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Messina Marco Esame di Stato 2006 Istituto Statale d’Istruzione Secondaria Superiore “G. Falcone” Liceo Scientifico e Pedagogico (Barrafranca) Classe V B La disgregazione del soggetto “…Gli parve di essersi in quel momento staccato, come con un colpo di forbici, da tutto e da tutti…” (Fedor Dostoevskij)
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Messina Marco Esame di Stato 2006

Istituto Statale d’Istruzione Secondaria Superiore “G. Falcone”

Liceo Scientifico e Pedagogico (Barrafranca) Classe V B

La disgregazione del soggetto “…Gli parve di essersi in quel momento staccato, come con un colpo di forbici, da tutto e da tutti…”

(Fedor Dostoevskij)

SOMMARIO

Introduzione: Concezione dell’io: dall’Ottocento a Joyce pag. 3

Mappa concettuale pag. 4

Luigi Pirandello:

Vita pag. 5 Personalità pag. 7 Rivoluzione teatrale pag. 11

Nietzsche: Vita pag. 12 Pensiero pag. 13

Il Novecento: Il regime fascista pag. 16 Il regime nazista pag. 20 Il regime staliniano pag. 25 Il regime franchista pag. 27

Picasso: Vita pag. 27 Opere pag. 32

James Joyce: Life pag. 38 Main works pag. 38

Tacito: Vita pag. 41 Opere pag. 42 Personalità pag. 47

Einstin: Vita pag. 48 Teoria della relatività ristretta pag. 49 Teoria della relatività generale pag. 50

Marco Messina Esame di s tato 2006 2

INTRODUZIONE

L a cultura dell'Ottocento è saldamente ancorata a una concezione forte dell'io, inteso

come sostanza razionale e unitaria. Tale concezione si era formata gradualmente nel

corso dell'epoca moderna, ma, nel XIX secolo, aveva compiuto un salto di qualità; mai

come in questo secolo, infatti, il pensiero umano aveva considerato tanto potente la soggettività

razionale, attribuendole - almeno in linea di principio - una pressoché assoluta capacità di dominio

sulla propria coscienza, sul proprio corpo e sul mondo naturale. Già nel corso dell'Ottocento,

tuttavia, non erano mancate autorevoli voci controcorrente, precorritrici della successiva evoluzione

culturale, che rimasero non a caso isolate, incomprese 'e a volte perfino misconosciute fino

all'ultimo trentennio del secolo. È infatti solo in questo periodo che l’immagine forte dell'io

comincia a vacillare sotto i colpi della filosofia di Nietzsche, della psicoanalisi di Freud e delle

teorie scientifiche di Einstein. Nella prima metà del Novecento, la crisi dell'io esplode diventando il

motivo dominante della cultura europea, con le “maschere” di Pirandello, con la nascita dei regimi

dittatoriali e con il “flusso di coscienza” di Joyce.

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MAPPA CONCETTUALE

Primo dopoguerra: avvento dei regimi totalitari in Europa

Pirandello: Dissidio interiore tra vita e forma

Tacito: Psicologia dell’Impero

Crisi dell’io

Nietzsche: Dall’uomo al “super-uomo”

Picasso e Einstein: Relatività dell’osservare e del conoscere umano

James Joyce: The attempt to escape from moral paralysis

Marco Messina Esame di s tato 2006 4

LUIGI PIRANDELLO

Pirandello è l’unico scrittore italiano del Novecento famoso in tutto il mondo. Con Pirandello

entrano nella letteratura italiana alcuni dei caratteri fondamentali della ricerca dell’avanguardia

europea nel primo Novecento: la crisi delle ideologie e il conseguente relativismo, il gusto per il

paradosso, la tendenza alla scomposizione e deformazione grottesca ed espressionistica, la scelta

della dissonanza, dell’ironia, dell’umorismo, dell’allegoria. Tuttavia non bisogna dimenticare che

egli è un uomo dell’Ottocento e che solo gradualmente giunge alle prese di posizione che ne

determinarono la modernità. La poetica dell’Umorismo da lui elaborata respinge non solo l’armonia

classica e il mito romantico di un’arte naturale, autentica e spontanea, ma anche l’estetismo

decadente e il Simbolismo.

La vita Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867 nella villa detta Caos nei pressi di Girgenti (oggi

Agrigento). La famiglia, di tradizione garibaldina e antiborbonica, è proprietaria di alcune zolfare.

Dopo gli studi liceali compiuti a Palermo, rientra nel 1986 a

Girgenti, dove affianca per breve tempo il padre nella conduzione

di una miniera di zolfo e si fidanza con una cugina (rompendo in

seguito il fidanzamento). Si iscrive prima all'università di Palermo,

poi passa alla Facoltà di Lettere dell'università di Roma, ma a

causa di un contrasto con il preside, il latinista Onorato Occioni, si

trasferisce all'università di Bonn, dove nel 1891 si laurea in

Filologia romanza con una tesi dialettologica. Intanto ha già

esordito come poeta con Mal giocondo (1889) e con Pasqua di

Gea (1891), raccolta che dedica a Jenny Schulz-Lander, di cui a

Bonn si è innamorato. Nel '92, fermamente deciso a dedicarsi alla

sua vocazione letteraria, si stabilisce a Roma, dove vive con un assegno mensile del padre.

Nell'ambiente letterario della capitale conosce e stringe amicizia con il conterraneo Luigi Capuana,

che lo spinge verso il campo della narrativa. Compone così le prime novelle e il suo primo romanzo,

uscito nel 1901 con il titolo L'esclusa. Non abbandona tuttavia la poesia: escono nel '95 le Elegie

renane, nel 1901 Zampogna, e nel 1912 Fuori di chiave, la sua ultima raccolta poetica. Nel 1894

sposa a Girgenti, con matrimonio combinato tra le famiglie, Maria Antonietta Portulano, figlia di un

ricco socio del padre. Si stabilisce definitivamente a Roma, dove nascono i tre figli Stefano (1895),

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Rosalia (1897) e Fausto (1899). Pirandello vive sempre con disagio il rapporto con la fragile e

inquieta moglie, avvertendo il forte peso delle norme comportamentali risalenti alle radici siciliane.

Inizia una fitta collaborazione con diversi giornali e riviste letterarie, sulle quali pubblica una ricca e

vasta produzione narrativa che trova consensi presso il pubblico, ma indifferenza da parte della

critica. Scrive il romanzo Il turno (edito nel 1902) e lavora ai suoi primi testi teatrali che per allora

non riescono a raggiungere le scene. In opposizione all'estetismo e al misticismo dominanti fonda

con Ugo Fleres e altri amici un settimanale letterario dal titolo shakespeariano «Ariel». Dal 1897 al

1922 insegna, senza entusiasmo ma con grande dignità, stilistica italiana presso l'Istituto Superiore

di Magistero di Roma. Nel 1903 l'allagamento di una miniera di zolfo causa alla famiglia Pirandello

un grave dissesto economico: il padre Stefano perde insieme al proprio capitale anche la dote della

nuora. In seguito alla notizia dell'improvviso disastro finanziario, Antonietta, già sofferente di nervi,

cade in una gravissima crisi che durerà per tutta la vita sotto forma di grave paranoia. Vani saranno

i tentativi di Pirandello di dimostrare che la realtà non è come invece pare alla moglie. Abbandonata

la tentazione del suicidio, Pirandello cerca di fronteggiare la disperata situazione, assistendo

Antonietta (che verrà internata in una casa di cura solo nel 1919); e per arrotondare il magro

stipendio universitario, impartisce lezioni private e intensifica la sua collaborazione a riviste e a

giornali. Nel 1904 “Il fu Mattia Pascal”, pubblicato a puntate sulla «Nuova Antologia», riscuote un

successo tale che uno dei più importanti editori del tempo, Emilio Treves di Milano, decide di

occuparsi della pubblicazione delle sue opere. Nel 1908 pubblica due volumi saggistici Arte e

scienza e L'Umorismo, grazie ai quali ottiene la nomina a professore universitario di ruolo. Nel

1909 inizia la sua collaborazione, che durerà fino alla morte, al «Corriere della Sera», su cui

appaiono via via le sue novelle; e pubblica la prima parte del romanzo I vecchi e i giovani (la

seconda esce in volume nel 1913). Nel 1911 esce il romanzo Suo marito. Scrive anche alcuni

soggetti cinematografici, mai realizzati; mentre nel 1915 pubblicherà il romanzo Si gira... Nel 1915-

16 inizia la sua prodigiosa e intensa attività teatrale, che darà vita a dibattiti e discussioni in Italia e

all'estero. Proprio negli anni della grande guerra, (vissuti drammaticamente anche per la perdita

della madre e per la partenza dei figli per il fronte), scrive alcune celebri opere: Pensaci Giacomino!,

Liolà (1916), Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà (1917), Ma non è una

cosa seria e Il gioco delle parti (1918). Nel 1918 esce il primo volume delle Maschere nude, titolo

sotto cui raccoglie i suoi molteplici testi teatrali. Nel 1920 il teatro pirandelliano con Tutto per bene

e Come prima, meglio di prima, si afferma pienamente, e a partire dall'anno successivo raggiunge il

grande successo internazionale con il capolavoro Sei personaggi in cerca d'autore. Abbandonata la

vita sedentaria degli anni precedenti, Pirandello vive e scrive negli alberghi dei più importanti centri

teatrali sia europei che americani, curando personalmente l'allestimento e la regia delle sue opere. In

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questi stessi anni il cinema trae diversi film dai suoi testi teatrali e narrativi, di cui continuano a

uscire ristampe e nuove edizioni. Nel 1922 esce il primo volume della raccolta Novelle per un anno

presso l'editore Bemporad. La sua produzione teatrale prosegue con Enrico IV e Vestire gli ignudi

(1922), L'uomo dal fiore in bocca (1923), Ciascuno a suo modo (1924), Questa sera si recita a

soggetto (1930). Nel 1924 si iscrive formalmente al partito fascista, da cui ottiene appoggi e

finanziamenti per la compagnia del Teatro d'Arte di Roma che, sotto la direzione dello stesso

Pirandello, porta per tre anni (fino al 1928) il teatro pirandelliano in giro per il mondo. L'interprete

per eccellenza delle sue scene è la "prima attrice" Marta Abba, a cui Pirandello si lega anche

sentimentalmente. Nel 1926 esce in volume il romanzo Uno, nessuno e centomila, ultimo romanzo,

frutto di una lunga gestazione, (Bemporad, Firenze), intessuto di interrogativi che il protagonista

rivolge direttamente al lettore, per coinvolgerlo in una vicenda "universale", un riepilogo di tutta

l’attività, narrativa e teatrale dell'autore. Il dramma La nuova colonia (1928) inaugura l'ultima

stagione pirandelliana, quella fondata sui «miti» moderni, che culmina nell'opera incompiuta I

giganti della montagna. Nel 1929 è nominato membro dell'Accademia d'Italia, dove nel '31

commemora Verga. Nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura. Si ammala di polmonite,

mentre segue le riprese a Cinecittà di un film tratto da Il fu Mattia Pascal. Muore nella sua casa

romana il 10 dicembre 1936. Esce postuma l'edizione definitiva delle Novelle per un anno

PERSONALITÀ E POETICA Pirandello è uno scrittore isolato, difficile da costringere negli schemi di uno specifico movimento

letterario. Sin dalle prime opere egli evidenzia la totale disillusione circa la possibilità di trovare

risposte ai problemi dell’esistenza umana: non è possibile un’interpretazione deterministica della

vita che è complicata dal mescolarsi di verità e finzione. Attraverso l’intensa produzione

novellistica, alla quale Pirandello è costretto anche per ragioni economiche, egli può sperimentare

nuove forme espressive. Le novelle compongono uno straordinario "serbatoio di invenzioni", idee,

personaggi e situazioni, da cui lo stesso Pirandello attinge frequentemente lo spunto che dà vita alle

sue opere romanzesche e teatrali. I suoi personaggi, posti in situazioni bizzarre, costituiscono

sempre un caso che svela la contraddittorietà dell’esistenza. L’autore non propone soluzioni, anzi,

sul piano ideologico si attesta su posizioni conservatrici, lasciando aperta come unica strada di fuga,

quella che conduce verso l’irrazionale. Il pensiero pirandelliano trova una sistemazione propria nel

suo romanzo più famoso: "Il fu Mattia Pascal" (1904) che evidenzia la divergenza tra la verità dei

fatti e le loro apparenze. Questo romanzo segna un punto di non ritorno nell’arco dell’opera

pirandelliana: ritrae il sogno di un’evasione impossibile, il desiderio irrealizzabile di afferrare per se

un’identità che non sia quella imposta dal destino. Mattia e anche tutti gli altri personaggi sono però

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in balia del caso e degli avvenimenti esterni: sono incapaci di comunicare con gli altri e di dominare

la realtà. Il messaggio di Pirandello è chiaro: dichiara l'inconsapevolezza del reale, la

frammentazione dell’identità psicologica dell’individuo. Pirandello è costretto per approfondire la

dimensione psicologica dei suoi personaggi a costruire un tipo di romanzo nuovo nel quale il

narratore viene a coincidere con il protagonista. L’autore non si preoccupa di garantire l’autenticità

del discorso (questa è la tecnica alla base dei romanzi di Svevo) ed ogni parola pronunciata dal

personaggio è sempre circondata da una forte ambiguità. Il risultato è una scrittura frammentata che

riflette la complessità della vita. L’ultimo romanzo di Pirandello, "Uno, nessuno e centomila"

(1912-1925) porta agli estremi questa concezione artistica: è infatti privo di intreccio, ma si svolge

in prima persona seguendo la meditazione del protagonista Vitangelo Moscarda che sorge dal

casuale commento della moglie: se la moglie lo vede diverso da come si vede lui dal punto di vista

fisico, ciò avverrà anche dal punto di vista psichico. Ci sono dunque tanti Moscarda quanti sono

quelli che lo vedono. Pirandello costruisce quest’opera come una ricerca del protagonista di se

stesso.

La maschera Moscarda come Pascal si propone di distruggere il vecchio se stesso cancellando tutte le immagini

che gli altri hanno di lui, ma nel tentativo di attuare questa operazione, si procura la "maschera" di

pazzo. “Uno, nessuno e centomila” è perciò il romanzo dell'incapacità di comunicare e della

solitudine. Moscarda è consapevole che i giudizi di ogni uomo hanno un valore sempre soggettivo:

a ciascuno le cose appaiono "a suo modo" e chi attribuisce al proprio punto di vista una verità

assoluta si allontana dalla verità. In realtà nulla è fermo e definitivo nella vita e perciò il

protagonista di "Uno, nessuno e centomila" accetta la disgregazione della sua personalità come cosa

positiva. Ed è un concetto che Pirandello ha espresso anche con parole come queste: "la realtà

siamo noi che ce la creiamo: ed è indispensabile che sia così. Ma guai a fermarsi in una sola

realtà: in essa si finisce per soffocare". La vita non può essere fissata in una regola. La conoscenza

invece blocca la vita, l’uccide in impressioni soggettive che l’uomo purtroppo considera assolute.

Per conoscere "bisogna che lei fermi un attimo in sé la vita, per vedersi. Come davanti ad una

macchina fotografica. Lei si atteggia. E atteggiarsi è come diventare una statua per un momento.

Lei non può conoscersi che atteggiata: statua: non viva. Quando uno vive, vive e non si vede.

Conoscersi è morire." Nelle ultime scene di "Così è (se vi pare)" (1918) Pirandello arriva al

culmine della riflessione sull’impossibilità di arrivare alla conoscenza di una verità. Questa

commedia può dunque essere presa a modello per commentare il rapporto individuo/altro e

l’impossibilità di un’unica verità. Quando la signora Ponza, alla fine del dramma afferma "Per me,

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io sono colei che mi si crede" getta nello sconcerto non solo i personaggi teatrali, ma anche gli

spettatori. Tutti si aspettano la risoluzione dell’enigma secondo uno sviluppo normale.

L’anormalità e la normalità Generalmente si intende per normalità, secondo la massa, tutto ciò che viene fatto e pensato in basi

a leggi, norme e consuetudini che l'uomo ha creato per regolare la propria vita e soprattutto per

immortalare un determinato stato di cose. È, quindi, anormale, sempre secondo la massa, tutto ciò

che non segue le regole prescritte. Secondo Pirandello, invece, è normale non ciò che risponde alle

norme, ma ciò che da ciascuno viene fatto seguendo i propri intimi bisogni, e sono questi bisogni

che portano l'uomo sulla via del progresso. Il personaggio tende a ribellarsi quando si rende conto

che l'osservanza delle norme gli impedisce di vivere e di migliorare la propria condizione.

L’anormalità per Pirandello, è il sottomettersi alle regole anche quando queste impediscono

all'uomo di vivere, permettendogli solo di esistere. Per capire l'opera pirandelliana, bisogna quindi,

ribaltare il concetto di normalità-anormalità, nel quale la normalità pirandelliana non è solo il

banale rifiuto della norma, ma il suo superamento, che ha come obiettivo i grandi valori umani, che

sono i veri bisogni da soddisfare.

La realtà Vi sono anche in questo caso due distinte dimensioni, perché ciascuno vede la realtà secondo le

proprie idee e i propri sentimenti, in un modo diverso da quello degli altri: a fronte della realtà

esterna che si presenta una e immutabile, abbiamo le centomila realtà interne di ciascun

personaggio, per cui la vera realtà è nessuna. I due aspetti sono:

la dimensione della realtà oggettiva, che è esterna agli individui e che apparentemente è uguale

e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche.

la dimensione della realtà soggettiva, che è la particolare visione che ne ha il personaggio,

dipendente dalle condizioni sia individuali che sociali; vi sono tante dimensioni quanti sono

gli individui e quanti sono i momenti della vita dell'individuo.

Della realtà oggettiva esterna, così fissa ed immutabile, noi non cogliamo che quegli aspetti che

sono maggiormente adeguati a una delle nostre anime, al particolare momento che stiamo vivendo,

in base al quale riceviamo dalla realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono assolutamente

individuali e non possono essere provate da tutti gli altri individui. Per i personaggi pirandelliani

non esiste, quindi, una realtà oggettiva, ma una realtà soggettiva, che, a contatto con la realtà degli

altri, si disintegra e si disumanizza, come avviene per Moscarda, il protagonista del romanzo Uno

nessuno centomila, che scopre all'improvviso di non essere più quello che credeva dal momento in

cui la moglie Dida gli dice che ha il naso che pende verso destra: un banale accidente che lo porterà

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a capire che gli altri lo vedono in un modo diverso da come lui si era sempre visto. Si può

distinguere quindi:

come la realtà è vista dal personaggio;

come la realtà esterna si impone al personaggio;

come il personaggio crede che gli altri vedano la realtà.

Questa triplice concezione della realtà è un elemento tecnico che serve a Pirandello per esaminare

come i personaggi sono fatti veramente dentro e capire come essi si vedono. Esame che porta a

definire l’impossibilità di sfuggire alle convenzioni sociali, l’impossibilità della comunicazione con

gli altri. Pirandello è una delle figure più caratteristiche per comprendere lo sfaldamento della

coscienza contemporanea.

L’uomo non può conoscere la realtà in sé, ma può creare dei modelli interpretativi che gli

permettano di mettere ordine "nel suo piccolo mondo”.

Il vecchio e il nuovo Nel pensiero di Pirandello non c’è nulla di nuovo. Esso infatti è una ripresa del motivo romantico

della insoddisfazione e dell’inquietudine perenne dello spirito umano, esasperata nel Decadentismo.

Pirandello lo rielabora, intensificandolo e rappresentandolo in situazioni paradossali, ma non tanto

perché a volte esse si verificano realmente, tanto è vero che le cronache spesso parlano di vicende

“pirandelliane”, realmente accadute, e lo stesso Pirandello a volte diceva, che di fronte a certi fatti,

la vita imitava la sua arte, e in questo dimostrava più fantasia. Ora dall’insoddisfazione e

dall’inquietudine dell’esistenza, la gente si difende con il buon senso, rassegnandosi, con

l’accettazione serena dei limiti umani, convinta che non esiste né la libertà assoluta, né la verità

assoluta. Pirandello invece rappresenta lo stato d’animo di chi si ribella a questa condizione e ne fa

un dramma, che può portarlo anche alla pazzia. Il suo merito è quello di smascherare e condannare

nella sua opera i luoghi comuni, le ipocrisie, gli egoismi, i pregiudizi, e soprattutto i venditori di

fumo, coloro cioè che approfittano della forma, entro cui si sono chiusi, per tramare i loro inganni e

le loro frodi a danno degli altri. Facendo ciò, egli desidera un autentico miglioramento della società,

fondato sul rispetto assoluto della persona umana.

L’umorismo I fondamenti teorici della concezione del mondo di Pirandello sono riscontrabili nel saggio

L’umorismo, nel quale lo scrittore espone, discute e codifica la sua poetica. La prima parte è storica,

perché dedicata all’esame delle varie forme assunte dall’umorismo nel corso del tempo, e ad

analizzare l’opera di vari umoristi italiani e stranieri. Nella seconda parte, di carattere teorico,

Pirandello distingue due stadi dell’osservazione del reale, che egli definisce "avvertimento del

Marco Messina Esame di s tato 2006 10

contrario" e "sentimento del contrario". L’avvertimento del contrario, sostiene l’autore, si ha

quando ci accorgiamo di una stonatura nella realtà che ci circonda, e percepiamo in un

comportamento o in un fatto una incongruenza che ci sconcerta e ci induce a reagire in modo

istintivo e immediato, come quando, vedendo una vecchia signora troppo truccata e vestita in modo

inadatto alla sua età, ci mettiamo a ridere. Quando in un’opera la descrizione si limita a questa

primo stadio si ha il comico. Se però superiamo quella impressione superficiale e la trasformiamo in

riflessione, all’"avvertimento del contrario" subentra il "sentimento del contrario": ciò accade

quando ci soffermiamo a pensare, ad esempio, "perché" la signora agisce in quel modo, scoprendo

che forse non prova nessun piacere ad agghindarsi così, e magari ne soffre, ma lo fa per un

disperato tentativo di mantenere vivo l’amore del marito, più giovane di lei. Mettendo in luce tutto

ciò, si fa umorismo. La critica che Pirandello muove alle illusioni dell’uomo è lucida e definitiva, e

la sua esigenza di verità può apparire crudele, ma proprio perché mette a nudo la sofferenza dei suoi

simili, l’autore dimostra una partecipazione accorata, una sincera pietà per i suoi personaggi, nei

quali vita e forma sono in continuo contrasto: personaggi lacerati, messi improvvisamente di fronte

alla scoperta della frantumazione della loro identità e alla crisi di quelle certezze che la "forma"

sembrava loro garantire: non a caso le creature di Pirandello sono caratterizzate dalla "pena di

vivere così", e i loro volti che si rivelano quando si strappano la maschera, sono "un misto di riso e

pianto".

RIVOLUZIONE TEATRALE DI PIRANDELLO Sebbene Pirandello abbia deciso di dedicarsi alle opere teatrali molto tardi, è a loro che deve il suo

successo. Questi testi hanno modificato in modo decisivo la tradizione teatrale italiana che,

all’epoca era ancora influenzata dal modello naturalista e da quello decadente di D’Annunzio.

Pirandello tratta la vita come se fosse una recita, dove ciascuno è "l’attore di se stesso", condannato

a rappresentare la parte che il destino gli ha prefissato. Il teatro fornisce anzi uno strumento ancora

più adatto per esprimere il rapporto maschera – realtà. Attraverso una mescolanza portata fino agli

estremi di realtà e finzione, Pirandello frantuma la "superficie compatta" della vita. Nei "Sei

personaggi in cerca d’autore" (1921) egli raffigura perfettamente la sua visione della vita: se il

teatro è metafora dell’esistenza, mostrando agli spettatori i trucchi che lo governano, denuncia in

realtà le regole della vita stessa. Nelle sue ultime commedie spettatori, maschere, personaggi e attori

si confondono a rappresentare gli equivoci che si nascondono dietro la vita stessa. Pirandello passa

dal teatro che imita la vita al teatro che mette in scena se stesso. Il personaggio di Pirandello,

diversamente da quello tradizionale, il quale chiede allo spettatore di identificarsi in lui, di

"commuoversi" con lui, apre un continuo, incessante dibattito, non solo con gli altri personaggi, ma

Marco Messina Esame di s tato 2006 11

idealmente con il pubblico. Lo spettatore è chiamato a "partecipare" in modo nuovo, a "entrare in

scena" anche lui. Esempio tipico è "Ciascuno a suo modo". Questa scelta di Pirandello significa

intenzione di abolire la separazione tra arte (teatro) e vita (pubblico) e di mescolarle continuamente.

Il teatro non rispecchia più la vita, ma vuole rappresentare se stesso (anche perché la vita è teatro), il

farsi della creazione artistica, il difficile rapporto tra autore e personaggi, che diventa espressione

simbolica del rapporto universale tra l'uomo e il suo destino (come in Sei personaggi in cerca

d’autore).

FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE

La vita Friedrich Wilhelm Nietzsche nacque nel 1844 a Röcken in

Germania, figlio del pastore Karl Ludwig e di Franziska

Oehler, anch'essa figlia di un pastore. Rimasto orfano del

padre in tenera età, crebbe affidato alle cure della madre,

donna di solide qualità morali ma di cultura limitata. A

Naumburg, dove la famiglia si era trasferita, ricevette i suoi

primi insegnamenti di religione, latino e greco e imparò a

suonare il pianoforte. Dopo avere abbandonato la celebre

scuola teologica di Pforta, con disappunto della madre, la quale sperava di vedere il figlio diventare

ecclesiastico, Nietzsche studiò filologia classica alle università di Bonn e Lipsia, diventando

professore della disciplina all'università di Basilea a soli 24 anni; in quell’epoca si delinearono

sempre più chiaramente le sue inclinazioni filosofiche. In questo periodo entrò in relazione con

Richard Wagner, del quale divenne amico ed estimatore. Il loro rapporto in seguito degenerò

progressivamente fino a rompersi nel 1878. Ma a quel tempo, Nietzsche era già malato da alcuni

anni e soffriva di crisi nervose. Nel 1876 abbandonò l'insegnamento per motivi di salute e iniziò la

sua vita solitaria e errabonda, che lo condusse a soggiornare a lungo anche in Italia. Guastati i

rapporti anche con la famiglia, egli vide peggiorare sempre più il suo stato di salute. Nel 1889 a

Torino cade in preda a un accesso di follia che non lo avrebbe abbandonato fino alla morte,

avvenuta a Weimar nel 1900. Negli ultimi anni visse errando per l'Europa, spesso ospite di amici e

protagonista di complicate vicende umane e sentimentali.

Marco Messina Esame di s tato 2006 12

Il pensiero

Studioso della cultura greca, in particolar modo di Platone e di Aristotele,

Nietzsche attinse ispirazione anche dalle opere di Arthur Schopenhauer e

dalla musica di Richard Wagner. Nietzsche non espose il suo pensiero in

forma sistematica ma in frammenti, o in poesia; anche per questo le sue

opere si sono prestate ad interpretazioni differenti esercitando un grande

fascino. Lo stesso autore, consapevole dell'«inattualità» delle sue parole

aveva detto: "Mi si comprenderà dopo la prossima guerra europea". Egli

cercò di ricostruire la genesi del pensiero e della civiltà moderna,

individuando nell'antichità classica le radici di due fondamentali atteggiamenti culturali: quello,

simboleggiato da Apollo, che si esprime nella ricerca dell'armonia, dell'equilibrio, della bellezza

formale, della serenità dello spirito, della razionalità; e quello, che trova il suo simbolo in Dioniso

ed è quello originario nell'uomo, che invece è espressione dell'istinto, della volontà,

dell'irrazionalità, del desiderio di trasgredire a ogni ordine e a ogni legge. Fino a questo momento

della storia, sostenne Nietzsche, è stato seguito principalmente il principio apollineo, nel quale il

filosofo tedesco scorge i segni di una decadenza dell'umanità, testimoniata dalle menzogne e dal

dogmatismo delle scienze sul piano culturale e dal conformismo, dalla passività, dall'ipocrisia delle

leggi e della politica sul piano sociale. Perciò, egli concludeva, è necessario tornare al dionisiaco,

restituire all'uomo la libertà di gioire dei suoi istinti e delle sue passioni; di qui l'esigenza di

abbandonare la "morale degli schiavi", l'etica della rinuncia, dell'obbedienza passiva alle leggi

professate dal Cristianesimo per esaltare l'indomabile volontà di potenza dell'individuo.

L'espressione più elevata di questa liberazione è il superuomo, un essere totalmente libero,

incarnazione della volontà di potenza, che sta "al di là del bene e del male", che non sottostà alle

regole e che è libero dalla morale cristiana. Su un piano filosofico egli si caratterizza per la sua

fedeltà alla terra: poiché Dio è morto, l'unica realtà è ora la vita terrena, non essendoci più Dio non

esiste più un "mondo dietro il mondo" in cui trovare consolazione al pensiero della morte. Tra le sue

opere, le più significative sono: La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872)

Considerazioni inattuali (1872-74) Così parlò Zarathustra (1883-85) Al di là del bene e del male

(1886) Genealogia della Morale (1887) L'Anticristo (1889) La gaia scienza (1882) Ecce Homo

(1889).

Il superuomo Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell’esistenza, di

far propria la prospettiva dell’eterno ritorno, di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo, di

Marco Messina Esame di s tato 2006 13

porsi come volontà di potenza. Tutti i valori della civiltà occidentale -

religione, scienza, morale - per Nietzsche sono mistificazioni volute dal

gregge degli «schiavi», dalla massa per ostacolare il cammino degli

uomini superiori; e sono il risultato dello spegnersi nel corso dei

millenni dell'originaria «volontà di potenza», ossia dell’energia creatrice

dell’uomo e dei suoi valori vitali. Incarnazione della volontà di potenza è

il superuomo (Übermensch): «L’uomo deve essere superato. Il

superuomo è il senso della terra. L’uomo è una corda tesa fra la bestia e

il superuomo, ma corda sull’abisso». Nietzsche fu un critico spietato

degli ideali e dei valori tradizionali dell'Europa dell'Ottocento. Nelle sue opere filosofiche si scagliò

contro il Positivismo e la sua fiducia nel fatto scientifico e oggettivo, demolendo il concetto di

progresso da lui definito come un'idea "moderna" e "falsa", e contro ogni tipo di spiritualismo

proclamando la morte di Dio. In particolare egli criticò il cristianesimo che riteneva un "vizio". La

morale cristiana è per Nietzsche la «morale degli schiavi» che deriva dal «dire di sì ad un altro»: ad

essa egli contrappose la «morale aristocratica» che ha inizio nel momento in cui «si dice di sì a se

stessi». In Così parlò Zarathustra (1883), una delle sue opere più importanti, il filosofo tedesco

propone tre temi fondamentali: la morte di Dio, il superuomo e l'eterno ritorno. Soprattutto il

concetto di superuomo è stato spesso male interpretato. Il superuomo nietzschiano, infatti, non è

l'archetipo nazista ma piuttosto colui che, avendo preso coscienza del fatto che tutti i valori

tradizionali sono crollati, è in grado di ritornare ad essere "fedele alla terra", liberandosi dalle

cristallizzazioni della cultura. Il superuomo ha in sé una forza creatrice che gli permette di operare

la traslazione dei valori e di sostituire ai vecchi doveri la propria volontà. Il pensiero dell’eterno

ritorno tende a palesare il suo carattere selettivo, fungente da spartiacque fra l’uomo e il superuomo.

Infatti il terrore di fronte alla prospettiva dell’eterno ripetersi del tutto è propria dell’uomo, mentre

la gioia entusiastica si manifesta come tipica del superuomo. Nietzsche torna, dunque, a recuperare

una concezione pre-cristiana del mondo, la quale presuppone una visione ciclica del tempo. Non

credere nella dottrina dell’eterno ritorno significa ritenere che il senso dell’essere stia fuori

dall’essere, in un oltre irraggiungibile e frustante; nel vivere la vita come tensione angosciosa in

funzione di un futuro migliore.

La morte di Dio Per Nietzsche Dio è sostanzialmente il simbolo di ogni prospettiva oltremondana che ponga il senso

dell’essere al di là dell’essere, ovvero in un altro mondo contrapposto a questo mondo; la

personificazione delle certezze ultime dell’umanità, ossia di tutte le credenze elaborate attraverso i

Marco Messina Esame di s tato 2006 14

millenni per dare un senso alla vita. Alla base della concezione nietzschiana della vita c'è il

tentativo di considerare l'esistenza nella sua sana ebbrezza primitiva e di restituirla alle sue sorgenti

originarie dopo aver estirpato "il posto di Dio". L'atto di liberazione dalla schiavitù della religione è

un atto tragico che viene vissuto attraverso il delirio del pazzo, il quale accusa se stesso e gli altri di

aver ucciso Dio. Il vuoto lasciato dalla "morte di Dio" potrà essere colmato solo dall'Uomo e da

nessun’altra ideologia tirannica. Ma il travaglio della cultura che tenta di costruire un ateismo

umanistico è tutt’altro che semplice da definirsi: Nietzsche vive, nel noto racconto dell’uomo

“folle” come in altri brani, il dramma del pensiero che cerca in se stesso un assoluto criterio di

giudizio e di libertà. Egli sottolinea non solo la difficoltà degli uomini comuni ad accettare la

“morte” dei vecchi valori, ma allude anche alla crisi moderna delle religioni. La cultura

contemporanea si sta ancora misurando con questo problema; ma il fatto che da parte di Nietzsche

esso sia posto in maniera così drammatica e diremmo "teatrale" è indice dello spostarsi della

filosofia verso il racconto o l'aforisma, verso la divulgazione letteraria. La morte di Dio coincide

con la nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere

atto del crollo degli assoluti è ormai maturo per varcare l’abisso che divide l’uomo dall’oltre-uomo.

La volontà di potenza Nietzsche identifica la volontà di potenza con “l’intima essenza dell’essere”, ovvero con il carattere

fondamentale di ciò che esiste. Più in particolare, la volontà di potenza si identifica con la vita

stessa, intesa come forza autosuperantesi. La molla fondamentale della vita non sono gli impulsi

autoconservativi o la ricerca del piacere, ma la spinta all’autoaffermazione. Questo costitutivo

espandersi della vita, trova la sua massima espressione nel superuomo, che non è uber solo perché è

oltre l’uomo del passato, ma anche perché la sua essenza consiste nel continuo oltrepassarsi. Ma

dire che la vita è autopotenziamento significa dire che la vita è libera produzione di sé medesima al

di là di ogni piano prestabilito. Se l’essenza della vita è il potenziamento della stessa ne segue che

l’arte, intesa nel senso ampio di forza creatrice, non è soltanto una forma della vita, ma la forma

suprema. Inoltre, poiché la volontà di potenza trova la sua espressione ultima nel superuomo, ne

segue che l’artista si configura come una prima visibile figura di superuomo. Inizialmente Nietzsche

aveva esaltato l’arte. Nella fase illuministica ne aveva denunciato i limiti. Nell’ultimo periodo torna

a rivalutarla. L’essenza creativa della volontà di potenza si manifesta nella produzione di valori che

sono proiezioni della vita e condizioni del suo esercizio. La volontà di potenza trova il proprio

culmine nell’accettazione dell’eterno ritorno, ovvero nell’atto in cui il superuomo si libera dal peso

del passato per “redimere” il tempo. La volontà di potenza sembra urtare contro l’immodificabilità

del passato. Ma rispetto a quest’ultimo nel presente ciò che è cambiato è l’uomo, il quale è divenuto

Marco Messina Esame di s tato 2006 15

superuomo. La volontà di potenza non ha valenze solo teoriche ma essa ne contiene altre. Sono le

valenze connesse al concetto della volontà di potenza come sopraffazione e dominio. Nel concetto

nietzscheano di volontà di potenza albergano aspetti antidemocratici e antiegualitari, che fanno

parte della componente reazionaria del suo pensiero.

L’AVVENTO DEI REGIMI TOTALITARI IN EUROPA IL REGIME FASCISTA

Benito Mussolini è una tra le menti che rivoluzionarono una fetta di storia che appartiene a questa

grande torta che è il mondo. E’ riuscito a condizionare vite e vite, contribuendo anche allo sterminio

di alcune di queste grazie alla sua alleanza con Hitler. Uno degli uomini più potenti e folli che

l’Italia abbia avuto al potere.

La nascita del fascismo Finita la Prima Guerra Mondiale, durante la Conferenza per la Pace stipulata a Parigi, gli Alleati,

concessero all'Italia solamente Trento e Trieste, ma non la Dalmazia e Fiume come previsto dal

Patto di Londra. La delegazione italiana, per protesta, abbandonò la Conferenza e gli Alleati non ne

tennero alcun conto nella spartizione delle ex colonie tedesche. I nazionalisti, capitanati da Gabriele

D'Annunzio, con lo slogan di “vittoria mutilata”, mobilitando i reduci e la piccola borghesia, nel

Settembre 1919 occuparono Fiume. Il nuovo presidente Nitti, non essendo capace di risolvere

l'avventura fiumana che si protrasse per 15, fece intervenire Giovanni Giolitti, che ridivenuto

presidente del Consiglio, con il Trattato di Rapallo cedette la Dalmazia alla Jugoslavia, proclamò

Istria e Zara italiane e Fiume uno Stato libero. Durante e dopo la Guerra vi fu una progressiva

maturazione delle classi lavoratrici non più disposte a tollerare guerre e condizioni di vita durissime

dettate da altri. Vennero poi alimentate dalla ventata rivoluzionaria che attraversava l'Europa per

imitazione e sollecitazione dei rivoluzionari sovietici. In Italia, il “Biennio Rosso” esplose in

proporzioni molto vaste a causa della forte combattività dei lavoratori italiani e della loro

organizzazione in :

( Cgil ) Confederazione Generale del Lavoro legata al Partito socialista;

( Cil ) Confederazione italiana dei lavoratori, cattolica;

Leghe contadine, controllate da Leghe rosse (socialisti), e Leghe bianche(cattolici)

Tra il 1919 e il 1920 i contadini invasero le terre incolte dando vita a un movimento di occupazione

delle terre, ma vennero presto repressi dal governo Nitti con l'esercito. Nel 1920 gli operai della Fiat

Marco Messina Esame di s tato 2006 16

fecero uno sciopero contro il carovita e gli industriali, dopo essersi riuniti nella Confederazione

generale dell'industria, risposero allo sciopero con la serrata delle fabbriche. Ne segui un

occupazione delle stesse e venne anche tentata un'”autogestione” seguendo l'esempio dei soviet.

Contro quest’agitazione operaia sarebbe dovuto intervenire il nuovo presidente del Consiglio

Giovanni Giolitti, egli pero non intervenne.

Fece una mossa abile, infatti l'occupazione

falli perché gli operai, ormai da molti mesi

senza stipendio, abbandonarono le fabbriche

accontentandosi di qualche piccolo aumento

salariale. Inoltre per gli operai, divisi

sull'opportunità di far scoppiare la

rivoluzione, la sconfitta approfondì i

contrasti in seno alle organizzazioni. Nel

Gennaio 1921, al termine del congresso di

Livorno, Antonio Gramsci fondo il Partito

Comunista d'Italia. La reazione degli industriali e dei proprietari terrieri al Biennio rosso fu decisiva

per le sorti della vita democratica e parlamentare in Italia. Temendo i pericoli della Rivoluzione e

mostrandosi ostili alle riforme e avversi ai partiti riformisti, pretendevano la repressione degli

scioperi attraverso l'esercito, non condividevano la politica economica dei liberali e dei democratici.

Per tutti questi motivi si rivolsero a un movimento appena nato e con pochi aderenti: il Movimento

Fascista. La prima origine di questo movimento risaliva al marzo del 1919, quando Benito

Mussolini, un ex leader del partito socialista espulso per le sue posizioni interventiste, fondava i

fasci a Milano, un movimento che riuniva ex-combattenti, ex-sindacalisti rivoluzionari ed ex-

repubblicani. Grazie al programma di San Sepolcro, i fasci si presentarono alle elezioni del

novembre del 1919 ottenendo 5000 voti e senza conseguire alcun seggio. Esso prevedeva il

suffragio universale, la sostituzione della repubblica alla monarchia, riforme fiscali, la riduzione

della giornata lavorativa, e alcuni elementi fortemente anticlericali. Ma proprio in questo

programma si comprendeva l'ispirazione violentemente antisocialista e antioperaia che poi si attuò

nell'azione politica. Dopo l'insuccesso elettorale del 1919 nacque un forte fascismo "agrario" e lo

squadrismo. I grandi proprietari terrieri appoggiavano e finanziavano le "squadre d'azione" fasciste

che giravano per colpire e ridurre al silenzio i sindacati, le associazioni dei braccianti e le

organizzazioni socialiste. Nel 1921, con le elezioni politiche di Maggio, i liberali scelsero di allearsi

con il movimento di Mussolini per riuscire a fronteggiare i due grandi partiti di massa: socialisti e

cattolici. A capo del partito liberale c'era Giolitti che in realtà sperava di poter poi riassorbire il

Marco Messina Esame di s tato 2006 17

fascismo riducendone i poteri. In questo modo però venne, in sostanza, legittimato il Partito

fascista. Infatti, entrarono nel parlamento ben 35 deputati fascisti tra cui lo stesso Mussolini. I

fascisti si presentavano come soluzione contro il "pericolo rosso" per giustificare la loro azione e

per accrescere l'area dei consensi. Il governo liberale entra, così, in crisi. Nel giugno del 1921,

Giolitti si dimette dalla presidenza del consiglio, ormai immerso in una situazione di crescenti

scontri di piazza, illegalità e violenza. Il movimento fascista, ormai forte, si trasformò nel novembre

in Partito Nazionale Fascista. Il re, dopo una breve crisi incaricò Luigi Facta di formare un nuovo

governo. Facta, a capo di una coalizione di liberali e popolari mantenne il governo fra molte

difficoltà fino all'ottobre del 1922. Nell’Ottobre dello stesso anno, di fronte all’intensificarsi della

violenza squadrista i socialisti riformisti decisero di appoggiare il debole governo di Facta, dando

origine al Partito socialista unitario. Il primo segretario del neonato partito fu Giacomo Matteotti.

Alla vigilia della marcia su Roma risultava ormai diviso in tre tronconi. Profonde divergenze

maturarono anche all’interno del Partito popolare tra le diverse “anime” del cattolicesimo italiano.

Poiché né i Socialisti italiani furono in grado di rimanere uniti, né i cattolici e i liberali riuscirono a

trovare un punto d'accordo, nel 1922, quando era in atto il congresso di Napoli del partito nazionale

fascista, fu organizzata una "marcia su Roma" che costrinse il re e il parlamento ad accogliere le

richieste fasciste. Il presidente del consiglio Facta chiese al re di far intervenire l'esercito, ma il re

per paura che l'esercito non obbedisse o che scoppiasse una guerra civile, rifiutò e Facta, del tutto

impotente a fronteggiare la situazione, si dimise. Il 30 ottobre, infine, il re incaricò Mussolini di

formare un nuovo governo. Nasceva, così, una coalizione formata da liberali, cattolico-popolari e

fascisti.

Il partito fascista Dall'ottobre del 1922, Mussolini iniziò un'opera di rafforzamento del potere

fascista. Nel dicembre fu istituito il Gran Consiglio del fascismo, un organo

di dirigenti del partito fascista, con il compito di elaborare le linee generali

della politica fascista. Nel gennaio fu fondata la Milizia Volontaria per la

Sicurezza Nazionale nel tentativo di legalizzare lo squadrismo che però,

rappresentava sempre una forza armata di parte. Mussolini mirava ad ottenere

l'appoggio della classe dirigente, economica e politica. Molte furono le

riforme apportate dal nuovo governo, ad iniziare da una nuova politica

economica che aboliva il monopolio statale delle polizze vita, e da una

riduzione del carico fiscale sulle imprese fino alla decisione di salvare

l'Ansaldo e il Banco di Roma attraverso il denaro pubblico. Fece attuare una

Marco Messina Esame di s tato 2006 18

nuova riforma scolastica del ministro Giovanni Gentile che diede all'istruzione una configurazione

nuova e coerente con gli ideali del fascismo e che contribuì, prevedendo l'insegnamento della

religione nelle scuole elementari, a migliorare i rapporti con la Chiesa cattolica. Nel 1923 i ministri

popolari lasciarono il governo. Nello stesso anno fu introdotta una nuova legge elettorale, la legge

Acerbo che prevedeva un forte premio alla lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa dei

voti. Nel 1924, sulle basi del nuovo sistema elettorale, si tennero le nuove elezioni politiche. I

fascisti raccolsero una schiacciante maggioranza. Ma il deputato Giacomo Matteotti, segretario del

partito socialista, venne rapito da una banda di squadristi fascisti, poiché pochi giorni prima aveva

denunciato in parlamento i sotterfugi del partito fascista. Era chiaro a tutti chi fosse il mandante, ma

l'unica forma di protesta fu la cosiddetta secessione dell'Aventino, cioè l'uscita dal parlamento di

tutte le opposizioni, ad eccezione dei comunisti. La crisi che seguì fu ben presto superata anche

grazie all'inerzia del re di fronte all'illegalità e all'opinione pubblica. In un discorso in parlamento

pronunciato il 3 gennaio del 1925, Mussolini annunciò la svolta autoritaria assumendosi la

responsabilità di quanto accaduto. Da quel momento le opposizioni iniziarono ad essere

sistematicamente colpite da provvedimenti giudiziari, i maggiori giornali italiani divennero

"fascistizzati". Infine, il regime fascista prese la forma di uno stato totalitario. Da questo momento

iniziarono ad essere emanate leggi che miravano a rafforzare i poteri di Mussolini, leggi che

proibivano lo sciopero, che imponevano lo scioglimento di tutti i partiti ad eccezione di quello

fascista, che istituivano un tribunale speciale per la sicurezza dello stato e che reintroducevano la

pena di morte. Muore definitivamente così lo stato liberale.

Il regime Nel 1929 la Santa Sede e il governo Italiano firmano i Patti Lateranensi (Trattato del Laterano, che

restituiva alla Chiesa il Vaticano, S. Giovanni in Laterano e Castel Gandolfo, il concordato, che

regolava le materie d’interesse reciproco come il matrimonio, l'istruzione ed il trattamento fiscale

degli organismi ecclesiastici, e la convenzione finanziaria, che prevedeva un risarcimento

pecuniario per la perdita dei possedimenti pontefici nel 1870). Questi patti furono unicamente un

sistema, per Mussolini di potersi presentare come l'artefice di una storica riconciliazione fra lo stato

e la Chiesa, e, per quest’ultima, invece, rappresentava solo il legittimo riconoscimento della propria

autorità sullo Stato ed, inoltre, era una garanzia di tutela della propria indipendenza. Negli anni '30,

dopo lo scoppio della grande crisi economica mondiale, la politica fascista fondò il sistema

corporativo, una legge che prevedeva la nascita di 22 corporazioni cioè associazioni rappresentativa

sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, suddivise per settori produttivi che si proponeva di

impedire alla radice i conflitti di lavoro e di promuovere il massimo livello di produzione. In realtà

Marco Messina Esame di s tato 2006 19

il corporativismo si tradusse in vantaggio per la classe imprenditoriale. Nel 1927 si realizza la

rivalutazione della lira attraverso la "quota novanta" (ossia il valore di cambio di 90 lire per 1

sterlina). Ovviamente tutto questo si accompagnò ad una riduzione dei

salari dei lavoratori. Negli anni '30 cresce, inoltre, l'intervento statale

nell'economia fino ad arrivare a forme di dirigismo. Per ovviare al

problema economico che causava la disoccupazione, viene attuata una

politica di lavori pubblici (strade, ferrovie, edilizia….) e di bonifica di

terreni agricoli malsani ed incolti. Con l'impiego di ingenti risorse

finanziarie pubbliche, buona parte della disoccupazione poté essere

assorbita e migliaia di ettari di terreno vennero messi a cultura. Le

conseguenze della grave crisi economica che nel 1929 aveva colpito tutto

il mondo, fu risolta dal fascismo con la nascita di alcuni istituti statali:

nel 1931 fu creato L'Istituto Mobiliare Italiano (IMI), con il compito di sostituire le banche in crisi

nel sostegno alle industrie in difficoltà finanziarie, nel 1933 nacque l'Istituto per la Ricostruzione

Industriale (IRI) con il compito di salvare le industrie malate. Oltre che istituti economici, nacquero

anche istituti di previdenza sociale come l'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INAIL),

l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI). Mussolini fece tutto questo per arrivare ad avere

un sempre maggiore livello di consenso pubblico che esplose, nel 1935, con la conquista

dell'Etiopia e la proclamazione dell'Impero. Nonostante le sanzioni economiche disposte dalla

Società delle Nazioni, la politica estera di Mussolini ebbe successo e ciò contribuì alla nascita di

una politica dell'autarchia (autosufficienza economica), che avvicinò Italia e Germania. Nel 1936

l'Italia intervenne a fianco dei nazisti tedeschi nella guerra civile Spagnola, in appoggio ai franchisti

contro la repubblica. Si posero così le basi per un'alleanza fra Mussolini ed Hitler che, nell'arco di

pochi anni avrebbe portato i due paesi alla guerra Mondiale. Una Conseguenza tragica di

quest'alleanza fu, nel 1938, l'emanazione di leggi razziali antisemite che, in sostanza proclamavano

l'esistenza di una "pura razza Italiana" d'origine ariana. Gli ebrei furono privati, poiché "razza

inferiore", di tutti i fondamentali diritti civili e politici e costretti all'esilio o all'emigrazione.

IL REGIME NAZISTA

Il termine Nazionalsocialismo, più spesso abbreviato in "nazismo", designa la dottrina politica che

dava contenuto ideologico al National Sozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP; Partito

nazionalsocialista tedesco dei lavoratori), improntando la sua azione e, in generale, tutta la

politica interna ed estera di Adolf Hitler e del suo governo dal 1933 al 1945. I principi centrali

della dottrina nazista, per alcuni aspetti affine al fascismo italiano, erano ispirati alle teorie che

Marco Messina Esame di s tato 2006 20

sostenevano una presunta superiorità biologica e culturale

della razza ariana formulate da Houston Stewart Chamberlain

e da Alfred Rosenberg; ma il successo della formula politica in

Germania fu dovuto anche alla sua relazione di continuità con

la tradizione nazionalista, militarista ed espansionista

prussiana, nonché al suo radicamento nella cultura

irrazionalista di inizio secolo. L'ascesa del movimento

nazionalsocialista trasse forte impulso dallo scontento diffuso

fra i tedeschi alla fine della prima guerra mondiale. Ritenuta la principale responsabile del

conflitto, la Germania dovette infatti accettare le pesantissime condizioni del trattato di Versailles,

a causa delle quali entrò in un periodo di depressione economica, segnato da un'inarrestabile

inflazione e da una vasta disoccupazione. Finanziata dagli ambienti militari, la formazione

politica guidata da Adolf Hitler nacque nel 1920 in un paese prostrato dalla guerra e attraversato

da violenti conflitti politici e sociali. Parte dei militanti furono organizzati in una specie di braccio

armato, le SA (Sturmabteilungen, "sezioni d'assalto"), organizzato da Ernst Röhm; le SA avevano

il compito di intimidire con la violenza gli avversari politici e i sindacalisti. Hitler formulò un

programma d'azione antidemocratico, imperniato sul nazionalismo e sull'antisemitismo, e nel

1923 dotò il partito di un efficace strumento di propaganda, il quotidiano " Völkischer

Beobachter" (L'osservatore nazionale), e di un simbolo ufficiale, una croce uncinata nera, inscritta

in un cerchio bianco su campo rosso: la svastica. Nello stesso anno intensificò la propaganda e le

azioni dimostrative contro il Partito comunista tedesco, tentando infine un colpo di stato (il putsch

di Monaco) per rovesciare il governo.

L’ideologia nazista Il tentativo fallì e Hitler fu condannato a cinque anni di

carcere. Durante la detenzione, che in realtà durò meno di un

anno, scrisse la prima parte del Mein Kampf (La mia

battaglia), l'opera in cui riassunse i capisaldi dell'ideologia

nazista, tracciando il suo progetto di conquista dell'Europa. Le

fonti intellettuali di Hitler erano alquanto eterogenee e il

nazionalsocialismo si presentava così più come un

conglomerato di idee dalle matrici più disparate che come

un'ideologia organizzata e strutturata. Nel Mein Kampf le istanze nazionaliste e il progetto di una

grande Germania che radunasse tutte le genti di lingua tedesca trovavano una teorizzazione che

Marco Messina Esame di s tato 2006 21

ben si inseriva nel clima causato dalla disfatta della guerra: Hitler propose infatti un piano di

ampliamento del territorio nazionale, giustificandolo con la necessità di allargare il Lebensraum

("spazio vitale") per il popolo tedesco. Le altre nazioni dovevano sottomettersi alla razza ariana,

in virtù della sua conclamata superiorità, destinata com'era a regnare sul mondo intero. Nemici

degli ariani erano in primo luogo gli ebrei, responsabili del disastro economico e della diffusione

delle ideologie marxiste e liberali.

Il NSDAP al potere Una volta rilasciato, Hitler riorganizzò il partito, creò il corpo armato delle SS (Schutz-Staffeln,

"squadre di difesa"), diretto da Heinrich Himmler, e l'ufficio

di propaganda, che fu affidato a Joseph Goebbels. Nel 1929,

l'anno della grande crisi seguita al crollo di Wall Street,

buona parte dei grandi imprenditori tedeschi cominciarono a

guardare con favore a Hitler e al suo programma e ingenti

somme di denaro presero ad affluire nelle casse del partito

nazista. Appoggiato anche dalle classi medie, dai piccoli

proprietari e dai disoccupati colpiti dalla grande depressione

economica, il partito nazista conquistò la maggioranza relativa nelle elezioni del 1932. Un anno

dopo Hitler ottenne il cancellierato e, sfruttando con abilità l'episodio dell' incendio del Reichstag,

fece in modo che il presidente della Repubblica decretasse lo stato di emergenza, affidandogli

poteri straordinari. Alle successive elezioni politiche il Partito nazionalsocialista ottenne una

schiacciante vittoria; a Hitler furono quindi assicurati i pieni poteri, che egli usò per assorbire le

competenze del parlamento ed eliminare con la violenza l'opposizione. Il Partito

nazionalsocialista divenne l'unica organizzazione politica legale. Nel 1933, allo scopo di

eliminare i dissidenti, venne istituita la Geheime Staatspolizei (Polizia segreta di stato), nota come

Gestapo, svincolata da ogni controllo legale e soggetta solo al proprio comandante, Himmler.

Soppressi gli avversari politici e i diritti costituzionali e civili, il regime affrontò la crisi

occupazionale, pianificando una ristrutturazione industriale e agricola dell'intero paese, eludendo

le restrizioni del trattato di Versailles, abolendo le cooperative e ponendo le organizzazioni

sindacali sotto il controllo dello stato. Grazie al "nuovo ordine" la Germania hitleriana uscì dalla

crisi: le sorti dell'alta finanza e della grande industria nazionale furono risollevate e gradualmente

fu assorbita la disoccupazione; ma questo fu dovuto anche al lavoro creato per la preparazione di

una possente macchina da guerra, mentre veniva inaugurata una politica estera estremamente

aggressiva e brutale. Fu rimilitarizzata la Renania, si formò l'Asse Roma-Berlino (1936) e

Marco Messina Esame di s tato 2006 22

l'Austria venne annessa con uno spregiudicato colpo di mano (1938; Anschluss). Infine,

l'invasione della Polonia (1° settembre 1939) fu la scintilla che fece scoppiare la seconda guerra

mondiale. Nella prima fase del conflitto la Germania sembrò avere la meglio; Hitler e i suoi

uomini diedero allora il via alla cosiddetta "soluzione finale", organizzando la deportazione e

l'eliminazione di milioni di ebrei, zingari, omosessuali, malati mentali, oppositori politici.

Il Terzo Reich Il Terzo Reich rappresenta il Regime nazista instaurato da Adolf Hitler in Germania nel 1933 e

conclusosi nel 1945 con la disfatta della Germania nella seconda guerra mondiale. Negli anni

della Repubblica di Weimar (1919-1933), il sistema

democratico subì i contraccolpi delle crisi internazionali e

delle tensioni interne, accentuate dall'elevata disoccupazione e

dal peso delle riparazioni imposte alla Germania con il trattato

di Versailles dai paesi usciti vincitori dalla prima guerra

mondiale. I contrasti interni finirono col premiare il Partito

nazionalsocialista che, alle elezioni del 1932, con 230 deputati

eletti divenne il partito di maggioranza relativa. Dopo vari

tentativi di formare un governo, il 30 gennaio 1933 il presidente del Reich Von Hindenburg

nominò Hitler cancelliere. Il nazismo, salito al potere, avviò un rapido processo di trasformazione

in senso totalitario dello stato. Si allestirono campi di concentramento per rinchiudervi gli

oppositori e ridurli definitivamente al silenzio, quindi fu preso a pretesto l'episodio dell'incendio

del Reichstag, avvenuto il 27 febbraio 1933, per introdurre ulteriori misure liberticide. Fu ordinata

la carcerazione dei dirigenti dei partiti democratici e la messa al bando dei comunisti e di tutti i

partiti, compresi quelli di destra che erano stati fiancheggiatori di Hitler. A marzo Hitler esautorò

il Parlamento e assunse i pieni poteri, imponendo una dittatura personale, premessa per la totale

identificazione tra Stato e Partito nazista. Il Partito nazista, unico partito autorizzato, doveva

rappresentare il legame tra il capo (Führer) e le masse, irregimentate nelle diverse organizzazioni

naziste, quali il Fronte del lavoro, che sostituiva i disciolti sindacati, e la Gioventù hitleriana

(Hitlerjugend).

Repressione e consenso Il corpo speciale delle SS, inizialmente costituito come guardia del corpo a protezione di Hitler, e

la polizia segreta (la Gestapo) furono alcuni degli strumenti repressivi della dittatura totalitaria,

sancita formalmente nel 1934 quando Hitler proclamò la nascita del Terzo Reich. Tale definizione

sottolineava il nesso con i due precedenti imperi tedeschi, il Sacro romano impero di origine

Marco Messina Esame di s tato 2006 23

medievale durato fino al 1806 e l'impero istituito nel 1871 (Secondo Reich). I nazisti imposero

una politica culturale di stampo totalitario attraverso il controllo sia dei mezzi di comunicazione

di massa sia della produzione intellettuale: Joseph Goebbels, ministro della Propaganda, si

impegnò a mettere al bando le voci del dissenso. Lo stato totalitario si cementò su una scelta

ideologica che esaltava il mito biologico della "razza ariana", destinata alla supremazia su tutte le

razze "inferiori", in particolare sull'"antirazza", quella ebraica. La politica razzista fu avviata nel

1935 con le leggi di Norimberga, che privarono gli ebrei dei diritti civili, premessa per le

successive persecuzioni fisiche, culminate nell'olocausto. Ad esse seguì la “notte dei cristalli” del

1938, in cui furono devastati e requisiti tutti i beni appartenenti agli ebrei. Il regime nazista si

impose senza particolari difficoltà: le opposizioni erano state annientate con provvedimenti

repressivi e l'apparato di controllo messo in atto da Hitler risultò spietato e molto efficiente: nella

notte del 30 Giugno 1934(detta dei lunghi coltelli”), il Fuhrer ordinò l’eliminazione del capo e dei

principali dirigenti delle SA. L’operazione aveva anche l’obiettivo politico di rafforzare l’alleanza

con l’esercito. Contò inoltre il sostanziale e diffuso consenso espresso dalla società tedesca. La

spiegazione di tale fenomeno chiama in causa molteplici fattori, tra i quali la riscossa nazionale

propugnata dai nazisti e praticata con determinazione, che servì a compensare la psicologia delle

masse dalle umiliazioni conseguenti alla prima guerra mondiale; la ripresa economica, sostenuta

da un forte intervento dello Stato, che fece calare vistosamente la disoccupazione; la capacità del

nazismo di proporre miti collettivi che si richiamavano alle tradizioni secolari della cultura

tedesca; l'uso sapiente dei nuovi mezzi della propaganda, quali la radio e il cinema, nonché le

spettacolari adunate di massa e l'esaltazione carismatica del Führer, che contribuirono a cementare

l'unione tra popolo tedesco e capi nazisti. In politica estera, il Terzo Reich provvide a un generale

riarmo della Germania, che comportava innanzitutto la revisione degli equilibri europei, concepita

come parte di un disegno di espansione mondiale che prevedeva l'annientamento dell'Unione

Sovietica e degli Stati Uniti. Nel 1938 l'obiettivo tedesco di rivedere i confini in Europa passò

dalla proclamazione alla realizzazione, prima con l'annessione dell'Austria (Anschluss), poi con

l'occupazione del territorio dei Sudeti, regione della Cecoslovacchia con popolazione a

maggioranza tedesca. Queste mosse dichiaratamente aggressive furono l'elemento detonatore

della seconda guerra mondiale, che scoppiò nel settembre del 1939 con l'attacco tedesco alla

Polonia. La potenza del Terzo Reich, strettamente legato alla dittatura nazista, raggiunse l'apogeo

nel 1942, quando controllava direttamente o indirettamente gran parte dell'Europa; ma entrò in

crisi a fronte delle controffensive dei sovietici e degli angloamericani per scomparire infine nel

1945 con la sconfitta militare della Germania.

Marco Messina Esame di s tato 2006 24

IL REGIME STALINIANO

Stalin al potere Lenin, alla sua morte, lasciò un testamento politico, nel quale espresse le proprie perplessità sulla

persona di Stalin, sull'uso arbitrario che questi faceva del potere e sulle sue ambizioni personali che

rischiavano di scavalcare gli interessi generali del partito; lo accusò inoltre di essere "troppo rozzo"

e ne chiese l'estromissione. Con abili manovre, Stalin riuscì però a occultare il testamento. Dopo la

morte di Lenin, la guida del paese era nelle mani di una troika composta da Stalin, Zinov’ev e

Kamenev. All'interno del partito, il principale oppositore di Stalin era Lev Trotzkij che propugnava

la teoria della "rivoluzione permanente" contraria a quella staliniana della "costruzione del

socialismo in un solo paese". Le due teorie che si contrapponevano consistevano in questo:

• Rivoluzione permanente (Trotzkij): la sopravvivenza nel lungo periodo dell’URSS era legata

alla riuscita di una rivoluzione comunista a livello mondiale, guidata dai vari movimenti operai

nazionali e coordinata dall’Unione Sovietica.

• Il socialismo in un solo paese (Stalin): la prima necessità era il consolidamento dello stato

sovietico; Stalin riteneva che fosse possibile edificare il socialismo in un paese solo (l’URSS), e

che fosse necessario concentrare le forze del comunismo mondiale per rafforzare lo stato

sovietico.

Stalin si presenta come seguace fedele del pensiero di Lenin, e accusa Trotzkij, sostenendo

l’inapplicabilità della “rivoluzione permanente” e portando avanti con decisione la teoria del

“socialismo in un solo paese”. Stalin, Zinov’ev e Kamenev riescono rapidamente a esautorare

Trotzkij, il quale nel 1925 dà le dimissioni da tutte le cariche governative, pur mantenendo quelle di

partito. Nel 1926 Kamenev e Zinov’ev si erano staccati da Stalin per riavvicinarsi a Trotzkij, ma ciò

non aveva avuto effetto alcuno. Nel 1927, in occasione del congresso annuale del Partito, Trotzkij,

Kamenev e Zinov’ev vengono espulsi ed esiliati: Stalin rimane così padrone assoluto del Partito e

dell’Unione Sovietica (Trotzkij verrà poi assassinato nel 1940 in Messico).

I primi piani quinquennali Accresciuto il suo potere personale con l’eliminazione degli oppositori, Stalin potè affrontare il

problema del rafforzamento dell’Unione Sovietica con l’avvio del primo piano quinquennale (1928-

1932); Stalin diede così avvio all’industrializzazione forzata (primato dei beni strumentali su quelli

di consumo, massiccio incremento dell’industria siderurgica ed elettronica) e alla collettivizzazione

delle campagne, che prevedeva l’eliminazione dei kulaki “in quanto classe”. Gli espropri vennero

imposti con la forza dalle truppe speciali dell’NKVD (Narodnij Kommissariat Vnutrennič Del,

Commissariato del Popolo per gli Affari Interni): i kulaki vennero così espulsi dalle comunità rurali

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e milioni di loro morirono per la loro opposizione al regime. Le campagne cambiarono totalmente

fisionomia: a circa 2.600.000 aziende individuali si sostituirono 23.000 aziende collettive, sia

cooperative che statali. Nelle prime, i kolchoz, la terra e i prodotti erano di proprietà comune, ma i

membri del collettivo agricolo avevano a disposizione un piccolo appezzamento privato; nelle

seconde, i sovchoz, la terra era invece di proprietà dello stato. Nel 1933, alla fine del primo piano

quinquennale, si era giunti in Unione Sovietica a un enorme sviluppo dell’industria pesante e a una

diminuzione della disoccupazione, ma lo sviluppo agricolo era rimasto a livelli più modesti. Anche

il secondo piano quinquennale (1933-1937) portò a un incremento della produzione industriale,

mentre l’agricoltura, privata di milioni di lavoratori validi e travolta dalla repressione staliniana,

languiva ai margini del sistema economico. Per far capire i risultati dei piani quinquennali, basta

citare alcuni dati: tra il 1928 e il 1938, la produzione siderurgica sovietica quadruplicò, e quella del

carbone aumentò del 359%. Nel 1938 l’Unione Sovietica era la massima produttrice mondiale di

trattori agricoli e locomotive ferroviarie; i quattro quinti della produzione industriale provenivano

da stabilimenti costruiti nel decennio precedente. Nel 1938 l’URSS era superata, nel prodotto

interno industriale lordo, solo da Germania e Stati Uniti. Nonostante squilibri e carenze, la politica

dei piani quinquennali del Partito Comunista consentì una grande trasformazione della società

sovietica, non solo a livello economico, ma anche a livello sociale. Stalin voleva togliere il paese

dall’arretratezza: avvenne un enorme sviluppo dell’istruzione (la piaga dell’analfabetismo venne

sostanzialmente eliminata), e dei servizi sociali (ospedali, ospizi, asili, trasporti pubblici).

Lo stakanovismo Di pari passo al mutamento economico e sociale, avvenne anche un mutamento culturale: i nuovi

valori imposti furono quelli dell’“emulazione socialista”. In un clima di accesa competizione, i

dirigenti e i tecnici delle fabbriche furono ritenuti i diretti responsabili dell’attuazione degli obiettivi

dei piani quinquennali: essi cominciarono così a far pressione sugli operai per indurli a lavorare di

più, tramite gli incentivi e i premi personali. Il modello ideologico e di comportamento era quello

dello stakanovismo, dal nome di Aleksej Stakanov; egli era un minatore di carbone della regione del

Don, ed era considerato un lavoratore modello, poichè tutti i giorni superava lo standard di 6,5

tonnellate estratte per ogni turno di 5 ore. Il 30 agosto 1935 Stakanov lavorò senza interruzione per

tutta la notte estraendo 102 tonnellate di carbone. Si trattava del doppio di quanto produceva una

squadra di 8 minatori. Questa impresa fruttò a Stakanov un premio di 200 rubli, invece dei soliti 30.

E’ da notare come, paradossalmente, le differenze nei salari all’epoca fossero molto più alte in

Unione Sovietica che nell’occidente capitalista.

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Il terrore staliniano e il culto della personalità Le venature autoritarie del sistema sovietico, già presenti fin dalle sue origini, sotto Stalin emersero

chiaramente, e si arrivò negli anni ’30 ad avere un sistema dittatoriale e tirannico. Ciò che

caratterizzò le “purghe” staliniane non fu solo in gran numero di vittime, ma il fatto che esse si

rivolsero contro il cuore stesso dello stato sovietico: il partito, l’Armata Rossa e lo stesso NKVD,

che era l’apparato preposto ad esercitare il terrore. Tra il 1934 e il 1938 si scatenò un’ondata di

repressione e di terrore, che coinvolse milioni di cittadini sovietici, deportati nei gulag o giustiziati

dopo processi sommari, istituiti senza prove e strumenti di difesa per gli imputati. L’apice della

campagna del terrore si raggiunse tra il 1936 e il 1938, quando Nikolaj Jezov divenne capo

dell’NKVD: in questi due anni, vennero fucilate 680.000 persone, e moltissime altre condannate a

pene lunghissime. L’epurazione colpì uomini di cultura, funzionari di stato, dirigenti di primo piano

come Bucharin, Zinov’ev e Kamenev, eliminati perché rivali di Stalin, e moltissimi ufficiali

dell’Armata Rossa. Nel frattempo, Stalin edificava il mito di sé stesso come padre della patria

(culto della personalità) e imponeva l’adesione totale al marxismo-leninismo tra la popolazione.

IL REGIME FRANCHISTA Quando in Italia iniziò il potere del partito fascista il resto dell'Europa non guardava con sfavore il

regime di Mussolini, vedendo in lui un forte antagonista al bolscevismo sovietico e un argine contro

l'eversione. Perciò non mancarono in Europa movimenti fascisti e filo-fascisti. In Spagna, per

esempio, dopo la lunga guerra civile (1936-1939) Francisco Franco e la Falange spagnola, il suo

partito, apertamente fascista, fondò un regime cattolico e tradizionalista durato sino al 1972. Franco

riuscì a prevalere nella guerra civile, scoppiata nel Luglio del 1936, sulle truppe repubblicane agli

ordini del Fronte Popolare, che riuniva i partiti di sinistra. Quando era ancora in vita il “Caudillo”

nominò Juan Carlos I di Borbone suo legittimo erede alla guida della Spagna e il ritorno della

democrazia nel paese iberico fu pressoché indolore.

PABLO PICASSO

Vita Picasso nasce a Malaga il 25 ottobre 1881; il padre, pittore specializzato nella decorazione di sale

da pranzo, trasmette questa sua passione al figlio fin dalla più tenera età sperando di trovare in lui la

realizzazione delle sue ambizioni deluse; quando ancora non sa parlare, già disegna con il lapis

figure di piccioni. Nel 1891 la famiglia si trasferisce a La Coruňa e qui Pablo frequenta i corsi di

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disegno della Scuola di Belle Arti, a partire dal 1892. Pablo non è un bravo studente, non si applica

nelle attività scolastiche come nel disegno. Grazie all'aiuto del padre, a 14 anni gli è concesso di

sostenere l'esame per entrare alla Scuola di Belle Arti di Barcellona: stupisce tutti finendo in un

giorno il lavoro per cui era stato concesso un mese di tempo, dimostrando così le sue grandi abilità.

Da solo, poi, parte per Madrid per andare all'Accademia Reale e a soli 16 anni ha già sostenuto tutte

le prove della Scuola Spagnola di Belle Arti. Il padre non si stanca di incoraggiarlo, e infine gli

consegna "i suoi colori e i suoi pennelli, e non dipinse più". Se per Blaise Cendrars "l'abdicazione

del padre era pura demonologia", il critico Palau i Fabre ritiene che il professore si fosse

semplicemente reso conto di essere stato superato dal suo allievo e di non aver

più nulla da insegnargli. In questo stesso periodo il giovane Picasso rivela un

nuovo interesse: dà vita a molte riviste (realizzate in un unico esemplare) che

redige e illustra da solo, battezzandole La torre de Hercules, La Coruna, Azuly

Blanco. Nel Giugno 1895, Josè Ruiz Blasco ottiene un posto a Barcellona.

Nuovo trasferimento della famiglia: Pablo prosegue i suoi studi artistici

all'Accademia della capitale catalana. Ha perfino uno studio, in calle de la Plata,

che divide con il suo amico Manuel Pallarès. L'anno seguente porta a termine un

buon numero di paesaggi, di figure accademiche, di ritratti di sua madre, di suo

padre, di se stesso, e una grande composizione, Prima comunione, strutturata

convenzionalmente, ma caratterizzata da un fondo nero che conferisce un tono drammatico alla

scena. Questo aspetto cupo del suo carattere si manifesta in un'altra tela, Scienza e carità del 1897

(che ottiene una menzione all'Esposizione nazionale di Belle Arti di Madrid): qui, un medico è

seduto al capezzale di una malata dal volto esangue, mentre una suora tiene in braccio il bambino

della donna e le porge una tazza. In questi anni, Pablo si è dimostrato uno studente molto saggio e

rispettoso. Suo padre accarezza l'idea di mandarlo a Monaco perché "è una città dove si studia

seriamente la pittura senza occuparsi delle mode come il "Pointillisme" e tutto il resto". Ma,

impercettibilmente, lo stile dell'allievo diligente comincia a sbrigliarsi e a diventare via via più

libero; ed è proprio in questo periodo che adotta anche il nome di sua madre come nome d'arte. Egli

stesso spiegherà questa decisione, dichiarando che "i miei amici di Barcellona mi chiamavano

Picasso perché questo nome era più strano, più sonoro di Ruiz. E’ probabilmente per questa ragione

che l'ho adottato". Ma in realtà è anche una decisione che sottolinea il conflitto sempre più grave tra

padre e figlio (preferisce andare a Madrid invece che a Monaco), una decisione che pone l’accento

sul vincolo d'affetto nei confronti di sua madre, dalla quale ha preso molto. Tuttavia, anche se il

fossato che lo separa dal padre diventa sempre più profondo man mano che questi cede

irrimediabilmente alla nevrastenia, non è men vero che Picasso continua a vederlo come modello.

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Dopo un periodo di malattia e di convalescenza trascorsa presso i genitori di Pallarès a Horta de

Ebro, Picasso ritorna a Barcellona e comincia ad elaborare un nuovo genere di opere. Sono gli

ultimi anni dell'Ottocento, sta per iniziare il nuovo secolo. E già Picasso volta le spalle alle

convenzioni, ma non attua ancora una rottura radicale con il clima estetico del suo tempo. Quella

che egli inizia in questo momento è soprattutto una lunga ricerca della propria identità. Picasso

lavora con furore. Le tele, gli acquerelli, i disegni a carboncino e a matita che escono dal suo studio

di Barcellona in questi anni sorprendono per il loro eclettismo. Si ha l'impressione che attinga da

ogni parte, con una curiosità insaziabile. E’ attento in particolare al simbolismo e al decadentismo,

predominanti negli ambienti colti della sua città sotto l'etichetta del "Modernismo". Un evento

importante, a questo proposito, era stata l'inaugurazione del cabaret "Els Quatre Gats", nel giugno

del 1897. Qui si riunisce in questi anni tutta l'intellighenzia catalana, intorno a Père Romeu, che era

stato socio di Robert Salis alla "Taverne du Chat-Noir" a Parigi, e Miguel Utrillo, vissuto anche lui

a Montmartre. E qui, in particolare, è il tumultuoso punto d'incontro del movimento modernista.

Picasso, non ancora ventenne, lo frequenta assiduamente, vi trascorre lunghe serate a chiacchierare

ed ha modo di vedere la prima mostra di gruppo che vi viene organizzata (sono opere di Casas,

Rusinol, Utrillo, Nonell, Mir, Torent). Come tutti, egli da un lato subisce l'influenza dell’Aesthetic

Movement inglese ; dall'altro dipinge opere che si ispirano ad artisti come Edvard Munch. Così, in

Passeggiata lungo il mare, il gioco cromatico, violento e contrastato, prevale sulla definizione

lineare della figura in piedi; in La sorella dell'artista, pur conservando la stessa attenzione

all'intensità cromatica e al dissolvimento dello spazio, Picasso esalta le sfumature di colore sottili e

vibranti, che derivano soprattutto dall'arte francese dell'Ottocento, e da quella di Auguste Renoir in

particolare. Al contrario, quando si osserva Picador e valletto d'arena, i tratti neri e marcati che

schematizzano le sagome dei due uomini e del loro cavallo appartengono a tutto un altro registro. Il

pittore si orienta sempre di più verso un pathos, creato da contrasti di toni molto netti, e verso

l'espressione di sentimenti forti e patetici per mezzo del puro trattamento plastico. Ne sono

testimonianza la straziante Donna con scialle, cominciata nel 1899, o il suggestivo Ritratto di Lola,

sua sorella. E’ nella sala delle rappresentazioni teatrali di "Els Quatre Gats" che Picasso allestisce la

sua prima mostra personale, inaugurata il primo febbraio 1900. Proprio qui Picasso conosce Casas,

attraverso il quale viene a conoscenza del postimpressionismo francese nell'interpretazione dei

peintres de la vie moderne, che caricavano l'indagine sociale di un’accentuazione espressionistica.

Tale influsso è evidente, dopo le primissime prove accademiche di gusto realistico, nelle opere

dipinte a Parigi, Madrid e Barcellona nel 1900-1901, improntate ad un violento cromatismo e ad

una tecnica parzialmente divisionista. In questa prima esposizione, i suoi amici vogliono fare di lui

il campione della nuova generazione catalana. Picasso espone essenzialmente disegni, molti dei

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quali sono ritratti di amici. L'unica tela in mostra raffigura un prete che assiste una donna morente.

La mostra piace e si vendono molte opere su carta. Nel 1901 dopo un’estate passata con un amico a

Horta de San Juan nelle campagne spagnole Picasso vorrebbe andare a Londra per vedere i pittori

preraffaelliti che ammira. Invece si reca a Parigi in compagnia di Carlos Casagemas e Manuel

Pallarès. Si stabilisce a Montmartre, ospite del pittore barcellonese Isidro Nonell, e incontra molti

dei suoi compatrioti tra i quali Pedro Manyac, un mercante di quadri che gli offre 150 franchi al

mese in cambio della sua produzione: una somma discreta che gli permette di vivere senza troppe

preoccupazioni. Il clima parigino, e più specificamente quello di Montmartre, ha una profonda

influenza su di lui. Picasso capisce l'importanza di Toulouse-Lautrec: se ne vede l'influenza già

nella prima opera concepita nel suo studio di rue Gabrielle, il Moulin de la Galette. In questa tela,

come in L'abbraccio, Nella loggia, Finestra, vengono rappresentate scene di vita notturna e

cittadina, dove l'oscurità della composizione è animata da colori vivaci. Alla fine dello stesso anno,

Picasso torna in Spagna forte di quest’esperienza. Soggiorna a Malaga, poi trascorre qualche mese a

Madrid, dove collabora alla realizzazione di una nuova rivista, Artejoven, pubblicata dal catalano

Francisco de Asis Soler (Picasso illustra quasi interamente il primo numero con scene caricaturali di

vita notturna). Nel febbraio del 1901 riceve però una terribile notizia: l'amico Casagemas si è

suicidato per un dispiacere d'amore. L'evento colpisce profondamente Picasso e segnerà a lungo la

sua vita e la sua arte. Riparte per Parigi: questa volta vi torna per allestire una mostra presso

l'influente mercante Ambroise Vollard. A Parigi conosce Max Jacob e, dopo essere stato attratto dal

simbolismo, inizia quello che fu chiamato il "periodo blu", dipingendo prevalentemente esseri

miserabili, immersi in un'atmosfera di desolazione e sintetizzati da un linearismo alla Gauguin,

mentre la struttura plastico-cromatica rivela una prima attenta meditazione dell'opera di Cézanne,

ma anche richiami alla grande tradizione spagnola, dal Greco a Velázquez. Picasso quasi

interponendo un filtro fra sé e il mondo, vede tutto blu. La scelta del colore é tutt'altro che casuale;

esprime, anzi, un sentimento preciso, peculiare. Per Picasso il blu non è l'infinito, il sovrasensibile,

ma è un colore freddo, malinconico, statico, attraverso il quale il pittore esprime la tristezza

sconsolata e senza speranza dei personaggi che rappresenta e verso i quali rivolge l'attenzione

coerentemente con la propria ideologia politica: mendicanti, ciechi, girovaghi, tutti gli emarginati

della società. Il blu corregge, accentua, attenua, capovolge ciò che il soggetto del quadro dichiara.

Picasso attribuisce al blu una dimensione sacra; il suo guardare in faccia la miseria, la sofferenza e

la morte è sublimato dal blu, colore appunto sublimato e spietato. Alla monocromia si aggiunge

l'allungarsi delle figure e la netta decisione della linea di contorno che le racchiude e ne sintetizza la

forma. Questa tecnica va ad eliminare ogni rapporto con il languido intimismo "decadente" e

contraddice l'uso negativo della parola populismo per indicare una tendenza superficiale verso il

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popolo. Qui si tratta di un'autentica e sofferta partecipazione dell'artista al dramma esistenziale

dell'uomo. Il blu é il colore della notte, del mare, del cielo; é profondo e freddo, in armonia con il

pessimismo, la miseria e la disperazione. Il

cosiddetto “Periodo Blu” di Picasso è

caratterizzato, inoltre, dal pathos delle

figure, espressioni di una tragica condizione

sociale e umana, che è accentuato dal

disegno stilizzato e pungente e dal

monocromo blu che definisce duramente i

volumi, eliminando ogni spunto

naturalistico ed impressionistico. Stabilitosi

definitivamente a Parigi nel 1904, nel

Bateau-Lavoir, conosce Apollinaire e si

unisce a Fernande Olivier. Inizia qui il

"periodo rosa", con scene di saltimbanchi

(Famiglia d'acrobati, 1905, Göteborg,

Konstmuseum), in cui una forte accentuazione

classicistici (Donna col ventaglio, 1905, New York, Collezione Whitney; Due fratelli, 1906,

Basilea, Museo di belle arti). Fondamentale fu il ritorno in Spagna, a Gósol, nell'estate del 1906:

colpito dalle deformazioni espressive dell'arte romanica e gotica catalana, fu tratto, forse su

indicazione di Matisse, a meditare sulla sintesi espressiva, per rottura e incastro di piani, propria

simbolica viene tradotta in termini o arcaizzanti o

della scultura africana; e, dopo una lunga serie di prove, di rielaborazi oni, di studi parziali, giunse

alla creazione delle Demoiselles d’Avignon (dal nome del quartiere delle prostitute di Barcellona),

opera fondamentale nella storia del cubismo, che unisce soluzioni cromatiche e formali di tipo

arcaizzante dell'estremo "periodo rosa" alla definitiva rottura della rappresentazione tradizionale

dello spazio tridimensionale, che non era stata incrinata nemmeno dalla violenza cromatica dei

fauves. In questo dipinto si nota un sincretismo artistico di straordinaria originalità: il soggetto è

ripreso dalle Bagnanti di Cézanne, ma in Picasso si mescolano l'orribile umano e il delizioso, il

primitivo e il delicato, senza lasciar posto alla vena idillica di Cézanne o a simili elementi esornativi.

In questo quadro riconosciamo subito quella libertà di espressione tipica di Pablo, scevra da

qualsiasi convenzione accademica, indifferente all'unità di stile. Sempre ne Les Demoiselles

d'Avignon è evidente l'ispirazione primitiva nata dall'incontro con l'arte africana avvenuto quando

già l'opera era in atto. Come quasi tutte le opere piú significative di Picasso, questo dipinto è una

somma di consapevoli incoerenze, ma per questo grande artista il "finito" non può produrre che il

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"nulla"; solo il disordine è dotato di fascino spontaneo e vitale, al contrario della perfezione formale

che rende tutto statico e privo di vita. Il dinamismo del suo animo è il riflesso del continuo fluire del

vivere, ed è proprio per questo che parallelamente ad opere cubiste Picasso continuerà a dipingere

soggetti di ispirazione neoclassica e naturalista. Convivono in lui due tendenze mai risolte: una lo

porta a una gioiosa concezione decorativa; l'altra, piú rigida, mira invece alla realizzazione del

volume. I segni di un conflitto profondo li possiamo notare in tutte le opere di Picasso e anche

quando dipingerà le sue nature morte con forme cubiste, egli non rinuncerà a ritornare a forme

tipiche del naturalismo classico, in cui predominano armonia ed equilibrio compositivo. Per Picasso

non c'è antagonismo tra i due stili, poiché per rappresentare la realtà non ci potrà mai essere una

maniera unica e statica; gli stili devono essere multiformi, se l'artista vuole interpretare la realtà. Dal

1907 al 1909 Picasso, partendo dalla lezione di Cézanne, svolse il suo lavoro di ristrutturazione e

spiegamento bidimensionale delle superfici plastiche fondamentali in nudi maschili e femminili,

nature morte, paesaggi, e attrasse nella propria orbita, oltre a Braque, anche Dufy e Derain. La

seconda fase cubista, iniziata fra la primavera e l'autunno 1909 e destinata a protrarsi, in stretto

sodalizio con Braque, fino al 1914, fu preannunciata dall'accentuata scomposizione dei piani e

dall'incupirsi del colore ed esplose nell'inverno-primavera 1909-1910 con la grande serie dei Ritratti

di Vollard, Uhde, Kahnweiler e dei Nudi seduti. La frantumazione prismatica, quasi a minuti

cristalli verdastri-grigi-bruni, dell'immagine plastica giunge quasi all'astrazione, portando alle

conseguenze estreme il rifiuto della convenzione di "natura".

Ritratto di Ambrosie Vollard to di Ambroise Vollard, dipinto nell’inverno 1909-10, Il ritrat

pur essendo eseguito con rigoroso criterio cubista, è

straordinariamente somigliante. Vollard stesso riferisce che,

sebbene molti a quel tempo non lo riconoscessero, il figlio di

quattro anni di un suo amico, vedendo il quadro per la prima

volta, disse senza esitare: «È Vollard». Il naso camuso e l’alta

fronte calva a cupola del mercante di quadri si staccano, in toni

caldi, dalla grigia monocromia e dai continui ritmi angolari

regolari dello sfondo. All’interno del complesso elaborato di

sfaccettature, Vollard è seduto frontalmente e alle sue spalle si

scorgono, a sinistra, un tavolo con sopra una bottiglia e, a

destra, un libro in piedi. Pur contenendo accenti molto forti, il

dipinto non presenta in nessuna delle sue parti fratture o vuoti

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difficilmente risolvibili. La superficie cristallina del quadro è ininterrotta. Particolare curioso:

vicino al bottone centrale della giacca si scorge un fazzoletto nel taschino. Paragonato al ritratto che

Cézanne fece a Vollard, mostra gli evidenti progressi che Picasso ha compiuto sulla medesima linea.

Ritratto di Kahnweiler Il ritratto di Kahnweiler è uno dei migliori esempi dello stile cui è

Picasso torna al motivo già trattato da Cézanne e da lui stesso. I

materica delle sovrapposizion

stato dato il nome di cubismo analitico. Il desiderio di penetrare

nella natura della forma, di comprendere lo spazio che essa occupa

e lo spazio in cui è situata, ha dato luogo ad un’analisi rigorosa in

cui i contorni familiari della superficie hanno tutti perduto

simultaneamente la loro abituale opacità. Il velo dell’aspetto

esteriore è stato sottoposto ad un processo di cristallizzazione che

lo ha reso più trasparente. Ogni sfaccettatura è posta a spigolo così

da consentirci di valutare i volumi che stanno sotto la superficie.

Invece di essere invitati ad accarezzare con lo sguardo un liscio

involucro esterno, ci viene offerta una trasparente costruzione a

favo d’ape in cui superficie e profondità sono entrambe visibili.

Donna con ventaglio

verdi, gli ocra e i rossi scuri si accordano perfettamente nel creare

una composizione di altissimo livello. Lo spazio appare

accuratamente calcolato e strutturato. Le curve si integrano con i

piani per rendere corposamente il volume. Le ombre sono indicate

da tinte piatte. Le pieghe del ventaglio corrispondono

all’articolazione stessa del nuovo spazio. Il discorso artistico di

Picasso proseguì, in comune con Braque e dal 1911 con Gris, con

la lunga serie di nature morte di oggetti d'uso e di figure con

strumenti musicali. L'immissione nel contesto di lettere

tipografiche e l'impiego di tecniche nuove (sabbiature) prepararono

l'assunzione, dal 1912, del papier collé come obiettivazione

i ritmiche di piani-colore e, parallelamente, come ulteriore

proposizione polemica contro il concetto tradizionale della tecnica pittorica. L'assoluta libertà

raggiunta nei confronti della "materia" nel senso più ampio e forse qualche interscambio con

Matisse e Severini lo portarono dal 1913 a una rinnovata ricchezza decorativa di piani cromatici.

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Biograficamente ciò corrispose alla nuova, felice stagione mediterranea vissuta con la nuova

compagna Marcelle Humbert (Eva). La morte di quest'ultima, nel 1916, gettò Picasso in una

profonda crisi.

Donna in camicia in poltrona grande tela della Donna in camicia si accende dei toni Pur appartenendo al cubismo analitico, la

ocra e porpora, che risaltano sulla grigia tavolozza di questo

periodo. E' uno degli esempi più forti, più potenti di "arte

fantastica". Al di là di nuove inquietanti relazioni tra astrazione e

sensualità, tra rigide forme geometriche e morbide suggestioni

organiche, rimane l'impianto compositivo che ruota attorno al

solido pilastro centrale con una specie di movimento avvolgente del

volume del corpo, simile a quello di un uovo, su cui spiccano i seni,

i capelli, le costole, le pieghe della camicia. Lo schema mette in

evidenza la ricerca delle forme essenziali racchiuse in una struttura

grandiosamente architettonica. Come spesso accade nella "visione"

cubista, la donna è vista e inquadrata di fronte e di lato

contemporaneamente. Pur nell'astrazione della nuova sintesi formale

femminile sono evocati con particolare realismo. Accanto al triangolo del volto, Picasso dispone il

motivo ondulato dei capelli; il seno, in una visione contemporanea frontale e laterale, è reso con

bravura e ironia, quasi a smorzare l'erotismo della composizione; non rinuncia invece, Picasso, alla

seduzione delle pieghe morbide della camicia rifinita con l'orlo a merli. L'anno dopo compì un

viaggio a Roma, Napoli, Pompei con Cocteau, Diaghilev e Stravinskij per l'allestimento

scenografico del balletto Parade di Satie. In seguito conobbe e sposò Olga Khoklova, da cui nel

1921 ebbe il figlio Paulo. Fu una parentesi "reazionaria": la ripresa di forme del "periodo rosa"

preannunciò la fase del "ritorno all'ordine" neoclassico, in cui però la pesante espansione delle

forme plastiche e il dinamismo delle membra conservano una carica di espressività polemica di cui

sono assolutamente prive le innumerevoli imitazioni. Nei nuovi soggetti del periodo rosa, tuttavia,

si coglie una struggente malinconia che li imparenta con i poveri del periodo blu. Il gusto del

"gioco" è chiaramente dimostrato dai paralleli stupendi ritorni, sia pure con una vaga patina

spaziale-naturalistica, agli incastri cromatici dell'ultima fase cubista, 1913-1916, culminanti nei Tre

musici e nelle Nature morte con strumenti, posteriori al 1921.

I tre musici

, alcuni elementi della figura

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È il capolavoro del cubismo sintetico, l’opera che riassume e condensa l’iter di creazioni,

innovazioni ed esperienze personali che hanno impegnato nel periodo cubista. Costituisce inoltre

una vera e propria ricapitolazione degli anni e del lavoro compiuto nell’ambito della scenografia

teatrale. Ne esistono due versioni simultanee ed è significativo il fatto che non si conoscano studi

preparatori. I numerosi disegni, bozzetti e tutte le innumerevoli esperienze di decoratore teatrale,

che hanno caratterizzato l’attività di

Picasso negli ultimi cinque anni, sono

la base da cui si sviluppano le due

eccezionali composizioni. Tre figure

della commedia – Pulcinella,

Arlecchino e un monaco -, maestose,

ieratiche e monumentali, sono disposte

del tutto frontalmente dietro un

tavolino, al di sotto del quale si trova

pure un curioso motivo plastico, un

fantasmagorico cane, come del resto

appare spesso nelle opere di questi

anni. Dal cubismo sintetico sono

desunti la tecnica vigorosa, il linguaggio semplificato, essenziale, la schematicità delle forme

geometriche, la resa delle grandi e semplici superfici piatte, che denunciano l’origine del papier

collé, e articolano e strutturano architettonicamente il dipinto. Ma le piatte forme colorate sono

divenuti elementi figurativi: la loro disposizione è strutturata in modo da renderle immediatamente

leggibili a chiunque. La chiarezza formale si accomuna alla ricchezza cromatica, sottilmente variata

e caratterizzata dall’intenso uso dei colori primari. Vive e brillanti, le tinte dei costumi accentuano il

carattere misterioso e spettrale dei personaggi, distaccandoli dal fondo bruno. Il modo di trattare lo

spazio è del tutto particolare. Le figure sono disposte in assoluta frontalità ”iconica”, ogni

illusionismo spaziale è bandito, ma la profondità di quello che pare essere un ambiente è resa

attraverso un’indicazione puramente schematica di spazio, quasi in proiezione ortogonale,

determinata dagli angoli, dipinti in tonalità diverse di bruno, del pavimento, delle pareti e del

soffitto. La linea dell’orizzonte sulla sinistra è, però, più alta che a destra.

Nature morte con strumenti In questo periodo Picasso visse d'estate sulla Costa Azzurra, soprattutto a Juan-les-Pins; conobbe e

aiutò Mirò. La Danse del 1925 segnò l'abbandono di ogni illusione classicistica, il ritorno a una

Marco Messina Esame di s tato 2006 35

violenta deformazione espressiva, del tutto libera, però, dallo strutturalismo programmatico del

cubismo "storico". Formalmente, divenne sempre più complesso e ricco il rapporto fra piani spaziali

e grafia continua in superficie. I sempre più frequenti contatti con il gruppo surrealista parigino si

tradussero, dal 1928 in poi ("periodo di Dinard"), nella violenta sublimazione erotica delle

immagini e intrecci di membra femminili, visti in chiave di simbolo fallico. Indice di tale

orientamento furono le prime grandi serie grafiche. In un crescendo mitico, alle donne-fallo si

aggiunsero dopo il 1930 i simboli del toro e del Minotauro, mentre aumentava la programmatica

violenza strutturale e cromatica esercitata sulla figura umana. Nel 1934 Picasso ruppe con la moglie,

in seguito a un precedente rapporto con Marie-Thérèse Walter. Nel 1935 nacque la figlia Maïa.

Dello stesso anno è l'incontro con Dora Maar. Alla crescente violenza drammatica del pittore

sembrò dare giustificazione a posteriori lo scoppio della guerra di Spagna nel 1936. Già aderente

alle istanze di sinistra dei surrealisti, Picasso si mise appassionatamente al servizio del governo

repubblicano, curò la protezione e lo sfollamento da Madrid dei capolavori del Prado. Picasso, cui

era stato chiesto un pannello decorativo per il padiglione spagnolo alla grande esposizione parigina

del 1937, dopo il feroce bombardamento della cittadina basca, con una decisa presa di posizione

politica e umana, trae spunto dall’evento

per creare un opera universale, emblema

di tutte le tragedie della guerra,

sicuramente il più noto dei suoi dipinti:

Guernica. Ancora in fase di lavorazione,

Picasso dichiara alla stampa anglosassone:

"Nel dipinto a cui sto lavorando e che si

intitolerà Guernica, e in tutte le mie opere

recenti, esprimo chiaramente il mio odio

per la casta militare che ha fatto

naufragare la Spagna in un oceano di

dolore e di morte". I due disegni

preparatori a Guernica, i primi in ordine di tempo tra i numerosi eseguiti da Picasso tra il primo

maggio e il sei giugno 1937, presentano le figure chiave della composizione finale: il toro immobile,

maestosa immagine di violenza brutale, il cavallo sventrato e urlante, figurazione del popolo, la

donna con la lampada, tutte immagini simboliche più volte interpretate dalla critica, ma delle quali

Picasso non amava dare spiegazioni. Un dipinto che, nonostante la sua portata politica, non piace ai

dirigenti repubblicani spagnoli che lo giudicano "antisociale, ridicolo e del tutto inadeguato alla

sana mentalità del proletariato". C’è addirittura un momento in cui si pensa di ritirare il quadro dal

Marco Messina Esame di s tato 2006 36

padiglione espositivo e lo stesso Louis Aragon, amico di Picasso e comunista da lunga data, aveva

qualche perplessità sull’opera. Nonostante le critiche, Guernica viene portata "in tournée" a

beneficio della Spagna repubblicana, ed esposto prima a Londra, poi in Scandinavia ed infine a

New York, dove rimane fino alla morte del generale Franco per volontà dello stesso artista, che lo

destinava alla Spagna solo nel momento in cui questa avesse ritrovato la libertà democratica. Le fasi

di realizzazione del dipinto vengono documentate da una serie di fotografie di Dora Maar, una delle

quali esposte in mostra. Picasso, che da Parigi segue con grande partecipazione ogni fase della

guerra di Spagna, da lui stesso definita "una battaglia della reazione contro il popolo, contro la

libertà", lui che afferma che tutta la sua "vita d’artista non era stata che una lotta continua contro la

reazione e la morte dell’arte", come atto d’accusa in parole e in immagini ha già inciso nel gennaio

1937, prima della realizzazione di Guernica, compone le due acqueforti Sogno e menzogna di

Franco, grottesche e cariche di simboli, riallacciandosi così all’opera di Goya. Franco, instauratore

di una dittatura militare, è la Bestia, l’incarnazione di tutti i mali, il Demonio contro cui si batte il

toro, qui immagine potente del popolo spagnolo, mentre una donna urlante, la Spagna, abbandona la

propria casa invocando aiuto. Tutte immagini che, delineatisi qui per la prima volta, sfoceranno

proprio in Guernica.La violenza ormai crudele esercitata sulle figure femminili (le "donne-mostro"),

anche della Maar e della figlia Maïa, e sulle cupe nature morte, con i frequenti simboli funerei del

cranio e del bucranio, e che dà toni tragici anche al capolavoro della Pesca notturna ad Antibes,

collega le opere fino al 1945 alla realtà europea, con singolari tangenze con le ultime opere di Klee,

che Picasso aveva visitato in Svizzera nel 1937. L'attività fino al 1945 e poco oltre è l'ultima a

incidere realmente sulla cultura pittorica europea, dando origine al neocubismo dell'immediato

dopoguerra. Da allora, al prevalere di nuove istanze culturali di origine diversa dall'avanguardia

cubista, corrisponde da parte di Picasso un definitivo ritorno al "gioco", quasi simbolo di una

conclamata perdurante vitalità fisica. Con una produttività eccezionale, Picasso riprende

vorticosamente tutte le sue "maniere", aggiungendovi un nuovo senso sontuoso, quasi barocco,

della pasta cromatica e dell'intreccio formale, che ha forse i suoi risultati migliori negli interni delle

sue successive residenze, la villa Californie a Cannes e il castello di Vauvenargues. Tipico di

questo gioco, fra orgoglioso e autoironizzante, è il gusto di sfida insito nelle grandi serie di

"variazioni" su celebri capolavori di Courbet (Damigelle sulle rive della Senna), Delacroix (Donne

d'Algeri; 15 versioni, 1954-1955), Velázquez (Las Meniñas; 44 versioni, 1957), Manet (Le déjeuner

sur l'herbe, 1960), in cui ancor vive robustamente la fondamentale vocazione dissacrante dell'artista.

Morì a Mougins, l’ 8 aprile del 1973 per un attacco cardiaco.

Marco Messina Esame di s tato 2006 37

JAMES JOYCE Life and main works James Joyce is the most famous cosmopolitan European Irish writer. He

was born in Dublin in 1882. he was educated at Jesuit schools. Here he

studied Italian, French and German languages. Joyce believed that the

only way to increase Ireland’s awareness was by offering a realistic

portrait of its life from a European viewpoint. In June 1904 he met and

fell in love with Nora Barnacle. They had their first date on 16th June,

which was to become the “Bloomsday” of Ulysses. In October he

proposed to Nora that they should leave Ireland. They moved to Italy,

settling in Trieste where Joyce began teaching English and made friends

with Italo Svevo. The years in Trieste were difficult, filled with finalcial problems. In 1914 Joyce

wrote most of his naturalistic drama Exile, and in the following year he moved to Zurich together

with his family, since his position as a British national in Austrian-occupied Trieste left him no

alternative.Althougn Dubliners and A portrait had helped establish him as writer, they had done

little to alleviate his financial difficulties. Joyce returned to Trieste after the war, but in 1920 he

settled in Paris. Ulysses was published in book form in Paris in 1922. In March 1923 he began to

work on what was eventually to be published as Finnegans Wake in 1939.By that time Hitler’s

advances in Europe and the Joyces sought refuge in Vichy and finally got permission to return to

Zurich in December 1940. A month later Joyce was taken ill, and died of peritonitis on 13th January

1941.

Dubliners

Joyce’s intention in writing Dubliners, in his own words was to write a chapter of the moral history

of his country, and he chose Dublin for the scene because that city seemed to him the centre of

paralysis. He tried to present it to the indifferent public under four of its aspects: childhood,

adolescence, maturity and public life. The Sisters, An Encounter and Araby are stories from

childhood. Eveline, After the Race, Two Gallants and The Boarding House are stories from

adolescence. A Little Cloud, Counterparts, Clay and A Painful Case are all stories concerned with

mature life. Stories from public life are Ivy Day in the Committee Room, A Mother and Grace. The

Dead is the last story in the collection and probably Joyce’s greatest. It stands alone and, as the title

would indicate, is concerned with death. Dubliners is a collection of vignettes of Dublin life at the

end of the 19th Century written, by Joyce’s own admission, for the most part in a style of

Marco Messina Esame di s tato 2006 38

scrupulous meanness. What hold all these stories together is a particular structure and the presence

of a certain themes , symbols and narrative technique. In each story the

description is naturalistic, extremely concise but detailed. Such detail

have a further, deeper meaning. The stories incorporate epiphanies, that

is the sudden spiritual manifestation caused by trivial situation, of the

character’s self-realisation. The theme is: moral, culture, physical and

politics paralysis of Dublin. The main themes are the failure to find a

way out of paralysis; escape, which is the opposite of paralysis, linked

to its consequent failure; typical authority Irish man, who didn’t

consider the autonomy of women; music, that is important to active the

process of epiphany; ospitality, that is a Dubliners standard; love and

marriage that gave no stability to escape. Joyce also attacks the catholic Church because was

responsible of the spiritual death of Dubliners. The omniscient narrator and the single point of view

are rejected: each story is told from the prospective of a character. The linguistic register is varied,

since the language used in all the stories suit the age and the social class of the characters.

A Portrait of the Artist as a Young Man Is the work of transition. It was the first time that Joyce use the modern narrative technique like the

interior monologue. The indefinite article “A” means that this novel had many interpretations.This

novel dealt with the growth of the personality of the main character, Stephen Dedalus. He stands for

Joyce himself and for the artist in general both in A Portrait and Ulysses. Stephen’s name is taken

from the religion: he is the first Christian martyr. In fact the artist is a martyr: his task is to report

the reality without his personal responds in order to reach the neutrality of art. Joyce travels through

Stephen’s mind and soul allowing us to experience his mental and spiritual development whilst

witnessing the physical changes he goes through as he matures. Joyce as part of the early twentieth

century modernist movement was involved in reinterpreting the form of the traditional novel as plot

driven narrative. By rejecting traditional narrative form in A Portrait, Joyce moved towards

internalising the action within Stephen’s mind; a movement from narrative driven plot to

internalised rhythmic moods. In A Portrait of the Artist as a Young Man what happens inside

Stephen’s head is actually more important than what happens in the physical world. The other

characters in the novel exist to further display Stephen’s character and its development in relation to

their own singular lack of artistic awareness. As Stephen gets older and more introspective the other

characters become less well defined. We get quite detailed snippets on his mother, father and

siblings that are more telling in their brevity than in their detail. This novel is a work of highly

Marco Messina Esame di s tato 2006 39

polished precision writing, lyrical and poetic in its observations of both poverty and intellectual

reverie. In this novel, some glimpses of Joyce's later techniques are evident, in the use of interior

monologue and in the concern with the psychic rather than external reality.

Ulysses In 1906, as he was completing work on Dubliners, Joyce considered adding another story featuring

a Jewish advertising canvasser called Leopold Bloom under the title Ulysses. 1922 was a key year

in the history of English-language literary modernism, with the appearance of both Ulysses and T. S.

Eliot's poem, The Waste Land. In Ulysses, Joyce employs stream of consciousness, parody,

cinematic technique, jokes, and virtually every other literary technique to present his characters

(“collage technique”). In the Ulysses Joyce brought to perfection the interior monologue. The action

of the novel, which takes place in a single day, June 16 1904, sets the characters and incidents of the

Odyssey of Homer in modern Dublin and represents Odysseus, Penelope and Telemachus in the

characters of Leopold Bloom, his wife Molly Bloom and Stephen Dedalus. They represent two

aspects of human nature. Stephen is pure intellect and embodies the alienated artist; Mrs Bloom

stands for flesh, since she identifies herself with her sensual nature; mr Bloom, uniting the extremes,

is everybody. The book explores various areas of Dublin life, dwelling on its squalor and monotony.

Nevertheless, the book is also an affectionately detailed study of the city, and Joyce claimed that if

Dublin were to be destroyed in some catastrophe it could be rebuilt, brick by brick, using his work

as a model. Consequently, Dublin becomes itself a character in this novel. The novel is divided into

three parts, “Telemachiad”, “Odyssey” and “Nostos” imitating the three parts of the Homer’s

Odyssey. The book consists of 18 chapters, each covering roughly one hour of the day, beginning

around about 8 a.m. and ending sometime after 2 a.m. the following morning. Each of the 18

chapters of the novel employs its own literary style. Each chapter also refers to a specific episode in

Homer's Odyssey and has a specific colour, art or science and bodily organ associated with it. This

combination of kaleidoscopic writing with an extreme formal, schematic structure represents one of

the book's major contributions to the development of 20th century modernist literature. The use of

classical mythology as a framework for his book and the near-obsessive focus on external detail in a

book in which much of the significant action is happening inside the minds of the characters are

others. Nevertheless, Joyce complained that, "I may have oversystematised Ulysses," and played

down the mythic correspondences by eliminating the chapter titles that had been taken from Homer.

Joyce’s Ulysses was a new form of prose based on “the mythical method”, resulting from the

progress made by psychology, ethnology and anthropology. Homer’s myth was used to express the

universal in the particular. Joyce, in Ulysses, brought together the contemporary opposing

Marco Messina Esame di s tato 2006 40

tendencies of realism and symbolism and was able to create a new form of realism. The language

used is rich in puns, contrasts and paradoxes.

Poetry: Chamber Music Chamber Music is a collection of thirty-six poems, all accessible to the Joycean novice. Chamber

Music is essentially a collection of love poems written in different styles. Joyce wrote many other

poems such as ‘Gas From a Burner’ and ‘The Holy Office’, both polemical attacks on Irish society.

Among his other renowned poetical works is ‘Ecce Puer’, a poem dealing with the death of his

father John Stanislaus Joyce and the birth of his grandson, Stephen Joyce.

ExileJoyce, heavily influenced by the dramatic writing of Henrik Ibsen wrote his own theatrical work

Exiles in 1914 after the completion of A Portrait of the Artist as a Young Man and just before

beginning Ulysses. The play is set in the Dublin of 1912 and the plot revolves round the character of

Richard Rowan and his intellectual dilemmas as to whether he should settle down in Ireland as a

lecturer in Romance Languages trying to europeanise Ireland or flee the net as Joyce himself did.

There is a fear that if he decides to stay it will leave him in a state of paralysis and bitterness and at

the play’s end we do not find a resolution, only a deep longing for love and understanding on the

part of Bertha, Richard’s wife and a deep weariness on the part of Richard himself. The play has

much autobiographical information relating to Joyce’s early experiences of exile in Europe which is

of interest. One also gets an insight into Joyce’s preoccupation with jealousy and betrayal in love.

However, as a piece of theatre, Exile has never been a major success.

PUBLIO CORNELIO TACITO Vita Origini nobili. Molto incerti e lacunosi sono i dati biografici di Tacito: nacque probabilmente nella

Gallia Narbonese da una famiglia ricca e molto influente, di rango equestre. Studiò a Roma

(frequentò probabilmente anche la scuola di Quintiliano), acquistò ben presto fama come oratore, e

nel 78 sposò la figlia di Gneo Giulio Agricola, statista e comandante militare. All'inizio della sua

carriera diede grande impulso Vespasiano, come dice nelle Historiae, ma fu sotto Tito che entrò

realmente nella vita politica con la carica di quaestor, nell'anno 81 o nell'anno 82. Proseguì

costantemente nel suo cursus honorum, divenendo praetor nell'88 e facendo parte dei

quindecemviri sacris faciundis, un collegio sacerdotale che custodiva i libri sibyllini ed i giochi

secolari. Fu elogiato come avvocato e oratore; la sua abilità nel parlare in pubblico si contrappone

Marco Messina Esame di s tato 2006 41

ironicamente al suo cognomen Tacito (silenzioso). Ricoprì funzioni pubbliche nelle province

all'incirca dall'89 al 93, forse a capo di una legione, forse in ambito civile. Sopravvisse con le sue

proprietà al regno del terrore di Domiziano (93-96), ma l'esperienza lasciò in lui cupa amarezza,

forse per la vergogna della propria complicità, contribuendo allo sviluppo di quell'odio verso la

tirannia così evidente nelle sue opere. Divenne consul suffectus nel 97 durante il regno di Nerva,

diventando il primo della sua famiglia a ricoprire tale carica. Durante tale periodo raggiunse i vertici

della sua fama di oratore nel pronunciare il discorso funebre per il famoso soldato Virginio Rufo.

Durante l'anno seguente scrisse e pubblicò sia l'Agricola sia la Germania, primi esempi dell'attività

letteraria che lo occuperà fino alla sua morte. Seguì una lunga assenza dalla politica e dalla

magistratura. Nel frattempo scrisse le sue due opere più importanti: le Historiae e, quindi, gli

Annales. Ha ricoperto la più alta carica di governatorato, quello della provincia romana dell'Asia

prima di morire nel 117 d.C.

LE OPERE Cinque sono le opere attribuite a Tacito che sono sopravvissute, almeno in una parte sostanziale di

esse. Le date sono approssimative e le ultime due (le sue opere "maggiori"), hanno comunque

richiesto alcuni anni per essere completate.

• (98) De vita et moribus Iulii Agricolae ("La vita e i costumi di Giulio Agricola”)

• (98) De origine et situ Germanorum ("Sull’origine e la regione dei Germani")

• (102) Dialogus de oratoribus ("Dialogo sull'oratoria")

• (105) Historiae ("Le storie")

• (117) Ab excessu divi Augusti (Annales)

L’Agricola L’attività letteraria di Tacito inizia dopo la morte di Domiziano (96 d.C.).

Infatti, l’autore assume come punto di partenza delle sue riflessioni proprio

l’esperienza negativa della tirannide dell’ultimo imperatore flavio. Il De

vita Iulii Agricolae è una biografia encomiastica del suocero Agricola.

Nella prefazione dell’opera tratta delle differenze tra l’antichità, ricca di

eroi e uomini giusti, e l’età contemporanea, piena di immoralità ed

ingiustizie. Da questi eventi il discorso si allarga nella condanna al regime

di Domiziano che priva i suoi sudditi della loro libertà, e nell’omaggio a

Nerva e Traiano. In realtà la figura che Tacito esalta non è di un ribelle ma

di un collaboratore dei principi, buoni o cattivi che fossero. Quest’esaltazione provoca in Tacito un

certo imbarazzo, che viene superato in due modi. In primo luogo presenta Agricola come una

Marco Messina Esame di s tato 2006 42

vittima innocente di Domiziano, che per gelosia dei suoi successi militari lo avvelenò. In secondo

luogo, Tacito in difesa del suocero afferma che è più utile collaborare con il principe malvagio per

poter servire legalmente la patria anziché farsi uccidere ribellandosi ad esso. Per tale motivo Tacito

critica gli oppositori del principato. Egli espone la biografia del suocero con precisione cronologica

e contemporaneamente ne enuncia le sue qualità: attitudine al comando e cortezza nell’evitare di dar

ombra ai suoi superiori con i suoi successi. Si narra in particolar modo delle imprese di Agricola in

Britannia dove restò per sette anni. Gli ultimi nove anni della vita di Agricola sono riassunti in

pochi capitoli, dove si rileva la crescente gelosia di Domiziano per l’eroe e si espongono i sospetti

sulla causa della sua morte. L’opera si conclude con numerosi Epitaffi e apostrofi al defunto.

L’Agricola è una biografia di tipo particolare. Mancano, infatti, gli aneddoti, i pettegolezzi ed i

particolari curiosi. Lo stile, in armonia con la materia, risulta duttile e vario.

Latino " Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur; si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit; soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre, trucidare, rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. "

Italiano " Rapinatori del mondo, i Romani, dopo aver tutto devastato, non avendo più terre da saccheggiare, vanno a frugare anche il mare; avidi se il nemico è ricco, smaniosi di dominio se è povero, tali da non essere saziati né dall'Oriente né dall'Occidente, sono gli unici che bramano con pari veemenza di possedere tutto e ricchezze e miseria. Rubare, massacrare, rapinare, questo essi, con falso nome, chiamano impero e là dove hanno fatto il deserto, dicono di aver portato la pace. "

(Publio Cornelio Tacito, La vita di Agricola, BUR, Milano, trad.: B. Ceva)

La Germania Poco dopo L’Agricola Tacito pubblicò la sua seconda opera, La Germania. Quest’ultima, il cui

titolo completo è “L’origine e la regione dei Germani”, rientra nel filone etnografico trattando di

paesi e popoli stranieri. Il contenuto dell’opera si compone di due parti: una descrizione

complessiva della Germania e una descrizione più approfondita delle singole popolazioni. Dopo

alcune notizie sulla geografia della regione, vengono date alcune notizie sugli usi e costumi dei

Germani: dal clima all’educazione dei figli. Invece nella seconda parte vengono trattate, in maniera

più o meno estesa, le singole popolazioni. Si Ritiene che questa massa d’informazioni provenga

oltre che dal “De bello Gallico” di Cesare, anche dall’opera sulle guerre germaniche di Plinio il

Vecchio. Tacito nell’opera non sembra però mosso da una curiosità sincera nei confronti del popolo

straniero, ma è Roma il suo costante punto di riferimento. Nonostante ciò il poeta ammira la sanità

morale dei barbari che praticano quelle virtù presenti nell’antichità. Affiora però anche, un

atteggiamento di disprezzo e di superiorità per generi di vita ancora tanto rozzi e primitivi. I

Marco Messina Esame di s tato 2006 43

Germani per fortuna di Roma sono discordi, ovvero sono incapaci di coalizzarsi contro un nemico

comune.

Il Dialogus de oratoribus L’attribuzione a Tacito del “Dialogo sugli oratori”, è ancora oggi discussa. La data “drammatica”

cioè la data in cui s’immagina che si svolga l’azione è il 75 d.C.. La data di composizione si stima

invece nel 102 d.C.. Il dialogo tratta delle cause della decadenza dell’oratoria, già svolto da

Quintiliano. L’ambientazione dell’opera è inspirata al De oratore di Cicerone. Marco Apro e Giulio

secondo, modelli di Tacito, si recano a far visita a Curiazio Materno, senatore e oratore. Dopo

l’arrivo di un quarto personaggio, Vistano Messalla, inizia il dialogo sulla decadenza dell’oratoria.

Il primo a parlare è Apro che difende l’oratoria contemporanea affermando che essa non è in

declino ma in trasformazione. Messalla invece afferma che l’oratoria è in decadenza e che a

causarla sono il livello scadente delle scuole e la negligenza dei genitori nell’educare i figli. Segue,

poi, la spiegazione politica di Materno. Il declino dell’eloquenza, egli dice, è dovuto alla perdita

della libertà politica. Afferma, inoltre, che la grande eloquenza nasce dalla licenza, a cui gli sciocchi

danno il nome di libertà. La difesa dell’oratoria contemporanea da parte di Apro, si può leggere

anche come difesa dello stile moderno rappresentato da Seneca e Tacito stesso. L’autore infatti è

costretto a constatare che i tempi sono cambiati e così anche i generi letterari.

Le Historiae e gli Annales Il progetto di una vasta opera storica era presente già nell'Agricola, ma nelle "Historiae" tale

progetto appare modificato: mentre la parte che ci è rimasta contiene la narrazione degli eventi dal

regno di Galba fino alla rivolta giudaica, l'opera nel suo complesso doveva estendersi fino al 96,

l'anno della morte di Domiziano: nel proemio, Tacito afferma di voler trattare durante la vecchiaia

dei principati di Nerva e di Traiano .Le "Historiae" descrivono quindi un periodo cupo, sconvolto

dalla guerra civile e concluso con la tirannide: Il I libro parla del breve regno di Galba; seguono

l'uccisione di questo e l'elezione all'Impero di Otone. In Germania le legioni acclamano però come

Imperatore Vitellio. In particolare, il 69, anno in cui si aprono le "Historiae", vede succedersi 4

imperatori: questo perché il principe poteva essere eletto anche fuori da Roma, e la sua forza si

basava principalmente sull'appoggio delle legioni di stanza in paesi più o meno remoti. Nel II e III

libro si parla della lotta tra Otone e Vitellio, con la sconfitta del primo, e tra Vitellio e Vespasiano.

Quest'ultimo, eletto imperatore in Oriente, lascia il proprio figlio Tito ad affrontare i giudei e fa

dirigere le sue truppe a Roma dove si era rifugiato Vitellio, che viene ucciso. Nel IV libro si parla

dei tumulti ad opera dei soldati flaviani, e dei tumulti contro Vespasiano scoppiati in Gallia e in

Germania. Il V libro parla degli avvenimenti di Germania e dei primi segni di stanchezza mostrati

Marco Messina Esame di s tato 2006 44

dai ribelli. Come già si evince dallo stesso titolo Tacito vuol soddisfare un desiderio di ricerca e di

comprensione dei fatti che va al di là della pura e semplice raccolta di testimonianze: ciò in piena

rispondenza e fedeltà al significato stesso che il termine "historiae" rivestiva nella lingua latina,

mutuandolo strettamente dal greco "historìa" (indagine, ricerca storica), ovvero come esposizione

sistematica della storia, sia come racconto storicamente attestato dei singoli avvenimenti sia come

sguardo d'insieme retrospettivo sul passato. Così, Tacito scrive a distanza di 30 anni dagli

avvenimenti del 69, ma la ricostruzione di quell’anno avveniva nel vivo del dibattito politico che

aveva accompagnato l'ascesa al potere di Traiano. A tal proposito, è stato notato un certo

parallelismo tra questa e gli avvenimenti del 69: il predecessore di Traiano, Nerva, si era trovato

come Galba ad affrontare un rivolta di pretoriani che faceva traballare le basi del suo potere, e come

Galba aveva designato per "adozione" un suo successore. L'analogia però si ferma a questo punto:

mentre Galba si era scelto come successore Pisone, un nobile di antico stampo poco adatto, Nerva

aveva invece consolidato il proprio potere associandosi nel governo Traiano, un capo militare

autorevole, comandante dell'armata della Germania superiore. Con il discorso di Galba in occasione

dell'adozione di Pisone, lo storico ha inteso mostrare nella figura dell'imperatore il divario fra il

modello di comportamento rigorosamente ispirato al "mos maiorum" e la reale capacità di dominare

e controllare gli avvenimenti. Solo l'adozione di una figura come quella di Traiano placò i tumulti

fra le legioni e pose fine a ogni rivalità. Tacito è convinto che solo il principato sia in grado di

garantire la pace e la fedeltà degli eserciti: già il proemio delle "Historiae" sottolinea come - dopo

la battaglia di Azio - la concentrazione del potere nelle mani di una sola persona si rivelò

indispensabile, o quantomeno ineluttabile: ovviamente il principe non dovrà essere uno scellerato

tiranno come Domiziano, né un inetto come Galba; piuttosto, dovrà invece assommare in sé quelle

qualità necessarie per reggere la compagine imperiale, e contemporaneamente garantire i residui del

prestigio e della dignità del ceto dirigente senatorio. Quindi, per Tacito l'unica soluzione sembra

consistere nel principato moderato degli imperatori d'adozione. Lo stile delle "Historiae" ha un

ritmo vario e veloce, che richiede da parte di Tacito un lavoro di condensazione rispetto ai dati

forniti dalle fonti: a volte qualcosa è omesso, ma più spesso egli sa conferire efficacia drammatica

alla propria opera suddividendo il racconto in più scene. Lo storico è poi molto bravo nella

descrizione delle masse, da cui traspare il timore misto a disprezzo del senatore per le turbolenze

dei soldati e della feccia della capitale. Le "Historiae" raccontano, del resto, per la maggior parte,

fatti di violenza e di ingiustizia: ciò non toglie che Tacito sappia tratteggiare in modo abile i

caratteri dei propri personaggi, alternando notazioni brevi a ritratti compiuti come quello di

Muciano o di Otone. Lo storico, ad esempio, insiste sulla consapevolezza di questo personaggio,

della sua subalternità nei confronti degli strati inferiori urbani e militari: forse Otone deve proprio a

Marco Messina Esame di s tato 2006 45

questo servilismo la sua capacità di incidere nelle cose. Egli è dominato da una "virtus" inquieta,

che all'inizio della sua vicenda lo porta a deliberare, in un monologo quasi da eroe tragico, una

scalata al potere decisa a non arrestarsi. Ma Otone è un personaggio in evoluzione e decide così di

darsi una morte gloriosa. Nella sua descrizione Tacito si affida alla "inconcinnitas", alla sintassi

disarticolata, alle strutture stilistiche slegate per incidere nel profondo dei personaggi. Egli ama

ricorrere a costrutti irregolari e a frequenti cambi di soggetto per dare movimento alla narrazione.

Nemmeno nell'ultima fase della sua attività Tacito mantenne il proposito di narrare la storia dei

principati di Nerva e Traiano: anzi egli, negli "Annales", intraprese il racconto solo della più antica

storia del principato, dalla morte di Augusto (il giudizio su questo primo principe non può essere

che negativo, viste le nefaste conseguenze - anche se nei tempi lunghi - della sua "rivoluzione"

politica) a quella di Nerone. Come del resto già si arguisce dallo stesso titolo, continuò il metodo

degli annalisti, giacché lo schematismo dei fatti non urtava con la sua funzione critica, che tendeva

prevalentemente allo studio dei caratteri e dei moventi psicologici e morali delle azioni.

Probabilmente, Tacito intendeva la sua opera anche come un proseguimento di quella di Livio: in

effetti, già il "sottotitolo" presente nei manoscritti ("Ab excessu divi Augusti") sembra ricordare

proprio quello liviano, "Ab urbe condita".Degli "Annales" sono conservati i libri I-IV, un

frammento del V e parte del VI, comprendenti il racconto degli avvenimenti dalla morte di Augusto

(14) a quella di Tiberio (37); inoltre sono conservati i libri XI-XVI, col racconto dei regni di

Claudio e di Nerone. Negli "Annales" Tacito sembra mantenere la tesi della necessità del principato:

ma il suo orizzonte sembra essersi notevolmente incupito, o comunque fatto più amaro. La storia

del principato è, infatti, anche la storia del tramonto della libertà politica dell'aristocrazia senatoria,

anch'essa coinvolta in un processo di decadenza morale e di corruzione, e sempre più incapace - per

colpe dirette o per cause indirette - di giocare ancora un ruolo politico significativo. Scarsa simpatia

lo storico presenta anche nei confronti di coloro che scelgono l'opposta via del martirio,

sostanzialmente inutile allo Stato, e continuano a mettere in scena suicidi filosofici. Tacito sembra

condurre insomma il lettore attraverso un territorio umano desolato, senza luce o speranza; ma forse,

a ben vedere, un barlume di speranza rimane: la parte sana dell'élite politica, infatti, continua a dare

il meglio di sé nel governo delle province e nella guida degli eserciti. E' proprio su questi uomini

che, secondo il nostro autore, bisognerebbe puntare per la ricostruzione politica e morale di Roma.

Tacito alla forte componente tragica della sua storiografia assegna soprattutto la funzione di scavare

nelle pieghe dei personaggi per sondarli in profondità e portarne alla luce le ambiguità e i

chiaroscuri. Lo storico, infatti, sa bene “che né la volontà degli dèi, né la Provvidenza o la Fatalità

sono cause immediate del divenire storico. Le azioni umane, che sono le più visibili, le più

immediatamente percepibili, in questo divenire, dipendono dal libero arbitrio” [P. Grimal]. Le

Marco Messina Esame di s tato 2006 46

conseguenze, quindi, delle opinioni e soprattutto delle passioni che scatenano i comportamenti

umani ricadono sul divenire storico e ne determinano il corso: ciò è tanto più vero, poi, se il

protagonista di tale divenire è un principe investito, per la durata del suo regno, di un potere

illimitato. Per Tacito è indispensabile, quindi, per comprendere la trama della storia, analizzare la

personalità di colui dal quale dipende il destino dell'impero. Ecco, così, spiegato come mai,

soprattutto negli "Annales", si perfezioni ulteriormente la tecnica del ritratto e si accentui la

componente "tragica" del racconto. Ad esempio, Claudio è rappresentato come un imbelle che,

dopo la morte della prima moglie Messalina, cade nelle mani del potente liberto Narciso e della

seconda moglie Agrippina, che alla fine fa avvelenare il marito e mette sul trono Nerone, il figlio

avuto da un precedente matrimonio. Quindi, è narrato il regno di Nerone, nella giovinezza

influenzato dalle figure della madre, del filosofo Seneca e del prefetto del pretorio Burro. Poi

acquista indipendenza e cade sempre più nella pazzia: instaura quindi un regime da monarca

ellenistico e si dedica soprattutto ai giochi e agli spettacoli. Riesce a far uccidere la madre

Agrippina mentre Seneca si ritira a vita privata. Nerone si abbandona a eccessi di ogni sorta, ma

intorno a Gaio Pisone si coagula un gruppo di congiurati che si propongono di uccidere il principe.

La congiura di Pisone viene scoperta e repressa. Ma il vertice dell'arte tacitiana è stato individuato

nel ritratto di Tiberio, del tipo cosiddetto indiretto: lo storico non dà cioè il ritratto una volta per

tutte, ma fa sì che esso si delinei progressivamente attraverso una narrazione sottolineata qua e là da

osservazioni e commenti. Un certo spazio è anche dato al ritratto del tipo paradossale: l'esempio più

notevole è la descrizione di Petronio. Il fascino del personaggio sta proprio nei suoi aspetti

contraddittori: Petronio si è assicurato con l'ignavia la fama che altri acquistano dopo grandi sforzi,

ma la mollezza della sua vita contrasta con l'energia e la competenza dimostrate quando ha

ricoperto importanti cariche pubbliche. Egli affronta la morte quasi come un'ultima voluttà, dando

contemporaneamente prova di autocontrollo e di fermezza. Nello stile degli "Annales" si assiste ad

un allontanamento dalla norma e dalla convenzione, ad una ricerca di straniamento che si esprime

nel lessico arcaico e solenne: è a partire dal libro XIII che quest'involuzione verso modelli più

tradizionali, meno lontani dai dettami del classicismo, sembra assumere una importante consistenza:

forse il regno di Nerone, abbastanza vicino nel tempo, richiedeva una trattazione con minore

distacco solenne. Comunque, in linea di massima, gli "Annales" risultano meno eloquenti, più

concisi e austeri delle opere precedenti. Si accentua il gusto della "inconcinnitas", ottenuta

soprattutto grazie alla "variatio", cioè allineando un'espressione a un'altra che ci si attenderebbe

parallela, ed è invece diversamente strutturata.

Personalità

Marco Messina Esame di s tato 2006 47

Storico impegnato e partecipe.L’opera di Tacito è tutta sostenuta da un’esplicita e tesa passione

etico-politica e dalla co-partecipazione alle sorti della Roma a lui contemporanea: è il corrosivo e

dettagliato bilancio (soprattutto nelle opere maggiori) del primo secolo di esperienza monarchica

dal punto di vista di un intellettuale, il quale - benché proclami di voler fare storia in modo

imparziale ("sine ira et studio", ovvero "senza risentimento e senza partigianeria") - esprime

tuttavia, giocoforza, il punto di vista della "sana" opposizione senatoriale alla pratica imperiale

(leitmotiv ne è l’inconciliabile tensione tra "libertas" e "principatus").Evidentemente, “Tacito non

sarebbe mai giunto alla storia, se al fondo di tutta la sua esperienza politica e forense non ci fosse

stato un forte disinganno” [F. della Corte]: quello sulla vera natura e sulle reali conseguenze del

principato. Ecco perché la sua visione della storia risulta in definitiva, come già detto, fortemente

impregnata dell'elemento morale (anche se non legata a credenze, filosofiche o religiose,

preconcette) ed essenzialmente individualistica, facendo discendere la dinamica degli eventi dalla

personalità e dalle scelte dei "grandi". Il nostro autore, anche dal punto di vista artistico, rappresenta

forse il momento davvero più importante della storiografia romana, superiore - volendo - allo stesso

momento liviano. Proprio di contro a Livio, in particolare, egli - scrittore veramente profondo ed

informato sugli avvenimenti - è storico "contemporaneo", sia nel senso preciso del vocabolo, sia

perché ha saputo rendere contemporanea anche l'età che non aveva vissuto. Anche il suo stile -

volutamente controllato, rapido e conciso - è un aspetto fondante di questa sua concezione della

storia, “storia di idee più che storia di fatti” [F. della Corte]. Di quest'ultima affermazione, è una

testimonianza lampante il fatto che Tacito individui il "peccato originale" della decadenza di Roma

nella svolta anticostituzionale operata da Augusto, dietro una formale facciata repubblicana, e

denunci le conseguenze nefaste del sistema dinastico, pur senza rifiutare totalmente l’istituzione –

oramai necessaria per l’unità, l’ordine e la pace dell’Impero – del "principato" stesso. Ancora aperto

è, infine, il "problema delle fonti" di Tacito. Alcuni punti sono comunque assodati: lo storico

consultò la documentazione ufficiale ("acta senatus", più o meno i verbali delle sedute; "acta

diurna", contenenti gli atti del governo e notizie su quanto avveniva a corte a Roma) ed ebbe inoltre

a disposizione raccolte di discorsi imperiali. Il tutto vagliato con uno "scrupolo" inusuale tra gli

storici antichi. Numerose anche le fonti storiche (Plinio, Vespasiano Messala, Pluvio Rufo, F.

Rustico…) e letterarie (epistolografia, memorialistica, libellistica…). Così, dopo il mito

dell’utilizzo di un’unica fonte, si è sempre più sostenuta piuttosto l’idea di una molteplicità di fonti,

per giunta talune anche di opposta tendenza, ed utilizzate con una certa libertà.

ALBERT EINSTEIN

Marco Messina Esame di s tato 2006 48

Vita Albert Einstein fu probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della

relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e l'ipotesi sulla natura

corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, segnarono una vera

e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella

quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari

elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a dodici anni

imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la

famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi.

Visse un anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda

preparazione culturale e, concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al

politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno

in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna.

Prime pubblicazioni scientifiche Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle

molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica

del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni,

successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle

distribuite casualmente in un fluido. Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto

fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in

determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò che

l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse

proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hu, dove E rappresenta

l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e u è la

frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene

trasferita in unità individuali o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente,

cosicché fu violentemente criticata, finché circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert

Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale.

La teoria della relatività ristretta Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento,

conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e

attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra

radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo

Marco Messina Esame di s tato 2006 49

l'uno rispetto all'altro. La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del

concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che

afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in

moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, e che è una naturale estensione del precedente

principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui

la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale,

che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.

Critiche alla teoria di Einstein

La teoria della relatività ristretta non fu immediatamente accolta dalla comunità scientifica. Il

punto d'attrito risiedeva nelle convinzioni di Einstein in merito alla natura delle teorie scientifiche

e sul rapporto tra esperimento e teoria. Sebbene egli affermasse che l'unica fonte di conoscenza è

l'esperienza, era anche convinto che le teorie scientifiche fossero libera creazione dell'uomo e che

le premesse sulle quali esse sono fondate non potessero essere derivate in modo logico dalla

sperimentazione. Una "buona" teoria, dunque, è una teoria nella quale è richiesto un numero

minimo di postulati per ogni dimostrazione. Questa scarsità di postulati, una caratteristica di tutti

gli studi di Einstein, fu ciò che rese così difficile la comprensione della sua teoria. Il valore

dell'attività scientifica di Einstein venne comunque riconosciuto e nel 1909 lo scienziato ricevette

il primo incarico di docenza presso l'università di Zurigo. Nel 1911 si trasferì all'università

tedesca di Praga e l'anno successivo tornò al Politecnico di Zurigo. Nel 1913 assunse la direzione

del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino.

La teoria della relatività generale Ancor prima di lasciare l'Ufficio Brevetti nel 1907, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più

generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto relativo non uniforme.

Enunciò il principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una

accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da

essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore

in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è

dovuta alla gravitazione o alla accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività

generale non venne pubblicata sino al 1916. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora

erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la

perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio

quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata

temporale. Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del

Marco Messina Esame di s tato 2006 50

moto orbitale dei pianeti, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi

luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad

esempio, il Sole. La conferma di quest'ultimo fenomeno, durante l'eclissi solare del 1919, fu un

evento di enorme rilevanza. Per il resto della sua vita Einstein dedicò molto tempo alla ricerca di

un'ulteriore generalizzazione della teoria e alla ricerca di una teoria dei campi, che fornisse una

descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le

interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti. Tra il 1915 e il 1930 si stava

sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-

particella, che Einstein aveva già prima ritenuto necessario, nonché il principio di

indeterminazione, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione.

Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e

tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione, per certi versi

intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, affermò che "Dio non gioca a dadi con

il mondo".

Cittadino del mondo Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi,

tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approffittò

della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la

prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il

coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi

attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in

particolare la teoria della relatività. Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a

emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerto un posto presso l'Institute for Advanced Study di

Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle

posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al

presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba

atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della

seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo

internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere

disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze

scientifiche a scopi pacifici.

Marco Messina Esame di s tato 2006 51


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