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La danza continua

Date post: 28-Mar-2016
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Humus familiare 9 Mio padre, nato nel 1893, raccontava che a cinque anni, richiamato da acuti strilli, si affacciò alla porta della camera delle sorelle e scoppiò in una risata alla vista della sorella più grande che, tenuta piegata sul letto con mutande calate, riceveva una sonora sculacciata per non aver adempiuto ai compiti casalinghi. Mia nonna se ne accorse e lo riprese: “piccolo curioso ce n’è una dose anche per te!”. 10 11 1917, Mario, mio padre Lina, mia madre - fidanzati
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PRIMA PARTELe “radici”, infanzia, adolescenza e giovinezza

Humus familiare

I Franceschetti sono di origine marchigiana: da Giovanni Battista da Massignano (Ancona) nasce Giacomo nel 1663 e da questi nel 1690 Giovanni Battista Franceschetti che nel 1722 si trasferì a Recanati. I discendenti, dopo Civitavecchia, si portarono a Roma e vi si stabiliro-no definitivamente, tra i quali mio nonno Alessandro e in seguito vi trasferirono le salme del padre e del nonno, al Cimitero del Verano1, in cui edificarono la tomba di famiglia in prossimità dell’ingresso monu-mentale, nell’anno 1875.

Mio nonno, Alessandro Franceschetti, si sposò molto giovane con Orsola Caldani dalla quale ebbe quattro figli. Come il padre Angelo e il suo nonno Paolo, si occupò sempre di campagna: le principali casa-te nobiliari romane affidavano il rispettivo patrimonio terriero a im-prenditori che avevano buona fama in Roma, denominati “mercanti di campagna”, che appartenevano a quell’ambiente romano, denomina-to il “generone”2.

Mio nonno gestiva i possedimenti dei Colonna che da Nettuno si estendevano oltre Torre Astura3 fino alle “Ferriere” nel retroterra, pic-colo borgo con la casa dove fu uccisa, dopo il tentativo di stupro, Maria Goretti; mio padre ricorda che, a circa dieci anni, assistette all’arresto del giovane omicida, che dopo il penitenziario, nel 1950 ha partecipato alla canonizzazione della fanciulla alla quale è stato innalzato un san-tuario sul lungomare di Nettuno. Nonno Alessandro oltre alle coltiva-zioni, seguiva in particolare gli allevamenti bovini ed equini (forniva tra l’altro i migliori cavalli per le carrozze dei Savoia); la nonna Orsola domi-nava la casa, la servitù e la famiglia.

1 Tale Cimitero era stato progettato all’inizio del 1800 da parte delle autorità Vaticane che volevano far cessare la consuetudine della tumulazione nel sottosuolo delle Chiese del Centro Storico, con esalazioni tali da provocare frequenti svenimenti dei fedeli. Il “Verano” fu poi realizzato dopo l’Unità d’Italia nel 1870.2 Il termine “generone” sembra sia sorto a seguito del matrimonio tra la figlia di un ricco mercante di campagna con un nobile spiantato. Il “generone” era costituito dalla borghesia romana, concreta ed efficiente all’ombra del cupolone, cioè papalina.3 Il castello, dopo la sconfitta di Tagliacozzo, ospitò Corradino di Svevia con tre nobili che Giovanni di Frangipane, signore locale, consegnò a Carlo D’Angiò.

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Mio padre, nato nel 1893, raccontava che a cinque anni, richiamato da acuti strilli, si affacciò alla porta della camera delle sorelle e scoppiò in una risata alla vista della sorella più grande che, tenuta piegata sul letto con mutande calate, riceveva una sonora sculacciata per non aver adempiuto ai compiti casalinghi. Mia nonna se ne accorse e lo riprese: “piccolo curioso ce n’è una dose anche per te!”.

L’educazione di tipo autoritario, veniva demandata a istituti priva-ti: le figlie, Francesca e Maria furono inserite nel collegio di Via Mila-no a Roma per consentire un frequente contatto con la madre, e i figli Carlo e Mario (mio padre) furono mandati in un collegio a Spello diret-to da uno studioso pedagogista, Vitale Rosi amico del Rosmini.

Mio padre “relegato” a soli sei anni in un ambiente molto freddo d’inverno, e soprattutto scarso di calore umano da parte dei “prefetti” (incaricati di seguire i gruppi di alunni di varie età), soffriva molto del-la lontananza della famiglia con due sole visite del nonno Alessandro durante l’anno scolastico, che procurava sostanziosi rifornimenti ali-mentari (biscotti, miele, cioccolata, ecc.), ma forse non comprendeva il suo bisogno di affetto.

Anzio, 1902 – da sinistra: Zia Maria, zia Francesca, nonno Alessandro, nonna Orsola, zio Carlo. Davanti: Mario, mio padre.

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Zio Carlo, si adattò con “filosofia” al clima interno di Spello, ma mio padre dopo vari anni, tanto insistette, che nonno Alessandro si con-vinse di spostare i due figli a Roma, presso il noto collegio De Merode vicino a Piazza di Spagna.

Qui mio padre si scontrò anche con i metodi educativi dei “Frères” (i Fratelli delle Scuole Cristiane) e ottenne di entrare al Liceo Statale “Tasso”; all’ultimo anno, reagì ad un rimprovero immotivato, lancian-do il vocabolario sul professore e in conseguenza fu radiato da tutte le scuole del regno!

Il nonno Alessandro, immediatamente lo obbligò a partire “volon-tario” con le truppe coloniali per la Libia; di ritorno gli fu prolungata la ferma e “spedito” in Albania.

Rientrato a Roma, iniziò una vita normale: si era fatto un gran bell’uomo, sempre molto elegante, e quando si recava a Piazza Colon-na si fermava da un “lustrascarpe” in adiacenza alla “Bocconi” (futura “Rinascente”); in via del Pozzo, che si apriva su largo Chigi, c’era il ca-polinea del tram che portava a via Nizza dove risiedevano i miei non-ni materni.

Mio padre un giorno del 1915 vide salire sul tram colei che sarebbe divenuta mia madre, Lina Zampieri: ne rimase colpito e, con una sola scarpa lucidata, fece un salto sul predellino e per diversi giorni tentò di avvicinarla. Dopo vari approcci gli fu chiaro che doveva farsi cono-scere dalla famiglia.

1917, Mario, mio padre Lina, mia madre - fidanzati

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Gli Zampieri erano una famiglia di vecchia tradizione borghese-im-piegatizia originari di Verona: i bisnonni ebbero sei figli, due femmi-ne e quattro maschi, tra i quali mio nonno Giovanni (chiamato sempre con il secondo nome Umberto) il quale, diplomatosi, entrò nelle Ferro-vie e sposò Armida, nata a Sabbioneta4 da Luigi e Artemisia Brighenti, che aveva due fratelli, ambedue esperti ortopedici: Dante si stabilì con laboratorio e negozio, a Ponte Navi di Verona ed ebbe quattordici figli, e Arturo in corso Indipendenza a Bologna senza figli: si affermarono dopo la guerra ‘15-’18 che lasciò tantissimi invalidi.

Il nonno Umberto nelle Ferrovie ebbe vari trasferimenti: Bologna, Torino, Firenze, dove nacquero rispettivamente Lina, mia madre, Ma-ria e Luigi. La destinazione definitiva fu poi Roma con il grado di Se-gretario capo, ma lo stipendio statale non era sufficiente a mantenere un tono confortevole (bella casa, domestica fissa, abbigliamento accu-rato, ecc.) e, pertanto, la nonna Armida, donna molto intelligente, che aveva le mani d’oro (ottima cuoca e brava sarta – tagliava e cuciva ca-micette con merletti e sottogonne per le figlie) integrava le entrate fa-miliari: diplomata in pianoforte, dava lezioni a domicilio a ragazze di

4 Piccola città in provincia di Mantova, fondata nel cinquecento da Vespasiano Gonza-ga, con palazzi, teatro, piazze di notevole valore urbanistico e architettonico.

Verona - Nonno Umberto Zampieri e nonna Armida Brighenti - fidanzati

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famiglie facoltose. Tra l’altro, oltre alla figlia Maria, diede per anni le-zioni di piano, su richiesta della madre, a Fernando Germani5 di nasco-

sto dal padre che era contrario alla scelta musicale del figlio, del quale ricorre il cen-tenario nel 2006.

Successivamente mia madre, consegui-to il diploma delle scuole superiori, fu as-sunta dalle “Assicurazioni Generali”.

Il nonno Umberto, molto amante del teatro, conosceva molti impresari delle compagnie di operette, che all’epoca era-no molto richieste, ai quali forniva gra-tuitamente il sostegno operativo per gli spostamenti ferroviari: quando una com-pagnia concludeva l’ingaggio romano, la stessa sera dell’ultimo spettacolo si trasfe-riva di notte nella nuova sede, in treno al

completo: artisti, ballerine, comprimari, orchestrali, macchinisti con le casse delle scenografie e guardarobiere con i cesti dei costumi. Tale collaborazione era molto utile e gli impresari in segno di gratitudine gli mettevano a disposizione un palchetto: la famiglia non si perdeva uno spettacolo rientrando a casa su una “botticella” (carrozza di servi-zio pubblico). All’operetta e qualche volta alla prosa alternavano il caf-fè concerto nelle sale romane più note: la “Sala Umberto” e il “Salone Margherita”. E la domenica pomeriggio di solito facevano passeggiate fuori porta: a S. Agnese e all’Acquacetosa.

I Franceschetti e gli Zampieri costituivano famiglie di diverso te-nore economico: alto i primi, che godevano anche di tutti i “benefici” della campagna, più controllato pur dignitoso e confortevole i secon-di. Ma le regole del ceto medio-borghese andavano sempre rispettate. Conseguentemente mio papà tanto fece che riuscì a convincere suo pa-dre a recarsi dagli Zampieri per la domanda di matrimonio.

5 Fernando Germani, nato a Roma nel 1906, ha studiato al conservatorio e all’accademia di S. Cecilia e al pontificio istituto di musica sacra. Insegnante d’organo a “S. Cecilia” e concertista di fama internazionale, ha pubblicato un’edizione di opere di G. Frescobal-di e un trattato sull’arte organistica.

Fernando Germani

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Nonno Alessandro esordì: “mi ha costretto mio figlio, ma non pos-so dare alcuna garanzia sul suo conto”. Nonno Umberto reagì, secondo copione … ma poi si accordarono e i miei genitori si fidanzarono.

Scoppiata la grande guerra, mio padre partì per il fronte e dopo qualche tempo mia mamma, accompagnata da mia nonna (la famiglia di un funzionario delle Ferrovie godeva del permanente in prima clas-se) arrivò fino alle retrovie per incontrarsi con mio padre per solo po-che ore!

Terminata la “grande guerra” nel 1919 si sposarono a Roma, dopo il matrimonio civile in Campidoglio, in S. Teresa a Corso d’Italia, e con-divisero il vasto appartamento di nonno Alessandro (da otto anni ve-dovo) in via Gioacchino Belli con la famiglia di zia Maria (sorella di papà) e zio Peppino Agamennone, reduce dalla prigionia bellica e la loro prima figlia Enza; in questa casa nacquero prima il loro secondo figlio Odoardo e mio fratello Alessandro nel 1920.

Non ho conosciuto nonno Alessandro, che aveva un carattere for-te e autoritario, ma anche atteggiamenti originali. Per esempio, dalla sua cuoca governante per il venerdì di magro faceva preparare abbon-danti menù di gamberetti, calamaretti, fiori di zucca, carciofi, zucchi-ne, finocchi e crema dolce, tutti fritti dorati. Molti dei piatti di portata tornavano in cucina con circa metà contenuto, dato che le due nuore, entrambe incinte, non ne usufruivano. Così pure se arrivava un tele-gramma, dopo discussioni fra la cuoca e le donne delle due coppie, la più giovane lo portava su un vassoietto a mio nonno, che lo metteva sotto il tovagliolo e non accoglieva le sollecitazioni dei presenti per-ché: “se è una brutta notizia ci rovina la digestione, se è bella comple-ta un buon pranzo”.

A gennaio 1922 mancò nonno Alessandro e le due famiglie giovani (gli zii, Peppino e Maria, e i miei genitori) si scelsero case autonome.

Io sono nato il 15 dicembre 1922 a via Monte della Farina, nella casa adiacente al teatro Argentina6 (da cui iniziarono i numerosi tra-slochi e trasferimenti in città diverse) e io fui battezzato nella parroc-chia di S. Carlo ai Catinari7, padrino zio Peppino, madrina zia Maria, sorella di mia madre.

6 L’ “Argentina”, bel teatro barocco, eretto nel 1731, ospitò tra l’altro la prima del “Bar-biere di Siviglia” di Rossini che fu un fiasco clamoroso.7 La chiesa eretta nel 1621, da Renato Rosati (prende il nome dai fabbricanti di catini esistenti nei pressi) ha una slanciata cupola, tra le più belle di Roma.


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