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[Digitare il nome della società]
[Anno]
La fragilità dell’uomo
e l’immensità della natura Tesina Esame di Stato a.s. 2014/2015
Sara Chimenti 5°B “Chimica, materiali e biotecnologie.”
In collaborazione con Prof.ssa Maria Carla Marcotullio
“Università degli studi di Perugia”
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Indice
INTRODUZIONE.............................................................................. 3
LUIGI PIRANDELLO ......................................................................... 4
L’identità decadente dell’uomo moderno ...................................... 4
LE PIANTE COME FONTE DI FARMACI ................................................... 7
L’origine .............................................................................. 7
Cos’è la fitoterapia? ................................................................ 8
Droga vegetale e principio attivo ................................................. 9
DALLA PIANTA AL PRINCIPIO ATTIVO .................................................. 10
Preparazione della droga ed estrazione del principio attivo ................ 10
Separazione dei principi attivi ................................................... 12
HPLC .................................................................................... 12
GC ....................................................................................... 13
Identificazione delle componenti del principio attivo ....................... 15
NMR ..................................................................................... 15
IR ........................................................................................ 16
UV/VISIBILE ............................................................................ 17
Prove biologiche ................................................................... 18
LA CURCUMA ............................................................................... 19
Che cosa è la curcuma ............................................................ 19
Perché fa bene ..................................................................... 20
LA CURCUMINA ............................................................................ 21
Che cos’è? ........................................................................... 21
Applicazioni terapeutiche ........................................................ 21
DALLA CURCUMA ALLA CURCUMINA ................................................... 23
Estrazione e separazione del principio attivo ................................. 23
Identificazione delle componenti del principio attivo ....................... 24
BIOTECNOLOGIE E FITOCHIMICA ........................................................ 26
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Introduzione
La parola fragile deriva dal latino frangere, che significa rompere. Spesso la troviamo
all’esterno di imballaggi di oggetti delicati, un avvertimento ad usare con cautela.
Fragile è un vetro, un fiore, il carattere o la sensibilità di una persona. Si sente spesso
dire “ha un carattere fragile”, “è fragile di salute”; è anche usato come sinonimo di
debole, gracile, inconsistente. Da sempre il concetto di fragilità è unito al destino
umano del perire, del morire:
Tu, piccola candela, spegniti!
Spegniti!
Altro non è che un’ombra Vagabonda, la vita…
Un povero Attore come te, che si dimena
Sopra una scena, un’ora, e poi ne cessa
La voce…
Il racconto che fa un idiota
Tra strida e scoppi di furore
E che non significa niente.
così si esprimeva William Shakespeare nell’atto quinto del Macbeth.
Quello della fragilità è un tema che mostra molto bene in che modo, nel mondo attuale,
stiamo assistendo ad un cambiamento di paradigma. Stiamo entrando, secondo molti
sociologi, nella post-modernità. I periodi storici del 17°, 18° e poi nel 19° secolo, fino
alla metà del 20° secolo furono epoche che mettevano l’accento sulle idee cartesiane;
l’uomo era padrone e possessore della Natura, con una visione fondamentalmente
aggressiva nei confronti del sé, dell’altro e della Natura stessa. La crisi dell'uomo
contemporaneo trova nell'arte di Luigi Pirandello un testimone e un interprete
d'eccezione. Con la sua intensa e spregiudicata attività letteraria, rappresentata
soprattutto dalla sua opera di narratore e di drammaturgo, Pirandello compì una
spietata esplorazione della condizione dell'uomo del suo tempo, del suo smarrimento,
della sua dissipazione morale, della sua disperata solitudine. Attualmente gli studi sui
giovani e sulle nuove generazioni evidenziano una saturazione verso il mondo moderno;
si inizia ad avvertire la necessità di tornare ad un qualcosa di più dolce, tranquillo, soft,
slow, e la grande tematica della fragilità e della vulnerabilità si iscrive in queste
coordinate. Per dirla in breve, si sente la necessità di avere un altro rapporto con il
mondo, diverso, meno intrusivo.
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La natura attraverso le sue immense potenzialità potrà essere sempre più un elemento
da esplorare per supportare la nostra fragilità sia fisica che psicosomatica e perché no,
anche per darci qualche aiuto nel chiarirci le idee su chi siamo….UNO, NESSUNO O
CENTOMILA.
LUIGI PIRANDELLO
L’identità decadente dell’uomo moderno
Si racconta che quando nel novembre 1934, a seguito di un telegramma in cui gli veniva
comunicata l’assegnazione del Premio Nobel, i giornalisti invasero l’abitazione di Luigi
Pirandello, costringendolo a posare curvo
sulla macchina da scrivere in favore delle
fotocamere, l’unica parola che gli venne di
scrivere, ripetutamente, su quel foglio
bianco, fu: “Pagliacciate!”.
Questo aneddoto sintetizza, probabilmente
meglio di tutta la sua produzione letteraria,
la natura, la psicologia, l’essenza stessa
dell’uomo Pirandello: un personaggio schivo,
racchiuso nella sua solitudine popolata di
personaggi fantastici da cui traeva spunto
per i suoi racconti, refrattario, anzi quasi
sdegnato da tutto ciò che è convenzione,
recalcitrante alla sua stessa fama. Nato nel
Giugno 1867 in un borgo siciliano dal
profetico nome di “Caos”, figlio di una
famiglia dell’agiata borghesia che andava acquisendo peso e status sociale nella
neonata Italia, Luigi Pirandello non fu mai attratto dalla notorietà, considerandola
l’apice dell’inutilità di una vita che, secondo la sua filosofia, era semplice
finzione, “una molto triste buffoneria” da cui, l’uomo che, elevandosi, ha scoperto
l’inganno delle “maschere”, non può trarre più “né gusto né piacere”. E,
paradossalmente, fu proprio l’amaro nocciolo di questa sua visione del mondo, che
trasmigra, forse nel tentativo di trovare una soluzione alla disillusione della vita, in
tutte le sue opere, a renderlo uno dei padri immortali della letteratura del Novecento,
precursore e insieme esponente di spicco del Decadentismo Italiano.
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La produzione letteraria di Pirandello spazia dalla saggistica, alla novellistica, alla
narrativa: ma forse più di tutto è la drammaturgia a portargli il successo di cui ancora
oggi gode, come secondo autore più rappresentato in teatro dopo Shakespeare. Forse
perché è proprio nella scrittura teatrale, soprattutto quella meta-teatrale, che
Pirandello riesce, meglio che altrove, a dare piena espressione alla sua contrastata
visione del mondo: sulla scena teatrale i personaggi assumono vita propria – si pensi ai
“Sei personaggi in cerca d’autore” – e, bucando la tradizionale quarta parete che li
separa dal pubblico, acquistano una corposità tutta nuova che li contrappone alla
consueta piattezza delle rappresentazioni bidimensionali, trasfigurandosi da personaggi
di fantasia in esseri umani. Lo stesso fenomeno che avviene, seppur in maniera meno
evidente, nella lettura dei romanzi
pirandelliani: l’impressione, pur se
privata, che il lettore ne ricava, è che
protagonisti come “Il fu Mattia Pascal” o
Vitangelo Moscarda di “Uno, nessuno e
centomila” escano fuori dalla trama
narrativa, senza tuttavia diventare
“reali”, ma restando intrappolati nel
limbo infernale della vana ricerca della
propria identità perduta, mentre il
lettore si trova catapultato all’interno
dell’intreccio, smarrendo a sua volta la
certezza della propria identità.
E l’identità è senza dubbio, insieme alla concettualizzazione dell’umorismo, uno dei
temi centrali della poetica di Pirandello: affascinato dalla psicoanalisi freudiana e
ossessionato dall’idea dell’incomunicabilità tra gli uomini.
L’identità, secondo Pirandello, non esiste se non come maschera che, più o meno
consapevolmente, ciascun individuo sceglie di indossare; e quando l’immagine che
ciascuno ha di se stesso non coincide con quella che gli altri hanno di lui, l’inganno
cade, e l’esistenza umana si mostra in tutta la sua miseria, sospesa nell’inconciliabilità
tra Vita e Forma, tra essere e divenire. Emerge così tutto il malessere dell’uomo
moderno, per cui l’Altro non è che uno specchio deformante, che rimanda un’immagine
distorta di sé; un uomo condannato alla solitudine e all’incomprensione con l’Altro, che
non può trovare una definizione identitaria, se non rassegnandosi a essere “Uno,
nessuno e centomila”, cercando di trarre beneficio dalla maschera che gli altri gli
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forgiano addosso (Rosario Chiàrchiaro, La patente), oppure rifiutando la propria identità
socialmente connotata e avviandosi in solitudine verso l’inevitabile follia (Enrico IV).
La visione di Pirandello rispecchia dunque un relativismo estremo, che poggia su
contrasti irriducibili a priori, insiti, potremmo dire, nella stessa natura umana: contrasti
che si intravedono e si ritrovano nella vita stessa dello scrittore, apparentemente
tranquilla ma in realtà animata da un tormento interiore. Un tormento che è sempre
figlio dell’inconciliabilità tra due opposti, in cui l’uomo Pirandello era esso stesso
imbrigliato: la sua vena letteraria ingabbiata nei doveri della modesta professione di
insegnante; l’amore per la moglie svilito dall’improvvisa pazzia di lei, che Luigi
sopportò come un fardello fino a quando fu costretto ad acconsentire al suo
internamento (1919); la fede negli ideali del Risorgimento e dell’unificazione Italiana (il
padre, Stefano, fu un garibaldino) sfociati storicamente nel Fascismo cui Pirandello si
vide “costretto” in qualche modo ad aderire, figurando come uno dei firmatari del
Manifesto degli intellettuali fascisti, per salvaguardare i suoi ideali patriottici e la
propria produzione artistica, pur seguitando ad affermare la propria apoliticità e
subendo addirittura la “censura” da parte del Regime con l’accusa di disfattismo. Un
disfattismo che, indubbiamente, emerge prepotentemente nella controversa opera
pirandelliana, ma che va letto come frutto delle vicende personali dell’autore, oltre che
come espressione di un periodo storico in cui l’uomo si ritrova improvvisamente a
combattere, solo, contro il crollo di tutti i suoi valori e certezze; una solitudine e un
senso di abbandono, “decadente”, appunto, di cui Pirandello resta sicuramente uno dei
più sensibili, raffinati interpreti dell’epoca.
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LE PIANTE COME FONTE DI FARMACI
L’origine
Le piante hanno rappresentato nel corso dei millenni la prima fonte di cura per svariati
disturbi e malattie. La “fitoterapia” è quindi una pratica che affonda le radici in un
passato molto remoto: si pensi che la Mummia del Similaun, conosciuta anche come
Ötzi, vissuta più di 5.000 anni fa, portava con sé alcuni polipori di betulla, cioè funghi
con proprietà emostatiche ed antibiotiche. Le prime testimonianze scritte che
riguardano le piante medicinali risalgono al 2800 a.C. in Cina, dove il primo erbario
cinese dell’imperatore Shen Nung, il Pen Tsao, citava circa 300 piante con le relative
preparazioni. Utilizzavano molte erbe medicinali anche Sumeri ed Egizi: questi ultimi,
nel Papiro di Ebers, redatto nel 1550 a.C., riportavano l’utilizzo di 700 tipi di piante,
classificate in base alla loro azione.
Dall’Egitto, lo studio e l’utilizzo delle piante medicinali giunse in Grecia, dove Ippocrate
di Kos (460-377 a.C.) ne classificò per la prima volta 300 specie, contenute nel Corpus
Hippocraticum (una raccolta di opere che trattano vari temi tra cui la medicina). La
medicina greca si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mediterraneo,
giungendo così alla medicina romana. Nel I secolo d.C. Pedano Dioscoride, medico,
botanico e farmacista greco, a Roma, nel suo De materia medica, catalogò oltre 600
piante medicinali. Nel II secolo d.C. il medico Galeno, approfondì e sviluppò le
conoscenze ippocratiche. Nel Medioevo, erano i monaci che, dediti alla coltivazione
delle piante medicinali, custodivano e tramandavano gli insegnamenti di questa scienza
per perpetuare le loro conoscenze.
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Cos’è la fitoterapia?
Il termine “fitoterapia” deriva dal greco phytón, pianta, e therapéia, cura.
Alla parola phytón è attribuito anche il significato di creatura e essere, poiché la radice
deriva dal verbo phyto, ovvero
generare e anche essere generati.
Quindi la parola ”pianta” viene
legata al processo della fertilità,
della creazione e della generazione,
i cui frutti portano alla nascita di
nuove creature, nuovi esseri.
Questa premessa ci fa comprendere
come la fitoterapia oggi sia a volte intesa soltanto come pratica basata sull’utilizzo
farmacologico delle piante medicinali, senza invece considerare il profondo concetto
che racchiude in sé. La fitoterapia studia le proprietà curative delle piante, le
indicazioni terapeutiche, le eventuali controindicazioni, la posologia e le vie di
somministrazione. Il termine fitoterapia compare per la prima volta nel 1927, in un
trattato del medico francese Henri Leclerc (1870-1955).
E’ la scienza che tratta la prevenzione e la cura delle malattie attraverso l’uso delle
piante medicinali e dei loro estratti. E’ inoltre indicata per il mantenimento del
benessere psico-fisico e, come l’omeopatia, la cristalloterapia e la cromoterapia,
riveste il ruolo di “medicina alternativa”, oppure “medicina complementare” alla
medicina convenzionale di natura allopatica.
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Droga vegetale e principio attivo
Con la definizione di “DROGA VEGETALE” si intende semplicemente la parte della pianta
(foglia, fiore, radice, frutto, seme, etc.) a cui è attribuita una determinata azione
farmacologica dovuta alla presenza di elevate concentrazioni di principi attivi. Ad
esempio i fiori e le foglie del biancospino o i capolini dei fiori di camomilla.
Con il termine “FITOCOMPLESSO” si intende invece l’insieme dei principi attivi, cioè
delle sostanze farmacologicamente attive, e dei principi coadiuvanti, cioè delle
sostanze di per sé farmacologicamente inattive, ma che concorrono a determinare
l’azione dei principi attivi.
In pratica nel fitocomplesso di una pianta medicinale sono presenti:
SOSTANZE ATTIVE (glucosidi, alcaloidi, oli essenziali, tannini, flavonoidi, etc.)
SOSTANZE COADIUVANTI (enzimi, amidi, cere, sali minerali, vitamine, resine)
L’azione farmacologico–terapeutica di una pianta è quindi la risultante dell’interazione
di tutte le sostanze presenti nel fitocomplesso.
Formule di alcuni principi attivi quali: Piperina, Capsaicina e Curcumina.
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DALLA PIANTA AL PRINCIPIO ATTIVO
Preparazione della droga ed estrazione del principio
attivo
La preparazione consiste nell’insieme delle procedure a cui vengono sottoposte le
droghe vegetali per la produzione dei principi attivi e quindi di farmaci estrattivi.
I metodi di preparazione sono diversi e dipendono dal tipo di droga impiegata, si
distinguono metodi di preparazione di tipo meccanico ed estrattivo che vengono spesso
usati in successione per l’estrazione dei principi attivi.
I metodi meccanici sono:
Frantumazione;
Triturazione;
Polverizzazione;
Spremitura.
L’estrazione viene utilizzata principalmente sulla droga essiccata, e possono essere
utilizzati diversi solventi. Per uso alimentare o farmaceutico devono essere usati
solventi non tossici, per cui si prediligono acqua ed etanolo. A scopi di ricerca possono
essere usati tutti i solventi (metanolo, diclorometano e cloroformio, etile acetato etc.).
Esistono diversi metodi estrattivi:
1. Estrazione con solvente: Prevede la lenta diffusione, all’interno del materiale
vegetale, di un solvente (acqua, etanolo, miscele di liquidi organici a diversa
polarità) in cui i principi attivi da estrarre siano solubili (il simile scioglie il simile).
L’estrazione con solvente viene facilitata dai trattamenti preliminari effettuati
sulla droga quali essiccamento, frantumazione o triturazione ed infine la
polverizzazione che facilitano la penetrazione del solvente attraverso la parete
vegetale di cellule ormai non più integra accelerando quindi la velocità del
processo.
2. Estrazione con fluidi supercritici: Il fluido supercritico è una sostanza che ad
elevati valori di temperatura e pressione si presenta sotto forma di gas ad elevata
densità, prossima a quella dello stato liquido, e che viene impiegata per
l’estrazione di principi attivi dalle droghe. Ad esempio l’anidride carbonica allo
stato supercritico viene impiegata per l’estrazione della caffeina dalle foglie di tè.
3. Distillazione: La distillazione è una tecnica che serve a separare i liquidi volatili
(oli essenziali) che compongono una determinata miscela, si opera riscaldando la
miscela facendo passare attraverso la droga una corrente di vapore acqueo che
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trasporterà con sé le sostanze volatili. Il vapore così ottenuto verrà ricondensato e,
grazie alla diversa densità dell’olio rispetto all’acqua, verrà separato.
4. Infusione: è la forma più comune di estrazione ed assunzione.
Sulla droga sminuzzata fresca o essiccata viene versata acqua bollente, poi si lascia
a macerare fino al raffreddamento, a recipiente coperto. Si filtra e si consuma.
L’infusione viene utilizzata per le droghe aromatiche ricche di elementi volatili e
oli essenziali o per quelle che, formate da fiori, foglie o sommità fiorite, cedono
facilmente i principi attivi al solvente.
5. Decozione: si ottiene immergendo la droga in acqua fredda, portando
all’ebollizione e lasciando bollire per un certo tempo (5-30 minuti) in modo da
ottenere una migliore estrazione dei principi attivi. Terminata la bollitura, si filtra
il decotto ancora caldo con una pezzuola di tela. Questo metodo, più energico
dell’infusione, è indicato per le droghe non aromatiche, legnose e poco permeabili,
come quelle costituite da radici, rizomi, fusti o cortecce, in cui il solvente ha
difficoltà a penetrare e a solubilizzare i principi attivi. A causa del tempo
prolungato del riscaldamento, la decozione comporta una possibile degradazione
dei composti instabili e termolabili e una maggior perdita degli oli essenziali.
6. Enfleurage: E’ il processo di assorbimento delle essenze volatili di fiori e droghe
delicate sul grasso solido. Ad assorbimento avvenuto, l’essenza viene poi estratta
dal grasso con solventi opportuni. I petali sono disposti a formare un sottile strato
su una pellicola di grasso animale sparso su una lastra di vetro, chiamata telaio.
Trascorse 24 o 48 ore si tolgono scrupolosamente i petali. Questa operazione viene
ripetuta parecchie volte fino alla saturazione del grasso. Finito l'enfleurage, si
raschia lo strato di grasso ottenendo una sorta di pomata impregnata di profumo
(pommade). Questa pomata viene poi lavata con alcol etilico per ottenere infusioni.
7. Macerazione: La droga secca e polverizzata viene immersa in un liquido,
generalmente alcool questa viene lasciata a bagno per un tempo variabile al
termine del quale il liquido viene filtrato. La droga viene sottoposta a successive
macerazioni fino ad “esaurimento”, ovvero fino ad ottenere un recupero
praticamente totale dei principi attivi solubili nel liquido. L’operazione di
macerazione è impiegata per l’estrazione di principi attivi volatili, termolabili o per
l’estrazione selettiva di principi attivi solubili nel solvente scelto.
8. Digestione: E’ una macerazione condotta ad una temperatura compresa tra 40 e
60°C. Tale processo si applica per l’estrazione di principi attivi poco solubili nel
liquido (alcool) a freddo, il riscaldamento del liquido infatti aumenta la solubilità
dei principi attivi da estrarre nel liquido stesso.
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9. Percolazione: Rappresenta il procedimento migliore per l’estrazione di principi
attivi dalle droghe vegetali. Viene eseguita in apparecchi chiamati percolatori e
consiste nel far passare in maniera continua il solvente attraverso uno strato di
droga finemente polverizzata e sottoposta preventivamente a macerazione per 24-
48 h. La velocità di percolazione deve essere bassa in modo tale che il solvente a
contatto con la droga abbia il tempo di estrarre i principi attivi.
La scelta del solvente varia in funzione del principio attivo da estrarre. Di solito si usano
miscele di acqua e alcool, poiché il mestruo idroalcolico sembra essere il più efficace,
dal momento che l’acqua impedisce l’indurimento delle pareti cellulari che l’alcool da
solo provocherebbe (azione disidratante dell’alcool). L’alcool svolge un’azione selettiva
verso la maggior parte dei principi attivi; inoltre stabilizza la soluzione estrattiva,
riducendo al minimo l’idrolisi e impedendo la formazione di muffe; è infine dotato di
una bassa tossicità. Talvolta si usano anche additivi (acidi o basi o anche tensioattivi),
che favoriscono la rimozione completa dei principi attivi da estrarre. L’acqua da sola è
invece un’opzione da scartare, perché essa scioglie molti componenti indesiderati e
richiede molto calore per l’evaporazione, calore che favorisce l’idrolisi e la
degradazione dei principi attivi termolabili.
Separazione dei principi attivi
La separazione dei principi attivi viene effettuata principalmente attraverso tecniche
cromatografiche. Fra le più all’avanguardia ci sono l’HPLC (High Performance Liquid
Chromatography) e la GC (Gas Chromatography).
HPLC
Si tratta di una tecnica cromatografica basata su una fase mobile fatta eluire grazie a
delle pompe, e una fase stazionaria solida impaccata in una colonna cromatografica. La
differenza rispetto ad altre cromatografie liquide è l’utilizzo di elevate pressioni, che
permettono di separare miscele molto complesse
in poco tempo. Il campione che si vuole separare
è miscelato alla fase mobile e quindi trasportato
in colonna a contatto con la fase stazionaria. Il
comporto a seconda della sua struttura chimica
avrà una diversa “affinità” per la fase mobile e
per la fase stazionaria. Maggiore è l’affinità per la
fase stazionaria, maggiore è il tempo che la
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molecola ci metterà ad uscire dalla colonna. Il tempo impiegato dalla molecola ad
uscire dalla colonna è chiamato tempo di ritenzione.
Il cuore di un sistema HPLC sono le colonne e la fase stazionaria impaccata al loro
interno. Normalmente le colonne hanno una lunghezza variabile tra i 10 e i 30 cm,
anche se ultimamente vengono prodotte colonne sempre più corte intorno ai 3 cm.
GC
La gascromatografia, nota anche come GC, è una tecnica cromatografica impiegata a
scopo analitico, che si basa sulla ripartizione dei componenti di una miscela da
analizzare tra una fase stazionaria e una fase mobile gassosa inerte.
Strumentalmente, nella forma più elementare, è basata su un piccolo forno
accuratamente termostatabile, in cui viene alloggiata la colonna cromatografica, essa è
sommariamente formata da un avvolgimento costituito da un sottile tubo capillare,
lungo alcuni metri, sulle cui pareti interne è stato deposto un sottile strato della fase
fissa o da colonne impaccate. Il campione viene introdotto con un flusso di gas inerte
(He, H2, N2) ad una sua estremità
(iniettore), e dopo un certo tempo i
componenti separati fuoriescono col
flusso di gas dall'estremità opposta
(sensore), ove è posto un opportuno
rivelatore in grado di segnalarli.
Come tutte le cromatografie, si basa
sulla diversa ripartizione di diverse
Esempio di cromatogramma e colonne cromatografiche
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sostanze tra una fase stazionaria ed una fase mobile, in funzione dell'affinità di ogni
sostanza con la fase stazionaria.
Con questa tecnica è possibile analizzare campioni gassosi, liquidi o solidi facilmente
volatilizzabili.
L'unica grande limitazione della cromatografia è rappresentata dal fatto che il campione
deve essere volatile in un intervallo di temperatura compreso tra l'ambiente e i 350 °C
circa, la temperatura comunemente raggiunta dai forni degli strumenti in commercio e
compatibile con le colonne cromatografiche usate.
Colonne capillari e impaccate
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Identificazione delle componenti del principio attivo
La separazione, come detto, viene effettuata generalmente mediante tecniche
cromatografiche (Colonna impaccata, HPLC, GC ecc..), l’identificazione invece viene
effettuata tramite tecniche NMR, IR e UV.
NMR
La spettroscopia di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) è una tecnica analitica
strumentale che permette di ottenere dettagliate informazioni sulla struttura
molecolare dei composti in esame. La spettroscopia NMR misura l’assorbimento di
radiazione elettromagnetica di frequenza radio in molecole immerse in un forte campo
magnetico. Queste radiazioni provocano transizioni di spin nucleare in particolari atomi
(tipicamente 1H o 13C). Quindi, con la spettroscopia NMR, le informazioni sulla struttura
molecolare vengono dedotte osservando il comportamento dei nuclei atomici. La
Risonanza Magnetica Nucleare permette di stabilire la concatenazione degli atomi di
carbonio e la natura degli atomi di idrogeno, permettendo così di stabilire la struttura
carboniosa dei composti.
Spettri NMR e strumento
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IR
La spettroscopia IR è una tecnica analitica che si basa sull’interazione fra una
radiazione elettromagnetica e la materia. Più precisamente, però, questa è una
spettroscopia di vibrazione; infatti quando una molecola organica viene investita da una
radiazione infrarossa la cui frequenza (espressa in termini di numeri d’onda,
inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda) sia compresa fra 10.000 e 100 cm-1,
l’energia ceduta dalla radiazione stessa viene convertita in energia vibrazionale e sono
due i modi fondamentali in cui la molecola può vibrare:
VIBRAZIONE DI STRETCHING (stiramento): dovuto a stiramento ritmico lungo l’asse
di legame;
VIBRAZIONE DI BENDING (piegamento): dovuto a variazione dell’angolo di legame.
Una vibrazione di stretching, quindi, è un movimento ritmico lungo l’asse di legame con
conseguente aumento e diminuzione della distanza interatomica. Una vibrazione di
bending invece può essere dovuta ad una variazione dell’angolo nei legami con un
atomo in comune, oppure ad un movimento di un gruppo di atomi rispetto al resto della
molecola senza che si muovano gli atomi nel gruppo, uno rispetto all’altro. La
spettroscopia IR permette soprattutto di evidenziare i gruppi funzionali presenti nella
molecola (gruppi carbonilici o carbossilici, per esempio).
Spettro IR e strumento
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UV/VISIBILE
La spettrofotometria UV si basa sull’assorbimento selettivo, da parte di molecole
(eventualmente ionizzate), delle radiazioni con lunghezza d’onda compresa fra 10 nm e
780 nm. Gli strumenti usati per misurare l’assorbimento di radiazioni da parte di
soluzioni sono detti spettrofotometri. Questa denominazione comprende sia i dispositivi
più semplici, comunemente detti colorimetri, sia gli spettrofotometri veri e propri, più
complessi costituiti da:
Sorgente;
Monocromatore;
Compartimento celle o cuvette;
Rivelatore;
Registratore.
Retta di taratura, cuvette e spettrofotometro UV
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Prove biologiche
La ricerca fitochimica si interessa non solo dell’analisi chimica (composizione in
metaboliti) dei diversi estratti preparati, ma anche delle proprietà biologiche
dell’estratto in analisi e dei componenti isolati.
Qualora si lavori con una droga utilizzata nelle medicina popolare, le prime proprietà
biologiche testate saranno quelle per cui la pianta viene usata tradizionalmente
(attività antiinfiammatoria, antibatterica, antivirale, antitumorale). Spesso in questo
caso l’analisi fitochimica viene effettuata attraverso un processo che viene definito
“separazione bioguidata”. Con questa metodica l’estratto preparato viene testato per
una determinata attività biologica e se risulta attivo, viene sottofrazionato in 2 o 3
sottofrazioni che vengono a loro volte testate. Lo screening biologico prosegue solo sulle
frazioni attive attraverso sottofrazionamenti successivi fino ad arrivare ad identificare il
prodotto o i prodotti attivi.
Spettrofotometro UV, cuvette e retta di taratura
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LA CURCUMA
Che cos’è la curcuma?
La curcuma (Curcuma longa) appartiene alla famiglia delle Zingiberaceae, della quale
fanno parte anche il cardamomo e lo zenzero. Il suo paese d’origine è probabilmente
l’India, dove cresce fino a duemila metri di altitudine. Per ottenere la spezia la parte
della pianta che viene utilizzata è il rizoma, ossia la parte sotterranea, che viene
essiccato e ridotto in polvere. La curcuma è diventata famosa grazie agli studi che
hanno scoperto la presenza di sostanze chiamate curcuminoidi. I curcuminoidi sono
principi attivi dotati di numerose proprietà terapeutiche interessanti e in più
conferiscono il colore giallo-arancio alla spezia.
Tra le loro caratteristiche troviamo virtù antinfiammatorie, antiossidanti e anche
antitumorali. Oggi come oggi, la ricerca si focalizza soprattutto sulle proprietà di certe
molecole che fanno parte dei curcuminoidi, ossia le curcumine.
Spettrofotometro UV, cuvette e retta di taratura
Pianta e radici della curcuma
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Perché fa bene?
La curcumina è un polifenolo dotato di proprietà antinfiammatorie ed esplica quindi
un’azione lenitiva sull’apparato digerente in caso di dispepsia, colite, gastrite, gonfiori
e nausea. Svolge inoltre un’azione
protettiva sulle mucose gastriche,
esercitando così un effetto antiulceroso.
Come antinfiammatorio la curcuma si
utilizza anche per problemi a livello
articolare, digestivo, respiratorio,
intestinale e cutaneo, possiede
inoltre virtù antiossidanti molto potenti,
al punto da essere stata inserita tra gli
alimenti riconosciuti più antiossidanti,
allo stesso livello della vitamina E o
della vitamina C.
È dunque efficacissima nella lotta
contro i radicali liberi, i maggiori
responsabili dell’invecchiamento
cellulare.
Antimicrobica, la curcuma è in grado
di inibire lo sviluppo di un certo
numero di batteri e risulta quindi utile per varie infezioni microbiche, in particolare alla
gola e all’intestino. Sono stati poi svolti studi sull’attività della curcumina contro
l’Helicobacter pylori, batterio associato all’ulcera. Il potenziale terapeutico riscontrato
è risultato molto elevato.
A essere sotto osservazione è infine l’azione antitumorale della curcuma. Vari studi
parlano infatti degli incoraggianti effetti della curcumina nella lotta contro il cancro,
grazie alla capacità di bloccare il ciclo delle cellule di vari tumori, inclusi quello di
colon, seno, rene e prostata. Le ricerche sono ancora in corso, ma sembrano davvero
promettenti.
Spettrofotometro UV, cuvette e retta di taratura
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LA CURCUMINA
Che cos’è?
La curcumina è il principio attivo caratterizzante della curcuma (Curcuma longa),
appartenente alla famiglia dei curcuminoidi lineari. Si tratta di sostanze abbastanza
complesse, che consistono in due anelli aromatici (gruppi arilici) tenuti insieme da una
catena di sette atomi di carbonio e aventi vari sostituenti.
La curcuma contiene circa il 2-6% di curcuminoidi; di questi, l'80% è rappresentato dalla
curcumina, il 18% dalla
demetossicurcumina e il 2%
dalla bis-demetossicurcumina.
Altri curcuminoidi sono stati
sintetizzati in laboratorio nel
tentativo di migliorarne
la disponibilità.
La curcumina viene utilizzata
anche come colorante naturale,
capace di donare ai prodotti ai
quali viene aggiunta uno spiccato colore giallo. Quando impiegata come additivo
alimentare, la curcumina può essere indicata anche con la sigla E100.
Possiamo trovare la curcumina all'interno di mostarde, dadi da brodo e minestre in
scatola o in busta.
Si tratta di un colorante naturale che non solo risulta privo di effetti collaterali, ma che
può addirittura avere effetti positivi per la salute.
Applicazioni terapeutiche
La curcumina si è rivelata particolarmente utile per la sua attività antinfiammatoria,
perfettamente sovrapponibile a quella di farmaci come il cortisone ed il fenilbutazone
nella fase acuta dei processi flogistici. Nell'infiammazione cronica, l'effetto della
curcumina è invece meno pronunciato. Ad alte dosi la curcumina sembra stimolare
i surreni a secernere più cortisone, esplicando quindi anche una potente azione
antinfiammatoria indiretta.
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A differenza dei FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei, come l'aspirina e
l'ibuprofene), la curcumina non
causa effetti collaterali significativi.
Per esempio la curcumina non è
considerata gastrolesiva, anzi, in
alcuni studi clinici la curcuma in
toto ha dimostrato di migliorare
significativamente la sintomatologia
associata ad ulcera gastrica. Anche
la sindrome del colon irritabile può
trovare giovamento dalla
somministrazione di curcuma.
Pur non presentando un'azione analgesica di rilievo, la curcumina può essere un valido
aiuto in presenza di dolori articolari ad eziologia artrosica od artritica. Secondo uno
studio clinico la sua efficacia sarebbe del tutto sovrapponibile a quella dell' ibuprofene.
Un altro interessante campo di applicazione terapeutico, riguarda l'utilità della
curcumina come coadiuvante del trattamento del morbo di Alzheimer in fase precoce,
per contrastare i processi degenerativi neurologici tipici della malattia, e nella
prevenzione del danno epatico da composti epatotossici come l'etanolo (alcool etilico).
Sebbene alcuni trials clinici supportino l'attività terapeutica della curcumina in presenza
di varie malattie, è bene non perdersi in eccessivi entusiasmi, almeno fino a quando
saranno disponibili ulteriori e più convincenti evidenze scientifiche.
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DALLA CURCUMA ALLA CURCUMINA
Estrazione del principio attivo e separazione
Estrazione Soxhlet e purificazione su colonna cromatografica (Jayaprakasha GK, Jagan
Mohan Rao L, Salariai KK, Improved HPLC-Method for the determination of curcumin,
demethoxycurcumin and bis-demethoycurcumin, Agr. Food Chemicals Society, 2002, 50,
3668-72).
Estrazione con esano per circa 30 minuti; l’estratto in esano viene scaricato e il residuo
solido riestratto sempre in soxhlet con metanolo per 2 ore. 5 grammi di estratto
vengono adsorbiti su 8 grammi di gel di silice (silicagel) e eluiti in una colonna da 100 g
di gel di silice con 500 mL di esano. La colonna viene eluita in seguito con benzene e
etilacetato con rapporto crescente in etilacetato (polarità crescente) in modo da
ottenere 3 frazioni da 400 mL.
La curcumina viene eluita con solo benezene/etilacetato 82/18 v/v, gli altri due
curcuminoidi vengono invece eluiti con benzene/etilacetato 70/30 v/v
(dememethoxycurcumino) e 58/42 v/v (bis-demethoxycurcumino).
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BIOTECNOLOGIE E FITOCHIMICA
Le piante contengono al loro interno una quantità di principio attivo molto bassa, spesso
infatti per ricavarne piccole quantità serve utilizzare molta droga e questo fa si che sia
svantaggioso da un punto di vista industriale ed ecologico, proprio perché spesso le parti
della pianta utilizzate sono radici e corteccia, inoltre molti principi attivi non possono
essere sintetizzati in laboratorio, ecco perché entrano in gioco le biotecnologie in
fitochimica.
Possiamo definire biotecnologie tutte quelle tecniche che, basandosi sull’utilizzo di
organismi viventi o di loro
derivati, siano volte alla
produzione di sostanze specifiche.
Per esempio, gli enzimi utilizzati
dalle cellule per realizzare le
reazioni chimiche necessarie a
compiere determinate funzioni
possono essere sfruttati in
laboratorio per altri scopi. Allo
stesso modo, le conoscenze
chimiche sulla struttura degli acidi nucleici, sulle proprietà di determinati enzimi e sulle
regole di complementarietà delle basi sono il punto di partenza per manipolare il DNA.
Si definisce tecnologia del DNA ricombinante l’insieme delle tecniche di laboratorio che
consentono di isolare e tagliare brevi sequenze di DNA per trasferirle e inserirle nel
genoma di altre cellule, in modo da modificarne uno o più geni. Questa tecnologia
permette interventi mirati, che modificano in modo specifico solo i geni dei caratteri su
cui si vuole agire. Inoltre, le metodologie odierne consentono di trasferire DNA non solo
tra individui della stessa specie, ma anche tra specie diverse, spesso molto differenti
l’una dall’altra. Si possono, per esempio, trasferire geni da un batterio a una pianta o
introdurre in un batterio un gene proveniente da una cellula eucariotica.
La tecnologia del DNA ricombinante è molto complessa dal punto di vista operativo, ma
dal punto di vista concettuale si basa su criteri abbastanza semplici:
identificare il gene;
tagliarlo e isolarlo dalla molecola del DNA;
unire il gene a un vettore a sua volta costituito da DNA;
trasferirlo all’interno di una cellula ricevente.
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I ricercatori possono quindi inserire in un plasmide batterico un pezzo di DNA
contenente un gene, dando origine
appunto ad un DNA ricombinante.
All’interno dei plasmidi, un gene
esogeno di qualunque provenienza, può
essere clonato e replicato in colture
batteriche.
Il gene può essere inserito a valle di
sequenze batteriche promotore, anche
inducibili, e portare all’espressione di
proteine di qualunque altro organismo
all’interno del batterio.
Il plasmide con DNA ricombinante
viene successivamente reintrodotto
nella cellula batterica, il batterio
geneticamente modificato è messo poi
in coltura e si riproduce per formare un clone di cellule (un gruppo di cellule identiche
alla cellula madre da cui derivano) e possiede una copia del gene.
Oggigiorno diverse industrie farmaceutiche si stanno orientando verso la sintesi
biotecnologica di molecole estremamente importanti da un punto di vista
farmacologico, che normalmente vengono estratte da droghe vegetali, e che non
possono essere prodotte per via sintetica a causa della complessità strutturale e delle
scarse rese dei processi sintetici. Due esempi importanti sono sicuramente: il tassolo
(farmaco antitumorale) e l’artemisinina (farmaco antimalarico).
Strutture del Tassolo e dell’Artemisinina
O
O
O
OH
OOO
HO
O
O
O
O
OH
NHO
H
Taxolo
O
O
O
H
H
O
O
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Il primo è presente nella corteccia delle piante di Taxus in concentrazioni pari a 0,01%,
la seconda è prodotta da Artemisia annua.
In particolare nel caso dell’artemisinina si è creato un batterio (Escherichia coli)
codificato, in grado di produrre buone quantità di acido artemisinico, un precursore
sintetico dell’artemisinina.
I geni per la produzione dell’acido artemisinico sono stati prelevati dal Saccharomyces
cerevisiae e dall’Artemisia annua.
I ricercatori della Sanofi Aventis, importante ditta farmaceutica, di Garessio (Italia)
sono riusciti a mettere a punto una reazione di ossidazione che permetta, poi, di
trasformare velocemente e semplicemente l’acido artemisinico così prodotto in
artemisinina.
L’utilizzo delle biotecnologie in questo ambito sta facendo innumerevoli passi avanti
mantenendo l’obiettivo di riuscire ad utilizzare ed a sintetizzare i principi attivi delle
piante senza che esse vengano danneggiate o distrutte, raggiungendo così il rispetto
dell’ambiente e mantenendo costi minori, ma con una maggior resa di produzione.