delle dichiarazioni che normalmente viene effettuato tramite
procedure automatizzate (ex artt. 36bis e 54bis sopra citati)376, nonché, secondo
alcuni, anche al controllo formale di cui all'art. 36ter del menzionato d.P.R. n.
600/1973377.
Ancora, con la locuzione, sicuramente atecnica, “avvisi di irregolarità” il
legislatore avrebbe inteso far riferimento non ai veri e propri atti di accertamento,
bensì agli “atti liquidatori” in senso stretto, intendendo come tali quelli scaturenti dal
liquidazione prevista dal presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati
dal contribuente.
376
Cfr. A. GUITTO, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei crediti privilegiati
insoddisfatti, cit., 1281, nt. 17; D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 843; S. CAPOLUPO,
La transazione fiscale: la procedura, cit., 3188.
377
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 839;
G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato preventivo,
cit., 715.
189
controllo automatizzato delle dichiarazioni378.
Da un punto di vista logico, poi, si è detto che mentre avrebbe senso
concentrare eccezionalmente in trenta giorni l'attività di liquidazione, ciò non
potrebbe avvenire per l'attività propriamente accertativa: sarebbe impensabile, infatti,
che l'ufficio abbia la possibilità effettiva di intraprendere controlli di merito ex novo
e/o portare a compimento quelli già attivati entro quel ridotto lasso temporale, attesa
la molteplicità e complessità delle verifiche da effettuare, le quali normalmente
richiedono tempi che eccedono di gran lunga il termine di trenta giorni accordato
dall’art. 182ter379. Il consolidamento, invece, dovrebbe riguardare solo quella
porzione di credito scaturente da atti impositivi già emanati e notificati ma non
ancora iscritti a ruolo, che concorrono da subito a formare il credito fiscale da
ammettere al concorso ed alla votazione380.
È stato argomentato che anche la ratio della transazione fiscale farebbe ritenere
preferibile la soluzione centrata sul profilo liquidatorio, non solo per superare la
tradizionale ritrosia degli uffici finanziari a concludere transazioni fiscali (ritrosia
comprovata dalla sterile vicenda della pregressa transazione sui ruoli), ma anche per
considerazioni di ordine sostanziale: gli avvisi di liquidazione di cui all'art. 182ter, a
prescindere dalla loro non chiara natura giuridica, derivano da controlli di tipo
formale, dunque agevoli e piuttosto celeri da espletare, ed inoltre presenterebbero un
grado di attendibilità superiore rispetto a quello dell’avviso di accertamento vero e
proprio381.
Ancora, a supporto della menzionata tesi interpretativa è stata richiamata la
diversità dei termini di decadenza previsti dalla normativa tributaria per le
378
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572.
379
Cfr. ancora RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit,
839 e L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 230.
380
Cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., 844: la funzione del consolidamento sarebbe
dunque quella di consentire all'Amministrazione di insinuare nella procedura anche crediti non
ancora iscritti a ruolo, superando così l'orientamento consolidato che ritiene necessaria la previa
iscrizione a ruolo per l'ammissione al passivo della procedura.
381
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572 e 2573.
190
liquidazioni automatizzate ed i controlli formali da un lato382, per l'accertamento in
rettifica e quello d'ufficio dall'altro383, nonché le differenti modalità di individuazione
delle rettifiche da apportare alla dichiarazione, che sarebbero effettuate mediante
procedure automatizzate o concordate a tavolino nel primo caso, laddove nel
secondo scaturirebbero da verifiche fiscali e/o dati raccolti presso il contribuente,
presso soggetti terzi ovvero già presenti in Anagrafe Tributaria384.
In conclusione, l'Amministrazione finanziaria sarebbe chiamata ad operare
solamente sui dati già “acquisiti”, come testimonierebbe il riferimento legislativo ai
ruoli già vistati ma non ancora consegnati al concessionario. Alcuni degli autori che
propendono per questa tesi non mancano tuttavia di rilevare le criticità che essa
solleverebbe: in particolare, si è detto che l'assenza di una disposizione che
chiaramente inibisca all'Erario l'ulteriore esercizio dei suoi poteri di accertamento
creerebbe pericolosi margini di incertezza in ordine all'efficacia del consolidamento
fiscale; tanto più che la definitiva determinazione del debito tributario appare come il
principale elemento qualificante l'istituto di cui all’art. 182ter385.
Inoltre, è stata manifestata la sensazione che, inteso in questi termini, il
“consolidamento del debito fiscale” si riduca a ben poca cosa386.
Sono state sollevate perplessità anche per il riferimento legislativo ai soli
tributi scaturenti da dichiarazioni fiscali, che dovrebbe portare ad escludere
dall'ambito del consolidamento le pretese relative, ad esempio, all'imposta di registro
nonché a tutti gli altri tributi indiretti “minori” che non presuppongono una
382
Da attivarsi, rispettivamente, entro l'inizio del primo o del secondo periodo d'imposta successivo
alla presentazione della dichiarazione; nel caso di mancato pagamento, la relativa cartella deve
essere notificata rispettivamente entro il terzo ed il quarto anno successivo a quello di
presentazione della dichiarazione.
383
L'avviso di accertamento va notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno
successivo a quello di presentazione della dichiarazione se trattasi di accertamento in rettifica,
mentre il termine è prorogato di un anno qualora trattasi di accertamento d'ufficio.
384
Cfr. G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato
preventivo, cit., 715.
385
Cfr. A. GUITTO, Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei crediti privilegiati
insoddisfatti, cit., 1281, nt. 17.
386
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 842.
191
dichiarazione periodica387.
Ancora, sono state messe in luce le criticità derivanti dalla circostanza che il
legislatore non ha affatto previsto gli effetti scaturenti dalla violazione del termine di
30 giorni prescritto per il compimento delle attività di liquidazione, notificazione e
certificazione dei carichi fiscali. Da un lato, dunque, si è detto che in mancanza di
una norma ad hoc non sarebbe possibile qualificare l'inutile decorso di quel termine
in termini di silenzio-assenso dell'Amministrazione finanziaria (rispetto alla
quantificazione del debito di imposta operata dal contribuente); dall'altro lato si è
tuttavia sostenuta la perentorietà di tale termine, posto che gli adempimenti a carico
degli uffici e del concessionario sono configurati ripetutamente come doverosi.
Muovendo da tale considerazione viene attribuita efficacia preclusiva al vano
decorso del termine de quo, stante la serrata cadenza temporale delle varie fasi in cui
si articola il concordato preventivo, procedura che il legislatore ha inteso
circoscrivere rigorosamente entro tempi ben precisi388: il superamento dei 30 giorni
per il rilascio delle certificazioni e la notifica della comunicazioni di irregolarità
finirebbe infatti per intralciare i compiti del commissario giudiziale, creare incertezze
fra i creditori, impedire loro un’adeguata ponderazione della proposta e rendere
difficoltoso il calcolo delle maggioranze. Del resto, a supporto di questa rigorosa
interpretazione viene menzionata la prassi, consolidatasi nel tempo, di anticipare la
dichiarazione dei crediti tributari durante la fase di formazione dell'elenco dei
creditori ad opera del commissario, prassi poi formalizzata con il d. lgs. 36 febbraio
387
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572, nt. 32. Secondo G. GAFFURI,
Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1117, laddove non sia prevista la dichiarazione
il contribuente avrebbe l’obbligo di presentare il documento che materializza il rapporto: si pensi
[…] ai tributi indiretti sui trasferimenti onerosi, il cui ordinamento prevede l’esibizione
all’agenzia della scrittura nella quale si identifica l’operazione traslativa”.
388
In particolare, a seguito della presentazione della proposta di concordato con annessa transazione
fiscale il Tribunale, verificati i presupposti di cui agli artt. 160 e 161, con decreto dovrà dichiarare
aperta la procedura di concordato preventivo e disporre la convocazione dei creditori non oltre 30
giorni dalla data del decreto, stabilendo anche il termine per la sua comunicazione ai creditori.
Successivamente, ufficio e concessionario dovranno trasmettere al commissario giudiziale copia
delle certificazioni e degli avvisi di irregolarità emessi ai sensi del comma 2 dell'art. 182ter; il
commissario, a sua volta, dovrà provvedere alla convocazione dei creditori, alla redazione
dell'inventario ed alla predisposizione di una relazione sulle cause del dissesto, sulla condotta del
debitore e sulla proposta di concordato, da depositare in cancelleria almeno 3 giorni prima
dell'adunanza dei creditori. Inoltre, prima di detta adunanza il commissario procederà alla verifica
dell'elenco dei creditori, apportando le eventuali rettifiche (art. 171).
192
1999, n. 46, che ha modificato l'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973: detta norma, nella sua
formulazione attuale, prevede che se il debitore è ammesso al concordato preventivo
il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività necessaria ai fini
dell'inserimento del credito da esso portato nell'elenco dei creditori della procedura.
Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito
in via provvisoria.
Sulla scorta di queste argomentazioni di sapore “processuale” si è dunque
sostenuto che l'inutile decorso del termine di 30 giorni precluderebbe all'ufficio e al
concessionario la possibilità di partecipare all'adunanza dei creditori e dunque di
esprimere il proprio voto, con la conseguenza di dover subire passivamente gli effetti
scaturenti dalla deliberazione e successiva omologazione del concordato389.
4. La posizione della giurisprudenza.
La giurisprudenza di merito, come visto nel capitolo precedente, concorda nel
qualificare la transazione come sub-procedimento accessorio, e secondo la maggior
parte delle pronunce anche eventuale, ossia non obbligatorio390, rispetto alla
procedura di concordato preventivo, attraverso il quale l'imprenditore mira a
conseguire, qualora ne abbia un effettivo interesse, finalità ulteriori rispetto a quelle
derivanti dall'omologazione del concordato, quali appunto il consolidamento del
debito fiscale attraverso la definitiva quantificazione della propria esposizione
debitoria verso l’Erario e l’estinzione delle liti aventi ad oggetto i tributi ricompresi
nell'istanza di transazione.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non viene aggiunto null'altro con
specifico riferimento ai due effetti “tipici” dell'istituto. Solo alcuni dei decreti di
omologazione delle proposte di concordato preventivo contenenti una transazione
fiscale hanno cercato di suggerire una possibile chiave di lettura della nozione di
“consolidamento” che vada oltre il semplice riferimento alla “definitiva
quantificazione del complessivo debito d’imposta”: così, il decreto del Tribunale di
389
Cfr. anche L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione, cit., 3660.
390
Cfr. ex multis Trib. Asti, 3 febbraio 2010, decr., cit. Contra Trib. Roma, 20 aprile 2010, decr., cit.
193
La Spezia del 2 luglio 2009391 precisa che nell'ipotesi di omologazione del
concordato nonostante il voto negativo degli uffici fiscali “la falcidia ivi prevista
sarà vincolante per il fisco, ancorché gli effetti tipici della transazione fiscale non si
realizzino e l'Amministrazione finanziaria mantenga dunque intatto il proprio potere
di procedere ad ulteriori attività di accertamento [...]”.
Sulla preclusione di ulteriori accertamenti come effetto “tipico” della
transazione fiscale, nonché “diverso” dalla semplice remissione e/o dilazione delle
pretese erariali, concordano rispettivamente la Corte d'Appello di Firenze392, secondo
cui la mancata proposizione di un'istanza ex art. 182ter comporta che “resteranno
impregiudicati i poteri di verifica ed accertamento del Fisco”, e il Tribunale di
Pescara393, che parla di “impedimento al successivo esercizio dei poteri accertativi
dell’amministrazione finanziaria sui rapporti tributari oggetto di transazione”.
Ancora, la Corte d'Appello di Torino394 ha ribadito che l'approvazione della
proposta di transazione fiscale determinerebbe “il conseguimento da parte del
debitore di quegli effetti, già definiti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, “tipici”
ed “ulteriori” insiti, in una parola, nel consolidamento della sua posizione fiscale
con riguardo tanto ai tributi già iscritti a ruolo, quanto a quelli ancora in corso di
determinazione (definizione degli accertamenti pendenti, preclusione degli
accertamenti futuri, cessazione delle liti)”; viene ulteriormente precisato che lo
specifico vantaggio insito nella definizione complessiva della posizione fiscale,
“anche con riguardo ai debiti ancora in corso di accertamento e teoricamente
suscettibili di essere opposti al debitore dopo la chiusura della procedura”,
rappresenta un incentivo al ricorso al concordato preventivo, costituendo perciò la
“chiave di lettura” dell'art. 182ter.
391
Cit.. Tale pronuncia è stata confermata da App. Genova, 19 dicembre 2009, decr., cit.
392
Cfr. decreto del 13 aprile 2010, cit.
393
Cfr. decreto del 2 dicembre 2008, in www.ilcaso.it, I, 1630/2009. Secondo i giudici gli effetti
remissori/dilatori, all'opposto, discenderebbero direttamente dall'approvazione e dall'omologazione
della domanda di concordato, secondo la disciplina propria di tale procedura concorsuale, e quindi
possono prescindere dal voto favorevole dell'Amministrazione finanziaria.
394
Cfr. decreto del 23 aprile 2010, cit. Le conclusioni cui perviene tale decreto sono condivise anche
da Trib. Ravenna, 19 gennaio 2011, decr., cit., con riferimento all'effetto esterno di
“cristallizzazione del debito tributario”.
194
Sembrerebbe dunque che la prevalente giurisprudenza di merito aderisca alla
tesi che ricollega alla conclusione di una transazione fiscale, e dunque all’assenso del
Fisco, un effetto preclusivo rispetto ad ulteriori controlli sostanziali sulla posizione
fiscale dell'imprenditore concordatario, con conseguente congelamento dei residui
poteri accertativi ed estinzione delle controversie pendenti.
Quanto alla giurisprudenza di legittimità, nelle due recentissime pronunce
datate 4 novembre 2011395
, con cui la Corte di Cassazione si è espressa a favore della
facoltatività della transazione fiscale e dell'obbligo di un pagamento integrale del
debito Iva anche nell'ipotesi di concordato non comprendente una proposta ex art.
182ter, la Suprema Corte si è soffermata anche sugli effetti “tipici” conseguenti
all'omologazione del concordato con transazione. Rispetto alla norma di cui al
comma 2, secondo la quale il debito tributario si “consolida”, entrambe le sentenze
precisano che tale formulazione è evidentemente atecnica, in quanto nel tessuto
normativo con l'espressione “consolidamento” viene definita una modalità opzionale
di calcolo della tassazione dei redditi di un gruppo di imprese (ex artt. 117 e ss
t.u.i.r.). La Cassazione, inoltre, prende atto del vivace dibattito dottrinale esistente
sul punto, rammentando che il significato dell'espressione, piuttosto complesso, non
è stato ancora univocamente definito: in particolare, nelle due pronunce il concetto
viene impiegato nell'accezione, unanimemente condivisa, di “quadro di insieme del
debito tributario, tale da consentire di valutare la congruità della proposta con
riferimento alle risorse necessarie a far fronte al complesso dei debiti, e certamente
utile a fronteggiare l'incognita fiscale che normalmente grava sui concordati”.
Tuttavia, la Cassazione rammenta anche l'esistenza di un “altro e concorrente
possibile significato dell'espressione sul quale si è interrogata la dottrina [...]:
quello secondo cui tale quadro del debito complessivo cristallizzerebbe la pretesa
tributaria alla data di presentazione della domanda così come qualificata dall'ufficio
con l'esclusione da una parte della facoltà del medesimo di procedere ad ulteriori
accertamenti anche se non sia ancora maturata la decadenza e dall'altra del
debitore di contestare pretese anche se non ancora definitive”. Pertanto, prosegue la
Corte, a seconda del significato che si intenda attribuire al consolidamento “con la
395
Trattasi delle sentenze nn. 22931 e 22932, cit.
195
transazione fiscale il debitore ottiene il vantaggio della apprezzabile o assoluta
certezza sull'ammontare del debito, e quindi una maggiore trasparenza e leggibilità
della proposta con conseguente maggiore probabilità di ottenere, oltre all'assenso
del fisco, anche quello degli altri creditori”.
A ben vedere, dunque, la Cassazione non prende una posizione netta sulla
questione dell'efficacia preclusiva del consolidamento rispetto al successivo ed
eventuale esercizio degli ordinari poteri accertativi: le pronunce, infatti, si limitano
soltanto a rammentare l'esistenza, nel panorama dottrinale, di questa possibile ed
ulteriore chiave di lettura, la quale, come precisato a chiare lettere, viene richiamata
“solo per chiarezza espositiva, non essendo materia del contendere”.
Il consolidamento, dunque, secondo l'opinione dei giudici di legittimità è da
intendersi sicuramente come la fotografia del complessivo carico tributario già
esistente alla data di presentazione della proposta di concordato, con funzione di
fornire agli organi della procedura ed agli altri creditori chiamati al voto un quadro
esaustivo e sufficientemente attendibile dell’esposizione debitoria dell'impresa verso
l'Erario. Se tale quadro di insieme, poi, sia da intendersi anche come definitivo, ossia
tale da garantire una “certezza assoluta” (e non solo meramente “apprezzabile”) circa
l'ammontare dei carichi tributari da soddisfare in moneta concordataria, è una
questione che, esulando dall'oggetto del giudizio, non viene risolta dalle citate
pronunce. Ne deriva quasi l'impressione che la Corte abbia deliberatamente
“liquidato”, almeno per il momento, la problematica dell'efficacia preclusiva del
consolidamento, appellandosi alla sua estraneità rispetto al thema decidendum: il che
potrebbe essere imputabile all’esigenza, avvertita dai giudici di legittimità, di
mostrare cautela e prudenza di fronte ad una questione dai rilevanti risvolti sia pratici
che dogmatici.
Sarebbe interessante, poi, vedere come le Commissione Tributarie
risolverebbero la medesima questione, ovviamente nell'eventualità in cui fossero
impugnati avvisi di accertamento su annualità ed imposte oggetto di transazione
fiscale precedentemente conclusa nell'ambito di un concordato preventivo
omologato: sino ad oggi, infatti, non risultano ancora pronunce che si siano espresse
sul punto.
196
5. Proposta di soluzione interpretativa.
Una volta trascorse in rassegna le varie tesi prospettate in dottrina sul tema del
“consolidamento del debito fiscale”, ed analizzata anche la posizione della
giurisprudenza e dell'Amministrazione finanziaria, è possibile proporre, come
accennato, una soluzione interpretativa che tenga adeguatamente conto sia dei
principi generali che informano il diritto tributario, sia delle disposizioni che
regolano la materia concorsuale, ed in particolar modo la procedura di concordato
preventivo.
La necessità di considerare ambedue le branche dell'ordinamento deriva, come
più volte accennato, dal carattere “ibrido” dell'istituto de quo: la transazione fiscale,
infatti, seppur disciplinata da una disposizione della legge fall., che la colloca
nell'alveo di una procedura di concordato preventivo, o nell’ambito delle trattative
antecedenti la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti, mantiene, per altro
verso, i caratteri propri del procedimento amministrativo di diritto pubblico396. In
realtà sul versante pubblicistico dell'istituto sarebbero precisamente ravvisabili tanti
distinti e paralleli procedimenti quanti sono, in concreto, i soggetti destinatari di una
proposta di transazione: l'Agenzia delle Entrate (per quanto riguarda i tributi da essa
amministrati e i relativi accessori), le altre Agenzie fiscali (per quanto attiene alle
entrate di rispettiva competenza), il concessionario della riscossione (competente per
gli importi iscritti a ruolo), nonché gli enti previdenziali ed assistenziali (a titolo
esemplificativo, Inps, Inail, Enpals, Enasarco ed altri enti gestori di forme di
previdenza e assistenza obbligatorie).
Sarebbe pertanto più corretto, e maggiormente rispondente all’effettiva
“fisionomia” dell’istituto, oltre che alla sua collocazione sistematica, ravvisarvi non
già un unico procedimento, bensì un “fascio” di procedimenti amministrativi
autonomi e gestiti in parallelo da enti diversi, propedeutici all'esplicazione di una
potestà di tipo discrezionale, trattandosi infatti di esprimere una valutazione di
396
Cfr. V. FICARI, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti tributari, cit.,
72, che definisce la transazione fiscale come vero e proprio procedimento amministrativo, in cui la
Direzione Regionale delle Entrate assume il ruolo di play maker. In una diversa prospettiva, M.
CORVAIA - A. GUERRA, La transazione fiscale, cit., 1918, sottolineano come la riconduzione
dell'istituto all'art. 160 legge fall. ha comportato la perdita del carattere esclusivo di procedimento
amministrativo che la transazione aveva in precedenza, trovando ora la sua unica ragione
nell'ambito della procedura giudiziale di concordato preventivo.
197
merito sulla convenienza e/o sull’opportunità di una proposta destinata ad incedere
su molteplici interessi, di sicuro rilievo pubblicistico, da contemperare con l'interesse
primario (alla celere ed integrale soddisfazione delle proprie pretese patrimoniali) di
cui ciascuno degli enti coinvolti è titolare.
Tali procedimenti di carattere amministrativo sarebbero completi di quelle fasi
(iniziale, istruttoria e decisoria) che connotano un qualsiasi procedimento di diritto
pubblico. In particolare, la transazione si configurerebbe come procedimento ad
iniziativa di parte, il cui atto di impulso è rappresentato dalla proposta
dell'imprenditore che abbia già formulato un piano di concordato preventivo, ed il
cui contenuto deve conformarsi alle prescrizioni di cui al comma 1 dell'art. 182ter.
Quanto alla fase istruttoria, essa si articola, in primo luogo, nell'attività di
liquidazione delle dichiarazioni presentate dal contribuente, seguita dalla (eventuale)
notifica397 delle relative comunicazioni di irregolarità; occorrerà poi procedere al
rilascio della certificazione attestante l'entità del complessivo carico tributario, sia
quello non ancora iscritto a ruolo, ovvero iscritto in ruoli già resi definitivi ma non
ancora consegnati al concessionario, di competenza dell’Agenzia delle Entrate, sia il
debito iscritto in ruoli già consegnati, di competenza dell’Agente della riscossione.
Quanto alla fase decisoria, in cui il creditorie pubblico è chiamato a formulare le sue
valutazioni di merito sulla proposta di transazione, si è visto nel precedente capitolo
che al silenzio del legislatore in ordine ai criteri che dovrebbero orientarne il giudizio
hanno sopperito le istruzioni impartite con la circolare n. 40/E dell'Agenzia delle
Entrate. Analoghe indicazioni sono contenute in alcune recenti circolari varate da
Inps, Inail ed Enplas, il cui contenuto sarà illustrato più diffusamente nel capitolo
dedicato alla transazione previdenziale.
La peculiarità dei citati procedimenti amministrativi risiede nella circostanza
che i medesimi, una volta che siano state compiute le classiche fasi di impulso,
istruttoria e decisoria, sono destinati a “sfociare” nell'unitaria procedura di
concordato preventivo: questa convergenza si realizza a valle, ossia in sede di
397
Trattasi di un adempimento solo eventuale, in quanto dai controlli automatizzati espletati
dall'ufficio potrebbe anche non emergere alcuna maggiore imposta. Viceversa, la norma non
chiarisce quale sia il trattamento di eventuali esiti di maggior credito derivanti dalla medesima
attività di liquidazione.
198
adunanza dei creditori, assodato che la valutazione di merito del soggetto pubblico è
destinata ad estrinsecarsi nel voto espresso sulla proposta del debitore.
Ne deriva che il voto dell'ente andrà necessariamente apprezzato in una
prospettiva diversa da quella che connota il voto di qualsiasi altro creditore
concordatario: se i creditori privati, infatti, saranno pienamente liberi di aderire o
meno alla proposta sulla scorta della sola convenienza personale della medesima, da
valutare avendo quale unico parametro di riferimento il mero interesse economico di
ciascuno, considerazioni del tutto diverse valgono per i soggetti pubblici destinatari
di un’istanza di transazione. La discrezionalità di cui essi sono investiti implica
infatti, come accennato, la necessaria ponderazione del loro interesse “particolare”
con ulteriori valori non meno degni di tutela, anche di rilievo costituzionale, a
cominciare da quello relativo alla conservazione degli apparati produttivi non ancora
irrimediabilmente decotti, che rappresenta sicuramente il leitmotiv della recente
riforma delle procedure concorsuali. Il voto dell'ente pubblico in seno alla procedura
concorsuale di cui agli artt. 160 e ss., pertanto, è destinato a rimpiazzare il
provvedimento amministrativo che tradizionalmente chiude l'iter procedimentale di
diritto pubblico: tale “surrogazione” non manca di creare molteplici criticità, quali
l'eventuale rilevanza di quei vizi (incompetenza, violazione di legge, eccesso di
potere) suscettibili di inficiare la legittimità di un provvedimento discrezionale,
nonché l’individuazione di possibili rimedi per farli valere.
Nello stesso tempo, trattandosi di un voto formulato in seno ad una procedura
di concordato, governata dal canone della par condicio creditorum, esso andrà
necessariamente allineato ai voti degli altri creditori, ponendosi sul loro stesso piano
e scontando il generale principio maggioritario. Il che potrebbe suggerire di limitare
la rilevanza di eventuali vizi alle sole ipotesi in cui il voto del creditore pubblico
abbia avuto un peso determinante sulla sorte della proposta concordataria, influendo
sulla formazione delle maggioranze, come proposto dalla migliore dottrina in tema di
invalidità o inefficacia del voto del singolo creditore privato398.
Senonché tale considerazione, con riferimento in particolare ai crediti fiscali399,
398
Cfr. A. BONSIGNORI, Concordato preventivo, cit., 348.
399
Il riferimento limitato ai soli crediti fiscali è d'obbligo, sia alla luce dell'incipit del comma 2, che
199
a prima vista potrebbe sembrare riduttiva, nella misura in cui il voto negativo
dell'Erario produce un effetto ulteriore rispetto a quello (eventuale) del rigetto della
proposta di concordato, ossia la mancata conclusione della transazione fiscale, e
dunque il mancato conseguimento degli effetti tipici di consolidamento del debito
fiscale e cessazione del contenzioso pendente. In tale evenienza, dunque, si potrebbe
ipotizzare astrattamente una legittimazione all'impugnazione del voto contrario
anche nel caso in cui il dissenso dell'Amministrazione finanziaria non abbia avuto
un'influenza determinante sull'approvazione della proposta di concordato, in quanto
questa ha raggiunto comunque la maggioranza semplice degli altri creditori votanti.
Accogliendo questa possibile interpretazione si imporrebbe l'ulteriore questione di
individuare il giudice competente a pronunciarsi sulla legittimità del diniego
espresso dall'ufficio. Il punto è stato sommariamente tratteggiato nel capitolo
precedente, dove si è accennato al contrasto che in dottrina vede contrapposti quanti
parteggiano per la giurisdizione del giudice tributario a quanti invece propendono per
quella amministrativa. In quella sede, tuttavia, si è anche detto che l'impugnabilità
del diniego sembrerebbe essere una soluzione eccessiva, non essendo ravvisabile alla
base di essa una situazione giuridica soggettiva azionabile in giudizio, bensì
semplicemente un interesse di mero fatto.
Discorso parzialmente diverso vale per l’altra “tipologia” di transazione fiscale,
ossia quella conclusa in sede di trattative antecedenti la stipula di un accordo di
ristrutturazione dei debiti: la natura negoziale dell’istituto di cui all’art. 182bis,
caldeggiata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti (propense ad escluderne
la connotazione in termini di autentica “procedura concorsuale”), finisce
inevitabilmente per riflettersi anche sulla transazione fiscale eventualmente conclusa
al suo interno. Sicché non sarebbe azzardato ritenere che l’istituto di cui all’art.
182ter, commi 6 e 7, se per un verso mantiene alcuni dei tratti propri del
procedimento amministrativo di tipo discrezionale, al pari della transazione
perfezionata in sede di concordato preventivo400, sotto il profilo “concorsuale”
circoscrive l'iter procedurale ivi contemplato, ed il connesso effetto di consolidamento, ai “crediti
di natura fiscale”, sia sulla scorta del comma 5, che circoscrive l'effetto estintivo alle sole liti
aventi ad oggetto “tributi”. L'eventuale estinzione di tali effetti anche ai contributi e premi oggetto
di una proposta transattiva sarà esaminata nel prosieguo. 400
In particolare, l’iter sarebbe molto simile, ravvisandosi anche qui la fase di impulso (deposito della
200
presenterebbe un più marcato carattere negoziale, in quanto l’iter è destinato a
concludersi con un autentico “accordo” sottoscritto da entrambe le parti. Si tratterà
dunque di valutare se vi sia spazio per l’eventuale applicazione dei principi generali
che regolano il negozio giuridico, e soprattutto la materia contrattuale: la questione
sarà approfondita nel capitolo V.
Queste preliminari considerazioni, afferenti alla collocazione sistematica
dell'istituto, consentono di affrontare con maggiore cognizione di causa il tema
oggetto del presente capitolo, ossia il significato della locuzione “consolidamento del
debito fiscale”: una plausibile ipotesi interpretativa, infatti, non può prescindere dal
considerare la portata di tale effetto sul duplice versante amministrativo, o meglio
amministrativo-tributario, e concorsuale dell’istituto.
Come si è visto, infatti, occorre tenere ben distinti i due piani, con il risultato
che sarà possibile attribuire al consolidamento valenza soltanto “formale” (o endo-
procedimentale) ovvero anche “sostanziale”, a seconda che si intenda circoscrivere
tale effetto alla sola procedura di concordato o lo si estenda anche al distinto versante
tributario. Quest’ultima, come visto, è la tesi fatta propria da autorevole corrente
dottrinale, secondo cui la definitiva determinazione del carico tributario è destinata a
riflettersi inevitabilmente sui poteri di accertamento del Fisco, nel senso di
precluderne il successivo esercizio nonché, secondo alcuni, obbligare
l'Amministrazione ad anticipare i propri controlli di merito nel lasso temporale di
trenta giorni dalla presentazione della proposta. All'opposto si colloca la tesi di altra
dottrina, non meno autorevole, secondo cui il “consolidamento” avrebbe valore solo
formale, o meglio procedimentale, nel senso che è stato chiarito in precedenza.
Si è visto anche che non si è ancora consolidato sul punto un orientamento
interpretativo unanime, come ammesso recentemente anche dalla Corte di
Cassazione401; del resto ambedue le teorie sono suffragate da valide argomentazioni.
Né mancano tesi intermedie, come quella dell'efficacia meramente “liquidatoria” del
consolidamento, o letture fortemente restrittive e pregiudizievoli per l'Erario, quali la
proposta ad opera del debitore), quella istruttoria (liquidazione delle dichiarazioni, notifica dei
relativi avvisi e rilascio della certificazione da parte dell’ufficio competente), e quella decisoria
(valutazione di merito), come attesta anche il richiamo al comma 2 dell’art. 182ter. 401
Cfr. le due sentenze del 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, più volte citate.
201
tesi che fa discendere gli effetti sostanziali del consolidamento (anticipazione dei
controlli di merito e congelamento dei residui poteri accertativi) dalla mera
omologazione del concordato, a prescindere dall'assenso prestato dal Fisco, se non
addirittura dal solo rilascio della certificazione di cui al comma 2,
indipendentemente, sembrerebbe, dalla sorte dell’iter concordatario.
Il carattere ibrido della transazione fiscale impone dunque lo sforzo di
coordinare il non meglio precisato effetto di “consolidamento del debito fiscale” sia
con la normativa tributaria, sia con i principi generali e le regole che governano la
procedura di concordato preventivo.
Quanto al rapporto tra transazione e diritto tributario, si tratta di vedere come
l'art. 182ter si concili con le norme che disciplinano i poteri istruttori ed accertativi
del Fisco, verificando se quella disposizione abbia un’effettiva efficacia derogatoria
rispetto alle medesime, tale cioè da imporre l'anticipazione dei controlli di merito e/o
precluderne l’ulteriore, successivo esercizio.
Relativamente al rapporto tra transazione fiscale e concordato preventivo, si
tratta di individuare una possibile chiave di lettura che armonizzi la cristallizzazione
del debito tributario con i principi cardine che informano questa procedura
concorsuale, quali in particolare il ruolo del commissario giudiziale, l'assenza di una
fase di accertamento del passivo e la prosecuzione degli ordinari giudizi di
cognizione per i crediti contestati.
5.1. Il rapporto fra l'art. 182ter e i poteri pubblicistici
dell'Amministrazione finanziaria.
Sul versante tributario dell'istituto, come accennato, soccorre il confronto con
le disposizioni che disciplinano i poteri di cui l'Amministrazione finanziaria è
investita, in qualità di titolare della sovrana potestà di imposizione.
In particolare, il legislatore tributario ha previsto un’ampia gamma di poteri
istruttori, che vanno, per citare solo i principali, dalla possibilità di effettuare accessi,
ispezioni e verifiche all'invio di questionari, dalla richiesta di chiarimenti, anche con
l'eventuale convocazione personale del contribuente, all'effettuazione di indagini
bancarie. Le disposizioni di riferimento sono contenute negli artt. 32 e 33 del d.P.R.
n. 600/1973 in materia di imposte dirette (Irpef, Ires ed Irap) e 51 e 52 del d.P.R. n.
202
633/1972 in materia di Iva. Le norme che disciplinano accessi, ispezioni e verifiche
ai fini Iva sono applicabili anche all'imposta di registro, nonché all'imposta sulle
successioni e donazioni, in forza del rinvio esplicito contenuto, rispettivamente,
nell'art. 51, ultimo comma del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e nell'art. 34, comma 4
del d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 346; quanto agli altri poteri istruttori, l'art. 53bis del
citato d.P.R. n. 131/1986 statuisce che le disposizioni di cui agli artt. 31 e ss. del
d.P.R. n. 600/1973 sono applicabili sia all'imposta di registro, sia a quelle ipotecaria
e catastale. Chiude il quadro l'art. 47 del d. lgs. n. 346/1990, il quale prevede che
l'ufficio può chiedere ai soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione di
successione la produzione di documenti, la comparizione di persona per fornire
indicazioni utili ai fini dell'accertamento, nonché l'invio di questionari con invito a
restituirli debitamente compilati e sottoscritti.
Trattasi di poteri funzionali all'esplicazione della potestà di accertamento di cui
l'Amministrazione finanziaria è investita, intendendosi come tale il potere di
quantificare la reale dimensione del presupposto impositivo, portando in luce una
base imponibile eventualmente maggiore rispetto a quella denunciata unilateralmente
dal contribuente, sia in sede di dichiarazione (qualora trattasi di tributi per i quali è
previsto l'obbligo di presentare una dichiarazione con cadenza annuale, quali le
imposte sui redditi, l'Iva, l'Irap, nonché le ritenute operate dal contribuente in qualità
di sostituto d'imposta), sia in atti dal medesimo prodotti (in relazione a quei tributi
per i quali non è prevista la presentazione di una dichiarazione, come ad esempio le
imposte di registro, ipotecaria e catastale, per le quali la misura del tributo dovuto si
ottiene applicando determinate aliquote al valore dichiarato dal contribuente nell'atto
sottoposto a registrazione e/o trascrizione nei registri immobiliari). La maggiore
imposta emersa a seguito dell'esercizio dei menzionati poteri istruttori, ovvero quella
accertata sulla scorta dei dati già in possesso dell'Amministrazione finanziaria402,
andrà quantificata in un atto motivato, in quanto contenente a pena di nullità
l'enunciazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche alla base della
pretesa impositiva; la denominazione di tale atto varia a seconda della tipologia di
402
Si pensi all'accertamento parziale ex art. 41bis del d.P.R. n. 600/1973, in cui l'esistenza di un
reddito non dichiarato o di un maggior reddito imponibile può essere desunta, tra l'altro, dai dati
presenti in Anagrafe Tributaria.
203
imposta accertata, sicché si parlerà di “avviso di accertamento” per le imposte dirette
e l'Iva, “avviso di liquidazione e rettifica” per le imposte di registro, ipotecaria e
catastale, nonché per l'imposta sulle successioni e donazioni, ovvero ancora “atto di
recupero” nell'ipotesi in cui la pretesa impositiva si estrinsechi nel recupero di crediti
d'imposta non spettanti, già rimborsati o altrimenti fruiti indebitamente dal
contribuente403. Le disposizioni che attengono al potere di accertamento in materia di
tributi erariali quelle dettate agli artt. 37 e ss. del d.P.R. n. 600/1973 per quanto
attiene alle imposte dirette, 54 e ss. del d.P.R. n. 633/1972 per quanto attiene all’Iva,
52 del d.P.R. n. 131/1986 con riferimento all’imposta di registro, nonché alle
imposte ipotecaria e catastale, nonché 34 e 35 del d. lgs. n. 346/1990 per l’imposta di
successione e donazione.
L'atto impositivo, inoltre, va notificato al contribuente nel rispetto dei rigorosi
termini di decadenza previsti dalla normativa tributaria. In particolare, per le imposte
dirette e l’Iva il termine è il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la
dichiarazione è stata presentata (accertamento in rettifica), oppure nell'ipotesi di
omessa dichiarazione del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione
avrebbe dovuto essere presentata (accertamento d'ufficio). Ancora, l’art. 76 del t.u.
sull'imposta di registro fissa in cinque anni il termine decadenziale per procedere
all'accertamento dell'imposta dovuta su atti non registrati, ridotto a due anni,
decorrenti dal pagamento, nel caso in cui si provveda alla rettifica ed alla
liquidazione della maggiore imposta dovuta (imposta “complementare”), oppure tre
anni, decorrenti dalla richiesta di registrazione nel caso di imposta “principale”,
ovvero dalla data della registrazione nel caso di imposta “suppletiva”404. Analoghi
403
L'atto (o avviso) di recupero di crediti di imposta indebitamente utilizzati in tutto o in parte è stato
introdotto nel nostro ordinamento dall'art. 1, comma 421 della l. 30 dicembre 2004, n. 311
(Finanziaria 2005), il quale ne prevede l'obbligo di notifica secondo le regole ordinarie; il
successivo comma 422 dispone che il mancato versamento delle somme richieste nel termine
assegnato dall'ufficio, e comunque non inferiore a 60 giorni, costituisce titolo per l'iscrizione a
ruolo delle medesime. In più occasioni la giurisprudenza di legittimità ha statuito che gli atti di
recupero, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario,
costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di
accertamento e liquidazione, e come tali sono autonomamente impugnabili dinanzi alle
Commissioni tributarie, anche se emessi anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 311/2004
(cfr. Cass., 22 marzo 2011, n. 6582, nonché Cass., 3 febbraio 2009, n. 4968, entrambe reperibili in
banca dati Fisconline).
404
Le definizioni di “imposta principale”, “complementare” e “suppletiva” sono contenute nell'art. 42
204
termini di decadenza (cinque anni per l'ipotesi di omessa dichiarazione, due per la
rettifica della dichiarazione incompleta ed infedele con conseguente liquidazione
della maggiore imposta da corrispondere, tre per la liquidazione dell'imposta dovuta,
decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione di successione) sono
previsti in materia di imposta sulle successioni e donazioni dall'art. 27 del citato d.
lgs. n. 346/1990. Infine, l'art. 37 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 in materia di
imposta di bollo prevede che l'Amministrazione finanziaria può procedere
all'accertamento delle violazioni nel termine di tre anni a decorrere dal giorno in cui
l’infrazione è stata commessa.
Inoltre, il legislatore tributario riconosce all'Amministrazione la facoltà di
emanare un nuovo avviso di accertamento, integrativo o modificativo in aumento di
un avviso precedente, nell'ipotesi di “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, a
condizione che non siano ancora scaduti gli ordinari termini di decadenza e che il
nuovo avviso contenga la specifica indicazione dei nuovi elementi istruttori e degli
atti o fatti attraverso i quali detti elementi sono pervenuti a conoscenza dell'ufficio: le
norme di riferimento sono contenute negli artt. 43, comma 4 del d.P.R. n. 600/1973 e
57, comma 4 del d.P.R. n. 633/1972, concernenti rispettivamente le imposte dirette e
l'Iva. Si discute in merito alla possibilità di estendere in via analogica tali
disposizioni anche alle altre imposte indirette: la migliore dottrina tende ad
escluderlo, poiché la successiva integrazione o modifica in aumento di un precedente
atto impositivo, costituendo una deroga al principio generale di unicità
dell'accertamento, sarebbe possibile nei soli casi tassativamente previsti dal
legislatore, altrimenti dovendo l'Amministrazione riversare in via esaustiva le proprie
pretese in un unico atto. Senonché per le imposte indirette un'espressa deroga di
siffatto tenore non si rinviene in alcuna disposizione di legge, né sarebbe altrimenti
giustificabile, data la maggiore semplicità strutturale della loro base imponibile,
nonché la predeterminazione ex lege ed oggettività dei parametri secondo i quali
del d.P.R. n. 131/1986: in particolare, è principale l'imposta applicata al momento della
registrazione dell'atto e quella richiesta dall'ufficio, se diretta a correggere errori ed omissioni
effettuati in sede di autoliquidazione (il meccanismo dell'autoliquidazione dell'imposta di registro,
nonché di quelle ipotecaria e catastale, si applica alla registrazione in via telematica); è suppletiva
l'imposta applicata successivamente, se diretta a correggere errori e/o omissioni commesse
dall'ufficio; complementare quella applicata in ogni altro caso (ad esempio qualora risulti che il
valore venale dei beni e diritti sia superiore rispetto a quello dichiarato in atto).
205
l'Amministrazione dovrà procedere alla rettifica del maggior valore405.
Premessa questa sintetica rassegna sui poteri dell'Amministrazione finanziaria,
si tratta di stabile, come sopra accennato, se la norma di cui all'art. 182ter sia in
grado di derogare alle disposizioni che tali poteri disciplinano, nel duplice senso di
imporre l'effettuazione dei controlli di merito, con la notifica di eventuali avvisi di
accertamento, nei trenta giorni dalla presentazione di una proposta di transazione
fiscale, ed al tempo stesso precludere del tutto ogni attività accertativa successiva
all'omologazione del concordato.
Considerazioni di ordine testuale e sistematico dovrebbero indurre ad escludere
l'ipotizzata efficacia derogatoria.
Dal punto di vista testuale soccorre la lettera art. 182ter. Il comma 2, infatti,
obbliga l'ufficio solamente a procedere alla “liquidazione dei tributi risultanti dalle
dichiarazioni”, con “notifica dei relativi avvisi di irregolarità”; la medesima
disposizione, poi, sancisce l’obbligo, a carico del debitore, di depositare “copia delle
dichiarazioni per le quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici”. È chiaro
che il legislatore, impiegando termini quali quelli di “liquidazione”, “controlli
automatici” e “avvisi di irregolarità”, abbia inteso circoscrivere gli adempimenti a
carico dell'ufficio alla sola attività di cui ai più volte citati artt. 36bis e 54bis, in cui
figura una terminologia analoga. In particolare, la nozione di “liquidazione”
campeggia nella rubrica di ambedue le citate disposizioni, laddove i “controlli
automatici” cui allude l'art. 182ter non sarebbero null'altro che le “procedure
automatizzate” menzionate dalle due norme tributarie. Quanto poi agli “avvisi di
irregolarità”, seppur tale espressione non figura in alcuna delle richiamate
disposizioni406, e nonostante in dottrina ne sia stata proposta un'interpretazione
estensiva407, si ritiene che essa alluda alla “regolarizzazione degli aspetti formali” di
405
Cfr. P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, cit., 341.
406
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2572, secondo cui l'espressione “avvisi
di irregolarità” è assolutamente atecnica, in quanto risulta del tutto estranea alla classica
denominazione degli atti impositivi. In senso conforme cfr. anche L. TROMBELLA, Riflessioni
critiche sulla transazione fiscale, cit., 606, che definisce lo strumento degli “avvisi di irregolarità”
“sicuramente inedito”.
407
Cfr. sempre L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 607, secondo cui
206
cui al comma 3 degli artt. 36bis e 54bis: del resto l'uso, ampiamente invalso nella
prassi linguistica dell'Agenzia delle Entrate, del termine “comunicazione” o “avviso”
per designare l'atto contenente l'esito di quella regolarizzazione non dovrebbe dare
adito a dubbi di sorta in ordine alla volontà legislativa di circoscrivere l'attività
istruttoria da compiersi ex art. 182ter, comma 2 alla sola attività di liquidazione nel
senso proprio del termine. Tale attività, lo si ribadisce, si concreta nella correzione
degli errori materiali e/o di calcolo commessi nella compilazione della dichiarazione,
nonché nella verifica della regolarità dei versamenti dovuti, da effettuarsi
esclusivamente sulla base dei dati indicati nella dichiarazione medesima, senza
necessità di un raffronto con elementi ad essa esterni; pertanto la liquidazione viene
espletata ordinariamente tramite procedure automatizzate.
Per le stesse motivazioni di ordine testuale si ritiene che l'ufficio non sia
obbligato anche a procedere al “controllo formale” delle dichiarazioni dei redditi di
cui all'art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973408: controllo che, diversamente dall'attività di
con tale termine il legislatore avrebbe inteso far riferimento “a tutti gli atti con i quali è possibile
la rideterminazione autoritativa del debito fiscale, siano essi avvisi di liquidazione oppure veri e
propri atti di accertamento”.
408 L’art. 36ter dispone che “Gli uffici periferici dell'Amministrazione finanziaria, procedono, entro il
31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione, al controllo formale delle
dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta' sulla base dei criteri selettivi
fissati dal Ministro delle finanze, tenendo anche conto di specifiche analisi del rischio di evasione
e delle capacità operative dei medesimi uffici. Senza pregiudizio dell'azione accertatrice a norma
degli articoli 37 e seguenti, gli uffici possono:a) escludere in tutto o in parte lo scomputo delle
ritenute d'acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d'imposta, dalle comunicazioni di
cui all'articolo 20, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 605, o dalle certificazioni richieste ai contribuenti ovvero delle ritenute risultanti in misura
inferiore a quella indicata nelle dichiarazioni dei contribuenti stessi;b) escludere in tutto o in
parte le detrazioni d'imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli
elenchi di cui all'articolo 78, comma 25, della legge 30 dicembre 1991, n. 413;c) escludere in tutto
o in parte le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o
agli elenchi menzionati nella lettera b);d) determinare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati
risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;e) liquidare la maggiore
imposta sul reddito delle persone fisiche e i maggiori contributi dovuti sull'ammontare
complessivo dei redditi risultanti da più dichiarazioni o certificati di cui all'articolo 1, comma 4,
lettera d), presentati per lo stesso anno dal medesimo contribuente;f) correggere gli errori
materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.Ai fini dei commi 1 e 2,
il contribuente o il sostituto d'imposta e' invitato, anche telefonicamente o in forma scritta o
telematica, a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o
trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai
dati forniti da terzi. L'esito del controllo formale e' comunicato al contribuente o al sostituto
d'imposta con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle
imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarate, per consentire anche la
207
liquidazione di cui all'art. 36bis, consiste in un raffronto fra i dati esposti in
dichiarazione e la documentazione prodotta dal contribuente su richiesta
dell'Amministrazione, allo scopo di appurare l'effettiva spettanza di deduzioni,
detrazioni e crediti d'imposta409.
A fortiori, la lettera dell'art. 182ter non contiene alcun riferimento né ai
variegati poteri istruttori di cui l’Amministrazione è titolare, né all’attività di
accertamento o controllo “sostanziale”, ben più incisiva della mera liquidazione della
dichiarazione, in quanto diretta ad appurare la misura reale dell'imponibile al di là di
quanto dichiarato, in modo tale da contrastare fenomeni di evasione o elusione
d'imposta. Né potrebbe avallare una diversa soluzione interpretativa il riferimento
testuale agli “atti di accertamento” di cui al medesimo comma 2 dell'art. 182ter: la
disposizione testé menzionata, infatti, non impone di procedere ex novo al “controllo
delle dichiarazioni”, di cui agli artt. 37 e ss. del d.P.R. n. 600/1973, ed alla notifica
dei relativi avvisi di accertamento, immediatamente dopo la presentazione di una
proposta di transazione fiscale. Quel richiamo, viceversa, è da intendersi circoscritto
agli avvisi di accertamento che siano stati già emanati dall'ufficio e notificati al
contribuente in data anteriore al deposito dell’istanza: tali atti andranno infatti
ricompresi nella certificazione da rilasciare al debitore. La circostanza, poi, che detti
avvisi possano essere anche “non definitivi”, nel senso di contenere una
quantificazione del debito tributario non ancora certa ed assoluta, perché già
impugnati dinanzi al giudice tributario, ovvero perché non siano ancora decorsi i
termini per impugnarli, presuppone indubbiamente che un atto, sia pure soltanto
provvisorio, vi sia già410.
Sotto il profilo sistematico viene alla mente l'art. 2 dello Statuto dei diritti del
segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di
controllo formale entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione.”
409 Parte della dottrina, all'opposto, propende per ricomprendere nella locuzione “controlli automatici”
anche il controllo ex art. 36ter: cfr. ex multis E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato
preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 26, nt. 41.
410
Del resto, la dottrina è assolutamente unanime nel ritenere che in assenza di notificazione l'avviso
di accertamento è da reputarsi non già nullo, quanto piuttosto giuridicamente inesistente: cfr ex
multis E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, Utet, Torino, 1969, 471, secondo cui “l'avviso
di accertamento non è distinguibile dalla sua notificazione al contribuente: non esiste, se non in
quanto è notificato”.
208
contribuente, che impone al legislatore di varare le disposizioni tributarie in modo
“chiaro” e “trasparente”: assodato che la disposizione di cui all'art. 182ter ha
indubbiamente anche una valenza tributaria, seppur inserita nel contesto della legge
fall., è chiaro che una lettura tesa ad estrapolarne una portata diversa ed ulteriore
rispetto a quella ricavabile sulla base del solo dato testuale finirebbe per violare quei
canoni di chiarezza e trasparenza, che si vorrebbe informino tutte le disposizioni
tributarie.
Senza considerare che l'ultimo comma del menzionato art. 2, nel prescrivere
che “le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte
riportando il testo conseguentemente modificato”, sembrerebbe presupporre che
anche le disposizioni soltanto derogatorie rechino menzione del testo di legge cui si
intende derogare, quantomeno sottoforma di riferimento agli estremi identificativi
della norma derogata: ne deriva che se la volontà sottesa all'art. 182ter fosse stata
effettivamente quella di derogare alla normativa disciplinante i termini e le modalità
ordinarie di esplicazione dell'attività di accertamento, vi sarebbe stata sicuramente
una clausola del tipo “In deroga alle disposizioni di cui agli articoli...”, o altra
equivalente formulazione. Il che, del resto, è perfettamente coerente con il modus
operandi del nostro legislatore tributario, il quale, laddove ha inteso apportare
deroghe alla normativa de qua, introducendo limiti ai normali poteri di accertamento
dell'Amministrazione finanziaria, ha espresso la propria volontà in modo
assolutamente chiaro ed inequivoco: si pensi, ad esempio, alle disposizioni introdotte
dall'ultima legge condonistica, ossia la l. 27 dicembre 2002, n. 289, il cui art. 7,
comma 11, nel disciplinare gli effetti della definizione automatica dei redditi di
impresa e di lavoro autonomo risultanti da dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre
2002, ha previsto espressamente che la medesima definizione inibisce l'esercizio dei
poteri di cui agli articoli 32, 33, 38, 39 e 40 del d. P.R. n. 600/1973, ed agli articoli
51, 52, 54 e 55 del d.P.R. n. 633/1972. Ancora, l'art. 8 della medesima legge, che
consente l'integrazione delle dichiarazioni relative a periodi di imposta per i quali i
termini di presentazione della dichiarazione siano già scaduti alla data del 31 ottobre
2002, dispone al comma 6, lettera a) “la preclusione, nei confronti del dichiarante e
dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario e contributivo”, ed analoga
previsione è contenuta nel successivo art. 9, comma 10, lettera a).
209
Per le menzionate esigenze di chiarezza e trasparenza, che dovrebbero guidare
il legislatore nella redazione delle norme di diritto tributario, sarebbe stato più
opportuno che l'art. 182ter avesse contenuto un rinvio esplicito agli artt. 36bis e
54bis, in luogo di “sintetizzarne” il contenuto tramite l'uso delle espressioni
linguistiche sopra esaminate: non fosse altro perché la stessa l. n. 212/2000, al
comma 3 del citato art. 2, prescrive che i rinvii a disposizioni tributarie si fanno
indicando “anche” il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare
rinvio, dando per scontato che il rinvio presupponga almeno un richiamo agli estremi
formali che identificano quella disposizione, ossia l'atto normativo e l'articolo che la
contiene.
Sempre sotto un profilo logico-sistematico non si può non rilevare, poi, che
l'anticipazione dei controlli di merito entro il termine di 30 giorni dalla presentazione
dell'istanza di transazione, con efficacia preclusiva rispetto ad ogni successiva ed
ulteriore attività di accertamento, sarebbe a dir poco impossibile: non si può
dissentire da quella corrente dottrinale, in precedenza richiamata, che rileva come
tale lasso temporale non terrebbe assolutamente conto della complessità delle attività
istruttorie funzionali alla ricostruzione dell’imponibile reale, la quale richiede
controlli così accurati ed indagini tanto minuziose che sarebbe assurdo pensare di
completare in un termine così esiguo.
Del resto soccorre ancora una volta la normativa dettata dallo Statuto del
contribuente, ed in particolare la disposizione di cui al comma 5 dell'art. 6, il quale
prevede che qualora l'Amministrazione finanziaria abbia invitato il contribuente a
fornire chiarimenti o esibire documenti, il termine all'uopo accordato deve essere
congruo e “comunque non inferiore a trenta giorni”: ne deriva che sarebbe
contraddittorio ritenere che l'ufficio debba richiedere informazioni o documentazione
non oltre i trenta giorni dalla presentazione di una proposta di transazione, al fine di
esercitare e concludere i controlli di merito entro il medesimo lasso temporale,
laddove contemporaneamente l'imprenditore concordatario avrebbe a disposizione,
per adempiere alla suddetta richiesta, un termine minimo esattamente identico.
Ancora, il comma 5 dell'art. 12 prevede che la durata delle verifiche fiscali presso la
sede del contribuente non può eccedere i trenta giorni, prorogabili per altri trenta nei
casi di particolare complessità dell'indagine (peraltro, a seguito delle novità
210
introdotte con l'art. 7, comma 2, lettera c) del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito
con l. 12 luglio 2011, n. 106, il termine per la permanenza degli operatori tributari
civili e militari è ridotto a 15 giorni, prorogabili di altri 15, nel caso in cui il
contribuente sia un lavoratore autonomo o un'impresa in contabilità semplificata):
anche in tale evenienza il termine ivi contemplato non si concilierebbe con quello
previsto dall'art. 182ter, qualora a quest'ultima disposizione fosse attribuita valenza
anticipatoria dei controlli di merito411. Senza considerare che il comma 7 della
disposizione da ultimo citata attribuisce al contribuente la facoltà di comunicare
entro 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione osservazioni e
richieste, che l'ufficio sarà tenuto a valutare; in tale evenienza l'avviso di
accertamento non può essere emanato prima della scadenza di detto termine, salvo
casi di particolare e motivata urgenza.
In altri termini, aderendo alla tesi dell'efficacia preclusiva del consolidamento
del debito fiscale, si finirebbe di fatto per privare definitivamente l'Amministrazione
finanziaria di ogni possibilità di esercitare i propri controlli sostanziali, finendo quasi
per ridurre la transazione ad una sorta di “condono individuale”412, che del resto
nemmeno sarebbe rimesso ad una libera scelta del contribuente, come accade invece
negli ordinari condoni fiscali, che ancorano automaticamente la definizione di ogni
pendenza tributaria, con la conseguente estinzione dei residui poteri di accertamento,
411
Del resto, l'impossibilità di concludere le verifiche fiscali nel termine di cui all'art. 182ter è ancora
più marcata se si aderisse all'orientamento dell'Agenzia delle Entrate (cfr. circolare n. 64/E del 27
giugno 2011, in www.agenziaentrate.gov.it) e della Guardia di Finanza (cfr. circolari n. 259400 del
17 agosto 2000 e n. 1 del 29 dicembre 2008, in Banca Dati BIG, Ipsoa), secondo il quale il
termine di cui all'art. 12, comma 5 dello Statuto di diritti del contribuente (30 giorni, più eventuale
proroga di altri trenta) dovrebbe intendersi come riferito al numero di giorni di permanenza
effettiva dei verificatori presso la sede del contribuente, e quindi non rappresenta il tempo
massimo di esecuzione del controllo. In giurisprudenza non si registra un orientamento uniforme:
se alcune pronunce hanno avallato l'interpretazione dell'Amministrazione, reputando irrilevante, ai
fini della validità dell'avviso di accertamento, la durata delle operazioni ispettive, altre sentenze
hanno ritenuto che il mancato rispetto di questo termine massimo implichi la violazione di un
diritto del contribuente, comportando la nullità dell'avviso di accertamento: cfr. in tal senso
Comm. Trib. Prov. Terni, 16 dicembre 2009, n. 141, Comm. Trib. Reg. Piemonte, 7 maggio 2009,
n. 26 e Comm. Trib. Reg. Lombardia, 19 marzo 2008, n. 12, in Banca Dati BIG, Ipsoa.
412
Parla di “condono permanente”, sia pure sotto l'egida di un controllo giudiziale e nell'ambito di un
processo cui partecipano anche gli altri creditori, il documento redatto dal Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti – Commissione Procedure Concorsuali – Gruppo di Lavoro Decreti
Competitività, dal titolo Osservazioni sullo schema di d. lgs. recante la riforma organica della
disciplina delle procedure concorsuali.
211
alla volontà del privato, accompagnata ovviamente dal pagamento di un quantum
predeterminato dal legislatore: in sede di transazione fiscale, viceversa, la
cristallizzazione dei carichi tributari, con l'ipotizzato congelamento di ogni ulteriore
potere impositivo, sarebbe di fatto rimessa alla volontà dell'Amministrazione, nella
misura in cui è la stessa a poter decidere se concludere o meno una transazione
fiscale, ed è intuibile che a queste condizioni ben difficilmente la stessa acconsentirà
ad una soluzione tanto drastica, che renderebbe ancora più profondo il vulnus inferto
al principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria. A meno che non si voglia
aderire a quella tesi dottrinale, ancora più radicale e restrittiva per la stessa
Amministrazione, secondo cui la preclusione sostanziale conseguirebbe alla mera
omologazione del concordato, indipendentemente dall'avvenuta conclusione di una
transazione fiscale, cioè anche a prescindere dall'assenso espresso dal Fisco in
adunanza: soluzione, questa, ancor più inaccettabile, poiché finirebbe per lasciare i
poteri accertativi in balia della restante parte del ceto creditorio e del successivo
apprezzamento del giudice ordinario, il quale è oltretutto privo di ogni giurisdizione
in materia fiscale.
Del resto, anche ammettendo assurdamente che l'ufficio riesca a concludere la
propria attività istruttoria e notificare un avviso di accertamento nei trenta giorni
dalla presentazione dell'istanza di transazione, soccorrerebbero diverse criticità. In
primo luogo non vi sarebbe praticamente alcuno spazio concreto per un confronto
con l'interessato, mancando a costui il tempo necessario per proporre eventuali
osservazioni sul processo verbale, ed all'ufficio quello occorrente per valutarle
adeguatamente: ciò contrasterebbe con un principio, quello del contraddittorio in
sede di accertamento tributario, la cui valenza in termini di principio generale è
tuttora fortemente discussa, anche se ad esso talvolta la giurisprudenza di legittimità
ha riconosciuto valore di canone fondamentale ed inderogabile, la cui violazione
sarebbe causa di nullità dell'atto impositivo413. In secondo luogo, anche ammesso che
413
Cfr. Cass., 28 luglio 2006, n. 17229, in GT, 2006, 1048, in materia di accertamento in base a studi
di settore, nonché Cass., 11 giugno 2010, n. 14105, in GT, 2010, 875; non mancano tuttavia
pronunce discordanti: cfr. Cass., 29 dicembre 2010, n. 26316, in Corr. trib., n. 5/2011, 380 e ss. Il
principio del contraddittorio in ambito tributario, dunque, non può ancora considerarsi consolidato
in giurisprudenza: cfr. A. MARCHESELLI, Contraddittorio e procedimento tributario, un passo
indietro e due avanti, in Corr. trib., n. 5/2011, 376 e ss. Del resto, la vigenza di un principio
generale di partecipazione del contribuente all'attività di accertamento tributario è controversa
212
il contribuente riesca a presentare le proprie memorie ai sensi del citato art. 12,
comma 7 della l. n. 212/2000, occorre dare atto di quell'indirizzo giurisprudenziale
che, in relazione alla rigorosa scansione temporale prevista da questa disposizione,
ritiene che la notifica immotivata dell'avviso di accertamento prima dei 60 giorni
dalla presentazione delle memorie da parte del contribuente è causa di nullità
dell'avviso medesimo, in quanto violerebbe un suo diritto soggettivo414.
Infine, non può non assumere un certo rilievo anche l'argumentum per
analogiam. Sotto questo profilo, soccorre il confronto con gli altri strumenti
deflattivi del contenzioso tributario, nessuno dei quali determinerebbe il definitivo
congelamento dei residui poteri accertativi dell'Amministrazione. In particolare,
quanto all'accertamento con adesione, è lo stesso legislatore a prevedere testualmente
che “la definizione non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice [...] se
sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibili accertare
un maggior reddito, superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore
a € 77.468,53” (cfr. art. 2, comma 4, lettera a) del d. lgs. n. 218/1997)415. Del pari, i
nuovi istituti dell'adesione agli inviti al contraddittorio e ai processi verbali di
constatazione, introdotti nel corso del 2008, sarebbero anch'essi soggetti, secondo la
dottrina, all'analogo principio rebus sic stantibus416. Sicché, anche qualora si optasse
per la tesi più rigorosa, che riconnette all'intervenuta conclusione di una transazione
fiscale efficacia inibitoria rispetto ad ogni ulteriore attività accertatrice, non potrebbe
anche in dottrina: cfr. R. MICELI, La partecipazione del contribuente alla fase istruttoria, in AA.
VV., Statuto dei diritti del contribuente, a cura di A. FANTOZZI e A. FEDELE, Giuffrè, Milano,
2005, 671 e ss. Fra i contributi più recenti sul tema si segnala quello di F. GALLO,
Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria, in Dir. prat. trib., 2011, 467 e ss.
414
Cfr. Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 244, ord., Cass., 3 novembre 2010, n. 22320, e Cass., 15 marzo
2011, n. 6088, ord., tutte in Corr. trib., n. 21/2011, 1724 e ss..
415
Sull'applicazione in via analogica della disposizione de qua alla transazione fiscale cfr. V.
ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 271. M. CORVAJA e A. GUERRA, La transazione
fiscale, cit., 1918, ritengono che si applichi la norma generale dettata in tema di accertamento
integrativo di cui all'art. 43, comma 3 del d.P.R. n. 600/1972, argomentando che “è ovvio che
l'interesse del contribuente a chiudere la propria posizione fiscale sarebbe maggiormente
stimolato (dall'applicazione dei limiti ivi previsti, n.d.r.), fermo restando l'interesse pubblico a
recuperare a tassazione rilevanti evasioni di imposta, non emerse al momento della redazione
dell'accordo transattivo.”
416
Cfr. A. GIOVANARDI, L'adesione ai processi verbali di constatazione e agli inviti a comparire
tra principio di uguaglianza e deterrenza delle sanzioni, in Rass. trib., 2010, 364 e 365.
213
disconoscersi la valenza di detto principio generale, con la conseguenza che la
sopravvenienza di nuovi elementi istruttori, da cui sia possibile ricavare un
imponibile maggiore rispetto a quello considerato nella proposta di transazione o
comunque definito all'esito della procedura di concordato, dovrebbe necessariamente
indurre l'Amministrazione all'emanazione di un nuovo avviso di accertamento per il
recupero della maggiore imposta che ne deriva; a supporto di tale conclusione si
potrebbe anche “riesumare” il principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria,
altrimenti pregiudicato ingiustificatamente proprio dalla rinuncia, preventiva ed
assoluta, ad ogni residuo potere di accertamento.
Analoghe considerazioni, poi, dovrebbero portare ad escludere anche l'obbligo
di notificare nei trenta giorni eventuali avvisi di accertamento o altri atti impositivi
già sottoscritti dal Direttore dell'ufficio alla data della presentazione della proposta,
ma appunto non ancora portati a conoscenza del contribuente. In dottrina si registra
una spaccatura fra chi ritiene che anche questi atti possano rientrare nell'ambito del
consolidamento417, e chi invece sembra escludere detta possibilità418. Senonché, una
lettura aderente al tenore testuale dell'art. 182ter induce a ritenere che tale obbligo
non sussista, a meno che nell'arco dei trenta giorni successivi alla presentazione della
proposta non vengano a scadere, contemporaneamente, gli ordinari termini di
decadenza previsti per la notifica dell'atto impositivo: ma si tratterebbe, è evidente,
di un obbligo imposto non già dall'art. 182ter, quanto piuttosto dalla normativa
tributaria ordinariamente applicabile a quell'atto.
Ancora, l'unanime orientamento dottrinale, secondo cui in assenza di
notificazione l'avviso di accertamento non sarebbe neppure esistente sul piano
417
Cfr. in tal senso S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. La procedura, cit., 7923, il quale ritiene
appunto che la notifica possa avvenire anche successivamente alla ricezione della proposta di
transazione, tenuto conto delle modalità con le quali gli adempimenti notificatori sono assolti e del
tempo intercorrente tra la sottoscrizione del provvedimento di accertamento e l'assolvimento di
tale adempimento.
418
Cfr. L. DEL FEDERICO, Transazione fiscale, cit., 2573, nt. 35, e L. MAGNANI, La transazione
fiscale, cit., 686, secondo il quale poiché l'avviso di accertamento è un atto recettizio, non può
produrre alcun effetto finché non sia stato notificato. In tal senso anche V. FICARI, La
“transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel concordato preventivo, cit.,
617, che limita la definitiva rappresentazione di quanto dovuto dal contribuente (si intende,
ovviamente, la quantificazione contenuta nelle certificazioni prescritte dall'art. 182ter) a: cartelle
esattoriali definitive, cartelle notificate ma ancora impugnabili, avvisi di accertamento definitivi ed
avvisi di accertamento notificati ma ancora impugnabili.
214
giuridico, dovrebbe portare a ritenere che il debito d'imposta scaturente da tale
avviso nemmeno debba essere inserito nella certificazione da rilasciare al
contribuente, essendo questa afferente ai soli atti impositivi già notificati, dunque già
venuti ad esistenza.
In ogni caso l'obbligazione scaturente dagli avvisi notificati successivamente
alla chiusura del procedimento andrà soddisfatta secondo le percentuali
concordatarie, ai sensi della regola generale di cui all'art. 184, come meglio si vedrà.
Pertanto, alla luce di quanto detto sino ad ora, gli adempimenti istruttori a
carico dell'ufficio ex art. 182ter dovrebbero riguardare, innanzitutto, la sola
liquidazione delle dichiarazioni, seguita dalla notifica dell'eventuale comunicazione
di irregolarità contenente l’esito di maggiore imposta dovuta, con relative sanzioni
ed interessi.
Si ritiene che tali adempimenti debbano essere condotti secondo le ordinarie
modalità, con la conseguenza che anche nell'ambito di un procedimento di
transazione fiscale il contribuente avrà comunque la possibilità di sollecitare un
riesame della comunicazione in autotutela, qualora “rilevi eventuali dati o elementi
non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi”, fornendo i
chiarimenti all'uopo necessari, che stando al disposto di cui all'art. 36bis, comma 3
dovrebbero pervenire nei trenta giorni dal ricevimento dell'avviso di irregolarità.
Sotto questo profilo, tuttavia, non può non disconoscersi che la tempistica ivi
prevista mal si concilia con quella di cui all'art. 182ter: è evidente, infatti, che i trenta
giorni a disposizione del contribuente per fornire all'ufficio chiarimenti sull'esito
della liquidazione automatizzata verrebbero a scadere sempre e comunque dopo il
decorso del termine ultimo previsto dall'art. 182ter; il disallineamento temporale è
ancora più evidente qualora l'ufficio abbia notificato la comunicazione di irregolarità
proprio a ridosso di quest'ultimo termine419.
Senonché, per salvaguardare la possibilità di un contraddittorio e superare
419
Anche S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197 ritiene che, nonostante in linea teorica nulla
impedisca al debitore di fornire i necessari chiarimenti all'Amministrazione finanziaria entro i
trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione, onde ottenere una correzione della
prima certificazione in via autotutela, “non sembra che possa essere seguita tale strada, almeno
sul piano fattuale”.
215
l'impasse, si potrebbe propendere per la natura ordinatoria del termine previsto
dall'art. 182ter, oppure ritenere che detto termine rilevi solo ai fini della notifica del
primo avviso di irregolarità, senza che il decorso dei trenta giorni possa impedirne il
successivo riesame in autotutela. Del resto, la possibilità di ottenere una riduzione
del quantum originariamente preteso con l'atto liquidatorio non sembrerebbe
preclusa nemmeno dall'avvenuto rilascio della certificazione da parte dell'Agenzia:
stando al tenore letterale del comma 2 la certificazione dovrebbe riferirsi
esclusivamente agli atti di accertamento già emanati, nonché ai debiti d'imposta, da
qualunque fonte promananti (ivi compresi quelli scaturenti da precedenti controlli
automatizzati su dichiarazioni già presentate), iscritti in ruoli non ancora consegnati
al concessionario. Dovrebbero restare esclusi dalla certificazione, pertanto, i debiti
derivanti dalle comunicazioni di irregolarità emesse nei trenta giorni successivi alla
presentazione della domanda di transazione, come attesterebbe anche l'obbligo di
trasmettere al commissario giudiziale una copia di detti avvisi, congiuntamente ad
una copia della medesima certificazione420
.
E’ evidente, comunque, che l'eventuale riesame in autotutela dovrebbe essere
sollecitato dall'interessato quanto prima, considerata la tempistica, piuttosto serrata,
che scandisce l'intera procedura di concordato preventivo: in particolare, stante il
citato obbligo di trasmettere una copia delle comunicazioni di irregolarità al
commissario giudiziale, ai fini degli adempimenti gravanti sul medesimo, per i quali
sono previsti termini rigorosi421, sarà interesse del debitore l'ottenimento immediato
di una nuova comunicazione di irregolarità, da trasmettere quanto prima al
commissario, al fine di ottenere la correzione al ribasso dell’importo del debito
d’imposta indicato nell'elenco dei creditori e debitori di cui all'art. 171.
Si porrà, ovviamente, il problema di individuare se vi siano possibili rimedi
giurisdizionali esperibili nell'ipotesi in cui l'Amministrazione rifiuti di riesaminare
l'atto liquidatorio, ed il contribuente non concordi con la quantificazione ivi
420
Se infatti la certificazione dovesse comprendere anche l’esito delle liquidazioni di cui al comma 2,
allora non avrebbe avuto senso prevedere la trasmissione al commissario giudiziale anche degli
avvisi di irregolarità, posto che il loro contenuto sarebbe stato già compreso nella suddetta
certificazione.
421
Ai sensi di quanto previsto dall’art. 172, infatti, il commissario giudiziale deve redigere, oltre
all’inventario del patrimonio del debitore, anche una relazione particolareggiata sulle cause del
dissesto, da depositarsi in cancelleria almeno tre giorni prima dell’adunanza dei creditori.
216
contenuta. La normativa fiscale, infatti, non ricomprende gli avvisi di irregolarità fra
gli atti autonomamente impugnabili ex art. 19 del d. lgs. n. 546/1992, in materia di
processo tributario, sicché, in via generale sarà necessario attendere la formazione
del ruolo e la notifica della cartella esattoriale per poter far valere, dinanzi al giudice
tributario, eventuali vizi di merito della comunicazione contenente gli esiti del
controllo automatizzato. Va detto, tuttavia, che l’art. 182ter sembra escludere la
necessità di iscrivere a ruolo gli esiti del controllo automatizzato, essendo sufficiente
la notifica della sola comunicazione di irregolarità ai fini dell'inserimento del relativo
debito d’imposta nel passivo della procedura concordataria: sarebbe così derogato il
principio generale di cui all'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973, il quale invece impone la
preventiva iscrizione a ruolo dei crediti tributari per ottenerne l’ammissione al
concordato.
Inoltre, la possibilità di impugnare le pretese scaturenti da attività liquidatorie
non sembrerebbe conciliarsi con l'effetto di cessazione della materia del contendere
di cui al comma 5 dell'art. 182ter, che secondo la migliore dottrina sarebbe riferibile
non solo ai contenziosi già pendenti, bensì anche alle liti potenziali, ossia quelle non
ancora instaurate.
Ancora, la fase istruttoria del sub-procedimento di cui all’art. 182ter procede,
parallelamente allo svolgimento dell'attività liquidatoria di cui sopra, con il rilascio
di una certificazione attestante l'entità complessiva del carico tributario
(comprensivo di sorte capitale, sanzioni ed interessi) derivante da atti di
accertamento già notificati, ancorché non definitivi, per la parte non ancora iscritta a
ruolo, ovvero iscritti in ruoli già vistati ma non ancora consegnati al
concessionario422.
Trattasi di un'attività meramente ricognitiva, consistente nel “riepilogare” il
debito d’imposta derivante sia da atti definitivi (divenuti tali perché non impugnati
nei 60 giorni successivi alla notifica, ovvero per effetto di sentenza passata in
422
Sul carattere “omnicomprensivo” della certificazione del carico tributario, nel senso di
determinazione complessiva del medesimo, cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla
transazione fiscale, cit., 593, nt. 35, il quale tuttavia ne fa discendere l'inammissibilità di una
proposta di transazione solo parziale, sostenuta invece da altra parte della dottrina (cfr. L. TOSI,
La transazione fiscale, cit., 1079).
217
giudicato), sia da avvisi non ancora definitivi (in quanto sono ancora pendenti i
termini per l'impugnazione, ovvero questa è stata già proposta ma risulta ancora sub
iudice)423. In questa seconda evenienza con l'espressione “per la parte non iscritta a
ruolo” il legislatore ha inteso riferirsi alla porzione del debito tributario non
iscrivibile a ruolo ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 602/1973, pari ai due terzi424
dell'ammontare corrispondente al maggior imponibile accertato (per imposta ed
interessi): quanto invece alla restante parte (un terzo) che risulta già iscritta a ruolo,
detto importo andrà ovviamente indicato nella distinta certificazione rilasciata dal
concessionario della riscossione, ai sensi di quanto previsto dal medesimo comma 2
dell'art. 182ter. Sotto questo profilo il debito emergente da atti impositivi non
definitivi andrà comunque considerato per l'intero, in quanto ricompreso in parte
nella certificazione rilasciata dall'Agenzia e per la parte residua nella certificazione
elaborata dal concessionario.
Quanto al contenuto della certificazione rilasciata dall'ufficio, occorre superare
il tenore letterale della disposizione di legge, interpretando estensivamente la
locuzione “atti di accertamento” ivi utilizzata, in modo da ricomprendervi ogni atto
contente una pretesa di tipo impositivo: il legislatore avrebbe inteso riferirsi, dunque,
oltre agli avvisi di accertamento in senso stretto e agli atti ad essi analoghi (quali gli
avvisi di liquidazione e rettifica in materia di imposte di registro, ipotecaria e
catastale), anche agli atti di contestazione di violazioni tributarie ex art. 16 del d. lgs.
472/1992, nonché ancora agli avvisi di recupero di crediti di imposta indebitamente
fruiti.
Per le medesime ragioni nella certificazione andrà inserito anche il debito, per
maggiore imposta, sanzioni ed interessi, scaturente da controlli formali attivati ai
sensi del citato art. 36ter del d.P.R. n. 600/1973, perfezionati (con esito) prima della
423
Parte della dottrina ritiene che, con riferimento agli accertamenti non ancora definitivi, la proposta
transattiva equivarrebbe ad una richiesta di accertamento con adesione: cfr. ex multis D. PISELLI,
Concordato e transazione fiscale, cit., 7, nonché S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197, il
quale tuttavia sottolinea come la ratio della norma sembrerebbe esigere una maggiore disponibilità
dell'Amministrazione al compromesso.
424
A seguito delle modifiche introdotte con l’art. 7 del d.l. n. 70/2011 le imposte corrispondenti agli
imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, insieme ai relativi interessi, sono iscritte
a ruolo a titolo provvisorio per un terzo del loro ammontare (secondo la previgente formulazione
dell’art. 15 l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio operava per la metà dell’ammontare
corrispondente al maggior imponibile accertato).
218
presentazione di una proposta di transazione fiscale (si è visto sopra che si ritiene
non condivisibile la tesi secondo cui un tale controllo andrebbe attivato ex novo nei
trenta giorni dalla presentazione della proposta): si tratta, infatti, di atti espressione di
una potestà, se non propriamente accertativa (laddove per accertamento si intende il
controllo sostanziale della posizione fiscale del contribuente, e non un riscontro
meramente documentale dei dati esposti in dichiarazione), quantomeno lato sensu
impositiva. Inoltre, nonostante la comunicazione contenente gli esiti del controllo ex
art. 36ter non sia impugnabile in via autonoma, si tratterebbe pur sempre di un atto
avente valore di titolo esecutivo ai fini della successiva iscrizione a ruolo degli
importi in esso quantificati, che costituiscono pertanto un credito
dell’Amministrazione perfettamente liquido, certo ed esigibile; per cui si potrebbe
anche far leva sulla sua qualificazione in termini di “credito concorsuale” per
asserirne la necessaria soddisfazione, in concorso con ogni altro credito, tributario e
non, anteriore alla data di presentazione della domanda di concordato,
ricomprendendo anch'esso nella certificazione dell'Agenzia delle Entrate.
Lo stesso dicasi per il debito d'imposta contenuto in comunicazioni di
irregolarità ex artt. 36bis e/o 54bis che risultino già notificate al contribuente al
momento dell'attivazione della procedura di transazione: trattandosi, anche in tal
caso, di un debito liquido, certo ed esigibile, scaturente da una pregressa attività
impositiva, anch'esso andrà ricompreso nella certificazione di cui al comma 2. Si è
già visto che è da escludersi, all'opposto, che tale certificazione debba comprendere
anche gli importi (richiesti a titolo di maggiore imposta, sanzioni ed interessi)
eventualmente scaturenti dal controllo automatizzato delle dichiarazioni allegate alla
proposta di transazione, attivato nei trenta giorni successivi alla presentazione della
medesima: poiché l'esito dell’attività di liquidazione deve essere contenuto in
apposito avviso notificato al contribuente e trasmesso in copia al commissario
giudiziale, sarebbe superfluo ricomprendere il relativo debito d’imposta anche nella
certificazione da rilasciare ai sensi del comma 2.
Un profilo piuttosto delicato attiene alla sorte degli inviti al contraddittorio già
inviati al contribuente ex artt. 5 (in materia di imposte sui redditi ed Iva) e 11
(relativo ad altre imposte indirette) del d. lgs. n. 218/1997, nonché dei processi
219
verbali di constatazione già consegnati al momento del deposito dell’istanza di
transazione.
A generare incertezze è la circostanza che inviti al contraddittorio e processi
verbali non conterrebbero una vera e propria pretesa impositiva, ma costituiscono
soltanto “momenti” della fase istruttoria del procedimento tributario, le cui risultanze
sono destinate a sfociare in un successivo avviso di accertamento.
Il problema da risolvere è duplice. Da un lato ci si chiede se, sia pure
accogliendo la tesi che esclude ogni valenza sostanziale all'effetto di
consolidamento, l'ufficio sia comunque tenuto ad emanare e notificare, nei trenta
giorni di cui all'art.182ter, un avviso di accertamento basato sui rilievi contenuti in
un precedente invito o pvc, muovendo dal presupposto che tali rilievi avrebbero
valore di elementi istruttori di cui l'Erario è già a conoscenza alla data di
presentazione di un’istanza di transazione; una soluzione che negasse tale obbligo,
ed ammettesse la possibilità di emanare l'atto impositivo anche in un secondo
momento, potrebbe risultare eccessivamente sbilanciata a favore
dell'Amministrazione finanziaria.
In secondo luogo, qualora si escluda un obbligo di tal fatta, ci si chiede allora
se la certificazione dell'Agenzia debba ricomprendere anche gli importi scaturenti da
inviti o processi verbali già notificati o consegnati all’imprenditore proponente, ma
non ancora trasfusi in un avviso di accertamento.
Quanto alla prima questione, ritenere che l'ufficio sia comunque tenuto ad
emanare un avviso di accertamento, che recepisca i dati già in suo possesso (salvo il
successivo esercizio di ulteriore attività accertatrice in caso di sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi, alla luce della clausola generale rebus sic stantibus) è
una soluzione che non necessariamente garantirebbe il debitore, anzi all'opposto
potrebbe finire per pregiudicarlo: si è fatta menzione, in precedenza, di quelle
disposizioni dettate dallo Statuto dei diritti del contribuente che sembrerebbero
essere finalizzate a garantire, se non un autentico contraddittorio, quantomeno una
proficua dialettica fra il contribuente e l’ufficio. In particolare, il riferimento è alla
norma di cui all'art 12, comma 7, la cui portata è stata analizzata in precedenza: basti
qui considerare che il preteso obbligo di emanare un avviso di accertamento in
presenza di un pvc, entro trenta giorni dalla presentazione di una proposta di
220
transazione fiscale, collide con il diverso termine (60 giorni dalla consegna del
verbale) che quella disposizione accorda al contribuente per comunicare eventuali
osservazioni e richieste, prima del quale l'ufficio, del resto, non potrà procedere
all'emanazione dell'avviso di accertamento, se non per motivi di particolare e
motivata urgenza. Sarebbe dunque pregiudicata la possibilità di un confronto con
l'imprenditore, in spregio al principio di leale collaborazione fra le parti; principio,
questo, che sarebbe invece pienamente salvaguardato dall'esercizio dell'attività
accertativa nei termini ordinari, nel rispetto delle scansioni temporali previste dallo
Statuto, che consentono al contribuente di far valere le proprie ragioni in un termine
considerato congruo, ed eventualmente indurre l'ufficio a ridimensionare il quantum
derivante da un precedente processo verbale.
Escluso, dunque, che l'Amministrazione abbia l'obbligo di trasfondere il
contenuto di precedenti inviti o verbali in un atto impositivo da notificarsi nei
ristretti termini di cui all'art. 182ter, resta da chiarire quale sia il trattamento da
riservare al debito d'imposta scaturente dai menzionati atti425.
La dottrina sembra propensa ad escludere dall'ambito del consolidamento il
maggior debito contenuto in processi verbali di constatazione426, laddove l'Agenzia
delle Entrate, come visto in precedenza, invita l'ufficio a “tener conto ai fini
istruttori” di inviti al contraddittorio già notificati e verbali precedentemente
consegnati, senza però precisare quali debbano essere esattamente le incombenze da
espletare in concreto.
Occorre chiedersi, preliminarmente, se gli importi indicati in tali atti
costituiscano l'oggetto di un'autentica obbligazione tributaria, da soddisfare
nell'ambito del concordato in concorso con gli altri debiti d'impresa, ivi compresi
quelli scaturenti da provvedimenti impositivi già emanati, e quindi destinati ad essere
425
Cfr. il testo dell'art. 5, comma 1, lettera c), che nel disciplinare il contenuto dell'invito al
contraddittorio prevede che esso debba ricomprendere anche l'indicazione delle “maggiori
imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti”.
426
Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, cit., 686, secondo il quale nessun rilievo potrebbe
attribuirsi alla circostanza che a carico del debitore siano in corso accessi, ispezione e verifiche.
Anche S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit.,7589 reputa necessario un
atto impositivo, posto che la redazione di un semplice verbale di constatazione a seguito di una
verifica fiscale non sarebbe sufficiente.
221
ricompresi nella certificazione da rilasciare all'imprenditore: tale dilemma potrebbe
essere risolto optando per l'oramai consolidata tesi dichiarativa dell'accertamento, e
dunque ritenendo che anche in tali ipotesi sia comunque ravvisabile un'obbligazione
tributaria427, la quale, pur non essendo stata ancora accertata con provvedimento
formale, è già sorta ex lege, per effetto del verificarsi del relativo presupposto
impositivo (ad esempio, il possesso di maggiore reddito imponibile per quanto
attiene alle imposte sui redditi, o l’effettuazione di ulteriori operazioni soggette ad
Iva). Si potrebbe ipotizzare, allora, un'equiparazione dell'obbligazione de qua ai
“crediti condizionali”, che nel concordato preventivo subiscono un trattamento
identico a quello previsto in sede fallimentare, in forza dell'espresso rinvio all’art. 55
contenuto nella disposizione di cui all'art. 169. In particolare, ai crediti sub
condizione sospensiva, ai sensi di quanto previsto dal comma 3 del citato art. 55, si
applicano le norme di cui agli artt. 96, 113 e 113bis, nella misura in cui le medesime
siano compatibili con la procedura di concordato preventivo428: pertanto, anche detti
crediti andranno inseriti nell'elenco redatto dal debitore ex art. 161, comma 1, lettera
b), e sottoposto successivamente al vaglio del commissario giudiziale ai sensi
dell'art. 171, partecipando alla votazione in sede di adunanza ed alla formazione
delle maggioranze prescritte dall'art. 177. Il relativo pagamento, invece, dovrebbe
aver luogo, secondo le percentuali proposte dall'imprenditore ed impiegando le
riserve all’uopo costitute dal Tribunale, soltanto a seguito del verificarsi della
condizione sospensiva cui è subordinata l’efficacia di dette obbligazioni.
Premesse queste opportune considerazioni di ordine generale, è necessaria
un'ulteriore precisazione quanto alla “condizione” cui è subordinata l'efficacia, e
dunque l'esigibilità, del debito d'imposta scaturente da inviti al contraddittorio o
processi verbali di constatazione: se in via generale detta condizione sarà
427
In realtà già da tempo la consolidata dottrina ritiene che non sia possibile ricondurre il debito di
imposta allo schema privatistico dell'“obbligazione”, in ragione del prevalere dell'ottica
pubblicistica e della multiforme varietà degli schemi di applicazione dei diversi tributi: cfr. A.
FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 246 e ss.
428
Dal combinato disposto delle citate disposizioni deriva che nell'ambito del fallimento tali crediti
devono essere ammessi al passivo con riserva, con conseguente formazione, in sede di ripartizioni
parziali, delle quote da assegnare eventualmente ai medesimi, e soltanto dopo il verificarsi
dell'evento che ha determinato l'ammissione con riserva il giudice delegato dovrà modificare lo
stato passivo e ammettere il credito in via definitiva.
222
rappresentata dall'emanazione di un avviso di accertamento che recepisca i rilievi
contenuti in tali atti, occorre tener conto delle novità introdotte con il d.l. n.
185/2008. In particolare, tale decreto ha modificato la disciplina dettata dal d. lgs. n.
218/1997 in materia di accertamento con adesione e conciliazione giudiziale: sicché,
la nuova formulazione degli artt. 5, commi 1bis e ss., e 5bis del d. lgs. n. 218/1997
accorda al contribuente la possibilità di definire in via anticipata le pendenze
scaturenti rispettivamente da inviti al contraddittorio e processi verbali di
constatazione, tramite il pagamento degli importi dovuti entro un certo lasso
temporale429, con il vantaggio di fruire di una riduzione delle sanzioni applicabili ad
un sesto del minimo edittale. L’adesione si perfeziona con la comunicazione al
competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate della volontà di aderire all'invito o al
verbale, che nel primo caso dovrà essere accompagnata dalla quietanza dell'avvenuto
pagamento della prima o unica rata.
Ne deriva che in tali ipotesi l'adesione costituisce condizione legale di efficacia
dell'obbligazione tributaria (comprensiva di imposta, sanzioni ed interessi) contenuta
in un invito o in un verbale, senza che si faccia luogo all'emanazione di un
successivo avviso di accertamento: ciò è ulteriormente confermato dalle previsioni di
cui agli artt. 5, comma 1quater, e 5bis, comma 4, i quali dispongono che nel caso di
mancato versamento degli importi dovuti, alle prescritte scadenze, l'invito o il
verbale costituiscono titolo per l'iscrizione a ruolo, a titolo definitivo, degli importi
ivi indicati.
Viceversa, nell'ipotesi in cui il contribuente non abbia manifestato la volontà di
aderire ai contenuti dell'invito o del pvc alle scadenze all'uopo prescritte, l'ufficio
non potrà procedere alla riscossione degli importi ivi quantificati tramite immediata
iscrizione a ruolo, essendo invece necessario operare in via ordinaria, ossia con
l'emissione di un avviso di accertamento in cui andrà trasfuso il contenuto di tali atti
istruttori (ovviamente in tal caso il contribuente perderà il beneficio della riduzione
delle sanzioni irrogate).
429
Quindici giorni prima la data fissata per la comparizione, nel caso si tratti di invito al
contraddittorio, ovvero 30 giorni dall’atto di definizione dell’accertamento parziale, da notificarsi
entro i 60 giorni dalla data in cui il contribuente ha comunicato al competente ufficio la volontà di
aderire.
223
Alla luce di quanto detto è possibile optare per un'interpretazione dell'art.
182ter che si armonizzi con le menzionate disposizioni tributarie, tenuto conto che il
lasso temporale previsto per l'adesione potrebbe non collimare con la tempistica che
scandisce sia il sub-procedimento di transazione, sia la complessiva procedura di
concordato430.
Pertanto potrebbe verificarsi l'ipotesi in cui il debitore, già con la proposta di
transazione fiscale431 o anche prima, abbia manifestato la volontà di aderire ad inviti
al contraddittorio precedentemente notificati o processi verbali di constatazione già
consegnati, purché ovviamente siano rispettati i tempi all'uopo prescritti dagli artt. 5
e 5bis del decreto n. 218: in tal caso si dovrà ritenere verificata la citata condizione
sospensiva, con la conseguenza che la certificazione rilasciata dall'ufficio dovrà tener
conto anche del relativo debito d'imposta, da considerarsi certo, liquido ed esigibile.
Tale obbligazione, dunque, costituendo un credito definitivo, andrà soddisfatta
secondo i termini e le percentuali indicate nella proposta di transazione, non già
secondo le condizioni dettate dal decreto n. 218432.
430
In particolare, per quanto attiene al profilo temporale, è da reputarsi, in linea con la soluzione
interpretativa prospettata nel presente lavoro, che l'art. 182ter non abbia efficacia derogatoria
rispetto alla normativa di cui ai citati artt. 5 e 5bis, con la conseguenza che i termini ivi previsti per
l'adesione agli inviti e ai pvc valgono anche nell'ipotesi in cui sia stata presentata una proposta di
transazione fiscale. Pertanto, il debitore che intenda definire le pendenze contenute in tali atti
istruttori non avrà l'obbligo di perfezionare l'adesione nel diverso termine di trenta giorni dal
deposito dell’istanza di cui all'art. 182ter.
431
In tale evenienza, ci si potrebbe chiedere se la “comunicazione al competente ufficio”, prevista sia
dall’art. 5, comma 1bis, sia dall’art. 5bis, con cui il contribuente manifesta la propria volontà di
aderire rispettivamente ad un invito al contraddittorio o ad un processo verbale di constatazione,
possa essere contenuta all’interno della domanda di transazione, ovvero debba formare oggetto di
un atto ad hoc, da depositarsi separatamente.
432
Non è chiaro, però, se il debitore che intenda prestare adesione ad un invito al contraddittorio sia
tenuto contestualmente al pagamento della prima o unica rata, come prescritto dal comma 1bis
dell'art. 5: il dubbio si pone perché detto adempimento costituisce, insieme alla comunicazione
della volontà di aderire, condizione di perfezionamento dell'adesione. Il quesito si ricollega al più
generale problema afferente l'ammissibilità di un pagamento dei crediti anteriori effettuato prima
dell'omologazione del concordato: se in passato si riteneva che tale pagamento fosse
inammissibile, perché effettuato in violazione della par condicio creditorum (cfr. ex multis Cass.,
28 agosto 1995, n. 9030, in Fall., 1996, 69; in dottrina cfr. A. CANDIAN, Il processo di
concordato preventivo, cit., 163; R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, cit., 2250, e
U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., 1566), successivamente è
venuto consolidandosi in giurisprudenza l'orientamento secondo cui detto pagamento può essere
autorizzato dal giudice delegato qualora ne ravvisi l'utilità (cfr. Cass., 5 novembre 1990, n. 10620,
in banca dati Il Foro italiano online). La dottrina maggioritaria propende per la seconda soluzione
(cfr. S. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in
Trattato di diritto commerciale, diretto da G. COTTINO, Cedam, Padova, 2008, 95, e G. LO
224
Ancora, nulla vieta che inviti al contraddittorio possano essere notificati al
debitore successivamente alla presentazione di una domanda di transazione, sulla
base dei dati e degli elementi attualmente a disposizione dell'ufficio. Inoltre, sempre
nel lasso temporale di cui all'art. 182ter potrebbero essere consegnati al contribuente
inviti o processi verbali, magari a conclusione di verifiche fiscali avviate in
precedenza: il legislatore, come detto, non prevede un vero e proprio obbligo in tal
senso, non essendo l'ufficio tenuto ad anticipare i propri controlli di merito, ma
nell'ipotesi in cui ciò accada è necessario accordare all'imprenditore la possibilità di
definire le relative pendenze tramite l'adesione all'invito o al pvc. Pertanto si ritiene
che il debitore possa sempre modificare la propria domanda di transazione, al fine di
estendere la proposta anche a tali debiti tributari; anche in tale evenienza, inoltre,
questi andranno ricompresi nella certificazione dell'Agenzia, ed ammessi al voto
come crediti definitivi.
Qualora invece il proponente non abbia manifestato la volontà di aderire ad
inviti o processi verbali di constatazione, ma siano ancora pendenti i termini
prescritti dalla normativa tributaria per manifestare siffatta adesione, si dovrà ritenere
che la condizione sospensiva di cui trattasi sia ancora pendente. Pertanto l'ufficio
dovrà comunque considerare nella propria certificazione anche tali importi, che
andranno ricompresi nell'elenco dei creditori ex art. 161, ed ammessi al voto come
qualsiasi altro credito condizionale; qualora poi il contribuente, successivamente
all'omologazione del concordato, manifesti la propria adesione il credito andrà
soddisfatto secondo le modalità previste per tutti gli altri crediti condizionali per i
quali si sia verificata la relativa condizione sospensiva dopo il decreto di omologa.
Viceversa, in caso di mancata adesione del contribuente nei termini all’uopo
previsti l'ufficio potrà sempre procedere all'emanazione di un avviso di accertamento
sulla scorta dei rilievi formali e/o sostanziali contenuti nell’invito o nel verbale di
constatazione: la conclusione di una transazione fiscale, come già visto, non ha
alcuna efficacia preclusiva rispetto al successivo esercizio del potere accertativo.
Altro problema sarà quello di stabilire in che misura il Fisco possa pretendere il
pagamento del complessivo debito d'imposta scaturente da tali avvisi: si tratta,
CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 430), pur non mancando qualche voce discorde (cfr. U.
TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Cedam, Padova, 2001, 552).
225
invero, di una questione che attiene alla “sorte” di qualsiasi credito d'imposta avente
la propria fonte in atti impositivi successivi all'omologazione di un concordato, e che
sarà analizzata più approfonditamente nel prosieguo.
Infine, potrebbe verificarsi l'ulteriore ipotesi che il termine per aderire sia già
infruttuosamente decorso alla data di presentazione della proposta di transazione,
oppure dopo la presentazione della stessa ma prima del rilascio della certificazione.
In tale evenienza l'invito o il processo verbale perderebbero la loro valenza di titoli
esecutivi, poiché gli importi ivi contenuti dovrebbero pur sempre essere trasfusi in
un successivo atto di accertamento per assurgere al rango di vera e propria
obbligazione tributaria: si dovrebbe ritenere, dunque, che in tal caso non vi sia
l'onere di ricomprendere nella certificazione da rilasciare anche gli importi
quantificati in tali atti istruttori, ben potendo (anzi dovendo) l'ufficio pretenderli in
un momento successivo, secondo le regole ordinarie che disciplinano l’esercizio dei
poteri accertativi.
Senonché considerazioni di opportunità pratica potrebbero anche suggerire una
conclusione opposta: si pensi ad un concordato liquidatorio proposto da una società,
che preveda l'estinzione della medesima al termine della procedura concorsuale. In
tale ipotesi è ovvio che non vi sarà più alcun patrimonio su cui rivalersi, una volta
chiusa la fase esecutiva del concordato e provveduto alla cancellazione della società
dal Registro delle imprese: sarà interesse dell'ufficio, pertanto, procedere ad una
celere e tempestiva emanazione dell'avviso di accertamento, in modo da
ricomprendere immediatamente nel passivo concordatario, dunque nella propria
certificazione, anche gli importi contestati in tali atti istruttori. Quindi è sul piano
pratico, piuttosto che giuridico, che verrebbe ad essere “recuperata” la funzione di
accelerazione dell'attività di accertamento che secondo parte della dottrina sarebbe il
proprium della transazione fiscale.
In conclusione, quanto ai riflessi propriamente tributari dell’istituto di cui
all’art. 182ter si dovrebbe ritenere che il consolidamento attenga al solo debito
d'imposta scaturente dall'attività liquidatoria in senso stretto, senza precludere
ulteriori controlli di merito sulla posizione fiscale del contribuente, attivabili anche a
seguito della conclusione della transazione e dell'omologazione del concordato, nel
226
rispetto dei termini decadenziali all'uopo previsti dalle ordinarie disposizioni di
legge. Ne deriva che l'ufficio avrà soltanto l'onere di procedere, nei trenta giorni
dalla presentazione della proposta, alla liquidazione delle dichiarazioni (si intende,
quelle non ancora liquidate) ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità. Sicché
l'inutile decorso di quel lasso temporale dovrebbe precludere del tutto il successivo
esercizio della sola attività di controllo automatizzato delle dichiarazioni di cui agli
artt. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972: l'ufficio, pertanto,
non potrebbe più far valere il maggior debito d'imposta che eventualmente ne
scaturirebbe una volta decorsi i trenta giorni dal deposito dell’istanza di transazione
fiscale.
In altre parole si ritiene pienamente condivisibile quella corrente dottrinale che
circoscrive l'effetto di consolidamento alla sola attività liquidatoria, intesa nel senso
proprio del termine. Ne deriva che se è possibile ipotizzare una deroga alla
normativa tributaria, essa riguarderà le sole disposizioni che disciplinano l'esercizio
di detta attività: in particolare, essa andrà espletata non già “entro l'inizio del periodo
di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo”, così come dispone
il citato art. 36bis, bensì entro il ridotto lasso temporale di trenta giorni dalla
presentazione dell'istanza di cui all'art. 182ter.
5.2. Consolidamento del debito tributario e normativa concorsuale.
Argomentata la tesi secondo la quale la certificazione rilasciata non avrebbe
alcuna efficacia preclusiva rispetto all'esercizio dei poteri pubblicistici di
accertamento di cui l'Amministrazione finanziaria è titolare, inibendo, semmai,
solamente l'ulteriore espletamento dell'attività di liquidazione delle dichiarazioni
presentate dal contribuente, occorre ora considerare la funzione precipua che la
medesima certificazione riveste nel contesto della procedura di concordato
preventivo. Il discorso, dunque, andrà spostato sul versante concorsuale dell'istituto
di cui all'art. 182ter.
Su questo piano lo scopo della certificazione è quello di rendere edotto il
commissario giudiziale del reale ammontare del debito fiscale esistente alla data di
presentazione di una proposta di concordato: ciò si evince dal comma 2 dell’art.
182ter, nella parte in cui prescrive che “copia degli avvisi e delle certificazioni
227
devono essere trasmessi al Commissario giudiziale per gli adempimenti previsti
dall'articolo 171, primo comma, e dall'articolo 172”.
In particolare, la norma di cui all’art. 171 prevede che il commissario debba
procedere alla verifica dell'elenco dei creditori e dei debitori (che il proponente deve
allegare alla domanda di concordato preventivo, ai sensi di quanto prescritto dall’art.
161, comma 2, lettera b)433, apportandovi le necessarie rettifiche. La disposizione
recita testualmente che la verifica andrà condotta “con la scorta delle scritture
contabili presentate a norma dell'art. 161”434.
Occorre premettere che quella demandata al commissario giudiziale è una
“verifica di tipo amministrativo”435, finalizzata alla sola ammissione dei crediti alla
votazione: ciò è perfettamente in linea con l'assunto, ribadito da unanime dottrina e
giurisprudenza436, secondo il quale nel concordato preventivo manca una fase di
433
In realtà, se il comma 1 dell'art. 171 parla di “elenco dei creditori e dei debitori”, l'art. 161, tra la
documentazione da allegare al ricorso, include il solo “elenco dei creditori”: il difetto di
coordinamento fra le due disposizioni è rilevato, tra gli altri, da G. U. TEDESCHI, Manuale del
nuovo diritto fallimentare, cit., 558.
434
La dottrina non ha mancato di rilevare un ulteriore difetto di coordinamento fra l'art. 171, non
ritoccato dalla riforma delle procedure concorsuali, ed il testo novellato dell’art. 161, che fra i
documenti da allegare alla domanda di concordato preventivo non contempla più le scritture
contabili (essendo venuto meno il requisito della regolare tenuta della contabilità quale condizione
di ammissibilità del concordato). Pertanto un’isolata corrente dottrinale propende per l'abrogazione
implicita del primo comma dell'art. 171, come pure del precedente art. 170 (anch'esso contenente il
riferimento ai “libri presentati”, da intendersi come scritture contabili nel loro complesso): cfr. S.
D'AMORA, Note esegetiche sul nuovo concordato preventivo e le procedure di ristrutturazione
dei debiti, in www.tribunale.milano.it, 2005, 7, nonché G. BOZZA, La proposta di concordato
preventivo, la formazione delle classi e le maggioranze richieste nella nuova disciplina del
concordato preventivo, in Fall., 2005, 1212. La dottrina maggioritaria, tuttavia, supera tale difetto
di coordinamento ritenendo che l'imprenditore sia tuttora obbligato al deposito delle scritture
contabili, non necessariamente in via contestuale alla presentazione della domanda, ma anche in un
momento successivo, su richiesta del Tribunale (il quale potrebbe anche fissare un apposito
termine per il deposito con il decreto di ammissione al concordato: cfr. P. G. DEMARCHI, I
provvedimenti immediati, in S. AMBROSINI - P.G. DEMARCHI - M. VITIELLO, Il concordato
preventivo, cit., 117 e 118), ovvero del commissario giudiziale (cfr. P. BRENCA, Il commissario
giudiziale. Convocazione dei creditori. Relazione e stima, in Fallimento e altre procedure
concorsuali, cit., 1677).
435
Di “verifica amministrativa”, anche con riferimento alla previgente disciplina, parla la prevalente
dottrina: cfr. ex multis U. TEDESCHI, Le procedure concorsuali, Utet, Torino, 1997, II, 146, con
ampi riferimenti bibliografici.
436
Cfr. ex multis S. SATTA, Diritto fallimentare, Cedam, Padova, 1997, 493. In giurisprudenza cfr.
da ultimo Cass., 18 giugno 2008, n. 16598 in www.ilcaso.it, I, 2109/2010, la cui motivazione
richiama le pronunce della medesima S.C. n. 23721 del 2006, n. 523 del 1999, n. 8116 del 1998, n.
6859 del 1995 e n. 6083 del 1978.
228
autentico accertamento del passivo analoga a quella prevista per il fallimento dagli
artt. 92 e ss., avendo il legislatore inteso valorizzare le esigenze di sollecitudine e
celerità proprie della procedura concordataria, destinate a prevalere su quelle di
certezza e giustizia437.
L'assenza di una vera e propria fase di verifica giudiziale del passivo
concordatario giustifica la previsione di cui all'art. 176, comma 1, secondo cui il
giudice delegato può ammettere provvisoriamente i crediti contestati “ai soli fini del
voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie
definitive sulla sussistenza dei crediti stessi”: trattasi, dunque, di una cognitio
incidenter tantum, la cui funzione è circoscritta all’individuazione dei crediti da
ammettere alla votazione nell'ipotesi in cui alcuni di essi siano contestati, vuoi
nell'an che nel quantum. Secondo la migliore dottrina il rimedio della contestazione,
introdotto allo scopo di evitare la creazione di artificiose maggioranze, non
rivestirebbe alcun carattere di procedimento formale, ma si svolgerebbe oralmente e
darebbe luogo ad una pronuncia che non attiene all'aspetto sostanziale del credito:
quello del giudice delegato, in altri termini, sarebbe un provvedimento di natura
esclusivamente ordinatoria438, avente ad oggetto l'ammissione o l'esclusione di un
credito dalla fase della deliberazione della proposta di concordato, senza incidere sui
profili concernenti l'esistenza e/o l'ammontare del medesimo439.
Del pari, il comma 2 dell’art. 176 prevede che i creditori esclusi possono
opporsi all'esclusione in sede di omologazione “nel caso in cui la loro ammissione
avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze”. Anche in tale
437
Secondo una parte della dottrina l'unica preclusione che potrebbe derivare in merito al successivo
accertamento dell'esistenza o meno del credito, nella sede competente, sarà costituita dal
riconoscimento, espresso o tacito, che di esso avrà fatto il debitore con l'iscrizione nell'elenco di
cui all'art. 161: per alcuni (cfr. R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, cit., 2092) si
tratterebbe di un'ammissione di parte, da valutarsi secondo le comuni norme di diritto processuale
(giova rammentare che questa soluzione è coerente con l'idea di fondo dell'A., il quale attribuisce
al concordato preventivo natura processuale, aderendo alla tesi pubblicistica); per altri (cfr. G. LO
CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 170) si tratterebbe di una ricognizione di debito.
438
Cfr. U. TEDESCHI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 744, secondo cui neppure sarebbe
esperibile il reclamo ex art. 26 per ragioni di tempo. Più in generale, sulla mancanza di poteri
cognitori in capo al giudice delegato, cfr. Cass., 15 febbraio 1969, n. 523, in Giur. it., 1969, I,
1056. Di “pronuncia delibativa” parla Cass., 18 giugno 2008, n. 16598, cit.
439
Cfr. S. SATTA, Diritto fallimentare, cit., 499.
229
evenienza, come nell’ipotesi di contestazione dinanzi al giudice delegato, non vi
sarebbe un autentico giudizio, attivabile nel corso della fase di omologazione del
concordato: l'opposizione, infatti, sarà esperibile solo qualora l'ammissione dei
crediti esclusi avrebbe avuto una concreta incidenza sul raggiungimento delle
percentuali di cui all’art. 177 (trattasi della cosiddetta “prova di resistenza”)440, ed il
Tribunale prenderà in considerazione tali crediti esclusivamente sotto questo profilo.
In altri termini, qualora ritenga che le pretese creditorie escluse avrebbero dovuto
essere ammesse, e considerandole come crediti votanti in senso contrario, rifiuterà
l'omologazione, posto che il loro conteggio avrebbe precluso il raggiungimento delle
maggioranze necessarie ai fini dell'approvazione della proposta; nel caso in cui,
all'opposto, ritenga che tali crediti erano stati fondatamente esclusi, procederà
all'omologazione del concordato. In ambedue le ipotesi, comunque, la pronuncia del
Tribunale lascia impregiudicato il giudizio definitivo sull'an ed il quantum del
credito escluso (ossia la “pronunzia definitiva sulla sussistenza” del medesimo cui
allude l'art. 176, comma 1), devoluto alla competente autorità giudiziaria441.
Ne deriva che nessuno degli organi della procedura (commissario giudiziale,
giudice delegato e Tribunale) avrà il potere di esprimersi sui crediti concorsuali con
una pronuncia dotata di efficacia “sostanziale”, i cui effetti, cioè, siano tali da
trascendere il ristretto ambito endo–concorsuale. Assodato ciò, ne deriva che l'elenco
dei creditori (con l’indicazione dei rispettivi crediti) sottoposto al vaglio del
commissario giudiziale, l'ammissione provvisoria dei crediti contestati ad opera del
giudice delegato, ed il decreto motivato con cui il Tribunale si pronuncerà
sull'opposizione dei creditori esclusi rilevano esclusivamente in funzione del calcolo
delle maggioranze richieste in sede di deliberazione della proposta concordataria,
oltre che ai fini della determinazione del quantum da corrispondere in sede esecutiva.
Del resto la duplice funzione di calcolo della maggioranza e quantificazione
dell’importo complessivo da soddisfare in moneta concordataria era stata rilevata
440
Sull’esperibilità dell’opposizione da parte dei soli creditori esclusi la cui votazione avrebbe influito
sulla formazione della maggioranza cfr. ad esempio Trib. Mantova, 15 dicembre 2005, decr., in
www.ilcaso.it, I, 234/2005.
441
Cfr. ancora S. SATTA, Diritto fallimentare, cit., 499 e 500. La massima è consolidata in
giurisprudenza: cfr. ex multis Trib. Roma, 30 dicembre 2008, decr., in Fall. 2009, 742.
230
anche a proposito della previgente disciplina del concordato di garanzia442.
Ne deriva che una funzione non dissimile dovrebbe essere accordata anche alla
certificazione dei carichi fiscali di cui all'art. 182ter. La predetta certificazione
(congiuntamente agli avvisi di irregolarità scaturenti dall'attività liquidatoria, da
trasmettere anch'essi in copia al commissario) mira esclusivamente a determinare il
complessivo ammontare dei debiti d’imposta da ammettere al voto, ai fini del calcolo
delle maggioranze richieste per l'approvazione della proposta, onde evitare che la
predetta determinazione sia rimessa unilateralmente al debitore, con probabile
pregiudizio per l'Erario; del pari, sarà su quell'ammontare che si applicheranno le
percentuali di soddisfazione previste dall'imprenditore nella proposta di cui all’art.
182ter.
L'Amministrazione finanziaria, pertanto, sarà tenuta a collaborare attivamente
alla ricostruzione della complessiva esposizione debitoria dell'imprenditore verso
l'Erario, fornendo al commissario dati preziosi, al di là delle risultante contabili di
cui costui già dispone. Per quanto attiene specificamente ai debiti tributari, infatti,
oltre all'ipotesi (più semplice) in cui l'elenco ex art. 161 contenga l'indicazione di un
debito d'imposta in misura inferiore a quella risultante dalle scritture contabili (nel
qual caso, ai fini della rettifica operata ai sensi dell’art. 171, comma 1 sarà
sufficiente l’esame delle medesime), potrebbe verificarsi che la contabilità prodotta
dall’imprenditore non rappresenti la reale esposizione debitoria fiscale, ben potendo
esistere debiti d'imposta non ancora contabilizzati443. È evidente che in tale
442
Con riferimento ad ambedue gli scopi perseguiti per il tramite della quantificazione del debito
(determinazione del voto spettante e misura della soddisfazione) cfr. G. BONELLI – V.
ANDRIOLI, Del fallimento, Vallardi, Milano, 1939, III, 553: “la pronunzia del Tribunale in sede
di omologazione serve al duplice importantissimo scopo di rettificare, se occorre, il computo della
maggioranza [...] e di fornire l'elemento di raffronto per l'apprezzamento della proposta del
debitore e, in conseguenza per la misura della garanzia”. In nota viene precisato che “questo
secondo scopo sembra sfuggito al legislatore, che non solo non ne fa menzione, ma enuncia
all'art. 19 che la sussistenza e l'ammontare dei crediti contestati vengono qui apprezzati al solo
effetto di stabilire la maggioranza. Ma noi vedremo che la legge non può ragionevolmente
interpretarsi in modo diverso da quello che noi proponiamo”. Ancora, con riferimento alla fase
dell'omologazione ed al giudizio sui crediti contestati viene detto che spetta al Tribunale decidere
“quali tra i crediti contestati si presentano con apparenza di fondamento [...], da doversi
presumere facenti parte del passivo, e quindi da prendersi a calcolo pel giudizio della congruità
della proposta e della sufficienza della garanzia” (cfr. p. 561).
443
Può trattarsi di carichi tributari di cui il debitore non sia ancora a conoscenza, qualora si tratti di
importi (a titolo di maggior imposta, sanzioni ed interessi) derivanti dall'attività di liquidazione
delle dichiarazioni condotta dall'ufficio nei trenta giorni dalla presentazione della proposta, oppure
231
circostanza il solo esame delle scritture contabili ad opera del commissario giudiziale
non consente al medesimo di avere contezza della reale debitoria fiscale
dell'impresa: di qui l'esigenza di coinvolgere direttamente l'Amministrazione
finanziaria, chiamata a quantificare l'effettivo debito tributario esistente ed esigibile
alla data della presentazione della domanda di concordato sulla base dei dati e degli
elementi a sua disposizione, che potrebbero risultare diversi ed ulteriori rispetto alle
risultanze contabili presenti agli atti del procedimento concorsuale.
Il tutto sarebbe finalizzato all'inclusione dei crediti tributari nell'elenco di cui
all'art.171, che avrebbe la funzione di determinare la misura secondo la quale i
creditori saranno ammessi a partecipare al concorso: nel duplice senso, giova
ribadirlo, di quantificare l'importo su cui applicare le percentuali di soddisfazione
proposte dall'imprenditore e determinare il peso del voti spettante a ciascun creditore
in adunanza (fatte salve, ovviamente, le ammissioni provvisorie disposte dal giudice
delegato per i crediti contestati, originariamente non ricompresi nella predetta
elencazione). Con l’ovvia precisazione, per quanto attiene a questo secondo profilo,
che i creditori, ivi compreso anche l'Erario, saranno ammessi a votare solo per la
porzione di credito falcidiata, ossia per “la parte residua di credito” di cui all'art.
177, comma 3.
Questa lettura muove da un duplice presupposto di ordine generale.
Da un lato il riferimento alle “scritture contabili” contenuto all'art 171 non
deve essere inteso in modo eccessivamente rigoroso e restrittivo, nel senso che il
commissario giudiziale debba intendersi comunque vincolato alle risultanze della
contabilità: egli, infatti, potrà accertare la misura del passivo concordatario con ogni
mezzo di verifica, posto che alle risultanze contabili non deve essere attribuito un
ruolo costitutivo. Pertanto la mera circostanza che un credito non figuri in
contabilità, o vi figuri per un importo più basso rispetto a quello reale, non legittima
il commissario ad omettere la convocazione del relativo titolare444.
Dall'altro lato si ritiene che il potere di rettificare l'elenco dei creditori, che il
debiti di cui sia già a conoscenza, come quelli scaturenti da atti impositivi notificati in data
anteriore alla presentazione della proposta, ma non ancora contabilizzati.
444
In tal senso cfr. G. RACUGNO, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione
fiscale, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. BUONOCORE - A. BASSI, cit., 520.
232
primo comma dell'art. 171 accorda al commissario giudiziale, vada oltre la mera
correzione di errori materiali o aritmetici, come un certo orientamento interpretativo
è propenso a ritenere445, ma si tratti di un potere anche decisorio, che può estendersi
sino all'inserimento o all'esclusione di un credito, ai soli fini, lo si ribadisce, della
relativa partecipazione all’adunanza446.
5.3. Il mancato rilascio della certificazione, l’obbligatorietà della
medesima e la natura del termine di cui all’art. 182ter.
Da quanto detto deriva che la certificazione prodotta dall'Amministrazione
finanziaria, saldandosi alle verifiche condotte in parallelo dal commissario
giudiziario, avrebbe, al pari di queste, una valenza esclusivamente endo-concorsuale,
rilevando ai soli fini della quantificazione del debito di imposta da pagare in
percentuale e da ammettere al voto per il residuo.
Tale chiave di lettura può essere validamente adottata anche per ricostruire le
conseguenze derivanti dall’eventuale inadempimento dell’ufficio, optando per una
soluzione ermeneutica maggiormente conforme alla struttura ed alle regole della
procedura concordataria.
Ne deriva che il mancato rilascio della certificazione entro il termine di 30
giorni all'uopo previsto dall'art. 182ter dovrebbe comportare, semplicemente, che il
credito tributario da ammettere al voto, e al tempo stesso da sottoporre a falcidia o
pagamento dilazionato, sia quello quantificato unilateralmente dal debitore nella
proposta di transazione fiscale, non potendo né l'Agenzia né il concessionario
attivarsi tardivamente per far valere pretese di importo maggiore rispetto a quanto
445
Cfr. A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 275; S. BONFATTI – P. CENSONI,
Manuale di diritto fallimentare, Cedam, Padova, 2009, 528. In giurisprudenza cfr. Cass., 12
novembre 1993, n. 11192, in Nuova giur. civ, comm., 1994, I, 619, nonché Trib. Milano, 12
novembre 1964, in Foro it., 1965, I, 379. Secondo questa tesi restrittiva, se il commissario
giudiziale ravvisi false indicazioni contenute nella contabilità o nell'elenco dei creditori, non
sarebbe possibile la rettifica dell’elenco direttamente ad opera del medesimo, ma egli dovrebbe
limitarsi a darne immediata informazione al giudice delegato, conformemente a quanto prescritto
dall’art. 173.
446
In tal senso cfr. P. PAJARDI, Codice del fallimento, cit., 1736. In giurisprudenza cfr. Trib. Lodi,
13 febbraio 1984, decr., in Dir. fall., 1984, II, 501.
233
“autodenunciato” dal proponente447. In questa seconda evenienza, dunque, la
cristallizzazione del debito fiscale opererebbe sul quantum dichiarato dal debitore ed
inserito nell'elenco di cui all'art. 171, precludendo all’Erario la possibilità di far
valere successivamente un importo maggiore. All’ufficio dovrebbe dunque essere del
tutto inibita la possibilità di sollevare contestazioni in sede di adunanza, ovvero
proporre opposizione all'omologazione del concordato; del pari, non sarà possibile
pretendere il pagamento del maggior credito erariale (sia pure in misura percentuale)
in sede di esecuzione del concordato già omologato.
Appurato che l'effetto di “consolidamento del debito tributario” è destinato ad
esaurirsi all’interno della procedura concordataria, configurandosi come definitiva
447
Si può chiarire il tutto con un esempio. Si pensi all'ipotesi in cui l'imprenditore presenti una
proposta di transazione fiscale relativa a diverse annualità di imposta, da cui risulti un'Irpef
complessivamente dovuta pari ad € 1.000, un'Iva pari ad € 1.200 ed un'Irap pari ad € 800
(naturalmente tali importi sono da intendersi come comprensivi di sorte capitale, sanzioni ed
interessi), per un debito fiscale di € 3.000 totali, di cui € 1.800 (ossia la somma di quanto dovuto a
titolo di Irpef ed Irap) falcidiabili, mentre i restanti € 1.200 (ossia l'Iva) soltanto dilazionabili. E si
ipotizzi che la menzionata proposta di transazione fiscale preveda un pagamento al 60% per la
parte suscettibile di trattamento remissorio, sicché all'Amministrazione sarebbe proposto un
pagamento pari ad € 1.080 (60% di € 1.800), laddove i restanti € 720 (40%) sarebbero oggetto di
falcidia. Quanto all’importo di € 1.200 dovuti a titolo di Iva, si ipotizzi che la medesima proposta
offra una dilazione di pagamento in 12 rate mensili, di importo pari ad € 100 ciascuna.
Si ipotizzi, ancora, che la reale esposizione debitoria complessiva nei confronti dell'Erario
(derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni presentate dal contribuente, nonché da atti
impositivi e/o carichi a ruolo dal medesimo non considerati) risulti essere più elevata: ad esempio,
si consideri il caso in cui risultino effettivamente dovute un'Irpef per € 2.200, un'Iva per € 2.400
ed un'Irap per € 2.000, per un totale di complessive € 6.600 (più del doppio dell'importo
quantificato nella proposta di transazione), di cui € 4.200 falcidiabili ed il restante debito per Iva
solo dilazionabile.
Si ipotizzi, infine, che l'Amministrazione ed il concessionario siano rimasti assolutamente inerti
nei 30 giorni successivi alla presentazione della proposta di transazione, con la conseguenza che né
il proponente né il commissario giudiziale abbiano ricevuto gli avvisi di irregolarità e le
certificazioni da cui risulti l'effettiva e più elevata esposizione debitoria verso il Fisco.
In tale evenienza, secondo la lettura proposta nel testo il debito da “consolidare” sarà pari ad €
3.000, ossia l'importo quantificato nell'originaria proposta di transazione: ne deriva, da un lato, che
l'Amministrazione sarà ammessa a votare solo per € 720 (pari all’importo oggetto di falcidia),
laddove se avesse provveduto al rilascio della certificazione avrebbe votato per € 1.680 (pari al
40%, non soddisfatto, dei complessivi 4.200 euro falcidiabili). Dall'altro lato, questa non potrà far
valere successivamente il maggior importo di € 6.600 (e quindi pretendere il pagamento di Irpef ed
Irap per complessive € 2.520, ossia il 60% dei 4.200 euro effettivamente dovuti, ed il pagamento
dell'Iva in 12 rate mensili di importo pari ad € 200 ciascuna), magari con contestazione sollevata in
sede di adunanza dei creditori o opposizione in sede di omologazione, oppure ancora durante la
fase di esecuzione del concordato già omologato.
Inteso in questo senso, il consolidamento comporta una cristallizzazione del debito d'imposta
sull’importo di € 3.000 risultante dalla proposta, con la conseguenza che il maggior importo
effettivamente dovuto e non considerato nella proposta medesima (di € 3.600, in quanto pari alla
differenza fra il complessivo debito “reale” di € 6.600 ed € 3.000 quantificati dal debitore) sarebbe
da considerarsi definitivamente perso per il Fisco.
234
determinazione del quantum, complessivamente dovuto a titolo di imposta, sanzioni
ed interessi, da ammettere alla votazione e da sottoporre al trattamento remissorio e/o
dilatorio proposto del debitore concordatario, è da rilevarsi che esso si pone in
perfetta aderenza con la rigida scansione temporale delle diverse fasi in cui si articola
la procedura di concordato preventivo, e dei vari adempimenti a carico dei soggetti
che vi intervengono.
Inoltre, tale interpretazione avrebbe anche il pregio di parificare il soggetto
pubblico agli altri creditori privati che intervengono nella procedura di concordato,
precludendo al primo la possibilità di far valere tardivamente, magari a concordato
già omologato ed in fase di esecuzione, importi maggiori rispetto all'ammontare
risultante dalla proposta originariamente presentata dal contribuente, sul quale i
creditori potrebbero aver riposto il loro legittimo ed incolpevole affidamento nel
momento in cui, in sede di adunanza, sono chiamati a valutare la convenienza del
concordato, e soprattutto le concrete possibilità di esecuzione del medesimo: è
chiaro, infatti, che la fattibilità di una proposta, in cui figuri un debito tributario di un
dato importo, non contestato dall'Amministrazione prima del voto, risulterà
sicuramente minata nell’ipotesi in cui all’ufficio fosse riservata la possibilità di
pretendere, in un secondo momento, importi più elevati.
Le considerazioni che precedono permetterebbero anche di risolvere la querelle
relativa alla obbligatorietà o meno della certificazione di cui al comma 2.
Innanzitutto, da quanto detto dovrebbe desumersi che il mancato rilascio della
medesima non priverebbe l'Amministrazione del proprio voto in adunanza, come
invece sostenuto da una certa dottrina448: ufficio e concessionario, infatti, sarebbero
comunque ammessi a votare sulla base dell'importo quantificato unilateralmente dal
debitore, fatte salve, ovviamente, le eventuali rettifiche apportate dal commissario
giudiziale all’elenco contenente la medesima quantificazione. Si ritiene condivisile,
dunque, quell’orientamento dottrinale secondo cui la sanzione per il mancato
adempimento degli oneri prescritti è costituta dal consolidamento del debito
448
Cfr. L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali,
cit., 232 e 233.
235
d’imposta nei termini indicati dal contribuente nella proposta di concordato, che
rimane definitivamente fissato ai soli fini del voto e dell’esecuzione del piano449.
Ne deriva che sarà interesse dell’Amministrazione finanziaria procedere al
tempestivo svolgimento dei propri adempimenti, con un'attività in parte liquidatoria
(quanto alle dichiarazioni non ancora sottoposte a controllo automatizzato) ed in
parte ricognitiva della complessiva ed attuale esposizione debitoria dell’impresa
verso l’Erario, finalizzata ad appurare la reale misura del debito d'imposta al di là di
quello individuato dall'imprenditore nella propria proposta di transazione fiscale. Del
resto la stessa Agenzia dell’Entrate, nella circolare esplicativa del 2008, ha
sottolineato l’importanza della prescritta certificazione proprio nell'ipotesi in cui il
debito tributario complessivo sia di importo superiore a quanto indicato da debitore
nella domanda di transazione.
Peraltro, anche il raffronto fra la posizione dell'Amministrazione in seno ad
una procedura concordataria e quella degli altri creditori dovrebbe avvalorare questi
rilievi. Si è visto sopra come, mancando una fase di autentica verifica giudiziale del
passivo concordatario, eventuali contestazioni in merito all'esistenza e all'ammontare
di un credito debbano essere risolte nelle sedi giurisdizionali competenti, ivi
sollecitando un'ordinaria cognitio, anche nell'ipotesi in cui il creditore sia stato
escluso del tutto dalla procedura concordataria, ovvero sia stato ammesso in misura
asseritamente inferiore rispetto all'ammontare reale del proprio credito; sarà
possibile, cioè, far valere tali pretese con un parallelo o successivo giudizio di
condanna, o comunque di accertamento positivo.
Con specifico riferimento ai crediti tributari le predette considerazioni non
potrebbero valere: il carattere esclusivamente impugnatorio del nostro processo
tributario esclude ogni azione di accertamento, sia positivo che negativo, della
pretesa contenuta in un atto impositivo, sicché la domanda giudiziale sarà diretta
esclusivamente alla caducazione, anche parziale, di quell'atto, nel rispetto del
principio di tipicità codificato dall'art. 19 del d. lgs. n. 546/1992. Da ciò discende che
mancherebbe in radice, in capo all'Amministrazione, lo strumento processuale per far
valere successivamente alla chiusura della procedura concordataria un credito
449
Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 208.
236
maggiore rispetto a quello accertato, sia pure incidenter tantum, in seno a quella
procedura.
Conseguentemente, vi sarà tutto l'interesse, da parte dell'Agenzia e del
concessionario, a far valere tempestivamente la totalità delle pendenze attualmente
esistenti a carico del contribuente: pertanto l'Amministrazione provvederà non solo
al rilascio della certificazione, ma al rilascio di una certificazione quanto più
esaustiva ed accurata possibile.
Né avrebbe fondamento l'ipotetica obiezione secondo cui l'Amministrazione, a
seguito del’omologazione, potrebbe comunque procedere secondo le consuete
modalità, iscrivendo a ruolo i maggiori importi che siano rimasti esclusi dalla
procedura di concordato450, ovvero intraprendendo l'ordinaria attività di esecuzione
coattiva per i crediti che risultino già iscritti, secondo le regole di cui al d.P.R. n.
602/1973. A ciò osterebbe, da un lato, la formulazione letterale dell’art. 182ter, che
con la locuzione “consolidamento del debito fiscale” avrebbe inteso prevenire
proprio tale possibilità, circoscrivendo il pagamento (parziale o dilazionato) ai soli
importi certificati o comunque indicati nell'elenco dei crediti ammessi al voto di cui
all'art. 171, che per la restante parte sconterebbero la falcidia concordataria.
Dall'altro lato soccorre il principio dell'obbligatorietà del concordato omologato di
cui all’art. 184, pacificamente applicabile anche ai crediti erariali, con la
conseguenza che né l’ufficio né il concessionario, che partecipano a quella procedura
in qualità di creditori concorsuali anteriori, potranno pretendere, in un secondo
momento, il pagamento non soltanto della porzione falcidiata, ma anche di importi
maggiori rispetto a quelli ricostruiti in seno alla medesima procedura.
A fronte di questa preclusione non varrebbe nemmeno il rimedio della
contestazione in adunanza ex art. 175, comma 3, ovvero quello dell'opposizione
all'omologazione: si potrebbe obiettare, infatti, che l'Agenzia, anche senza aver
proceduto al rilascio della certificazione, avrebbe pur sempre la possibilità di far
valer in sede di discussione della proposta di concordato le proprie ragioni,
ottenendo l'ammissione provvisoria del maggior debito d’imposta ex art. 176, oppure
ancora contestarne l'esclusione dinanzi al Tribunale nella successiva fase di
450
Si pensi ad esempio ad avvisi di accertamento oppure a ruoli che siano “sfuggiti” all'ufficio e al
concessionario, nel senso che non sono stati ricompresi nelle rispettive certificazioni.
237
omologazione. Tale soluzione, tuttavia, sarebbe osteggiata dal tenore letterale dello
stesso art. 182ter, che sancisce la doverosità degli adempimenti posti a carico sia
dell'Agenzia sia del concessionario, tra cui il rilascio delle prescritte certificazioni.
Sulla scorta di tali considerazioni si potrebbe ritenere che la certificazione del
carico tributario, congiuntamente alla liquidazione delle dichiarazioni, configuri un
obbligo, o meglio un dovere in capo all'Amministrazione. La sanzione posta a
presidio di detto dovere andrebbe ravvisata nell'effetto preclusivo di cui si è detto,
ossia nell'impossibilità di far valere un debito d'imposta di ammontare più elevato
rispetto a quello indicato dal proponente, vuoi in sede di adunanza, vuoi nella fase
dell'omologazione, vuoi infine durante l'esecuzione del concordato.
Quanto poi alla questione della natura perentoria o meramente ordinatoria del
termine entro cui procedere ai predetti adempimenti, su di essa, come visto, non vi è
un orientamento interpretativo unanime, posto che all’eccessiva brevità del
medesimo, ed alla formulazione letterale della disposizione, che non contempla
alcuna sanzione per l’infruttuoso decorso dei trenta giorni, vengono contrapposte le
esigenze di celerità e snellezza che dominano l’intera procedura di concordato.
Per risolvere l’impasse soccorre, ancora una volta, il richiamo alle regole
generali che governano la procedura di concordato preventivo. Da un lato, occorre
considerare la funzione accordata alla certificazione, che sarebbe quella,
innanzitutto, di determinare la base di calcolo su cui quantificare il peso del voto
spettante all’Erario in sede di adunanza: ne deriva, allora, che oltre la data della
deliberazione detta certificazione non potrebbe avere più alcuna valenza. Pertanto,
sembrerebbe che l’ufficio possa procedere al rilascio delle medesima anche decorsi i
trenta giorni previsti dal comma 2 dell’art. 182ter, ma fino al momento in cui hanno
luogo le operazioni di voto, ossia sino al momento in cui quella certificazione può
avere una qualche utilità.
Dall’altro lato, occorre trovare un punto di equilibrio tra la posizione
dell’Amministrazione e quella degli altri creditori concorsuali, in modo tale da
evitare letture interpretative eccessivamente sbilanciate a favore della prima. Di ciò
sembrerebbe essersi fatto carico lo stesso legislatore: la formulazione letterale del
comma 2 dell’art. 182ter, infatti, disponendo espressamente la “trasmissione” al
238
commissario giudiziale di una copia delle certificazioni rilasciate da Agenzia e
concessionario per gli adempimenti di cui agli artt. 171, comma 1 e 172,
sembrerebbe suggerire la necessità che il debito tributario certificato debba
comunque essere portato preventivamente a conoscenza del commissario giudiziale.
Si consideri che, fra i compiti istituzionali al medesimo devoluti, vi è la redazione
della relazione di cui all’art. 172, in cui egli dovrà esprimere, tra l’altro, un giudizio
sulla “proposta di concordato”: ovviamente tale giudizio attiene soprattutto alla
concreta fattibilità del piano concordatario, intesa nel senso di idoneità delle limitate
risorse disponibili a soddisfare il totale del crediti concorsuali; ed è su tale relazione,
come già è stato detto, che i creditori formuleranno le proprie valutazioni di merito in
sede di deliberazione della proposta. Ne deriva che il successivo incremento del
passivo concordatario da soddisfare, conseguente all’ammissione di nuovi crediti
d’imposta successivamente alla predisposizione di detta relazione, se non addirittura
direttamente in sede di adunanza, potrebbe alterare quella prognosi di fattibilità,
pregiudicando una serena ed obiettiva valutazione da parte degli altri creditori
concorsuali. Tale evenienza, infatti, si tradurrebbe in una diminuzione delle risorse in
concreto destinate alla soddisfazione di ciascuna pretesa, singolarmente considerata,
essendo dunque parificabile all’ipotesi di una modifica in peius della proposta
concordataria, che richiederebbe necessariamente il vaglio preventivo del
commissario giudiziale451.
Sicché, sembra che la lettura più consona sia quella che accorda all’ufficio ed
al concessionario la possibilità di procedere all’espletamento delle proprie attività
ricognitive in merito alla posizione debitoria fiscale del proponente anche oltre i
trenta giorni dal deposito della proposta di transazione, ma comunque non oltre il
termine massimo previsto dalla legge fall. per la predisposizione della relazione del
commissario giudiziale, da individuarsi nel terzo giorno anteriore alla data
dell’adunanza dei creditori, ai sensi di quanto prescritto dall’art. 172, comma 1.
451
La giurisprudenza di merito, nella contrapposta ipotesi di modifica migliorativa della proposta
originariamente presentata dal debitore, ha escluso la necessità di procedere ad un nuovo giudizio
di fattibilità del concordato (con conseguente obbligo di comunicare la nuova proposta ai
creditori): cfr. Trib. Mantova, 5 marzo 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1640/2009.
239
6. Il trattamento dei debiti d'imposta accertati successivamente
all'omologazione.
La tesi sin qui sostenuta, secondo la quale la conclusione di una transazione
fiscale non precluderebbe il successivo esercizio dei controlli di merito sulle
annualità e sui tributi interessati dalla proposta di cui all'art. 182ter, purché siano
rispettati i termini di decadenza ordinariamente previsti dalla normativa tributaria,
pone il problema del trattamento da riservare ai maggiori debiti d'imposta
eventualmente accertati all'esito di dette verifiche sostanziali. Occorre chiedersi,
infatti, se i debiti che emergono da atti impositivi emanati successivamente
all'omologazione del concordato debbano essere soddisfatti integralmente, o secondo
le percentuali offerte nella domanda di cui all'art. 182ter.
Va detto che il problema delle sopravvenienze passive attiene alla fase
esecutiva di una procedura concordataria già chiusa, e riguarda non soltanto le
obbligazioni tributarie bensì, più in generale, ogni credito che venga fatto valere
dopo l'omologazione del concordato, anche se sorto in epoca anteriore alla
presentazione della relativa proposta.
Sotto questo secondo profilo soccorre la norma di cui all'art. 184, che sancisce
l'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori al decreto di
ammissione. A tal proposito appaiono illuminanti, ed attualmente valide, le
considerazioni che autorevole dottrina aveva prospettato con riferimento al
concordato preventivo disciplinato dalla legge del 1903, e all'effetto obbligatorio
previsto dall'art. 25 della menzionata legge, secondo cui “La omologazione rende
obbligatorio il concordato preventivo per tutti i creditori”. Si era detto che i
creditori rimasti estranei alla procedura, perché ritardatari nella votazione, non
denunciati dal debitore, né scoperti dal commissario o dal Tribunale, e dei quali
dunque non si era potuto tener conto nel misurare le condizioni del patrimonio del
debitore, non avrebbero potuto “starsene celati” durante la procedura per poi
pretendere, sia pure dopo l'esecuzione del concordato, il pagamento dell'intero una
volta che l’imprenditore questi fosse tornato in bonis; ma neppure sarebbe stato
giusto che i loro crediti restassero completamente pregiudicati. Ad essi, dunque,
andava riconosciuto il diritto di pretendere, durante l’esecuzione del concordato, la
loro percentuale, ed anche dopo la conclusione della fase esecutiva non poteva venir
240
meno la possibilità di esigere il proprio credito, subendone comunque la riduzione
concordataria452.
Ora, si tratta di stabile se la norma di cui all'art. 184, ed il principio di ordine
generale ivi contemplato, da intendersi nel senso illustrato da quella autorevole
dottrina, trovi applicazione anche con riferimento ai crediti tributari sopravvenuti
all'omologazione.
Senonché, la problematica de qua si intreccia con una delle classiche e più
dibattute questioni che da sempre animano gli studi di diritto tributario: si allude alla
querelle relativa alla natura, costitutiva o meramente dichiarativa, dell'avviso di
accertamento. In un primo momento, agli albori della scienza italiana del diritto
tributario, si tendeva ad attribuire all'accertamento la funzione di dichiarare, cioè
determinare nel quantum, un'obbligazione già sorta al verificarsi del presupposto
impositivo: pertanto i fautori della teoria dichiarativa453 si rifacevano allo schema
privatistico dell'obbligazione, ritenendo che l’obbligazione tributaria sarebbe sorta
ex lege al verificarsi dell'atto o del fatto previsto dal legislatore come fattispecie
imponibile, e l'attività pubblicistica di accertamento avrebbe avuto esclusivamente
l'obiettivo di quantificare quella obbligazione454.
In un secondo momento, la progressiva accentuazione dei caratteri pubblicistici
propri dell’attività di attuazione del tributo portò all'affermarsi della concezione
secondo cui l'obbligazione tributaria troverebbe la propria fonte nell'atto di
accertamento, e non direttamente nel presupposto impositivo contemplato dal
legislatore455: in altri termini, al verificarsi di quest'ultimo sorgerebbe solo una
452
Cfr. G. BONELLI – V. ANDRIOLI, Del fallimento, cit., 581.
453
Tra cui E. VANONI, Elementi di diritto tributario, Roma, 1934, ora in Opere giuridiche, Giuffrè,
Milano, 1961-1962, II. Cfr. anche M. PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, Milani,
Padova, 1937, 121 e ss.; A.D. GIANNINI, Il rapporto giuridico d'imposta, Giuffrè, Milano, 1937,
232 e ss.
454
Si tratta dello schema “norma - fatto”, nel senso che la norma disciplina direttamente il fatto
costituente il presupposto impositivo, collegandovi effetti sostanziali e realizzando pertanto una
tutela finale ed immediata degli interessi dei soggetti coinvolti, le cui posizioni di vantaggio
assurgono al rango di diritti soggettivi.
455
Fra i primi fautori della teoria costitutiva vedasi E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, cit.,
74 e ss., A. BERLIRI, Principi di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1952, III, 339, G.
INGROSSO, Istituzioni di diritto finanziario, Jovene, Napoli, 1973, II, 62. Quanto alla dottrina
fallimentarista cfr. A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 1979, 475.
241
funzione vincolata di imposizione, ossia un potere del Fisco cui corrisponde una
soggezione generica del contribuente, la quale si tradurrebbe in autentica
obbligazione giuridica solo a seguito dell'emanazione dell'atto di accertamento456.
Al giorno d'oggi la contrapposizione fra tesi costitutive e teorie dichiarative
dell’accertamento risulta quasi del tutto sopita, registrandosi il deciso rigetto delle
prime, o comunque il diffondersi di concezioni intermedie che, discostandosi da
questa tradizionale dicotomia, tendono a valorizzare la molteplicità degli schemi
attuativi dei tributi previsti dalle singole leggi di imposta457, o l'articolazione del
rapporto obbligatorio in una duplice fase, genetica (o statica, nella quale si collocano
la norma impositiva e la fattispecie imponibile) ed attuativa (o dinamica, in quanto
preordinata alla determinazione quantitativa della prestazione oggetto
dell’obbligazione già sorta)458.
Quanto all'orientamento della giurisprudenza, in un primo momento la stessa,
fedele alla teoria costitutiva dell'accertamento, era stata propensa ad affermare la
necessità di un pagamento integrale delle obbligazioni d’imposta contenute in avvisi
emanati successivamente all'omologazione del concordato, in quanto i fatti e le
situazioni costituenti il presupposto delle medesime obbligazioni non avrebbero
generato di per sé veri e propri “crediti d'imposta”, ma soltanto diritti di credito,
almeno finché non fosse intervenuto l'accertamento tributario459.
In un secondo momento, invece, il prevalere della tesi dichiarativa ha portato al
consolidamento della massima secondo cui i crediti d'imposta sopravvenuti scontano
la falcidia concordataria, al pari di ogni altro credito concorsuale, qualora il relativo
presupposto si sia verificato prima del decreto di ammissione alla procedura di
456
Si tratta dello schema “norma – potere - fatto”, in cui la norma attribuisce ad un soggetto il potere,
costituente l'effetto specifico della medesima, di dettare la concreta disciplina di un determinato
fatto, nel qual caso vi saranno, a fronte dell'atto emanato nell'esercizio di quel potere, situazioni di
mero interesse legittimo e non di autentico diritto soggettivo.
457
Cfr. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 248, nonché S. LA ROSA, Principi di diritto
tributario, cit., 317.
458
P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1999, 115 e ss.
459
Cfr. Cass., 12 agosto 1963, n. 2293, in Dir. fall., 1965, II, 29, e Cass., 28 marzo 1973, n. 849, in
Dir. fall., 1974, II, 66.
242
concordato preventivo, nonostante i medesimi non siano ancora esigibili per difetto
di accertamento o iscrizione a ruolo460.
Tale ultima soluzione appare maggiormente condivisibile, in quanto concilia il
principio della natura tendenzialmente dichiarativa, o comunque non costitutiva,
dell'avviso di accertamento con la regola dell'obbligatorietà del concordato
omologato di cui all'art. 184. Pertanto poiché l'obbligazione tributaria è sorta
precedentemente all'instaurazione di quella procedura, in conseguenza del verificarsi
del fatto assunto dal legislatore come presupposto impositivo, ed indipendentemente
dall'accertamento del medesimo con apposito avviso, essa andrà qualificata in
termini di “credito anteriore all'ammissione”, scontando pertanto gli effetti del
concordato omologato. Del resto si è visto in precedenza come dottrina e
giurisprudenza concordino in via pressoché unanime nel ritenere che la falcidia si
applichi anche ai debiti d’imposta già accertati, o comunque già esigibili,
indipendentemente dall'assenso del Fisco, proprio in ragione del citato principio di
obbligatorietà.
Ne deriva ai crediti fiscali sopravvenuti all’omologazione si applicherà il
medesimo trattamento remissorio o dilatorio previsto nella domanda di
transazione461. Sotto questo profilo non avrebbe molto senso interrogarsi sulla natura
giuridica degli effetti, che taluno ha definito esdebitatori o comunque modificativi,
del concordato omologato462, poiché, quale che sia la soluzione che si intenda dare al
460
Cfr. Cass., SS.UU., 6 settembre 1990, n. 9201, in Fall., 1991, 348; Cass., SS.UU., 28 maggio 1987,
n. 4779, in Dir. fall., 1987, II, 601; App. Roma, 17 settembre 1980, in Fall., 1980, 941. In dottrina
cfr. ex multis S. PACCHI - L. D'ORAZIO - A. COPPOLA, Il concordato preventivo, cit., 1908.
461
Cfr. da ultimo E. CECCHERINI, La transazione fiscale. Aspetti di procedura e contraddizioni, cit.,
352.
462
Si tratta di una disputa che aveva visto la dottrina divisa fra quanti ritenevano che l'omologazione,
con la conseguente riduzione quantitativa dei debiti da soddisfare, fosse assimilabile ad una
trasformazione della porzione falcidiata in obbligazione naturale ex art. 2034, comma 2 c.c.,
escludendosi dunque la ripetizione di quanto spontaneamente pagato (cfr. ex multis S. SATTA,
Diritto fallimentare, cit., 393, e A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge
fallimentare, Cedam, Padova, 2000, 733), quanti parlavano di estinzione parziale per remissione
(cfr. U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Utet, Torino, 1961, II, 1022),
di transazione (cfr. F. FERRARA - A. BORGIOLI, Il fallimento, Giuffrè, Milano, 1995, 164), di
perdita dell'azione sostanziale (cfr. G. RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, Morano,
Napoli, 1974, 834), oppure ancora di un obbligo legale de non petendo esclusivamente personale
al debitore concordatario (cfr. L. GHIA, Il credito bancario garantito da pegno ed il concordato
preventivo del debitore principale, in Fall., 1989, 872).
243
quesito, resta assodata la definitiva estinzione della porzione falcidiata
dell'obbligazione tributaria.
Chiarito questo, emerge però un problema di ordine pratico: se la proposta
prevede la suddivisione dei crediti in varie classi, non è chiaro quale percentuale
andrà applicata ai crediti scaturenti da successivi atti impositivi. Potrebbe ritenersi
applicabile la percentuale di soddisfazione, o, nel caso di trattamento dilatorio, le
scadenze contemplate nella proposta di transazione per i crediti d'imposta della
stessa specie; ma resta il dubbio nel caso in cui con l'avviso di accertamento siano
pretesi tributi diversi da quelli oggetto di una precedente transazione fiscale.
Ed ancora, si pensi all'ipotesi in cui l'atto impositivo accerti tributi relativi ad
annualità d'imposta anteriori ad una domanda di concordato che non contenga il
riferimento ad alcun credito tributario, in quanto alla data di presentazione della
medesima non risultavano pendenze verso il Fisco: in tal caso si potrebbe ipotizzare
che possano applicarsi le percentuali di soddisfazione proposte per crediti affini a
quelli tributari, ad esempio perché assistiti anch'essi da privilegio (si pensi alle
obbligazioni contributive).
E' pacifico inoltre che si applichi ai crediti tributari la previsione secondo cui i
creditori anteriori al decreto di apertura “conservano impregiudicati i diritti contro i
coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso”.
Un riferimento ai soggetti “coobbligati” è contenuto nelle disposizioni di cui
agli artt. 25 del d.P.R. n. 602/1973 (che allude al debitore “coobbligato”) e 22 del d.
lgs. n. 472/1997 (il quale parla di “soggetti obbligati in solido”): si pone, dunque, il
problema di stabilire il significato da attribuire alle medesime espressioni. A tal fine
la dottrina ha individuato diverse ipotesi di “solidarietà tributaria passiva”, tra cui, a
titolo esemplificativo: la responsabilità paritaria degli eredi per i debiti tributari del
de cuius (ex art. 65 del d.P.R. n. 600/1973, secondo cui gli eredi rispondono in solido
tra loro e non pro quota); la solidarietà fra le parti dell'atto sottoposto a registrazione
ex art. 57 del d.P.R. n. 131/1986; le varie figure di responsabile d'imposta,
riconducibili al genus della solidarietà dipendente (si pensi al pubblico ufficiale che
ha redatto, ricevuto o autenticato l'atto sottoposto ad imposta di registro ex art. 57 del
d.P.R. n. 131/1986, al cessionario di azienda ex art. 14 del d. lgs. n. 472/1997, al
244
terzo proprietario di beni oggetto di privilegio a favore dell'Amministrazione ex art.
28 del d.P.R. n. 643/1972, al sostituito per le ritenute d'imposta non operate dal
sostituto ex art. 35 del d.P.R. n. 602/1973).
Quanto ai “fideiussori”, il riferimento è, ovviamente, a tutte quelle disposizioni
che prevedono la prestazione di una garanzia fideiussoria per poter accedere a taluni
benefici: vedasi, ad esempio, le norme in tema di pagamento rateale, le quali,
tuttavia, sono state significativamente novellate per effetto dei recenti interventi
anticrisi.
Nelle ipotesi appena menzionate la disposizione di cui al comma 1, secondo
capoverso dell’art. 184 consente all'Amministrazione di procedere, per la residua
parte falcidiata del proprio debito d’imposta, nei confronti del soggetto coobbligato,
fideiussore o obbligato in via di regresso dell'imprenditore concordatario. La
disposizione si applica sia ai crediti sopravvenuti, in quanto scaturenti da
accertamenti emanati successivamente all'omologazione ma relativi a fattispecie
impositive verificatesi precedentemente alla data di instaurazione della procedura
concordataria, sia ai crediti già esigibili a quella data, e cristallizzati in atti di
liquidazione ovvero nella certificazione di cui all'art. 182ter.
Si potrebbe discutere se l'effetto di “consolidamento del debito tributario”,
inteso nel senso che si è già visto, sia opponibile all'Amministrazione anche da parte
di tali soggetti: in altri termini, una volta che l'Agenzia abbia proceduto al rilascio
della certificazione, nell'ipotesi in cui l’ufficio pretenda dal coobbligato o dal
fideiussore del debitore principale il pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli
certificati, quali ad esempio le somme scaturenti da precedenti atti impositivi non
ricompresi in quella certificazione, tali soggetti abbiano la possibilità di far valere
l'intervenuta cristallizzazione del carico tributario.
Se si ritiene che la cristallizzazione abbia una valenza esclusivamente endo-
procedimentale, in quanto funzionale alla determinazione del voto spettante in
adunanza ed alla misura di soddisfazione ottenibile dallo stesso debitore
concordatario, allora ne deriva che tale effetto non dovrebbe prodursi nei confronti
dei soggetti richiamati dall’art. 184, che rimangono estranei alla procedura di
concordato.
247
CAPITOLO IV.
LA “CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE”
NELL’AMBITO DEL CONCORDATO PREVENTIVO.
1. Introduzione della problematica.
E' venuto ora il momento di incentrare l'attenzione sulla disposizione di cui al
comma 5 dell'art. 182ter, la quale prescrive che “la chiusura della procedura di
concordato ai sensi dell'art. 181 determina la cessazione della materia del
contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”.
Come visto, la norma de qua concreta, a giudizio di unanime dottrina e
giurisprudenza, uno degli effetti cosiddetti “tipici” della transazione fiscale, ottenibili
solo con la presentazione della relativa proposta: se la possibilità di falcidiare il
credito erariale viene ricondotta agli artt. 160 e 184, comma 1, cui si attribuisce
portata di regole generali applicabili anche ai debiti d'imposta, senza che sia all’uopo
necessaria, per tali pretese, una disposizione ad hoc, allora la funzione dell'istituto di
cui all'art. 182ter sarebbe da ravvisare altrove, ossia risiederebbe nella definitiva
cristallizzazione del complessiva esposizione debitoria verso l'Erario, sotto il duplice
profilo sostanziale (“consolidamento del debito fiscale”) e processuale (“cessazione
della materia del contendere”).
Del resto, in dottrina non è mancato chi ha ravvisato proprio nell'estinzione
delle liti tributarie lo scopo primo (se non anche l’unico) dell'art. 182ter, “riducendo”
di fatto l’istanza di transazione fiscale ad una proposta di conciliazione delle
controversie che vedono contrapposti imprenditore in stato di crisi e
Amministrazione finanziaria: la disciplina dettata dalla menzionata disposizione,
infatti, atterrebbe non tanto al trattamento da riservare ai crediti tributari in sede di
concordato preventivo, quanto piuttosto alla definizione del contenzioso pendente o
allo stato solo potenziale, con la conseguente definitiva determinazione del quantum
dovuto463. A giudizio di questa dottrina, una diversa lettura renderebbe la norma del
463
Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 4 e ss. Secondo la tesi
interpretativa proposta dall'A., scopo unico della norma sarebbe la conciliazione delle controversie
tributarie, insorte ed insorgende, su proposta del debitore; e la circostanza, definita “impossibile e
quanto meno sorprendente”, che tale proposta si approva automaticamente in caso di omologa del
concordato, anche nell'ipotesi di dissenso dell'ufficio e/o del concessionario, induce lo stesso A. ad
248
tutto inutile, in quanto la priverebbe di qualsivoglia contenuto effettivo: il primo
comma dell'art. 182ter, infatti, si limiterebbe a vietare un trattamento dei crediti
tributari deteriore rispetto a quello accordato alle pretese di grado pari o inferiore,
dettando una regola sicuramente non innovativa, ma meramente ripetitiva di un
principio di ordine generale già vigente nel nostro ordinamento. Il secondo comma,
poi, illustrerebbe soltanto l’iter procedimentale da seguire a fronte della
presentazione di un'istanza di transazione, mentre il terzo ed il quarto comma
conterrebbero esclusivamente una disciplina di tipo regolamentare sul riparto di
competenze tra ufficio e concessionario, finendo per impartire mere istruzioni
operative di nessun ausilio per definire il contenuto e gli effetti della proposta
transattiva.
Ancora, vi è chi ha ravvisato nella cessazione della materia del contendere un
profilo di riemersione delle connotazioni propriamente transattive dell'istituto,
assolutamente originale rispetto alle vicende che interessano gli altri rapporti
obbligatori, per i quali i giudizi di cognizione proseguono in via del tutto ordinaria ai
sensi dell’art. 176. Si tratterebbe, dunque, di una modalità di definizione della
contesa assimilabile ad una transazione di diritto civile, che troverebbe la propria
giustificazione nella rigorosa fase di quantificazione dei crediti d'imposta disciplinata
dal comma 2 dell'art. 182ter: detta quantificazione, comportando una sorta di
acclaramento del rapporto, produrrebbe, sul piano processuale, la cessazione della
materia del contendere464. Pertanto, ad avviso di questa dottrina, l'effetto da ultimo
menzionato, congiuntamente al riconoscimento formale, da parte dell'imprenditore,
del credito per contributi e premi dovuti, con rinuncia espressa ad ogni eccezione che
possa condurre ad una ridiscussione dei medesimi, così come previsto dall'art. 4 del
d.m. 4 agosto 2009 in materia di transazione contributiva, “fungerebbero da basi
giustificative di un completato percorso di sinallagmaticità coinvolgente altresì il
un'aspra critica nei confronti della norma, definita come “una delle più oscure ed ostiche” che egli
abbia mai affrontato.
464
Cfr. L. DEL FEDERICO, La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano:dal
particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, cit., 346; ID., Commento sub art.
182ter, cit., 2577 e 2578. L'A. puntualizza che tale effetto estintivo è limitato esclusivamente alle
liti oggetto della proposta di transazione, con esclusione, ad esempio, delle controversie in materia
di rimborso.
249
creditore pubblico”465: in altri termini, la rinuncia del Fisco ad una porzione del
proprio credito sarebbe controbilanciata dalla rinuncia, da parte del contribuente, al
relativo accertamento giudiziale, integrando questo “scambio sinallagmatico” il
presupposto dell'aliquid datum, aliquid retentum, tipico del contratto di transazione
disciplinato dal codice civile.
Viceversa, altra corrente dottrinale ha ravvisato nella disposizione di cui al
comma 5, e nel rinvio ivi contenuto all'omologazione del concordato, una conferma
della natura sub-procedimentale, ossia meramente endo-concorsuale, della
transazione fiscale466: sarebbe solo con il completamento della procedura di
concordato preventivo, all'interno della quale si inserisce l'iter di cui all'art. 182ter,
che si determinerebbe l'agognato effetto di cristallizzazione del debito fiscale, sul
duplice versante sostanziale e processuale.
A prescindere dalla fondatezza di queste suggestioni, che può essere saggiata
diversamente a seconda della soluzione che si intenda dare alla problematica, di
ordine più generale, afferente alla natura giuridica della transazione fiscale
(propriamente transattiva o lato sensu negoziale secondo la prima interpretazione,
pubblicistico-procedimentale nel secondo caso), va detto che la norma di cui al
comma 5 è foriera di ulteriori, e non secondarie, problematiche interpretative, alla
cui disamina è dedicato il presente capitolo467.
In via preliminare, occorre puntualizzare una rilevante differenza intercorrente
fra la disposizione de qua e l'abrogata normativa in materia di transazione sui ruoli:
quest'ultima, infatti, potendo aver luogo solo nel corso di un'espropriazione forzata
già avviata, determinava la cessazione della sola procedura esecutiva, senza incidere
su eventuali giudizi di cognizione in corso468. Tale conclusione era stata ribadita
465
Cfr. M. FERRO, Transazione fiscale, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, cit.,
2161. Anche E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1185, parla di “vincolo
sinallagmatico”.
466
Cfr. M. POLLIO, La transazione fiscale, cit.,1851.
467
La difficoltà nell'interpretazione ed applicazione della disposizione di cui al comma 5 è messa in
luce anche da un'attenta dottrina: cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e
previdenziale, cit., 211.
468
Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 4, secondo cui sotto il
vigore della previgente disciplina “era possibile raggiungere un accordo a saldo e stralcio
250
anche dall'Agenzia delle Entrate, che nella circolare n. 8/E del 2005 aveva affermato
a chiare lettere che l'accordo siglato ai sensi dell'art. 3, comma 3 del d.l. n. 138
consentiva la chiusura delle (sole) “controversie relative alla fase di riscossione”,
ovvero ne impediva l'insorgenza, a patto, comunque, che le medesime presentassero
“connotazioni di effettiva fondatezza tali da renderne incerto l'esito”. Quanto invece
alle controversie di cognizione pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie o a
qualsiasi altro Giudice, il documento escludeva che la transazione potesse sortire un
analogo effetto estintivo, pur non disconoscendo la rilevanza, ai fini delle valutazioni
complessive di convenienza, di eventuali controversie in atto, ivi comprese quelle
relative a rapporti tributari.
Diversa, e per alcuni versi più ampia, sembra essere invece la valenza, sul
piano processuale, del nuovo istituto: la formulazione del comma 5, alludendo
genericamente alle “liti aventi ad oggetto i tributi” interessati dalla proposta di
transazione, non solo prescinde dall'iscrizione a ruolo dell'imposta oggetto della
contesa da transigere, bensì è idonea ad abbracciare tutti (o quasi) i giudizi di
cognizione pendenti dinanzi al giudice tributario, in cui l'oggetto del contendere è
rappresentato dalla fondatezza o meno della pretesa fiscale, ovvero dall'ammontare
della medesima che debba reputarsi conforme alle reali dimensioni quantitative del
presupposto impositivo.
Quanto alle procedure di esecuzione forzata già attivate dall’Agente della
riscossione alla data di presentazione della proposta di transazione fiscale, o non
ancora instaurate perché pendenti i 60 giorni dalla notifica della cartella di
pagamento, troverà invece applicazione il divieto generico di cui all'art. 168, comma
1, posto che tale norma non contiene alcuna clausola di salvezza di diverse
disposizioni legislative, a differenza di quanto dispone l'art. 51 in materia di
fallimento469. A tal riguardo, va rammentato che non è stata riproposta, nell'attuale
soltanto sull'ammontare o sui tempi di pagamento dei tributi iscritti nei ruoli”. Rimarca l'“assoluta
novità” della fattispecie di cui all'art. 182ter anche L. MANDRIOLI, Il concordato preventivo e la
transazione fiscale, cit., 761.
469
Cfr. ex multis M. FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit. ,1267, e P.F. CENSONI,
Commento sub art. 168, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 2420. In giurisprudenza cfr. Cass.,
SS.UU., 6 settembre 1990, n. 9201, in Fall., 1991, 348, la quale ha statuito che i crediti
dell'esattore, per imposte i cui presupposti si siano verificati prima dell'apertura del concordato
preventivo, sono crediti anteriori al concordato stesso, ai sensi degli artt. 168 e 184 legge fall.;
251
formulazione della legge fall. la regola di cui all'art. 7, comma 4 della l. n. 197/1903
in materia di concordato preventivo, che escludeva espressamente dal divieto di
intraprendere o proseguire atti di espropriazione forzata proprio le azioni esecutive
relative ai crediti per tributi diretti e indiretti470.
Ne deriva l'automatica sospensione471 delle esecuzioni esattoriali in corso,
ovvero l'inammissibilità di nuove procedure esecutive instaurate dall’Agente della
riscossione in data successiva alla presentazione di una proposta di concordato, ivi
compresa l'ipotesi di emissione di una cartella di pagamento, quale atto prodromico
all'esecuzione forzata472. Resta salvo l'obbligo, gravante sul medesimo
concessionario, di compiere, sulla scorta del ruolo, ogni attività necessaria ai fini
dell'inserimento del debito erariale nell'elenco dei crediti della procedura, ai sensi di
quanto previsto dall'art. 90 del d.P.R. n. 602/1973. Ovviamente, la disposizione da
ultimo citata andrà coordinata con le previsioni di carattere procedurale di cui al
comma 2 dell'art. 182ter: ne deriva che le “attività necessarie” di cui al menzionato
art. 90 si esaurirebbero nella predisposizione della certificazione riepilogativa del
complessivo debito tributario iscritto a ruolo473, e nella consegna di una copia della
detti crediti, pertanto, debbono essere fatti valere nell'ambito concorsuale, considerando che
l'esattore, pur se munito di titolo esecutivo, soggiace in quella procedura al divieto delle azioni
esecutive individuali (ai sensi degli artt. 188, comma 2 e 168), non operando la deroga prevista
dall'art. 51 legge fall. per il diverso caso del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa.
Cfr. ancora Cass., 26 giugno 2007, n. 14738, in Fall., 2007, 1371 e 1372, relativa al caso di un
pignoramento presso terzi avente ad oggetto un credito tributario, già iniziato al momento
dell'apertura di una procedura di concordato: in tale ipotesi la S.C. statuì che l'Agenzia delle
Entrate, terzo pignorato, non dovesse sottostare al precetto intimatole dal creditore assegnatario
delle somme, essendo venuto meno il presupposto dell'esecuzione individuale.
470
Secondo A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 233 e 234, “le deroghe al divieto di
esercizio di azioni esecutive hanno un senso preciso là dove vi sia un patrimonio da liquidare,
come nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, ma non lo hanno più dove tali
finalità liquidative cedono di fronte a un pagamento in percentuale effettuato dal debitore, come
nel concordato preventivo ordinario, ovvero di fronte a una cessione di beni”.
471
Un'autorevole dottrina ritiene invece che l'effetto del divieto di cui all'art. 168 sia l'estinzione del
processo esecutivo già instaurato, stante il particolare scopo della procedura di concordato,
consistente nel conservare i beni dell'imprenditore e costituire la massa attiva di un eventuale
successivo fallimento: cfr. A. BONSIGNORI, Del concordato, cit., 243.
472
Cfr. Cass., 2 ottobre 2008, n. 24427, in Fall., 2009, 23.
473
Come chiarisce la circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 40/E del 2008, tale debito di imposta
dovrà essere unitariamente determinato, nel senso che sarà comprensivo di tutte le somme (tributi,
interessi moratori e sanzioni) iscritte a ruolo, nonché degli interessi di cui all'art. 30 del d.P.R. n.
602/1973.
252
medesima, oltre che al debitore, anche al commissario giudiziale entro il termine di
30 giorni dalla presentazione della proposta di transazione, a meno che non si
intenda aderire a quella opinione dottrinale che, nel silenzio del legislatore, pone
quest'ultimo adempimento a carico del proponente474.
L'eventuale proposizione di una transazione fiscale, dunque, sembra non
suscitare particolari problemi di coordinamento con la disposizione di cui all'art. 168.
Forse l'unico dubbio che potrebbe porsi attiene all'individuazione del termine
iniziale, a decorrere dal quale scatta l'effetto preclusivo ivi contemplato: se l'art. 168
identifica il dies a quo nella presentazione del ricorso, intendendo con ciò riferirsi
alla domanda di concordato ex art. 160, nell'ipotesi di concordato con transazione
fiscale il termine iniziale potrebbe essere ravvisato nella presentazione della proposta
di cui all’art. 183ter al competente concessionario della riscossione, che potrebbe
avvenire anche in un momento successivo deposito in cancelleria della domanda di
concordato475.
Ancora, dovrebbe trovare applicazione anche alle procedure esecutive
esattoriali il consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo cui i
processi esecutivi sospesi medio tempore potrebbero essere riattivati solo nel caso di
mancata omologa del concordato: l'omologazione, infatti, ai sensi di quanto
prescritto dall'art. 184 impone a tutti i creditori anteriori, ivi compreso l'Erario, di
sottostare ai tempi e alle modalità di soddisfazione previste nella proposta
concordataria, senza possibilità di agire in executivis secondo le regole ordinarie e
salva, comunque, la successiva risoluzione del concordato per inadempimento.
474
La citata circolare n. 40/E pone tale adempimento a carico dell'agente della riscossione, precisando
inoltre che una copia della certificazione deve essere trasmessa anche al Direttore del competente
ufficio dell'Agenzia delle Entrate, allo scopo di consentire allo stesso di porre in essere le attività
demandategli dalla norma.
475
Si veda quanto detto nel capitolo II sul significato del termine “contestualità” di cui al comma 2
dell'art. 182ter. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di
ristrutturazione dei debiti, cit., 766, nt. 77, ipotizza una sospensione delle attività esecutive
anticipata rispetto al deposito del ricorso per il concordato presso il Tribunale, già nelle more del
procedimento istruttorio che verrebbe attivato dall'ufficio competente all'atto della presentazione,
in via del tutto informale, della proposta di transazione da parte del debitore, anteriormente al
deposito ufficiale della medesima: sarebbe questo, infatti, il momento più delicato, in quanto
durante tale arco temporale vengono poste in essere tutte le attività prodromiche al
perfezionamento degli atti impositivi. Di qui, secondo l'A., l'opportunità di anticipare il blocco
delle espropriazioni già avviate dal concessionario.
253
Fatta questa doverosa premessa, occorre procedere all'esame delle numerose
criticità che la norma di cui al comma 5 pone.
In primis, è necessario chiarire quali sono le controversie di cognizione
interessate dall'effetto estintivo di cui trattasi: in altri termini, è legittimo domandarsi
se esso debba riguardare, indistintamente, tutti i processi tributari in corso, o possa
concernere i soli contenziosi che il contribuente abbia un concreto interesse ad
estinguere, ferma restando la facoltà di proseguire gli altri tramite un'esclusione dalla
proposta di transazione.
Ancora, non è chiaro se la chiusura delle liti pendenti presupponga
necessariamente l'assenso del Fisco sulla proposta di transazione, come sembrerebbe
suggerire un'interpretazione della norma logicamente orientata, oppure se,
indipendentemente dal voto espresso in adunanza, sia sufficiente la mera
omologazione del concordato preventivo, come invece disporrebbe la formulazione
letterale del comma 5. Una volta accolta questa seconda soluzione interpretativa la
dottrina prevalente ha lamentato la violazione dell'art. 24 Cost.: l'automatismo con
cui l'effetto processuale estintivo opererebbe, con il conseguente ed ineluttabile
consolidamento delle pretese erariali contenute negli atti impositivi originariamente
impugnati, mal si concilierebbe con la garanzia costituzionale dei diritti di difesa
della parte privata. Senza dimenticare che tale effetto sembrerebbe stridere con la
regola generale di cui all'art.176, comma 1, che, come visto, prevede la prosecuzione
degli ordinari processi di cognizione parallelamente al decorso della procedura
concordataria: è forse questo il principale nodo dolente della norma in esame.
Dubbi sono anche gli effetti di un'eventuale risoluzione o annullamento del
concordato preventivo, non essendovi unanimità di vedute in merito alla sorte dei
giudizi tributari precedentemente estinti a seguito dell'omologazione della proposta
concordataria: se qualcuno, ivi compresa anche l'Amministrazione finanziaria,
propende per la “reviviscenza” di tali controversie, la maggioranza degli interpreti
esclude decisamente tale opzione interpretativa, ritenendo che l’evento patologico
renda definitiva la pretesa contenuta nell'atto impositivo originariamente impugnato.
Inoltre, non è chiaro se l'effetto di cessazione della materia del contendere nelle
liti in corso consegua anche ad una transazione conclusa nell'ambito di un accordo di
254
ristrutturazione dei debiti: a suscitare perplessità, ancora una volta, è la formulazione
letterale del comma 5, che allude testualmente alla sola procedura di concordato.
Parimenti, è dubbio se l'estinzione riguardi anche le liti vertenti su premi e contributi
previdenziali, che a decorrere dal 29 novembre 2008 (data di entrata in vigore del d.
l. n. 185) possono formare oggetto di una proposta di transazione, posto che la norma
di cui al comma 5 continua a riferirsi ai soli “tributi”: senonché, come si vedrà
meglio nel capitolo seguente, qualche indicazione utile al riguardo potrebbe trarsi
dall'art. 4, lettera b) del decreto interministeriale del 4 agosto 2009, che nel
prevedere, quale condizione di accettazione della proposta di accordo da parte degli
enti previdenziali, il “riconoscimento formale e incondizionato del credito per
contributi e premi” e la “rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire
sull'esistenza ed azionabilità dello stesso”, sembrerebbe prefigurare un effetto
estintivo del tutto simile a quello concernente il contenzioso tributario.
Infine, occorrerà valutare se lo spirare delle liti pendenti sia compatibile con la
tesi, sostenuta nel presente lavoro, secondo cui il perfezionamento della transazione
fiscale determina la cristallizzazione del debito tributario con valenza esclusivamente
procedimentale: è evidente, infatti, che l'estinzione del contenzioso in atto è un
fenomeno i cui effetti trascendono il ristretto ambito della procedura concordataria,
finendo per riverberarsi sul distinto piano “tributario”, ossia quello propriamente
attinente ai rapporti fra Fisco e contribuente.
Tali profili problematici saranno analizzati diffusamente nelle pagine che
seguono.
Basti qui rammentare che, alla luce del più volte asserito carattere “ibrido”
della transazione fiscale, occorre necessariamente tentare una conciliazione fra le
norme di diritto concorsuale e quelle di diritto tributario, come si è cercato di fare nel
paragrafo precedente in relazione all'effetto di “consolidamento del debito fiscale” di
cui al comma 2. Con la doverosa precisazione che, quanto alla “cessazione della
materia del contendere”, il coordinamento andrà ricercato non tanto con la normativa
tributaria di diritto “sostanziale”, che si è visto essere quella che disciplina l'esercizio
dei poteri pubblicistici di accertamento, quanto piuttosto con i principi generali e le
disposizioni che regolano il processo tributario.
In particolare, occorre far riferimento all'art. 46 del d. lgs. n. 546/1992,
255
rubricato “Estinzione del processo per cessazione della materia del contendere”476.
Merita un breve cenno la questione relativa alla presunta incoerenza sistematica della
citata disposizione, messa in luce dalla migliore dottrina tributarista, secondo la
quale la cessazione della materia del contendere costituirebbe fenomeno ben diverso
dall'estinzione del giudizio per rinuncia al ricorso o per inattività delle parti, di cui
rispettivamente agli artt. 44 e 45 del medesimo d. lgs. 546/1992477. E' sufficiente qui
rammentare che la fattispecie, secondo alcuni, abbraccerebbe ogni ipotesi in cui si
verifichi un mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio, per effetto di
fatti o atti sopravvenuti all'instaurazione del medesimo, e le parti concordino su tale
mutamento, con il conseguente venir meno del loro interesse alla prosecuzione del
contenzioso al fine di ottenere una pronuncia di merito478.
Invero, secondo altri, non sarebbe corretto ravvisare nella vicenda de qua una
476
La disposizione è così formulata: “Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione
delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del
contendere. La cessazione della materia del contendere è dichiarata, salvo quanto diversamente
disposto da singole norme di legge, con decreto del Presidente o con sentenza della Commissione.
Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell'art. 28. Le spese del giudizio estinto a
norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di
legge”.
477
Cfr. P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, cit., 226, secondo il quale
l'istituto di cui all'art. 46, se comparato a quelli della rinuncia al ricorso o dell'inattività delle parti,
manterrebbe una sua rilevante peculiarità sotto il profilo ontologico: “invero, ove si tenga presente
che il fenomeno della cessazione della materia del contendere si ricollega necessariamente al
verificarsi di fatti ed eventi nel corso del processo la cui portata sia tale da rendere superflua la
prosecuzione di quest'ultimo verso il suo epilogo naturale, appare evidente che è netta la
differenza tra l'istituto in esame e l'estinzione del processo, la quale viceversa discende, tanto nel
processo civile quanto in quello amministrativo, dalla rinuncia agli atti del giudizio o dalla
inattività delle parti”. Sicché, con la disposizione in esame il legislatore avrebbe inteso assimilare
la cessazione della materia del contendere all'estinzione semplicemente quoad effectum, nel senso
che il provvedimento che dichiara la prima avrebbe la stessa forma e sarebbe soggetto agli stessi
rimedi previsti per le pronunce di estinzione del processo ex artt. 44 e 45, ferma restando però la
sua autonomia ontologica. In giurisprudenza cfr. Comm. Trib. Centr., 27 ottobre 2000, n. 6229, in
banca dati Il Foto italiano online, secondo la quale “la cessazione della materia del contendere si
verifica allorché sia sopravvenuta una situazione che, riconosciuta e ammessa da tutte le parti in
giudizio, elimina il contrasto fra le stesse e fa venir meno la necessità della pronuncia del giudice,
a differenza della richiesta di estinzione del giudizio, che se limitata all'impugnazione formulata fa
passare in giudicato la decisione del giudice del grado precedente”.
478
Cfr. V. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Giappichelli, Torino, 2000, II, 349. Secondo P.
RUSSO, voce Cessazione della materia del contendere: III) diritto tributario, in Enc. giur.
Treccani, Roma, 1988, VI, 2, nel caso di cessazione della materia del contendere l'interesse ad
agire viene meno, ma ciò avverrebbe in via indiretta, come riflesso del venir meno dell'oggetto del
giudizio. In giurisprudenza, sul venir meno dell'interesse alla decisione della controversia per
cessazione della materia del contendere nel processo tributario, cfr. Cass., 9 luglio 2010, n. 16217,
in Mass., 2010, 736, e Cass., 1° ottobre 2004, n. 19695, in banca dati Il Foro italiano online.
256
sopravvenuta carenza di interesse alla sentenza di merito, ma semplicemente
l'obbligo, per il giudice, di dare atto di un evento successivo alla proposizione del
ricorso, che ha determinato il venir meno dell'oggetto del giudizio, nel senso che
l'atto impositivo dell'Amministrazione, impugnato con quel ricorso, non
costituirebbe più la fonte dei rapporti fra Fisco e ricorrente479. Sicché, a differenza
delle altre fattispecie estintive del processo tributario, che comporterebbero
inevitabilmente il consolidamento dell'atto impugnato e delle sentenze pronunciate
sino a quel momento, la cessazione della materia del contendere determinerebbe,
all'opposto, la caducazione non solo degli atti impositivi emanati480, bensì anche di
tutte le sentenze rese medio tempore. Ancora, diversamente dalla dichiarazione
giudiziale che prende atto dell'intervenuta estinzione del processo per inattività delle
parti o rinuncia al ricorso, avente carattere di mera pronuncia di rito, la sentenza (o il
decreto presidenziale) di estinzione della lite per cessazione della materia del
contendere ha natura di pronuncia di merito, assumendo dunque valore di res
iudicata: la medesima, infatti, comporta il definitivo accertamento del fatto che
integra l'intervenuta cessazione della materia del contendere, facendo stato fra le
parti481.
Da quanto detto conseguirebbe che nell'ipotesi di transazione fiscale il
“mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio”, ovvero “l'evento
successivo che determini il venir meno dell'oggetto del contendere”, sarebbe da
ravvisare nell'accordo siglato con l'Amministrazione finanziaria in seno alla
479
Cfr. A. SCALA, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Giappichelli,
Torino, 2001, 118, e L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 623 e ss.,
secondo cui “la pronuncia di cessazione della materia del contendere estingue il giudizio non
perché le parti, come avviene in caso di rinuncia al ricorso o di inattività, hanno manifestato una
sopravvenuta carenza di interesse, ma perché il giudice si vede obbligato a dare atto del
verificarsi di un evento in grado di incidere sull'oggetto del giudizio, rendendo in tal modo inutile
una pronuncia sulla domanda originaria”.
480
Secondo P. RUSSO, voce Cessazione della materia del contendere, cit., 1999, 2, “resterà acquisito
per sempre che l'atto primariamente emanato non può più ritenersi esistente nel mondo
giuridico”. In giurisprudenza cfr. Cass., 29 dicembre 2010, n. 26273, in Mass. Foro it., 2010, 1111
e 1112, secondo cui la declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del
contendere, a seguito di condono ai sensi della l. n. 413/1991, determina il venir meno della
originaria pretesa sostanziale avanzata nei confronti del contribuente.
481
Cfr. Cass., 22 marzo 2007, n. 21529, in banca dati Fisconline. Cfr. anche P. RUSSO, voce
Cessazione della materia del contendere: III) diritto tributario, cit., 2.
257
procedura concordataria, o meglio, stando alla formulazione letterale del comma 5,
nella semplice chiusura della procedura de qua. Pertanto, sarebbe la proposta di
transazione, una volta ottenuta l'omologazione, a porsi come nuova fonte di
regolamentazione dei rapporti fra le parti in causa: sicché la medesima, sostituendosi
all'atto impositivo originariamente impugnato, renderebbe superflua ogni ulteriore
indagine giudiziale in merito alla legittimità di quest'ultimo. In altri termini, la nuova
regolamentazione dei rapporti tributari contenuta nell’accodo transattivo renderebbe
inutile, se non addirittura contra jus, qualsiasi pronuncia sul titolo originariamente
dedotto in giudizio482.
2. Il perimetro dell'effetto di cui al comma 5.
Quanto all'individuazione della tipologia di controversie interessate dall'effetto
estintivo di cui trattasi, la formulazione letterale della norma non sembra dare adito a
particolari dubbi interpretativi: con la locuzione “liti aventi ad oggetto i tributi di cui
al comma 1”, il legislatore ha inteso alludere ai soli giudizi relativi a tributi che
possono essere oggetto di una proposta di transazione fiscale, ovviamente pendenti
dinanzi al giudice tributario, stante la riserva di giurisdizione di cui all'art. 2 del d.
lgs. n. 546/1992.
Ne deriva che dovrebbero restare in piedi, seguendo il loro regolare iter
processuale, le controversie su imposte non suscettibili di essere transatte (quali ad
esempio i tributi locali o i dazi doganali). Ancora, si pensi a quelle ipotesi in cui
materia del contendere non è rappresentata dall’asserita illegittimità di una pretesa
impositiva fatta valere nei confronti del contribuente, quanto piuttosto da una pretesa
restitutoria che costui vanta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria: è il caso
delle liti in tema di rimborso di imposte indebitamente versate, che anche la circolare
n. 40/E dell'Agenzia delle Entrate esclude espressamente dall'ambito di operatività
dell'effetto estintivo di cui al comma 5483.
482
L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 624, parla appunto di
“modificazione del titolo”.
483
Sull'esclusione dei contenziosi aventi ad oggetto istanze di rimborso cfr. anche L. DEL
FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2578, e P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di
A.. SOLIDORO), cit., 1802.
258
Qualcuno, ancora, ha affermato che la cessazione della liti non dovrebbe
riguardare neppure eventuali giudizi incardinati dinanzi alla Corte Costituzionale,
posto che la relativa materia del contendere (violazione o meno di una norma di
rango costituzionale) è sottratta alla volontà delle parti: è stato osservato, infatti, che
il giudizio di legittimità costituzionale non potrebbe essere ridotto al livello di mero
“fatto privato” di risoluzione di una controversia fra il debitore e l'Erario,
concretando, viceversa, un giudizio dotato di portata generale, con validità erga
omnes484.
Dunque, alla stregua del rinvio generalizzato al primo comma dell'art. 182ter,
verrebbero a cessare soltanto il contenzioso relativo ai tributi amministrati dalle
Agenzie fiscali, quale che sia l'atto impositivo da cui essi siano scaturiti: potrebbe
trattarsi, indistintamente, di avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e liquidazione,
atti di contestazione e/o irrogazione di sanzioni, atti di recupero di crediti di imposta
indebitamente concessi all'impresa, cartelle di pagamento, nonché ogni altro atto
riconducibile ad una delle tipologie di provvedimenti impugnabili di cui all'art. 19
del d. lgs. n. 546/1992. Anche la circolare n. 40/E contempla un'analoga
elencazione485.
È dubbio, invece, se la cessazione debba riguardare necessariamente tutte le liti
potenzialmente transigibili pendenti dinanzi al giudice tributario, ovvero le sole
controversie che l’imprenditore concordatario in concreto abbia indicato nella sua
proposta di transazione.
La dottrina maggioritaria, ammettendo la possibilità di una transazione soltanto
parziale486, propende per la seconda soluzione interpretativa, legittimando il debitore
ad operare una sorta di “selezione”, tesa ad escludere dall'ambito di operatività della
transazione, e dunque dell'effetto estintivo de quo, quelle controversie alla cui
484
Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 306 (cfr. anche nt. 71).
485
Cfr. l'elenco dei tributi passibili di essere oggetto di transazione fiscale di cui alle pp. 29 e 30 del
citato documento di prassi: la circolare, infatti, precisa che “la proposta di transazione può avere
ad oggetto anche i tributi in precedenza richiamati per i quali sia pendente una lite”.
486
Cfr. ex multis L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1079, V. FICARI, La “transazione” fiscale
nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel concordato preventivo, cit., 619, e D. PISELLI,
Concordato e transazione fiscale, cit., 9.
259
prosecuzione egli sia particolarmente interessato, sulla scorta di una valutazione di
convenienza personale. Alcuni hanno affermato, inoltre, che tale possibilità di scelta
contribuisce a rendere l'istituto maggiormente appetibile, lasciando all'imprenditore
la possibilità di contestare quelle pretese impositive che risultino essere palesemente
infondate o eccessivamente gravose: estendere obbligatoriamente l'effetto estintivo a
tutte le liti attualmente in corso potrebbe rivelarsi pregiudizievole per la parte
privata, nella misura in cui vi siano, appunto, controversie in cui le sue probabilità di
vittoria siano piuttosto alte, o l'ammontare preteso dall'Amministrazione risulti
troppo elevato. In tali circostanze, infatti, l'imprenditore potrebbe essere
disincentivato a ricorrere all'istituto di cui all'art. 182ter, proprio allo scopo di evitare
la cessazione del giudizio e la conseguente cristallizzazione della pretesa impositiva
dallo stesso non condivisa.
Senza considerare che l'automatica ed inevitabile cessazione di ogni
contenzioso pendente renderebbe ancora più marcato il vulnus inferto ai diritti di
difesa di cui all'art. 24 Cost., almeno ad avviso di quella parte della dottrina che
lamenta la violazione di detto precetto costituzionale.
Del resto, l'ammissibilità di una proposta transattiva parziale potrebbe essere
dimostrata anche facendo leva sull'argumentum per analogiam, applicando cioè la
disciplina dettata per gli istituti condonistici, con i quali la transazione
condividerebbe proprio l'effetto processuale estintivo rappresentato dalla cessazione
della materia del contendere: in materia di “condono tombale”, infatti, la Cassazione
ha recentemente ammesso la possibilità di una definizione agevolata soltanto
parziale, in quanto limitata alla porzione sub iudice dell'originaria pretesa
impositiva487.
Tuttavia va rilevato che contro la soluzione interpretativa favorevole ad
un'estinzione soltanto parziale del contenzioso tributario pendente sembra essersi
schierata, di recente, proprio la stessa Suprema Corte: nelle recenti pronunce del 4
487
Cfr. Cass., 20 gennaio 2011, n. 1197, in Mass. Foro it., 2011, 83, secondo cui “l'art. 16 l. 27
dicembre 2002 n. 289, nel prevedere la facoltà del contribuente di definire in modo agevolato la
lite pendente, non opera distinzioni a seconda che essa coinvolga interamente o parzialmente la
pretesa tributaria: ne deriva che qualora il contribuente abbia impugnato solo una parte dell'atto
impositivo, potrà definire in via agevolata la pretesa fiscale solo limitatamente a quella parte
oggetto di contestazione”.
260
novembre 2011, nn. 22931 e 22932, la Cassazione afferma che l'opzione per la
transazione fiscale avrebbe un “costo” per la parte privata, rappresentato “dalla
sostanziale necessità di accogliere tutte le pretese dell'Amministrazione, non essendo
plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio credito, accetti in questa sede
di discuterlo e ridurlo”. Viceversa, “escludendo il ricorso alla transazione fiscale il
debitore non ottiene i richiamati benefici [ossia il vantaggio del consolidamento del
debito di imposta, n.d.r.], ma può optare per la contestazione della pretesa erariale
in vista di un minore esborso”488.
Sembra dunque che la S. C. colleghi indefettibilmente alla conclusione di una
transazione fiscale la cessazione di ogni lite tributaria attualmente pendente,
diversamente da quanto avviene con riferimento agli altri creditori, i quali, come
ammettono espressamente le due pronunce, “quando votano sulla proposta
concordataria sostanzialmente formulano il proprio consenso solo in relazione alla
percentuale o alle modalità di soddisfacimento prospettate, ma possono non solo
proseguire l’eventuale contenzioso in corso, ma iniziarlo anche ex novo se in
disaccordo con l’ammontare o la qualità dei crediti indicati nella domanda”.
Sarebbe questo, infatti, il “prezzo” da pagare per ottenere il beneficio del
consolidamento del debito d'imposta, ossia “l'assoluta o apprezzabile certezza
sull'ammontare del debito” da soddisfare nell'ambito del concordato.
Ancora, le stesse pronunce considerano le diverse ipotesi che potrebbero
presentarsi nella realtà, ivi compresa quella in cui l'imprenditore che abbia presentato
un'istanza di transazione non concordi con la quantificazione del carico tributario
contenuta nella certificazione rilasciata dall'ufficio, ritenendo dunque di non doversi
adeguare alla medesima. In tale evenienza, afferma la Cassazione, egli sarà
perfettamente libero di non modificare la propria proposta (se non appostando una
congrua riserva) e di manifestare l'intenzione di proseguire l'eventuale contenzioso in
corso, ovvero di opporsi alle eventuali, ulteriori pretese impositive: “tale
atteggiamento sarebbe infatti perfettamente lecito, non potendosi evidentemente
subordinare ex lege l'omologabilità del concordato alla rinuncia del debitore a
difendersi nei confronti del creditore-fisco, né potendo tale rinuncia ritenersi
488
Cfr. sentenze nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011, cit.
261
implicita nella richiesta di transazione fiscale quando ancora il quadro delle pretese
(consolidamento) non è definito”. La Cassazione non lo dice espressamente, ma
sembra suggerire, fra le righe, la necessità di “abbandonare” l'intera proposta di
transazione nell'ipotesi in cui il debitore non concordi con alcune delle pretese
impositive certificate: solo in questo modo, infatti, sarebbe possibile proseguire i
giudizi già pendenti o instaurarne di nuovi, consentendo alla parallela procedura di
concordato preventivo di continuare il suo normale corso.
Del resto, la chiara affermazione secondo cui la transazione implica la
“necessità di accogliere tutte le pretese dell'Amministrazione” porta ad escludere che
la Corte sia propensa ad accettare la possibilità di circoscrivere (successivamente al
rilascio della certificazione) l'ambito della proposta di transazione, e del connesso
effetto processuale estintivo, alle sole pretese impositive accettate dall'imprenditore,
lasciandolo libero di impugnare le altre.
Secondo il prevalente indirizzo dottrinale, inoltre, l'estinzione dovrebbe
riguardare non soltanto le controversie già instaurate, ovviamente non ancora decise
con sentenza passata in giudicato, bensì anche quelle potenziali, ossia eventualmente
scaturenti da atti impositivi già notificati alla parte, anche nei 30 giorni successivi
alla presentazione della proposta di concordato con transazione fiscale, ma non
ancora impugnati, in quanto risulta essere ancora pendente il relativo termine di
decadenza (60 giorni dalla notifica dell'atto).
Tale lettura estensiva del comma 5 viene prevalentemente giustificata facendo
leva sulla ratio che connota l'istituto di cui all'art. 182ter: se la funzione della
transazione fiscale sarebbe quella di cristallizzare una volta per tutte il carico
tributario complessivamente esistente alla data di presentazione di una proposta di
concordato, in modo tale da consentire all'imprenditore in crisi di tornare in bonis e
“partire da zero”, ne deriva che detta cristallizzazione dovrà riguardare anche le
pretese impositive non ancora definitive, perché già oggetto di contenzioso o perché
non sono ancora scaduti i termini per impugnarle489.
489
Cfr. su tutti L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1085. Favorevole ad estendere ai giudizi non
ancora incardinati l'effetto processuale estintivo de quo sembrerebbe anche la Corte di Cassazione:
nelle citate pronunce del 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, cit., la S.C. infatti chiarisce che il
262
Ne deriverebbe, ad avviso di questa dottrina, che mentre nel primo caso
(contenzioso attuale) gli effetti della transazione fiscale sarebbero assimilabili a
quelli di una conciliazione giudiziale, nella seconda ipotesi (contenzioso potenziale)
si avranno effetti analoghi a quelli scaturenti da un accertamento con adesione490.
Quanto alle ricadute che il perfezionamento della transazione sortirebbe sulle
controversie tributarie già incardinate, la medesima dottrina, comunque, non ha
mancato di rilevare una differenza fondamentale intercorrente fra l'istituto de quo e
la conciliazione ex art. 48 del d. lgs. n. 546/1992: mentre la conciliazione giudiziale
può aver luogo solo davanti alla Commissione tributaria provinciale (alias,
esclusivamente in primo grado), per di più non oltre la prima udienza, il comma 5
dell'art. 182ter non prevede alcun limite di tipo “cronologico”, con la conseguenza
che possono essere estinti a seguito di transazione fiscale anche giudizi pendenti in
secondo grado o in sede di legittimità491.
Considerando sempre l'ipotesi in cui il debito d'imposta da transigere sia
oggetto di un giudizio già instaurato, l'orientamento dottrinale maggioritario ritiene
che l'effetto estintivo di cui al comma 5 sia non solo automatico, in quanto
discendente ipso iure dalla conclusione del procedimento concordatario, bensì anche
rilevabile ex officio, senza che sia richiesta un'apposita eccezione di parte492.
Assodato ciò, qualcuno si è posto il problema di stabilire se sia comunque necessaria
costo dell'opzione di cui all'art. 182ter sarebbe dato dalla necessità di accogliere tutte le pretese
dell'Amministrazione, laddove l'intenzione di proseguire nell'eventuale contenzioso in corso e di
“volersi opporre ad eventuali ulteriori pretese”, successivamente al rilascio della certificazione ad
opera dell'ufficio, non dovrebbe considerarsi preclusa dall'avvenuta richiesta di transazione fiscale.
Come si è detto, tali parole dovrebbero essere lette nel senso che il debitore che intenda impugnare
ex novo alcune delle ulteriori pretese contenute nella certificazione rilasciata dall'Agenzia
dovrebbe abbandonare la proposta di transazione, appunto perché il mantenimento della medesima
implicherebbe la necessaria accettazione delle stesse, e dunque l'impossibilità di attivare un
contenzioso, alla luce proprio del disposto di cui al comma 5.
490
Cfr. ex multis D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 7, e L. TOSI, La transazione
fiscale, cit., 1084.
491
Cfr. S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit., 197, e G. LA CROCE, Autonomia
endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo, cit.,
151.
492
M. FERRO - R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 2172, definisce la cessazione ex comma 5
un “effetto legale automatico” dell'adesione al concordato preventivo, confermato anche dalla
mancata previsione dell'autorizzazione scritta del giudice delegato, altrimenti necessaria ex art.
167, comma 2.
263
una pronuncia della Commissione tributaria originariamente adita, che prenda atto
dell'avvenuta cessazione della materia del contendere conseguente alla conclusione
di una transazione fiscale e, soprattutto, statuisca sul riparto delle spese
processuali493. Parte della dottrina è di tale avviso, ritenendo che, nonostante la
cessazione operi di diritto, sia necessario in ogni caso un provvedimento del giudice
tributario che dichiari l'intervenuta estinzione del contenzioso pendente494.
Questa, in effetti, sembrerebbe essere la lettura più ragionevole, anche alla luce
del criterio interpretativo sopra suggerito, consistente nel coordinare la disposizione
in esame con le regole disciplinanti il processo tributario: pertanto, nel silenzio della
legge fall., dovrebbe trovare applicazione il disposto di cui all'art. 46, comma 2 del d.
lgs. n. 546/1992, il quale prevede che “la cessazione della materia del contendere è
dichiarata, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge, con
decreto del presidente o con sentenza della commissione”. Il comma 5 dell’art.
182ter, infatti, si limita a prevedere solo un'ipotesi di cessata materia, che opererebbe
in via automatica al momento della conclusione positiva della procedura
concordataria, senza dettare alcuna “norma di legge” ad hoc, che disciplini anche le
modalità procedurali per far valere la cessata materia in seno al giudizio tributario in
corso.
Ancora, nulla osta all'applicabilità del terzo comma del menzionato art. 46,
che pone le spese del giudizio estinto a carico della parte che le ha anticipate, salvo
diversa disposizione di legge. Occorre rammentare che tale previsione normativa è
stata oggetto di un importante intervento della Consulta, che con sentenza n. 274 del
12 luglio 2005495 ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per violazione del
493
Il dubbio è sollevato da D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 7, che tuttavia non
propone una soluzione.
494
Cfr. S. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 62.
495
In precedenza, la Consulta aveva sempre respinto le censure di incostituzionalità sollevate contro il
comma 3 dell'art. 46: cfr. la sentenza n. 53 del 1998 e le ordinanze n. 368 del 1998, n. 77 e 265 del
1999, n. 465 del 2000, n. 303 del 2002 e n. 68 del 2005, tutte in www.cortecostituzionale.it. Anche
la Corte di Cassazione si era adeguata al consolidato orientamento della giurisprudenza
costituzionale, pronunciando la compensazione integrale delle spese processuali in ogni ipotesi di
cessazione della materia del contendere, ivi compresi i casi in cui la cessazione conseguiva
all'annullamento in autotutela dell'atto impugnato: cfr. Cass., 1° ottobre 2004, n. 19695, in banca
dati Il Foro italiano online, e Cass., 4 ottobre 2001, n. 12276, ord., in Riv. giur. trib., 2002, 183.
264
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., “nella parte in cui si riferisce alle
ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione
delle pendenze tributarie previsti dalla legge”. A giudizio della Corte,
l'irragionevolezza della disposizione discende dalla circostanza che essa
contrasterebbe con il principio generale di responsabilità che governa il riparto delle
spese di giudizio, noto anche come “criterio della soccombenza virtuale”, secondo
cui le spese processuali gravano sulla parte soccombente o su quella rinunciante, ai
sensi del combinato disposto degli artt. 15 e 44 del d. lgs. n. 546/1992: viceversa, la
compensazione ope legis delle spese processuali in ogni ipotesi di cessazione della
materia del contendere si tradurrebbe in un ingiustificato privilegio per la parte che
pone in essere un comportamento concludente (ritiro dell'atto in autotutela da parte
dell'ente impositore, acquiescenza alla pretesa impositiva o dichiarazione di condono
da parte del contribuente), sostanzialmente diretto a riconoscere la fondatezza delle
altrui ragioni, con pregiudizio per la controparte, specie quella privata (che la
normativa vigente obbliga ad avvalersi dell'assistenza tecnica di un difensore)496.
Senonché, sembra improbabile che il giudice tributario, all'atto di pronunciare
l'estinzione del giudizio per intervenuta transazione fiscale, possa condannare
l'ufficio al pagamento delle spese processuali, in deroga alla regola generale della
compensazione di cui al citato comma 3: se è ragionevole parlare di soccombenza
virtuale dell'Amministrazione ogniqualvolta la cessazione della res litigiosa dipenda
dall'annullamento dell'atto impugnato in via di autotutela, riconoscendo l'Erario le
ragioni del contribuente, tale criterio non potrebbe invece applicarsi al diverso caso
in cui le parti siano addivenute ad una accordo transattivo principalmente
nell'interesse del contribuente, all'esito di un procedimento attivabile esclusivamente
su impulso di costui. Pertanto, la disposizione di cui al comma 5 farebbe della
transazione fiscale uno dei “casi di definizione delle pendenze tributarie previsti
dalla legge” che, a giudizio della Consulta, costituiscono giusto motivo di
compensazione delle spese processuali.
Ancora, la dottrina maggioritaria ritiene che l'automatismo che connota la
496
La Corte di Cassazione sembra essersi pienamente adeguata al mutato orientamento della Consulta
in punto di principio di responsabilità della parte soccombente: cfr. ex multis Cass., 4 ottobre 2006,
n. 21380, e Cass., 15 ottobre 2007, n. 21530, entrambe in banca dati Fisconline.
265
cessazione della materia del contendere presuppone che la pretesa tributaria sia
ricompresa nell'elenco dei crediti di cui all’art. 161, e ciò sarebbe fortemente
innovativo rispetto alle regole generali che governano la procedura concordataria:
l'ammissione al passivo, infatti, se per la generalità dei crediti sarebbe
esclusivamente finalizzata all'espressione del voto in adunanza, stante il disposto di
cui all'art. 176, comma 1, per le sole pretese fiscali avrebbe, all'opposto, valore di
riconoscimento del debito anche sul piano sostanziale497.
Inoltre, qualcuno ha suggerito di presentare, congiuntamente con la proposta di
cui all'art. 182ter, anche un'istanza di sospensione delle liti in corso, inviando al
giudice tributario adito copia di tale proposta: infatti, posto che il legislatore
fallimentare non ha abbinato l'effetto di cessazione della materia del contendere né
ad una preventiva sospensione obbligatoria (ex art. 39 del d. lgs. n. 546/1992), né ad
una interruzione (ex art. 40 del medesimo decreto) dei processi tributari pendenti,
potrebbe verificarsi che i medesimi proseguano parallelamente alla procedura
concordataria, pervenendo, prima della pronuncia del decreto di omologazione, ad
una sentenza in contrasto con le determinazioni quantitative contenute nella proposta
di transazione498. Di qui l'opportunità di prevedere una sospensione facoltativa delle
liti in corso, sino alla chiusura dell'iter concordatario.
Potrebbe poi discutersi in merito a quali siano i poteri eventualmente spettanti
alla Commissione tributaria originariamente adita, una volta che sia stata dedotta in
giudizio una transazione fiscale perfezionata in sede di concordato preventivo. In
particolare, secondo una certa dottrina il giudice tributario sarebbe tenuto ad
esaminare il contenuto della proposta di cui all'art. 182ter, a verificare l'avvenuta
omologa del concordato preventivo che la contiene e ad accertare l'idoneità della
transazione ad estinguere la lite, anche sotto il profilo dell'esistenza di eventuali vizi
dell'accordo rilevabili d'ufficio; solo una volta appurata detta idoneità, il processo
potrebbe terminare con una pronuncia di cessazione della materia del contendere499.
497
Cfr. M. FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 2172.
498
Cfr. E. TERZANI, La transazione fiscale. Effetti tipici dell'istituto e classi omogenee di creditori
concorsuali, cit., 2527.
499
Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 625.
266
Quanto all'interpretazione estensiva del comma 5 avvalorata dalla dottrina
maggioritaria500, che include nell'effetto estintivo ivi contemplato anche il
contenzioso potenziale, ossia i giudizi non ancora incardinati, vengono in rilievo sia
gli avvisi di accertamento già notificati al momento della proposizione di una
domanda di transazione, per i quali non sia ancora decorso il relativo termine
perentorio di impugnazione, sia eventuali atti impositivi notificati successivamente
alla presentazione della proposta, ma comunque ricompresi nella certificazione
rilasciata dall'Agenzia ai sensi del comma 2.
Qualcuno, al riguardo, ritiene che l'unico rimedio esperibile avverso tali atti
impositivi, qualora siano affetti da gravi errori nella determinazione del carico
tributario accertato, sia il reclamo di natura amministrativa per violazione degli
obblighi posti all'azione dei funzionari dello Stato, in quanto un eventuale ricorso
giurisdizionale sarebbe vanificato proprio dalla previsione di cui al comma 5501. In
altri termini, nell'impossibilità di promuovere un ricorso che potrebbe essere
dichiarato inammissibile per l'intervenuta omologazione di un concordato con
annessa transazione fiscale, il privato sarebbe legittimato soltanto a sollecitare il
potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria, chiedendo l'annullamento
dell'atto impositivo che lo stesso reputi illegittimo.
È evidente, tuttavia, che tale lettura finirebbe per acuire il vulnus inferto all'art.
24 Cost, di cui si dirà meglio infra. Pertanto, sembrerebbe più accettabile, ed anche
più coerente con l'eventuale carattere parziale della transazione fiscale di cui si è
detto sopra, riconoscere all'imprenditore proponente la facoltà di impugnare, in corso
di procedura o anche successivamente all'omologazione del concordato, quegli atti
impositivi (notificati medio tempore) che egli reputi illegittimi o “abnormi”,
escludendo tali pretese dal contenuto della proposta transattiva.
Sembra ovvio, poi, che la disposizione di cui al comma 5 non è suscettibile di
inibire le impugnazioni proposte avverso eventuali avvisi di accertamento emanati
500
Qualcuno, tuttavia, continua a nutrire dubbi in merito alla possibilità di un'interpretazione
estensiva, tale da far rientrare nell'effetto di cessazione delle liti di cui al comma 5 anche le
controversie future: cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit.,
213.
501
Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 301.
267
successivamente alla chiusura della procedura di concordato, nel rispetto dei normali
termini decadenziali previsti dalla normativa tributaria. Tale conclusione,
ovviamente, presuppone che si intenda il “consolidamento del debito fiscale” di cui
al comma 2 in termini esclusivamente endo-procedimentali, in adesione alla lettura
interpretativa prospettata nel precedente capitolo: laddove invece si attribuisca a tale
locuzione una valenza sostanziale o extra-procedimentale, intendendo tale effetto in
termini di definitivo congelamento dei residui poteri accertamenti dell’ufficio, è
evidente che dopo l'omologazione del concordato non potrà esservi alcun ulteriore
provvedimento impositivo da impugnare.
3. Necessità o meno del consenso dell'Amministrazione finanziaria ai
fini dell'effetto processuale estintivo.
Un aspetto particolarmente delicato, e tuttora controverso, concerne la
necessità o meno che, affinché si verifichi in concreto l'effetto di cessazione della
materia del contendere, l'Amministrazione esprima il suo assenso sulla proposta di
transazione fiscale.
Come si è già anticipato, se ci si fermasse alla formulazione letterale del
comma 5 sembrerebbe all’uopo sufficiente la mera omologazione del concordato
preventivo: la disposizione, infatti, ricollega l'effetto estintivo di cui trattasi alla
“chiusura della procedura di concordato ai sensi dell'art. 181”, il quale appunto
dispone che “La procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di
omologazione [...]”. Il dato testuale, dunque, indurrebbe a ritenere che la cessazione
della materia del contendere presupponga la semplice omologazione del concordato
preventivo, eventualmente anche all'esito di un giudizio di cram down, senza che sia
indispensabile anche il voto favorevole formulato dall'Amministrazione sulla
proposta di cui all'art. 182ter, in quanto nulla al riguardo è stato esplicitamente
previsto dal legislatore: si potrebbe dire, in altri termini, che l'effetto processuale di
cui trattasi richieda esclusivamente la conclusione (positiva) della procedura
concorsuale, e non anche la conclusione (sempre con esito positivo) del sub-
procedimento di transazione fiscale.
Sicché, la dottrina maggioritaria, in stretta aderenza alla lettera della norma,
reputa sufficiente, ai fini del verificarsi dell'effetto estintivo di cui trattasi, il decreto
268
di omologazione del concordato preventivo, non essendo ulteriormente necessari né
l'assenso dell'Amministrazione né alcuna specifica attività del debitore502: del resto,
come detto in precedenza, la cessazione delle liti conseguirebbe al provvedimento di
omologa in via automatica, quale effetto ipso iure del medesimo.
Nell'ambito di questa nutrita corrente dottrinale, tuttavia, non manca chi
polemizza contro la scelta legislativa di ancorare l'estinzione del contenzioso
pendente alla mera omologazione del concordato, a prescindere dall'assenso espresso
dal creditore pubblico503, o dall'integrale pagamento, da parte del contribuente, delle
somme concordate504: in particolare, quanto al rilievo da ultimo menzionato, si è
detto che il legislatore non avrebbe tenuto in adeguata considerazione l'eventualità di
una successiva risoluzione o di un annullamento del concordato, ignorando quindi gli
effetti che deriverebbero da tali vicende “patologiche”. Trattasi, tuttavia, di critiche
che restano pur sempre ancorate al livello di considerazioni de iure condendo, posto
che la chiara formulazione letterale della norma non lascerebbe spazio ad un'altra
possibile chiave di lettura, come la medesima dottrina ammette.
Ancora, vi è chi prospetta l'opportunità di un'immediata notifica del decreto di
omologa del concordato alle Commissioni tributarie, in modo da rendere edotto il
giudice adito dell'intervenuta automatica estinzione del giudizio pendente505, e chi,
considerando la circostanza diametralmente opposta, puntualizza che la mancata
omologazione della proposta di concordato comporta che la transazione non possa
dispiegare alcun effetto, nonostante la sua approvazione da parte dell'ufficio506.
502
Cfr. ex multis L. MANDRIOLI, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, cit., 761 e 761;
ID., L. MANDRIOLI, Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative e
principi del concorso, cit., 320, dove la scelta del legislatore di subordinare la definizione delle
controversie al passaggio in giudicato del decreto di omologazione, e non all'adesione da parte
dell'Agenzia, è definita “alquanto singolare”; E. TERZANI, La transazione fiscale. Effetti tipici
dell'istituto e classi omogenee di creditori concorsuali, cit., 2527 e 2528.
503
Cfr. S. D'AMORA, La transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 4 e ss., che definisce la
soluzione normativa “quanto meno sorprendente”.
504
Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 613, il quale ritiene che
sarebbe stato più opportuno legare il perfezionamento della transazione al pagamento delle somme
concordate, come del resto prevedeva l'art. 225, comma 4 del schema di d.d.l. licenziato dalla II
Commissione Trevisanato.
505
Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 303.
506
Cfr. M. R. GROSSI, Transazione fiscale, cit., 1584: secondo l'A. tale lettura sarebbe l'unica a non
269
Propende per un'interpretazione letterale della norma anche l'Amministrazione
finanziaria, che nella circolare n. 40/E del 2008 si limita a prevedere che “la
cessazione della materia del contendere si produce con la chiusura della procedura
e, quindi, con il decreto di omologazione (articoli 180 e 181)”.
Qualcuno, ancora, ha proposto di operare una sorta di “scissione” fra i due
effetti tipici della transazione fiscale: quanto all'effetto di cessazione della materia
del contendere nelle liti pendenti, il chiaro disposto del comma 5 non lascerebbe
dubbi in merito alla circostanza che il solo decreto di omologazione sia sufficiente a
definire l'esposizione debitoria tributaria sub iudice esistente al momento della
presentazione della domanda di concordato. Viceversa, e fermo restando che i crediti
tributari sopravvenuti subiranno in ogni caso gli effetti esdebitativi di cui all'art. 184,
il voto negativo dell'Amministrazione precluderebbe l'ulteriore risultato del
“consolidamento del debito fiscale”, con la conseguenza che l'ufficio finanziario
manterrà i pieni poteri di controllo in relazione ai periodi di imposta interessati dalla
domanda di transazione507. Secondo questa lettura interpretativa, dunque, il consenso
dell'Erario sarebbe necessario solo ai fini dell'effetto “sostanziale” di cui al comma 2,
da intendersi come blocco degli accertamenti futuri, e non anche di quello
“processuale” di cui al successivo comma 5.
Un'acuta dottrina, viceversa, trascende il mero dato testuale, ritenendo che la
cessazione delle liti pendenti presupponga necessariamente, oltre al decreto finale di
omologa del concordato, anche il previo consenso dell'Amministrazione
finanziaria508. Ad avviso di questa corrente dottrinale, infatti, sarebbe inaccettabile
legare l'approvazione della proposta di transazione alle maggioranze di cui all'art.
177, indipendentemente, se non addirittura contro, la volontà del creditore pubblico:
essere in conflitto con il presupposto essenziale del beneficio, ossia l'esistenza di una domanda di
concordato preventivo.
507
Cfr. M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 286.
508
Cfr. G. LO CASCIO, La disciplina della transazione fiscale: orientamenti interpretativi innovativi,
in Fall., 2008, 341 e 342; G. LA CROCE, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della
transazione fiscale nel concordato preventivo, cit., 151; E. STASI, Profili istituzionali della
transazione fiscale, cit., 1185 e 1207; ID., La transazione fiscale, cit., 739; V. ZANICHELLI, I
concordati giudiziali, cit., 273; A. PENTA, Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei
creditori e carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale, cit., 242.
270
pertanto dovrebbero essere tenuti distinti, sia pure limitatamente alla fase
dell'approvazione (e non anche nelle sorti), il concordato preventivo e la transazione
fiscale, nel senso che l'approvazione del primo non comporterebbe l'automatico
perfezionamento anche della seconda509. Ne deriverebbe che in caso di diniego
dell'Erario le controversie tributarie dovrebbero continuare il loro regolare iter
processuale, fermo restando che l'ammontare definitivamente accertato all'esito del
giudizio subirà la falcidia concordataria operante per ogni altro credito concorsuale,
alla luce del noto principio generale dell'obbligatorietà del concordato omologato di
cui all'art. 184, comma 1510.
Non mancano, invero, anche interpretazioni alquanto dubbie. Autorevole
dottrina, infatti, da un lato sembra ricollegare la chiusura del procedimento di cui
all’art. 182ter al ritorno in bonis dell'imprenditore, conseguente all'adempimento
degli obblighi assunti nell'ambito della proposta di transazione, salvo subito
precisare che “l'emanazione del decreto di omologazione da parte del Tribunale
dovrebbe “chiudere la partita” ai fini fiscali”: non è del tutto chiaro, dunque, se la
definitiva estinzione del contenzioso in atto consegua al pagamento di quanto
concordato con l'Amministrazione finanziaria, o semplicemente all’omologazione
del concordato511. In ogni caso l'Erario potrà reagire all'inadempimento del debitore
sia con l'escussione delle garanzie eventualmente acquisite, sia con la richiesta
giudiziale di risoluzione della transazione ai sensi dell'art. 1976 c.c.
Ancora, vi è chi ricollega entrambi gli effetti di consolidamento del debito
fiscale e cessazione delle liti pendenti alla mera “attivazione” del procedimento di
cui all'art. 182ter, senza specificare nulla di più512.
Anche la giurisprudenza di merito appare divisa sul punto. Alcune pronunce, in
509
L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit. 614 e ss.
510
Cfr. G. LO CASCIO, La disciplina della transazione fiscale: orientamenti interpretativi
innovativi, cit., 342, e V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 273.
511
Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1091.
512
Cfr. G. FAUCEGLIA, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, cit., 495 e
496.
271
stretta aderenza al dato testuale, affermano che “l'eventuale omologazione della
procedura di concordato preventivo determinerà la cessazione della materia del
contendere nelle liti relative ai tributi definiti”513: la massima viene argomentata
facendo leva sul carattere endo-concorsuale della transazione, la quale, confluendo
nel concordato preventivo, non può che condividerne appieno gli effetti e le sorti,
nelle sue varie fasi fisiologiche (omologazione ed esecuzione) e patologiche
(risoluzione ed annullamento), con la conseguenza che l'Agenzia ed il concessionario
resteranno irrimediabilmente soggetti alla decisione della maggioranza,
successivamente avallata dal Tribunale, ancorché contrastante con la propria volontà
negativa.
Di contrario avviso sembra essere altro filone giurisprudenziale, che ricollega
la cessazione del contenzioso tributario in corso all'esito positivo della transazione
fiscale: l'eventuale diniego dell'Amministrazione finanziaria, pur non potendo
impedire la falcidia dei crediti fiscali (soggetta comunque al volere della
maggioranza dei creditori ed alla successiva omologa del concordato), preclude
tuttavia che si producano gli effetti tipici della transazione fiscale514. Eloquenti, a
questo proposito, sono le parole pronunciate dalla Corte d'Appello di Torino in un
decreto del 2010, in cui si afferma che “pare più consono ad una ricostruzione
logica e sistematica dell'istituto affermare che l'approvazione della proposta di
transazione fiscale abbia sì effetto condizionante, ma non dell'esito del concordato
preventivo, bensì del conseguimento, da parte del debitore, di quegli effetti [...]
“tipici” ed “ulteriori” insiti, in una parola, nel consolidamento della sua posizione
fiscale”: e nel novero di tali effetti “tipici ed ulteriori” il decreto include, appunto, la
cessazione delle liti pendenti. Il Collegio prosegue precisando che qualora
l'Amministrazione finanziaria dovesse rigettare la proposta di transazione,
esprimendo voto contrario in sede di adunanza dei creditori, il debitore sarà
sottoposto agli effetti pregiudizievoli del mancato consolidamento dei debiti
513
Cfr. Trib. Piacenza, 1 luglio 2008, decr., cit., e Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, decr., cit.
514
Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, decr., cit.; App. Firenze, 13 aprile 2010, decr., cit.; Trib. Pescara, 2
dicembre 2008, decr., cit.; Trib. Pescara, 27 novembre 2008, decr., inedito, citato da A. PENTA,
Obbligatorietà o facoltatività nel “classamento” dei creditori e carattere autonomo o dipendente
della transazione fiscale, cit., 242, nt. 58.
272
d’imposta515.
La Corte di Cassazione ha accolto la seconda soluzione l'interpretativa: nelle
citate sentenze nn. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011 la Suprema Corte ha
sostenuto che “la mancata adesione al concordato comporta il non verificarsi di
particolari effetti della transazione fiscale (consolidamento del debito inteso come
non modificabile manifestazione della pretesa ed estinzione dei giudizi in corso) che
sono chiaramente subordinati all'omologazione, in uno con il concordato, della
connessa transazione fiscale, non potendo né il debitore né il fisco rimanere
pregiudicati nei rispettivi diritti se non hanno concordemente accettato l'assetto
degli interessi che tale pregiudizio giustifica”.
Senonché, sembra che la querelle relativa alla necessità o meno del consenso
dell'Erario, ai fini del perfezionamento della transazione fiscale, e del connesso
effetto processuale estintivo, sia in realtà un falso problema.
Infatti, l'opinione che ritiene indispensabile l’assenso del creditore pubblico
muove dall'esigenza di tutelarne la posizione in seno alla procedura concorsuale:
pertanto, una volta escluso che l'Amministrazione possa impedire con il proprio voto
negativo l'approvazione della proposta concordataria (posto che nemmeno tale
dottrina si spinge sino al punto da accordare al Fisco un vero e proprio potere di
veto), o più semplicemente la falcidia delle proprie pretese (non potendo
disconoscersi l'inderogabilità e l’assolutezza del vincolo di cui all'art. 184), tale
dottrina ritiene che il suo assenso sia viceversa indispensabile ai fini del
conseguimento degli effetti tipici del sub-procedimento transattivo, che altrimenti
sarebbero lasciati in balia della volontà dei creditori privati, e degli interessi
inevitabilmente particolari di cui questi ultimi sono latori.
Ora, è proprio il modo in cui vengono intesi tali effetti “tipici” ad aver indotto
questa dottrina ad attribuire eccessivo valore al consenso dell'Amministrazione:
interpretando il consolidamento in termini di congelamento dei residui poteri
accertativi, e quindi preclusione di ogni ulteriore controllo di merito, nonché
intendendo la cessazione della materia del contendere come estinzione di ogni
515
Cfr. App. Torino, 23 aprile 2010, decr., cit.
273
giudizio pendente, con rinuncia alla tutela giurisdizionale delle proprie ragioni
impositive, tale orientamento dottrinale ritiene giocoforza inevitabile l’assenso del
soggetto pubblico.
Una diversa lettura della norma di cui all’art. 182ter, invero, potrebbe dissipare
ogni criticità.
In particolare, quanto all’effetto di “consolidamento del debito fiscale”, se ad
esso fosse attribuita una portata solo endo-concorsuale, secondo il significato che è
stato illustrato nel precedente capitolo, è evidente che la procedura di concordato non
arrecherebbe all'Erario alcun pregiudizio particolare (o, se vogliamo, ulteriore
rispetto alla falcidia obbligatoria delle proprie ragioni creditorie, che riguarderebbe
tutti i creditori, ivi compresi gli astenuti e i dissenzienti): l'ufficio, infatti,
conserverebbe intatti i suoi poteri accertativi, indipendentemente da come abbia
votato sulla proposta di concordato, se non addirittura a prescindere dalla circostanza
di avere espresso o meno un voto in adunanza. Pertanto non vi sarebbe motivo di
ravvisare alcun pericolo sul versante tributario, o meglio “sostanziale”: non avrebbe
senso, infatti, ritenere che senza il consenso dell’ufficio i poteri pubblicistici di
accertamento correrebbero il rischio di essere “sacrificati” alla volontà della
maggioranza, posto che, come visto, detto sacrificio non verrebbe mai a prodursi,
neanche in caso di voto favorevole dell'Amministrazione.
Il consolidamento, come si è visto, è da intendersi come definitiva
quantificazione del carico fiscale valevole solo ai fini della votazione sulla proposta
di concordato, e della successiva fase esecutiva: in altri termini, il peso del voto da
riconoscere all'Agenzia ed al concessionario sarà commisurato all'ammontare del
debito d'imposta indicato nella proposta di transazione, da coniugare con quello
“fotografato” nelle certificazioni rilasciate e nelle liquidazioni effettuate
dall'Amministrazione, con l'ovvia conseguenza che, in mancanza di queste, al
creditore pubblico sarà preclusa solo la possibilità di votare in adunanza, e
successivamente di essere soddisfatto, per importi maggiori rispetto a quelli
quantificati unilateralmente dal proponente. Ma il fatto che, in tale ultima evenienza,
non si tenga conto del reale carico tributario complessivo, in ipotesi più elevato
rispetto a quello determinato dal debitore concordatario, non può essere considerato
pregiudizievole per la ragioni dell'Erario: trattasi di una sorta di sanzione implicita
274
per il mancato assolvimento degli adempimenti di cui al comma 2, o comunque trova
la propria giustificazione nell'esigenza di fondo di garantire maggiore certezza in
merito all'entità delle pretese da soddisfare in moneta concordataria, onde evitare
tardive rinvenienze di crediti d’imposta che pregiudicherebbero la fattibilità del
piano, minandone la trasparenza e la stabilità.
Pertanto, la tesi secondo cui il consenso del creditore pubblico sarebbe
necessario per ottenere il consolidamento del debito tributario non sembra avere
molto fondamento.
Anche con riferimento all'effetto di cessazione della materia del contendere, di
cui qui si discute, apparirebbe eccessiva un'interpretazione che subordini l'estinzione
delle liti pendenti all'assenso del Fisco, sempre al fine espresso di non ledere i suoi
diritti di difesa, laddove gli altri creditori sarebbero comunque garantiti dalla norma
di cui all’art. 176. Occorre riconoscere, infatti, che l'Erario sarebbe in ogni caso
avvantaggiato dall'estinzione del contenzioso in atto, indipendentemente dalla
circostanza di essere favorevole o meno alla soluzione transattiva. Ciò, infatti, si
evince dalla considerazione dei possibili esiti del contenzioso pendente: la
prosecuzione del giudizio, infatti, potrebbe sfociare nell'accoglimento del ricorso del
contribuente, e nella conseguente riduzione o totale eliminazione della pretesa
contenuta nell'atto impositivo impugnato, oppure nel rigetto dell'impugnazione, con
la conseguenza che la pretesa erariale rimane in vita nella sua interezza, anche se
comunque sarà destinata a scontare la falcidia concordataria. A ben vedere, questa
seconda evenienza è identica a quella che si verificherebbe nel caso in cui il
contenzioso si estingua per cessazione della materia del contendere: tale ipotesi,
infatti, presuppone il riconoscimento della pretesa impositiva da parte del
contribuente, il quale si obbliga conseguentemente a soddisfarla, seppur non
interamente ma solo in misura ridotta e/o dilazionata.
Con il proprio voto, dunque, l'Amministrazione non farebbe altro che accettare
o meno la percentuale, nonché le altre condizioni di soddisfazione, offerte dal
debitore, piuttosto che esprimere il proprio assenso sull'estinzione del contenzioso in
atto, cosa alla quale, come visto, sarebbe in ogni caso interessata: si pensi ancora alla
circostanza che l’accoglimento del ricorso, all'esito del giudizio tributario
eventualmente non estinto per effetto dell’omologazione, comporterebbe l'obbligo di
275
rimborsare al debitore quanto da lui precedentemente corrisposto all’Erario in
esecuzione del piano concordatario, in relazione alla pretesa impositiva poi
annullata, oltre al probabile addebito all’ufficio delle spese processuali secondo il
principio della soccombenza.
È evidente, dunque, che la cessazione del contenzioso in atto non è mai
suscettibile di pregiudicare né le ragioni creditorie né i diritti di difesa dell'Erario.
Sicché, ritenere che tale effetto discenda dalla mera omologazione del concordato,
indipendentemente dall'assenso del Fisco, non sembrerebbe ledere la posizione di
quest'ultimo. Viceversa, potrebbe essere proprio l'interesse dell'Amministrazione
finanziaria all'estinzione dei contenziosi tributari pendenti ad indurla a votare a
favore della proposta, in modo tale da agevolare il raggiungimento delle
maggioranze di cui all'art. 177, ponendo le basi per la successiva omologazione del
concordato, da cui quell'estinzione, appunto, deriva.
In conclusione, dunque, si potrebbe affermare che l'Amministrazione non vota
sulla rinuncia ai propri poteri impositivi o sull'estinzione del contenzioso in atto,
quanto piuttosto sulla percentuale di pagamento offertale dal debitore. Pertanto, non
si potrebbe affermare che sia il voto favorevole dell’Erario a determinare il
“perfezionamento” della transazione fiscale ed il conseguente verificarsi di detti
effetti “tipici”, posto che il primo non si produrrebbe in nessun caso, laddove il
secondo discende in via automatica dall'omologazione del concordato, prescindendo
dal consenso del creditore pubblico516.
È evidente come tale lettura si concili maggiormente con le regole generali che
governano la procedura concordataria, ed in particolare con il carattere endo-
procedimentale della transazione fiscale, destinata a “vivere” esclusivamente in seno
a quella procedura come mera articolazione interna, e secondo l’orientamento
maggioritario anche eventuale.
516
O, al limite, l'effetto processuale estintivo potrebbe ritenersi subordinato a tale consenso solo e
nella misura in cui il voto favorevole dell'Erario risulti essere determinante per il raggiungimento
delle maggioranze indispensabili per l’approvazione della proposta del debitore.
276
4. Gli effetti dell'intervenuto annullamento o della risoluzione del
concordato preventivo.
Uno fra i profili maggiormente dibattuti in dottrina è quello relativo agli effetti
che l'eventuale risoluzione o annullamento del concordato omologato producono
sulle liti tributarie precedentemente estinte ai sensi del comma 5.
Occorre premettere che la questione ha un senso solo con specifico riferimento
ai crediti tributari, gli unici ad essere interessati dall'effetto estintivo di cui trattasi:
per quanto attiene alla restante parte dei crediti ammessi al passivo concordatario,
infatti, il relativo accertamento giudiziale non risentirà delle vicende “patologiche”
che possano travolgere il concordato, proseguendo parallelamente ed
autonomamente rispetto a quella procedura, alla luce della più volte citata regola
generale di cui all'art. 176, comma 1. L'unica conseguenza che potrebbe scaturire dal
venir meno del concordato, semmai, sarebbe la riemersione del credito nella sua
interezza, alla luce del carattere non novativo dell'effetto esdebitatorio di cui all'art.
184, che sarà illustrato meglio nel prosieguo.
Fatta questa opportuna premessa, in ordine agli effetti scaturenti dalla
successiva risoluzione o annullamento del concordato sulle controversie tributarie
precedentemente estinte per cessazione della materia del contendere è dato
riscontrare una molteplicità di opinioni difformi.
Secondo l'orientamento maggiormente accreditato in dottrina gli eventi
patologici sopravvenuti alla chiusura del concordato non potrebbero far rivivere gli
originari giudizi di merito cessati per effetto dell'omologazione, con la conseguenza
che le pretese erariali, da soddisfarsi in misura integrale e non più falcidiata, come
qualsivoglia altro credito, rimarrebbero definitivamente fissate nella misura fatta
valere dall'Amministrazione finanziaria nell'atto impositivo originariamente
emanato517.
Tale conclusione viene prospettata come l'unica compatibile con la natura
517
Il più convinto assertore della definitiva stabilizzazione delle originarie pretese impositive è L.
DEL FEDERICO: cfr. ex multis Profili processuali della transazione fiscale, cit., 3663. Secondo
questo Autore si consoliderebbero le pretese cristallizzate nelle certificazioni emesse dall'ufficio
finanziario e dal concessionario della riscossione. In senso conforme cfr. anche M. POLLIO, La
transazione fiscale, cit., 1852.
277
impugnatoria del processo tributario518. Ancora, vi è chi ne giustifica la fondatezza
ora facendo leva sul carattere assoluto e non eliminabile della cessazione della
materia del contendere, posto che la medesima sarebbe assimilabile ad un giudicato,
nel senso di non essere più rimuovibile519, ora richiamandosi alla difficoltà pratica di
ripristinare controversie già intraprese e poi cessate, anche per il probabile
intervenuto decorso dei termini decadenziali previsti dalla normativa tributaria per la
proposizione del ricorso in Commissione520. Del resto, quand’anche i termini per il
ricorso non fossero ancora scaduti, la precedente impugnazione dell'atto impositivo,
poi caducata per effetto dell'estinzione del giudizio, avrebbe comunque comportato
la consumazione del potere impugnatorio in capo alla parte privata, per effetto del
principio generale del ne bis in idem.
Nell'ambito di questo filone di pensiero, inoltre, vi è chi fa leva sulla pretesa
non autonomia della transazione fiscale: dal momento che l'istituto non avrebbe una
“vita propria” al di fuori della procedura di concordato, la risoluzione o
l'annullamento di quest'ultimo comporterebbero, come necessaria conseguenza, il
venir meno anche dell'accordo transattivo siglato al suo interno, destinato
irrimediabilmente a perdere ogni residua efficacia, con la conseguente inevitabile
cristallizzazione degli importi originariamente pretesi dall'Amministrazione521.
Dello stesso avviso sembrerebbe essere anche la prevalente giurisprudenza di
merito. In verità, nessuna delle pronunce che si sono occupate dell'istituto di cui
all'art. 182ter individua nello specifico i possibili effetti che l'intervenuto
annullamento o la successiva risoluzione del concordato potrebbero determinare
sulla transazione fiscale in esso contenuta: tuttavia la massima oramai consolidata,
secondo cui “la transazione inserita in un piano di concordato preventivo ne
condivide gli effetti e le sorti”522, nella quale viene sintetizzata la noto teoria
518
Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della transazione fiscale, cit., 1229.
519
Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale. Aspetti sostanziali, cit., 3022.
520
Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 213 e 214.
521
Cfr. P. PAJARDI, Transazione fiscale (a cura di A. SOLIDORO), cit.,1802, il quale, sotto questo
profilo (che potremmo definire strutturale o procedimentale), equipara la mancata omologazione
del concordato alla sua successiva caducazione per effetto di risoluzione o annullamento.
522
Cfr. ex multis Trib. Mantova, 26 febbraio 2009, decr., cit., e Trib. Pavia, 8 ottobre 2008, decr., cit.
278
pubblicistica o endo-procedimentale dell'istituto di cui all’art. 182ter, sembrerebbe
lasciar trapelare che il convincimento dei giudici sia per la caducazione dell’accordo
transattivo, di pari passo con il venir meno del concordato (il termine “sorti”, infatti,
alluderebbe proprio agli eventi “patologici” della risoluzione e dell'annullamento,
che finirebbero dunque per riverberarsi sulla transazione fiscale).
Del resto, anche chi muove da premesse opposte giunge alla medesima
conclusione. Per i fautori della tesi negoziale, infatti, il ripristino della situazione
pregressa ottenuto per effetto del venir meno del concordato, e quindi la reviviscenza
del debito tributario anteriore alla proposizione della domanda di transazione, con
l'annullamento delle reciproche concessioni raggiunte all'esito dell'accordo bilaterale
fra Amministrazione e contribuente, rappresenterebbe “la soluzione più conforme ai
principi”523.
Gli stessi assertori della sopravvivenza dell'originaria pretesa impositiva,
comunque, non mancano di rilevare criticamente le perplessità che tale lettura
interpretativa finirebbe per sollevare, soprattutto sotto il profilo della violazione dei
diritti di difesa del contribuente, che sarebbe costretto a subire in via definitiva la
quantificazione operata dall'Amministrazione: si tratterebbe di un profilo di indubbio
vantaggio per il Fisco, che qualcuno tuttavia giustifica con l'esigenza di attenuare le
verosimili resistenze degli uffici finanziari ad avvalersi dell'istituto524.
Secondo altra dottrina, all'opposto, il venir meno del concordato omologato per
effetto di uno degli eventi patologici di cui trattasi comporterebbe una ripresa del
contenzioso originariamente pendente, senza tuttavia precisare il modo in cui, in
concreto, i giudizi dovrebbero essere nuovamente incardinati525.
523 Così P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 904.
524
Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della transazione fiscale, cit., 1230.
525
Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di
ristrutturazione dei debiti, cit., 35; ID., E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato
preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riforma fallimentare. Lavori
preparatori e obiettivi, a cura di M. VIETTI - F. MAROTTA - F. DI MARZIO, Itaedizioni,
Torino, 2008, 319. Sulla ripresa del contenzioso cfr. da ultimo G. GAFFURI, Aspetti problematici
della transazione fiscale, cit., 1125, secondo cui, una volta rispettato il paradigma impugnatorio
proprio delle liti fiscali, non sarebbe necessaria la riproposizione di un ulteriore atto reintroduttivo,
ed il processo riprenderebbe vita per effetto della rimozione della causa della sua cessazione,
continuando nello stato in cui versava.
279
Dello stesso avviso è anche l'Amministrazione finanziaria, che nella circolare
n. 40/E si limita ad affermare che “la cessazione della materia del contendere è
conseguenza dell'intervenuto accordo fra le parti”. E' interessante notare come la
soluzione qui delineata si discosti nettamente rispetto a quella prospettata dalla stessa
Agenzia delle Entrate con riferimento all'abrogata transazione esattoriale, rispetto
alla quale era stata ammessa la possibilità di avvalersi dello strumento della
risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1976 c.c., con conseguente ripristino
delle posizioni creditorie preesistenti526.
Qualcuno, ancora, ha prospettato una lettura restrittiva della disposizione di cui
al comma 5: considerato che la reviviscenza di un giudizio estinto per cessata
materia del contendere appare pressoché improponibile, e rilevato che l'altra
soluzione ipotizzata, comportando la cristallizzazione dell'originaria pretesa
impositiva, priverebbe il contribuente di ogni tutela giurisdizionale avverso la
medesima, questa dottrina ritiene che la chiusura del concordato non potrebbe essere
motivo di cessazione della materia del contendere per tutte le liti in corso, ma la
medesima opererebbe solo con riferimento alle controversie per le quali in sede
concorsuale sia stata superata ogni contestazione sull'entità del credito fiscale527. In
altri termini, l'effetto estintivo dovrebbe riguardare solo le liti di pronta soluzione,
per le quali il mantenimento in vita del giudizio apparirebbe improduttivo e vano. La
dottrina in esame, pur ammettendo che la propria lettura sia fortemente svalutativa,
ritiene tuttavia che essa sia l'unica in grado di conformarsi al precetto di cui all'art. 24
Cost.: la salvaguardia del fondamentale diritto del contribuente alla tutela
giurisdizionale dei propri interessi, a fronte dell'attività impositiva dell'Erario,
verrebbe garantita solo se siano state precedentemente eliminate le dispute in merito
all'an e al quantum del debito d'imposta sub iudice. Senza contare che l'effetto
estintivo di cui al comma 5 rischierebbe di alterare la par condicio creditorum a tutto
526
Cfr. circolare n. 8/E del 4 marzo 2005, p. 4. Secondo L. DEL FEDERICO, Profili evolutivi della
transazione fiscale, cit., 1229, quella individuata nella circolare n. 40/E del 2008 è una soluzione
in palese contrasto con la natura impugnatoria del processo tributario, ma volta intenzionalmente a
stemperare il radicale favor fisci.
527
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 842
e ss.
280
vantaggio del Fisco, poiché l'estinzione del giudizio potrebbe portare al
consolidamento di una pretesa fiscale maggiore di quella che si sarebbe determinata
all'esito di un ordinario processo, soprattutto laddove le ragioni prospettate dal
ricorrente apparissero serie e fondate.
Ancora, è stato proposto di applicare alla fattispecie di cui trattasi la soluzione
elaborata dalla giurisprudenza di legittimità prima, e dal legislatore poi, in materia di
conciliazione giudiziale, muovendo dal presupposto che la transazione si inserirebbe
in quel sistema di valorizzazione dei moduli consensuali nell'attuazione del prelievo
fiscale in cui rientrerebbe, appunto, anche l'istituto di cui all'art. 48 del d. lgs. n.
546/1992528. Pertanto, troverebbe applicazione, in via analogica, la massima
giurisprudenziale secondo cui “dall'effetto novativo della conciliazione discende che,
qualora il contribuente abbia versato solo la prima rata delle somme
complessivamente pattuite, senza corrispondere il residuo e né chiedere l'ulteriore
dilazione di pagamento, l'inadempimento non fa rivivere l'obbligazione originaria e
l'Amministrazione creditrice deve esigere il versamento delle somme ancora dovute
in base all'accordo conciliativo, attraverso una procedura di riscossione anche
coattiva”529. Del resto, l'efficacia novativa dell'accordo conciliativo è stata
riconosciuta anche dal legislatore, che ha inserito nell'art. 48 un nuovo comma, il
3bis, il quale dispone che, in conseguenza del mancato pagamento anche di una sola
delle rate successive alla prima, l'ufficio dovrà provvedere all'iscrizione a ruolo delle
somme a carico del contribuente e del garante limitatamente all'importo determinato
a seguito di conciliazione. Ne deriverebbe, con riferimento all'istituto di cui all'art.
182ter, che la definizione contenuta nell'accordo transattivo non verrebbe meno
nemmeno a fronte della caducazione del concordato preventivo, posto che la
transazione determinerebbe comunque la definitiva estinzione dell'obbligazione
tributaria originaria, salva la possibilità per l'ufficio di procedere alla riscossione
coattiva delle somme precedentemente definite con la controparte che risultino
ancora dovute.
528
Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2329 e 2330.
529
Cfr. Cass., 19 giugno 2009, n. 14300, in Mass., 2009, 812, e Cass., 20 settembre 2006, n. 20836, in
Dir. e giust., 2006, 35.
281
Altra dottrina, invece, giustifica la “sopravvivenza” della transazione, e la sua
pretesa valenza novativa, facendo leva sull'autonomia dell'istituto di cui all'art.
182ter e sul suo ipotizzato carattere negoziale: trattandosi di un accordo di natura
fiscale, che accerta il rapporto giuridico d'imposta con efficacia novativa rispetto a
quanto costituisce oggetto del giudizio pendente, la transazione sarebbe insensibile
alle vicende caducatorie del concordato530. La bontà di tale soluzione poggerebbe
anche sul disposto di cui all'art. 1976 c.c., secondo cui la risoluzione della
transazione per inadempimento non può essere richiesta se il preesistente rapporto è
stato estinto per novazione, il che sarebbe indice della volontà legislativa di tener
fermi gli effetti novativi della transazione civilistica, che determinerebbe la
sostituzione del rapporto originariamente dedotto in giudizio con un titolo diverso, in
grado di regolare la medesima materia sub iudice: in applicazione della citata
disposizione codicistica, dunque, sarebbero fatti salvi il contenuto e gli effetti della
transazione fiscale. Tale soluzione interpretativa, a giudizio dei suoi fautori, da un
lato eviterebbe la lesione dei diritti di difesa del contribuente, che deriverebbe
altrimenti dalla cristallizzazione dell'originaria pretesa impositiva contenuta nell'atto
impugnato, e dall'altro ovvierebbe all'esigenza di ipotizzare l'improbabile
reviviscenza di un processo ormai estinto.
Infine, vi è chi ricerca la soluzione della querelle nei meccanismi processuali.
Esclusa ogni possibilità di reviviscenza degli accertamenti originariamente
impugnati, e fermo restando che l'Amministrazione non ha la possibilità di notificare
tali atti una seconda volta, tale dottrina giunge ad ipotizzare una sospensione del
processo tributario, con istanza di riassunzione rimessa all'iniziativa degli uffici
finanziari nel caso in cui il piano di concordato non venisse attuato; oppure, viene
prospettata la possibilità di impugnare per revocazione la sentenza (o il decreto
presidenziale) che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, facendo
valere il motivo di cui al n. 1 dell'art. 395 c.p.c., ossia il “dolo di una delle parti in
danno dell'altra”531. Tale ultima soluzione deriverebbe dalla circostanza che la norma
530
Cfr. D. STEVANATO, Transazione fiscale, cit., cit., 849.
531
Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 627. L'A. precisa anche
che dovrebbero considerarsi irrevocabili i pagamenti posti in essere sino al momento della
pronuncia della risoluzione per inadempimento, anche alla luce del disposto di cui all'art. 67,
282
in materia di risoluzione ed annullamento del concordato fallimentare di cui all'art.
138, applicabile anche al concordato preventivo in forza del richiamo espresso
contenuto nell'art. 186, attribuisce un rilievo determinante all'atteggiamento
fraudolento del debitore, disponendo che “il concordato omologato può essere
annullato [...] quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, ovvero
sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo”.
Prima di tentare l'individuazione, invero non agevole, di una possibile chiave di
lettura, occorre premette che il problema degli effetti della risoluzione o
dell'annullamento del concordato non si pone per le pretese definitive, ossia quelle
contenute in atti impositivi non più impugnabili, accertate con sentenza passata in
giudicato, oppure ancora iscritte a ruolo a titolo definitivo: in tali ipotesi, infatti, il
venir meno del concordato comporta la reviviscenza della pretesa nella sua
interezza, assodato il carattere non novativo dell'omologazione. In particolare,
dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che il concordato omologato non
comporti l'estinzione delle preesistenti obbligazioni per novazione o remissione del
debito532: ne deriva, da un lato, che la porzione di credito eccedente la percentuale
concordataria è oggetto di un’obbligazione naturale, cioè sarebbe sfornita di azione
ma connotata da soluti retentio ex art. 2034533, mentre, dall'altro lato, la risoluzione o
l’annullamento del concordato determinano il venir meno dell'effetto parzialmente
esdebitatorio del decreto di omologazione534. Ciò, dunque, dovrebbe portare al rigetto
comma 3, lett. e), e gli uffici finanziari non potrebbero ritenersi vincolati all'attività endo-
procedimentale svolta nell'ottica dell'accordo transattivo, recuperando appieno i propri poteri di
verifica, accertamento e riscossione.
532
È questa, infatti, la tesi maggiormente accreditata in dottrina: cfr. ex multis G. LO CASCIO, Il
concordato preventivo, cit., 655, e S. SATTA, Diritto fallimentare, cit., 393. Alcuni, viceversa,
ravvisano nell'esdebitazione conseguente all'omologazione un effetto estintivo riconducibile alla
remissione del debito (cfr. App. Milano, 19 novembre 1985, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, II,
303, e U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., 1022), o ad una
transazione (cfr. F. FERRARA - A. BORGIOLI, Il fallimento, cit., 164), o una perdita dell'azione
sostanziale (cfr. G. RAGUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, cit., 834). Dubbia è la lettura
prospettata da G. BONELLI – V. ANDRIOLI, Del fallimento, cit., 24, secondo cui la sistemazione
del rapporto creditorio nella maggioranza dei concordati sarebbe provvisoria, perché difficilmente
il creditore si indurrebbe a rinunciare alle risorse che il tempo può apportare al debitore dissestato.
533
Cfr. ex multis A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, cit., 733.
534
Cfr. ex multis A. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, cit., 513.
283
di quelle tesi che fondano la sopravvivenza dell'accordo transattivo sulla sua pretesa
valenza novativa: il carattere endo-procedimentale dell'istituto, infatti, comporta che
esso partecipi della stessa natura giuridica del concordato, e conseguentemente la
falcidia del credito erariale non può avere valore diverso da quello attribuibile
all'effetto esdebitatorio di cui all'art. 184, comma 1.
Senonché, sempre muovendo dall'esclusione del carattere novativo
dell'omologazione, non sembrerebbe fondata nemmeno la tesi che propende per
l'applicazione analogica della disposizione di cui all'art. 48, comma 3bis del d. lgs. n.
546/1992, dal momento che, come si è visto sopra, tale norma presuppone,
viceversa, l'efficacia novativa della conciliazione giudiziale535.
Non sembra essere fondata nemmeno la tesi secondo la quale il processo
estinto dovrebbe “rivivere”. Soccorrono, a questo riguardo, due obiezioni
difficilmente superabili: da un lato, occorre rilevare l'intervenuta consumazione
dell'azione, stante il principio del ne bis in idem; dall'altro, anche a voler ammettere
una conservazione del potere di impugnare in capo al contribuente, è assai probabile
che sia decorso medio tempore il relativo termine di decadenza.
Del resto, la natura meramente endo-procedimentale della transazione fiscale,
che si è visto essere la tesi oggi maggiormente accreditata sia in dottrina che in
giurisprudenza, impedirebbe di attribuire all'istituto una sua “autonomia” rispetto alla
procedura concordataria in cui esso è inserito, dovendo viceversa condividerne gli
535
La menzionata disposizione è stata introdotta allo scopo di risolvere la querelle relativa alla sorte
dell'accordo conciliativo nell'ipotesi in cui il contribuente non avesse versato le somme dovute: se
una parte della dottrina propendeva per la risoluzione di diritto dell'accordo, ferma restando
l'intervenuta estinzione del processo tributario, con conseguente automatica reviviscenza
dell'originario avviso di accertamento (cfr. S. MENCHINI, Commento all'art. 48 del d. lgs. n.
546/1992, in AA.VV., Il nuovo processo tributario. Commentario, a cura di T. BAGLIONE – S.
MENCHINI - M. MICCINESI, Giuffrè, Milano, 2004, 548), altri ritenevano che sarebbero venuti
meno gli effetti sostanziali della conciliazione, ivi compreso l'effetto processuale estintivo, con la
conseguente ripresa del processo tramite reclamo avverso il decreto presidenziale di estinzione
(cfr. F. BATISTONI FERRARA, Conciliazione giudiziale (diritto tributario), in Enc. dir.
Aggiornamento, Giuffrè, Milano, 1998, II, 237, e circolare del Ministero delle Finanze n. 235
dell'8 agosto 1997). Altri, ancora, reputavano che, ferma restando l'intervenuta estinzione del
giudizio, l'Amministrazione avrebbe dovuto procedere in executivis, iscrivendo a ruolo gli importi
ancora dovuti, risultanti dal processo verbale di conciliazione (cfr. L. TOSI, La conciliazione
giudiziale, in AA.VV., Il processo tributario – Giurisprudenza sistematica di diritto tributario,
diretto di F. TESAURO, Utet, Torino, 1998, 903. In giurisprudenza cfr. Comm. Trib. Prov.
Treviso, 18 gennaio 2000, in banca dati Il Foro italiano online).
284
effetti e, per quanto qui interessa, le sorti: ne consegue che le vicende “patologiche”
che dovessero porre nel nulla un concordato omologato, secondo la disciplina di cui
all'art. 186, non potrebbero non incidere anche sulla annessa proposta di transazione
fiscale, che finirebbe per essere parimenti travolta.
Non resta, dunque, che abbracciare la tesi secondo la quale l'annullamento o la
risoluzione del concordato farebbero “rivivere” la pretesa originaria536: ne deriva,
dunque, il potere dell'ufficio di iscrivere a ruolo tutte le somme (a titolo di maggiore
imposta, sanzione ed interessi) quantificate nell'atto impositivo che era stato
precedentemente impugnato, al netto, ovviamente, di quanto eventualmente già
riscosso in sede di esecuzione del concordato.
Va da sé che tale lettura, muovendo dal disconoscimento del carattere novativo
dell'omologazione, porterebbe anche a respingere la tesi, cui si è accennato nel
paragrafo 1 del presente capitolo, che ravvisa nella cessazione della materia del
contendere ex comma 5 una vicenda legata al venir meno dell'oggetto del giudizio,
ossia alla caducazione del titolo originario, che verrebbe ad essere sostituito da una
nuova fonte di regolamentazione dei rapporti fra privato ed ente impositore,
incarnata dall'accordo transattivo.
Ovviamente non può essere disconosciuto che la definitiva cristallizzazione
degli importi contenuti negli atti impositivi originariamente impugnati rappresenta
un pericolo per i diritti di difesa della parte privata. Senonché, la portata del vulnus
inferto all'art. 24 Cost. potrebbe essere ridimensionata operando “a monte” una
selezione delle controversie da ricomprendere nell'ambito di applicazione della
transazione fiscale: in altri termini, come si è visto in precedenza, sarebbe
pienamente condivisibile quell'opinione dottrinale secondo cui la transazione
potrebbe anche essere “parziale”, con la conseguenza che il debitore avrebbe la
possibilità di escludere dalla proposta transattiva quelle pretese sub iudice
eccessivamente gravose, o comunque palesemente illegittime537, rispetto alle quali
536
La quale, del resto, non si è mai veramente estinta, stante il carattere non novativo
dell'omologazione di cui si è detto supra.
537
Cfr. da ultimo E. STASI, Obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale?, in Fall., 2011,
87, nt. 1. L'A. prospetta l'esempio di una pretesa fondata su un accertamento fiscale annullato dai
giudici tributari con sentenza non ancora passata in giudicato: secondo i fautori dell'obbligatorietà
della transazione fiscale e della necessaria definizione di tutte le pendenze sulla scorta delle cifre
285
egli avrà tutto l'interesse a proseguire il contenzioso già in essere, o ad instaurare un
nuovo giudizio.
Ancora, in una prospettiva de iure condendo, il problema potrebbe essere
aggirato tramite un ritocco della disposizione di cui al comma 5, che subordini
l'estinzione del contenzioso in corso non alla mera omologazione del concordato,
quanto piuttosto all'integrale pagamento del quantum fissato nell'accordo transattivo.
Analoga soluzione, del resto, è stata ampiamente accolta dalla giurisprudenza di
legittimità in tema di condono ex art. 9bis della l. n. 289/2002: ad avviso della
Suprema Corte, infatti, l'efficacia della sanatoria è condizionata al versamento
integrale delle somme dovute, sicché l'omesso versamento delle rate successive alla
prima precluderebbe la definizione della lite pendente538.
Peraltro, nell'ipotesi in cui la proposta ex art. 182ter abbia previsto la
prestazione di garanzie a favore dell'Erario539, è da ammettersi che l'iscrizione a ruolo
del debito d’imposta residuo possa avvenire anche a carico del garante. Va detto che
tale facoltà presuppone che sia data soluzione affermativa ad una questione sulla
quale, almeno in passato, non vi era unanimità di vedute né in dottrina né in
giurisprudenza: ossia la sorte delle garanzie prestate da terzi nell'ambito di un
concordato preventivo successivamente risolto o annullato. La querelle traeva
origine dalla circostanza che la normativa in tema di concordato preventivo non
conteneva alcuna disposizione analoga a quella dettata dall'art. 140, comma 3, in
materia di concordato fallimentare540: peraltro contrariamente ad un orientamento,
comunicate dagli uffici finanziari, senza alcuna possibilità di far valere azioni o proseguire quelle
già attivate, per accedere alla procedura concordataria il debitore sarebbe costretto a pagare una
parte del tributo illecitamente accertato, rinunciando alla prosecuzione di un contenzioso a lui
totalmente favorevole.
538
Cfr. Cass., 6 ottobre 2010, nn. 20745 e 20746, ord., in Mass. Foro. it, 2010, 907. Nella seconda
delle menzionate pronunce la S.C. ha addirittura escluso la definizione del contenzioso anche in
caso di tardivo versamento delle rate successive alla prima.
539
Ipotesi, questa, tutt'altro che infrequente, anche se non necessaria, posto che il comma 1 dell'art.
182ter parla di “eventuali garanzie”. Fra gli autori che ammettono la possibilità per l’ufficio di
imporre garanzie all'interno del medesimo accordo transattivo, in modo tale da cautelarsi contro
l'eventuale inadempimento del debitore, cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla
transazione fiscale, cit., 626.
540
Tale norma dispone che “I creditori anteriori conservano le garanzie per le somme tuttora ad essi
dovute in base al concordato risolto o annullato e non sono tenuti a restituire quanto hanno già
riscosso”.
286
rimasto però minoritario, secondo cui il mancato rinvio espresso a tale disposizione
presupponeva la volontà del legislatore di far estinguere le garanzie originariamente
prestate541, la dottrina maggioritaria aveva attribuito alla citata norma portata di
principio generale, valido anche per il concordato preventivo, nonostante mancasse
un esplicito richiamo alla medesima542.
Quanto all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, se in un primo
momento la Suprema Corte aveva optato per l'estinzione delle garanzie prestate per
l'adempimento del concordato preventivo nel caso di una successiva risoluzione o
annullamento del medesimo, escludendo l'applicazione analogica dell'art. 140,
comma 3543, successivamente ha ritenuto che, seppur in mancanza di una
disposizione analoga a quella dettata in materia di concordato fallimentare, le
garanzie non perdono efficacia, sia pur nei limiti della percentuale concordataria per
cui sono state offerte544. Il contrasto fra la cosiddetta tesi “civilista” e quella
“fallimentarista” è stato ricomposto dalle Sezioni Unite, che si sono pronunciate per
la conservazione delle garanzie, sul presupposto che esse divergono dalla ordinaria
fideiussione civilistica: mentre questa si ricollega ad una vicenda contrattuale
fondata sul principio di autonomia delle parti, le prime vengono prestate nell'ambito
di un procedimento destinato a realizzare finalità pubblicistiche545.
541
Cfr. R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, cit., 2361, secondo cui l'obbligo del
garante, condizionato all'approvazione del concordato, non poteva sussistere in caso di risoluzione,
in quanto era strettamente legato alla causa del medesimo concordato, che coinvolge il
provvedimento di omologazione e i suoi effetti.
542
Cfr. U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., 1575, e A.
BONSIGLIORI, Concordato preventivo, cit., 517.
543
Cfr. ex multis Cass., 10 novembre 1978, n. 5161, in Giur. comm., 1980, II, 162, e Cass., 17 ottobre,
1977, n. 4438, in Giur. Comm., 1978, II, 317.
544
Cfr. ex multis Cass., 22 febbraio 1993, n. 2174, in Fall., 1993, 726, e Cass., 3 aprile 1978, n. 1500,
in Giur. comm., 1978, II, 317.
545
Cass., SS.UU., 18 febbraio 1997, n. 1482, in Fall., 1997, 722, confermata da Cass., SS. UU., 18
maggio 2009, n. 11396, in Fall., 2009, 1390. Cfr. da ultimo Cass., novembre 2011, n. 22913, in
www.ilcaso.it, II, 6723, secondo cui in presenza di garanzia prestata da un terzo in relazione ad
una proposta di concordato preventivo, nel caso di successivo fallimento del debitore a seguito
della risoluzione del concordato, la legittimazione ad agire nei confronti del garante spetta ai
singoli creditori, quali titolari del rapporto obbligatorio conseguente alla prestazione della
garanzia.
287
La querelle, dunque, sembrerebbe essere stata definitivamente risolta a favore
della tesi fallimentarista della conservazione delle garanzie prestate da terzi: tale
lettura interpretativa, del resto, si concilia pienamente con la valenza non novativa
dell'omologazione, di cui si è detto sopra546.
5. Il rapporto fra l'effetto estintivo di cui al comma 5 e la regola
generale di cui all'art. 176, comma 1. Problemi di legittimità costituzionale.
La dottrina non ha mancato di sottolineare che l'effetto processuale estintivo
previsto dal legislatore in tema di transazione fiscale comporterebbe una deroga alla
regola generale di cui all'art. 176, comma 1, secondo la quale eventuali ammissioni
provvisorie di crediti contestati non pregiudicano le pronunzie definitive sulla
sussistenza dei crediti stessi, rilevando ai soli fini del voto e del calcolo delle
maggioranze547: sotto questo profilo non sono mancate pesanti critiche, al punto che
la disposizione di cui al comma 5 è stata bollata come “disarmonica e di difficile
collocazione sistematica”.
Come già accennato nel precedente capitolo la ratio della norma di cui all'art.
176 riposa sulla struttura stessa della procedura di concordato preventivo: a
differenza del fallimento, il concordato non prevede una fase di accertamento del
passivo a carattere autenticamente giurisdizionale. In altri termini l'autorità
giudiziaria, sotto la cui supervisione si svolge l'intera procedura concordataria, non
ha il potere di decidere in via definitiva, con plena cognitio, le questioni relative
all'esistenza e all'ammontare dei crediti ammessi al passivo; eventuali contestazioni
che dovessero essere sollevate su tali profili in sede di adunanza verranno decise
soltanto provvisoriamente, con decreto avente efficacia esclusivamente ordinatoria o
endo-procedimentale, essendo la sua funzione limitata a quantificare l'entità del
credito contestato da ammettere al voto, ai fini del computo delle maggioranze di cui
546
In tal senso cfr. anche G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, cit., 728.
547
Cfr. ex multis E. STASI, La transazione fiscale, cit., 740; L. DEL FEDERICO, Commento sub art.
182ter, cit., 2578; L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1090. Cfr. anche le sentenze della
Cassazione del 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, cit., le quali sottolineano che l'effetto
processuale estintivo non si verifica per gli altri creditori, e rappresenterebbe il “costo” del ricorso
all'opzione transattiva.
288
all'art. 177548.
In tale contesto la disposizione di cui all'art. 176, comma 1 acquista
un'innegabile valenza garantista: indipendentemente da quale sia la decisione assunta
in seno alla procedura concordataria, infatti, le parti avranno pur sempre la
possibilità di instaurare o proseguire un parallelo giudizio di cognizione in via
ordinaria, di mero accertamento o di condanna, finalizzato ad acclarare, questa volta
in via definitiva, l'an ed il quantum della pretesa creditoria vantata nei confronti
dell'imprenditore concordatario.
Del resto, in punto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. la giurisprudenza di
legittimità ha precisato che l'esercizio dell'azione di accertamento e/o di condanna
non è precluso dall'espresso riconoscimento del credito da parte del debitore
concordatario, né dall'inserimento del creditore fra quelli ammessi al voto in sede di
adunanza, attesa la natura meramente amministrativa dell'attività di verifica
dell'elenco dei creditori svolta dal commissario giudiziale ai sensi dell'art. 171, e dei
provvedimenti del giudice delegato concernenti la legittimazione al voto549.
Ancora, sotto il vigore della disciplina previgente era stato anche riconosciuto
che la legittimazione ad agire sarebbe spettata indipendentemente dall'inclusione del
credito nell'elenco di cui all'art. 161, con la precisazione che, qualora la sentenza di
omologazione fosse passata in giudicato prima della proposizione dell'azione del
creditore, l'accertamento giudiziale comunque avrebbe dovuto concernere il credito
nella sua globalità, mentre la condanna doveva essere limitata alla percentuale
proposta con il concordato, posto che l'omologazione comporta l'estinzione delle
ragioni di credito eccedenti detta percentuale; quanto invece al concordato con
cessione dei beni, poiché il soddisfacimento dei creditori si realizza nei limiti del
ricavato risultante dalla liquidazione dei cespiti ceduti, si riteneva che anche la
condanna dovesse essere pronunciata per la completezza del credito azionato, in
quanto l'effetto estintivo parziale avrebbe potuto verificarsi solo in fase di
548
Cfr. Cass., 23 gennaio 1964, n. 161, in Dir. Fall., 1964, II, 52 e ss.
549
Cfr. Cass., 14 aprile 1993 n. 4446, in Fall., 1993, 1237. La giurisprudenza di merito, viceversa,
aveva negato l'esistenza di un interesse ad agire, successivamente all'omologazione, in capo ad un
creditore inserito nell'elenco di cui all'art. 171, qualora non vi fossero state contestazioni in ordine
all'ammontare o al rango del credito: cfr. Trib. Vigevano, 23 marzo 1988, decr., in Fall., 1988,
1235.
289
esecuzione, e non per effetto del giudicato intervenuto sulla sentenza di
omologazione del concordato550.
Tali considerazioni sono da reputarsi valide ancora oggi. Alla luce della
normativa attualmente in vigore, dunque, la condanna pronunciata nei confronti
dell'imprenditore concordatario all'esito di un ordinario processo di cognizione non
può risolversi in una lesione della par condicio creditorum, né comporta una deroga
al principio della obbligatorietà del concordato omologato per tutti i crediti anteriori
di cui all’art. 184: ne deriva che il credito giudizialmente accertato nella sua
integrità, con sentenza passata in giudicato in data successiva all'omologazione del
concordato, potrà essere soddisfatto soltanto nei limiti della percentuale
concordataria551. L'assoggettamento di detto credito al vincolante e generalizzato
effetto esdebitatorio potrà essere fatto valere dal debitore sia nell'ambito del giudizio
di cognizione552, sia mediante lo strumento dell'opposizione all'esecuzione (qualora il
creditore abbia agito in executivis per l'intero)553.
Fatte queste doverose premesse risulta piuttosto arduo, quantomeno prima
facie, conciliare la regola generale di cui trattasi con la disposizione di cui all'art.
182ter, comma 5, che all'opposto collega all’omologazione del concordato la
chiusura, tra l'altro in via automatica ed indefettibile, di ogni controversia tributaria
in atto.
Sicuramente quella da ultimo citata configura una norma di carattere
eccezionale, sicché la deroga all'art. 176, comma 1 è da intendersi limitata ai soli
crediti fiscali contestati oggetto di una proposta di transazione. Ma in ogni caso non
si comprende agevolmente il motivo per cui la “sorte” dell'estinzione riguardi i soli
giudizi instaurati dinanzi ad una Commissione tributaria, laddove ogni altro processo
procederà parallelamente alla procedura di concordato preventivo, a meno che non si
intenda aderire a quella chiave di lettura, ribadita di recente anche dalla Corte di
Cassazione, secondo la quale la cessazione del contenzioso rappresenta per
550
Cfr. Cass., 24 giugno 1995, n. 7169, in Fall., 1995, 1220.
551
Cfr. Cass., 30 marzo 2005, n. 6672, in Fall., 2005, 1319.
552
Cfr. Cass., 3 novembre 1989, n. 4595, in Fall., 1990, 579.
553
Cfr. Cass., 26 luglio 1990, n. 7562, in Gius. civ., 1990, I, 1942.
290
l'imprenditore concordatario il “costo” da sostenere per fruire del vantaggio
costituito dal consolidamento del debito d'imposta.
Del resto, si è argomentato in precedenza che l’estinzione dei giudizi in atto
renderebbe comunque definitiva l'originaria pretesa impositiva554, seppur questa sia
destinata ad essere soddisfatta solo in misura percentuale, ma si è visto che la
medesima percentuale di soddisfazione si applicherà anche nell'ipotesi di
prosecuzione del contenzioso pendente, conclusasi con il rigetto del ricorso del
contribuente, posto che la pretesa, essendo sorta anteriormente alla domanda di
concordato, è comunque destinata a scontare la falcidia ivi prevista, alla luce dell'art.
184, comma 1. Sicché il pregiudizio che l’effetto processuale estintivo arrecherebbe
all’Erario è solo apparente, ed anzi si potrebbe obiettare che l’Amministrazione
tragga comunque vantaggio dalla chiusura delle controversie tributarie.
Ne deriva che, se si volesse cercare un plausibile temperamento al carattere
assoluto ed indefettibile dell’effetto estintivo de quo, non avrebbe molto senso
ricorrere a quella teoria, suggerita da una certa dottrina, che ricollega tale effetto
all'assenso prestato dall'Amministrazione finanziaria, reputando che la sola
omologazione del concordato sia condizione comunque necessaria, ma di per sé sola
non sufficiente: secondo questa opinione la soluzione opposta, che ricollega
l'estinzione delle controversie pendenti alla mera omologazione, indipendentemente
dal consenso della parte pubblica, finirebbe per lasciare quest'ultima in balia della
maggioranza dei creditori “privati”, sicché l’estinzione dei giudizi in atto finirebbe
per tradursi in una sorta di abdicazione forzosa ai propri diritti555.
In realtà questa tesi, come si è già visto, omette di considerare gli effetti che, in
concreto, deriverebbero dall’immediata chiusura delle liti tributarie in corso, e che
sarebbero sempre e comunque favorevoli per l’Amministrazione finanziaria. Ne
consegue che il pregiudizio, in realtà, riguarderebbe piuttosto la parte privata, l'unica
ad essere realmente avvantaggiata dalla prosecuzione delle controversie pendenti,
554
Cfr. P. RUSSO, L'estinzione del processo tributario, in Dir. prat. trib., 1994, I, 434: l'A. afferma
che l'estinzione determina l'incontestabilità dell'atto impugnato.
555
Del medesimo avviso è anche la Corte di Cassazione, che nelle citate pronunce del 4 novembre
2011 ha statuito che gli effetti della transazione fiscale non possono prescindere dall'adesione del
Fisco, il quale rimarrebbe altrimenti pregiudicato nei propri diritti.
291
nella misura in cui l'accoglimento delle proprie doglianze determinerebbe la
caducazione dell'atto impositivo, o quantomeno una riduzione del quantum dovuto,
oltre all’addebito alla controparte delle spese di lite, che nel caso di cessazione della
materia del contendere rimarrebbero invece compensate.
Ad essere in ballo, dunque, non sarebbero tanto i diritti di difesa del creditore
pubblico, quanto piuttosto quelli del debitore, come del resto è stato rilevato anche
dalla dottrina maggioritaria: far discendere la cessazione del contenzioso tributario
dalla chiusura del concordato, come effetto ispo iure del decreto di omologazione
(oppure, secondo alcuni, dell'omologazione preceduta dall'assenso
dell'Amministrazione), equivarrebbe a privare il contribuente di ogni tutela
giurisdizionale in ordine alla pretesa tributaria oggetto di contestazione, rendendo
quest'ultima definitiva e non più contestabile. Pertanto, se l'Amministrazione sarebbe
in ogni caso avvantaggiata dalla cessazione del contenzioso, o comunque, come
ritiene la dottrina poc’anzi citata, potrebbe essere adeguatamente tutelata da
un'interpretazione del comma 5 che reputi indispensabile il suo consenso preventivo
sulla proposta di transazione ai fini dell'effetto estintivo ivi contemplato, la
salvaguardia dei diritti di difesa della parte privata necessita invece che sia
individuata un'altra possibile chiave di lettura della disposizione in esame.
Va rilevato che il problema della potenziale illegittimità costituzionale della
disposizione di cui al comma 5 per violazione dell'art. 24 Cost., dal lato del
contribuente, è particolarmente avvertito in dottrina556, anche se non manca qualche
isolata opinione tendente a ridimensionarne la portata557, o comunque a
disconoscerne una valenza decisiva, posto che chi propone una transazione
556
Cfr. G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del concordato
preventivo, cit., 714, e F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella
transazione fiscale, cit., 844 e 845.
557
Si allude, in particolare, alla posizione espressa da C. ATTARDI, Inammissibilità del concordato
preventivo in assenza di transazione fiscale, cit., 6441, secondo cui in realtà la disposizione di cui
all'art. 182ter, comma 5 sarebbe pleonastica, in quanto riproduttiva della norma di cui all'art. 46
del d. lgs. n. 546/1992, il quale prevede che “il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di
definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni caso di cessazione della materia
del contendere”: quest'ultima conterrebbe infatti una formulazione piuttosto ampia, capace di
ricomprendere tutte le definizioni di fonte legale, ivi comprese quelle contemplate dalla legge
fallimentare. Secondo l'A., dunque, anche in assenza della disposizione di cui all'art. 182ter
l'effetto estintivo per i giudizi in corso, relativamente ai tributi oggetto di transazione, sarebbe
comunque derivato dall'art. 46.
292
disporrebbe di tutti gli elementi per poter valutare liberamente se addivenire o meno
ad una composizione bonaria dei contenziosi in corso558.
La scelta legislativa di prevedere l'automatica estinzione del contenzioso in
corso è stata criticata anche per l'assenza di un contraddittorio fra le parti in merito
alla determinazione del quantum dovuto, posto che, secondo un'autorevole opinione,
il consolidamento che segue all'estinzione del giudizio dovrebbe avvenire sulle cifre
indicate nella certificazione rilasciata dall'ufficio, per sorte capitale, sanzioni ed
interessi, senza che al debitore in disaccordo sia consentito di interloquire od
opporsi; qualora l'ufficio non provveda nei termini al rilascio della certificazione,
invece, dovrebbero rimanere definitivamente fissati gli importi fissati
unilateralmente nel piano concordatario, che la parte pubblica sarebbe forzata ad
accettare in ragione della vincolatività del concordato omologato. Con riferimento ad
entrambe le ipotesi si è detto che la coercizione che l'una o l'altra parte è costretta a
subire appare eccessiva ed inaccettabile, finendo per confliggere con i principi della
tutela giurisdizionale559.
Nell'ambito dello stesso filone dottrinale, poi, vi è chi rileva come la norma in
questione potrebbe persino avere conseguenze contrarie al buon senso, in quanto di
fronte ad un accertamento d'imposta abnorme il contribuente si troverebbe in bilico
fra due conseguenze ugualmente indesiderabili: da un lato, la proposizione di un
concordato con transazione fiscale, la cui omologazione comporterebbe anche la
rinuncia al contenzioso e la conseguente accettazione della pretesa impositiva
originariamente contestata, e, dall'altro, il fallimento dell'impresa, che tuttavia
salverebbe il giudizio di impugnazione eventualmente instaurato avverso l'avviso di
accertamento reputato illegittimo. Ne deriva la necessità di una lettura restrittiva e
fortemente svalutativa della disposizione in esame, secondo la quale l'effetto
estintivo dovrebbe prodursi solo per quelle liti rispetto alle quali il mantenimento in
vita del giudizio apparirebbe oramai vano e improduttivo, perché in sede
558
Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, in Trattato di
diritto delle procedure concorsuali, cit., 607.
559
Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 212 e 213, nonché
A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1449 e 1450: l'A. rileva che l'unico caso a
non porre problemi sarebbe quello in cui le certificazioni e le liquidazioni dell'ufficio coincidono
con le risultanze del piano proposto dal debitore.
293
concordataria è stata superata ogni contestazione sull'entità del credito fiscale in
concorso560.
Non manca, inoltre, chi ha sottolineato che l'effetto processuale de quo
finirebbe per alterare anche la par condicio creditorum a tutto vantaggio del Fisco, in
quanto la cessazione della materia del contendere porterebbe al consolidamento, in
via definitiva ed irretrattabile, di una pretesa fiscale maggiore di quella che potrebbe
essere determinata all'esito di un ordinario giudizio di cognizione, laddove per gli
altri creditori l'ammissione al passivo non comporta alcun effetto sul piano
sostanziale, in quanto la quantificazione delle relative pretese opera esclusivamente
ai fini del voto561. In altri termini l'automatica chiusura del contenzioso fiscale, con la
conseguente cristallizzazione degli importi dovuti, avrebbe l'effetto di sottrarre
risorse potenzialmente destinate al soddisfacimento degli altri creditori, rendendo
deteriore la loro posizione.
Per salvaguardare la tenuta “costituzionale” dell'istituto, pertanto, parte della
dottrina fa leva sul carattere facoltativo della transazione fiscale: la sterilizzazione
del diritto di difesa del contribuente contro atti impositivi potenzialmente illegittimi
si giustificherebbe solo considerando la transazione alla stregua di una mera opzione
a disposizione dell’imprenditore concordatario, cui sarebbe rimessa la scelta se
avvalersene o meno, sulla base di una sua personale valutazione di convenienza562.
Negli stessi termini si è espressa, di recente, anche la Corte di Cassazione, con le
citate pronunce nn. 22931 e 22932.
Ancora, una “scappatoia” analoga sarebbe quella di valorizzare la potenziale
560
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 842
e ss. Secondo questa lettura, cui si è già accennato in precedenza, l’effetto estintivo potrà
predicarsi solo con riferimento alle contestazioni di pronta soluzione, tra cui, ad esempio, quelle
aventi ad oggetto un debito erariale discendente da dichiarazioni fiscali (anche integrative) sulle
quali sia inizialmente insorto un giudizio, ma che poi hanno trovato agevole soluzione in sede
concordataria. Tale interpretazione, fortemente riduttiva, viene tuttavia prospettata come l'unica in
grado di salvare la norma sotto il profilo costituzionale.
561
Cfr. F. RANDAZZO, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, cit., 845;
M FERRO – R. ROVERONI, Transazione fiscale, cit., 1453; anche S. LA ROCCA, Il concordato
preventivo e la transazione fiscale, cit., 189 e 190, sottolinea la peculiarità della posizione del
Fisco rispetto a quella degli altri creditori.
562
Cfr. ex multis G. VERNA, La transazione fiscale quale sub-procedimento facoltativo del
concordato preventivo, cit., 714, secondo cui tale valutazione consiste in una ponderazione fra
costi e benefici dell’opzione.
294
parzialità della transazione fiscale, nel senso di ricomprendere nella relativa proposta
soltanto alcune delle liti attualmente pendenti, sulla scorta di una libera scelta del
debitore: sicché egli, in base ad una valutazione di convenienza analoga a quella
compiuta all'atto della decisione se proporre o meno una transazione fiscale, avrà la
facoltà di selezionare quali controversie definire transattivamente e quali, invece,
lasciare al di fuori della procedura di cui all'art. 182ter (come già visto, di regola
queste ultime sono quelle in cui la pretesa impositiva risulti particolarmente onerosa
o manifestamente infondata, ragione per la quale egli potrebbe ritenere di gran lunga
più conveniente attendere l'esito di un giudizio che spera essere a lui favorevole).
6. Ipotesi di lettura. Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato
del proponente.
Certamente sono condivisibili le conclusioni cui la dottrina è giunta,
relativamente al carattere solo facoltativo ed eventualmente parziale della
transazione e del connesso effetto processuale estintivo. In particolare, la tesi che
riconosce al medesimo la facoltà di scegliere quali controversie inglobare nella
proposta di transazione sembrerebbe “ricucire”, o almeno ridurre, lo strappo rispetto
alla regola generale di cui all'art. 176, comma 1: le liti non ricomprese nella proposta
di transazione, infatti, proseguiranno il loro regolare iter processuale, alla pari di
ogni altro giudizio di cognizione attualmente pendente.
Anche la stessa formulazione letterale del comma 5 sembrerebbe non ostare a
tale possibile chiave di lettura: la disposizione, infatti, circoscrive l'effetto estintivo
alle sole controversie “aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”, e non a
tutte le liti tributarie attualmente pendenti alla data di attivazione del sub-
procedimento transattivo, o meglio alla data del decreto di omologazione del
concordato. Pertanto il rinvio al comma 1, che disciplina il contenuto della proposta
di transazione fiscale, lascerebbe intendere che la cessazione della materia del
contendere riguardi i soli giudizi contemplati in quella proposta: qualora il
contribuente intenda contestare, o continuare a contestare, una certa pretesa, potrà
limitarsi a non includerla nella domanda di transazione, lasciando che il relativo
giudizio prosegua nella speranza di ottenere l'annullamento, totale o parziale,
dell’atto impositivo.
295
Tale lettura sembrerebbe armonizzarsi perfettamente con la normativa dettata
in tema di concordato, in quanto tornerebbe ad applicarsi, in tale evenienza, non solo
il menzionato art. 176, comma 1, bensì anche la disposizione di cui all'art. 180,
comma 6: pertanto il processo tributario non si estinguerebbe, proseguendo il suo
iter ordinario fino alla pronuncia di merito, cui è demandato l’accertamento in via
definitiva dell'esistenza e dell’ammontare del credito erariale contestato. Ne
deriverebbe anche che fino alla conclusione del giudizio le somme eventualmente
spettanti al creditore pubblico sarebbero accantonate nei modi stabiliti dal Tribunale,
che fisserà altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo563.
Del resto, l'art. 90, comma 2 del d.P.R. n. 602/1973 prescrive l'inserimento
provvisorio dei crediti tributari contestati nell'elenco dei crediti della procedura564.
Pertanto, anche tali pretese andrebbero comunque incluse nell'elenco di cui all'art.
161, lettera b): al riguardo, ed in via più generale, è unanime, sia in dottrina sia in
giurisprudenza, il convincimento che anche i crediti contestati o incerti debbano
comunque essere inseriti nell'elenco nominativo dei creditori da allegare al piano
concordatario, pena la possibile revoca dell'ammissione al concordato per la dolosa
omissione di un credito ex art. 173565. Qualora poi si contesti solo l'ammontare del
563
Anche la Cassazione, con le pronunce nn. 22931 e 22932 più volte menzionate, prevede che il
contribuente che intenda contestare la pretesa erariale certificata possa proseguire l'eventuale
contenzioso in atto, mantenendo inalterata la propria proposta e limitandosi ad appostare una
congrua riserva.
564
Tale disposizione ricalca quella dettata in materia di fallimento dall'art. 88 del medesimo d.P.R. n.
602/1973, che sancisce l'ammissione al passivo con riserva dei crediti erariali contestati: la
giurisprudenza è unanime nel ritenere che i crediti erariali opposti dinanzi alle Commissioni
tributarie, per imposte sia dirette sia indirette, sono assimilabili ai crediti condizionali di cui all'art.
55, comma 3 legge fall., e devono essere ammessi al passivo con riserva, senza che, in attesa
dell'esito definitivo del procedimento tributario, sia legittimabile la sospensione del giudizio
dinanzi al Tribunale fallimentare (cfr. Cass., 13 marzo 1998, n. 2736, in Riv. giur. trib., 1998, 623,
e Trib. Trani, 14 marzo 1992, decr., in Fall., 2003, 88).
565
Cfr. Trib. Milano, 24 aprile 2007, decr., in Fall., 2007, 1441, Trib. Torino, 12 novembre 1991,
decr., in Fall., 1992, 95, nonché Trib. Roma, 11 aprile 1990, decr., Fall., 1991, 83. In dottrina cfr.
ex multis A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, cit., 674 e 702, e P.
LICCARDO, Commento sub art. 161, in La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 2061,
secondo il quale l'inclusione nell'elenco delle poste creditorie potenziali, in quanto legate ad
esempio a giudizi in corso ovvero ad accertamenti fiscali, deriverebbe non soltanto dalla funzione
di detto elenco, che sarebbe quella di fotografare la consistenza qualitativa e quantitativa del ceto
creditorio, bensì anche dalla sua continuità rispetto alle poste di bilancio, ed in particolare alle
poste relative ai debiti, ai fondi rischi ed oneri, ed ai conti d'ordine. Sull'esigenza di provvedere
alla formazione dell'elenco sulla base delle regole che presiedono alla normale iscrizione di un
debito in bilancio cfr. ancora P. LICCARDO, Commento sub art. 173, in La legge fallimentare
296
credito occorrerà precisare sia la somma pretesa che quella riconosciuta566.
Né risulta condivisibile quell'isolata opinione giurisprudenziale che equipara
l'inserimento nell'elenco al riconoscimento del debito da parte dell'imprenditore
concordatario, finendo per attribuirvi valenza sostanziale567.
Con riferimento, viceversa, ai giudizi tributari estinti per effetto dell'inclusione
delle somme sub iudice nella proposta di transazione, l'effetto non è molto dissimile
da quello che si verificherebbe per ogni altro credito contestato ab origine
dall'imprenditore, e poi dal medesimo riconosciuto: anche in tale evenienza, infatti, il
riconoscimento da parte del debitore dell’avversa pretesa determinerà l'estinzione del
giudizio ordinario per intervenuta cessazione della materia del contendere568.
In altri termini sembrerebbe che nemmeno con riferimento alle liti tributarie
estinte ai sensi del comma 5 sia realmente profilabile un autentico strappo rispetto
alle regole ed ai principi generali che governano la procedura concordataria.
Giova poi aggiungere un'altra considerazione, utile per salvaguardare la
“tenuta” costituzionale dell'istituto sotto il profilo dell'ipotizzata lesione dell'art. 24
Cost.
Si è visto che la dottrina pressoché unanime concorda nel ritenere che
l'intervenuta conclusione di una transazione fiscale, con o senza l'assenso
dell'Amministrazione finanziaria, comporterebbe l'integrale accettazione, da parte
del contribuente, della pretesa impositiva contenuta nell'atto originariamente
impugnato. Sarebbe questo uno dei “costi”569 che la parte privata sarà tenuta a
dopo la riforma, cit., 2170.
566
Cfr. G. M. BERTACCHINI, Commento sub art. 161, in U. TEDESCHI, Le procedure concorsuali,
cit., 58.
567
Cfr. App. Milano, 8 ottobre 1976, in Mon. Trib., 1977, 18. Contra cfr. Cass., 14 aprile 1993, n.
4446, in Fall., 1993, 1036.
568
Sul riconoscimento della pretesa come causa di cessazione della materia del contendere cfr. Cass.,
29 aprile 1974, n. 1216, e Cass., 9 maggio 1975, n. 1809, in banca dati Il Foro italiano online. Lo
stesso principio è stato ribadito anche da Cass., SS.UU., 28 settembre 2000, n. 1048, in banca dati
Il Foro italiano online. Cfr. anche B. SASSANI, voce Cessazione della materia del contendere. I)
Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1999, 2.
569
Cfr. da ultimo Cass., 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, cit. L'altro “costo” dell'istituto sarebbe
rappresentato dall'obbligo di pagamento integrale del debito Iva e di quello per le ritenute operate
e non versate, che secondo la giurisprudenza di merito potrebbero invece essere falcidiati, alla
stregua di ogni altro credito, qualora il debitore si limitasse a presentare soltanto una domanda di
297
valutare al momento di optare o meno per la presentazione di una proposta di
transazione fiscale: tale costo andrebbe ponderato con i pretesi “benefici”
dell'istituto, consistenti nella possibilità di garantirsi l'assenso del Fisco
(indispensabile qualora risulti decisivo per il raggiungimento delle maggioranze
prescritte dall'art. 177), e nella definitiva cristallizzazione del carico tributario, che
secondo alcuni comporterebbe la rinuncia agli ordinari poteri di controllo sulla
posizione sostanziale del contribuente570.
La fondatezza di quest'ultimo assunto è stata già contestata nel precedente
capitolo. Ne deriva che il reale beneficio che la transazione garantirebbe al privato,
sotto il profilo della “cristallizzazione” del debito fiscale, andrebbe ravvisato negli
obblighi, che l’ufficio è tenuto ad espletare nel ridotto lasso temporale previsto
dall'art. 182ter, di liquidare il debito emergente dalle dichiarazioni presentate dal
contribuente e certificare il complessivo ammontare degli altri carichi tributari che
risultino essere già accertati alla data di presentazione della proposta di transazione
fiscale, allo scopo di ottenerne l'ammissione al passivo concordatario; la
conseguenza del mancato adempimento di dette incombenze sarebbe, lo si ribadisce,
l'impossibilità di ammettere al passivo somme ulteriori rispetto a quelle quantificate
nella proposta, una volta che siano decorsi i trenta giorni dalla presentazione della
stessa.
Occorre in questa sede concentrarsi sul rilievo relativo alla presunta ed
inevitabile “soggezione”571 del debitore concordatario alle pretese contenute negli atti
impositivi originariamente impugnati, che discenderebbe dall'intervenuta cessazione
della materia del contendere e lederebbe il suo diritto, costituzionalmente garantito,
alla tutela giurisdizionale dei propri interessi.
Ora, assodato che l'effetto estintivo di cui al comma 5 determina una qualche
concordato preventivo senza un’annessa proposta di transazione fiscale, dovendo in tal caso
limitarsi a rispettare la condizione generale prevista dal comma 2 dell'art. 160: cfr. ex multis Trib.
La Spezia, 2 luglio 2009, decr., cit.
570
Cfr. ex multis V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 261 e 262. Va detto comunque che
per tale A. la cessazione della materia del contendere rappresenterebbe non solo un costo per la
parte privata, ma anche un ulteriore elemento di stabilità del piano concordatario, eliminando le
incertezze di un contenzioso dagli esiti a volte dirompenti sui conti.
571
Il termine è utilizzato da V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 262.
298
cristallizzazione del debito d'imposta gravante sul proponente, occorre chiedersi
quale sia esattamente l'importo che verrebbe a cristallizzarsi: si è visto che secondo
la dottrina maggioritaria verrebbero ad essere consolidati in via definitiva gli importi
originariamente pretesi dall'Amministrazione con l'atto impositivo impugnato, così
come riepilogati nella certificazione di cui al comma 2.
Senonché una tale lettura non sembra avere fondamento. La certificazione,
infatti, non è nient'altro che la “fotografia” delle pendenze tributarie
complessivamente esistenti alla data di presentazione di una proposta di transazione,
siano esse già definitive, oggetto di contenzioso pendente o ancora potenzialmente
impugnabili: lo scopo della medesima è quello di evitare che taluni debiti d'imposta
possano “sfuggire” alla procedura di concordato, perché non ricompresi nella
proposta originaria del debitore. Questo spiegherebbe l'obbligo di trasmettere la
certificazione al proponente: nell'ipotesi in cui il debito tributario certificato risulti
maggiore rispetto a quello da lui inizialmente quantificato, infatti, egli potrà
procedere alle necessarie modifiche ed integrazioni. Pertanto la cristallizzazione
riguarderà non tanto gli importi certificati dall'ufficio, bensì piuttosto quelli indicati
nella proposta di transazione, eventualmente modificata prima che le operazioni di
voto abbiano inizio, ai sensi di quanto previsto dall'art. 175, comma 2, proprio allo
scopo di tener conto del reale carico tributario risultante da quella certificazione.
Basti pensare che votazione ed omologazione riguardano la proposta del debitore, e
non certo la certificazione rilasciata dall'ufficio: è sugli importi contenuti nella
domanda di cui all'art. 182ter, e sulla rispettiva percentuale di soddisfazione, che il
Fisco, alla pari degli altri creditori, sarà chiamato a formulare il proprio voto in
adunanza, ed è sempre sui medesimi che il Tribunale è tenuto ad esprimere l'ultima
parola in sede di omologazione.
Ma vi è di più. Lungi dal limitarsi a recepire il risultato della certificazione
trasmessagli dall'ufficio, il contribuente potrebbe anche modificare la propria
proposta iniziale semplicemente per incrementare la percentuale da offrire in
pagamento all'Amministrazione, in modo tale da garantirsene il voto favorevole. Si
profila, in altri termini, la possibilità di addivenire ad una sorta di compromesso con
la controparte pubblica.
Quanto detto, com'è ovvio, presuppone che nell'ambito del sub-procedimento
299
di transazione vi sia la possibilità di intavolare una trattativa fra Amministrazione
finanziaria e proponente, volta, tra l'altro, proprio a concordare l'ammontare della
pretesa (attualmente oggetto di contenzioso pendente) che il contribuente si impegna
a soddisfare in moneta concordataria. Pertanto, si ritiene di dissentire da quella tesi572
che esclude del tutto ogni ipotesi di contraddittorio in seno alla procedura di
transazione fiscale, ravvisando in essa solo una successione di atti unilaterali,
dapprima del proponente e poi degli uffici fiscali, i quali, lungi dall'accettare
tecnicamente una proposta negoziale all'esito di un'interlocuzione diretta con la
controparte, sono tenuti soltanto ad esprimere un voto, da valutarsi alla pari con
quello degli altri creditori in virtù del principio maggioritario. Tale opinione esclude,
dunque, che la procedura possa sfociare nella stipula di un atto di transazione
separato rispetto alla procedura di concordato573.
Condivisibile, all'opposto, sembra essere quel diverso orientamento
dottrinale574 e giurisprudenziale575 che ammette l'esistenza di una fase preventiva di
trattative, ovviamente in via informale, fra l'imprenditore e l'ufficio: e ciò sarebbe
valido non soltanto nell'ipotesi di transazione proposta in seno ad un accordo di
ristrutturazione ex art. 182bis, che rappresenta sicuramente la sede privilegiata per
572
Cfr. A. LA MALFA, Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, cit., 710 e 711;
ID., La transazione dei crediti fiscali, cit., 1443, nt. 42: l'A. interpreta il “consolidamento del
debito fiscale” come cristallizzazione dell'importo certificato unilateralmente ed autoritativamente
dall'ufficio, sia pure ai soli fini del voto. Trattando dell'effetto di cessazione della materia del
contendere, poi, l'A. afferma che la definizione “dovrà avvenire sulle cifre per sorte, interessi e
sanzioni stabilita dagli uffici senza che al privato sia consentito interloquire” (cfr. p. 1449).
573
Cfr. S. GOLINO, La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 6708.
574
Cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1083 e 1086, secondo cui tale fase di contraddittorio non
sarebbe dissimile da quella che caratterizza l'istituto dell'accertamento con adesione, L.
TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 593 e ss., nonchè P.
PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 654, secondo cui “La transazione fiscale altro
non è che una forma di determinazione dell'intera debitoria fiscale imputabile all'imprenditore in
crisi che deve avvenire nel contraddittorio fra le parti. Il legislatore ha inteso ricercare
preventivamente un accordo, una composizione amichevole del contrasto che possa insorgere fra
l'Ente impositore ed il soggetto passivo dell'imposta”. Parla di “contraddittorio fra contribuente ed
Amministrazione finanziaria, finalizzato alla “contrattazione” della proposta di transazione
fiscale”, anche D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale, cit., 16.
575
Cfr. Trib. Messina, 29 dicembre 2006, decr., cit., che parla di “accordo negoziale bilaterale”,
laddove per gli altri creditori privilegiati la defalcazione sarebbe decisa unilateralmente dal
debitore. V. anche Trib. Venezia, 27 febbraio 2007, decr., cit., il quale afferma che l'istituto di cui
all'art. 182ter “autorizza le parti a concordare [...] la altrimenti indisponibile riduzione del credito
erariale”.
300
l'instaurazione di un negoziato, bensì anche nell'ambito di una procedura di
concordato, in quanto anche in tale contesto verrebbe comunque ricercata una
mediazione con l'ufficio competente.
L'unica criticità, rilevata da tale corrente dottrinale, sarebbe rappresentata dalla
eccessiva brevità del termine di trenta giorni previsto dal legislatore per addivenire
ad un accordo con l'ufficio576. Senonché, indipendentemente dalla natura perentoria o
ordinatoria di detto termine, questione su cui non vi è ancora unanimità di vedute in
dottrina, si ritiene che tale assunto non sia pienamente condivisibile: il comma 2,
infatti, assegna tale termine esclusivamente per il rilascio della certificazione, la
quale dovrà attestare “l'entità del debito derivante da atti di accertamento ancorché
non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non
ancora consegnati al concessionario”. La disposizione, pertanto, si limita a
prescrivere un'attività meramente ricognitiva dell'ammontare (da indicare per intero,
cioè comprensivo di imposta, sanzioni ed interessi) delle pretese attualmente
esistenti a carico del debitore, così come risultanti dagli atti impositivi già notificati,
ivi compresi, per quanto qui interessa, quelli oggetto di un’impugnazione tuttora
pendente, con la precisazione che, in quest'ultimo caso, la certificazione rilasciata
dall'ufficio dovrà riepilogare la sola porzione di debito d’imposta non ancora iscritta
a ruolo. Gli importi già iscritti, infatti, andranno certificati a cura del concessionario,
sicché nella propria certificazione l'ufficio dovrà aver cura di indicare soltanto la
restante parte del debito d’imposta.
Pertanto, escluso che il termine massimo entro cui condurre le trattative con
l'ufficio possa essere ravvisato nei trenta giorni di cui al comma 2 dell'art. 182ter,
riferendosi quest'ultimo al solo rilascio della certificazione dell'intero carico
tributario esistente e non ancora iscritto a ruolo, occorrerà individuare un diverso
dies ad quem. Ora, considerato che le trattative non sono destinate a sfociare in un
atto ad hoc, posto che l'ufficio, nel caso di esito positivo delle medesime, si limiterà
ad esternare il proprio consenso tramite il voto favorevole espresso in adunanza577, è
576
Cfr. ancora P. PANNELLA, L'incognita transazione fiscale, cit., 654.
577
Nel capitolo II si è visto che l' “atto del direttore dell'Ufficio” di cui parla il comma 3 è da
intendersi come atto meramente interno, non destinato ad essere notificato al debitore. In senso
contrario cfr. L. TOSI, La transazione fiscale, cit., e S. LOCONTE, La transazione fiscale, cit.,
301
evidente che l'esito di tali negoziati è destinato a confluire nel documento su cui tale
voto viene formulato, ossia la proposta del debitore; del resto, come è stato già
ricordato, tale proposta è suscettibile di subire modifiche in corso di procedura
proprio allo scopo di recepire le indicazioni dell'Erario, o comunque di adeguare il
riparto delle risorse complessivamente disponibili alla quantificazione del carico
fiscale contenuta nella certificazione trasmessa dall'ufficio.
Da quanto detto è giocoforza ritenere che le trattative potranno essere condotte
sino al termine massimo previsto per poter apportare modifiche alla proposta di
concordato, ravvisabile nell'inizio delle operazioni di voto di cui al comma 2 dell'art.
175. Del resto nulla vieta che un primo contatto con l'ufficio, in via assolutamente
informale, possa essere ricercato anche prima della presentazione della domanda di
cui all'art. 160, e dell'annessa istanza di transazione fiscale: ciò avrebbe l'effetto di
dilatare l'arco temporale che le parti hanno a disposizione per addivenire ad un
accordo578.
Dubbio, invece, sembrerebbe essere l'oggetto delle negoziazioni. Al riguardo
autorevole dottrina ritiene che l'accordo possa riguardare solo i profili acquisitivi,
con esclusione degli aspetti relativi all'accertamento ed alla determinazione
quantitativa dei tributi579; altri, ancora, ritengono che le eventuali trattative aperte con
l'Amministrazione finanziaria (e con gli Enti previdenziali) dovrebbero avere ad
oggetto non già l'esistenza e l'ammontare del debito d'imposta (o contributivo), bensì
il quid pluris che tali creditori otterrebbero dall'apporto di risorse aggiuntive da parte
di terzi580.
L'ultima soluzione sembra eccessivamente riduttiva: si pensi all'ipotesi di
concordati meramente liquidatori, o comunque non connotati dall'apporto di “nuova
202, secondo i quali invece tale atto è destinato ad essere sottoscritto anche dal contribuente.
578
Cfr. ad es. quanto sostenuto da E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e
negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 766, nt. 77.
579
Cfr. M. T. MOSCATELLI, Moduli consensuali e istituti negoziali nell'attuazione della norma
tributaria, cit., 331. Tale opinione è stata successivamente sostenuta anche da L. DEL
FEDERICO: cfr. ad es. La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, cit.,
224.
580
Cfr. E. STASI, Obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale?, cit., 89, nt. 19.
302
finanza”, per i quali non avrebbe senso limitare il negoziato alle somme che il
creditore pubblico potrebbe ottenere da un soggetto terzo. Pertanto si ritiene
condivisibile la prima interpretazione, con la precisazione che per “profili acquisitivi
del tributo” non si dovrebbe intendere solamente la determinazione della percentuale
dell'imposta sub iudice da corrispondere all'Erario, nonostante tale profilo
rappresenti sicuramente il principale oggetto delle trattative condotte con l'ufficio, e
l’aspetto più delicato delle medesime, alla luce della circostanza che manca del tutto
una predeterminazione in via legislativa di detta percentuale581: oltre che sugli
immancabili aspetti “quantitativi”, infatti, il negoziato verterà sicuramente anche sui
tempi di pagamento e sulle eventuali garanzie offerte dal debitore582.
Ovviamente la trattativa riguarderà non solo il tributo, bensì anche i relativi
interessi moratori e le connesse sanzioni: anzi, non è infrequente che l'ufficio sia più
propenso a “cedere” proprio sugli accessori del tributo, rispetto ai quali sembrerebbe
essere meno profondo il vulnus che la transazione infliggerebbe al preteso principio
fondamentale di indisponibilità dell'obbligazione tributaria.
È evidente che, così intesa, la cessazione della materia del contendere non
sembrerebbe suscettibile di pregiudicare i diritti di difesa di alcuna delle due parti in
gioco. Tramite la procedura di cui all'art. 182ter, infatti, le medesime pervengono ad
una definizione concordata, potremmo dire pseudo-negoziale, del giudizio pendente,
assimilabile, come si vedrà meglio fra un momento, ad una conciliazione giudiziale.
Sicché la cristallizzazione, lungi dal riguardare l'intera pretesa impositiva
originariamente impugnata, si verificherebbe sul diverso, ed eventualmente più
ridotto, ammontare concordato nel corso della procedura transattiva583.
Le considerazioni sopra svolte rendono del tutto evidente come la transazione
si differenzi nettamente rispetto ad altre ipotesi legislativamente previste di
581
Cfr. App. Milano, 14 maggio 2008, decr., in www.ilcaso.it, I, 1240/2008.
582
In tal senso cfr. anche L. TOSI, La transazione fiscale, cit., 1083, secondo cui la trattativa “verterà
non solo sul quantum dell'obbligazione tributaria residua, ma anche sulla tempistica di “rientro”
e sulle garanzie rilasciabili”, nonché L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione
fiscale, cit., 593.
583
In tal senso cfr. anche L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 596, nt.
43.
303
“definizione delle pendenze tributarie” di cui all'art. 46, comma 1 d. lgs. n. 546/1992.
In particolare, è netto il divario rispetto agli istituti premiali, in primis le varie
tipologie di condono che si sono susseguite nel corso degli anni, da ultimo quella
prevista dalla legge n. 289/2002: in tali ipotesi, infatti, la cessazione della materia del
contendere nelle liti in corso conseguiva al pagamento di un importo rigorosamente
predeterminato dal legislatore, alle scadenze e con le garanzie da questo imposte,
senza che vi fosse spazio per intavolare alcuna trattativa di tipo negoziale con
l’Amministrazione finanziaria.
L'istituto di cui all'art. 182ter, all’opposto, quando abbia ad oggetto crediti
fiscali oggetto di un contenzioso ancora pendente sembrerebbe piuttosto assimilabile
ad una conciliazione giudiziale ex art. 48 del d. lgs. n. 546/1992, come affermato
anche da una nutrita corrente dottrinale584. In effetti anche quest’ultimo istituto
presuppone un accordo avente ad oggetto la determinazione del quantum da
corrispondere all'Erario in vista della definizione di una controversia pendente, senza
che il legislatore abbia previsto alcuna percentuale minima di pagamento: la
disciplina dettata dal citato art. 48, infatti, si limita a statuire che il processo verbale
deve indicare “le somme dovute a titolo di imposta, sanzioni ed interessi”, laddove
per “somme dovute” dovrebbero intendersi proprio quelle concordate fra il ricorrente
e l'ufficio585.
Ancora, l'analogia con la conciliazione giudiziale riposerebbe anche sugli
aspetti della controversia suscettibili di essere discussi con la controparte: così come
la transazione può vertere esclusivamente sui profili acquisitivi del tributo sub
iudice, la conciliazione atterrà sempre e soltanto al quantum dell'obbligazione
584
Cfr. però M. GIORGETTI – F. CLEMENTE, Commento all'art. 182ter, in La legge fallimentare
commentata, a cura di M. GIORGETTI – F. CLEMENTE, FrancoAngeli, Milano, 2008, 572,
secondo i quali sembrerebbe che la transazione, dato l'effetto di cessazione della materia del
contendere nelle liti in corso, debba essere assimilata piuttosto ad una conciliazione stragiudiziale:
“con l'introduzione nella legge fallimentare dell'istituto in esame è stata attribuita una valenza
giuridica a quegli accordi con i quali si regolava in via stragiudiziaria la ristrutturazione dei
debiti”.
585
Solo per le sanzioni è prevista una percentuale minima obbligatoria: il comma 6 dell'art. 48, infatti,
dispone che in caso di avvenuta conciliazione della vertenza le sanzioni sono pari al 40% delle
somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione, e comunque
non possono essere inferiori al 40% del minimo edittale previsto per le violazioni più gravi relative
a ciascun tributo.
304
tributaria, non potendo mai riguardare l'an della medesima. Tale interpretazione,
avallata da unanime dottrina, deriverebbe dal comma 3 del citato art. 48, che, nel
dettare le modalità di riscossione dell'importo dovuto, presuppone comunque il
pagamento di una somma, anche se minima, da parte del contribuente; del resto,
qualora l'Amministrazione finanziaria ritenga del tutto infondata la pretesa fiscale
oggetto del giudizio, dovrebbe ricorrere al diverso strumento dell'autotutela e
revocare unilateralmente il provvedimento impositivo, con conseguente estinzione
del processo per cessata materia del contendere ex art. 46586.
Le pretese analogie tra transazione fiscale e conciliazione giudiziale
dovrebbero arrestarsi ai profili appena accennati. Non è questa la sede adatta per
soffermarsi sulle molteplici differenze fra i due istituti, afferenti la diversa
collocazione sistematica, l'oggetto, i presupposti, la procedura e gli effetti, non da
ultimo quello novativo della conciliazione, che si è visto non poter essere esteso
anche alla transazione fiscale: a ciò infatti osterebbero i principi generali che
governano la procedura di concordato preventivo, ed in particolare l'interpretazione
pressoché unanimamente condivisa concernente gli effetti esdebitatori che l'art. 184,
comma 1 riconnette all'omologazione.
In particolare, è proprio l'asserito carattere non novativo dell'omologazione a
rappresentare un potenziale pregiudizio per i diritti di difesa del contribuente: l'art.
24 Cost., che in un primo momento sarebbe sufficientemente salvaguardato dalla
possibilità di una trattativa informale avviata in sede concordataria, che sostituisca
agli importi originariamente pretesi dall’Agenzia (e contestati dal debitore) quelli
concordati fra le parti, verrebbe ad essere leso in un secondo, ed eventuale,
momento, quando cioè l'inadempimento o la scoperta di episodi fraudolenti
comportino la caducazione del concordato e l’automatica riemersione del debito
d’imposta originario, senza nemmeno la possibilità di contestarlo nuovamente.
Si è già visto sopra che una delle possibili soluzioni al problema potrebbe
essere quella di non includere talune controversie nella proposta di transazione, in
modo tale da escluderle anche dal perimetro dell'effetto estintivo di cui al comma 5,
586
Cfr. S. MENCHINI, Commento sub art. 48, cit., 541, nonché F. BATISTONI FERRARA,
Conciliazione giudiziale (diritto tributario), cit., 233.
305
operando una sorta di “selezione a monte” delle liti da estinguere. Oppure, ancora,
sarebbe auspicabile una modifica normativa che subordini tale effetto all'integrale
pagamento delle percentuali concordate, possibilmente accompagnato da una
sospensione medio tempore del giudizio tributario pendente.
Senonché un'altra “scappatoia” potrebbe essere quella di concludere una
conciliazione giudiziale per le stesse controversie oggetto della proposta di
transazione fiscale: in tal caso l'estinzione del giudizio sarà riconducibile non già al
comma 5 dell'art. 182ter, quanto piuttosto all'art. 48 del decreto sul contenzioso
tributario. Pertanto il processo pendente si concluderebbe con la stesura di un
processo verbale di conciliazione, in cui le parti concordano il quantum dovuto, che
andrebbe poi a confluire nella parallela procedura concordataria: nel senso che la
domanda di transazione dovrà menzionare l’esistenza del giudizio in corso e
l’intenzione di conciliarlo, mentre, in caso di intervenuta conciliazione, la
certificazione rilasciata dall'ufficio dovrà tener conto del relativo verbale (in luogo
dell'atto impositivo che era stato impugnato ab origine), con la conseguenza che la
percentuale offerta in pagamento dall'imprenditore concordatario andrà commisurata
all'importo fissato in quel documento. Il vantaggio di questa soluzione sarà che
l'eventuale successiva caducazione del concordato omologato determinerebbe la
reviviscenza dell’integrale debito d'imposta quantificato nel verbale di conciliazione,
che avrà sostituito definitivamente il quantum originariamente preteso
dall'Amministrazione con l’atto impositivo impugnato: tale conclusione deriverebbe
dal carattere novativo dell'istituto di cui all'art. 48.
E' evidente, tuttavia, la complessità di tale meccanismo, che sembrerebbe
richiedere tempi che andrebbero ben oltre i trenta giorni assegnati dall'art. 182ter;
senza contare che tale soluzione non potrà essere azionata nel caso in cui difettino le
condizioni per poter conciliare la controversia, in quanto la conciliazione può
riguardare le sole controversie pendenti in primo grado, e non oltre la prima udienza.
A ben guardare, tuttavia, anche le altre soluzioni astrattamente ipotizzabili non
sembrano essere pienamente soddisfacenti.
La prima (selezione a monte delle controversie da ricomprendere nella
proposta di transazione fiscale, e dunque nel perimetro dell’effetto processuale
estintivo) sembrerebbe muoversi al di fuori della transazione, nel senso che per
306
salvaguardare i diritti di tutela giurisdizionale del soggetto privato imporrebbe allo
stesso di operare al di fuori della procedura di cui all'art. 182ter, ammettendo
implicitamente che tale istituto, e segnatamente il comma 5 di tale disposizione,
potrebbero arrecare un vulnus a quei diritti.
La seconda (estinzione del giudizio solo a seguito del pagamento delle somme
concordate) si ispira a considerazioni de iure condendo, che come tali rimarrebbero
mere suggestioni teoriche, sicuramente degne di apprezzamento ma concretamente
inapplicabili, a meno che le parti non optino per l’inserimento, nel testo della
proposta, di una condizione sospensiva.
Ne deriva, in conclusione, che i dubbi sollevati dalla dottrina maggioritaria in
relazione alla potenziale lesione dei diritti di difesa del privato, discendente
dall’effetto processuali estintivo di cui al comma 5, risulterebbero dotati di
fondamento solo nell’ipotesi, tutto sommato circoscritta, di una successiva
caducazione del concordato.
7. (Segue). Sulla presunta violazione dell'art. 24 Cost. dal lato
dell'Amministrazione finanziaria.
È stato dunque chiarito che non vi è motivo di ravvisare nell'effetto
processuale estintivo alcuna concreta lesione dei diritti di difesa della parte privata,
se non nell'ipotesi di una successiva risoluzione o annullamento del concordato
omologato. Al di fuori di tali episodi “patologici” la transazione fiscale è
indubbiamente vantaggiosa per il contribuente: la possibilità di concordare con
l'ufficio l'entità da pagare, rispetto all’iniziale ammontare della pretesa fatta valere
con l’atto impositivo oggetto di impugnazione, comporta che il medesimo non sia
costretto a subire le determinazioni unilaterali dell'Amministrazione senza avere, sul
punto, alcuna voce in capitolo.
Ancora, si è visto che di potenziale lesione dell'art. 24 Cost. non può parlarsi
nemmeno nei confronti della parte pubblica, comunque avvantaggiata dall’estinzione
del contenzioso pendente.
In ogni caso il creditore pubblico sembra essere sufficientemente garantito
anche dagli ordinari strumenti di tutela previsti dalla disciplina del concordato
307
preventivo per qualsivoglia creditore.
Sotto quest’ultimo profilo giova qui esaminare le due ipotesi “patologiche” che
potrebbero presentarsi nella realtà: si allude al rilascio di una certificazione da cui
risulti un debito d'imposta più alto rispetto a quello quantificato dal debitore, e questi
non si sia adeguato al quantum determinato dall'Amministrazione, nonché al
mancato rilascio della certificazione per inerzia dell'ufficio competente. In entrambi i
casi è stato prospettato in dottrina il pericolo che la cristallizzazione conseguente
all'estinzione del contenzioso pendente possa operare sugli importi unilateralmente
indicati dall'imprenditore nella propria proposta, che potrebbero essere inferiori
rispetto a quelli “reali”.
Ora, quanto alla prima ipotesi occorre richiamare quanto precedentemente
detto a proposito della facoltà di contestare pretese erariali che l'imprenditore ritiene
manifestamente illegittime o eccessivamente gravose: si è rilevato che le medesime
devono comunque essere ricomprese nell'elenco nominativo dei crediti di cui all'art.
161, lettera b) 587, pur non formando oggetto di transazione, considerata l'esigenza di
tener conto della reale esposizione debitoria verso l'Erario. Detta esigenza trova
adeguata tutela nei correttivi che la legge fallimentare predispone per la totalità dei
creditori concorsuali, posto che anche per questi si potrebbe verificare l’eventualità
che la proposta di concordato non rifletta la reale misura delle loro pretese.
Viene in rilievo, in primis, il ruolo “garantista” del commissario giudiziale, cui
l'art. 171 attribuisce il potere di procedere alle “necessarie rettifiche” dell'elenco dei
creditori allegato alla proposta di concordato: sul punto, come si è già avuto modo di
constatare nel precedente capitolo, si ritiene di condividere quell'orientamento
dottrinale secondo cui il potere rettificativo di cui trattasi non sia limitato alla mera
correzione di errori matematici o di calcolo emergenti dall'esame della contabilità
d'impresa, ma concreti un controllo più approfondito ed incisivo, potendo il
commissario includere o escludere taluni crediti dall'elenco di cui all'art. 161,
587
Sulla completezza dell’elenco ai fini dell’ammissibilità della proposta di concordato, nel senso che
esso “si sostanzia in un elenco nominativo completo di tutti i creditori, comprensivo sia dei
chirografari che dei prelatizi (non esclusi i creditori per tributi e contributi previdenziali, ai quali
si proponga una “transazione fiscale” ex art. 182ter, legge fallimentare), che riporti per ciascuno
l’ammontare del credito […]”, cfr. Trib. Roma, 2 agosto 2010, decr., in www.ilcaso.it, I,
2405/2010.
308
ovvero, più semplicemente, modificarne l'entità. Ciò vale anche per i crediti tributari,
in relazione ai quali, tra l'altro, il commissario può contare, oltre che sulle scritture
contabili, anche sulle certificazioni di cui al comma 2 dell'art. 182ter, che i relativi
soggetti predisponenti dovranno aver cura di trasmettergli.
Del resto, anche a voler circoscrivere alla semplice emendabilità di errori
aritmetici le competenze che in questa fase spetterebbero al commissario giudiziale,
in adesione all'opposta interpretazione prospettata da altra corrente dottrinale, non va
sottovalutato lo strumento di cui all'art. 173, che accorda al medesimo organo il
potere di chiedere al Tribunale le revoca dell'ammissione al concordato: anche tale
disposizione, che unanime orientamento giurisprudenziale circoscrive alle ipotesi più
gravi, nelle quali è ravvisabile in capo al proponente un atteggiamento dolosamente
preordinato ad arrecare un pregiudizio agli interessi del ceto creditorio, alterandone
la valutazione di merito588, può essere invocata per tutelare le ragioni dell'Erario, nel
caso in cui il debitore abbia scientemente omesso di indicare nell'elenco allegato alla
proposta la reale entità del carico tributario complessivo, ivi compreso, per quanto
qui interessa, l'effettivo ammontare dei debiti d'imposta sub iudice589.
Altra disposizione degna di nota, sempre sotto il profilo della tutela dei diritti
di difesa dell'Amministrazione finanziaria, è l'art. 172, comma 1. E’ stata già
sottolineata, nel precedente capitolo, l'importanza che riveste la relazione stilata ai
sensi della citata norma: occorre precisare solo che il commissario giudiziale sarà
588
In tal senso cfr. ex multis Cass., 15 giugno 2011, n. 13818, in www.ilcaso.it, I, 5783/2011, secondo
cui “gli atti elencati (dall’art. 173, comma 1, n.d.r.) non sono accomunati, ad esempio,
dall'attitudine a creare un danno al patrimonio, posto che tale attitudine non ha l'esposizione di
passività inesistenti, mentre invece un minimo comune denominatore è dato dalla loro attitudine
ad ingannare i creditori sulla reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione,
sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far
apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. In altri
termini, si tratta di comportamenti volti a pregiudicare la possibilità che i creditori possano
compiere le valutazioni di competenza avendo presente l'effettiva consistenza e la reale situazione
giuridica degli elementi attivi e passivi dei patrimonio dell'impresa”. Cfr. anche Trib. Mantova, 22
giugno 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 5782/2011.
589
Sulla revocabilità dell'ammissione al concordato in caso di circostanze sopravvenute che alterino i
presupposti di fattibilità del piano, quali ad esempio il disvelarsi di ingenti crediti, come quelli
tributari, prima sottostimati o sconosciuti, cfr. Trib. Sulmona, 2 novembre 2010, decr., cit. Contra
Trib. Perugia, 15 luglio 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 6545/2011, secondo cui “tra le ipotesi di
revoca il legislatore, al comma 1 dell'art. 173 L.F., contempla espressamente l’esposizione delle
passività inesistente e non l'omessa indicazione di passività esistenti”.
309
tenuto ad indicare nella propria relazione, fra l'altro, anche eventuali crediti
d'imposta contestati che il debitore abbia omesso di considerare nella proposta o
nell’elenco allegato, al fine di illustrare l'effettiva esposizione debitoria dell'impresa
e offrire ai creditori una base realistica su cui fondare le loro valutazioni di
convenienza all'atto della votazione.
Ancora, non va trascurato il ruolo di garanzia che l'autorità giudiziaria riveste
in seno alla procedura di concordato, nella duplice figura del giudice delegato e del
Tribunale.
Quanto al primo, soccorre la previsione di cui all'art. 176, comma 1, che
dispone, come si è visto, la provvisoria ammissione con decreto di crediti contestati,
con la precisazione che, quanto ai crediti tributari, tale potere andrà conciliato con la
riserva di giurisdizione a favore delle Commissioni tributarie di cui all'art. 2 del d.
lgs. n. 546/1992: pertanto, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai
consolidato, il giudice delegato dovrà limitarsi a verificare l'esistenza del titolo
(dichiarazione, accertamento, ruolo) da cui scaturisce il credito tributario di cui si
chiede l'ammissione al passivo, senza poter sindacare il merito della pretesa590.
Quanto al Tribunale, occorrerà tener conto delle previsioni concernenti lo
strumento dell'opposizione all'omologazione, che può essere proposta da
qualsivoglia creditore, ivi compreso indubbiamente anche l'Erario. In particolare, il
riferimento è agli artt. 176, comma 2, e 180, comma 4: la prima disposizione prevede
che i creditori possono opporsi per l'avvenuta esclusione di uno o più crediti dalla
votazione in adunanza, qualora la loro partecipazione al voto sarebbe stata
determinante per il raggiungimento delle maggioranze, sicché anche l'Erario potrà
avvalersi di tale rimedio per denunciare la mancata ammissione al voto di pretese
certificate, magari derivante dalla non inclusione delle stesse nell'elenco di cui all'art.
161, purché fornisca la “prova di resistenza” richiesta dal legislatore. L'art. 180,
comma 4, poi, consentirebbe all'Amministrazione dissenziente di contestare il merito
della proposta, quando ad esempio reputi che le risorse reperite siano insufficienti a
soddisfare adeguatamente il complessivo debito d'imposta risultante dalla
certificazione.
590
Cfr. L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione fiscale, cit., 3657.
310
Inoltre, anche nel caso in cui non siano state proposte opposizioni, ed a
prescindere dall’annosa disputa relativa al potere del Tribunale di valutare la
fattibilità del piano concordatario in sede di omologazione, si ritiene che l’autorità
giudiziaria, all'esito del giudizio diretto a valutare “la regolarità della procedura e
l'esito della votazione” ai sensi dell'art. 180, comma 3, potrebbe rifiutare
l'omologazione per mancato adeguamento della proposta agli importi certificati,
nell'ipotesi in cui il credito erariale ammesso al voto risulti essere inferiore rispetto a
quello effettivamente certificato591.
Da ultimo, qualora il concordato sia stato comunque omologato, la non
coincidenza fra il passivo d'imposta quantificato dal proponente e quello certificato
dall'Amministrazione finanziaria potrà essere fatta valere a mezzo del reclamo
proposto avverso il decreto di omologazione, ai sensi di quanto disposto dall'art. 183.
Trattasi, dunque, di un articolato e nutrito strumentario che dovrebbero
garantire adeguata tutela alle ragioni creditorie dell'Erario, impedendo il
consolidamento di importi determinati unilateralmente dal proponente e non
conformi alla realtà.
Quanto invece alla seconda ipotesi patologica che potrebbe profilarsi in
concreto, ossia il mancato rilascio della certificazione da parte dell'ufficio, va dato
atto dell'esistenza, in dottrina, di una molteplicità di letture contrastanti. Mentre
secondo alcuni dall'inerzia dell'ufficio deriverebbe l'impossibilità di partecipare
all'adunanza ed esprimere il proprio voto sulla proposta592, secondo altri, invece, tale
inerzia andrebbe configurata in termini di silenzio – rifiuto, dunque rigetto della
proposta di transazione593; all’opposto, altra dottrina ha sostenuto che essa avrebbe
valore di silenzio – assenso, non tanto sulla proposta di transazione tout court ma,
più limitatamente, sull’ammontare del carico tributario indicato dal proponente,
591
Sui poteri spettanti al Tribunale in caso di assenza di opposizioni cfr. ex multis App. Roma, 18
settembre 2010, decr., in Dir. fall., 2011, II, 18, e Trib. Novara, 6 giugno 2011, decr., in
www.ilcaso.it, I, 5566/2011. Quanto all'esclusione di un credito dalla votazione cfr. Trib. Brescia,
31 marzo 2010, decr., e Trib. Cremona, 21 maggio 2009, decr., entrambe in banca dati Il Foro
italiano online.
592
Cfr. L. DEL FEDERICO, Commento sub art. 182ter, cit., 2575.
593
Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, cit., 3188 e ss.
311
fermo restando che comunque l'Amministrazione resta assolutamente libera di non
addivenire ad un accordo transattivo594. In una prospettiva simile, altri hanno ritenuto
che l'omissione della certificazione comporterà il consolidamento del debito
unilateralmente indicato dal contribuente nella propria proposta595.
Si ritiene condivisibile quest’ultima soluzione interpretativa, per le ragioni
ampiamente illustrate in precedenza. È intuitivo che in tale evenienza il pregiudizio
alle ragioni creditorie non deriva tanto da un difetto connaturato alla stessa procedura
di transazione, quanto piuttosto dall'atteggiamento inerte del Fisco: ne deriva che la
cristallizzazione degli importi unilateralmente indicati dal proponente suonerebbe
come una sorta di implicita sanzione per la colposa inerzia del creditore pubblico, i
cui adempimenti sono prescritti come obbligatori e non meramente facoltativi.
Né si potrebbe far leva sulla tesi, da taluno proposta, che àncora la cessazione
delle liti in corso all'assenso dell'Amministrazione espresso in adunanza: al di là dei
rilievi che sono stati mossi in precedenza contro tale lettura interpretativa, preme qui
rilevare che l'ipotesi in cui l'ufficio non abbia provveduto alle liquidazioni e
certificazioni previste dal comma 2, e poi, tramite voto contrario, abbia potuto
evitare il perfezionamento della transazione ed il connesso effetto processuale
estintivo, nonostante l'esito positivo della procedura concordataria, offrirebbe
all'Erario una comoda scappatoia, incentivandone l'atteggiamento inerte.
Pertanto, la cristallizzazione del quantum indicato dal proponente non
dovrebbe essere intesa in termini di pregiudizio per le ragioni creditorie del Fisco,
bensì piuttosto andrebbe letta come stimolo per il tempestivo adempimento delle
incombenze che il legislatore pone a carico del creditore pubblico.
594
Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 611, secondo il quale tale
tesi si armonizzerebbe con le recenti novità della legge generale sul procedimento amministrativo,
ed in particolare con il novellato art. 20, comma 1 l. n. 241/1990 il quale dispone che “Fatta salva
l'applicazione dell'art. 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti
amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di
accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima
amministrazione non comunica all'interessato [...] il provvedimento di diniego” (del resto,
l'applicabilità della legge n. 241 anche al procedimento tributario è stata propugnata da autorevole
dottrina: cfr. F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Utet, Torino, 2006,
216). Inoltre, continua ancora l'A., se la certificazione fosse stata ritenuta indispensabile, sarebbe
stato molto più logico imporre la presentazione, da parte del contribuente, di un'istanza di
certificazione, e soltanto dopo, sulla base di quest'ultima, predisporre la proposta di transazione.
595
Cfr. A. LA MALFA - F. MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, cit., 2010.
312
Per concludere sul punto, dunque, nemmeno dal lato dell'Amministrazione
finanziaria sembra ravvisabile una violazione dei diritti di difesa costituzionalmente
garantiti dall'art. 24 Cost.
8. L’impugnabilità delle certificazioni e degli “avvisi di irregolarità”.
Vi è, tuttavia, un ulteriore situazione patologica che potrebbe astrattamente
verificarsi, che va tenuta distinta dall'ipotesi di omesso adeguamento della proposta
di transazione (o meglio, dell'elenco nominativo dei creditori da allagare al piano
concordatario) al contenuto della certificazione rilasciata dall'ufficio: si allude al
caso in cui il contribuente non condivida la quantificazione operata
dall'Amministrazione finanziaria, ritenendo che il debito d'imposta certificato o
liquidato sia eccessivo o infondato.
In tal caso è lecito chiedersi se il contribuente abbia la possibilità di contestare,
in qualche modo, il contenuto di quelle liquidazioni o certificazioni, e se, ammesso
che tali atti siano impugnabili, il comma 5 non rappresenti un qualche ostacolo
all'impugnazione.
Recentemente è stato argomentato che il debitore sarebbe comunque
legittimato a proporre ricorso al giudice tributario, qualora non condivida le
determinazioni dell’Amministrazione596: in tal caso il credito tributario sarà trattato,
nell’ambito della procedura concorsuale, alla stregua delle regole generali fissate per
simili evenienze.
Qualcuno, viceversa, ha escluso l'impugnabilità delle certificazioni di cui al
comma 2 relativamente agli atti impositivi in esse riepilogati, già notificati in
precedenza, dal momento che contro i medesimi il contribuente avrebbe dovuto far
valere le proprie ragioni illo tempore, nell'ordinario termine di decadenza di 60
giorni dalla notificazione; il ricorso, invece, sarebbe ammissibile avverso gli avvisi
di irregolarità e la certificazione dell'Agenzia relativa ai ruoli non ancora
596
Cfr. G. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1124: “Il contribuente – che
resta tale, con le garanzie e gli strumenti di difesa apprestati dall’ordinamento, ancorché versi in
una condizione conclamata d’insolvenza e abbia avviato la procedura concordataria – non è
destinato a subire impunemente del determinazioni dell’agenzia, sollecitata dalla proposta
transattiva, ma può agire secondo le regole stabilite dall’ordinamento”.
313
consegnati597.
Ancora, vi è chi nega anche l'impugnabilità degli “avvisi di irregolarità”, vuoi
per mere ragioni pratiche, derivanti dal concreto atteggiarsi della procedura
transattiva, connotata da ritmi a dir poco serrati598, vuoi, soprattutto, per ragioni
schiettamente giuridiche, ravvisabili nella carenza di un interesse ad agire concreto
ed attuale599: l'impugnazione dell'avviso, infatti, finirebbe per configurare una vera e
propria rinuncia alla proposta di transazione, posto che i tempi necessari per ottenere
una pronuncia da parte del giudice tributario impedirebbero di procedere ad una
determinazione definitiva del carico fiscale prima dell'omologazione del concordato.
L'esclusione di un interesse ad agire è stata ravvisata soprattutto nel carattere
meramente endo-procedimentale dei medesimi atti, nel senso che gli stessi sarebbero
validi ai soli fini dell'accordo transattivo: sicché il mancato perfezionamento della
transazione, ad avviso di questa dottrina, comporterebbe anche il venir meno degli
esiti dei controlli contenuti negli avvisi600.
Quanto ai rilievi in punto di non impugnabilità della certificazione, essi
sembrano essere assolutamente condivisibili: detta certificazione, infatti, non
configura di per sé un atto autonomamente impugnabile, bensì rappresenta soltanto il
riepilogo degli atti impositivi già notificati alla parte, che avrebbero dovuto essere
impugnati a tempo debito. Potrà verificarsi l'ipotesi in cui per uno o più di tali atti
siano ancora pendenti i termini di impugnazione: in tale evenienza il debitore avrà la
possibilità di ricomprendere anche tali pretese nella propria domanda di transazione,
o, all'opposto, impugnarle dinanzi alla Commissione tributaria competente, qualora
597
Cfr. S. PACCHI - L. D'ORAZIO – A. COPPOLA, Il concordato preventivo, cit., 1809.
598
Cfr. S. CAPOLUPO, La transazione fiscale: la procedura, cit., secondo cui i rigidi vincoli
temporali posti dalla norma precluderebbero al contribuente la possibilità di fornire
all'Amministrazione i necessari chiarimenti.
599
Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 608.
600
Cfr. L. TROMBELLA, Riflessioni critiche sulla transazione fiscale, cit., 608 e 609, secondo cui
“non si può di certo pensare che, ad accordo non raggiunto, il carico fiscale in capo al
contribuente resti quello determinato dalla proposta del contribuente oppure dai certificati e/o
dagli avvisi di irregolarità, non fosse altro per il fatto che la certificazione del carico tributario e
gli avvisi di irregolarità non sono previsti in via generale per il concordato preventivo, ma restano
istituti tipici, relegati all'ipotesi in cui, ad esso, si accompagni la proposta di un accordo
transattivo con gli uffici finanziari.”
314
intenda contestarne la fondatezza. In questa seconda evenienza la regola di cui al
comma 5 non avrebbe valore ostativo all’instaurazione del giudizio, posto che, come
si è visto in precedenza, l'esigenza di salvaguardare l'art. 24 Cost. dal lato del
debitore concordatario imporrebbe un'interpretazione che escluda l'assolutezza ed
omnicomprensività dell'effetto estintivo ivi contemplato.
Più complesso è il discorso da farsi con riferimento agli “avvisi di irregolarità”.
Occorre tenere a mente, infatti, quel recente orientamento giurisprudenziale che,
preso atto dell'evoluzione dei diritti del contribuente e dell'emersione di nuovi
modelli di attuazione del tributo, propende per un'estensione dei confini della
giurisdizione tributaria, propugnando il superamento dei suoi limiti “interni” o
“verticali”, in deroga al tradizionale principio di tipicità degli atti impugnabili: l'area
di impugnabilità è stata progressivamente estesa anche ad atti “atipici”, intendendo
come tali quelli non ricompresi nell'elencazione di cui all'art. 19 del d. lgs. n.
546/1992, quali gli atti di natura discrezionale, espressione del potere di autotutela
tributaria601, gli atti di natura paritetica602, nonché ancora quelli di natura preparatoria,
fra i quali rientrano essenzialmente gli avvisi “bonari” di pagamento che precedono
l'iscrizione a ruolo603.
Quanto alle comunicazioni di irregolarità di cui agli artt. 36bis del d.P.R. n.
600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972, fatta salva un'isolata pronuncia di merito604,
la giurisprudenza di legittimità tende ad escluderne l'impugnabilità, posto che esse
601
Cfr. Cass., SS.UU., 10 agosto 2005, n. 16776, in Rass. trib., 2005, 1732, e Cass., SS.UU., 27
marzo 2007, n. 7388, in Giur. trib., 2007, 479 e ss.: entrambe le pronunce hanno riconosciuto
l'impugnabilità dei provvedimenti di diniego di autotutela, devolvendo la relativa giurisdizione alle
Commissioni tributare.
602
Cfr. Cass., SS.UU., 2007, n. 17526, in Corr. trib., n. 45/2007, 3865: la pronuncia aveva ad oggetto
la fattura emessa per il pagamento della tariffa di igiene ambientale.
603
Trattasi di atti con cui si richiede il pagamento di somme già iscritte a ruolo, ma per le quali non si
è ancora provveduto alla notifica della cartella di pagamento, ed il cui referente normativo è
rappresentato dall'art. 32, comma 2, lett. b) del d. lgs. n. 46/1999. Sull'impugnabilità di tali atti cfr.
Cass., SS.UU., 24 luglio 2007, n. 16293, e Cass., SS.UU., 26 luglio 2007, n. 16428, entrambe in
Corr. trib., n. 45/2007, 3687. Contra cfr. Cass., 28 gennaio 2005, n. 1791, in Rass. trib., 2005,
937.
604
Cfr. Comm Trib. Reg. Lazio, 4 maggio 2006, n. 123, in Riv. giur. trib., 2007, 351: tale pronuncia
ha ritenuto che le comunicazioni di irregolarità, pur non essendo incluse nell'elenco di cui all'art.
19, costituiscono comunque atti autonomamente impugnabili, avendo natura sostanzialmente
impositiva.
315
“costituiscono anche un invito a fornire eventuali dati o elementi non considerati o
valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, quindi manifestano una volontà
impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di
autotutela (o attraverso l'intervento del Giudice)”605.
Nello stesso senso si è espressa anche la dottrina maggioritaria606. In
particolare, è stato detto che le comunicazioni di irregolarità si situerebbero in una
fase preliminare, in cui la pretesa impositiva ancora non si è manifestata in un atto a
rilevanza esterna, sicché la loro funzione dovrebbe essere soltanto quella di stimolare
l'adempimento spontaneo del contribuente, in modo da evitare l'iscrizione a ruolo
delle somme dovute: in altri termini tali comunicazioni si limiterebbero ad anticipare
i contenuti, ma non anche gli effetti, degli atti impugnabili, che in tal caso sarebbero
i successivi atti esattivi, con il risultato di rallentare e non certo anticipare l'accesso
alla giurisdizione. Ne deriverebbe l'inammissibilità dell'impugnazione proposta
avverso i medesimi avvisi, posto che da un lato la pretesa impositiva non si è ancora
manifestata, mentre dall'altro l'immediata impugnazione sarebbe in contrasto con
l'intima ratio deflazionistica che li sorregge607; ad essere impugnabile sarebbe
soltanto la cartella di pagamento in cui è stato successivamente trasfuso il contenuto
degli stessi.
Se la validità generale di tali considerazioni non può essere contestata, preme
però sottolineare che le medesime, “calate” nello speciale contesto della transazione
fiscale, creerebbero alcune criticità.
L'art. 182ter, infatti, costituisce una deroga all'ordinario iter procedimentale
605
Cfr. le sentenze n. 16428 e 16293 del 2007, cit.: in entrambe le pronunce, dunque, la S.C.
disconosce che tali comunicazioni contengano una pretesa impositiva compiuta ed incondizionata,
nonostante la sollecitazione a pagare spontaneamente le somme richieste. Questo giustificherebbe
la non impugnabilità di tali atti. Va detto, per la verità, che tali affermazioni rappresentano un
obiter dictum, posto che ambedue le pronunce affrontano il problema dell'impugnabilità degli
avvisi bonari di pagamento.
606
Cfr. G. TABET, Una giurisdizione speciale alla ricerca della propria identità, cit., 35 e ss; G.
INGRAO, Prime riflessioni sull'impugnazione facoltativa nel processo tributario (a proposito
dell'impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di
beni mobili e fatture), in Riv. dir. trib., 2007, I, 1089. Contra L. FERLAZZO NATOLI – G.
INGRAO, Autonomamente impugnabili le comunicazioni di irregolarità sulle dichiarazioni, in
Riv. giur. trib., 2007, 351.
607
Cfr. ancora G. TABET, Una giurisdizione speciale alla ricerca della propria identità, cit., 40 e
41.
316
dell’attività liquidatoria, secondo il quale la comunicazione di irregolarità è seguita,
nel caso di mancato pagamento nei trenta giorni dalla notifica, dall'iscrizione a ruolo
delle somme risultati dal controllo automatizzato: nell'ambito del procedimento di
transazione fiscale, infatti, l'esito delle liquidazioni, dopo essere stato notificato al
contribuente, andrà comunicato al commissario giudiziale, ai fini dell'inserimento del
relativo debito di imposta nell'elenco di cui all'art. 161. Il maggior debito d’imposta
liquidato, dunque, è destinato a partecipare al concorso anche senza essere trasfuso
in un ruolo: del resto, proprio con riferimento a tale evenienza non è mancato chi, in
dottrina, ha ravvisato nell'art. 182ter una deroga al principio generale di cui all'art. 90
del d.P.R. n. 602/1973, che impone la previa iscrizione a ruolo ai fini della
partecipazione del credito tributario alla procedura di concordato preventivo.
Da quanto detto, tuttavia, deriva che al contribuente che intenda contestare
l'esito di quelle liquidazioni sarebbe preclusa in radice la possibilità di attivarsi in
giudizio, in assenza di un atto “tipico” impugnabile.
Sotto questo limitato profilo, dunque, riemergerebbe la compressione dei diritti
di difesa della parte privata, lamentata in dottrina. Un possibile correttivo per le
denunciate “storture” potrebbe essere quello di superare il sistema chiuso di cui
all'art. 19, sull'onda del citato indirizzo giurisprudenziale che tende ad attenuare il
principio di tipicità degli atti impugnabili: in altri termini si potrebbe riconoscere al
debitore la facoltà di impugnare anche gli avvisi di irregolarità contenenti l'esito dei
controlli automatizzati di cui al comma 2, provvedendo medio tempore
all'accantonamento delle somme in essi quantificate secondo le modalità di cui
all'art. 180, comma 6, in attesa della pronuncia definitiva della Commissione
tributaria adita.
Ancora una volta, tuttavia, si tratta di una soluzione “azzardata”, che lascia
trapelare un senso di insoddisfazione per l'infelice formulazione della norma di cui
all’art. 182ter, la quale non sembra aver tenuto in adeguata considerazione le
complesse problematiche che l'intreccio fra normativa tributaria e disciplina
concorsuale pone.
317
9. Effetto processuale estintivo e natura giuridica della transazione
fiscale.
Riassumendo, si è cercato di proporre un'interpretazione dell'effetto estintivo di
cui al comma 5 che salvaguardi, o meglio tenti di salvaguardare, i diritti di difesa
delle parti protagoniste del sub-procedimento di cui all’art. 182ter.
Si è detto che se il soggetto pubblico, cioè l'Amministrazione finanziaria, non
risulta essere concretamente pregiudicato dall'estinzione del contenzioso pendente,
dal lato del soggetto privato l'art. 24 Cost potrebbe essere “salvato” riconoscendo al
contribuente la facoltà di selezionare le controversie da estinguere, laddove le altre
saranno destinate a proseguire secondo le regole ordinarie. Per le liti interessate dalla
proposta di transazione è stata anche riconosciuta la possibilità di un intavolare un
negoziato informale fra le parti, destinato a sfociare in un accordo sul quantum da
corrispondere ovvero sui tempi e sulle modalità di pagamento.
La lettura sin qui proposta renderebbe anche giustizia dal linguaggio impiegato
dal legislatore: il nomen iuris “transazione” sembrerebbe alludere proprio al
compromesso raggiunto fra le parti all'esito di una trattativa condotta in via del tutto
informale nell'ambito della procedura di concordato, avente ad oggetto la
rimodulazione del debito d'imposta originariamente preteso dall’Amministrazione.
Giova sottolineare, tuttavia, che quanto qui rilevato non vale ad attribuire
all'istituto di cui all'art. 182ter carattere negoziale, né, a fortiori, autenticamente
transattivo.
Si è già avuto modo di rilevare che la transazione fiscale altro non è che un
procedimento di carattere amministrativo e concorsuale al tempo stesso, data la
natura ibrida della fattispecie, a metà fra diritto tributario e normativa fallimentare.
Tale iter procedurale si è visto essere connotato dal contraddittorio fra le parti, posto
che il contribuente, ad esclusiva iniziativa del quale, del resto, la procedura prende
avvio, non è relegato al ruolo di mero spettatore “passivo”, potendo all'opposto
interloquire con l'Amministrazione per la determinazione dell'importo da
corrispondere in moneta concordataria, sino a modificare la proposta iniziale per
recepire le indicazioni dell'ufficio e garantirsene il voto favorevole.
Ancora, se talvolta si è parlato di “accordo” fra contribuente e Fisco,
l'espressione è stata impiegata in modo atecnico, sicuramente non con l'intento di
318
alludere ad un vero e proprio contratto di diritto privato, di cui difetterebbero in
primo luogo gli elementi strutturali: se il contratto si perfeziona, nella normalità dei
casi, tramite l'incontro fra proposta ed accettazione, nell'ipotesi di cui all'art. 182ter,
di contro, vi è solo una proposta unilaterale del debitore, eventualmente modificabile
sino al termine ultimo di cui all'art. 175, comma 2, mentre dall'altro lato si colloca il
voto, che qui si ipotizza essere favorevole, dell'Amministrazione finanziaria,
soggetto alla regola maggioritaria e al principio della par condicio creditorum, oltre
che alle restanti norme che disciplinano la procedura di concordato preventivo, non
da ultimo il comma 4 dell'art. 180.
La natura negoziale della transazione fiscale andrebbe esclusa anche sotto un
diverso punto di vista: se il contratto di diritto privato è basato sull'autonomia
negoziale delle parti contraenti, libere di disporre dei propri interessi individuali, in
capo all'Amministrazione difetterebbe la disponibilità dei diritti di cui la medesima è
titolare, dovendo pur sempre orientare il proprio operato in direzione del
perseguimento di fini legislativamente precostituiti. In altri termini il soggetto
pubblico non gode di libertà, da intendersi come libera scelta delle finalità e degli
interessi da perseguire, quanto piuttosto di discrezionalità, intesa come
funzionalizzazione dell'agire al raggiungimento di fini ed interessi pubblici
predeterminati dalla legge.
Pertanto la “trattativa” con l'ufficio non è destinata a sfociare in un atto ad hoc,
avente natura negoziale, dovendo pur sempre incardinarsi nell'alveo della procedura
concordataria, dove trova il suo “sbocco” naturale nella votazione e nella successiva
omologazione della proposta di concordato. Ne deriva che l'effetto processuale
estintivo non deriverà da un accordo autonomo siglato dalle parti, bensì piuttosto
dall'esito positivo di quella procedura.
321
CAPITOLO V.
IL PROBLEMA DELLA CRISTALLIZZAZIONE DEL DEBITO DI
IMPOSTA NEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI E
NELLA “TRANSAZIONE PREVIDENZIALE”
1. La Transazione fiscale in sede di trattative precedenti la stipula di un
accordo di ristrutturazione dei debiti.
1.1. Accordi di ristrutturazione, consolidamento e cessazione della
materia del contendere.
Occorre ora esaminare nel dettaglio la problematica relativa agli effetti della
transazione fiscale conclusa nell'ambito delle trattative che precedono la stipula di un
accordo di ristrutturazione dei debiti.
Si tratterà di stabilire, cioè, se la cristallizzazione del complessivo carico
tributario, sotto il duplice profilo del consolidamento del debito fiscale, comunque si
voglia intendere tale locuzione, e dell'estinzione delle controversie pendenti per
cessazione della materia del contendere consegua anche alla transazione siglata in
sede di accordi ex art. 182bis. Come si è brevemente accennato in precedenza,
infatti, il problema scaturisce dalla formulazione letterale del comma 6, il quale
opera un riferimento non generalizzato, bensì alquanto circoscritto ai precedenti
commi dell'art. 182ter (che, come visto, disciplinano la fattispecie della transazione
proposta in sede di concordato preventivo), senza richiamare esplicitamente alcuno
dei due menzionati effetti “tipici”.
Se si muovesse dall’analisi del rapporto intercorrente tra la transazione
“concordataria” e quella conclusa in sede di accordi ex art. 182bis, non potrebbe
essere sottaciuta la profonda differenza intercorrente fra le due fattispecie, potendosi
quasi ravvisare un’ideale linea di demarcazione fra le due “parti” (commi da 1 a 5 da
un lato, e commi 6 e 7 dall'altro) in cui può essere scomposto l'art. 182ter.
Tale conclusione trova l'avallo della migliore dottrina, la quale non ha mancato
di rilevare che l'unitarietà dell'istituto è “spezzata” dal diverso atteggiarsi dello stesso
322
nell'ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti608,
come riflesso dell'assunto più generale, oggi pressoché unanimamente accolto vuoi
in dottrina vuoi in giurisprudenza, dell'autonomia della fattispecie degli accordi di
ristrutturazione rispetto alla procedura disciplinata dagli artt. 160 e ss: sono state
infatti definitivamente accantonate quelle tesi, inizialmente sostenute da una parte
dei commentatori che si sono occupati dell'istituto di cui all’art. 182bis, che
ricostruivano l'accordo di ristrutturazione dei debiti in termini di “costola” del più
ampio concordato preventivo, nel senso di ravvisarvi soltanto una peculiare modalità
attuativa dello stesso609, oppure una forma di “concordato semplificato”610 o
“concordato stragiudiziale omologato”611.
Sicché, la tesi autonomista oramai imperante ha indotto la migliore dottrina a
valorizzare il carattere contrattuale, o comunque in senso lato negoziale, degli
accordi di ristrutturazione: l'ampia autonomia negoziale che li contraddistingue
porrebbe in secondo piano i pur immancabili elementi pubblicistici della
fattispecie612, anche se non mancano letture contrastanti, che ne rimarcano il
prevalente carattere procedimentale, o “giudiziale”.
608
Cfr. ex multis A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 2011, 1427, in cui viene
sottolineata la “doppia anima” dell'istituto; negli stessi termini A. LA MALFA – L. MARENGO,
Transazione fiscale e previdenziale, cit., passim; A. CONTRINO, Procedure concordatarie
(vecchie e nuove), riduzioni di debiti e sopravvenienze attive, in Rass. trib., 2011, 49 e ss.; V.
FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel concordato
preventivo, cit., 610 e ss.
609
In tal senso cfr. G. VERNA, Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182bis legge fallimentare, cit.,
865 e ss., M. FERRO, Art. 182bis, la nuova ristrutturazione dei debiti, cit., 56, e ID., Art. 182bis,
in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, cit., 1420, in cui l'accordo viene definito
come “sottotipo del concordato preventivo”. In giurisprudenza cfr. Trib. Milano, 15 dicembre
2005, decr., in Dir. fall., 2006, II, 674, nonché Trib. Milano, 21 dicembre 2005, decr., in Fall.,
2006, 670.
610
L'espressione è stata impiegata per la prima volta da L. PANZANI, Il D.L. 35/3005, la legge 14
maggio 2005, n. 80 e la riforma della legge fallim., cit., 10; in senso conforme cfr. P.
VALENSISE, Art. 182bis, cit., 2253.
611
Cfr. E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182bis legg. fallim.),
e gli effetti per coobbligati e fideiussori del debitore, in Dir. fall., 2005, I, 849; in senso conforme
cfr. A. PEZZANO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis legge fallimentare: una
occasione da non perdere, in Dir. fall., 2006, II, 678.
612
In giurisprudenza cfr. ad esempio Trib. Roma, 5 novembre 2009, decr., cit. Contra G. GAFFURI,
Aspetti problematici della transazione fiscale, cit., 1126, secondo cui “l’aspetto negoziale è
comunque cedevole rispetto agli obblighi procedimentali”.
323
Una plausibile conferma della natura negoziale della transazione conclusa
nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti può essere ricavata dalla
possibilità, pacificamente ammessa in dottrina613, che in quella sede siano intavolate
autentiche trattative tra l'imprenditore in crisi e l'Amministrazione finanziaria. Si è
sostenuto infatti che l'ufficio periferico, e prima ancora la Direzione Regionale
dell'Agenzia delle Entrate (cui l'art.182ter attribuisce un ruolo determinante, che la
medesima dottrina ha definito di play maker, posto che il relativo assenso
fungerebbe da condizione di perfezionamento ed efficacia dell'accordo sui crediti
fiscali), non sarebbero costretti ad accettare o rifiutare in blocco la proposta del
debitore, potendo benissimo suggerirne integrazioni e modifiche614. Ne deriva la
possibilità, per l'imprenditore, di presentare una seconda bozza di accordo
transattivo, conforme alle indicazioni ed ai suggerimenti espressi dall'ente pubblico.
Tali considerazioni indurrebbero a ritenere che la transazione siglata in sede di
accordi, se da un lato presenta i tratti tipici del procedimento amministrativo, che
sono stati già ravvisati a proposito della transazione concordataria (in particolare,
sarebbero presenti le medesime fasi di impulso, istruttoria e decisoria), sul distinto
versante concorsuale non verrebbe ad atteggiarsi come autentica “procedura”,
appunto perché nella fattispecie di cui all’art. 182bis gli elementi di giurisdizionalità
risulterebbero essere recessivi.
Quanto detto consente di comprendere al meglio quella che è sicuramente la
distinzione più rilevante fra le due tipologie di transazione fiscale: ossia la
condizione da soddisfare per la falcidiabilità dei debiti erariali. Se in sede di
concordato preventivo sarà all’uopo sufficiente l’approvazione della proposta ad
opera della maggioranza dei creditori ammessi al voto, seguita dall’omologazione
del Tribunale, in sede di accordi di ristrutturazione il trattamento remissorio e/o
dilatorio delle obbligazioni tributarie sarà ammissibile solo con l'assenso espresso
613
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel
concordato preventivo, cit., 617 e 618.
614
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel
concordato preventivo, cit., 618: “La chiara funzione di risanamento della transazione fiscale
induce a ritenere che la DRE possa indicare al singolo ufficio modifiche e integrazioni alla
proposta di accordoe chiarimenti che, se inserite e illustrate, meglio permettano di appurare, ad
es., la fattibilità del piano di risanamento oppure garantire l'effettività di un pagamento”.
324
dell’ufficio, non trovando applicazione il principio maggioritario e la connessa
regola della vincolatività del decreto di omologa di cui all’184615. Sicché, se la
funzione precipua della transazione concordataria è stata ravvisata nella
cristallizzazione del debito d’imposta, nella duplice prospettiva del consolidamento
delle pretese erariali e della cessazione della materia del contendere nelle liti in
corso, lo scopo primario di una transazione proposta nell'ambito delle trattative
finalizzate alla stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti, invece,
sembrerebbe risiederebbe proprio nella stessa falcidiabilità dei debiti tributari.
E’ legittimo domandarsi, pertanto, se oltre a questo risultato l'accordo
transattivo ex comma 6 sia suscettibile di produrre anche gli effetti che si è visto
essere “tipici” della transazione concordataria.
La questione troverebbe alimento anche dall'orientamento interpretativo che
risulta essere oggi assolutamente prevalente, il quale esclude cha alla fattispecie de
qua siano applicabili in via analogica le norme che disciplinano la procedura di
transazione fiscale nell'ambito del concordato preventivo, alla luce della disciplina
appositamente dettata dai comma 6 e 7, che comunque ricalca essenzialmente quella
di cui ai precedenti commi616.
Senonché, la problematica dell’estensione alla transazione conclusa in sede di
accordi di ristrutturazione degli effetti “tipici” della transazione concordataria
potrebbe avere soluzioni diverse, a seconda che si opti per un’interpretazione
615
Il punto è pacifico in dottrina: cfr. ex multis G. B. NARDECCHIA, Gli accordi di ristrutturazione
dei debiti ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fall., 2008, 709, il quale
sottolinea la necessità, nel caso in cui venga proposto un accordo di ristrutturazione, di un assenso
esplicito alla transazione da parte dei soggetti legittimati ad esprimere la volontà dell'Erario,
laddove nel concordato preventivo la transazione fiscale non costituisce un accordo autonomo e
separato, ma si inserisce a pieno titolo nel piano, con la conseguenza che “il creditore fiscale è
vincolato, al pari di tutti gli altri creditori, al principio maggioritario che regola la fase di
approvazione del concordato”. In termini analoghi si è espresso anche E. STASI, La transazione
fiscale, cit., 109. Da ultimo cfr. G. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit.,
1126, che parla di “alternativa di fondo” che “intercorre tra, da un canto, il tentativo di convenire
con le agenzie fiscali l’abbattimento, quantitativo o qualitativo, del credito vantato o vantabile da
esse e, d’alto canto, il pagamento integrale dei debiti nei loro confronti”.
616
Sull'applicazione estensiva della disciplina procedurale dettata per la transazione concordataria,
prima delle modifiche apportate dal decreto n. 78/2010, cfr. A. LA MALFA, La transazione dei
crediti fiscali, cit., 1454. Contra G. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, cit.,
1126, che parla di “inevitabilità delle regole concernenti la transazione fiscale”, il cui rispetto
sarebbe prescritto anche in uno scenario spiccatamente consensuale.
325
letterale della normativa, ovvero si prediliga una lettura di ordine logico-sistematico.
Attenendosi al solo dato testuale si potrebbe ritenere che l'accordo
autonomamente siglato con l'Amministrazione finanziaria non produca alcuno dei
menzionati effetti tipici, posto che la formulazione letterale del comma 6 non
contiene nessun rinvio espresso né al consolidamento del debito fiscale, né
all'estinzione delle liti pendenti.
La dottrina assolutamente prevalente, tuttavia, opta per una soluzione
interpretativa logicamente e sistematicamente orientata, che estende in via analogica
i menzionati effetti tipici anche alla transazione siglata in sede di accordi di
ristrutturazione dei debiti617.
La bontà di tale lettura, quanto alla cessazione della materia del contendere, è
stata argomentata affermando che il mancato rinvio al comma 5 sia da imputare solo
ad un difetto di coordinamento fra le due parti dell'art. 182ter618. Ancora, si è detto
che, nonostante il silenzio della legge, l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione
determinerebbe comunque la cessazione delle liti aventi ad oggetto i tributi transatti,
rientrando tale effetto nella logica propria del contratto di transazione619. Con
riferimento all’altro effetto tipico, poi, è stato affermato che, nonostante manchi un
rinvio esplicito al “consolidamento del debito fiscale”, esso sia comunque da
rinvenirsi implicitamente nel rimando generico al comma 2 dell’art. 182ter620.
Qualcuno, ancora, nella prospettiva di un’imminente estinzione del contenzioso
pendente ai sensi del comma 5 sostiene che il debitore, dopo aver provveduto al
deposito dell'accordo di ristrutturazione presso il Registro delle imprese, dovrà
617
Cfr. L. MAGNANI, La transazione fiscale, in Il diritto fallimentare riformato. Appendice di
aggiornamento, a cura di G. SCHIANO DI PEPE, Cedam, Padova, 2008, 118; P. PAJARDI,
Transazione fiscale (a cura di A.. SOLIDORO), cit., 1803, e E. STASI, Profili istituzionali della
transazione fiscale, cit., 1211; M. VITIELLO, L'istituto della transazione fiscale, cit., 2009, 288;
S. PACCHI - L. D'ORAZIO – A. COPPOLA, Il concordato preventivo, cit., 1813; MATTEI,
Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in S. ABROSINI, Le nuove procedure
concorsuali, 597 e ss. Cfr. anche L. DEL FEDERICO, Profili processuali della transazione, cit.,
3662 e 3663, il quale puntualizza che la cessazione della materia del contendere sia relativa alle
sole controversie relative alle ragioni creditorie di coloro che hanno aderito all'accordo, e giammai
si verificherebbe per i creditori ad esso estranei.
618
Cfr. G. MARINI, Transazione fiscale, cit., 2329, nt. 44.
619
Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit.,742.
620
Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1452.
326
presentare al giudice tributario, dinanzi al quale penda una controversia fiscale, la
richiesta di sospensione del processo ex art. 39 d. lgs. 546/1992, al fine di evitare
che, prima del decreto di omologa, il contenzioso si chiuda con una sentenza
negativa per il medesimo debitore o per l'Amministrazione, o comunque non
conforme al contenuto sostanziale dell'accordo omologato, con l'effetto di modificare
il debito d'imposta ivi quantificato e rendere così impossibile la cessazione della
materia del contendere621. La medesima dottrina ritiene anche che il termine di trenta
giorni per addivenire ad un'intesa con il creditore pubblico non possa considerarsi
perentorio, data la sua eccessiva brevità; del resto, ritenere che il suo inutile decorso
impedirebbe il perfezionamento della transazione sarebbe incompatibile con la ratio
legis della norma, che è quella di favorire la composizione negoziale della crisi.
Sarebbe comunque auspicabile che gli uffici evitino risposte tardive.
Vi è anche chi propone una soluzione più articolata, che limita l'effetto
estintivo delle liti pendenti ai soli atti impositivi (cartelle e/o avvisi di accertamento)
che il contribuente abbia ricompreso espressamente nella proposta di accordo
transattivo, con l'esclusione di quelli di cui egli intenda contestare (o meglio
continuarne a contestare) il fondamento: in tal caso l'impugnazione proseguirebbe il
suo normale iter processuale, sicché la definitiva determinazione dell'an e/o del
quantum dell'obbligazione tributaria continuerebbe ad essere rimessa all'esclusivo
apprezzamento del giudice tributario, e non alla concorde determinazione delle
parti622. A giustificazione di tale assunto si è detto che a fronte di un consistente
ammontare di debiti fiscali, di cui alcuni relativi a cartelle o avvisi già impugnati, il
contribuente potrebbe non avere alcuna intenzione di pagare alcunché, neppure a
titolo transattivo, in quanto potrebbe assumere del tutto illegittima ed infondata la
pretesa tributaria nel suo complesso: la soluzione proposta, allora, sembrerebbe
essere la più razionale, in quanto consentirebbe al debitore di selezionare, volta per
volta, quali controversie estinguere e quali meno, rimettendo a lui la scelta tra correre
il rischio di un contenzioso dall'esito potenzialmente infausto, con eventuale
621
Cfr. E. MATTEI, Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, cit., 604 e 605.
622
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel
concordato preventivo, cit., 619.
327
addebito delle spese processuali, oppure sostenere nell'immediato un costo
aggiuntivo, accollandosi una parte almeno delle pretese oggetto di contestazione.
Quanto all’ulteriore effetto di consolidamento, la medesima dottrina non
scioglie i dubbi in merito alla possibile efficacia preclusiva rispetto ad accertamenti
futuri che interessino le annualità e i tributi oggetto del’accordo transattivo: si è
rilevato, tuttavia, che la probabilità che le certificazioni di cui all'art. 182ter non
impediscano affatto controlli successivi, se non vanifica del tutto la funzione della
transazione, ne potrebbe senza dubbio raffreddare l'appetibilità. In ogni caso tali
certificazioni non avranno sicuramente alcuna valenza impegnativa per
l'Amministrazione qualora, nonostante le trattative avviate dal debitore, l'accordo
non venga concluso623.
Ancora, sempre con riferimento all'effetto di consolidamento, vi è chi ritiene
che la rinuncia da parte dell'Erario all'azione accertatrice, se non potrebbe essere
ipotizzata nell'ambito di un concordato preventivo, alla luce della formulazione
letterale della norma (e nonostante le criticità che tale soluzione porrebbe)624, può
comunque aver luogo in sede di accordi di ristrutturazione, dato il maggior lasso
temporale a disposizione delle parti per addivenire ad un accordo sulla debitoria e su
tutti i rapporti pendenti, ivi compresi quelli ancora oggetto di possibili accertamenti:
proprio in relazione a questi ultimi l'Amministrazione, una volta acclarati i costi-
benefici dell'opzione entro termini più estesi rispetto a quelli di cui dispone
nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, potrebbe decidere di
rinunciare all'esercizio dei suoi poteri accertativi625.
623
Cfr. sempre V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel
concordato preventivo, cit., 619.
624
Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, cit., 746, nt.
36: “è evidente come il mantenimento di tale potere accertativo in capo all'amministrazione
finanziaria possa risultare dirompente in tema di concordato preventivo, potendo tale maggior
onere sopravvenuto sovvertire gli esiti di una procedura concordataria che è stata omologata
sulla scorta di condizioni precedenti accertate dagli organi giudiziali e dalla maggioranza dei
creditori. D'altro canto la norma così com'è decisamente non lascia presupporre deroghe alla
normativa sull'accertamento, lasciando intatti i poteri officiosi in capo alla amministrazione
finanziaria, la quale oltre al potere avrebbe anche il dovere di procedere ove ne ricorrano i
presupposti”.
625
Cfr. sempre E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, cit.,
746, nt. 36: “la questione, in tema di accordi, viene agevolmente superata dal maggior tempo a
disposizione delle parti per raggiungere un accordo”.
328
L'Amministrazione finanziaria non sembra aver preso una posizione precisa ed
esplicita sul problema dell'estensione degli effetti consolidatori ed estintivi anche alla
transazione conclusa in sede di accordi di ristrutturazione. La circolare n. 40/E del
2008, al par. 5.4, si limita infatti ad affermare che “l'ultimo comma dell'art. 182ter
prevede adempimenti analoghi a quelli contemplati dai commi precedenti”, e che
l'ufficio competente è “tenuto alla liquidazione dei tributi risultanti dalle
dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità”. Ancora, la circolare
n. 14/E del 10 aprile 2009, nel commentare le novità introdotte con il d.l. n.
185/2008, riconosce la possibilità di proporre un pagamento dilazionato dell'Iva
anche in sede di accordi ex art. 182bis, e puntualizzare che l'aggiunta dell'incipit “Ai
fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale” al comma 2 dell'art.
182ter avrebbe “lo scopo di chiarire che le procedure necessarie al perfezionamento
della transazione fiscale trovano applicazione anche nell'ambito delle trattative che
precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti”.
Non sembra azzardato, tuttavia, proporre una lettura estensiva delle istruzioni
dettate dai menzionati documenti di prassi, inferendone che, oltre agli
“adempimenti” ed alle “procedure” dettagliatamente illustrati nella circolare n. 40/E,
e successivamente richiamati dalla circolare n. 14/E, debbano trovare applicazione
alla transazione conclusa in sede di accordi di ristrutturazione anche i “criteri” cui
l'ufficio dovrà attenersi nel valutare la proposta626, e soprattutto gli “effetti tipici” che
derivano dall'accettazione della medesima: poiché le attività di liquidazione e
certificazione di spettanza dell'ufficio hanno come fine la cristallizzazione
dell'esposizione debitoria del proponente verso l'Erario, ne conseguirebbe che un
rinvio esplicito alle medesime non potrebbe non estendersi anche alle relative
finalità. Si potrebbe ritenere, dunque, che anche nell'ipotesi di transazione accedente
ad un accordo ex art. 182bis l'Agenzia delle Entrate non escluda aprioristicamente né
il consolidamento del complessivo debito tributario, ovviamente nei limiti in cui, a
giudizio della medesima, il menzionato effetto avrebbe luogo nell'ambito del
626
Per altro ribaditi anche dalla circolare n. 20/E del 16 aprile 2010, che invita a “contemperare
l'interesse pubblico alla riscossione dei tributi con l'egualmente rilevante interesse alla
conservazione di imprese in grado di rappresentare realtà ancora produttive, salvaguardando nel
contempo i livelli occupazionali”.
329
concordato preventivo627, né la cessazione della materia del contendere628. Quanto
all’effetto da ultimo citato, del resto, è frequente la prassi di inserire negli atti di
transazione fiscale apposite clausole che prevedano espressamente l’estinzione dei
contenziosi in atto.
Anche la scarsa giurisprudenza di merito reperibile al giorno d’oggi
sembrerebbe estendere alla transazione in sede di accordi gli effetti “tipici” della
transazione concordataria, quanto meno quello di consolidamento di cui al comma 2:
in particolare il Tribunale di Ancona, chiamato ad omologare un accordo di
ristrutturazione in cui il 98,95% dell'intero indebitamento della società proponente
era rappresentato da debiti d'imposta, quantificava il credito tributario complessivo
in € 2.401.511,03, così come risultante dal “consolidamento del debito erariale non
iscritto a ruolo ricostruito dall'Agenzia delle Entrate [...] e dal consolidamento del
debito erariale iscritto a ruolo coma da certificazione rilasciata dall'agente della
riscossione”629.
1.2. Proposta di soluzione interpretativa.
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte si ritiene che anche la transazione
siglata in sede di accordi ex art. 182bis sia suscettibile di produrre gli effetti “tipici”
della transazione concordataria, intesi nel senso che si è cercato di chiarire nei
precedenti capitoli.
Pertanto non sembra condivisibile quell'opinione dottrinale che, sulla scorta
della pretesa valenza sostanziale da attribuirsi al “consolidamento del debito fiscale”
627
Alla luce di quanto chiarito con la circolare n. 40/E non potrà ritenersi preclusa l'ulteriore attività di
accertamento sui tributi e sulle annualità d'imposta oggetto dell'accordo transattivo. Anche in caso
di accordi di ristrutturazione l'ufficio dovrebbe procedere solo alla liquidazione dei tributi risultanti
dalle dichiarazioni presentate dal debitore, alla notifica delle relative comunicazioni di irregolarità
e degli avvisi di accertamento, nonché al rilascio della certificazione attestante il complessivo
debito tributario, considerando anche eventuali processi verbali di constatazione e inviti al
contraddittorio già notificati al contribuente, prima di addivenire alla stipula dell'accordo.
628
Anche la Guida pubblicata dalla Direzione Regionale Sicilia, dal titolo Il Fisco a sostegno delle
imprese in crisi. La transazione fiscale, cit., nel disciplinare la transazione conclusa in sede di
accordi di ristrutturazione dei debiti rimanda alle modalità procedurali di cui al comma 2,
“mediante le quali pervenire al consolidamento del debito fiscale”, ed inoltre ricollega
all'omologazione dell'accordo la cessazione della materia del contendere nelle liti oggetto della
proposta del debitore.
. 629
Cfr. Trib. Ancona, 12 novembre 2008, decr., cit.
330
di cui al comma 2, ritiene che la conclusione di un accordo transattivo, in seno ad
un’operazione di complessiva ristrutturazione del passivo d’impresa, abbia l'effetto
di privare l'Erario dei suoi ordinari poteri di controllo630.
Nemmeno si potrebbe aderire a quella tesi secondo la quale l'Amministrazione,
magari con apposita clausola inserita nell'atto di transazione, possa rinunciare
espressamente e definitivamente ai propri poteri accertativi, muovendo dal
presupposto che la procedura di cui all'art. 182bis non imporrebbe il rispetto di
termini invalicabili, quali invece sarebbero quelli previsti dalla normativa in tema di
concordato preventivo, i quali rischierebbero di costringere l'Erario ad intervenire in
adunanza senza tutti gli elementi valutativi a disposizione631: secondo questa tesi,
infatti, la transazione ex comma 6 verrebbe conclusa prima che l'accordo di
ristrutturazione sia depositato presso il Registro delle imprese, e pertanto l'ufficio
avrebbe a disposizione tutto il tempo necessario per attivare gli opportuni controlli di
merito ed eventualmente rinunciare ai residui poteri accertativi, all'esito di un'oculata
ponderazione dei costi e benefici dell'opzione. Tale opinione non tiene in adeguata
considerazione la circostanza che una rinuncia di tal fatta costituirebbe
un’inammissibile violazione del principio di indisponibilità dell’obbligazione
tributaria, potendo esporre il singolo funzionario al rischio di denuncia per danno
erariale.
Pertanto, si ritiene che anche in questo caso l'intervenuta stipula di un accordo
transattivo non sortirebbe alcun effetto di congelamento degli ordinari poteri di
accertamento: al riguardo sono perfettamente valide tutte le argomentazioni
prospettate nel capitolo III con riferimento al consolidamento del debito fiscale sul
versante “tributario” della transazione perfezionata in sede di concordato preventivo.
In primis, lo stesso linguaggio adoperato dal legislatore nel descrivere gli
630
In tal senso cfr. ex multis D. PISELLI, Concordato e transazione fiscale cit., 8, secondo cui “la
transazione fiscale può essere funzionale ad accordo stragiudiziale di sistemazione del debito solo
a condizione che per effetto della medesima si raggiunga quell'accertamento dell'effettività entità
del credito erariale che pare costituire presupposto necessario per la stessa operatività
dell'accordo”: in altri termini secondo l’A. la funzione dell'istituto sarebbe da ravvisare nel
definitivo accertamento del debito fiscale, precludendo ulteriori attività accertative, al pari di
quanto avviene in sede di concordato preventivo.
631
Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di
ristrutturazione dei debiti, in Trattato delle procedure concorsuali, cit., 755.
331
adempimenti a carico dell'Agenzia delle Entrate sembrerebbe alludere alla sola
attività liquidatoria in senso stretto, intesa come controllo automatizzato delle
dichiarazioni, anche integrative, da allegare alla proposta di transazione, con notifica
dei relativi ed eventuali esiti di irregolarità. Ancora, la certificazione dell'ufficio
riguarderebbe le sole pretese scaturenti da atti impositivi (quali, a titolo
esemplificativo, avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e liquidazione, atti di
recupero di crediti di imposta indebitamente erogati all'impresa) che risultino già
notificati al contribuente alla data di presentazione dell'istanza.
Al di là di queste considerazioni di ordine testuale, ed esaminata la questione
sotto un profilo logico-sistematico, anche un raffronto con le disposizioni dettate
dalla l. n. 212/2000 escluderebbe che l'ufficio abbia l'obbligo di procedere
all'emanazione di un avviso di accertamento, o semplicemente all'attivazione ex novo
di una verifica fiscale, in un lasso temporale eccessivamente ridotto rispetto al
termine ordinario a tal fine accordato dal legislatore tributario, con efficacia
preclusiva di ogni successivo ed ulteriore controllo di merito: tale interpretazione,
infatti, urterebbe contro le disposizioni che lo Statuto del contribuente detta a tutela
del contribuente sottoposto a verifica fiscale o destinatario di un atto impositivo, la
cui portata è stata sinteticamente illustrata nel capitolo III.
Ne consegue che l'Amministrazione finanziaria conserverà inalterati i propri
poteri di accertamento in ordine ai tributi e ai periodi d’imposta oggetto dell'accordo
transattivo, nel rispetto degli ordinari termini di decadenza all'uopo previsti dalla
normativa tributaria: il che, del resto, potrebbe essere anche espressamente
contemplato, come di regola accade, in apposita clausola da inserire nell'atto di
transazione, avente appunto la funzione di salvaguardare detti poteri al di là di ogni
possibile dubbio interpretativo.
Nulla vieta che, durante la fase delle trattative volte alla conclusione di una
transazione con il Fisco, il contribuente possa optare per la definizione di avvisi di
accertamento precedentemente notificati ovvero di pretese impositive ancora in fieri,
quali quelle quantificate in processi verbali di constatazione o inviti al
contraddittorio già consegnati, onde avvalersi del beneficio della riduzione delle
relative sanzioni, per poi proporre all'Erario, in sede di accordo transattivo, un
pagamento in misura percentuale e/o dilazionata delle somme così definite: ma si
332
tratterà, com'è ovvio, di una soluzione fattibile solo nei limiti in cui sussistano le
condizioni previste dalle relative disposizioni di diritto tributario. Pertanto con
riferimento agli avvisi già notificati occorrerà valutare se il contribuente sia ancora
nei termini per proporre istanza di definizione dell'accertamento con adesione (cioè
se non siano già decorsi 60 giorni dalla notifica), e se l'avviso non sia stato
eventualmente già impugnato, secondo quanto prescritto dall'art. 6 del d. lgs. n.
218/1997. Nell'ipotesi di invito a comparire le condizioni da rispettare sono quelle di
cui al comma 1bis dell'art. 5 del medesimo d. lgs.: sicché, l'adesione all'invito
presuppone la relativa comunicazione al competente ufficio, accompagnata della
quietanza di versamento della prima o unica rata, entro il quindicesimo giorno
antecedente la data fissata per la comparizione. Infine, qualora trattasi di un pvc i
presupposti per l'adesione, così come definiti dall'art. 5bis del decreto in questione,
sono la circostanza che il verbale sia prodromico all'emissione di un accertamento
parziale ex art. 41bis del d.P.R. n. 600/1973 ed il decorso di un termine non
superiore a 30 giorni dalla notifica del verbale.
La disciplina tributaria di cui al menzionato d. lgs. n. 218/1997 troverà dunque
integrale applicazione: ne deriva che, qualora successivamente all'omologa
dell'accordo di ristrutturazione, ed entro il termine di decadenza legislativamente
imposto per l'esercizio di ulteriore attività accertatrice, sopravvenga la conoscenza di
elementi nuovi, che lascino trasparire un maggior imponibile rispetto a quello
“accertato con adesione”, sarà sempre possibile per l'ufficio procedere
all'emanazione di un nuovo avviso di accertamento, secondo quando previsto dal
comma 4 dell'art. 2.
Anche per quanto attiene al coordinamento sul piano temporale fra la
normativa tributaria appena esaminata e l'art. 182ter, comma 6, il quale prevede che
la certificazione del complessivo carico tributario dovrà essere rilasciata nei trenta
giorni dal deposito della proposta di transazione, valgono le considerazioni già
formulate nel capitolo III: in estrema sintesi, se l'imprenditore abbia manifestato la
volontà di aderire (all'avviso, al verbale o all'invito) con comunicazione separata o
con apposita clausola inserita nell’istanza di transazione, anche il debito d’imposta
scaturente dai menzionati atti dovrà essere ricompreso nella certificazione, e andrà
333
soddisfatto secondo le percentuali e i tempi concordati con l'ufficio632.
Anche nel caso in cui i trenta giorni per il rilascio della predetta certificazione
scadano prima che il contribuente abbia espresso la propria volontà di aderire ad un
pvc o ad un invito, ma siano ancora pendenti i termini all'uopo previsti dal decreto n.
218, il relativo debito d'imposta, che comunque dovrebbe essere qualificato in
termini di credito condizionale633, andrebbe inserito nella certificazione rilasciata
dall'ufficio, come del resto è previsto dalla circolare n. 40/E delle Entrate. Quanto al
trattamento da riservare alle pretese contenute nei menzionati atti, esse andrebbero
considerate alla stregua di “crediti estranei”, e quindi dovrebbero essere soddisfatte
per l'intero, ed alle scadenze ordinariamente prescritte dalla normativa tributaria, nel
momento in cui intervenga l'adesione del contribuente o, in mancanza di questa, nel
momento in cui siano state recepite in un successivo avviso di accertamento.
Se le considerazioni da ultimo svolte si sforzano di conciliare la disciplina
tributaria di cui al decreto n. 218/1997 con la normativa applicabile agli accordi di
ristrutturazione, va tuttavia precisato che le medesime sembrano destinate a rimanere
confinate ad un livello squisitamente teorico: in concreto, infatti, è molto probabile
che l'ufficio subordini il proprio assenso sulla proposta di transazione all'adesione del
debitore ad un verbale o ad un invito che risultino pendenti. In via generale, infatti,
l’adesione implica l'integrale ed incontestata accettazione della pretesa erariale
contenuta in tali atti, risultando dunque vantaggiosa per l'Erario, che eviterebbe così
di dover procedere alla successiva emanazione di un avviso di accertamento, pur
sempre suscettibile di impugnazione: l'ufficio, dunque, eviterebbe il rischio di un
estenuante contenzioso dagli esiti incerti, dovendo accettare la sola decurtazione
delle sanzioni irrogate, che il legislatore ha previsto come misura premiale per il
632
Tuttavia, nel caso in cui l'accordo transattivo contenga anche l'adesione ad un invito al
contraddittorio, non è chiaro se, ai fini del perfezionamento della predetta adesione, il contribuente
dovrà necessariamente procedere anche al contestuale pagamento della prima o unica rata, così
come previsto dall'art. 5, comma 1bis del d. lgs. n. 218/1997: cfr. sul punto le considerazioni svolte
nel capitolo III. Il problema, in realtà, sembra essere solo teorico, posto che è altamente probabile
che l'ufficio sottoscriverà l'accordo transattivo solo previa verifica dell'avvenuto pagamento.
633
Come si è visto nel capitolo III, infatti, gli importi contestati in un pvc o in un invito a comparire
diverranno liquidi ed esigibili solo con l'adesione del contribuente, per effetto della quale il verbale
o l'invito assurgeranno al rango di titoli esecutivi per l'iscrizione a ruolo delle somme in essi
quantificate. In caso di mancata adesione, invece, sarà necessario procedere alla successiva
emissione di un ordinario avviso di accertamento.
334
contribuente che abbia aderito.
Inoltre, si porrà il problema di stabilire se le pretese contenute in inviti al
contraddittorio o processi verbali, essendo ancora in fieri, debbano concorrere alla
formazione della maggioranza qualificata prevista dal comma 1 dell'art. 182bis.
La risposta non è agevole. Ovviamente nessuna indicazione può trarsi dalla
scarna formulazione letterale dei commi 6 e 7 dell'art. 182ter, né soccorre lo stesso
art. 182bis, il quale, nel prevedere che l'accordo debba essere stato stipulato “con i
creditori rappresentanti almeno il sessanta percento dei crediti”, non contiene
indicazione alcuna su come debba essere calcolata detta maggioranza.
L'orientamento oramai unanime concorda nel ritenere che nella base di calcolo
debbano essere computati sia i crediti privilegiati sia quelli chirografari634, ma non vi
è un’interpretazione consolidata relativa ai crediti condizionali635. Qualcuno in
passato, valorizzando la tesi dell'assimilazione degli accordi di ristrutturazione al
concordato preventivo, aveva prospettato la possibilità di un'applicazione analogica
dell'art. 180636: secondo tale opinione si potrebbe ritenere che per il raggiungimento
della soglia limite del 60% debbano essere conteggiate anche tali pretese, al pari dei
crediti non ancora scaduti, dovendosi procedere ai necessari accantonamenti per
l'ipotesi in cui la condizione sospensiva si avveri.
Più semplice è l'ipotesi in cui i termini per l'adesione siano inutilmente decorsi
al momento del rilascio della certificazione: in tal caso, come si è visto nel capitolo
III, la condizione sospensiva cui è subordinata la pretesa contenuta nel verbale o
nell'invito può considerarsi non avverata, sicché l'ufficio dovrà necessariamente
emanare un successivo atto di accertamento per rendere definitivi gli importi
contestati in tali atti istruttori. Il credito scaturente da quell'avviso, ovviamente, andrà
634
Cfr. ex multis P. VALENSISE, Art. 182bis, cit., 2264, nonché E. FRASCAROLI SANTI, Gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 128 e 129. In giurisprudenza cfr. Trib. Brescia, 22
febbraio 2006, cit., nonché Trib. Roma, 20 maggio 2010, decr., in www.ilcaso.it, I, 2238/2010.
Sempre il Tribunale di Roma, in un decreto del 16 ottobre 2006, cit., ha sostenuto che sarebbe
erroneo limitare il calcolo della maggioranza ai soli crediti muniti di titolo esecutivo.
635
Dubbioso sul punto è D. BENINCASA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l.f.,
in Le procedure concorsuali, cit., 1400, nt. 12.
636
Cfr. A. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis legge fallimentare: una occasione
da non perdere, cit., 689 e ss., il quale solleva anche il dubbio relativo all'inclusione dei crediti
contestati nel montecrediti su cui calcolare la maggioranza del 60%.
335
trattato alla stregua di un credito estraneo sopravvenuto all'omologazione
dell'accordo, e conseguentemente dovrebbe essere soddisfatto per l'intero ed alle
ordinarie scadenze, salva la possibilità di impugnare l'atto impositivo. In ogni caso,
sembra opportuno che anche le pretese scaturenti dagli inviti o verbali su cui non sia
intervenuta l'adesione del contribuente siano ricomprese nella certificazione da
rilasciare a cura dell'ufficio, magari con l'avvertenza che l'adesione non si è
perfezionata: anche tali importi, infatti, dovrebbero essere tenuti in considerazione
dal professionista incaricato di valutare l'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione,
considerato che il contribuente dovrebbe procedere agli accantonamenti necessari per
far fronte a queste future passività.
Salvo ritenere che proprio in tale evenienza l’ufficio potrebbe procedere, nei
trenta giorni successivi al deposito della proposta di transazione, all’immediata
emanazione e notifica di un avviso di accertamento, da ricomprendere nella
certificazione da rilasciare all’imprenditore: questi, allora, potrebbe impugnare
l’avviso nelle sedi giurisdizionali competenti (ed allora il relativo debito tributario
sarà trattato alla stregua di credito estraneo, dovendo essere soddisfatto per intero nel
caso di rigetto del ricorso), ovvero alternativamente modificare la propria proposta
per ricomprendervi anche tali pretese (le quali, nel caso di adesione dell’ufficio,
andrebbero considerate alla stregua di crediti aderenti, da soddisfare nella misura e
alle scadenze previste nell’accordo transattivo omologato).
Se, come si è visto, l'Amministrazione conserva inalterati i suoi ordinari poteri
accertativi, l'unica preclusione che discenderebbe dall'intervenuta conclusione di una
transazione fiscale ex comma 6 atterrebbe alle attività liquidatorie in senso stretto,
intendendosi come tali le procedure automatizzate di controllo delle dichiarazioni,
finalizzate ad appurare eventuali errori commessi in sede di compilazione, ovvero
sanzionare omissioni o ritardi nel pagamento delle imposte dichiarate: tali attività
dovranno essere espletate inderogabilmente nei trenta giorni dalla presentazione
della proposta. Ne deriva che, una volta decorso quel lasso temporale, si dovrebbe
ritenere definitivamente preclusa per l'Agenzia delle Entrate la possibilità di
notificare comunicazioni di irregolarità, ovvero procedere ad un ulteriori liquidazioni
delle dichiarazioni già presentate, con la conseguenza che il maggior debito di
336
imposta che eventualmente ne scaturirebbe dovrebbe restare definitivamente
insoddisfatto.
Pertanto, l'unica deroga alla normativa tributaria derivante dall'art. 182ter
riguarderebbe i soli artt. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972,
e tra l'altro sarebbe circoscritta soltanto ai termini contemplati da quelle disposizioni
per procedere alla liquidazione automatizzata delle dichiarazioni dei redditi e della
dichiarazione Iva637.
La logica del “consolidamento”, così inteso, sarebbe simile a quella che
sottende l'analogo effetto preclusivo che si verifica in seno alla procedura di
concordato preventivo: come in quel contesto l'intento è quello di evitare
sopravvenienze tardive, che potrebbero inficiare la fattibilità dell'intero piano
concordatario, limitando però la definitiva determinazione dell'esposizione debitoria
verso il Fisco alle sole pretese quantificabili in modo semplice ed in tempi
abbastanza rapidi, quali sarebbero appunto quelle emergenti dal controllo
automatizzato delle dichiarazioni fiscali, ovvero alle pretese che siano oggetto di atti
impositivi già emanati, da riepilogare nella certificazione di cui al comma 2, analoga
esigenza è ravvisabile nell'eventualità in cui l'imprenditore intenda proporre un
accordo di ristrutturazione dei debiti che coinvolga anche l'Erario. Anche in questa
sede, dunque, il consolidamento è finalizzato a cristallizzare la complessiva
posizione fiscale del proponente alla data di stipula dell'accordo con il Fisco,
comprensiva anche del maggior debito di imposta eventualmente derivante dalla
liquidazione delle dichiarazioni presentate sino a quella data, ad eccezione però delle
ulteriori pretese eventualmente scaturenti da più complessi ed articolati controlli
sostanziali, che potrebbero essere sempre condotti in un secondo momento.
La cristallizzazione delle pendenze tributarie, intesa entro questi limiti,
consentirà di valutare con più oculatezza l'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione,
ossia la sufficienza delle risorse a disposizione per soddisfare tutti i creditori
(parzialmente o per l'intero, a seconda che costoro abbiano aderito o meno alla
637
Entrambe le disposizioni, infatti, prevedono che l'Amministrazione procederà alla liquidazione
delle dichiarazioni “entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno
successivo”. Il termine, comunque, è da intendersi come ordinatorio. Perentorio, viceversa, è il
termine previsto dall’art. 25, lettera a) del d.P.R. n. 602/1973 per la notifica della cartella di
pagamento con cui vengono contestate le somme scaturenti dal controllo automatizzato ex art.
36bis (31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione).
337
proposta del debitore). Anche in questo caso, dunque, l’intento è quello di mettere
costoro nelle condizioni di esprimere un “consenso informato”.
Quanto al versante schiettamente “concorsuale” dell'istituto, è doverosa una
precisazione, tra l'altro di intuitiva evidenza.
Trattando del consolidamento del debito fiscale in seno ad una procedura di
concordato preventivo si è argomentato che quell'effetto, connesso al rilascio delle
certificazioni ad opera dell’Agenzia e del concessionario, nonché alla notifica degli
esiti dell'attività liquidatoria, avrebbe valore meramente endo-procedimentale, nel
senso che consisterebbe esclusivamente nel determinare il credito erariale da
ammettere alla votazione in sede di adunanza, da un lato, e da soddisfare in misura
percentuale o dilazionata in sede di esecuzione del concordato, dall'altro. Ora, dal
momento per gli accordi di ristrutturazione dei debiti non è prevista una fase di
votazione, non avrebbe senso interpretare il consolidamento in funzione della
determinazione del voto spettante al creditore pubblico; pertanto, la cristallizzazione
atterrebbe alla sola fase esecutiva dell'accordo, nel senso che la certificazione
dovrebbe dare esclusivamente la misura dei crediti fiscali da soddisfare, sicché
eventuali pretese già contestate ma non incluse in quella certificazione non
potrebbero più essere soddisfatte, né come crediti aderenti né tantomeno come crediti
estranei. Va ribadito che resta comunque salvo il debito d'imposta emergente da
avvisi di accertamento, o altri atti impositivi in senso stretto, notificati
successivamente all'omologazione dell'accordo.
Tale soluzione suona come sanzione implicita per il non corretto espletamento
delle incombenze che la normativa concorsuale pone a carico dell’Amministrazione,
e che la formulazione letterale dell’art. 182ter sembrerebbe considerare come
adempimenti doverosi: l’ufficio, dunque, dovrebbe aver cura a non lasciarsi
“sfuggire” nulla.
E ciò dovrebbe valere anche nell'ipotesi in cui il Fisco abbia manifestato il
proprio dissenso sulla proposta di accordo transattivo: in tal caso infatti, fermo
restando l'obbligo di pagamento integrale delle pretese erariali, detto pagamento
dovrebbe comunque essere limitato ai soli importi certificati e/o liquidati. Il che, lo si
ribadisce, è funzionale a garantire una corretta valutazione in merito all’attuabilità
338
del complessivo accordo di ristrutturazione, da parte sia del professionista attentatore
sia degli altri creditori: è evidente, infatti, che il giudizio di merito di tali soggetti
potrebbe risultare significativamente alterato per effetto della successiva emersione
di crediti tributari già liquidi, ma dagli stessi non conosciuti perché non ricompresi
nella certificazione dell’Agenzia o del concessionario.
Resta salva, per l’ufficio, la possibilità di opporsi all'omologazione
dell'accordo: al riguardo, la lettera dell'art. 182bis non chiarisce se lo strumento
dell'opposizione sia a disposizione dei solo creditori non aderenti, oppure possa
essere proposta da tutti i creditori. La dottrina maggioritaria propende per la prima
soluzione interpretativa, precisando che gli aderenti potranno impugnare l'accordo
solo avvalendosi degli ordinari rimedi previsti dalla normativa codicistica per
l'impugnazione dei contratti638.
Quanto ai creditori estranei, la medesima dottrina precisa che l'opposizione
sarà ammissibile solo qualora il creditore vanti un interesse ad agire concreto ed
attuale, ex art. 100 c.p.c., ad esempio lamentando che l'accordo non sia suscettibile di
assicurare l'integrale pagamento delle proprie ragioni di credito, contrariamente a
quanto attestato dal professionista (ad esempio, perché gli stanziamenti all'uopo
previsti non sono sufficienti, o le risorse complessivamente a disposizione troppo
scarse); ancora, con l'opposizione sarà possibile contestare anche che l'accordo non
abbia ottenuto l'assenso della maggioranza qualificata639.
Ne deriva che l'Erario, purché abbia rigettato con il proprio diniego la proposta
di transazione fiscale, potrebbe contestare con l'opposizione all'omologazione del
complessivo accordo di ristrutturazione vizi sia di legittimità che di merito.
638
Dunque anche azione di nullità ex art. 1218 c.c. o annullamento per errore, dolo o violenza: cfr. G.
SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i
piani di risanamento delle esposizioni debitorie), cit., 543. Sulla possibilità per il creditore
aderente di proporre un’azione di risoluzione cfr. Trib. Terni, 4 luglio 2011, decr., in
www.ilcaso.it, I, 6730/2011, che esclude l’ammissibilità di interventi dell’autorità giudiziale
durante la fase esecutiva dell’accordo già omologato, a meno che non vi sia un’apposita iniziativa
del creditore che rilevi l’inadempimento e agisca per la risoluzione dell’accordo.
639
Cfr. G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione dei
debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), cit., 543.
339
1.3. Il mancato rilascio della certificazione.
Ci si potrebbe interrogare, poi, su quale sia la sorte del credito erariale
nell'ipotesi in cui il termine di trenta giorni prescritto dal comma 6 per l'espletamento
delle incombenze ivi previste (liquidazione e certificazione) sia decorso inutilmente,
ed il debitore abbia provveduto comunque alla stipula e al successivo deposito di un
accordo di ristrutturazione con la restante parte del ceto creditorio, ottenendone
anche l'omologa.
La tematica in esame, com'è evidente, si intreccia con la problematica della
natura perentoria o meramente ordinatoria del menzionato termine, posto che dalla
qualificazione nell'uno o nell'altro senso potrebbero discendere conseguenze diverse.
In particolare, si potrebbe ritenere che se quel termine è da considerarsi
perentorio, allora il suo mancato rispetto comporterebbe il consolidamento degli
importi unilateralmente quantificati dal proponente. Senonché, una certa dottrina,
muovendo dalla mancanza di un'indicazione normativa espressa di perentorietà del
lasso temporale accordato dal comma 6, e data l'eccessiva brevità ed incongruenza
del medesimo, se rapportato ai tempi tecnici propri degli uffici, esclude tale
soluzione, in quanto in mancanza dell'assenso dell'Amministrazione nessun accordo
potrebbe dirsi raggiunto, ed in concreto il consolidamento degli importi
unilateralmente indicati nella proposta dell'imprenditore non sarebbe in grado di
dispiegare alcun effetto, posto che l'intero accordo è destinato a venir meno, salvo
un'apposita clausola di salvataggio640.
Una tale soluzione interpretativa, tuttavia, sembra francamente eccessiva, nella
misura in cui di fatto assoggetta il progetto di ristrutturazione alla volontà del Fisco:
in altre parole, reputare che, con il dissenso di questo, venga meno l'”intero accordo”
(intendendosi come tale il complessivo piano di ristrutturazione del passivo, tale da
coinvolgere la totalità dei debiti d’impresa), equivarrebbe a riconoscere al creditore
pubblico quel potere di veto che unanime dottrina e giurisprudenza escludono
decisamente nell'ipotesi di una transazione proposta in sede di concordato
preventivo, svilendo l’intento di fondo che anima l’attuale disciplina, consistente nel
valorizzare il ricorso a soluzioni concordate della crisi.
640
Cfr. A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1455.
340
Pertanto, l'interpretazione più conforme alla ratio dell’istituto sembra essere
quella che àncora il consolidamento agli importi indicati dal proponente: in
particolare, il quantum da corrispondere all'Erario sarà quello di cui all'elenco
nominativo dei creditori di cui all'art. 161, lettera b), che l'art. 182ter, comma 6
prescrive venga allegato alla proposta unitamente agli altri documenti ivi previsti, e
che l'esperto dovrà considerare al fine di valutare l'attuabilità dell'intero accordo di
ristrutturazione.
Ne deriva che il mancato rilascio della certificazione, così come l'ipotesi, già
vista, di una certificazione “difettosa al ribasso”, pur non essendo espressamente
punito dal legislatore, verrebbe implicitamente sanzionato proprio con la
cristallizzazione degli importi quantificati unilateralmente dall'imprenditore.
Né si potrebbe ritenere che l'Erario, dopo essere rimasto inerte, possa opporsi
all'omologazione di un accordo nella misura in cui esso non consideri alcuni dei
propri crediti, facendoli valere per la prima volta solo in sede di opposizione: tale
soluzione, se da un lato potrebbe evitare atteggiamenti fraudolenti da parte del
debitore, altrimenti incentivato a comprimere il quantum indicato nella proposta
sperando nella mancata attivazione dell'ufficio, tuttavia potrebbe alimentare,
dall'altro lato, atteggiamenti colposamente inerti ed omissivi da parte del creditore
pubblico, contrari al dovere di buona fede che deve improntare i rapporti fra le parti
del rapporto tributario. Inoltre, una siffatta lettura sembrerebbe non tener conto
proprio dell'effetto di consolidamento del debito fiscale che conseguirebbe anche alla
transazione fiscale conclusa in sede di accordi di ristrutturazione.
Del resto, l'esigenza di tutelare l'Erario contro possibili omissioni fraudolente
commesse dal debitore ha indotto il legislatore a prevedere un apposito strumento:
infatti, con il recente d.l. n. 78/2010 è stato introdotto l'obbligo di allegare alla
domanda di transazione ex comma 6 una dichiarazione sostitutiva, con la quale il
proponente attesta che la documentazione da lui prodotta rappresenta fedelmente ed
integralmente la situazione dell'impresa641. L'infedeltà di quella documentazione,
oltre a rendere probabile, se non doverosa, la mancata omologazione dell’accordo di
641
Si è già visto che con l'introduzione di tale obbligo il legislatore ha inteso ovviare all'assenza della
figura del commissario giudiziale: cfr. capitolo II, par. 10.
341
ristrutturazione, comporterà anche l'applicazione delle sanzioni penali di cui al
novellato art. 11 del d. lgs. n. 74/2000, che dovrebbero rappresentare un efficace
deterrente nei confronti di condotte dolosamente omissive.
Ancora, altri possibili strumenti di tutela delle ragioni creditorie dell'Erario
potrebbero essere individuati nella normativa dettata dall’art. 182bis, ed in
particolare nel ruolo dell'esperto attestatore e nei poteri spettanti al Tribunale in sede
di omologa dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.
Quanto alla figura del professionista incaricato di attestare l'attuabilità
dell'accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei, sembra condivisibile quell'orientamento dottrinale e
giurisprudenziale che, superando il mero dato testuale642, reputa indispensabile che
l'esperto sia in possesso dei requisiti di indipendenza ed imparzialità di cui all'ultimo
comma dell'art. 28643. Ancora, un'attenta e sensibile dottrina, seppur non richiamando
espressamente la disposizione da ultimo citata, sottolinea il ruolo cruciale che il
professionista è chiamato a svolgere nell'ambito delle varie soluzioni negoziali della
crisi d'impresa: la delicatezza dei compiti ad esso devoluti postula una sua più
elevata qualificazione professionale, ed una necessaria posizione di indipendenza
642
L'art. 182bis, comma 1, stabilisce che il professionista deve essere in possesso dei requisiti di cui
all'art. 67, terzo comma, lettera d), il quale a sua volta opera un rinvio all'art 28 (Requisiti per la
nomina a curatore), limitatamente alle lettere a) e b) di detta disposizione, e non anche all'ultimo
comma, il quale, nel disporre che “Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli
affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto
dell'impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi
in conflitto di interessi con il fallimento”, sancisce il principio di indipendenza del curatore.
643
Cfr. S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo diritto fallimentare,
diretto da A. JORIO e M. FABIANI, cit., 1145, e P. CELENTANO, I requisiti del professionista
che attesta i piani concordatari, in Fall., 2010, 828 e ss. In giurisprudenza cfr. Trib. Torino, 20
maggio 2009, citata da quest’ultimo autore, che sottolinea la centralità del ruolo dell'esperto, sia
pure con riferimento al professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la
fattibilità del piano di concordato ex art. 161: il collegio propone un'interpretazione sistematica
dell'art. 161, così come novellato a seguito del d. lgs. n. 5/2006, nella parte in cui opera un rinvio
all'art. 67, lettera d), il quale , a sua volta, rinvia alle sole ipotesi di cui alle lettere a) e b) dell'art.
28. A giudizio del Tribunale “le situazioni di incompatibilità ad assumere la carica di curatore
devono operare anche per il professionista chiamato a svolgere la relazione di cui all'art. 161,
trattandosi di condizioni essenziali e funzionali a garantire il necessario livello di indipendenza e
serenità di giudizio del professionista”. Contra però cfr. Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, in banca
dati Il Foro italiano online, che propende per un'interpretazione testuale dell'art. 161, stabilendo
che la relazione può essere redatta anche da un professionista che abbia già prestato la sua attività
professionale in favore del debitore. La medesima massima è sancita da Cass., 29 ottobre 2009, n.
22927, in Fall., 2010, 822 e ss.
342
rispetto all'imprenditore644.
In ogni caso, anche a voler negare l'applicabilità dell'art. 28, ultimo comma, la
responsabilità civile dell'esperto attestatore, passibile di un'azione risarcitoria per le
conseguenze pregiudizievoli derivanti da sue dichiarazioni inveritiere, non corrette o
comunque inficiate da conflitti di interesse, dovrebbe costituire un efficace incentivo
per attestazioni realistiche ed indipendenti645. Senza contare anche i profili di
responsabilità penale del medesimo.
Tali considerazioni, “calate” nel contesto della transazione fiscale, comportano
che fra i compiti dell'esperto vi sia anche quello di valutare che la proposta abbia
tenuto in considerazione la reale misura dell'esposizione debitoria verso l'Erario, o
almeno quella rinvenibile sulla scorta delle scritture contabili dell'imprenditore646, e
che le risorse offerte siano adeguate ad un pagamento integrale dei crediti erariali
rinvenuti anche senza la certificazione dell'ufficio.
Quanto al ruolo del Tribunale, va premesso che in sede di accordi di
ristrutturazione il ruolo del giudice risulta fortemente ridimensionato rispetto a
quello che esso riveste nell'ambito del concordato preventivo: se questa procedura,
644
Cfr. A. PATTI, Quale professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa: alternative al
fallimento, in Fall., 2008, 1070 e 1073.
645
Sulla responsabilità civile dell'esperto attestatore cfr. BREGOLI, La responsabilità civile del
professionista attestatore e del professionista stimatore, in S. BONFATTI, Le procedure di
composizione negoziale delle crisi d'impresa, Map Servizi, Torino, 2008, 124 e ss. La dottrina
maggioritaria ritiene che quella dell'esperto sia una responsabilità professionale di tipo
contrattuale, essendo lo stesso chiamato a rispondere del danno cagionato con dolo o colpa grave:
cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 919; PATTI, Quale
professionista per le nuove soluzioni delle crisi di impresa: alternative al fallimento, cit., 1073; S.
FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi
d'impresa, in Fall., 2009, 894.
646
Del resto, la dottrina maggioritaria concorda nel ritenere che l'esperto, nella sua relazione, debba
anche attestare la veridicità dei dati aziendali, che costituirebbe il presupposto logico per il
giudizio sull'attuabilità dell'accordo: cfr. C. PROTO, Accordi di ristrutturazione dei debiti, tutela
dei soggetti coinvolti nelle crisi d'impresa e ruolo del giudice, in Fall., 2007, 191; G. PRESTI, Gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, in S. AMBROSINI (a cura di), La riforma della legge
fallimentare, Zanichelli, Bologna, 2006, 398; P. VALENSISE, Gli accordi di ristrutturazione dei
debiti, in La riforma della legge fallimentare, cit., 1091. Negli stessi termini si è espresso anche il
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, in un documento del 19
febbraio 2009 dal titolo “Osservazioni sul contenuto delle relazioni del professionista nella
composizione negoziale della crisi di impresa”, in Fall., 2009, 749 e ss. L'obbligo dell'esperto di
attestare la veridicità dei dati aziendali è stato sostenuto anche in giurisprudenza: cfr. ex multis
Trib. Udine, 22 giugno 2007, decr., in Fall., 2008, 701 e ss, nonché Trib. Milano, 10 novembre
2009, decr., in Fall., 2010, 195 e ss..
343
infatti, si connota per un marcato intervento, sin dall'inizio, dell'autorità giudiziaria,
nella duplice veste del giudice delegato e del Tribunale, cui si aggiunge la figura,
fortemente garantista, del commissario giudiziale, in un accordo di ristrutturazione
ex art. 182bis l'intervento dell'autorità giudiziaria è destinato ad operare soltanto ex
post, al momento dell'omologazione di un accordo già approvato dalla maggioranza
qualificata di creditori, e già pubblicato nel Registro delle imprese.
Secondo l’unanime orientamento interpretativo il Tribunale, in assenza di
opposizioni, non potrebbe esercitare alcun controllo di merito sull'accordo, che si
spinga a valutarne la convenienza. Non va trascurato, tuttavia, che una parte rilevante
delle pronunce che si sono occupate dell'istituto è restia a circoscrive i poteri del
Tribunale ad una funzione meramente certificativa o “notarile”, da circoscrivere ad
una pura e semplice verifica del rispetto dei requisiti legislativamente previsti per
l'omologa: al Collegio, infatti, spetterebbe un controllo di “legittimità sostanziale”,
teso ad accertare che la relazione del professionista attestatore abbia la completezza,
la chiarezza espositiva e la coerenza logico-argomentativa necessarie a fornire ai
creditori e ai terzi interessati tutti gli elementi utili per valutare l'attuabilità
dell'accordo, verificando che le analisi e le valutazioni svolte dall'esperto siano
accurate, logiche ed esaustive647.
Nello stesso senso si è espressa anche la migliore dottrina648, dopo alcune
iniziali prese di posizione propense a circoscrivere l'ambito del controllo giudiziale
ad una semplice verifica del raggiungimento della maggioranza qualificata e
dell'esistenza della relazione del professionista, corredata dai documenti di cui all'art.
161649. Del resto, già i primi commenti all'istituto di cui all'art. 182bis sostennero che
647
Cfr. Trib. Piacenza, 2 marzo 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 4804/2011. La massima è consolidata
soprattutto nella giurisprudenza del Tribunale di Roma: cfr. decreto del 4 novembre 2011, in
www.ilcaso.it, I, 6712/2011, nonché decreto 20 maggio 2010, cit. Anche la giurisprudenza
meneghina è orientata nello stesso senso: cfr. Trib. Milano, 25 marzo 2010, decr., in www.ilcaso.it,
I, 2143/2010, nonché 15 ottobre 2009, decr., in www.ilcaso.it, I, 1979/2010.
648
Cfr. ex multis S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione nella più recente giurisprudenza
romana e milanese, in www.ilcaso.it, II, 180/2009, 4; P. VALENSISE, Art. 182bis, cit., 1102.
649
Cfr. S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare:
prime riflessioni, in Fall., 2005, 949, G. FAUCEGLIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
nella legge n. 80/2005, in Fall., 2005, 1451; C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,
in Fall., 2006, 138.
344
il controllo esercitato dal Tribunale in sede di omologa dovesse avere comunque lo
stesso oggetto, posto che la delicata valutazione circa l'attuabilità dell'accordo non
avrebbe potuto essere lasciata al caso, ossia alla circostanza (del tutto eventuale) che
fosse proposta l'opposizione da parte dei soggetti interessati, il cui termine di
esercizio decorre, fra l'altro, da un evento (la pubblicazione nel Registro delle
imprese) la cui conoscenza non è affatto agevole per chi non abbia le competenze e
le risorse necessarie per tenere costantemente sotto controllo il Registro: il Tribunale,
dunque, dovrebbe sempre valutare l'attuabilità dell'accordo, sia in presenza che in
assenza di opposizioni, con particolare riguardo alla sua idoneità ad assicurare il
regolare pagamento dei creditori estranei, se del caso anche ricorrendo ad
un’apposita consulenza tecnica650.
Ne deriva che l'autorità giudiziaria, nell'ambito della propria valutazione sulla
coerenza logica e sull'esaustività della relazione dell'esperto attestatore, dovrà
accertare, tra l'altro, se quella relazione consenta di ritenere fondatamente e
ragionevolmente attuabile l'accordo anche con riferimento ai crediti, ivi compresi
quelli erariali, rimasti ad esso estranei: in altri termini, il giudice sarà tenuto ad
appurare se, effettivamente, le risorse stanziate per l'integrale soddisfacimento anche
di quelle pretese siano sufficienti651.
1.4. La cessazione della materia del contendere nelle liti pendenti.
Si è visto che la dottrina assolutamente prevalente concorda nell'estendere alla
transazione perfezionata nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti anche
l'ulteriore effetto processuale estintivo di cui al comma 5 dell'art. 182ter. E si è anche
visto, del resto, che gli uffici sono soliti inserire negli atti di transazione apposite
clausole che prevedano espressamente la cessazione della materia del contendere
nelle liti in corso.
Sul punto valgono le considerazioni già formulate nel capitolo IV a proposito
650
Cfr. G. PRESTI, L'art. 182bis al primo vaglio giurisprudenziale, cit., 175; ID., Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti,.cit., 400.
651
In tal senso si è espressa di recente anche la Corte d'Appello di Milano: in un decreto del 21 giugno
2011, in www.ilcaso.it, I, 6197, il Collegio ha respinto l'omologazione di un accordo di
ristrutturazione per la sua eccessiva genericità e per l'inadeguatezza della relazione del
professionista, non reputandola circondata da alcuna garanzia.
345
dell'effetto processuale de quo nell'ambito di una procedura di concordato
preventivo.
In particolare, si ritiene che anche in caso di accordo ex art. 182bis l'estinzione
non debba riguardare indefettibilmente tutti i contenziosi tributari pendenti, ma solo
quelli ricompresi nella proposta di transazione, in relazione ai quali il debitore
ottiene, come contropartita dell'accettazione della pretesa contenuta nell'atto
impositivo originariamente impugnato, l'assenso da parte dell’ufficio su un
pagamento parziale e/o dilazionato della medesima: ciò, come qualcuno ha posto in
luce, sembrerebbe maggiormente conforme alla logica propria del contratto di
transazione, cui è coessenziale il requisito delle reciproche concessioni652. Viceversa,
non si estingueranno le liti alla cui prosecuzione il debitore sia interessato, in quanto
aventi ad oggetto pretese eccessivamente gravose o manifestamente infondate653.
Pertanto, ogniqualvolta la transazione sia proposta in pendenza di controversie
tributarie si imporrebbe al proponente la valutazione tra due diverse opzioni:
sostenere nell'immediato un costo, che potrebbe risultare anche ingente, ma
comunque certo e definitivo (pari all'ammontare della pretesa impositiva
originariamente contestata che il proponente si obbliga a soddisfare, sia pure in
misura percentuale e/o dilazionata), oppure non sostenere nessun onere, con il rischio
però di vedersi dichiarato soccombente all'esito del contenzioso tributario ed essere
così costretto a corrispondere l'intera pretesa impositiva, da qualificarsi come credito
estraneo all’accordo ex art. 182bis, con l'ulteriore addebito delle spese di lite.
Ovviamente un'analoga ponderazione di costi e benefici si impone anche per
l'ufficio: l'Amministrazione finanziaria, infatti, all'atto di valutare una proposta di
transazione comprendente crediti d'imposta sub iudice, sarà chiamata ad optare fra
una soluzione (assenso alla domanda di transazione) che nell'immediato appare
onerosa ma comunque certa, perché implicante un pagamento ridotto ma pur sempre
sicuro delle proprie pretese, ed una soluzione (rigetto della proposta) che
conserverebbe il credito nella sua integrità, ma risulta essere assai meno certa, in
quanto il proprio rifiuto implica la prosecuzione del contenzioso in atto, il quale
652
Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1211.
653
Cfr. sopratutto V. FICARI, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” del debiti
tributari, cit., 77.
346
potrebbe sfociare nell'annullamento, parziale o integrale, della pretesa contestata.
Non possono essere disconosciute le difficoltà che una simile valutazione
implica per l'Erario: l’ufficio sarebbe costretto ad effettuare, volta per volta, un
giudizio prognostico, in termini probabilistici, sulle prospettive di buon esito del
contenzioso pendente, dovendo considerare svariati elementi che incidono sulla
“tenuta” della pretesa erariale (quali, a titolo esemplificativo, l'eventuale intervenuta
decadenza dal potere impositivo, che si verifica allorquando l'atto sia stato notificato
dopo la scadenza del termine all’uopo imposto dal legislatore tributario, la
completezza ed esaustività della motivazione, l'assenza di vizi formali, ecc.). Trattasi
di un giudizio certamente non agevole, soprattutto se deve essere necessariamente
contenuto entro il termine ridotto di cui al comma 6 del’art. 182ter, e che potrebbe
essere reso ancora più difficoltoso dall'assenza di una giurisprudenza consolidata sui
profili contestati dinanzi al giudice tributario.
Tali criticità riflettono, sullo specifico terreno dei crediti fiscali, la più generica
difficoltà che qualsiasi creditore incontra nel misurare la convenienza di un accordo
di ristrutturazione, giudizio questo che implica necessariamente valutazioni di tipo
economico654.
Sotto questo profilo risultano evidenti le differenze che intercorrono fra
concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione dei debiti. Nel primo caso la
pretesa impositiva contestata sarebbe comunque oggetto di falcidia, tanto nell'ipotesi
in cui la controversia si estingua immediatamente, per effetto della sola
omologazione del concordato (eventualmente anche all’esito di un giudizio di cram
down, volto a superare il dissenso dell’ufficio), tanto nel caso in cui il giudizio
prosegua e si concluda con il rigetto del ricorso del contribuente: in ciascuna delle
due ipotesi, infatti, l'obbligatorietà del concordato omologato per tutti i crediti
anteriori alla proposta non tollererebbe eccezioni. Pertanto, l'Amministrazione
avrebbe tutto l'interesse all'immediata estinzione del giudizio, onde evitare
l'eventualità che lo stesso si concluda con l'accoglimento delle ragioni della
controparte ed il conseguente annullamento dell'atto impositivo, cui si aggiungerebbe
anche l'addebito delle spese processuali; ne deriva che la valutazione in merito
654
Sul punto cfr. G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali (ovvero gli accordi di
ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni debitorie), cit., 538.
347
all'accoglimento o meno dell'istanza di transazione, contenente anche la pretesa
fiscale in contestazione, sarà più agevole.
Nel caso di transazione inserita in un accordo di ristrutturazione dei debiti,
invece, il rigetto della proposta implica che l'Erario dovrà essere trattato alla stregua
di un creditore estraneo, con il conseguente obbligo di regolare pagamento di tutte le
pretese impositive vantate dallo stesso, ivi comprese quelle sub iudice: sicché,
nell'ipotesi in cui il giudizio si concluda con il rigetto del ricorso, tali pretese
dovranno essere soddisfatte per intero, laddove l'accoglimento dell'istanza di
transazione, con la conseguente immediata estinzione del processo pendente, implica
l'accettazione di un loro pagamento parziale e/o dilazionato. Non è detto, dunque,
che l'Amministrazione sia sempre e comunque avvantaggiata dall'accoglimento della
proposta del debitore e dalla conseguente cessazione del contenzioso in atto, potendo
risultare preferibile la prosecuzione della lite nella speranza che essa si concluda
favorevolmente per l'Erario, con la conseguente soddisfazione integrale, e non
falcidiata, delle proprie ragioni di credito. Ne deriva, come già detto, l'esigenza di
procedere ad un giudizio prognostico di certo non agevole per l'ufficio, dovendo il
medesimo tener conto delle molteplici variabili che potrebbero influenzare l'esito
della controversia.
In conclusione, si dovrebbe ritenere che l'effetto processuale estintivo attenga
ai soli giudizi attualmente pendenti aventi ad oggetto i tributi e le annualità d'imposta
espressamente ricompresi nell'accordo transattivo siglato con l'ufficio, salvo
l’inserimento di apposita clausola che preveda la generica estinzione di ogni
contenzioso pendente. Giova precisare che la cessazione della materia del
contendere, al pari di quanto previsto dal comma 5 in materia di concordato
preventivo, consegue solo all'omologazione dell'intero accordo di ristrutturazione,
non essendo altrimenti sufficienti né l'assenso dell'ufficio, né la pubblicazione
dell'atto di transazione nel Registro delle imprese.
1.5. La mancata omologazione dell'accordo di ristrutturazione
contenente una transazione fiscale.
La precisazione che chiude il paragrafo precedente introduce un'altra rilevante
348
problematica, relativa alla sorte della transazione fiscale nell'ipotesi di mancata
omologazione dell'accordo di ristrutturazione che la contiene. Considerato che la
lettera del comma 6 sembrerebbe collegare il perfezionamento della transazione
all'assenso espresso dai responsabili degli uffici coinvolti, equivalente alla
sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, e non alla successiva
omologazione di quest'ultimo ad opera del Tribunale, occorre chiedersi se tale
disposizione vada interpretata in senso letterale, oppure se ai fini dell'efficacia
dell'accordo transattivo sia comunque indispensabile l'omologa.
Ovviamente, a seconda della soluzione che si intende dare al quesito,
varierebbe la sorte del debito d'imposta oggetto della proposta di transazione, dal
momento che, accogliendo la seconda interpretazione, la mancata omologazione ad
opera del Tribunale comporterebbe la reviviscenza, o meglio la sopravvivenza,
dell'originaria obbligazione tributaria nella sua interezza, laddove secondo la prima
lettura interpretativa l'assenso dell'Amministrazione renderebbe definitive le
percentuali indicate nell'accordo transattivo, alla luce di una supposta efficacia
novativa, dunque estintiva, dell'accordo medesimo. Occorre considerare, infatti, che
l'assenso del Fisco viene espresso sempre prima del deposito dell'accordo di
ristrutturazione nel Registro delle imprese e presso la cancelleria del Tribunale
competente per l'omologa655.
Parte della dottrina, muovendo proprio dalla formulazione testuale del comma
6, propende per l'efficacia della transazione fiscale anche in caso di mancata
omologa dell'accordo di ristrutturazione, salvo ammettere la possibilità di inserire
nell'atto di transazione una clausola risolutiva espressa che ne subordini l’efficacia
all'intervenuta omologazione656. Qualcuno, ancora, reputa che la mera pubblicazione
655
Sul punto cfr. Trib. Milano, 25 marzo 2010, cit., che appunto afferma che al momento della
pubblicazione l'Erario deve avere già formulato il proprio assenso sulla proposta di transazione.
Nello stesso senso cfr. anche G. LO CASCIO, Ulteriori aggiustamenti normativi
all'amministrazione straordinaria e al concordato preventivo, in Fall., 2009, 261.
656
Cfr. E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato preventivo, in Trattato di
diritto delle procedure concorsuali, cit., 586: secondo l’A. l'inserimento di siffatte clausole,
finalizzate a paralizzare gli effetti di un accordo transattivo non omologato, sarebbe doveroso. Tale
opinione è stata confermata anche successivamente: cfr. La transazione fiscale nel concordato
preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato delle procedure concorsuali,
cit., 748, in cui egli sostiene che l'apposizione di una clausola risolutiva di tale tenore risulterà
tanto più necessaria in presenza di crediti erariali derivanti da iscrizioni a ruolo divenute definitive.
349
dell'accordo transattivo nel Registro delle imprese sia condizione sufficiente di
efficacia del medesimo, sulla scorta del disposto di cui all'art. 182bis, comma 2,
applicabile anche alla transazione fiscale in assenza di contraria disposizione di
legge: sicché l'omologazione sarebbe richiesta solo ai fini dell'esenzione da
revocatoria ex art. 67, comma 3, lettera e)657.
Altri, all'opposto, ritengono che, nonostante la transazione vanti una sua
autonomia rispetto al più generale accordo di ristrutturazione dei debiti, essa sia pur
sempre funzionale al raggiungimento di un obiettivo più generale, rappresentato
della sistemazione della complessiva esposizione debitoria dell'impresa: pertanto
l'accordo ex art. 182bis fungerebbe da condicio iuris di efficacia della transazione
fiscale, con la conseguenza che la mancata omologazione del primo determinerebbe
la caducazione della seconda, salvo diversa pattuizione fra le parti658.
L'atteggiamento generalmente adottato dagli uffici finanziari è piuttosto cauto:
nel silenzio della circolare n. 40/E, e persistendo tali incertezze interpretative, la gran
parte degli atti di transazione contengono clausole risolutive ad hoc, con le quali
l'Agenzia delle Entrate si premura contro il rischio di una mancata omologa
dell'accordo di ristrutturazione, prevedendo l'inefficacia della transazione in una
siffatta eventualità (come anche nell'ipotesi in cui l'atto di transazione non sia
depositato nel Registro delle imprese o in Tribunale).
Il problema è più generale, poiché si pone anche con riferimento alla sorte delle
pretese di ogni altro creditore aderente ad un accordo di ristrutturazione non
omologato. L'orientamento interpretativo che sembrerebbe essere oggi prevalente
subordina l'efficacia dell'accordo alla sua omologazione, posto che in assenza della
medesima mancherebbero i presupposti per operare una ristrutturazione dei debiti
d'impresa659: pertanto, a decorrere dal decreto giudiziale che respinge l'istanza di
Nello stesso senso cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 741.
657
Cfr. E. STASI, La transazione fiscale, cit., 108.
658
Cfr. M. FABIANI, Diritto fallimentare, Zanichelli, Torino, 2011, 711 e 712.
659
Cfr. ex multis G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 402, che attribuisce
all'omologazione efficacia retroattiva, nonché G. SCARSELLI, Le sistemazioni stragiudiziali
(ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle esposizioni
debitorie), cit., 542.
350
omologazione verrebbero meno gli effetti prodotti medio tempore (sospensione delle
azioni esecutive e cautelari già instaurate, e divieto di acquistare titoli di prelazione
validi), né si produrrebbero quelli attesi (divieto di revocatoria fallimentare per gli
atti esecutivi ed ora anche per i finanziamenti funzionali alla predisposizione ed
attuazione di un accordo di ristrutturazione).
Non mancano tuttavia letture diverse. Qualcuno infatti propende per la piena
efficacia inter partes dell’accordo sin dalla sua stipulazione, conservando il
medesimo una sua autonomia660. Ancora, in assenza di una clausola risolutiva
espressa, che subordini la perdurante efficacia dell'accordo pubblicato
all'omologazione ad opera del Tribunale, una certa dottrina ha proposto di fondare la
soluzione del problema sull'interpretazione della volontà delle parti contraenti:
sicché gli effetti già prodotti decadranno ex tunc solo nell'ipotesi in cui la
complessiva architettura dell'accordo di ristrutturazione consenta di ritenere che
l'intento effettivo dei contraenti era di vincolarne le statuizioni all'esito favorevole
del giudizio di omologazione661.
1.6. L’inadempimento dell'accordo transattivo e la tutela del creditore
pubblico.
Con le recenti modifiche introdotte dal d. l. n. 78/2010 il legislatore ha inteso
colmare una grave lacuna lasciata aperta dall'originaria formulazione dell'art. 182ter,
e che residua tuttora per la generalità degli accordi di ristrutturazione dei debiti non
contenenti una transazione fiscale: trattasi della disciplina delle conseguenze
dell'inadempimento del debitore.
La soluzione appositamente individuata per i soli accordi transattivi omologati
è la revoca, che ha luogo nel caso di mancata esecuzione dei pagamenti previsti entro
90 giorni dalle scadenze pattuite. Si è già accennato, nel capitolo II, alle perplessità
suscitate dal linguaggio impiegato dal legislatore, posto che lo strumento della
660
Cfr. M. FABIANI, “Competizione” fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e
altre questioni processuali, in Fall., 2010, 213, nonché E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, cit., 121, secondo la quale la mancanza dell'omologazione riporterebbe i
contraenti alle regole di diritto privato.
661
Cfr. U. APICE - S. MANICHETTI, Diritto fallimentare, Giappichelli, Torino, 2008, 388.
351
“revoca”, se inteso nel senso proprio del termine, implicherebbe una caducazione
automatica dell'accordo transattivo, che potrebbe risultare eccessiva nell'ipotesi in
cui l'inadempimento abbia scarsa importanza; senza considerare che in diritto privato
la revoca non è contemplata per gli atti negoziali già perfezionati.
In realtà, sembrerebbe più corretto intendere tale rimedio in termini di vera e
propria risoluzione dell'atto di transazione, cui andrebbero applicate le disposizioni
dettate dal codice civile agli artt. 1453 e ss.
Questa, del resto, è la soluzione ampiamente accolta dalla dottrina
maggioritaria in materia di accordi di ristrutturazione tout court: a colmare il vuoto
normativo di cui si è detto soccorrerebbero le disposizioni codicistiche che
disciplinano l'azione di risoluzione per inadempimento contrattuale, stante anche la
natura marcatamente negoziale dell'istituto di cui all'art. 182bis, la cui assodata
autonomia rispetto alla procedura di concordato preventivo escluderebbe che possa
trovare applicazione in via analogica il disposto di cui all'art. 186662.
L'inadempimento che legittimerebbe la risoluzione di un accordo di ristrutturazione
dei debiti, pertanto, sarebbe soltanto quello non avente scarsa importanza ai sensi
dell'art. 1455 c.c., e secondo una certa dottrina dovrebbe essere connotato anche da
colpa in capo al debitore663.
Tale lettura, nonostante sia stata contestata da coloro che propendono per il
carattere giudiziale dell'istituto di cui all'art. 182bis, che precluderebbe l'esercizio
delle azioni contrattuali664, è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza di merito,
che ha ammesso la risoluzione dell'accordo omologato nel caso di inadempimento
delle obbligazioni assunte dall'imprenditore, ritenendo pienamente applicabile la
disciplina codicicistica665.
662
Cfr. S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo diritto fallimentare,
diretto da A. JORIO e M. FABIANI, cit., 1167.
663
Sostengono l'irrilevanza dell'inadempimento incolpevole S. AMBROSINI, Il problema della
fattibilità del piano nel concordato preventivo, in ID., Le nuove procedure concorsuali, cit., 534, e
M. VITIELLO, L'esecuzione del concordato, in S. AMBROSINI - P. DEMARCHI - M.
VITIELLO, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, cit., 243.
664
Cfr. E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 173: l'A. ritiene che i
rimedi di natura contrattuale riguarderebbero i soli accordi stragiudiziali non omologati.
665
Cfr. Trib. Milano, 18 luglio 2009, decr., in Dir. fall., 2011, II, 158.
352
Dello stesso avviso è anche l'Amministrazione finanziaria, che già con
riferimento all'abrogata transazione esattoriale aveva affermato la piena esperibilità
del rimedio della risoluzione del contratto di transazione per inadempimento della
controparte privata, secondo il disposto di cui all'art. 1976 c.c. Quanto alla
transazione fiscale, la circolare n. 40/E del 2008 non dice nulla al riguardo, ma come
detto più volte è consolidata la prassi di inserire clausole risolutive espresse, che
prevedono la risoluzione di diritto dell'atto di transazione in caso di mancato
pagamento delle somme dovute entro un certo termine, e la conseguente reviviscenza
dell'intera obbligazione tributaria.
Va precisato che, secondo l'indirizzo interpretativo assolutamente prevalente,
la risoluzione potrebbe essere legittimamente chiesta soltanto dai creditori aderenti
all'accordo: quanto ai creditori estranei, posto che per i medesimi l'accordo sarebbe
res inter alios acta, i rimedi esperibili per l'adempimento delle proprie pretese
opererebbero al di fuori dell'ambito contrattuale, potendo far valere le propri ragioni,
come si vedrà, per mezzo dell'esazione coattiva individuale o con istanza di
fallimento666.
Quanto alle conseguenze dell'intervenuta risoluzione dell'accordo transattivo,
analogamente alla soluzione interpretativa adottata per la vecchia transazione
esattoriale667, si ammette incontestabilmente la reviviscenza dell'originaria
obbligazione tributaria, soprattutto per il tramite, come detto, di apposite clausole
che prevedono in capo all'imprenditore inadempiente l'obbligo di corrispondere
l'intero debito d'imposta originario, al netto delle somme già pagate in esecuzione
dell'accordo transattivo.
Il che, del resto, è conforme sia all'orientamento interpretativo assolutamente
prevalente in dottrina prima delle recenti modifiche legislative che hanno interessato
la sola transazione fiscale, sia all'indirizzo oggi maggioritario relativo più in generale
agli accordi di ristrutturazione dei debiti: in entrambi i casi il vuoto normativo, che
666
Cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 934, e S.
AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 1167 e 1168.
667
Cfr. circolare n. 8/E del 2005, pagg. 4 e 19.
353
come si è già detto ancora residua per i secondi, è stato colmando applicando in via
analogica i principi generali vigenti in materia di transazione civilistica. Pertanto se
le parti non hanno previsto che l'accordo costituisca novazione, dunque estinzione,
dei crediti preesistenti, la relativa risoluzione fa salve le pretese originarie, ai sensi di
quanto previsto dall'art. 1976 c.c.. L'eventuale volontà di estinguere i preesistenti
rapporti per novazione deve essere espressa chiaramente, magari con l'inserimento
nell'accordo di ristrutturazione di una clausola apposita: troverà infatti applicazione
la regola dettata in materia di novazione oggettiva dall'art. 1230, comma 2 c.c., il
quale appunto dispone che“la volontà di estinguere l'obbligazione precedente deve
risultare in modo non equivoco”. Solo nel caso in cui l'accordo di ristrutturazione
abbia un esplicito contenuto novativo, dunque, i crediti preesistenti risulteranno
definitivamente estinti: in tale ipotesi, non potendo essere invocata la risoluzione
dell'accordo per inadempimento, stante la preclusione di cui all'art. 1976 c.c., i
creditori insoddisfatti potranno solo chiedere il risarcimento del danno ex art.1453
c.c.668.
Per salvaguardare la “sopravvivenza” delle obbligazioni originariamente
dedotte in un accordo di ristrutturazione, del resto, non sono mancate nemmeno
letture alternative dell'istituto di cui all'art. 182bis: sicché, si è detto che la moratoria
nel pagamento dei debiti scaduti, ovvero la modifica dei termini contrattuali del
debito originario (es. l’importo dovuto a titolo di interessi), che rappresenterebbero
la più comune operazione di ristrutturazione del passivo, concreterebbero
sostanzialmente un pactum de non petendo, il quale non determina di per sé
l'estinzione dell'originario rapporto obbligatorio, ma solo la temporanea inesigibilità
del debito che ne è oggetto669.
668
Favorevole ad un'applicazione dei principi generali è G. SCARSELLI, Le sistemazioni
stragiudiziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani di risanamento delle
esposizioni debitorie), cit., 547.
669
Favorevole alla riconducibilità dell'accordo di ristrutturazione alla figura del pactum de non
petendo è Trib. Bari, 21 novembre 2005, in www.ilcaso.it., I, 409/2005, secondo cui “la funzione
del pactum de non petendo si risolve nell'incidere sulle modalità di esecuzione dell'obbligazione
preesistente, senza alcuna alterazione dell'oggetto e del titolo”. L'assimilazione ad un pactum de
non petendo è stata sostenuta anche da Trib. Milano, 23 gennaio 2007, decr., in Fall., 2007, 701 e
ss., con nota critica di F. DIMUNDO, Accordi di ristrutturazione dei debiti: la “meno incerta” via
italiana alla “reorganization”?.
354
Ve segnalato, comunque, quell'indirizzo dottrinale che propende per
l'estinzione in ogni caso dell'obbligazione originaria, nonostante il successivo
“naufragio” dell'accordo di ristrutturazione seguito dal fallimento del debitore670, alla
luce di un asserito e generalizzato effetto novativo dell'accordo transattivo671.
Il problema della “sorte” del credito tributario a fronte dell'inadempimento del
debitore in sede di esecuzione di un accordo di ristrutturazione non si pone
nell'ipotesi in cui il Fisco sia rimasto estraneo all'accordo medesimo.
Occorre ricordare, al riguardo, che l'obbligazione tributaria resta salva nella sua
interezza, come le pretese di qualsiasi altro creditore non aderente ad un accordo di
ristrutturazione: infatti risulta oggi definitivamente accantonata la tesi, proposta
duranti i lavori preparatori della commissione Trevisanato da alcuni esponenti del
mondo professionale (quali Abi, Assonime e Confindustria), ed avallata in un primo
momento anche dal Tribunale fallimentare di Milano, in una pronuncia rimasta
tuttavia isolata672, secondo cui anche i creditori estranei avrebbero dovuto essere
soddisfatti secondo le regole del concorso. Sicché, è ora assolutamente pacifico che
con la locuzione “regolare pagamento” di cui al comma 1 dell'art. 182bis il
legislatore abbia inteso imporre al debitore l'obbligo di soddisfare i creditori non
aderenti per intero ed alle rispettive scadenze, senza che in caso di un loro dissenso
gli sia concesso di incidere sui relativi rapporti obbligatori: anche perché una
670
Cfr. G. PRESTI, L'art. 182bis al primo vaglio giurisprudenziale, cit., 174, il quale si mostra
dubbioso in merito all'affermazione contenuta nel decreto del Tribunale di Bari del 21 novembre
2005, da lui commentato, secondo la quale la riduzione del debito per interessi o addirittura per
capitale (che rappresentano il “corrispettivo” per l'esenzione da revocatoria dei relativi pagamenti,
in caso di successivo fallimento dell'imprenditore) debbano essere considerate come semplici
pattuizioni di inesigibilità, destinate a venir meno con il naufragio dell'accordo.
671
Cfr. U. DE CRESCENZIO – L. PANZANI, Il nuovo diritto fallimentare, Ipsoa, Milano, 2005, 67 e
ss., nonché E. STASI, La transazione fiscale, cit., 741.
672
Cfr. Trib. Milano, 21 dicembre 2005, decr., cit.: secondo questa pronuncia, per “pagamento
regolare dei creditori estranei” il legislatore avrebbe inteso un pagamento da effettuarsi secondo
le medesime percentuali e scadenze previste per i creditori aderenti. Lo stesso Collegio, tuttavia,
ha successivamente aderito alla tesi interpretativa oramai consolidata: cfr. ad es. il decreto del 25
marzo 2010, cit., secondo il quale con l'avverbio “regolarmente” si vuole intendere che “il
soddisfacimento debba avvenire secondo il regolamento negoziale, il quale attiene evidentemente,
oltre che al quantum ed alle modalità, anche ai tempi del pagamento, che quindi non possono
essere rimodulati senza l'adesione dei creditori [...] rimasti estranei agli accordi”.
355
falcidia o dilazione forzata equivarrebbe sostanzialmente ad un esproprio senza
indennizzo dei diritti di credito dei dissenzienti, in contrasto con l'art. 41 Cost.673.
Assodato ciò, ne deriva che l'inadempimento nei confronti dell'Erario verrà ad
atteggiarsi come omesso pagamento integrale dei debiti d'imposta alle scadenze
previste dalla normativa tributaria, diverse a seconda della “fonte” dell'obbligazione
fiscale674. Ciò dovrebbe legittimare l'ufficio a procedere con gli strumenti ordinari a
sua disposizione, quali l'invio di una comunicazione di irregolarità, nell'ipotesi in cui
si tratti debiti scaturenti da dichiarazioni, anche integrative, presentate dal
contribuente675, l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto di atti impositivi già
notificati, ovvero la riscossione coattiva dei ruoli scaduti e non pagati.
Tale ultimo assunto, tuttavia, richiede un'ulteriore precisazione, alla luce
dell'attuale formulazione dell'art. 182bis, comma 3, novellato per effetto del decreto
correttivo del 2007: con la menzionata disposizione il legislatore, recependo gli
auspici espressi da una certa corrente dottrinale676, ed adeguando l'istituto ai
corrispondenti modelli in vigore in altri ordinamenti stranieri677, ha accordato al
673
Cfr. P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, cit., 909. La conclusione
secondo cui il “regolare pagamento” deve intendersi come pagamento integrale, alle scadenze
contrattualmente convenute, è unanimamente condivisa sia in dottrina sia in giurisprudenza: cfr. ex
multis D. BENINCASA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l. f., cit., 1400, e
App. Trieste, 4 settembre 2007, decr., in Dir. fall., 2008, II, 297.
674
Quanto ai debiti per imposte dirette (Irpef, Ires ed Irap) emergenti da dichiarazioni presentate dal
contribuente, il termine per il versamento del saldo sarà il 16 giugno (o 16 luglio, con
maggiorazione dello 0,4%) dell'anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, salva la
possibilità di rateizzazione delle somme dovute; nel caso in cui si tratti di Iva, il saldo andrà
versato entro il 16 marzo dell'anno successivo, salva anche qui la possibilità di rateizzarlo ovvero
differirne il pagamento alle scadenze previste per il versamento delle imposte dirette nell'ipotesi di
presentazione della dichiarazione Iva in forma unificata. Qualora si tratti di debito scaturente da
comunicazioni ex art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972, o ex art. 36ter
del d.P.R. n. 600/1973, il termine di pagamento per poter fruire di una riduzione delle sanzioni
irrogate (rispettivamente, ad un terzo e due terzi del minimo edittale) è 30 giorni dal ricevimento
della comunicazione. Nel caso di avvisi di accertamento, avvisi di rettifica e liquidazione, nonché
atti di recupero, il termine è 60 giorni dalla notifica. Analogo termine è previsto per i debiti
d’imposta scaturenti da cartelle esattoriali.
675
Con la precisazione che se la dichiarazione è tardiva, cioè presentata oltre i 90 giorni dalla
scadenza, l'ufficio dovrà procedere all'immediata iscrizione a ruolo della relativa imposta, con
sanzioni al 30% ed interessi di mora, senza previo invio della “comunicazione bonaria”.
676
Cfr. G. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 403 e 404.
677
Si allude, ad esempio, alla procedura stragiudiziale di conciliation, di cui all'art. L611-7, comma 5
del code de commerce, nonché agli Individual Voluntary Agreements, disciplinati dall'Insolvency
Act britannico del 1986, sections 252 e 253, ed ai Company Voluntary Agreements, introdotti con
356
patrimonio dell'imprenditore un “ombrello protettivo” contro possibili azioni
esecutive e/o cautelari intraprese dai creditori anteriori alla pubblicazione
dell'accordo nel Registro delle imprese, analogo al rimedio contemplato dall'art. 168
in materia di concordato preventivo. Trattasi di una protezione che, seppur
temporanea, in quanto avente una durata non superiore ai sessanta giorni dalla
pubblicazione dell’accordo678, opera in via generalizzata ed automatica679: sicché
l'effetto “paralizzante” di automatic stay precluderà anche all'ufficio la possibilità di
agire in executivis nei confronti del debitore entro quel lasso temporale, quantunque
abbia rigettato la proposta di transazione. L’Amministrazione finanziaria dovrà
dunque attendere 60 giorni prima di procedere all'iscrizione a ruolo o alla riscossione
coattiva degli importi scaturenti da atti di imposizione già definitivi.
Resta comunque salva anche la possibilità di richiedere il fallimento
dell'imprenditore inadempiente680. Con la precisazione che, qualora l'inadempimento
delle obbligazioni tributarie sia emerso immediatamente dopo la pubblicazione di un
accordo di ristrutturazione nel Registro delle imprese, occorrerà attendere anche in
tale evenienza l'esaurimento dell'effetto di automatic stay, ossia il decorso dei 60
giorni dalla pubblicazione: secondo la migliore dottrina, infatti, il fallimento rientra
nel concetto di “azioni esecutive” di cui al comma 3 dell'art. 182bis, con la
conseguenza che anch'esso resterebbe temporaneamente congelato681.
Occorre dar conto, tuttavia, di una recente pronuncia del Tribunale meneghino,
la quale ritiene che “l'effetto protettivo previsto dall'art. 182bis [...] non si estenda
anche ai ricorsi di fallimento, con la conseguenza che essi restano suscettibili di
la riforma del 2000: in tali ipotesi il giudice può sospendere le procedure esecutive in corso
(nell'ordinamento britannico, tuttavia, se il debitore è una società tale facoltà è limitata alle small
companies).
678
Va inoltre ricordato che, a seguito delle modifiche apportate dall'art. 48 del d.l. 78/2010, il divieto
di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore può essere
concesso, su istanza del debitore, anche durante la fase delle trattative con i creditori, dunque
prima della formalizzazione dell'accordo di ristrutturazione.
679
Cfr. ex multis P. VALENSISE, Art. 182bis, cit., 2281.
680
Cfr. Trib. Udine, 22 giugno 2007, decr., cit.
681
Cfr. M. FABIANI, “Competizione” fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e
altre questioni processuali, in Fall., 2010, 207 e ss.
357
istruttoria, pur in presenza della richiesta di omologazione di un accordo; in tal
caso, però, vi sarebbe pregiudizialità della decisione su tale richiesta rispetto a
quella di cui all'art. 15 l. fall., essendo gli accordi di ristrutturazione uno strumento
chiaramente alternativo al fallimento, e quindi tale da escluderlo quando gli accordi
siano ritenuti idonei a superare l'addotto stato di crisi”682.
È da escludersi, invece, la legittimazione dell'ufficio, rimasto estraneo ad un
accordo di ristrutturazione dei debiti, a proporre un'azione di risoluzione per
inadempimento, rimedio questo che, come visto, sarebbe esperibile unicamente da
parte dei creditori aderenti.
2. La transazione dei contributi e premi dovuti ad enti gestori di forme
di previdenza ed assistenza obbligatorie (“transazione previdenziale”)
2.1. La disciplina generale dei crediti contributivi ed assistenziali.
Il d.l. n. 185/2008, come più volte accennato, ha esteso l'istituto della
transazione anche ai crediti vantati da enti gestori di forme di previdenza ed
assistenza obbligatorie.
Tale estensione è stata salutata con favore dalla migliore dottrina, considerato
che, a fronte di una situazione largamente diffusa, in cui il debito privilegiato delle
imprese in crisi era (ed è tuttora) costituito, per una buona parte, da quello
accumulato nei confronti degli enti previdenziali (soprattutto l'Inps)683, questi ultimi
in passato ne avevano sempre negato la ristrutturabilità, quantomeno con riferimento
alla sorte capitale, attesa l'indiscussa indisponibilità dell'obbligazione contributiva: si
assumeva infatti che il dato normativo non garantisse ai singoli uffici periferici la
copertura legislativa necessaria per poter acconsentire a trattamenti remissori o
semplicemente dilatori delle proprie pretese creditorie684. Non erano state sollevate
682
Cfr. Trib. Milano, 25 marzo 2010, decr., cit.
683
Cfr. P. PAJARDI, Codice del fallimento, cit., 1791.
684
Cfr. V. FICARI, La “transazione” fiscale nella “ristrutturazione” dei debiti tributari e nel
concordato preventivo, cit., 612, con particolare riferimento alle istanze di transazione
previdenziale proposte nell'ambito di accordi di ristrutturazione.
358
particolari preclusioni, invece, in ordine alla possibilità di falcidiare il credito
relativo alle sanzioni previdenziali irrogate, essendosene ammessa la rinuncia, totale
o parziale, sia in sede di concordato preventivo sia nell’ambito di un accordo di
ristrutturazione ex art. 182bis685.
La possibilità di transazione per i crediti previdenziali, in quest’ottica,
dovrebbe agevolare la buona riuscita dei piani concordatari, in linea con il generale
intento di agevolare il ricorso a soluzioni concordate della crisi di impresa.
L'estensione di cui trattasi era auspicabile anche sotto un diverso punto di vista.
La dottrina maggioritaria è propensa ad attribuire ai crediti previdenziali natura
pubblicistica, qualificandoli alla stregua di una prestazione patrimoniale imposta ex
art. 23 Cost., posto che la loro funzione è quella di fornire agli enti erogatori delle
prestazioni contributive i mezzi finanziari necessari per far fronte ai compiti loro
attribuiti dalla legge nell'interesse pubblico686: ne deriva, dunque, una sostanziale
assimilazione dei medesimi ai crediti d'imposta, tanto che analoghi sarebbero sia gli
strumenti di riscossione coattiva, sia le garanzie che li assistono. Tali analogie,
pertanto, renderebbero perfettamente giustificabile, se non addirittura doverosa sotto
il profilo del rispetto del principio costituzionale di uguaglianza, una disciplina
similare anche per quanto attiene al trattamento da riservare a tali pretese all’interno
delle procedure concorsuali, ed in particolare, per quanto qui interessa, nell'ambito
dei meccanismi di soluzione concordata della crisi d'impresa.
Quanto alle garanzie che assistono i crediti previdenziali, l'art. 2753 c.c.
riconosce un privilegio generale mobiliare, che il successivo art. 2778 c.c. qualifica
685
Prima delle novità apportate dal decreto anticrisi di fine 2008 la possibilità per l'Inps di aderire ad
un accordo di ristrutturazione dei debiti, che prevedesse la falcidia dei soli crediti derivanti
dall'applicazione delle sanzioni, era stata sostenuta da G. NARDECCHIA, Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, in Inf. Prev., 2008, 372: secondo l'A. tale adesione avrebbe dovuto
seguire le forme proprie di qualsiasi altro credito, con la conseguenza che il soggetto legittimato ad
esprimere la volontà dell'ente previdenziale doveva materialmente sottoscrivere l'accordo di
ristrutturazione.
686
Va dato atto dell’esistenza di una corrente dottrinale minoritaria che, assimilando il rapporto di
previdenza ad un contratto di assicurazione di diritto privato, qualifica i contributi alla stregua di
premi assicurativi, sottolineandone la natura sinallagmatica di corrispettivo di una prestazione: cfr.
B. QUATRARO, Il procedimento di verificazione dei crediti, in Studi in memoria di Umberto
Azzolina, Giuffrè, Milano, 2004, 619. La giurisprudenza di legittimità, invece, condivide la tesi
dottrinale maggioritaria, che sostiene la finalizzazione dei contributi previdenziali alla
realizzazione di un interesse pubblico: cfr. nota successiva.
359
di primo grado, a favore dei crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi
dovuti ad enti, istituti o fondi speciali (inclusi quelli sostitutivi o integrativi) che
gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i
superstiti; per effetto dell'art. 4, n. 3 della l. 7 dicembre 1989, n. 389, che ha
convertito, con modifiche, il d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, detto privilegio è stato esteso
anche ai crediti per i contributi relativi all'assicurazione per gli infortuni sul lavoro e
per le malattie professionali. I crediti relativi ai contributi dovuti ad istituti o enti
gestori di forme di tutela previdenziale e assistenziale diverse dall'assicurazione per
l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti godono invece di privilegio generale mobiliare
di ottavo grado, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2754 e 2778 c.c.687.
I soggetti passivi dei menzionati privilegi sono da individuarsi, in primo luogo,
nei datori di lavoro, per i crediti che scaturiscono dalle omissioni contributive
inerenti alla posizione dei propri lavoratori dipendenti. La Corte di Cassazione,
tuttavia, ha esteso la legittimazione passiva anche ai titolari di imprese artigiane e
commerciali per i crediti contributivi propri dei soggetti impiegati da questi ultimi
senza vincolo di subordinazione688: secondo la S.C., infatti, l'espressione “datore di
lavoro” di cui agli artt. 2753 e 2754 c.c. comprende tutti i soggetti tenuti al
versamento dei contributi previdenziali obbligatori, senza alcuna differenziazione
basata sulla natura, subordinata o autonoma, del rapporto di lavoro.
Soggetti attivi del privilegio di cui trattasi sono i competenti enti
687
La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ravvisare la causa del credito, in considerazione
della quale il legislatore ha accordato il privilegio generale di cui trattasi, nell'interesse pubblico al
reperimento ed alla conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale, fine cui,
invece, non sono diretti i rapporti di assicurazione privata: cfr. Cass., 23 dicembre 1998, n. 12821,
in Riv. dott. comm., 1999, 754.
688
Cfr. Cass, 23 dicembre 1994, n. 11115, in Giust. civ. mass., 1994, Cass., 6 settembre 1994, n. 7684,
in Inform. prev., 1994, 1270, e Cass., 18 luglio 1992, n. 8743, in Giur. it., 1994, I, 1288.
L'estensione del privilegio generale mobiliare di cui agli artt. 2753 e 2754 c.c. anche ai contributi
dovuti dai lavoratori autonomi, in relazione alla posizione dei relativi coadiutori familiari, soci
d'opera e soci cooperatori, prende le mosse da una pronuncia della Consulta (cfr. Corte Cost., 28
novembre 1990, n. 526, in Giust. Civ., 1991, I, 2235), la quale aveva affermato, appunto, che il
regime dettato dalle richiamate norme codicistiche fosse suscettibile di ricomprendere anche i
rapporti di impiego che artigiani e/o piccoli commercianti instaurano con tali soggetti: la causa del
credito contributivo, ammesso a godere del privilegio generale mobiliare, va identificata non già
nell'interesse individuale del lavoratore che collabora nell'impresa del soggetto obbligato, quanto
piuttosto nell'interesse pubblico al reperimento delle fonti di finanziamento della previdenza
sociale, come accade parimenti nell'area della subordinazione. Ciò dunque legittimerebbe
un'interpretazione estensiva delle citate disposizioni di legge.
360
previdenziali689, i cui crediti godono anche dell'ulteriore tutela rappresentata
dall'esonero dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati per contributi
sociali obbligatori ed accessori, stante il disposto di cui all’art. 4 della l. 29 febbraio
1988, n. 48, di conversione con modificazioni del d.l. 30 dicembre 1987, n. 536.
Ancora, l'art. 2776, comma 2 c.c. prevede che nell'ipotesi di infruttuosa
esecuzione sui beni mobili del debitore tali crediti contributivi, al pari dei crediti di
lavoro, trovano sussidiaria collocazione sul prezzo degli immobili, con preferenza
rispetto ai crediti chirografari, ma in posizione subordinata rispetto ai crediti relativi
al trattamento di fine rapporto e a quelli per indennità sostitutiva di preavviso.
L’art. 2754 c.c. accorda agli “accessori” dei crediti contributivi ed assistenziali,
limitatamente alla metà del loro ammontare, un privilegio generale mobiliare, che
l'art. 2778, comma 1, n. 8) colloca all'ottavo grado; ne deriva che il residuo 50% avrà
natura chirografaria. In ordine all'individuazione degli importi riconducibili alla
nozione di “accessori” dei crediti contributivi, la dottrina concorda nel
ricomprendervi le sanzioni civili690; quanto agli interessi, se in un primo momento
l'orientamento giurisprudenziale prevalente li escludeva dall'ambito di applicazione
della prelazione di cui all'art. 2754 c.c., a seguito di un pronunciamento della Corte
Costituzionale691 il privilegio di cui trattasi va esteso anche a tali importi.
Peraltro occorre rammentare che l'art. 116, comma 16 della l. 23 dicembre
689
Trattasi degli enti pubblici gestori della forma assicurativa obbligatoria che i contributi sono
destinati ad alimentare, quali l’Inps (che gestisce l'assicurazione contro l'invalidità, vecchiaia e
superstiti), l’Inail (cui è devoluta la gestione dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali), l’Enpals (cui è devoluta l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la
vecchiaia ed i superstiti in favore dei lavoratori dello spettacolo), e l’ex Inpdap (ora assorbito
dall’Inps), i cui crediti godono del privilegio generale mobiliare di primo grado di cui all'art. 2753
c.c. A questi si aggiungono gli enti privatizzati quali l'Enasarco, l’Inpgi, l’Enpam, ecc., che
gestiscono altre forme di assicurazione sociale obbligatoria e sono assistiti dal privilegio di ottavo
grado di cui all'art. 2754 c.c.
690
L'omesso o tardivo versamento dei contributi e premi dovuti alle scadenze prescritte comporta
l'applicazione automatica di una sanzione (secondo il cosiddetto “principio dell'automaticità”),
determinata in base a criteri prefissati dal legislatore. La giurisprudenza concorda nell'attribuire a
tale sanzione natura civilistico-risarcitoria (in quanto avrebbe la funzione di ristorare l'ente
previdenziale contro il danno derivante dal mancato o tardivo versamento contributivo), con
conseguente assoggettamento della medesima al regime delle obbligazioni di diritto privato: cfr.
Cass., 12 marzo 1965, n. 888, in Prev. soc., 1966, 221.
691
Trattasi della nota sentenza n. 162 del 28 maggio 2001, in banca dati Il Foro italiano online, con la
quale è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 54, comma 3 legge fall. nella misura in cui non
operava alcun richiamo, ai fini dell'estensione del privilegio agli interessi, all'art. 2479 c.c.
361
2000, n. 388 (Legge finanziaria 2001) prevede la riduzione delle sanzioni civili, sino
a raggiungere la misura degli interessi legali, irrogate nei confronti di imprese
ammesse ad una procedura concorsuale: sicché le percentuali offerte in pagamento
agli enti previdenziali andranno applicate sulle sanzioni calcolate in misura ridotta692.
2.2. I poteri ispettivi, l’accertamento e la riscossione dei contributi
previdenziali.
Gli enti previdenziali sono investiti dei poteri ispettivi di cui all'art. 3 del d.l. 12
settembre 1983, n. 463, convertito con l. 11 novembre 1983, n. 638.
Agli ispettori di vigilanza appartenenti agli uffici provinciali dell’Istituto o ente
pubblico, preposti al controllo del regolare pagamento dei contributi da parte delle
aziende operanti nella provincia ove è la sede dell'istituto previdenziale, è
riconosciuto il potere di: a) accedere presso tutti i locali dell'impresa, al fine di
ispezionare i libri matricola e i libri paga, i documenti equipollenti nonché ogni altra
documentazione, anche contabile, che abbia pertinenza diretta o indiretta con
l'assolvimento degli obblighi contributivi; b) assumere da datori di lavoro, lavoratori,
rappresentanze sindacali aziendali, organizzazioni sindacali dei lavoratori ed enti di
patronato dichiarazioni e notizie attinenti alla sussistenza dei rapporti di lavoro, a
retribuzioni, ad adempimenti contributivi ed assicurativi, ed all'erogazione delle
prestazioni; c) esercitare gli altri poteri spettanti agli ispettori del lavoro in materia di
previdenza ed assistenza sociale, ad eccezione di quello di contestare
contravvenzioni.
Occorre comunque tener conto delle novità introdotte dal d. lgs. 23 aprile 2004,
n. 124, relativo alla “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di
previdenza sociale e di lavoro”, varato al fine di garantire un maggior coordinamento
delle attività condotte dai vari soggetti coinvolti nel sistema ispettivo (si rammenti
che, oltre al personale del Ministero del Lavoro e degli Enti previdenziali ed
692
La circolare n. 15 dell’Enpals, che sarà meglio analizzata nel prosieguo, precisa tuttavia che la
riduzione delle sanzioni prevista dalla Finanziaria 2001 potrà essere concessa solo a seguito
dell'omologazione del concordato ad opera del Tribunale: pertanto, le sanzioni civili andranno
ricalcolate sino alla data dell'omologazione, e per il periodo successivo saranno dovuti solo gli
interessi legali sulle somme oggetto di transazione. Anche la circolare n. 38 dell'Inps precisa che
agli effetti della riduzione delle sanzioni “il piano di risanamento finanziario sarà predisposto con
riferimento alla data di omologazione da parte del Tribunale”.
362
assicurativi, anche la Guardia di Finanza, l’Arma dei Carabinieri e l’Agenzia delle
Entrate hanno competenza per l’accertamento delle violazioni degli obblighi
contributivi).
Nell'ipotesi in cui i funzionari ispettivi riscontrino delle irregolarità
provvederanno alla redazione di un verbale di accertamento delle infrazioni rilevate:
secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità693, recepito anche
dal legislatore694, tale documento, al pari del verbale di contravvenzione elevato dai
funzionari dell'Ispettorato del lavoro, ha valore di prova legale, con la conseguenza
che costituisce titolo per l'ammissione al passivo fallimentare (o concordatario) dei
crediti (per contributi e relativi accessori) in esso contenuti.
Per quanto attiene alle modalità di riscossione coattiva di tali importi, occorre
tener conto delle novità recentemente introdotte dall'art. 30 del d.l. n. 78/2010, il
quale prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2011, l'attività di riscossione relativa al
recupero delle somme a qualunque titolo dovute all'Inps, anche a seguito degli
accertamenti degli uffici, sarà effettuata mediante notifica di un “avviso di addebito”
avente valore di titolo esecutivo. Tale avviso dovrà contenere l'intimazione ad
adempiere l'obbligo di pagamento degli importi nello stesso indicati entro il termine
di sessanta giorni dalla notifica, nonché l'indicazione che, in mancanza di
pagamento, l'agente della riscossione procederà ad espropriazione forzata, con i
poteri, le facoltà e le modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.
2.3. Il contenuto della proposta di transazione previdenziale.
Fatte queste opportune premesse in ordine al rango privilegiato dei crediti
previdenziali ed assistenziali, va ora analizzata la disciplina applicabile al caso in
cui, con l'istanza di transazione di cui all’art. 182ter, ne sia offerto un trattamento
remissorio e/o dilatorio.
La ristrutturazione delle pendenze nei confronti di Inps, Inail, Enarco e degli
altri enti operanti in ambito previdenziale ed assistenziale, al pari di quanto
693
Cfr. ex multis Cass., 9 marzo 2001, n. 3527 , Cass., 19 giugno 2000, n. 8323, e Cass., 17 febbraio
2000, n. 1786, reperibili nella banca dati Il Foro italiano online.
694
Cfr. l’art. 10 del citato d. lgs. n. 124, secondo cui “I verbali di accertamento redatti dal personale
ispettivo sono fonti di prova [...] relativamente agli elementi di fatto acquisiti e documentati”.
363
legislativamente previsto con riferimento alle passività fiscali, è possibile solo
nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo, ovvero in sede di trattative
finalizzate alla stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis695,
non essendo possibile proporre una rimodulazione delle obbligazioni contributive (in
termini di falcidia o proroga delle relative scadenze) tramite un accordo autonomo ed
isolato, cioè siglato al di fuori di una procedura concorsuale o comunque di un iter
che coinvolga la totalità o quantomeno una maggioranza qualificata dei creditori
dell'impresa.
Da un punto di vista procedurale le modalità di applicazione, i criteri e le
condizioni per il perfezionamento di una transazione previdenziale sono stati definiti
con decreto interministeriale del 4 agosto 2009, varato dal Ministro del Lavoro, della
Salute e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell'Economia e delle
Finanze, ai sensi di quanto previsto dal comma 6, art. 32 del d.l. n. 185/2008. Tali
previsioni di fonte regolamentare sono state successivamente integrate dai documenti
di prassi emanati da Inps, Inail ed Enpals: si tratta, rispettivamente, della circolare n.
38 del 15 marzo 2010, della circolare n. 8 del 26 febbraio 2010 e della n. 15 del 5
novembre 2011, con le quali i citati enti previdenziali hanno dettato le istruzioni
operative cui gli uffici periferici devono attenersi per la conclusione di accordi
transattivi696.
Ai sensi di quanto previsto dall'art. 1 del citato decreto possono essere
ricompresi nella proposta di accordo ex art. 182ter i crediti per contributi, premi e
relativi accessori di legge aventi natura sia privilegiata che chirografaria, siano essi
iscritti o non ancora iscritti a ruolo697. Ne restano invece esclusi i crediti oggetto di
695
Cfr. R. PESSI, Profili giuslavoristici nelle procedure concorsuali, in Lav. prev. oggi, 2010, 361.
696
Il decreto ministeriale del 2009 parla di “accordi su crediti contributivi”. Il che, tuttavia, non
dovrebbe indurre a ritenere che il legislatore di II grado abbia sposato la tesi della natura
privatistico – negoziale della fattispecie (tesi che si è visto essere minoritaria a proposito della
transazione conclusa con le Agenzie fiscali), quantomeno con riferimento all'ipotesi di “accordo”
perfezionato nell'ambito di una procedura di concordato preventivo.
697
Come già detto, a seguito delle modifiche introdotte con d.l. n. 78/2010, a decorrere dal 1° gennaio
2011 la riscossione dei contributi, sia nell'ipotesi di contributi denunciati ma non versati, sia nel
caso di obbligazioni contributive derivanti da accertamenti d'ufficio o verbali ispettivi, deve essere
operata tramite notifica di un avviso di addebito, avente valore di titolo esecutivo. Non è più
prevista, dunque, l'iscrizione a ruolo di contributi ed accessori e la successiva notifica della cartella
di pagamento: cfr. T. BUSSINO, Il punto sulla riscossione Inps, in Pianeta lavoro e tributi, 2011,
364
cartolarizzazione ex art. 13 della l. n. 448/1998, nonché quelli maturati a seguito di
decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di Stato.
Sotto il profilo soggettivo la medesima disposizione prevede, per la verità in
modo pleonastico, che legittimati alla presentazione di una proposta di accordo su
crediti contributivi sono gli imprenditori in possesso dei requisiti dimensionali
stabiliti dall'art. 1 della legge fall.
Alla proposta va allegata la documentazione di cui all'art. 161, nonché la
relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3,
lettera d), attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano
dell'impresa (art. 2). Anche questa previsione potrebbe considerarsi superflua,
almeno nel caso in cui la proposta di accordo contributivo sia inserita nell'alveo di
una procedura di concordato preventivo: in tale evenienza, infatti, la presentazione
della citata relazione è già prescritta dall'art. 161. Quanto invece all'ipotesi di istanza
di transazione contributiva presentata in sede di trattative finalizzate alla stipula di un
accordo di ristrutturazione, l'art. 182bis prescrive la presentazione di una relazione
attestante l'attuabilità dell'accordo: ci si potrebbe domandare, allora, quale delle due
relazioni sia da allegare all'accordo di ristrutturazione, se quella attestante la
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, così come prescritto dall'art. 2
del decreto interministeriale, ovvero quella in cui viene certificata la ragionevolezza
dello stesso, secondo il disposto dell'art. 182bis, a meno che non si vogliano ritenere
necessarie entrambe (il che, francamente, sembrerebbe essere eccessivo).
Di preminente rilievo è l'art. 3 del decreto, che fissa le soglie minime di
soddisfazione dei crediti previdenziali e/o assistenziali oggetto dell’accordo
transattivo: per i crediti muniti di privilegio generale mobiliare di primo grado di cui
al n. 1, comma 1 dell'art. 2778 c.c. (ossia quelli aventi ad oggetto contributi da
versare ad enti gestori di forme di assicurazione obbligatoria contro l'invalidità, la
vecchiaia e i superstiti, nonché i premi Inail), la percentuale di pagamento deve
essere pari al cento per cento del loro ammontare, mentre per i crediti assistiti da
privilegio generale mobiliare di ottavo grado, di cui al n. 8 della medesima
79 e ss.
365
disposizione codicistica698, detta percentuale non può essere inferiore al 40%. Quanto
ai crediti chirografari699, la percentuale di pagamento deve essere almeno pari al 30%
del loro ammontare. Inoltre, l'ultimo comma del citato art. 3 regola anche l'ipotesi di
transazione contributiva dilatoria, stabilendo che la proroga non può eccedere le 60
rate mensili (con la conseguenza che la dilazione avrà una durata massima di 5 anni),
con applicazione degli interessi al tasso legale vigente.
Proprio le disposizioni da ultimo esaminate sono state criticate aspramente in
dottrina per la loro eccessiva rigidità e chiusura, andando ben oltre il disposto della
delega legislativa e lo spirito della riforma700, e risultando inoltre in contrasto con i
più recenti orientamenti giurisprudenziali, secondo i quali il dissenso delle Agenzie
fiscali, del concessionario della riscossione e/o degli enti previdenziali non
pregiudica, di per sé, l'omologazione dell'accordo701. Risultano anche tradite le
aspettative di chi propugnava un'omogeneità di trattamento tra crediti tributari e
crediti previdenziali, auspicando che l'emanando decreto ministeriale non avesse
tentato di stravolgere l'assetto legislativo, con le consuete invadenze e superfetazioni
698
Trattasi, come visto, dei contributi da versare ad istituti ed enti gestori di forme di tutela
previdenziale ed assicurativa diverse da quelle per invalidità, vecchiaia e superstiti di cui all'art.
2753 c.c. Rientrano in questa categoria anche la metà dell'ammontare degli accessori relativi ai
crediti contributivi di cui agli artt. 2753 e 2754 c.c: cfr. circolare Inps n. 38/2010, pt. I, par. 2.
699
Fra cui va ricompreso anche il restante 50% degli accessori relativi ai crediti di cui agli artt. 2753 e
2754 c.c., secondo quanto disposto dall’art. 2778, n. 8, comma 1 c.c.
. 700
Sul punto cfr. ex multis E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel concordato
preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, cit., 576, il quale segnala “un
eccesso nell'utilizzo della delega da parte dell'Amministrazione, cui il legislatore chiedeva
solamente di “determinare le modalità di applicazione, nonché i criteri e le condizioni di
accettazione da parte degli enti previdenziali degli accordi sui crediti contributivi”, e non
l'introduzione di vincoli contrastanti con le regole proprie di tali accordi aprendo con ciò la
strada a provvedimenti giudiziali disapplicativi di tale disposizione o, comunque, a contenziosi”.
Nello stesso ordine di idee cfr. anche E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit.,
1195, e V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi
sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, in AA. VV., La crisi di impresa. Questioni
controverse del nuovo diritto fallimentare, a cura di F. DI MARZIO, Cedam, Padova, 2010, 399.
Ancora, la violazione dello spirito della norma, di cui pure il decreto costituisce attuazione, è
rilevata da A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1428.
701
Cfr. G. RIPA, La transazione fiscale, in Commentario sistematico al fallimento, Celt, Piacenza,
2011, 812 e 813: secondo l'A. la fattibilità di un accordo transattivo risulta seriamente pregiudicata
sia dalla normativa primaria, sia dal decreto attuativo, sia dai provvedimenti di prassi, rendendolo
sempre più complesso e di non facile applicazione, salvo però sottolineare come parte delle
interpretazioni giurisprudenziali siano favorevoli alla falcidia dei crediti tributari e previdenziali
anche in assenza di una proposta di transazione fiscale e/o previdenziale.
366
proprie dei regolamenti e della prassi amministrativa702.
Per risolvere le accennate incongruenze qualche autore ha ravvisato nelle
disposizioni di fonte ministeriale mere regole interne, rivolte esclusivamente agli enti
interessati e dunque prive di efficacia vincolante per il proponente703; alcuni, ancora,
ritengono che le medesime norme regolamentari siano illegittime, in quanto si
porrebbero in contrasto con le direttive impartite dalla delega legislativa, e dunque
dovrebbero essere suscettibili di disapplicazione ad opera del giudice ordinario, che
sarebbe tenuto a colmare il conseguente vuoto normativo tramite l'applicazione
analogica della disciplina prevista per i crediti tributari704.
La giurisprudenza di merito che sino ad ora si è occupata dell'istituto, una volta
escluso che quelle dettate dal decreto interministeriale siano mere “norme di azione”,
ossia rivolte alle sole Amministrazioni pubbliche interessate, ravvisa viceversa nelle
medesime autentiche norme imperative, che impongono, in funzione dell'interesse
pubblico ad esse sotteso, precisi limiti all'imprenditore che proponga un concordato
preventivo, ai fini del pagamento parziale delle proprie pendenze705. L’indirizzo,
702
Cfr. L. DEL FEDERICO, Il commento, in Fall., 2009, 1361.
703
Cfr. E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit., 1193, V. ZANICHELLI, I
concordati giudiziali, cit., 277, L. PANZANI, Creditori privilegiati, creditori chirografari e classi
nel concordato preventivo, in AA. VV., La crisi di impresa. Questioni controverse del nuovo
diritto fallimentare, cit., 376, e A. LA MALFA, La transazione dei crediti fiscali, cit., 1461. In
giurisprudenza cfr.. Trib. Monza, 15 aprile 2010, decr., cit., secondo cui non potrebbe essere certo
un decreto interministeriale a modificare la legge primaria.
704
Cfr. V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi
sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, cit., 399, secondo il quale il regolamento
attuativo avrebbe dovuto limitarsi a stabilire quale fosse la documentazione necessaria e quali gli
uffici competenti a valutarla e ad esprimere il proprio voto nel concordato, mentre sono stati
introdotti vincoli sostanziali più stringenti di quelli previsti dal legislatore per i crediti tributari.
705
Cfr. Trib. Udine, 15 giugno 2011, decr., cit., il quale precisa che “tale conclusione appare del tutto
logica e coerente, in quanto sarebbe senza senso consentire all'imprenditore di proporre ad un
creditore “ente pubblico” ciò che l'ente stesso, per espresso divieto, non potrebbe accettare per
norma di regolamento. Deve ritenersi in definitiva che se il legislatore [...] ha ritenuto di stabilire
dei limiti, seppure con regolamento, alla possibilità di pagare parzialmente i crediti in questione
nell'ambito di un concordato preventivo (o di un accordo di ristrutturazione ex art. 182bis), ciò è
stato deciso per un evidente interesse pubblico connesso alla gestione delle forme di previdenza e
assistenza obbligatorie. Sarebbe illogico, prima di porre a detti enti, evidentemente per fini
pubblicistici, il divieto di dare il consenso a determinate condizioni e poi lasciare la soddisfazione
di tali interessi pubblici alla decisione della maggioranza dei creditori ammessi al voto che,
invece, è espressione di interessi privati”. Negli stessi termini si era precedentemente espresso
Trib. Roma, 2 agosto 2010, decr., cit.
367
tuttavia, non è del tutto pacifico706.
Se si volesse aderire a questa seconda linea interpretativa non potrebbe però
essere sottaciuta una criticità di non poco conto: un'applicazione pedissequa delle
disposizioni di fonte legislativa (art. 182ter, comma 1) e regolamentare (art. 3 del
d.m. 4 agosto 2009) limiterebbe fortemente la discrezionalità di cui il proponente
gode nel determinare il contenuto non solo dell'istanza di transazione
“previdenziale”, ma anche della proposta di transazione “fiscale”. Infatti il divieto di
accordare ai crediti tributari privilegiati un trattamento deteriore a quello concesso ai
crediti aventi posizioni giuridica ed interessi economici omogenei potrebbe
obbligarlo a riservare ai medesimi le stesse percentuali di soddisfazione (100% o
40%) previste per i crediti contributivi privilegiati (rispettivamente di primo ed
ottavo grado), posto che si tratterebbe di pretese aventi una natura giuridica simile,
laddove l'obbligo di attribuire ai crediti fiscali chirografari lo stesso trattamento
accordato agli altri crediti in chirografo, ovvero, nel caso di suddivisione in classi, la
medesima percentuale prevista per la classe cui è attribuito il trattamento più
favorevole, lo costringerebbe di fatto a soddisfare i primi nella misura minima del
30% delle loro complessivo ammontare707.
Se a ciò si aggiunge l'obbligo di corrispondere al concessionario della
riscossione l'intero ammontare degli aggi, delle spese e dei diritti maturati sulle
somme iscritte a ruolo, così come specificato dalle circolari di Inail ed Enpals, è
evidente che il peso economico della complessiva proposta transattiva sarebbe
ancora più gravoso e particolarmente difficile da sostenere.
Diversamente da quanto si è visto a proposito della transazione fiscale, per la
706
Cfr. Trib. Monza, 22 dicembre 2011, decr., in www.ilcaso.it, I, 6852, che reputa legittima la
disapplicazione, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 2248 del 1865, allegato E, del limite minimo di
pagamento del credito vantato dagli enti previdenziali di cui al D.M. 4 agosto 2009.
707
Del resto anche la circolare dell’Inail sembra equiparare i crediti tributari a quelli contributivi.
All'opposto, invece, la circolare n. 38 dell'Inps disconosce che vi sia un'identità di posizione
giuridica fra le due tipologie di crediti, in quanto i crediti contributivi sono assistiti da privilegio
legale di grado superiore rispetto a quello accordato ai crediti tributari: ne deriva che “ai fini
dell’accettazione della proposta transattiva dovrà verificarsi che le percentuali ed i tempi di
pagamento indicati per i crediti tributari non siano più favorevoli rispetto a quelli offerti dal
debitore per il pagamento dei crediti dell’Istituto”, aggiungendo però che “il pagamento dell’IVA
in misura intera non deve essere preso in considerazione ai fini dell’esame comparativo tra le
percentuali ed i tempi di pagamento dei crediti tributari con quelli relativi ai crediti contributivi”.
368
quale il legislatore ha omesso di definire i criteri sulla scorta dei quali le proposte
andrebbero valutate, l'art. 4 del decreto interministeriale detta parametri di
valutazione piuttosto precisi e rigorosi, quali: l'idoneità dell'attivo ad assicurare il
soddisfacimento dei crediti, anche mediante prestazione di eventuali garanzie; il
riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi e premi, e la
rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sull'esistenza ed azionabilità dello
stesso; la correttezza nel pagamento dei premi e contributi dovuti per i periodi
successivi alla presentazione della proposta di accordo; il versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali operate sui lavoratori dipendenti ai fini dell'accesso alla
dilazione di crediti; l’essenzialità dell'accordo ai fini della continuità dell'attività
dell'impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto
dell'importanza che la stessa riveste nel contesto economico-sociale dell'area in cui
opera.
L’ultimo comma dell’art. 4, inoltre, statuisce che il mancato rispetto degli
obblighi previsti dall'accordo comporta la revoca del medesimo: a prescindere dalla
circostanza che il termine “revoca” sembrerebbe essere qui impiegato in senso
atecnico708, risultando più opportuno parlare di risoluzione per inadempimento, come
del resto ammettono anche le menzionate circolari di Inps ed Inail709, si potrebbe
708
La revoca è una categoria mutuata dal diritto amministrativo, ambito nel quale essa viene
impiegata per indicare il ritiro di atti unilateralmente predisposti da una pubblica Amministrazione
al verificarsi di circostanze sopravvenute, che incidono negativamente
sull'opportunità/convenienza dei medesimi. Nella transazione previdenziale, viceversa,
presupponendo questa necessariamente una proposta (pseudo-negoziale) dell'imprenditore, su cui
l'ente pubblico è chiamato formulare le sue valutazioni, i profili di unilateralità trascolorano a
fronte del carattere consensuale dell'istituto; il che, del resto, sembrerebbe essere chiaro anche allo
stesso legislatore regolamentare, che parla appunto di accordo (e non di provvedimento). Ne
deriva, dunque, che sarebbe più esatto parlare di risoluzione, e non di revoca unilaterale,
dell'accordo contributivo. Contra E. MATTEI, La transazione fiscale negli accordi e nel
concordato preventivo, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, cit., 578, nt. 26, secondo
il quale la norma di cui al comma 7 avrebbe inteso conferire all'Amministrazione un diritto legale
di recesso unilaterale esercitabile anche in caso di parziale inadempimento, in deroga al principio
della vincolatività di cui all’art. 1372 c.c., il quale preclude la revoca del consenso
successivamente alla conclusione del contratto.
709
La circolare dell’Inail, dopo aver precisato che, a seconda che l'accordo riguardi un pagamento
parziale, dilazionato o entrambe le ipotesi, la revoca si verifica nel caso in cui si accerti,
rispettivamente, il mancato o inesatto pagamento delle somme stabilite nell'accordo o il mancato
rispetto del piano di rateazione, richiama l'art. 186 legge fall., nonché gli artt. 137 e 138. Anche la
circolare n. 38 dell'Inps rimanda alla disciplina dettata dal menzionato art. 186 in tema di
risoluzione del concordato per inadempimento, aggiungendo che per tale ragione sarà necessario
effettuare un costante monitoraggio sulla regolarità dei pagamenti e delle rate previste dal piano di
369
propendere per un'interpretazione della disposizione de qua non eccessivamente
rigida e più rispettosa della disciplina codicistica dettata appunto in tema di
risoluzione del contratto, ammettendo la rottura dell'accordo contributivo solo
nell'ipotesi in cui l'inadempimento non sia di scarsa, dunque trascurabile,
importanza.
2.4. Gli effetti della transazione previdenziale: sulla possibilità di estendere
il consolidamento e l'estinzione delle controversie pendenti anche a tale
fattispecie.
Nel silenzio del legislatore occorre stabilire se i pretesi effetti “tipici” della
transazione fiscale siano riferibili anche alla fattispecie qui in esame: in altri termini,
ci si chiede se le pendenze dell'impresa nei confronti degli istituti previdenziali ed
assistenziali siano suscettibili di cristallizzazione, sul duplice versante sostanziale
(consolidamento del debito contributivo e/o assistenziale) e processuale (cessazione
della materia del contendere nelle liti pendenti dinanzi al giudice ordinario710).
Il dubbio, come visto, trae alimento dalla formulazione letterale dell'art. 182ter:
l'incipit del comma 2 (“ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura
fiscale”) circoscrive l'ambito di applicazione delle disposizioni procedurali ivi
contemplate ai soli crediti tributari, e lo stesso può dirsi per la transazione siglata in
sede di accordi di ristrutturazione disciplinata dal successivo comma 6. Ne deriva
che, se interpretata restrittivamente, la norma circoscriverebbe soltanto ai crediti
fiscali l'effetto tipico discendente dai prescritti adempimenti procedurali, ossia il
“consolidamento” dell'esposizione debitoria complessiva dell'impresa. Anche con
riferimento alla cessazione della materia del contendere il testo del comma 5
continua a riferire l'effetto estintivo alle liti aventi ad oggetto i (soli) “tributi” di cui
al comma 1.
Del resto, il d.l. n. 185/2008, nell'estendere la transazione anche ai debiti
contributivi, ha volutamente rimesso alla normazione di secondo grado la previsione
ammortamento.
710
La giurisdizione, infatti, spetta al Tribunale ordinario anche nel caso in cui si tratti di obblighi
contributivi contestati con cartella di pagamento: cfr. ex multis Cass., SS.UU., ordinanza del 18
marzo 2010, n. 6539, reperibile in banca dati Il Foro italiano online.
370
delle modalità operative da rispettare per la stipula di un accordo transattivo con gli
enti previdenziali ed assistenziali (si veda il rinvio ad un successivo decreto
interministeriale contenuto nel comma 6 dell'art. 32): si tratta, dunque, di stabilire se
sia possibile rinvenire in quella disciplina regolamentare un riferimento alla
“cristallizzazione” dei debiti contributivi.
Ora, il citato decreto del 2009 non contiene alcuna esplicita menzione né
dell'effetto di consolidamento, né della cessazione della materia del contendere.
Sotto il primo profilo, il regolamento si limita a dettare i criteri da seguire per la
valutazione nel merito della proposta di transazione, e non anche gli adempimenti
procedurali a carico degli enti previdenziali, la cui individuazione viene invece
esplicitamente rimessa agli enti medesimi (art. 5, comma 1); quanto all'estinzione del
contenzioso pendente, non è dettata alcuna disposizione ad hoc.
Senonchè, la più recente giurisprudenza di merito sembra orientata ad
estendere anche alla transazione previdenziale i menzionati effetti tipici di cui all’art.
182ter. In particolare il Tribunale di Udine, in una recente pronuncia del 2011711,
riconosce all'imprenditore che proponga un'istanza di transazione la possibilità di
“ottenere il consolidamento della propria posizione debitoria e la definizione del
contenzioso anche relativamente ai debiti previdenziali”, chiarendo sul punto che il
legislatore avrebbe inteso offrirgli il vantaggio del “consolidamento” del debito
contributivo, sia pure nel rispetto dei limiti stabiliti con il regolamento
interministeriale del 4 agosto 2009. Anche la Corte d'Appello di Torino ha
riconosciuto al debitore concordatario “lo specifico vantaggio insito nella
transazione fiscale e – oggi, ex l. n. 2/2009 – contributiva, anche con riguardo a
quei debiti ancora in corso di accertamento e teoricamente suscettibili di essergli
opposti dopo la chiusura della procedura”712.
Dello stesso avviso è anche la dottrina maggioritaria, propensa al superamento
del dato testuale facendo leva sulla ratio legis che avrebbe ispirato la novella
legislativa di fine 2008, da individuarsi nella volontà di accordare all'impresa in crisi
711
Cfr. Trib. Udine, 15 giugno 2011, decr., cit.
712
Cfr. App. Torino, 23 aprile 2010, decr., cit.: il vantaggio cui il Collegio allude è, ovviamente, la
definizione della posizione fiscale, ed ora anche previdenziale, dell'imprenditore, con riguardo ai
tributi, e quindi anche ai contributi, già iscritti a ruolo ovvero ancora in corso di determinazione.
371
la possibilità di pervenire ad una rapida e definitiva cristallizzazione delle sue
pendenze anche nei confronti degli enti previdenziali (e non delle sole Agenzie
fiscali). Pertanto, ai crediti contributivi ed assistenziali sarebbe applicabile in via
analogica la disciplina procedurale di cui all'art. 182ter713, a cominciare dal comma 5:
sicché la locuzione “tributi di cui al comma 1”, che continua a figurare nella
menzionata disposizione, andrebbe piuttosto letta come “tributi e contributi di cui al
comma 1”714.
Non sono mancate, del resto, nemmeno argomentazioni di ordine testuale a
supporto di tale soluzione interpretativa. In particolare è stato detto che il
“riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi e premi, e
rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sull'esistenza ed azionabilità dello
stesso”, di cui all'art. 4, comma 1, lettera b) del decreto interministeriale del 2009,
non significherebbe null'altro che l'abbandono del contenzioso previdenziale
eventualmente già instaurato, o la preventiva ed assoluta rinuncia dell'imprenditore
in concordato ad ogni futura impugnazione delle pretese contributive vantate nei suoi
confronti, al pari di quanto avverrebbe in sede di transazione fiscale715.
Del medesimo avviso sono anche gli stessi enti previdenziali. La circolare n. 8
dell’Inail statuisce che la proposta di accordo può interessare anche i crediti già
oggetto di contenzioso, con conseguente rinuncia alle controversie pendenti nel caso
in cui l'accordo transattivo venga approvato. Anche l'Enpals, nella citata circolare n.
15, dopo aver specificato che la proposta dovrà contenere l'indicazione di eventuali
contenziosi pendenti, precisa che la cessazione della materia del contendere attiene
solo alle controversie relative a contributi oggetto della proposta di transazione, e
713
Secondo V. ZANICHELLI, I concordati giudiziali, cit., 278, sarebbe possibile “richiamare in via
analogica per la gestione processuale dell'accordo sul debito contributivo le disposizioni
essenziali del regime del concordato tributario quale disciplinato nel secondo comma dell'art.
182ter; con conseguente necessità di una risposta degli enti previdenziali nello stesso termine
concesso alle Agenzie, nonché di un identico esito del contenzioso in corso, dovendo l'accordo
porre una pietra tombale sul rischio afferente ai crediti in questione”.
714
Cfr. A. BIANCHI, Crisi di impresa e risanamento, cit., 307.
715
La circolare dell'Inps prevede che la rinuncia al contenzioso con l’ente previdenziale deve essere
oggetto di apposita clausola contenuta nella domanda di transazione, con la quale il debitore
riconosce in modo formale ed incondizionato l'esistenza del credito contributivo. La circolare
Inail, analogamente, prevede che “per quanto riguarda il riconoscimento del debito, la relativa
dichiarazione dovrà essere contenuta nella proposta di accordo”.
372
non anche ai giudizi non riferiti a tale proposta.
Quanto ai processi esecutivi eventualmente già in atto, i menzionati documenti
di prassi distinguono a seconda che la proposta di transazione sia presentata in sede
di concordato preventivo o nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
Nel primo caso troverà piena applicazione l'art. 168 legge fall., con la conseguente
sospensione ex lege delle procedure esecutive già instaurate, a decorrere dalla data di
presentazione della proposta: l'ente, pertanto, non sarà tenuto ad emanare alcun
provvedimento formale di sospensione della riscossione forzata in atto, trattandosi di
un effetto automatico. Nella seconda ipotesi, invece, non potendo applicarsi in via
analogica l'art. 168, le circolari in esame dispongono che l'ente, a seguito della
presentazione dell'istanza di transazione, valuterà l'opportunità di sospendere la
riscossione, che sarà eventualmente disposta con apposito provvedimento, comunque
suscettibile di revoca nell'ipotesi in cui l'accordo non venga successivamente
raggiunto716.
Quanto all'effetto processuale estintivo, si ritiene siano perfettamente valide le
argomentazioni già prospettate nel capitolo IV con riferimento alla cessazione della
materia del contendere nei giudizi tributari in corso: pertanto, si concorda con la
circolare dell’Enpals nel ritenere che tale effetto dovrebbe riguardare le sole liti
previdenziali che siano state espressamente ricomprese nella proposta di transazione,
le quali verrebbero conseguentemente ad estinguersi per effetto della sola
omologazione del concordato preventivo, senza che sia all'uopo necessario anche
l'assenso dell'ente che vanta la pretesa contributiva contestata. Al debitore, quindi,
dovrebbe essere accordata la possibilità di escludere dall'ambito della cessazione
anticipata quei giudizi che, per l'eccessiva entità o la manifesta infondatezza della
pretesa vantata dall’ente previdenziale, egli abbia interesse a proseguire.
In merito all'effetto di automatic stay in sede di accordi di ristrutturazione dei
debiti, occorre poi prendere atto delle modifiche apportate dall'art. 48 della l. n.
122/2010: infatti, il nuovo testo dell'art. 182bis prevede che la sospensione possa
716
Le circolari di Enpals ed Inps prevedono che la revoca del provvedimento di sospensione
dell’esecuzione forzata comporterà anche l'aggravio delle sanzioni civili maturate a decorrere dalla
data della sospensione. Inoltre, l'Agente della riscossione potrà insinuarsi nel passivo della
procedura fallimentare successivamente aperta, al fine di ottenere l'ammissione dell'intero credito
iscritto a ruolo.
373
essere ottenuta anche prima della conclusione dell'accordo con la maggioranza dei
creditori, mercé il deposito di apposita istanza nel Registro delle imprese ed il
successivo decreto del Tribunale. Ne deriva che la sospensione delle azioni cautelari
ed esecutive potrà aver luogo anche prima del perfezionamento dell'intesa con gli
enti previdenziali.
In relazione al “consolidamento” del debito contributivo i documenti di prassi
più volte menzionati non contengono alcun riferimento esplicito né a tale effetto, né
al rilascio di una certificazione da parte dell'ente previdenziale al termine della fase
istruttoria (con la sola eccezione della circolare dell’Enpals).
In particolare, la circolare n. 38 dell'Inps prevede solo che la sede provinciale
dell'Istituto dovrà procedere alla “ricognizione sulla complessiva situazione debitoria
dell’azienda” nei 15 giorni successivi al ricevimento della proposta di transazione,
con analisi riguardante non la singola posizione (matricola aziendale), ma l’intera
azienda; successivamente il Direttore Provinciale procederà alla sottoscrizione
dell'accordo, previo parare favorevole della competente Direzione Regionale e
successiva delibera di accoglimento del Consiglio di Amministrazione dell'Ente717.
Un procedimento simile è contemplato dalla circolare n. 8 dell'Inail: questa
prevede che la Sede territoriale competente dovrà procedere alla ricognizione della
situazione debitoria dell'impresa, sulla base degli atti e delle informazioni esistenti;
una volta che l'istruttoria sia stata conclusa (nel più breve tempo possibile), la
proposta di accordo, e la documentazione a corredo, deve essere trasmessa al
Direttore Regionale, con apposita comunicazione nella quale si propone
l'accettazione o il diniego, unitamente ad una relazione nella quale sono indicate le
risultanze dell'istruttoria effettuata. Il Direttore Regionale, infine, esprime
l'accoglimento o il rifiuto della proposta con apposito atto di determinazione
motivato, che andrà immediatamente comunicato al debitore ed all'Agente della
riscossione con raccomandata, a cura della sede territoriale competente.
In entrambi i documenti di prassi una certificazione è prevista per i soli carichi
717
Va tuttavia precisato che l'art. 7, comma 7 d.l. 21 maggio 2010, n. 78, convertito con modifiche
dalla l. 30 luglio 2010, n. 122, ha soppresso il Consiglio di Amministrazione dell'Inps, devolvendo
le relative funzioni al Presidente dell'Istituto.
374
contributivi iscritti a ruolo, purché si tratti di ruoli già consegnati alla data di
presentazione della proposta di transazione previdenziale: tale certificazione dovrà
essere predisposta dall'Agente della riscossione territorialmente competente, che avrà
cura di comunicarla al debitore e trasmetterla al commissario giudiziale per gli
adempimenti di cui agli artt. 171 e 172718.
Solamente la circolare n. 15 dell'Enpals, come accennato, dispone il rilascio, da
parte dell'ente, di una certificazione attestante il complessivo debito contributivo, da
trasmettere al debitore nei trenta giorni successivi alla data di presentazione della
domanda completa della prescritta documentazione (analogo adempimento è previsto
nell'ipotesi in cui la proposta di transazione sia stata presentata durante la fase delle
trattative che precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti); inoltre
è previsto che sarà lo stesso debitore ad aver cura di richiedere al competente Agente
della riscossione la certificazione dei carichi contributivi iscritti a ruolo.
Tali considerazioni indurrebbero ad escludere che in sede di transazione
previdenziale possa verificarsi quell'effetto di consolidamento in senso sostanziale
che, come visto, una parte della dottrina riconnette alla transazione fiscale ex art.
182ter, comma 2: le incombenze istruttorie a carico degli uffici territoriali si
ridurrebbero ad un'attività meramente ricognitiva della complessiva esposizione
debitoria dell'impresa verso gli enti previdenziali/assistenziali, così come risultante
alla data di presentazione della proposta, sulla scorta dei dati a disposizione in quel
momento. La sede locale dovrebbe limitarsi a rilevare le infrazioni e le inadempienze
già accertate, o al massimo quelle ancora in fase di istruttoria719, avendo cura di non
718
In particolare, la circolare dell’Inps prevede che “Con la società Equitalia si è concordato che la
stessa provvederà a fornire tempestivamente la certificazione contenente tutti i debiti a carico
dell’interessato relativamente a tributi e contributi relativamente a tutti gli enti previdenziali ed
assistenziali [...]. Con atto separato, Equitalia fornirà all'Istituto la certificazione contabile
contenente il saldo debitorio e le specifiche sullo stato del recupero del credito e se vi sono
ipoteche o pignoramenti che tutelano il credito e le eventuali proposte di azioni tese alla
riscossione dell’intero credito. Tale certificazione sarà completa ed analitica tra capitale, mora,
aggi, spese, notifica”.
719
Come prevede la circolare dell’Inps, “La sede, prima di trasmettere la proposta di transazione e la
relativa documentazione alla competente Direzione regionale, dovrà provvedere a valutare tutta
la situazione debitoria dell’azienda, alla luce della documentazione in proprio possesso,
verificando tutte le inadempienze esistenti a carico dell’azienda stessa, siano esse presenti negli
archivi automatizzati o ancora in fase istruttoria”.
375
tralasciare nulla720, senza che gli sia inibita la possibilità di attivare, in futuro, nuovi
controlli di merito sulla posizione contributiva del debitore, con contestazione di
violazioni ulteriori.
Del resto, l'assenza di una certificazione contenente il riepilogo di quest'attività
ricognitiva, e la circostanza che nessuna delle circolari in materia assegna all'ufficio
un termine perentorio per portare a compimento i propri adempimenti721,
costituirebbero ulteriori elementi che farebbero propendere per l'esclusione di ogni
efficacia inibitoria rispetto ad ulteriori ed eventuali attività di controllo avviate
dall'ente interessato.
Ne risulterebbe, dunque, confermata la lettura interpretativa prospettata nel
capitolo III con riferimento alla transazione dei crediti tributari: anche per i crediti
previdenziali gli adempimenti a carico dell'ente sarebbero funzionali alla sola
determinazione del debito per contributi e/o premi dovuti da ammettere alla
votazione, o da soddisfare in misura percentuale o dilazionata in sede di esecuzione
del piano concordatario o dell'accordo di ristrutturazione, fermo restando che anche a
seguito dell'omologazione ad opera del Tribunale l'ente pubblico potrà procedere ad
ulteriori controlli di merito sulla posizione contributiva dell'impresa.
2.5. Eventi patologici e sorte dei crediti contributivi dopo la caducazione
del concordato o dell'accordo di ristrutturazione con transazione previdenziale.
La transazione previdenziale perfezionata in sede di concordato preventivo
presenta un carattere endo-corcorsuale del tutto simile a quello che connota la
transazione avente ad oggetto i debiti d'imposta: ne deriva che eventuali eventi
“patologici” che dovessero successivamente travolgere il concordato omologato
720
La circolare dell’Inps, infatti, prevede che l'accordo dovrà contenere “il coacervo di tutti debiti (in
fase amministrativa, legale e iscritti e ruolo)”. Negli stessi termini si è espressa la circolare n. 15
dell’Enpals.
721
La circolare dell’Inail prevede solo che “sia la fase istruttoria che quella decisoria devono essere
espletate celermente”. La circolare dell’Enpals, che, come visto, è l'unica a disporre il rilascio, da
parte dell'Ente, di una certificazione attestante la complessiva esposizione debitoria, assegna un
termine di trenta giorni per l'espletamento di tale incombenza, senza però specificarne la natura
perentoria o meramente ordinatoria. Solo l'Inps, prevedendo che “la ricognizione sulla
complessiva situazione debitoria dell’azienda deve essere effettuata non oltre i successivi 15
(quindici) giorni dal ricevimento della proposta”, sembrerebbe propenso ad attribuire a tale
termine natura perentoria.
376
determineranno anche il venir meno dell'accordo transattivo, con la conseguente
reviviscenza dell'originario credito per contributi, premi e relativi accessori.
A tal proposito si ritiene che siano pienamente valide le argomentazioni già
illustrate nel precedente capitolo III con riferimento all'ipotesi di annullamento o
risoluzione del concordato contenente una transazione fiscale: l'efficacia non
novativa dell'omologazione comporterebbe che il credito contributivo e/o
assistenziale ammesso al passivo concordatario, seppur soggetto all'effetto
esdebitatorio di cui all'art. 184 anche nel caso di voto contrario del relativo titolare,
verrebbe a “riespandersi” a seguito della successiva caducazione del concordato.
Del medesimo avviso, del resto, è anche la circolare n. 15 dell'Enpals, la quale
prevede che il venir meno del concordato omologato, travolgendo anche l'accordo
raggiunto con l'Ente, consentirà a quest'ultimo di esercitare il proprio diritto di
credito originario.
Qualora, invece, la transazione previdenziale sia stata stipulata nell'ambito di
un accordo di ristrutturazione dei debiti troverà applicazione il comma 7 dell'art.
182ter, la cui formulazione è analoga a quella del citato art. 4, comma 2 del d.m. 4
agosto 2009: ambedue le disposizioni, come già visto in precedenza, prevedono la
“revoca” dell'accordo a seguito dell'inadempimento delle obbligazioni concordate
con il creditore pubblico, e si è già argomentato che la revoca dovrebbe essere intesa
più propriamente in termini di risoluzione dell'accordo transattivo.
Ora, si tratta di stabilire se l'intervenuta caducazione del medesimo abbia come
conseguenza la reviviscenza delle obbligazioni contributive originarie. Anche con
riferimento a tale ipotesi, sembra sufficiente un richiamo alla soluzione interpretativa
avallata dalla dottrina maggioritaria con riguardo alla transazione fiscale in sede di
accordi ex art. 182bis: l'accordo transattivo, dunque, non ha efficacia novativa delle
preesistenti obbligazioni, salvo l'inserimento di apposita clausola che ne contempli
espressamente l'estinzione per novazione, ai sensi di quanto previsto dall'art. 1230,
comma 2 c.c (il che, comunque, suona assai improbabile, in ragione del fatto che
anche per i debiti contributivi vige il principio generale di indisponibilità, che
dovrebbe indurre l’ente previdenziale a non accettare una clausola di tale tenore). Ne
deriva che il successivo venir meno dell'accordo, anche in tale ipotesi, comporterà la
riemersione dell'intero debito originario.
377
Tale soluzione è analoga a quella prevista per l'ipotesi di mancata
omologazione dell'accordo previdenziale da parte del Tribunale: in tal caso, come è
stato chiarito anche dalle circolari di Inps ed Enpals, tornerà ad avere valenza il
credito originario iscritto a ruolo, che l'Agente della riscossione dovrà aver cura di
ammettere per l'intero al passivo della procedura di fallimento eventualmente
instaurata.
379
CAPITOLO VI.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Nel presente lavoro si è cercato di proporre un'interpretazione dell'istituto, e dei
suoi pretesi effetti “tipici” di consolidamento del debito fiscale e cessazione del
contenzioso tributario in atto, che si concili sia con i principi del diritto tributario, sia
con le regole che governano il diritto concorsuale in generale, e la procedura di
concordato preventivo in particolare.
Tale tentativo, lo si ribadisce, prende le mosse dalla natura “ibrida” dell'istituto
di cui all’art. 182ter legge fall.: trattasi, per un verso, di un procedimento di diritto
tributario (alla luce del suo particolare oggetto, nonché del soggetto cui è demandata
la valutazione della proposta di transazione), che si snoda attraverso un iter (istanza,
fase istruttoria, fase valutivo - decisoria) pressoché identico a quello di ogni altro
procedimento amministrativo tout court. Per altro verso, la collocazione del
medesimo nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, o in sede di
trattative antecedenti la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti, fanno
della transazione fiscale un procedimento (o meglio un sub-procedimento) di
carattere concorsuale, funzionale alla ricerca di una soluzione concordata della crisi
d’impresa, perfettamente aderente alla ratio sottesa al concordato preventivo ed agli
accordi ex art. 182bis.
Alla luce di tali presupposti si è cercato di attribuire al concetto, invero
alquanto atecnico ed impreciso, di “consolidamento del debito fiscale” un significato
che tenga conto, innanzitutto, della normativa tributaria. Si è visto dunque che il
consolidamento non può comportare l'estinzione dei poteri accertativi di cui
l'Amministrazione finanziaria è investita, ben potendo l'ufficio precedere,
successivamente all'omologazione del concordato ed in via pur sempre eventuale, ai
controlli di merito sui tributi e sulle annualità oggetto della proposta di transazione;
ciò, ovviamente, nel rispetto delle condizioni (rilevazione di fatti e circostanze che
indichino una base imponibile maggiore rispetto a quella dichiarata dal contribuente)
e dei termini decadenziali (i quali variano a seconda del tipo di imposta considerata)
contemplati dal legislatore tributario. La disciplina di cui all'art. 182ter, infatti, non è
suscettibile di apportare deroghe alle disposizioni legislative disciplinanti l'esercizio
380
dei menzionati poteri accertativi.
Sul versante concorsuale, poi, la norma di cui al comma 2 deve essere
interpretata in senso conforme al quadro in cui essa è inserita, ossia compatibilmente
con i principi generali che governano la procedura di concordato preventivo, di cui la
transazione fiscale costituisce una fase, o meglio un sub-procedimento, fra l'altro
solo eventuale ed accessorio. Pertanto, il “consolidamento del debito fiscale” finisce
per partecipare inevitabilmente del carattere procedimentale o endo-concorsuale
della transazione fiscale: nel senso di configurarsi come definitiva quantificazione
del complessivo credito erariale valevole ai soli fini della determinazione del voto
spettante all'ufficio nell’adunanza dei creditori, nonché del quantum da soddisfare,
sia pure in misura percentuale e/o dilazionata, in sede di esecuzione del concordato,
una volta ottenuta l'omologazione.
Ad analoghe conclusioni si è pervenuti per quanto attiene alla transazione
perfezionata in sede di accordi di ristrutturazione dei debiti, con la precisazione che
in tale evenienza la cristallizzazione del debito d'imposta deve essere intesa
esclusivamente nel secondo senso, mancando la fase della votazione: il
consolidamento, dunque, è da intendersi come quantificazione definitiva delle
pretese impositive già esistenti, che andranno soddisfatte in misura ridotta o per
l’intero, a seconda che l'Amministrazione abbia espresso o meno il proprio assenso
sulla proposta transattiva (e dunque a seconda della sua configurazione in termini di
creditore “aderente” all'accordo di ristrutturazione o creditore “estraneo”).
La “cristallizzazione” delle obbligazioni tributarie, dunque, dovrebbe essere
circoscritta in primo luogo al debito derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni
fiscali, intesa come controllo delle medesime effettuato per il tramite di procedure
automatizzate, finalizzate alla rilevazione di errori commessi dal contribuente in sede
di compilazione della dichiarazione, ovvero di ritardi e/o omissioni nel pagamento
del quantum dichiarato: la preclusione, in altri termini, riguarderebbe la sola attività
liquidatoria in senso stretto, ovvero quella disciplinata dagli artt. 36bis del d.P.R. n.
600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633/1972, la cui portata è stata esaminata nel capitolo
III.
In secondo luogo, la cristallizzazione concernerebbe il debito d'imposta già
accertato, ossia le pretese risultanti da atti impositivi precedentemente notificati al
381
contribuente e riepilogati nella certificazione rilasciata dall'ufficio, fatti salvi
eventuali ed ulteriori controlli di merito.
L'intento del legislatore è stato quello di circoscrivere la definitiva
quantificazione dell'ammontare da ammettere alla procedura di concordato alle sole
pretese impositive già emerse a seguito di un'attività accertativa condotta
precedentemente all'instaurazione della procedura concorsuale, ovvero a quelle che
potrebbero emergere all'esito di controlli sulle dichiarazioni fiscali piuttosto rapidi e
non molto complessi, quali quelli svolti in sede di liquidazione automatizzata.
Stando così le cose, sembrerebbe a prima vista che tale lettura non si conformi
pienamente a quella tesi dottrinale722 che ravvisa la ratio della transazione fiscale
nella volontà di porre un argine al fenomeno, particolarmente diffuso in passato,
delle sopravvenienze dei debiti tributari nel corso di una procedura di concordato,
che alterava gravemente la fattibilità dei piani concordatari: la certezza della massa
passiva da soddisfare in moneta concordataria, infatti, era minata proprio dalla
lievitazione del debito fiscale conosciuto o conoscibile in base alle scritture contabili,
dovuta alla possibilità che entro i non brevi termini di decadenza contemplati dal
diritto tributario il debitore fosse raggiunto da accertamenti non preventivati, con il
loro inevitabile carico di interessi e sanzioni (spesso di importo rilevante). Tale
rischio, paradossalmente, sarebbe tanto maggiore quanto più grave è lo stato di
decozione dell'impresa, in quanto, pur a fronte di una situazione che generalmente
esclude la produzione di redditi tassabili, quantomeno nell'ultimo periodo, è un dato
di fatto generalmente assodato la tendenza dell'imprenditore a sottovalutare gli
adempimenti nei confronti di un creditore, qual è il Fisco, visto come lontano e
comunque non pressante nell'immediato723. Secondo tale corrente dottrinale, dunque,
il consolidamento, da intendersi in termini di definitiva cristallizzazione del debito
d'imposta esistente alla data di attivazione della procedura, o meglio nei trenta giorni
dall'avvio della medesima, avrebbe la funzione fondamentale di rimuovere uno dei
722
Cfr. ex multis V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi
sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, in AA. VV., La crisi di impresa. Questioni
controverse del nuovo diritto fallimentare, a cura di F. DI MARZIO, Cedam, Padova, 2010, 380.
723
Cfr. V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi
sull'ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, cit., 380.
382
principali ostacoli alla soluzione concordata della crisi di impresa.
A tutto ciò si aggiungerebbe, sempre a detta di questa dottrina, l’intenzione di
osteggiare l'atteggiamento diffusamente adottato dai funzionari dell'Agenzia delle
Entrate, tradizionalmente arroccati su rigide posizioni di rigetto di ogni soluzione
transattiva, e dunque poco propensi alla rinuncia formale, sia pur solo parziale, ad un
credito da sempre qualificato come indisponibile.
Si consideri che tale problema sembra interessare soprattutto l’ordinamento
giuridico italiano, laddove in altre realtà il dogma dell’indisponibilità delle
obbligazioni fiscali sembra essere non così radicato, e l’azione dell’Amministrazione
finanziaria avviene con maggiore celerità. Si pensi all'ordinamento statunitense, in
cui i debiti per imposte sul reddito (income tax debts), siano essi statali o federali,
sono suscettibili di discharge sia nell'ambito della procedura di Liquidation
disciplinata dal Chapter 7 del Bankruptcy Code, sia nell'ambito della procedura di
Reorganization di cui al Chapter 11724, purché soddisfino determinati requisiti725. In
assenza di detti presupposti i debiti d'imposta godono di privilegio (priority) di
ottavo grado, ai sensi di quanto dispone il Chapter 5, Section 07726; in sede di
724
La proposizione di un'istanza di fallimento (filing for bankruptcy), infatti, è uno dei 5 modi per
ottenere la liberazione dai debiti d'imposta (getting out of tax debts). Gli altri 4 sono: a) installment
agreement (accordo per un pagamento a rate mensili); b) partial payment installment agreement
(accordo per un pagamento rateale parziale), c) offer in compromise (pagamento in unica soluzione
con riduzione dell'importo dovuto); d) not currently collectible (sospensione del pagamento
accordata dall'Internal Revenue Service, ossia l'Agenzia nazionale competente in materia di
imposizione fiscale). Prima che la procedura di Chapter 7 o 13 sia concessa il proponente deve
dimostrare di aver presentato all'IRS le ultime 4 dichiarazioni dei redditi: queste vanno presentate
al più tardi entro la data prevista per la prima riunione dei creditori. Inoltre è richiesta la copia
della più recente dichiarazione dei redditi, da fornire alla corte fallimentare e, su richiesta, anche ai
creditori.
725
In particolare, la data per presentare la dichiarazione dei redditi, da cui scaturisce il debito di
imposta, deve essere precedente di almeno tre anni la presentazione dell'istanza di bankruptcy; la
dichiarazione deve essere stata presentata almeno 2 anni prima la proposizione dell'istanza;
l'accertamento tributario (tax assessment) da parte dell'IRS deve essere precedente di almeno 240
giorni la proposizione dell'istanza; la dichiarazione non è fraudolenta; il contribuente non è
colpevole di evasione fiscale.
726
In particolare, il privilegio è accordato a: a) imposte sul reddito relative ad anni di imposta che
terminano con la presentazione dell'istanza di fallimento o prima, la cui dichiarazione, se dovuta,
scade (incluse eventuali proroghe) nei tre anni precedenti la presentazione dell'istanza, ovvero
imposte sul reddito accertate nei 240 giorni precedenti la presentazione dell'istanza, oppure ancora
imposte sul reddito ancora suscettibili di accertamento; b) imposte patrimoniali (property tax on
real estate) sorte prima dell'inizio della procedura, e pagabili entro l'anno precedente la
presentazione dell'istanza di bankruptcy; c) ritenute d'acconto trattenute dal debitore; d) imposte su
stipendi, salari e commissioni corrisposti dal debitore (employment tax), per le quali la relativa
383
reorganization tali crediti, insieme ai relativi interessi, andranno soddisfatti in sei
anni. Ancora, ai sensi del medesimo Chapter 5, Section 23, la falcidia non può aver
luogo qualora la dichiarazione, se dovuta, non è stata presentata, o è stata presentata
tardivamente.
Viceversa, l'Enterprise Act britannico del 2002 ha espunto dalla categoria dei
crediti privilegiati (preferential debts) i debiti per imposte e tasse, relegandoli al
rango di crediti chirografari.
Tornando alla realtà italiana, la validità della soluzione interpretativa che si è
tentato di prospettare potrebbe essere recuperata circoscrivendo il consolidamento, e
dunque la cristallizzazione del carico fiscale, alle sole pretese impositive già
accertate, o emergenti dalla liquidazione automatizzata delle dichiarazioni fiscali
presentate sino alla data di proposizione dell'istanza di transazione.
La ratio della norma di cui al comma 2 sarebbe quella di impedire che dopo il
rilascio della certificazione, o comunque dopo il decorso del termine di trenta giorni
all'uopo contemplato, l'ufficio possa pretendere l'ammissione al passivo
concordatario di debiti ulteriori, già esistenti o comunque derivanti da controlli
piuttosto rapidi e non molto complessi. In tal modo si impedirebbe
all'Amministrazione finanziaria, rimasta in un primo momento colposamente inerte,
di avanzare in un secondo momento pretese che avrebbero ben potuto essere fatte
valere nei termini previsti dal legislatore concorsuale: termini piuttosto ridotti, per la
verità, ma consoni rispetto alle serrate scadenze che connotano la procedura di
concordato, e concepiti essenzialmente allo scopo di garantire il debitore proponente
e gli altri creditori concorsuali. L'intento, infatti, è quello di rendere edotti tali
soggetti del reale ammontare del carico tributario già esistente, consentendo loro di
misurare su di esso le proprie valutazioni (concernenti dal lato del debitore il riparto
delle limitate risorse a disposizione, e dal lato dei creditori destinatari della proposta
concordataria la convenienza della medesima).
Ne consegue che la preclusione, così intesa, si concilierebbe con l'intento
dichiarazione scade nei tre anni anteriori alla presentazione dell'istanza di bankruptcy; e) imposte
sulle transazioni (excise tax) compiute prima della presentazione dell'istanza di fallimento, per le
quali è richiesta una dichiarazione entro i tre anni precedenti, oppure, se non è richiesta una
dichiarazione, concluse nei tre anni precedenti; f) dazi doganali (customs duty) applicati su merci
importate per il consumo nell'anno precedente la presentazione dell'istanza, coperti da un'entrata
liquidata o riliquidata nell'anno precedente.
384
legislativo di limitare al massimo l’emersione di nuovi carichi tributari in corso di
procedura, ponendo uno sbarramento temporale oltre il quale non sarà più possibile
per il creditore pubblico far valere pretese impositive già accertate, o agevolmente
accertabili.
Va rilevato, tuttavia, che se gli ordinari poteri accertativi restano salvaguardati
dal punto di visto giuridico, sembrerebbe piuttosto ravvisabile una preclusione di
tipo “pratico” o “fattuale” al proficuo esercizio dei medesimi in un momento
successivo alla chiusura della procedura di concordato. Si pensi all’ipotesi di
concordato societario con cessione di beni e successiva estinzione della società
istante: in tal caso non vi sarebbe più un soggetto nei confronti del quale far valere le
pretese accertate dopo la chiusura della procedura concordataria.
Tale considerazione si connette al problema più generale della sorte dei crediti
anteriori ad un concordato con cessione di beni, che non abbiano partecipato alla
procedura ma siano emersi solo successivamente all’omologazione ed all’esecuzione
del concordato. Nel silenzio del legislatore non è chiaro quale debba essere il
trattamento da riservare alle suddette pretese: qualcuno in dottrina ha sostenuto che
l’unica soluzione potrebbe essere quella di riconoscere una legittimazione passiva
pro quota in capo ai creditori cessionari, atteso che il concordato avrebbe nei
confronti del debitore una definitiva efficacia liberatoria727. Altri, invece, fanno leva
sulla distinzione tra concordato traslativo, che comporta l’immediato trasferimento in
capo ai creditori della titolarità dei beni d’impresa728, e concordato liquidatorio, in cui
ai creditori è attribuito la sola disponibilità dei medesimi: se nel primo caso le
ragioni dei creditori sopravvenuti potranno essere fatte valere nei confronti dei
cessionari, comproprietari dei beni ceduti, nel secondo sarà possibile agire nei
727
In tal senso cfr. MICCIO, La cessione dei beni nel concordato, Giuffrè, Milano, 1953, 279, nonché
F. DEL VECCHIO, Il divieto di azioni esecutive nel concordato preventivo, in Fall., 1995, 700,
secondo cui l’efficacia liberatoria deriva dalla sentenza di omologazione.
728
Sulla “cessione traslativa”, che devolve ai creditori la proprietà dei beni, nel senso che la titolarità
(e non la mera disponibilità) dei medesimi viene attribuita ai creditori, che costituiscono una
comunione indivisa caratterizzata dall’indeterminatezza dei soggetti e dall’elasticità delle quote,
cfr. F. FILOCAMO, Commento sub art. 168, in M. FERRO, La legge fallimentare. Commentario
teorico – pratico, cit.,1265. Negli stessi termini cfr. anche M. VITIELLO, Il concordato per
cessione dei beni, in S. AMBROSINI – P. G. DEMARCHI – M. VITIELLO, Il concordato
preventivo, cit., 359 e ss.
385
confronti del debitore, che conserva la titolarità dei beni fino alla vendita, ossia fino
all’integrale esecuzione della proposta729.
Le difficoltà pratiche di tale soluzione interpretativa indurranno
l’Amministrazione ad esercitare subito i propri poteri accertativi (specie in presenza
di processi verbali, inviti o ulteriori elementi istruttori già a disposizione
dell’ufficio), onde evitare la perdita di materia imponibile inevitabilmente connessa
alla successiva scomparsa del soggetto passivo d’imposta.
Quanto, poi, all'effetto estintivo di cui al comma 5, anche per esso si è cercato
di delineare una soluzione interpretativa che concili tale disposizione vuoi con la
normativa tributaria, vuoi con quella concorsuale.
Sotto il primo profilo, occorre considerare che l'Amministrazione finanziaria
sarà comunque interessata all'estinzione del contenzioso, posto che la cessazione
della materia del contendere per intervenuta conclusione di una transazione fiscale
rende definitiva la pretesa contenuta nell'atto impositivo impugnato, nonostante la
relativa falcidia. Il debitore, da par suo, avrà interesse all'immediata cessazione della
lite qualora l'esito del contenzioso si profili a lui sfavorevole, onde evitare l'addebito
delle spese processuali, in aggiunta all’onere di dover corrispondere il maggior
debito d’imposta, sia pure solo parzialmente; diversamente, nel caso in cui sia
prevedibile l'accoglimento del proprio ricorso, a fronte della manifesta infondatezza
o eccessiva gravosità della pretesa impositiva sub iudice, è naturale che
l'imprenditore opterà per un'esclusione della medesima dal novero delle obbligazioni
tributarie oggetto della proposta di transazione, al fine di ottenere la prosecuzione del
contenzioso in atto, che si concluderà con il probabile annullamento dell’atto
impositivo.
Inoltre, sul versante propriamente concorsuale, tale lettura consentirebbe di
conciliare la disposizione di cui trattasi con la regola generale della prosecuzione (o
instaurazione ex novo) degli ordinari giudizi di cognizione, di cui al comma 1
dell'art. 176: la possibilità di “selezionare” le controversie tributarie da estinguere,
729
Cfr. A. BONSIGNORI – E. FRASCAROLI SANTI – G. NARDO – M. ZOPPELLARI, Il
concordato preventivo e quello stragiudiziale, in Le procedure concorsuali. Procedure minori,
Trattato diretto da G. RAGUSA MAGGIORE e C. COSTA, Utet, Torino, 2001, I, 118.
386
infatti, permette di “salvaguardare” il residuo contenzioso, lasciando il debitore
libero di impugnare pretese non condivise nell'an o nel quantum, al pari di quanto
avverrebbe con qualsivoglia altra tipologia di credito ammesso a partecipare ad una
procedura concordataria.
Per concludere, lo scopo del consolidamento e dell'estinzione delle liti in corso
sarebbe dunque quello di quantificare il debito erariale in modo chiaro, rapido e
soprattutto definitivo, realizzando in seno alla procedura concordataria un assetto
stabile e trasparente dei rapporti fra l'imprenditore in crisi ed il Fisco.
Ciò anche al fine di consentire agli altri creditori concorsuali di esprimere un
“consenso informato” sulla proposta di concordato, partecipando alle operazioni di
voto nella piena consapevolezza delle reale situazione economica e finanziaria
dell'impresa e delle effettive possibilità di riuscita del piano di cui all'art. 160. E’
ovvio, infatti, che la successiva emersione di debiti d'imposta già accertati, di cui
costoro non erano ancora a conoscenza al momento della votazione, ridurrebbe le
risorse destinate al soddisfacimento delle loro pretese, pregiudicandone gli interessi,
e finirebbe così per determinare una situazione che, se conosciuta prima, ben
difficilmente li avrebbe indotti ad esprimere il loro assenso sulla proposta di
concordato.
Alla base delle disposizioni di cui all'art. 182ter vi sarebbe dunque una duplice
esigenza: da un lato, quella di assicurare una maggiore certezza, relativamente non
solo al complessivo ammontare dei debiti d’imposta da soddisfare nell'ambito del
concordato, ma anche al carattere privilegiato o meno degli stessi, alla definitività o
meno dei rispettivi titoli costitutivi, alla riferibilità del credito erariale al solo tributo
o anche ai relativi accessori. Dall'altro lato, si pone un'esigenza di celerità, in perfetta
aderenza con i caratteri propri della procedura concordataria, nell’ambito della quale
la necessità di una sollecita definizione consensuale della crisi è nettamente
prevalente su ogni altro interesse o valore: pertanto, la quantificazione del debito
tributario andrebbe effettuata entro il ridotto lasso temporale rigorosamente prescritto
dal legislatore (trenta giorni dalla presentazione della proposta di transazione), da
reputarsi perentorio proprio in considerazione dei tempi serrati che caratterizzano
l'intera procedura di concordato preventivo.
387
Se l'intento di garantire maggiore certezza e rapidità nella determinazione dei
crediti erariali ammessi a partecipare ad una procedura di concordato è
indubbiamente condivisibile, discutibili però sono le concrete modalità con cui il
legislatore ha inteso realizzarlo: il testo dell'art. 182ter, infatti, contiene soltanto un
accenno ai due effetti peculiari per mezzo dei quali si sarebbe inteso perseguire quel
duplice obiettivo, finendo per sollevare molteplici difficoltà interpretative, su cui
tuttora è serrato il dibattito in dottrina e giurisprudenza, come si confida di aver
illustrato nei capitoli precedenti.
389
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