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La cultura del restauro - lettere.uniroma1.it - Curzi... · Alcune carte inedite e qualche appunto...

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La cultura del restauro Modelli di ricezione per la museologia e la storia dell’arte Campisano Editore
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La cultura del restauroModelli di ricezione per lamuseologia e la storia dell’arte

Campisano Editore

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L’editore è a disposizione degli aventidiritto per quanto riguarda le fontiiconografiche e letterarie non individuate.

Atti del Convegno Internazionale La cultura del restauro. Modelli di ricezione per la museologia e la storia dell’arte, a cura di Maria Beatrice Failla, Susanne Adina Meyer, Chiara Piva(Roma, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme -Università La Sapienza, 18-20 aprile 2013)

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a cura di

Maria Beatrice FaillaSusanne Adina MeyerChiara PivaStefania Ventra

Campisano Editore

La cultura del restauroModelli di ricezioneper la museologia e la storia dell’arte

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In copertinaMauro Pelliccioli e Ettore Modigliani, 1934, ritaglio di giornale, Lurano (BG), AssociazioneGiovanni Secco Suardo, Archivio Mauro Pellicioli

Testo realizzato con il contributo del PRIN (Ricerca diRilevante Interesse Nazionale del Ministero dell’Istruzionedell’Università e della Ricerca) per il progetto “Cultura del restauro e restauratori, modelli di ricezione per la museologia e la storia dell’arte antica e moderna. Un archivio informatizzato”, coordinatore scientificonazionale Michela di Macco, Sapienza Università di Roma.

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Indice

pag. 9 PrefazioneMaria Beatrice Failla, Susanne Adina Meyer, Chiara Piva, Stefania Ventra

12 Riflessioni in introduzioneMichela di Macco

SEZIONE I - OPERE E FONTI

23 “Vetri specchianti”. Introduzione alla sezione opere e fontiSusanne Adina Meyer

31 Sepolte e salvate. Le Sibille della chiesa di Sant’Eligio al mercato a NapoliMaria Ida Catalano

47 Tutela, dispersione e musealizzazione del patrimonio artistico italianonell’800: il caso delle tavole dei Crivelli a Massa FermanaPatrizia Dragoni

61 Riflessioni sulle vicende conservative di opere d’arte a Venezia durante la seconda dominazione austriacaEva Maria Baumgartner

73 Carl Friedrich von Rumohr e il discorso sul restauro nella Germania d’inizio OttocentoAlexander Auf der Heyde

85 Tommaso Minardi e il restauro come condizione necessaria per una storia dell’arteStefania Ventra

101 Le Logge di Raffaello in Vaticano, dalla conservazione al restauroFederica Giacomini

113 Una nota sul restauro delle Logge di RaffaelloDaniela Bartoletti

117 Restauri, tecniche esecutive e questioni di attribuzione nel Camerino FarneseSilvia Ginzburg

133 Restaurare con l’“occhio del tempo”: i frammenti di PiranesiValter Curzi

143 Greek Art, French Chemistry: an Early Encounter (Late XVIIIth - Early XIXth Centuries)Brigitte Bourgeois

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155 18th and 19th Century Italian Conservations and Greek Vases in RussiaAnastasia Bukina, Anna Petrakova

173 Il de-restauro di antiche statue marmoree nei musei tedeschi nel XIX e XX secoloAstrid Fendt

185 La scultura lignea policroma barocca in Baviera: i suoi restauri storici e attuali fra conservazione museale e DenkmalpflegeUrsula Schädler-Saub

205 Corsi e ricorsi della storia dell’arte. Gli altari di Torcello e Murano dal Medioevo al Barocco e ritornoMichela Agazzi

221 Un “monumento mancato”: Santa Maria in Castello a Tarquinia. Abbozzo per una storia critica e conservativaIlaria Miarelli Mariani, Ilaria Sgarbozza

237 Per un’indagine sulla fortuna collezionistica degli antichi affreschi italiani (strappati e staccati) in Europa e negli Stati UnitiLuca Ciancabilla

249 Distacco storico di una pittura gotica nella chiesa di San Sebaldo a Norimberga - studio e conservazione della sua storia del restauroKátia Mühlbach dos Santos

261 The Way from Excavation to Museum’s Display: Stucco Mural Decorations from SamarraJutta Maria Schwed

SEZIONE II – MUSEI E TUTELA

269 Cultura del restauro e ordinamenti musealiMaria Beatrice Failla

279 La tutela come esperienza identitaria: una campionatura fra Otto e NovecentoMarta Nezzo

291 Arte medievale e allestimenti museografici nella Catalogna di primoNovecento: questioni d’identità nazionale di lunga durataXavier Barral i Altet

305 Interventi di restauro e politica – la storia del restauro dell’Hôtel de Beauharnais dall’Impero Tedesco fino al 1968Jörg Ebeling

321 1848-1850: «For a successful revolution». The Policy of Jeanron, Villot and Reiset Regarding the Department of Drawings of the Louvre MuseumNatalie Coural, Laëtitia Desserrières, Irène Julier

335 Il dibattito sulla pulitura dei dipinti della National Gallery e del Louvre alla metà dell’Ottocento: alcune considerazioni generaliGiuseppina Perusini

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351 Modifiche dimensionali, adattamenti, trasformazioni: la storia conservativacome traccia per la fortuna critica di alcuni dipintiAngela Cerasuolo

369 Dalla quadreria nobiliare al museo pubblico: note su alcuni interventi direstauro per la Galleria nazionale d’arte antica di Roma fra XIX e XX secoloPaola Nicita

387 Un contributo alla conoscenza delle procedure dei restauri ottocenteschinelle pitture della collezione StrossmayerLjerka Dulibic, Iva Pasini Tržec

401 Ancient Classical Sculptures of the New Hermitage in the 19th Century:Studies in the History of RestorationEkaterina Andreeva, Svetlana Petrova

415 Conservazione e restauro del contemporaneo: i primi passi nella Galleria nazionale d’arte modernaFrancesca Gallo

431 In viaggio per i musei d’Europa negli anni Trenta del Novecento. Studi di Biagio Biagetti per la Pinacoteca VaticanaSilvia Cecchini

447 Una «piccola reggia delle lettere e delle arti». Allestimenti e restauri alla Pinacoteca Ambrosiana durante il fascismoSilvia Colombo

457 Restauro e museo d’arte contemporanea: relazioni e conflittiAntonella Gioli

471 Integrazione o pura manutenzione? Gli interventi di Giuseppe Franzoni, Michele Ilari, Domenico Piggiani e Antonio d’Este sulle sculture del Museo Capitolino (1805-1838)Chiara Mannoni

485 Tutela e conservazione in Friuli tra Otto e Novecento. Gli altari ligneiMartina Visentin

503 Giulio Cantalamessa e l’allestimento della Galleria EstenseElena Corradini

513 Antonio Muñoz e la cultura del restauro a Roma nel primo Novecento. Una rilettura critica dei restauri attraverso le testimonianze fotografiche della Fototeca ZeriGiulia Calanna

527 Antonio Morassi e Orlando Grosso. Il ruolo delle istituzioni nella conservazione delle opere d’arte a Genova negli anni della seconda guerra mondialeMaddalena Vazzoler

SEZIONE III – FUNZIONI E BIOGRAFIE

543 Quali biografie per i restauratori? Cultura del restauro e problemi di metodo: il “caso” del restauro Pellicioli sulla pala di CastelfrancoChiara Piva

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555 La storia del restauro e il mestiere di storico dell’arte, da Alessandro Conti a Roberto LonghiMassimo Ferretti

569 La conservazione delle opere d’arte e il dibattito intellettuale a Venezia nell’Ottocento: il ruolo di Emmanuele Antonio CicognaIsabella Collavizza

581 Mastro di Palazzo Ducale, prima che archeologo: Giacomo Boni e la Venezia dell’OttocentoMyriam Pilutti Namer

595 Attilio Steffanoni (1881-1947). Biografia di un collezionista restauratoreCristina Giannini

607 Le lettere di Johannes Taubert a Konrad Riemann 1957-1975. La cultura del restauro e la guerra freddaThomas Danzl

623 Mauro Pelliccioli, un restauratore alla corte di Monaco. Alcune carte inedite e qualche appunto preliminare per una ricercaGiulia Savio

629 Conoscenza, tutela e conservazione negli scritti di Cosimo De Giorgi (1842-1922)Daniela Caracciolo

641 Leonetto Tintori, il trasporto della pittura murale e il ciclo pittorico di Sonqi TinoAnna Maria Marinelli, Barbara Provinciali

653 Il lascito documentario del restauratore Luis Roig d’Alós (Valenza, 1904-1968)Lucía Bosch Roig,Vicente Guerola Blay, José Antonio Madrid García

661 Il progetto nazionale ASRI, Archivio Storico Nazionale e Banca Dati dei Restauratori ItalianiLanfranco Secco Suardo

683 I progetti sulla storia del restauro in SpagnaPilar Roig Picazo, Lucía Bosch Roig,Pilar Soriano Sáncho, Juan Valcarcel Andrés

691 Riflettere sul passato per capire il presenteGianluigi Colalucci

697 Riflessioni in prospettivaOrietta Rossi Pinelli

APPARATI

703 Gli autori

709 Indice dei nomia cura di Maria Maddalena Radatti

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«Sono già qui da sette giorni, e a poco a poco si precisa nel mio animo un’idea ge-nerale di questa città. La percorriamo in ogni senso con scrupolo; io mi familiarizzocon la topografia dell’antica e della nuova Roma, osservo rovine e edifizi, esploro que-sta e quell’altra villa, lentamente m’accosto alle maggiori bellezze e non faccio cheaprire gli occhi e guardare, che andare e venire, giacché solo a Roma ci si può prepara-re a comprendere Roma. Ma confessiamolo è una dura e contristante fatica quella discovare pezzetto per pezzetto, nella nuova Roma, l’antica: eppure bisogna farlo, fidan-do in una soddisfazione finale impareggiabile» 1.

Roma antica appare agli occhi di Goethe, entusiasta esploratore dopo l’arri-vo in città nel novembre del 1786, in uno stato frammentario che chiede all’e-rudizione e alla cultura visiva dello scrittore il considerevole sforzo della ri-composizione del disegno unitario.

La produzione calcografica di Giovanni Battista Piranesi, all’apice del suc-cesso commerciale per quanto concerne il repertorio delle immagini di Roma,fu – non abbiamo motivo di dubitarne – parte integrante del bagaglio visivocon cui il poeta si apprestò a scoprire l’Urbe 2; ma c’è, a mio avviso, dell’altro:all’educazione dell’occhio di Goethe sulle incisioni di Piranesi dovrà riferirsiin particolare l’inclinazione del poeta a osservare, fin da subito, la città nellasua stratificazione storica a partire dalle epoche più antiche. Città di relitti, divestigia e lacerti, di “rovine parlanti” come le definisce lo stesso giovane Pira-nesi, principale artefice di un immaginario collettivo che percepisce Roma,nell’avanzato Settecento, come superbo accumulo di reliquie del passato.

Non c’è frontespizio delle raccolte incisorie di Piranesi, nell’arco della suaintera carriera, che non rinvii allo sguardo dell’autore su una città in cui i segnidi una storia gloriosa riemergono dal caos della massa dei frammenti 3. Non diun’immagine struggente e malinconica si tratta, ma della certificazione di undato di partenza da cui lo stesso incisore muove con un’operazione che ha pri-ma di tutto il compito di restituire ordine e chiarezza. Quale che sia il soggettoscelto da Piranesi per le sue incisioni, l’autore da autentico rappresentate dellospirito illuminista, si pone nell’ottica di chi con fiducia restituisce sistematicitàal disordine attraverso uno scrupoloso e attento lavoro di documentazione, dicatalogazione, di studio e, quando necessario, di interpretazione.

Nell’introduzione del 1762 alla raccolta di incisioni di Campo Marzio, l’ope-ra più erudita di Piranesi e al tempo stesso lo sforzo più significativo nell’am-

Restaurare con l’“occhio del tempo”: i frammenti di PiranesiValter Curzi

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bito della restituzione storica della città antica, l’incisore veneziano si rivolge aRobert Adam, didicatario del volume, con le seguenti parole:

«posso con verità protestarvi, non esservi stata parte così picciola del Campo, laquale io non abbia più volte e con attenzione esaminata, avendo anche, affinché nullavi sfuggisse, visitato non senza incomodo e spesa gl’intimi sotterranei della case» 4.

Una perlustrazione, quella segnalata da Piranesi all’amico scozzese, finaliz-zata alla raccolta di rilievi e disegni da sottoporre, come ricordato dallo stessoautore, all’attenzione di «soggetti intendentissimi di antichità».

Dalla testimonianza di Piranesi se ne desume una metodologia di ricerca fa-miliare allo stesso Adam che con il veneziano aveva condiviso, una decina dianni prima dell’uscita del volume nel corso del lungo soggiorno romano del-l’architetto, la perlustrazione palmo a palmo di Roma, oltre che della Villa diAdriano a Tivoli. Ne era scaturita, per entrambi, una mole significativa di dise-gni tratti dai monumenti antichi visitati. Un repertorio che amatori dell’anticoe studiosi, dopo l’esperienza belloriana, ritengono indispensabile e alla base diogni pratica conoscitiva, messi a confronto con il più ampio numero di fontidei secoli precedenti sia letterarie, sia grafiche.

Adam, destinato in Inghilterra a una brillantissima carriera di architetto,ben più fortunata di quella di Piranesi, aveva peraltro potuto dimostrare, mol-to prima della progettazione piranesiana degli anni Rezzonico, ma di certo susollecitazione dello stesso incisore, quale risorsa impareggiabile una tale rac-colta avrebbe potuto costituire per la professione. Lo scozzese non avrebbemai smesso di ispirarsi a quei fogli accumulati negli anni romani per i partitidecorativi dei suoi edifici, secondo un infinito gioco combinatorio di motivi esoluzioni ornamentali 5. In definitiva, la ricerca di un sistema compositivo uni-tario che sfrutta il singolo elemento, il dettaglio tratto dall’antico, in una gram-matica nuova che, nonostante le non poche deroghe e contraffazioni dell’ar-chitetto, apparì agli occhi dei contemporanei, nel momento della messa inopera, quanto di più vicino si potesse immaginare ai nobili interni degli edificiromani imperiali 6.

Nel caso di Campo Marzio le fonti di riferimento di Piranesi – definito nona caso pochi anni dopo da Legrand «homme d’une grande Erudition, qui pos-sédait à fond ses ancien auteurs» 7 – sono numerosissime, a partire dalle piùantiche riconducibili ai nomi di Plinio, Varrone, Tito Livio, Cicerone, Sveto-nio, Marziale, Tacito, Virgilio, Ovidio, Vitruvio, Frontino. I frammenti dellapianta marmorea severiniana, da poco sistemati in Capidoglio, costituisconoinoltre un ulteriore strumento di grande utilità per la ricostruzione della topo-grafia antica dell’area. Nonostante studi e sopralluoghi, non mancano nella ri-costruzione di Campo Marzio di Piranesi numerose incongruenze frutto diun’immaginazione ritenuta del tutto legittima nella ricerca archeologica delSettecento. Immaginazione e cultura visiva dell’epoca sopperiscono la man-canza dei dati archeologici in una commistione di verità e di invenzione, nondistante dall’esperienza progettuale di Adam, della quale sembra non avvertir-si in alcun modo la contraddizione.

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1. Francesco Bianchini, Girolamo Rossi, Ricostruzione dei Palazzi Imperiali, in Francesco Bianchini,Del Palazzo de’ Cesari, Verona 1738

RESTAURARE CON L’“OCCHIO DEL TEMPO”: I FRAMMENTI DI PIRANESI 135

Basterebbe a tal riguardo osservare la prima ricostruzione del Palazzo deiCesari (fig. 1), seguita agli scavi sul Palatino tra il 1720 e il 1729, da parte diFrancesco Bianchini 8. Che l’imponente alzato del palazzo imperiale assomiglipiù a una maestosa residenza moderna che non a un edificio classico è cosache ci stupirebbe se non tenessimo bene in mente il peso della cultura visivadell’epoca per la quale all’idea di monumentalità e di nobiltà, che necessaria-mente si addice a una dimora imperiale, non possono che essere associate nelcontesto romano soluzioni rinascimentali e barocche di particolare impatto vi-sivo, così che ritroviamo rievocati nella ricostruzione di Bianchini il cortilebramantesco della Pigna e il colonnato berniniano di Piazza San Pietro.

Nel valutare criticamente Piranesi restauratore nell’ambito della sua attivitàdi mercante di antichità romane 9, sarà necessario porsi in primo luogo unasemplice, ma cruciale domanda: come è possibile che oggetti oggi riconoscibilifacilmente come frutto della fantasia progettuale dell’artista venissero all’epo-ca ritenuti manufatti antichi? La risposta la si dovrà cercare tenendo in grandeconsiderazione “l’occhio dell’epoca”, che lo stesso Piranesi, tramite la sua atti-vità di incisore, contribuì a formare in un momento fondante della pratica del-la documentazione visiva dell’Antico 10.

Può essere utile, innanzitutto, documentare come l’artista sia stato ben pre-sto suggestionato e attratto dal frammento archeologico, utilizzato sia per ilsuo valore documentario, sia per l’aspetto evocativo. Con la prima monumen-tale opera calcografica Le Antichità romane, del 1756, Piranesi scelse di far pre-cedere la visione dei monumenti antichi di Roma dall’illustrazione dei fram-menti della pianta marmorea severiniana, introdotti a loro volta dalla piantaurografica della città circondata dai resti della Forma Urbis. È tuttavia nel se-condo e nel terzo volume delle Antichità, dedicati alle camere sepolcrali, cheemerge un espediente documentario inedito sul quale vale la pena di soffer-

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marsi. Il desiderio di sfuggire all’ordine schematico e rigidamente catalografi-co dei testi di Ghezzi, di Bianchini, di Gori che lo avevano preceduto nell’illu-strazione dei sepolcri 11, non solo gli aveva suggerito tavole in cui reperti di ca-tegorie antiquarie differenti vengono presentati secondo uno studiato disordi-ne, ma di ideare sorprendentemente egli stesso nuove rovine. Nel documenta-re infatti volte in stucco e dipinti murali, come nel caso della Piramide Cestiao della Camera della famiglia Arrunzia, Piranesi seleziona i dettagli figurativipiù interessanti e li mescola, in forma di frammento, agli altri oggetti rinvenutiin loco (fig. 2). Essi sono dunque resi disponibili nella loro evidenza di dettaglidecorativi e iconografici, pronti per nuovi assemblaggi in grado di sottrarre laloro memoria alle “ingiurie” del tempo, come sembrano lasciare intendere iprofili frastagliati, le crepe e la materia smozzicata dei resti disegnati da Pira-nesi. Il ritrovare alcuni di questi motivi decorativi reimpiegati nell’attività pro-gettuale di Piranesi, in S. Maria del Priorato in primo luogo, rientra dunque inun progetto di rinascita dell’antico saldandosi con la nota polemica sul prima-to tra la semplicità dell’architettura greca e l’uso dell’ornato di quella romana.

Contemporaneamente, come è noto, Piranesi va raccogliendo quelle amatereliquie in una collezione personale, subito apparsa come estremamente origi-nale. L’anno 1769 aveva peraltro segnato un incremento imprevisto della rac-colta di Palazzo Tomati a Strada Felice, grazie allo sterro dell’area di Pantanel-lo a Villa Adriana dalla quale emersero insieme a numerose sculture, secondola testimonianza diretta di Gavin Hamilton con cui Piranesi era entrato in so-cietà: «un gran numero di colonne[...] vasi rotti, animali di ogni genere, basso-rilievi, ornamenti di tutti i tipi» 12. A distanza di appena un anno dallo straordi-nario ritrovamento, Vincenzo Brenna aveva segnalato al collezionista ingleseCharles Townley, tra le «Nuove di Roma», come scrisse, «che Piranesi ha fattouna raccolta così grande di marmi, che oltre avere riempito tutta la sua casa hapreso moltissime botteghe nella sua strada che sono anche piene, e per tutto silavora e tiene da trenta persone al giorno, a lavorare li suoi marmi, ha quasi la-sciato di incidere, e si è buttato a traficare [sic] di marmi antichi» 13.

Non è questa la sola testimonianza a documentarci una vera e propria atti-vità imprenditoriale che vede Piranesi dirigere una squadra di scultori-restau-ratori, tra i quali le fonti ricordano i nomi dei più rinomati quali ad esempioCavaceppi e Franzoni, impiegati nella realizzazione di nuovi manufatti conl’assemblaggio di spolia sulla scorta di suoi disegni. Si tratta di un’esperienzache, al di là degli evidenti risvolti commerciali, va interpretata, a mio avviso,come una vera e propria operazione da parte di Piranesi, forse la più ambizio-sa, di rinascita della romanità.

La pratica del riutilizzo di frammenti antichi in manufatti moderni era stataavviata e apertamente pubblicizzata da Piranesi nella produzione di mostre dicamini resa nota dall’edizione del catalogo del 1769 14. Ad introduzione dellenumerose tavole, dove la sfrenata fantasia dell’artista si coniuga con l’amplissi-mo repertorio degli ornati antichi greco-romani, etruschi e egiziani, una dottadissertazione aveva celebrato il “buon gusto” della Scuola romana affidataall’esercizio del disegno attraverso la copia dell’antico. Non già copia servile

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2. Giovanni Battista Piranesi, Ornamenti in stucco esistenti nella volta della stanzasepolcrale di L. Arrunzio, in Le AntichitàRomane, vol. II, Roma 1756

3. Giovanni Battista Piranesi, Vaso Boyd, in Vasi, candelabri, cippi, sarcophagi, tripodi,lucerne e ornamenti antichi, Roma 1778

RESTAURARE CON L’“OCCHIO DEL TEMPO”: I FRAMMENTI DI PIRANESI 137

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aveva raccomandato l’autore, dal momento che egli osserva: «Nuovi pezziescano di giorno in giorno di sotto le rovine e nuove cose ci presentano bencapaci di fecondare e imbizzarrire le idee di un artefice riflessivo e pensan-te» 15. L’esplicito richiamo alla libertà creativa dell’artista, da tempo rivendica-ta da Piranesi e peraltro sperimentata nella sua recente attività progettuale peri Rezzonico, doveva tuttavia essere riconsiderato nel momento in cui l’incisorerese disponibile al mercato antiquario decine e decine di vasi, cippi, candela-bri, urne pubblicizzati non come pezzi di designer moderno, bensì come “mo-numenti antichi” particolarmente adatti all’arredo di dimore di gusto classi-cheggiante 16. Se è innegabile che Piranesi dovette adattarsi alle richieste di unaclientela, per lo più anglosassone, disposta a pagare una cifra ben più consi-stente per un pezzo ritenuto antico rispetto a un pastiche moderno, risulta diestremo interesse considerare il fatto che l’antichità dei manufatti del suo ate-lier non venne per lo più messa in discussione dai suoi contemporanei. Eppureoggi sappiamo, anche attraverso gli interventi di restauro più recenti che han-no riguardato il Vaso Boyd del British Museum (fig. 3) o il vaso colossaledell’Hermitage, che l’intervento manipolativo di Piranesi del pezzo antico èsostanziale e che le integrazioni moderne sono ben più consistenti dei fram-menti antichi riutilizzati. Nel caso del vaso dell’Hermitage l’intero corpo è for-mato da un puteale, o da un’ara, totalmente rilavorata nel Settecento nella de-corazione a bassorilievo. Nel vaso del museo londinese sono frutto dell’ideaprogettuale di Piranesi sia gran parte del sostegno, sia la tazza alla base che illabbro superiore con le relative decorazioni 17.

Un’operazione dunque, quella di Piranesi, non distante dall’esperienza diAdam e di Bianchini che abbiamo ricordato. L’idea di una supposta autenti-cità del pezzo non trova ostacoli significativi in una cultura visiva stratificatamaturata sull’antico, ma anche sul suo riutilizzo nel corso dei secoli. A ciò siaggiunga la passione dell’epoca per il dettaglio, che assume un valore fonda-mentale nel recupero della memoria del passato, soddisfacendo lo sfoggio dierudizione nel rapporto con una sua possibile lettura iconografica vera o pre-sunta tale. Nelle lunghe didascalie che Piranesi associa alle incisioni del notoVasi, candelabri, ogni occasione è buona per dilungarsi in accurate descrizioniiconografiche, che è facile presumere conferiscano maggior lustro al manufat-to, rendendolo ancor più appetibile sul mercato. A ciò si aggiunga, infine, lapredilezione, ereditata dall’età barocca, per quella varietas che Piranesi soddi-sfa pienamente con le sue invenzioni, in un sottile e sapiente equilibrio fra ve-ro e falso, dove il gusto esuberante per l’ornato così come certe fantasiose so-luzioni di manici e basamenti sembra perfino risentire dei repertori a uso diorafi e argentieri.

Piranesi è tuttavia attento a non scoprire le sue carte, così che dosa conestrema arguzia le informazioni sui suoi interventi, dando anzi al lettore l’im-pressione che le integrazioni siano ridotte al minimo e siano condotte semprenel più assoluto rispetto del pezzo originale, andando incontro, ad evidenza,alla cultura del restauro antiquario dell’epoca.

Commentando il vaso illustrato nella tavola 43 del volume I ricorda che «il

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4. Giovanni Battista Piranesi, Nike, in Vasi, candelabri, cippi, sarcophagi, tripodi, lucerne e ornamentiantichi, Roma 1778

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piede è stato da me ideato a proporzione della grandezza del vaso e corrispon-dente alla traccia dell’antica proporzione». Nel caso del vaso colossale in ba-salto, oggi ai Musei Vaticani, osserva che

«Riguardo ai manichi del medesimo dobbiamo avvertire che noi seguendo gli indizidi ciò che esso rimane di antico, e la maniera d’altri manichi da noi veduti in un vasoesistente nella cattedrale di Napoli, che è della med.a materia, figura e grandezza, ab-biamo veduto ben fatto di conformarci all’idea suggerita da tali indizi» 18.

Ancor più significativa la didascalia della tavola con raffigurata la Nike oggiconservata ai Musei Vaticani (fig. 4). Qui Piranesi, nel denunciare un suppostoscrupolo di ordine filologico a guida dell’operazione di reintegrazione del ma-nufatto archeologico, ha premura di avvertire che la «corazza è mancante delsuo elmo greco» e che l’incisore si è preso la libertà di integrarlo nelle due ta-vole che illustrano il pezzo suggerendo due partiti decorativi differenti «ac-ciocchè ognuno giudichi qual delle due possa essere il più confacente» 19.

La sua vera ambizione non è tuttavia celata a quanti Piranesi ritiene in gra-do di poter apprezzare la sua proposta estetica in cui antico e moderno si me-scolano, si confrontano e si confondono. Al gran turista Edward Walter e suamoglie Harriot il maestro veneziano dedicò ben sette incisioni del catalogo Va-si, candelabri, tra le quali la tavola 90 con illustrato il Tripode Capitolino.

«I diversi avanzi di opere antiche che si vedono disposti in alcuni camini delmio Museo» scrive Piranesi a commento del noto manufatto «sono stati da me

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ivi collocati con simmetria tale, che il lavoro moderno da me intrapreso, e cheracchiude il lavoro antico, forma una connessione che fa sembrare il tutto pro-veniente dalla stessa antichità. E avendone voi o signore di due di essi fatta lascelta [...] avete con tale acquisto dimostrato di avere approvato la loro com-posizione. Avete poi voluto non solo acquistare le mie opere fin’ora pubblica-te, ma anche qualche altro pezzo di antichità del mio Museo, per cui vi sietecaratterizzato appresso di tutti per Uomo di gusto» 20.

I coniugi Walter si erano in effetti rivelati suoi grandi estimatori tramite l’ac-quisto nel 1771 di ben tre vasi antichi, due mostre di camino, ancora oggi collo-cate a Gorhamury House, e una serie di disegni di straordinaria qualità 21. Inuno di questi ultimi che raffigura un maestoso mausoleo antico, campeggia inprimo piano il tripode piranesiano dei Musei Vaticani, opportunamente ingi-gantito nel disegno 22. Entra dunque da protagonista nella veduta antica ideatada Piranesi un oggetto del suo atelier a documentare l’indole dell’artista cheopera per vanificare la forza distruttrice del tempo.

NOTE

1 Cfr. le annotazioni datate 7 novembre 1786 in J. W. Goethe, Italienische Reise, ed. it. cons. Viag-gio in Italia, Milano, 1983, p. 143.

2 Nel diario romano le vedute di Piranesi vengono ricordate da Goethe in due occasioni, sottoli-neandone la capacità di trasfigurare l’aspetto monumentale delle vestigia antiche. Ibidem, pp. 506, 615.

3 Si vedano, in particolare, i frontespizi di Prima parte di Architetture e prospettive inventate ed in-cise da Gio. Batt.a Piranesi architetto veneziano dedicate al Sig. Nicola Giobbe, Roma, Edizione fratelliPagliarini, 1743; Le Antichità Romane opera di Giambattista Piranesi architetto veneziano divisa inquattro tomi..., Vol. I, Roma, Bouchard e Gravier, 1756; Antichità d’Albano e di Castel Gandolfo de-scritte ed incise da Giovanbattista Piranesi, Roma 1764. Ai testi citati si aggiungano inoltre i due fron-tespizi autografi dell’edizione postuma della Vedute di Roma disegnate ed incise da Giambattista Pira-nesi architetto veneziano, Roma 1778 e la Scenoghaphia Campi Martii edita nel 1762.

4 Cfr. Introduzione a Il Campo Marzio dell’antica Roma opera di G. B. Piranesi socio della Real So-cietà degli antiquari di Londra, Roma 1762. Sull’opera in questione si veda inoltre: J. Connors, Pirane-si and the Campus Martiu: the Missing Corso; Topography and Archaeology in Eighteenth-Century Ro-me, ed. it cons. Milano 2011.

5 A. Uguccioni, Piranesi e Robert Adam un confronto di immagini, in «Labyrinthos», 7/8 (1988/89),13-16, pp. 389-360; A. A. Tait, Drawings and Imagination, Cambridge 1993; V. Curzi, La tradizionedel classico come legittimazione culturale e politica: modelli della pittura romana antica in Inghilterra eRussia, in Roma e l’Antico. Realtà e visione nel ’700, Catalogo della Mostra a cura di C. Brook eV. Curzi (Roma, Fondazione Roma Museo 30 novembre 2010 - 6 marzo 2011) Milano 2010, pp. 197-206.

6 Oltre ai numerosi disegni pervenutici, in gran numero conservati nel Soane Museum di Londra,rimane un repertorio significativo dell’utilizzo di tali repertori nelle tavole incise dei tre volumi TheWorks in Architecture of Robert and James Adam editi nel 1778, 1779 e 1822.

7 Cfr. le Notice historique sur la vie et les ouvrages de J.-B. Piranesi di J. G. Legrand (1799) edite acura di G. Erouat e M. Mosser in Piranèse et les français, Atti del Convegno Internazionale di Studi(Roma, 1976), Roma 1978, pp. 220-249, in part. p. 222.

8 F. Bianchini, Del Palazzo de’ Cesari, Verona, per Pierantonio Berno, 1738 (per il volume si veda lascheda di catalogo di A. M. Riccomini, in La Roma antica e moderna del cardinale Giulio Alberoni,Catalogo della Mostra a cura di D. Gasparotto (Piacenza, Palazzo Galli 30 novembre 2008 - 25 gen-naio 2009), Piacenza 2008, pp. 204-205). Sul rapporto, ben documentato, tra Piranesi e Bianchini:M. Bevilacqua, Roma di Piranesi. Vedute della città antica e mederna, in La Roma di Piranesi. La cittàdel Settecento nelle grandi vedute, Catalogo della Mostra a cura di M. Bevilacqua e M. Gori Sassoli(Roma, Museo del Corso 14 novembre 2006 - 25 febbraio 2007), Roma 2006, pp. 39-60, in particola-re pp. 50-51.

140 VALTER CURZI

Page 17: La cultura del restauro - lettere.uniroma1.it - Curzi... · Alcune carte inedite e qualche appunto preliminare per una ricerca Giulia Savio 629 Conoscenza, tutela e conservazione

9 P. Coen, Giovanni Battista Piranesi mercante d’arte e di antichità, “connessione fra lavoro antico elavoro moderno”, in Roma e l’Antico..., cit., pp. 65-70.

10 M. Barbanera, Dal testo all’immagine: autopsia delle antichità nella cultura antiquaria del Sette-cento, in Roma e l’Antico..., cit., pp. 33-38; P. N. Miller, Piranesi and the antiquarian imagination, inPiranesi as designer, Catalogo della Mostra a cura di S. H. Lawrence (New York, Cooper-Hewitt Mu-seum of Decorative Arts and Design 14 settembre 2007 - 20 gennaio 2008; Haarlem, Teylers Mu-seum, 9 febbraio - 18 maggio 2008), New York 2007, pp. 122-137.

11 G. Fusconi, Da Bartoli a Piranesi; spigolature dai Codici Ottoboniani Latini della raccolta Ghezzi,in «Xenia antiqua», (1994), 3, pp. 145-172; G. Fusconi, A. Moltedo, Pier Leone Ghezzi, un incisoreignoto e l’edizione delle Camere Sepolcrali, in E. Debenedetti, a cura di, ’700 disegnatore, incisioni,progetti, caricature, «Studi sul Settecento Romano», 13, Roma 1997, pp. 141-160.

12 Cit. in J. Scott, Some sculpture from Hadrian’s Villa, Tivoli, in Piranesi e la cultura antiquaria, Attidel Convegno (Roma, 14-17 novembre 1979), Roma 1983, pp. 339- 355, in particolare p. 341.

13 Lettera di Vincenzo Brenna a Charles Townley, Roma, 20 febbraio 1770, edita in “Il mio singolarpiacere”, in L. Tedeschi, a cura di, 18 missive di Vincenzo Brenna a Charles Townley e a Stanlislaw K.Potocki, in La cultura architettonica italiana in Russia da Caterina II a Alessando I, Atti del ConvegnoInternazionale di Studi (Ascona, Venezia 2001), Mendrisio 2008, p. 464-465.

14 G. Piranesi, Diverse Maniere d’adornare i Cammini ed ogni altra parte degli edifizi, Roma, Stam-peria Salomoni 1769. Per un’analisi dettagliata dell’opera piranesiana si veda, in particolare, R. Batta-glia, Le “Diverse maniere d’adornare i cammini...” di Giovanni Battista Piranesi: gusto e cultura anti-quaria, in «Saggi e memorie di storia dell’arte», 19 (1994), pp. 191-273.

15 G. Piranesi, Diverse Maniere..., cit., p. 33.16 G. Piranesi, Vasi, candelabri, cippi, sarcophagi, tripodi, lucerne e ornamenti antichi, Roma 1778.

Sugli acquisti inglesi di opere di Piranesi si veda il capitolo Piranesi in J. Scott, The Pleasures of Anti-quity, New Haven 2003, pp. 104-107.

17 Per il vaso dell’Hermitage si veda la scheda di catalogo di A. Trofimova in Roma e l’Antico..., cit,p. 425. Il resoconto puntuale e dettagliato del restauro del grande cratere del British Museum si trovain: E. Miller, The Piranesi Vase, in W.A. Oddy, a cura di, The Art of the Conservator, Londra 1992, pp.122-136.

18 La didascalia ricorda che il vaso, con maschere sceniche, fu rinvenuto nel 1772 negli orti delQuirinale dei Padri della Missione e acquistato da Pio VI per il Museo Pio-Clementino. Cfr. Vasi, can-delabri, cippi..., cit., vol. II, tav. 60.

19 Ibidem, vol. II, tavv. 64-65.20 Ibidem, vol. I, tav. 90.21 J. Ingamells, A Dictionary of British and Irish Travellers in Italy 1701-1800, New Haven e Lon-

don 1997, ad vocem, Walter, Edward. I due camini in questione sono riprodotti in J. Wilton-Ely, Gio-van Battista Piranesi 1720-1778, Milano 2004, II ed. cons 2008, pp. 129-130. Per i disegni si vedaA. Bettagno, a cura di, Disegni di Giambattista Piranesi, Venezia 1978, pp. 58-61.

22 Il tripode venne realizzato servendosi di sostegni antichi riutilizzati come acquasantiere nellachiesa di S. Maria della Stella a Albano. Sull’opera si veda la scheda di catalogo di P. Liverani in IlSettecento a Roma, Catalogo della Mostra a cura di A. Lo Bianco e A. Negro (Roma, Palazzo Venezia,10 novembre 2005 - 2 febbraio 2006), Milano 2005, pp. 300-301. Per il disegno si rinvia alla scheda inA. Bettagno, a cura di, Disegni..., cit., p. 60.

RESTAURARE CON L’“OCCHIO DEL TEMPO”: I FRAMMENTI DI PIRANESI 141


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