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La funzione nazionale della Scuola...

Date post: 21-Feb-2019
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PERIODICO TRIMESTRALE DELL ’ASSOCIAZIONE ALUNNI , RICERCATORI E PROFESSORI DELLA S CUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA DIRETTORE RESPONSABILE Claudio Cesa COMIT ATO REDAZIONALE Paolo Peluffo Franco Montanari Mauro Moretti SEGRETERIA DELL ’ASSOCIAZIONE Amelia Vallerini Scuola Normale Superior e, Piazza dei Cavalieri, Pisa telefono 050 509501 e-mail: [email protected] STAMPA S tamperia e Legatoria Pisana S.r .l. Via delle Sorgenti, 87 -T el . 050 939023 Agnano Pisano - Pisa Gli ar ticoli che compaiono in queste pagine esprimono unicamente le opinioni degli autori CONSIGLIO D IRETTIVO DELL ’ASSOCIAZIONE PRESIDENTE Prof . Claudio Cesa VICEPRESIDENTE Prof . Roberto Battiston SEGRETARIO Prof. Giuseppe La Rocca TESORIERE Dr. Umberto Sampieri CONSIGLIERI Prof. S alvator e Settis Dott. Paolo Peluffo Prof. Umberto Laffi Prof. Franco Montanari Dott. Guri Schwarz Dott. Mauro Moretti Prof. Franco Bassani Dott. Marco Mondini SINDACI REVISORI Prof. Gianfranco Capriz Prof. Italo Mannelli Prof . Arnaldo Mar cone Hanno collabor ato alla redazione di questo numero: Andr ea Bocchi, Alessandr o Carpinella, Fr ancesca Pr edazzi, Marco Rinaldi, Sonia Maffei, Letizia Leviti, Amelia V allerini IMPAGINAZIONE Italiana d ’Ar te, Roma REG TRIB. DI PISA N. 12/1998 EDITORIALE La funzione nazionale della Scuola I l Consiglio Dir ettivo dell’Associazione mi ha voluto elegger e alla pr esidenza, probabilmente anche in considerazione del fatto che sono un normalista abba - stanza antico. Una volta la nostra Associazione era detta degli ex, e familiar - mente l’espr essione, cr edo, si usa ancora, per fedeltà al gergo che ogni generazione di normalisti si diver te a coniar e. La nostra Associazione ha pr oprio l’ambizione di coin- volger e il più possibile tutti gli antichi allievi -dispersi o distribuiti ai quattro punti car dinali- nella vita della Scuola di oggi. Il che non è facilissimo: bisogna superare il tipico stato d’animo di chi, memore della sua Normale, si sente quasi urtato da ogni trasformazione che sia avvenuta dal giorno in cui la ha lasciata. E’ stato forse anche per questo che un impulso decisivo alla ricostituzione dell ’Associazione, dopo decenni di interr uzione, sia venuto da chi era venuto alla Scuola come professore e non come allievo. P enso a due antichi dir ettori, Luigi Radicati e Franco Bassani, che non si sono fatti paralizzar e dallo scetticismo, e si sono gener osamente impegnati perché l’Associazione tornasse a vivere. Luigi Radicati ne ha tenuto anche la presidenza, nel primo triennio, mettendole a disposizione la sua esperienza e la sua autorevole zza. A lui, ed a tutti quelli che con lui hanno collabo- rato, il mio, il nostro ringraziamento più cordiale. Si tratta, adesso, di andare avanti, recuperando anzitutto il contatto con centinaia di antichi allievi, attivi nella ricerca scientifica, nell’insegnamento, nell’am- ministrazione, nell ’industria: sono una par te non irrilevante della classe dirigente del nostro paese, e ciascuno di essi può imparar e qualche cosa da ciascun altr o. I l che è tanto più importante oggi, quando i quadri di riferimento si modificano con tanta rapidità, le istituzioni scolastiche, a tutti i livelli, si trasformano, e con esse la ricer ca e l’organizzazione del saper e. E’ in questo settor e, soprattutto, che, insieme, giovani e meno giovani possiamo fare qualche cosa - perché la Scuola continui ad esercitare la sua funzione nazionale, nel modo che è imposto dal mondo di oggi. A spinger ci a stare insieme è anche il ricordo di quelli che non ci sono più, e che sono stati, fino all ’ultimo, fedeli al loro passato di normalisti. Ci ha lasciato, proprio in questa fine di mar z o, Cinzio Violante, che fu membro del Comitato pr o- motor e e poi del Consiglio dir ettivo. Già malato, si rammaricava di non essere potu- to intervenire alla nostra ultima seduta. Sarà commemorato degnamente in uno dei prossimi fascicoli - e con lui ripor ter emo alla memoria altri grandi studiosi, che sono stati allievi o professori alla Scuola. T ra i giovani di oggi, ci sono i loro successori. Far emo molto, se riusciremo a tener vivo il legame tra le generazioni. Claudio Cesa FOTO DI COPERTINA: Enrico Fermi a Pisa negli anni ‘20 insieme ad alcuni amici normalisti
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PERIODICO TRIMESTRALEDELL’ASSOCIAZIONE ALUNNI,RICERCATORI E PROFESSORIDELLA SCUOLA NORMALESUPERIORE DI PISA

DIRETTORE RESPONSABILEClaudio Cesa

COMITATO REDAZIONALEPaolo PeluffoFranco MontanariMauro Moretti

SEGRETERIA DELL’ASSOCIAZIONEAmelia ValleriniScuola Normale Superiore,Piazza dei Cavalieri, Pisatelefono 050 509501e-mail: [email protected]

STAMPAStamperia e Legatoria Pisana S.r.l.Via delle Sorgenti, 87 -Tel. 050 939023Agnano Pisano - Pisa

Gli articoli che compaiono in queste pagine esprimono unicamente le opinioni degli autori

CONSIGLIO D IRETTIVODELL’ASSOCIAZIONE

PRESIDENTE

Prof. Claudio Cesa

VICEPRESIDENTEProf. Roberto Battiston

SEGRETARIO

Prof. Giuseppe La Rocca

TESORIEREDr. Umberto Sampieri

CONSIGLIERI

Prof. Salvatore SettisDott. Paolo PeluffoProf. Umberto LaffiProf. Franco MontanariDott. Guri SchwarzDott. Mauro MorettiProf. Franco BassaniDott. Marco Mondini

SINDACI REVISORI

Prof. Gianfranco CaprizProf. Italo MannelliProf. Arnaldo Marcone

Hanno collaborato alla redazionedi questo numero: Andrea Bocchi,Alessandro Carpinella, FrancescaPredazzi, Marco Rinaldi, Sonia Maffei,Letizia Leviti, Amelia Vallerini

IMPAGINAZIONE

Italiana d’Arte, Roma

REG TRIB. DI PISA N. 12/1998

EDITORIALE

La funzionenazionale

della ScuolaIl Consiglio Direttivo dell’Associazione mi ha voluto eleggere alla presidenza,

probabilmente anche in considerazione del fatto che sono un normalista abba-stanza antico. Una volta la nostra Associazione era detta degli ex, e familiar-

mente l’espressione, credo, si usa ancora, per fedeltà al gergo che ogni generazione dinormalisti si diverte a coniare. La nostra Associazione ha proprio l’ambizione di coin-volgere il più possibile tutti gli antichi allievi -dispersi o distribuiti ai quattro punti

cardinali- nella vita della Scuola di oggi. Il che non è facilissimo: bisogna superare iltipico stato d’animo di chi, memore della sua Normale, si sente quasi urtato da ognitrasformazione che sia avvenuta dal giorno in cui la ha lasciata.

E’ stato forse anche per questo che un impulso decisivo alla ricostituzionedell’Associazione, dopo decenni di interruzione, sia venuto da chi era venuto allaScuola come professore e non come allievo. Penso a due antichi direttori, Luigi

Radicati e Franco Bassani, che non si sono fatti paralizzare dallo scetticismo, e si sonogenerosamente impegnati perché l’Associazione tornasse a vivere. Luigi Radicati neha tenuto anche la presidenza, nel primo triennio, mettendole a disposizione la suaesperienza e la sua autorevolezza. A lui, ed a tutti quelli che con lui hanno collabo-rato, il mio, il nostro ringraziamento più cordiale.

Si tratta, adesso, di andare avanti, recuperando anzitutto il contatto con

centinaia di antichi allievi, attivi nella ricerca scientifica, nell’insegnamento, nell’am-ministrazione, nell’industria: sono una parte non irrilevante della classe dirigente delnostro paese, e ciascuno di essi può imparare qualche cosa da ciascun altro. Il che ètanto più importante oggi, quando i quadri di riferimento si modificano con tantarapidità, le istituzioni scolastiche, a tutti i livelli, si trasformano, e con esse la ricercae l’organizzazione del sapere. E’ in questo settore, soprattutto, che, insieme, giovani

e meno giovani possiamo fare qualche cosa - perché la Scuola continui ad esercitarela sua funzione nazionale, nel modo che è imposto dal mondo di oggi.

A spingerci a stare insieme è anche il ricordo di quelli che non ci sono più,e che sono stati, fino all’ultimo, fedeli al loro passato di normalisti. Ci ha lasciato,proprio in questa fine di marzo, Cinzio Violante, che fu membro del Comitato pro-motore e poi del Consiglio direttivo. Già malato, si rammaricava di non essere potu-

to intervenire alla nostra ultima seduta. Sarà commemorato degnamente in uno deiprossimi fascicoli - e con lui riporteremo alla memoria altri grandi studiosi, che sonostati allievi o professori alla Scuola. Tra i giovani di oggi, ci sono i loro successori.Faremo molto, se riusciremo a tener vivo il legame tra le generazioni.

Claudio Cesa

FOTO DI COPERTINA:Enrico Fermi a Pisa negli anni ‘20 insieme ad alcuni amici normalisti

La nuova fase della nostra rivista prende il via con una tavola rotonda “simulata”,

nella quale attorno al tavolo raccogliamo normalisti, studiosi, persone di buona

volontà che ogni giorno si scontrano con le difficoltà e con la missione di insegnare

la nostra lingua e la nostra cultura all’estero.

Il tema dominante è l’”italiano come lingua della cultura”. L’insegnamento

di una lingua non veicolare è strettamente connesso con il desiderio di conoscere la

cultura italiana, la sua letteratura, l’arte, la storia che emanano un fascino che

riscopriamo più forte di quanto non si pensi.

Quale è il “mercato” potenziale della nostra lingua?

Quale è la chiave giusta, la strategia per promuoverla?

I dati proposti da Massimo Vedovelli sull’italiano come seconda lingua sono con -

fortanti: se come parlanti nativi la nostra è solo la diciottesima, negli Stati Uniti è

la quarta o la quinta lingua più richiesta da studenti che sono per due terzi di ori -

gini non italiane.

Alessandro Carpinella e Andrea Bocchi hanno raccolto testimonianze dagli Stati

Uniti, al Belgio, al Regno Unito, alle ex colonie italiane in Africa.

Nella sua introduzione il presidente dell’Enciclopedia Treccani, Paolo Casavola,

traccia un affascinante acquarello di come l’italiano sia diventato una grande lin -

gua senza avere alle spalle un impero.

Il dato da affrontare è come organizzare le nostre scuole e le nostre attività cultu -

rali in modo da essere all’altezza di questo compito.

La Scuola Normale, su impulso dell’Associazione dei normalisti, sta avviando una

collaborazione con il Ministero degli Esteri che potrà svilupparsi anche attraverso

la rete degli Istituti Italiani di Cultura. Mandateci le vostre idee per continuare il

dibattito nei prossimi numeri.

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IN OGNI NUMERODI NORMALEPROPORREMOUN DIBATTITO

SU UN TEMA CHERIGUARDAIL FUTURODELLA CULTURA,DELLA RICERCA,DELLA NOSTRA

VITA CIVILE.

DIBATTITO

Che futuro hala lingua italiana?

Quando negli storici dell’antichità greca eromana si legge di discorsi tenuti da per-sonaggi di diversa nazionalità, ci si inter-

roga istintivamente su quale lingua essiusassero, se la propria o quella dell’in-terlocutore o degli astanti, o se ricor-ressero ad un interprete. In Roma, nelprocesso ch’era tutto orale, gli stranie-ri non trovavano protezione perchénon in grado di pronunziare e diintendere i formulari predisposti dauna tradizione che non aveva previstouna società multilingue. Per questo,quando fu istituito verso la metà delIII secolo a.c., il pretore per gli stra-nieri introdusse la formula scritta,determinando anche nel Tribunale delcollega giusdicente per i cittadini l’ab-bandono del processo orale.

L’antichità conobbe l’uso di lin-gue terze: il greco nell’area ellenistica,l’aramaico in quella semitica, il latino,soprattutto nel Mediterraneo occiden-tale prima di dive n t a re dominante in tuttol’Impero, furono lingue veicolari, comprese e parla-te per gli usi sociali legati alle necessità degli scam-bi internazionali commerciali e culturali. Eppure dasempre anche lingue ridotte nei loro elementiessenziali hanno trasportato forme mentali dì rap-presentazione della realtà bene al di là dei bisognipratici del traffico o della guerra, dell’economia edella politica. Quando le lingue terze diventavanoegemoni finivano col sostituire quelle locali e pree-

sistenti. Dopo la guerra sociale, in Italia, il latinofece sparire in tempi brevissimi tutte le parlateautoctone della dorsale appenninica. La lingua di

scambio si faceva lingua madre. È unaesperienza sempre sorprendente, perchi studi le lingue romanze, intrave-dere nelle loro varianti il segno piùprofondo di una civiltà comune, che ècome dire di una mente unitariaovunque assorbita come superiore .Un tale riconoscimento di superiori-tà, su cui discutevano gli intellettualigreci e latini riferendosi alle loro lin-gue, è impossibile per i nostri tempi.L’inglese e lo spagnolo, le lingue piùusate nel mondo, non sono, se nonper una parte dei parlanti, lingueespressive della civiltà anglo - ameri-cana o di quella iberica. Per i più sonolingue veicolari.

Dietro la diffusione di una linguaa l l’ e s t e ro, o comunque fuori dallacomunità originaria ove essa è lingua

madre, si muovono vari fattori, dall’egemonia poli-tica al dominio militare, dalla superiorità del dirit-to e delle regole di amministrazione alla forzaespansiva della produzione economica, dalla piùelevata cultura intellettuale e artistica alla qualitàdella ricerca scientifica e delle tecnologie. Ma quan-do questi fattori sono non concorrenti o non sin-golarmente decisivi una lingua non diventa all’este-ro né dominante, tale da indurre gli stranieri alladiglossia (le èlites di Roma antica parlavano in lati-

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DIFFONDERSISENZA

UN IMPERO

Francesco Casavola

“ Linguadella culturae non veicolare”

Normalistialla Scuola

no e in greco, l’aristocrazia russa si esprimeva inrusso e in francese), né veicolare.

L’italiano all’estero non è sostenuto da nullache non sia la originalità della civiltà italiana. Chiapprende la nostra lingua deve poterlo fare perpenetrare nelle peculiarità della nostra letteratura,della nostra sensibilità artistica, della nostra voca-zione universalistica, che si manifesta dalle filosofiealla religione come una missione italiana.

Questo significa che l’insegnamento della lin-gua italiana non può ispirarsi a quello dell’ “essen-tial english”, per fare un esempio di insegnamentopratico e basico finalizzato all’apprendimento rapi-do di una lingua che certo, oggi vale non per chivoglia godere il teatro di Shakespeare o la sapienzadi Bacone, ma viaggiare in quel vasto mondo in cuil’inglese serve per le esigenze della comunicazionequotidiana.

G iulio Lepschy, veneziano, normalista neglianni 1953-1959 è da sempre attento aimodi e ai problemi della diffusione della

lingua italiana non solo in Gran Bretagna, dove hainsegnato per decenni e dove risiede.

È certo la persona più adatta afornire un quadro complessivo e adindicare le prospettive per il futurodella nostra lingua.

Lo studio dell’italiano è caratte-rizzato nella tradizione accademicainglese da una forte attenzione all’a-spetto descrittivo che ha portatoanche ad eccellenti lavori didattici edi sintesi.

Su un altro piano, la tradizioneinglese di studi bibliografici ha pro-dotto sul versante italiano unamesse ormai imponente di strumen-ti fondamentali per comprendere ilruolo della stampa nella formazionedell’italiano.

Saranno questi due settori acaratterizzare l’italianistica inglese?

Gli studi sull’italiano in Gran Bretagna conti-nuano nella direzione indicata da te, o si estendonoanche a campi diversi. Fra i lavori recenti basta pen-sare alla storia della letteratura curata da Brand ePertile, alla grammatica di Maiden e Robustelli, aglistudi di linguistica e dialettologia di Vi n c e n t ,Maiden, Parry e Leigentay, a i volumi sulla storiadel libro di Fahy e Richardson.

Per non parlare del perdurante interesse per lamusica, l’arte, il cinema, la società italiana.

L’italiano si diffonde da un lato come linguadi cultura, dall’ altro come strumento di comu-nicazione quotidiano per turisti o emigranti.Quali sviluppi si possono attendere sul primolivello? Come funzionano i nostri istituti di cul-

tura su questo piano?Gli istituti di cultura, pur con

risorse insufficienti, non si limitanoagli aspetti tradizionali della civiltàitaliana (Dante, il Rinascimento,ecc.), ma fanno conoscere la culturacontemporanea (e non solo letteratu-ra, ma anche design, film, musica,ecc.) nelle sue manifestazioni piùvivaci e innovative. Spesso gestisconoefficaci corsi di lingua.

Uno studioso italiano in GranBretagna ha motivi secolari pernon sentirsi in partibus infide -l i u m. Tuttavia proprio l’ i n g l e s e ,come lingua veicolare, è indicatoda alcuni come una minaccia per lastessa sopravvivenza dell’italiano.Su che piani si esercita la pressione

dell’inglese dal punto di vista tipologico?L’italiano occupa un posto importante tra le

grandi lingue di cultura nel mondo. Il prevalere del-l’inglese come lingua franca internazionale in moltediscipline scientifiche e nella tecnologia dell’infor-mazione non deve far pensare che esso metta inpericolo la sopravvivenza di altre lingue.

Al di là dei prestiti lessicali (diffusi del resto intutte le lingue di cultura) i linguisti stentano adidentificare esempi di influenza dell’inglese sulla

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È UNALINGUA“FORTE”,

CREDIAMOCI!

Giulio Lepschy

Francesco Novati (1859-1915).

Cremonese, fu allievo dellaClasse di Lettere dal 1877

al 1880

“ L’esperienza

inglese di una vivaceitalianistica

struttura morfosintattica e fonologica dell’italiano.Negli ultimi tempi sono usciti in Inghilterra duelibri (uno di D. Crystal, l’altro di D. Nattle e S.Romaine) sulla morte delle lingue: va osservato chele lingue in pericolo di morte sono quelle conpoche centinaia o migliaia di parlanti, che si trova-no “al fondo” della lista di circa seimila lingue for-nita dai manuali e che l’italiano si trova tra le primedieci o venti lingue più forti in cima alla lista.

In questa breve inchiesta compare anche uncontributo sull’italiano d’Eritrea. Quali motivihanno impedito all’italiano di diventare una lin-gua ve i c o l a re nei territori africani occupati,come è avvenuto nell’impero inglese?

La questione della presenza linguistica italianain Africa credo che dovrebbe essere studiata piùapprofonditamente (una perfezionanda di Reading

ci sta lavorando).La diversità rispetto alla Francia e alla Gr a nBretagna dipende presumibilmente dalla diversastoria imperiale di questi paesi, non da caratteristi-che relative alla lingua.

In tutto il mondo si mangia italiano, si vesteitaliano, si ammirano arte, cinema e letteraturaitaliana; che cosa manca perché si parli italiano?

Io ho l’impressione che l’italiano non sfiguri, ingiro per il mondo, rispetto, poniamo, a francese,spagnolo, tedesco o russo.

In Gran Bretagna l’italiano è studiato tro p p opoco nelle scuole secondarie e questo influisce nega-t i vamente anche sul reclutamento a livelli unive r s i t a-ri. Del resto si potrebbe rivo l t a re la domanda: comemai, con una cultura così viva a aperta in Italia, sisanno così poco (o male) le lingue straniere ?

Posso sbagliare, ma credo di poter affermareche la cultura italiana negli Stati Uniti èrispettata e ammirata, ma potrebbe esserlo

molto di più, se i nostri governi e i nostri Istituti dicultura operassero meglio.

Nei quattordici anni trascorsi come professoredi teoria politica a Princeton ho sentito parlare dellacultura italiana sempre con sincera stima e a voltecon stupore. Com’è possibile, mi hanno chiestotante volte gli amici e i colleghi, che l’Italia abbiasaputo creare per tanti secoli tanta bellezza neicampi più diversi: nella letteratura,nella musica, nella pittura, nell’archi-tettura, nella scultura, e poi ancoranell’opera e nel cinema? E mi hannofatto notare che altri popoli europeihanno saputo produrre grandi operedi bellezza, ma nessuno, di essi lo hasaputo fare con tanta continuità neisecoli.

Per quanto ho potuto, ho cercatodi fare apprez z a re agli americanianche il nostro pensiero politico cer-cando di presentare loro nella giustaluce le opere degli umanisti fiorentini,di Machiavelli, di Guicciardini (com’èdifficile per uno studente americanopronunciare ‘ui’!), di Beccaria (con ilproposito dichiarato di farli ricrederesulla pena di morte), di Mazzini e diPrimo Levi (termino sempre il miocorso con una lezione su Primo Levi perché Se que -sto è un uomo è il testo che meglio di ogni altro aiuta

a capire, almeno in parte, l’orrore del totalitarismo).

E così, per intendere meglio la nostra cultura ela nostra storia sono sempre più numerosi i giovaniamericani che si iscrivono a corsi di lingua italiana.All’Università il numero degli studenti che seguonocorsi di italiano è raddoppiato, rispetto a quandoarrivai a Princeton; alla Adult School sono semprealla ricerca di nuovi insegnanti. Ci sono tutte lepremesse perché l’italiano diventi la lingua dellepersone colte d’America.

Il problema è che le risorse che ilnostro governo mette a disposizionedegli studi italiani sono di moltoinferiori rispetto alle risorse messe adisposizione dagli altri governi euro-pei. Se indicassi qui l’entità del con-tributo erogato dalla Germania edalla Francia per sostenere rispettiva-mente la cultura tedesca e la culturafrancese, e menzionassi poi il contri-buto dell’ Italia per sostenere la cultu-ra italiana metterei le nostre autoritàin qualche imbarazzo. In queste con-dizioni è difficile per gli Istituti italia-ni di cultura operare bene.

A rendere più difficile la situazio-ne, oltre alla inopia di risorse, c’èanche la tendenza delle nostre istitu-zioni culturali a promuovere iniziati-ve che servono poco a creare un verodialogo fra la cultura americana e la

cultura italiana.Eppure ognun vede quanti benefici verrebbero

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NEGLI USATANTA

VOGLIADI ITALIANO

Maurizio Viroli

“ Seimila

lingue rischiano

di sparire”

da una migliore conoscenza della cultura italiana,sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vistaeconomico: un politico americano che conoscel’Italia sa capirne le esigenze; un imprenditore ame-ricano che stima la nostra cultura è incline a con-

cludere affari. Ci sono dunque ottime ragioni per fare di più e conpiù saggezza per la nostra cultura all’estero, in par-ticolare negli Stati Uniti. Ma bisogna avere lavolontà di cambiare indirizzo.

A smara è una città in cui non si fatica adimbattersi nella storia e nella cultura italia-na, con sentimenti che nel neoarrivato

vanno dalla sorpresa al disagio. Abituati a conside-rare l’italiano lingua nobile sì, ma totalmente mino-ritaria e quasi provinciale nel mondo globalizzato,ci si trova in Eritrea di fronte a una lunga serie ditracce che fanno oggi parte della cultura locale.Moltissimi termini tecnici settoriali (makina,motore, mekanico, caciavite, guaina, luchetto, fer-ramenta), del lessico alimentare(bichiere, forchetta, cuchiaio, stechi-no, bisteca, capreto, jelato, bani, for-majo, aranciata, macedonia, bira,piza, banino - ora sostituito dal piùmoderno ambergher), architettonico- urbanistico (marciapiede, faciata) edella vita quotidiana (l’ u s a t i s s i m ociao, la formula di saluto alora? nelsenso di come va?) sono come ben sivede parole italiane più o menomodificate dalla pronuncia tigrina,segno di una forte presenza dellacolonizzazione italiana non solo nellaquotidianità, ma soprattutto in setto-ri specifici dell’economia, della scien-za e della tecnologia. Al di là di que-ste presenze in una lingua di struttu-ra fondamentalmente semitica (iltigrino, lingua nazionale insieme conl’arabo), l’italiano è oggi parlato da due categorie dipersone, generalmente bi - o trilingui: gli anziani(che hanno frequentato scuole italiane o hannolavorato nell’amministrazione o nell’esercito) e lefamiglie cosiddette meticce, i cui figli studiano allascuola italiana. Quest’ultima è la più antica istitu-zione culturale italiana all’estero e copre tutto ilciclo degli studi, dalla materna alle superiori (conindirizzi linguistico, ragionieri, geometri e profes-sionale), organizzata con un curricolo misto, fruttodi un’intesa tra il Governo italiano e il Ministerodell’Educazione eritreo.Una scuola che è oggi appesantita dalle sue tradi-zioni, poco incline alla trasformazione e che va n t atra i suoi atout la mancanza di alternative appeti-bili da parte della classe medio - alta del paese edelle famiglie che vogliono dare ai figli un’ i s t ru z i o-ne in italiano. La persistenza della lingua italiana in

uno stato che gravita per motivi regionali neimondi arabofono (tutta la costa est verso l’Arabia elo Yemen, molta parte del bassopiano ad ove s tverso il Sudan) e anglofono (Sudan, Et i o p i a ,Somalia) sembra risiedere in motivi che hannopoco a che fare con la lingua o la letteratura e cherisalgono più al passato che al presente. L’ It a l i adelle colonie è impressa nelle arc h i t e t t u re asmari-ne, nelle insegue dei cinema Im p e ro, Da n t e ,Roma, nel Cimitero Italiano, nel circolo culturale

e ricre a t i vo Casa degli italiani, nel barTorino e Vittoria, nell’officina FIATTa g l i e ro, in molte infrastru t t u re delPaese (e nelle medaglie con l’effigie diMussolini che qualche anziano anco-ra offre ai turisti). Ol t re che ov v i a-mente delle molte famiglie rimaste inEr i t rea dopo la salita al potere diMenghistu, che hanno avuto - insie-me alle migliaia di connazionali rim-patriati - un ruolo notevole nell’ e c o-nomia e nella politica locale con il o ro capitali e le loro industrie. Inp a rt i c o l a re l’ Er i t rea italiana è perc e p i-ta come il primo momento dell’ i n d i-pendenza del paese dall’ Etiopia, unastoria che risale agli ultimi dell’ 8 0 0 ,ma che ancora oggi è citata a testi-monianza delle ragioni di 30 anni diguerra (l’ultimo conflitto del ’98 -’99

tra i due paesi è stato giocato anche a colpi dimappe coloniali italiane degli inizi del ‘900).Questa è ancora oggi la ragione per cui gli italianigodono di una fama e di un credito notevoli, sec o n f rontata con altri popoli europei. Al di là diquesta storia, la presenza italiana non ha più moltoa che fare con la cultura: oltre la scuola statale e lemissioni religiose (profondamente radicate nelPaese), ci sono dei corsi di lingua per adulti orga-nizzati su base volontaria da alcuni insegnanti,qualche cineforum, qualche mostra e una prez i o s abiblioteca.L’Italia gioca piuttosto il suo ruolo in questa partedel Corno d’Africa nella cooperazione internazio-nale - governativa e non - nella diplomazia e incampo economico. La scuola italiana, la Casa degliitaliani e le generose iniziative dei singoli nonriescono a nascondere una mancanza di politica

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CERCHIAMOLE TRACCE

DELL’ITALIAIN AFRICA“ Non

chiudiamogli occhisulle nostreex colonie ”

culturale che altri paesi cominciano a mostrare, eche è lo specchio della più generale incertezza dellacollocazione italiana sullo scenario internazionale.Non si sfugge insomma a una forte impressione di

revival, che si associa spesso a modalità celebrativedell’italianità. L’Italia che fu c’è ancora, ma è diffi-cile prevederne il futuro.

Testimonianza firmata

L’ italiano è nelle strutture accademiche delBelgio è disciplina relativamente recente.Quali università lo propongo-

no? Esiste una struttura di coordina-mento?

Le prime cattedre di italianistica inBelgio sono state create dopo la SecondaGuerra Mondiale.Attualmente si trovano insegnamenti dilinguistica e di letteratura italiana intutte le università belghe di linguanederlandese e francese: a Bru xe l l e s(Vrije Universiteit Brussel e UniversitéL i b re de Bru xelles), all’ Un i versità diGand, di Lovanio, di Anversa, di Liegi,di Louvain - la - Neuve. L’italiano vieneinsegnato anche all’interno dei corsi dilaurea per interpreti e traduttori, orga-nizzati da istituti superiori extra - uni-versitari. Non esiste una vera strutturadi coordinamento e senz’altro sarebbeopportuno crearla, per promuovere ini-ziative scientifiche interuniversitarie e magari ancheper imporre l’italianistica all’attenzione di un pub-blico più largo. Un primo passo in quest’ultimadirezione è comunque costituito dalla recente mai-

ling list “Italbel”, ideata allo scopo di raccogliere edi diffondere via posta elettronica il maggior nume-

ro possibile di informazioni sulleiniziative belghe nel campo dellacultura italiana (convegni, confe-renze, corsi, perfino bandi di con-corso, ecc.).

La conoscenza della linguaitaliana segue quasi ovunque inEu ropa occidentale due grandicanali: uno alto, per motivi cultu-rali e scientifici, e uno basso,determinato dagli scambi econo-mici e turistici tra i due paesi.Succede così anche in Belgio, chetra l’altro ha visto una massicciaimmigrazione italiana in questosecolo?

In Belgio questa bipartizionetende a riflettersi anche nell’orga-nizzazione dell’insegnamento del-

l’italiano: mentre nelle università si privilegia l’ap-proccio culturale e scientifico, negli istituti superio-ri viene messo l’accento sulle competenze pratiche(come già detto sopra, la traduzione - spesso di testi

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CHE COSAINSEGNA

L’ESEMPIODEL BELGIO

Dirk Van den Berghe

Un gruppo di antichiNormalisti

tecnici - e l’interpretariato). Tuttavia la distinzionenon sempre è così netta: le competenze comunica-tive sono tenute nel debito conto anche in ambitoaccademico, mentre traduttori e interpreti nonignorano certo i capisaldi della cultura italiana.Poco numerosi tra gli studenti sono i discendenti daimmigrati italiani; si direbbe che essi ancora nonavvertano il bisogno impellente di andare alla sco-perta delle proprie radici linguistiche e culturali.Tale situazione mi sembra comunque un indiziodella buona integrazione nel tessuto sociale belgadella nostra prima comunità straniera (si tratta dicirca 250.000 persone).

Esiste poi un livello per così dire mediano, incui l’italiano si confronta con lingue concorrentisul piano della diffusione, per esempio nell’inse-gnamento pre u n i ve r s i t a rio? Come funziona ilnostro Istituto di cultura?

Poche sono le scuole che hanno proposto l’in-segnamento della lingua italiana (quasi tutte situatein zone dove la concentrazione di immigrati è piùalta) e non mi risulta che questa iniziativa abbiaavuto molto successo. Se una crescita di interessenei confronti delle lingue neolatine si sta attual-mente verificando (ciò sembra potersi dire almenoper le scuole secondarie nelle Fiandre), essa si pro-duce sicuramente a vantaggio dello spagnolo, nondell’italiano. E si badi che questo successo dellospagnolo, insegnato come terza lingua stranieradopo il francese e l’inglese, va quasi del tutto a sca-pito del tedesco, verso il quale l’interesse degli allie-vi fiamminghi diminuisce, pur trattandosi di una

nostra lingua nazionale. Indizi in direzione di unsuccesso crescente dello spagnolo, almeno rispettoall’italiano, mi pare si possano cogliere anche alivello universitario; senza voler generalizzare, biso-gna comunque dire che gli studenti che optano perlo studio dell’italiano spesso dimostrano di avereinteressi culturali assai più spiccati rispetto a nume-rosi loro colleghi hispanisants.

Negli ultimi anni, l’Istituto Italiano di Culturadi Bruxelles ha incrementato le sue attività, e comedocente di letteratura e storia culturale italiana nonho potuto che rallegrarmene. Talvolta basta ancheu n’oculata strategia pubblicitaria per destare lacuriosità verso una lingua e una cultura: penso inparticolare alla campagna che l’Istituto ha condottodi recente nella metropolitana di Bruxelles, otte-nendo un notevole incremento degli iscritti ai suoicorsi. Da qualche tempo una parte dei suoi servizilinguistici e didattici si è inserito in un consorzio dicui fanno parte anche altri istituti stranieri, alloscopo di offrire insegnamenti di lingua intensivi afunzionari delle Istituzioni Europee. Spero chel’Istituto possa diventare sempre di più uno dei luo-ghi imprescindibili per chi, a Bruxelles e in Belgio,desideri informarsi sulla cultura italiana.

Quali sono i maggiori motivi di interesse equali gli handicap più significativi della nostralingua all’estero e in particolare nel tuo paese?

Bisogna dire che la lingua italiana ha dietro disé anzitutto un patrimonio culturale di una ric-chezza e di una varietà uniche. Si può quindi pen-sare che un pubblico sempre più numeroso entreràin contatto con l’arte, la letteratura (anche se tra-dotta), la musica italiana, allo stesso modo in cuiforse ha già potuto apprezzare il cinema italiano(ma vedo che le giovani generazioni in Belgio cono-scono poco i grandi autori del Neorealismo e deglianni ‘60, ad esempio): da qui potrebbe nascere l’in-teresse verso la lingua. Ovviamente una notevoleresponsabilità nell’offerta di stimoli culturali ai gio-vani continua ad avere la scuola.

Sfruttando l’inventiva che necessariamenteun italianista all’estero matura, quale strategia dimarketing suggeriresti per un nuovo impulso alladiffusione dell’italiano in Belgio?

Non esiterei a pubblicizzare sempre di più i‘prodotti’ italiani, siano essi economici, turistici oculturali. Anche un incremento delle attività espo-sitive di richiamo, come vedo che tende a fare aBruxelles l’ancora giovane Instituto Cervantes perla Spagna, potrebbe - magari con l’ a p p o g g i odell’Istituto Italiano di Cultura - portare la culturae la lingua italiana all’attenzione di un pubblico piùlargo.

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Guido Mazzonifrequentò il corso

ordinario della Classe di Lettere

tra il 1876 e il 1880.Era nato a Firenze

nel 1859 e vi morì nel 1943.

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“V enerdì del direttore” in sala degliStemmi. Tema: “Pirandello: la lin-gua, il dialetto”. A parlarne, Andrea

Camilleri. Cominciando dal 1890 quando, dopo lalettura del Mastro don Gesualdo di Verga, Pirandellopubblicò su “Vita Nuova”, un lungo articolo intito-lato Prosa moderna. Nel 1891, a Bonn, Pirandello siera laureato in filologia romanza con la tesi, discus-sa in lingua tedesca, “Suoni e sviluppi di suoni nellaparlata di Gi r g e n t i”, re l a t o reWendelin Fo e r s t e r, accolta moltofavorevolmente, in un’ampia recensio-ne, dall’iniziatore degli studi filologici,Meyer-Lubke.

Camilleri ha ricordato la tesi solodi sfuggita perché verte quasi total-mente sul dialetto, non siciliano, maesattamente circoscritto nella parlatadi Girgenti e dintorni: “Nessun rap-porto con la lingua – ha sottolineatoCamilleri – ma spia di un’attenzioneche si farà sempre più acuta e lucida”.E in quell’articolo infatti, “sorpren-dentemente”, Pirandello afferma: “…Iletterati non conoscono altra lingua chequella dei libri, mentre gli illetteraticontinuano a parlare quella a cui sonoabituati, la provinciale, ossia i variidialetti natali…e ciascuno intende lalingua a suo modo, non per sentimento naturale, maper lo studio che ha fatto su questi o quegli autori diepoche differenti, e non sempre bene. E’ il trionfo deglianacronismi filologici – forme e nessi sintattici vieti,propri a un dato secolo, si fondano, si abbrufano conidiotismi spesso infelici, contrari all’indole della favel -la – un’opera insomma di mostruosa combinazione”.

Un articolo che fece polemica, nella qualei n t e rve n n e ro il fiorentino Pi e t ro Ma s t r i ,Ferdinando Martini, Ugo Ojetti e altri. E a PieroMastri Pirandello rispose: “Dire che la lingua italia -na l’abbia fatta Dante levando il parlar fiorentino adignità di lingua o sposando, per dirla con l’Ascoli, iltipo fonetico, il tipo morfologico e lo stampo sintatticodel linguaggio di Firenze al pensiero italiano, è cosìgrande errore come sarebbe ad esempio affermare chela lingua tedesca l’abbia fatta Lutero traducendo laBibbia nella lingua della cancelleria di Sassonia”.“Querelle sul Verga – spiega Camilleri – uso fun-zionale della lingua, sua personalizzazione, svolger-si del discorso narrativo attraverso l’attenta e felicedosatura di ritmi, cadenze e toni, che servono acreare personaggi mentre contestualmente ne evi-denziano stato d’animo e processi di pensiero. Unostile narrativo, per usare la parola verghiana, tuttointerno alla scrittura, e assolutamente unico; comeha rilevato Antonino Pagliaro, per rudezza essenzia-

le di sintassi, spezzature, reticenze, scatti, allusioni,pause. E’ proprio qui – precisa Camilleri – chePirandello colse la dialettalità del Verga”. Vergascrittore di cose, secondo la ben nota distinzionepirandelliana tra “scrittori di cose e scrittori di paro-le”. Ma a trionfare, con Pirandello, è il teatro, la lin-gua in scena. “Egli non fa altro che mettere in attoquel suo convincimento che il dialetto – spiegaCamilleri – esprima il sentimento delle cose, men-

tre la lingua ne esprime il concetto.Strabiliante affermazione, che istitui-rebbe immediatamente una contrap-posizione frontale tra la letteraturaconcettuale e la letteratura sentimen-tale se, in realtà, quella che Pirandellochiama “cosa” non… fosse in definiti-va la parola stessa che, al momentodella sua vulturazione dialettale, sicarica d’umori e di riflessi che riman-dano ai toni, ai colori, alle sfumaturedel linguaggio delle tribù”. Il dialettocome linguaggio emozionale. E il per-sonaggio che nasce in italiano si vederestituire piena identità nella versionedialettale; viceversa, i personaggi natinel dialetto stentano a trovare il respi-ro esatto. “Anche quando non scrisse otradusse più in siciliano – concludeCamilleri – il dialetto di Pirandello

continuò ad essere presente e vivo, e non solo come‘nostalgia di linguaggio poetico’, ricordando unadefinizione di Pagliaro, ma nella continua ricerca di‘una lingua italiana – parole di Pirandello – chevuol serbare fin dove è possibile un certo colore, uncerto sapore del vernacolo latino’”.

Letizia Leviti

CAMILLERIA PISA:

DIALETTIALLEATIPER UNO SVILUPPOCOMUNE

Il Venerdìdel Direttore

Andrea Camilleri,lo scrittore siciliano dive-nuto celebre per i suoi romanzi polizieschi.

“ Vulturazionedialettale,sfumaturedel linguaggiodelle tribù”

V orrei iniziare questa sintetica ricognizionesullo stato della lingua italiana diffusa fragli stranieri ricordando due fatti tanto

diversi al punto da essere contraddittori. Il primo ècostituito da alcuni recenti articoligiornalistici che riprendono e perpe-tuano l’idea che la lingua italiana siasu posizioni secondarie nel mercatomondiale delle lingue e che quindi,essendo solo idioma di letterati, sias u l l’orlo della sua scomparsa; taleprocesso andrebbe addirittura accele-rato studiando e usando l’inglese alsuo posto. Tale impostazione conti-nua una linea che più di quindicianni fa vide F. Alberoni farsi di essafiero fautore (e, a mio avviso, sconfit-to dai fatti). Di recente G. Are, su “IlSole - 24 Ore”, ha affermato che “Ilposto” che la lingua italiana potrào c c u p a re nell’ i n t e resse del mediopubblico universitario in tutto ilmondo sarà, per ragioni qualitative equantitative, sempre minore e ten-dente a estinguersi”.Di contro a tale visione catastrofista del destinointernazionale della nostra lingua sta un altro fattoche mi coinvolge direttamente. In occasione delrecente convegno del Tesol Italy (Teachers ofEnglish to Speakers of Other Languages), dal tito-lo Treasuring the old, challenging the new (Assisi,

1-2 dicembre 2000), sono stato invitato a tenereuna relazione sull’italiano come seconda lingua ac o n f ronto con l’inglese. Si può rimanere sorpre s iper essere stati sollecitati a parlare di italiano per e

di stranieri proprio in una sede in cuil’inglese, la lingua a diffusione plane-taria, si interro g a va sulla sua condi-zione egemone non certo per rimet-terla in discussione, ma al contrarioper svilupparla ulteriormente: Da v i d ec o n t ro Golia, con l’assoluta sicurez z ache stavolta Davide non atterre r àGolia. Pe rché allora questa genero s aa p e rtura a una piccola lingua comel’italiano nella sua condizione di idio-ma diffuso attualmente fra stranieri?La contraddittorietà dei due fatti cispinge a pro p o r re una pro s p e t t i vainterpretativa dello stato attuale dellalingua italiana diffusa fra stranieri chemira a riposizionarla nel sistema dellelingue di cultura a grande diffusioneinternazionale in una collocazione piùadeguata rispetto alle visioni catastro-

fistiche che negano al nostro idioma una vitalitàcapace di superare i confini nazionali. Il presuppo-sto della nostra ipotesi interpretativa è che l’italianoè una piccola lingua quanto a numero di parlantinativi, ma che raccoglie sempre di più l’attenzioneda parte degli stranieri grazie alla pluralità contrad-dittoria delle sue identità, manifestando con ciò

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L’ ITALIANOCOME

SECONDALINGUA

Massimo Vedovelli

A sinistra MicheleBarbi (1867-1941).

Normalista della Classedi Lettere dal 1885 al

1889.

A destra FrancescoD’Ovidio.

Studiò filologia alla Scuola tra il 1866 e

il 1870.Era nato a Campobasso

nel 1849 e morì aNapoli nel 1926.

una vitalità che la rende elemento paradigmaticodello stato attuale del sistema internazionale dellelingue, caratterizzato dalla compresenza di istanzeplanetarie e, insieme, di forti persistenze locali.Che cosa c’è nello spazio intermedio fra i due oppo-sti poli di una visione della lingua italiana comeperdente e destinata alla scomparsa da un lato, e diuna lingua che nel mondo attrae numeri sempremaggiori di stranieri dall’altro? Pur vivendo unmomento di grande vitalità, tale condizione nonappare ancora consolidata e in grado di tradursi inelemento di sistema, in condizione permanente. Edunque questo l’obiettivo primario cui deve tende-re la strategia istituzionale. Come si è arrivati a que-sto momento di vitalità? Come con-solidarlo e renderlo sistematico?La differenza fra la lingua italiana e lealtre lingue di cultura a grande diffu-sione internazionale coinvolge piùdimensioni: le vicende storiche, quel-le storico - linguistiche, la riflessioneteorico - metodologica sulla lingua esulla sua diffusione.Il primo punto da sottolineare è ilfatto che, occupandoci di italianocome seconda lingua (L2) si ha spessol’impressione che la nostra lingua, inquesta condizione, non abbia un pas-sato al quale guardare per trovare leradici dei problemi dell’oggi e unpatrimonio di risorse cui attingere perr i s o l verli. In vece, il passato esisteanche per l’italiano come L2, ed è benpiù solido e ricco di quanto si possaimmaginare.

Primo fatto. Nel 1589 a Sienaviene istituita la prima cattedra uni-versitaria di italiano, ed è interessantenotare che è destinata agli studentistranieri, tedeschi in particolare, pres-so il locale ateneo. Dunque, la storiaistituzionale, accademica della linguaitaliana è strettamente connessa sindall’inizio al suo destino internazionale. Dopo laprima ‘questione della lingua’, conclusasi con la vit-toria della prospettiva bembiana, la prima cattedradi italiano è istituita in prospettiva dei bisogni deglistranieri. Possiamo affermare che la lingua italiana èda sempre oggetto di apprendimento, da sempre èdiffusa fra gli stranieri. I materiali per il suo inse-gnamento prodotti nei secoli XVII e XVIII sono diuna ricchezza e di una modernità incredibili, pur seancora oggi poco studiati dal punto di vista deimodelli glottodidattici e delle implicazioni sullosviluppo avuto dalla lingua italiana. Come il voca-

bolario degli accademici della Crusca è stato ilpunto di riferimento per tutti i dizionari delle gran-di lingue di cultura europee, così i materiali perl’insegnamento dell’italiano a stranieri nei secolipassati hanno contribuito notevolmente a delineareun modello, di didattica della lingua. Per secoli l’i-taliano è stata lingua scritta e letteraria, solo margi-nalmente parlata e comunque non sistematicamen-te usata nella quotidianità dell’interazione sociale.Da tale condizione sono derivate conseguenzeimportanti sulla situazione linguistica nazionale: lamancanza di modelli consolidati di uso vivo cuiriferirsi nella comunicazione di una società in svi-luppo; la generale insicurezza linguistica nazionale

che ancora oggi viviamo. Da ciò sonoscaturite implicazioni anche sullapossibilità della diffusione dell’italia-no fra gli stranieri, i quali da un latoaspiravano anche nei secoli passati adapprendere una lingua capace di avvi-cinarli al mondo intellettuale dellaquale era codice, ma anche che limettesse in grado di fare il ‘viaggio inItalia’ alla riscoperta dell’antichità eche fosse capace di spendibilità negliscambi sociali, non rendendosi contoche la gamma di questi ultimi eramolto limitata a ben precise aree geo-linguistiche (la Toscana, Roma) e so-ciali (i pochi alfabetizzati). La caratte-rizzazione culturale e intellettualedell’ apprendimento dell’italiano erap e rciò fortissima, ma a questo siaccompagnava tutta una serie di altrem o t i vazioni proprie di figure diapprendenti non solo connotate cul-turalmente: commercianti, prelati. Lapluralità dei pubblici stranieri chestudiavano l’italiano implicava unaadeguata risposta in termini glottodi-dattici. I maestri di italiano dei secoliXVII - XVIII rispondevano a tale esi-genza impegnandosi nella prefigura-zione di una possibile lingua d’uso

vivo: i manuali di italiano per stranieri proponeva-no, allora, non solo testi appartenenti alla testualitàletteraria, ma anche dialoghi (pur sempre scritti,ovviamente) ma legati a situazioni quotidiane. Ilfatto era, però, che l’italiano parlato non esisteva: illavoro degli autori di tali materiali si traduceva,allora, in una vera e propria ‘simulazione di parla-to’, di invenzione di moduli comunicativi non pre-senti in modo generalizzato nella realtà idiomaticadella penisola. In tale operazione i maestri di linguaitaliana a stranieri vengono ad assumere un ruolointellettuale attivo e creativo, di cerniera e media-

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LE LINGUE PIÙ PARLATE NEL

MONDO

1. Putonghua (Cinese Mandarino)

2. Inglese3. Indi/Urdu4. Spagnolo5. Russo6. Arabo7. Bengali8. Portoghese9. Malese/Indonesiano

10. Giapponese11.Tedesco12. Francese13. Panjabi13. Wu (Cinese del delta

Yangtse)15. Javanese15. Marathi 17. Coreano17. Vietnamita18. Italiano19. Cantonese (Cinese Yue)19. Tamil19. Telugu

Fonte: Multilingual Capital,ed. by Ph. Baker; J. Eversley,Battlebridge, London 2000, p.6.

“ Negli Usal’italianoè la quartalingua più studiata

zione fra la norma purista sancita dall’accademiasulla base dei testi letterari da un lato, le esigenze dicomunicazione degli apprendenti stranieri dall’al-tro. In tale operazione di fine mediazione creatricedi modelli d’uso, i maestri di lingua si collocano inuna posizione tale da assegnare alla lingua italianaper stranieri un ruolo importante come fattore die voluzione della nostra lingua: estraendo dallapotenzialità della forma e della norma linguistica lestrutture e le modalità sentite come maggiormentein grado di simulare un eventuale e possibile par-lato, spostavano fuori dei confini dell’accademia edel normativismo le spinte alla nasci-ta di una lingua viva, cioè demanda-vano agli stranieri la funzione di esse-re portatori di esigenze di evoluzionee di creatività della nostra lingua.Ben strano destino, quello dell’italia-no, di avere da sempre una grandecapacità di attrarre i pubblici stranie-ri per il suo legame con una tradizio-ne intellettuale alta (la lingua dellanostra letteratura, della nostra arte,della musica, ma anche della scienzadi Galilei), ma anche di vivere dasempre l’impossibilità di essere ingrado di mostrarsi nella sua identitàdi lingua d’uso, viva e vera!

Secondo fatto. Sin dai primimomenti della sua formazione, ilg i ovane Stato italiano si pone il pro-blema della identità linguistica, maciò viene ad inve s t i re solo le questio-ni dei cittadini del nuovo Stato, benpiù pressanti rispetto a quelle dellalingua da pro p o r re agli stranieri. Lapolitica di diffusione dell’ i t a l i a n ofuori dei confini nazionali attuatadal nostro Stato si concre t i z z asostanzialmente nella fondazionedella società Dante Alighieri alla finedel XIX sec., la cui azione si orienta, però princi-palmente ai nostri emigrati massicciamente part i t iverso l’ e s t e ro. Poche altre sono le azioni pro m o s s eper la diffusione dell’ i t a l i a n o. Nel 1917 sono isti-tuiti i corsi per stranieri a Siena, primo nucleo diquello che poi troverà le forme istituzionali di unavera e propria università per stranieri. Negli anni‘20 del XX sec. viene istituita l’ Un i versità perStranieri di Pe rugia, con l’intento di diffondere l’ i-talianità veicolando i valori della romanità impe-riale. Vengono fondate le ‘Case d’ It a l i a’ che ospita-no i nostri studiosi all’ e s t e ro.Nel frattempo, le nostre comunità emigrate vivonole tensioni dovute all’incontro di origini idiomati-

che diverse e alla ricerca di moduli condivisi dicomunicazione: emergono i primi processi di crea-zione di livelli di lingua comune, con un processoche va in parallelo a quelli che si attiva entro lasocietà di origine. All’italianizzazione e alla neo-standardizzazione, cioè alla nascita di un nuovoidioma d’uso vivo comunemente condiviso dallasocietà italiana contribuisce anche l’emigrazioneitaliana all’estero, sia pure in contesti e secondomodalità diverse da quelle sviluppatesi entro i con-fini nazionali.

Te rzo fatto. Dopo l’ i s t i t u z i o n edegli Istituti Italiani di Cultura all’e-stero, nel dopoguerra occorre aspetta-re il 1982 per trovare il primo grandemomento di progettazione di una po-litica culturale di diffusione dell’italia-no fra stranieri. Si tratta del convegnoorganizzato a Roma dalla Presidenzadel Consiglio dei Ministri e dalMinistero degli Affari Esteri, sotto laspinta dell’ a m b a s c i a t o re Sergio Ro-mano. In tale occasione furono pre-sentati i risultati di quella che è anco-ra oggi la più grande indagine suipubblici dell’italiano L2 e sulle loromotivazioni, realizzata dall’Istituto perl’Enciclopedia Italiana sotto la direzio-ne di Ignazio Baldelli. Utilizzando piùdi 18.000 questionari l’indagine misein luce dati che produssero un moto disorpresa sia fra gli studiosi che fra irappresentanti delle istituzioni: la lin-gua italiana era studiata ogni anno da1,5 - 2,5 milioni di persone nelmondo; la motivazione prevalente eradi tipo genericamente culturale. Daquel convegno emersero una serie diindicazioni importanti per gli sviluppisuccessivi della politica italiana di dif-fusione della nostra lingua: fu promos-

sa la certificazione delle competenze in italiano L2;fu istituita la Commissione nazionale per la linguae la cultura italiana.Oc c o r re sottolineare che si arriva agli anni ‘80 conuna forte attrattività della nostra lingua presso glistranieri e nell’assenza di una politica culturale disua diffusione: come collegare i due processi? Comes p i e g a re tale stranezza? In realtà, il legame dell’ i t a l i a-no con una tradizione di alta intellettualità ha fattov i ve re di rendita gli interventi istituzionali: senzai n vestimenti di risorse, o comunque con mezzi limi-tatissimi, senza una visione sistematica e strategica,comunque lo Stato italiano è stato sempre sicuro dive d e re la propria lingua diffondersi fra gli stranieri.

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LE LINGUE PIÙ STUDIATE: IL

CASO DI LONDRA

1. Inglese2. Francese3. Spagnolo4. Tedesco5. Italiano6. Giapponese7. Arabo8. Russo9. Greco moderno

10. Portoghese11. Putonghua

(Cinese Mandarino)12. Turco13. Indi/Urdu14. Olandese15. Polacco16. Bengali/Sylheti17. Cantonese (Cinese Yue)17. Irlandese19. Svedese20. Ebraico moderno20. Gallese

Fonte: Multilingual Capital,ed. by Ph. Baker; J. Eversley,Battlebridge, London 2000, p. 6.

Può bastare tale soluzione di ‘non politica ’ cultura-le a livello istituzionale per far re g g e re all’italiano ilc o n f ronto con le altre lingue nel mondo contempo-raneo? Per fargli risolve re una serie di problemi cheindubbiamente sta vivendo nella sua condizione dilingua diffusa fra stranieri? Si può continuare a con-f i d a re nello ‘stellone italico’ ?

Qu a rto fatto. Oggi la nostra lingua è solo al18° posto al mondo come numero di parlanti nati-vi (riprendiamo i dati dal recente Ph. Ba k e r, J.Eve r s l e y, Multilingual Capital, London, Ba t t l e-bridge Publications, 2000), e nemmeno fra leprime dieci quanto a parlanti competenti (sommadei nativi e degli apprendenti stranieri). Gli autorinotano con sorpresa, però, che l’italiano è al 5°posto quanto a numeri di corsi di lingua a Londranel 1999. Le più aggiornate inchieste mostrano,poi, che negli Stati Uniti è al 4° posto fra le linguepiù studiate, e che i suoi studenti sono solo per il39% discendenti di italiani, la maggioranza assolu-ta (61%) essendo costituita da non discendenti dinostri connazionali.La sorpresa di ve d e re una piccola lingua quanto aparlanti nativi e competenti risalire le posizioniquanto a lingua ambita come oggetto di studio sid e ve accompagnare in noi alla consapevo l ezza dellapluralità di vie che hanno portato a tale condizio-ne di vitalità.

Primo elemento di vitalità dell’ i t a l i a n o.Innanzitutto, ricordiamo fra questi fattori il pro-cesso di neostandardizzazione linguistica che si ès volto nella società italiana entro i confini naziona-

li, che ha consentito di ave re in questi ultimidecenni una lingua d’uso vivo effettivamente dif-fusa e tale da proporsi anche come modello per ilsuo insegnamento a stranieri. Tale fattore permettedi dare sicurezza linguistica alle proposte glottodi-dattiche, pur se rimane sempre in agguato il con-flitto fra norme: quella del parlato e quella dellatradizione letteraria.Secondo elemento di vitalità. La nostra emigrazio-ne all’ e s t e ro a part i re dal plurilinguismo dialettaleha orientato i suoi sforz i verso la conquista di unidioma comune: i suoi tratti, almeno stando alleanalisi recenti, appaiono molto vicini a quelli dellalingua d’uso che si è sviluppata entro i confininazionali.Tale condizione è difficilmente riconosciuta dainostri gruppi emigrati, che spesso vivono la pro-pria identità linguistica come scissa fra una condi-zione reale sentita come limitata e l’aspirazione auna immaginata lingua italiana brillante dell’ a u r adegli irraggiungibili modelli letterari. La nostraemigrazione all’ e s t e ro ha però sviluppato nellesocietà ospiti la consapevo l ezza, mai re a l m e n t eavuta nel passato, del plurilinguismo della nostrapenisola, della differenza fra la lingua italiana, per-cepita dagli stranieri per il suo legame con la tradi-zione intellettuale, e la realtà pluridialettale.Il terzo elemento di vitalità è costituito dall’ a d e-sione immediata che la glottodidattica italiana hadato alle proposte europee di rinnovamento meto-dologico: sin dagli anni ‘70 i progetti delConsiglio d’ Eu ropa hanno avuto il merito di riac-c e n d e re in Italia la discussione metodologica, dis p i n g e re al rinnovamento degli strumenti glotto-

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“ Stati Uniti:solo il 39% degli studentidiscendeda italiani

A sinistra Felice Martini (1852-1931).Parmense, fu allievo della Scuola (Classe di Lettere)dal 1870 al 1874

A destra Francesco Flamini.Nacque a Bergamonel 1868 e venne a studiare alla Scuola (Classe di Lettere) nel 1886.Morì a Pisa nel 1922.

didattici, di espandere la rete delle agenzie forma-t i ve e culturali (pubbliche e private, istituzionali einformali) impegnate nella diffusione dell’ i t a l i a n ofra stranieri. Oggi, tale discussione appare ancorat roppo ideologizzata, ma di nuovo le istituzionicomunitarie con il documento Mo d e rn languages.A common european fra m e w o rk of re f e re n c e r i a t t i va-no la riflessione critica e il pro g resso delle cono-s c e n ze anche su metodologie di insegnamento del-l’italiano sempre più in sintonia con le esperienzei n t e r n a z i o n a l i .Il quarto fattore di vitalità è costituito dal cambia-mento dei pubblici dell’italiano L2 e del quadrodelle funzioni del suo appre n d i m e n t o. La citatagrande indagine sulle motivazioni allo studio del-l’italiano nel mondo, risalente alla fine degli anni‘70, mostrava che l’assoluta maggioranza degli stra-nieri si avvicinava all’italiano per interesse cultura-le, per il legame fra la nostra lingua e la sua tradi-zione intellettuale. Ora le cose sono pro f o n d a m e n-te cambiate.A tale fascia di pubblico e di motivazioni si èaggiunta quella degli immigrati stranieri in It a l i a :un milione e mez zo di stranieri entra in sistemati-co contatto con la nostra lingua nell’ i n t e r a z i o n equotidiana; 160.000 bambini stranieri sono pre-senti nella nostra scuola; almeno 55.000 adulti fre-quentano i corsi di italiano organizzati dalle istitu-zioni scolastiche statali, altrettanti sono pre s e n t inelle iniziative promosse dalle associazioni delvo l o n t a r i a t o. La loro motivazione è stru m e n t a l e ,finalizzata all’inserimento sociale e pro f e s s i o n a l e ;tornando nel proprio paese, portano con sé unpatrimonio di competenza a volte limitata e fossi-lizzata, altre volte complessamente articolata, e intal modo costituiscono un potente mez zo di tra-smissione della nostra lingua.Nu ovi pubblici, nuove funzioni, dunque, maanche nuove opportunità: la ricerca scientifica dilinguistica acquisizionale italiana si è sviluppatain maniera formidabile, sia collegandosi alleriflessioni di ordine teorico che attraversano lar i c e rca internazionale, sia cercando le vie di speci-fica applicazione di modelli operativi alla re a l t ài t a l i a n a .Come ulteriore fattore di vitalità ricordiamo lo svi-lupparsi di corsi di italiano del settore economico -c o m m e rciale - pro d u t t i vo: le Camere di commer-cio, le università, le scuole private si impegnanos e m p re di più in tale settore, segno che la 7° posi-zione fra i paesi più industrializzati del mondo siriflette positivamente sulla possibilità di sviluppareulteriormente la nostra lingua come oggetto dia p p rendimento da parte di stranieri.Infine, la vitalità della nostra lingua fra gli stranie-ri è testimoniata dalla fortissima diffusione delle

c e rtificazioni di italiano come lingua straniera pro-mosse dall’ Un i versità per Stranieri di Siena, daquella di Pe rugia e dalla Te rza Un i versità di Ro m a ,o l t re che da istituzioni non accademiche come laDante Alighieri.A fronte di tale complessa e articolata realtà dellanostra lingua, stretta fra un passato illuminatodalla cultura intellettuale e un presente dove simanifestano sempre nuove esigenze e identità, leistituzioni impegnate in tale settore operano spes-so in condizioni difficili, a tutti note. Come segnod e l l’ i n t e resse che comunque le nostre istituzionipongono al destino della nostra lingua fra stranieriè da ricord a re l’ i n i z i a t i va Italiano 2000, pro m o s s adal Mi n i s t e ro degli Affari Esteri: si tratta di unar i c e rca che, primariamente tramite la testimonian-za degli Istituti Italiani di Cultura, cerca di acqui-s i re dati sistematici e aggiornati sulla condizionedella nostra lingua e dei suoi apprendenti stranieria l l’ e s t e ro. In tal modo sarà possibile attuare unc o n f ronto con la realtà definita dall’indagine diventi anni fa in maniera da misurare e va l u t a re ilreale cambiamento intervenuto, l’assetto dei biso-gni e delle motivazioni emergenti, le condizioni dil a vo ro dei soggetti impegnati nella diffusione dellanostra lingua e cultura.I risultati dell’indagine saranno presentati in unc o n vegno nel maggio del 2001, insieme a una rico-gnizione sistematica sui materiali per l’ i n s e g n a-mento dell’italiano, tra i quali emergono semprepiù diffusamente quelli a base tecnologica ava n -zata. Forse, sarà possibile allora appoggiare unasistematica politica di diffusione della nostra lin-gua su dati conoscitivi consolidati e capaci di ve r i-f i c a re ipotesi che per ora sono frutto principal-mente di intuizioni e di dati di tipo locale.Ultimo fatto. E di recente il finanziamento, dap a rte del Mi n i s t e ro dell’ Un i versità, di un Centrodi eccellenza della ricerca presso l’ Un i versità perStranieri di Siena: è uno dei 23 Centri di eccellen-za, vera novità nel panorama italiano dei sostegnipubblici alle iniziative di ricerca, e convive conCentri che si occupano di ‘s c i e n ze dure’.Il Centro senese ha come oggetto la costituzione diun Os s e rvatorio permanente dell’italiano diffusofra stranieri e delle lingue immigrate in Italia.È forse la prima volta che vengono messe in atto lereali condizioni di possibilità per attuare lo stru-mento principale su cui può ragionevo l m e n t ebasarsi una politica culturale di diffusione di unalingua, ov ve ro uno strumento capace di ricognizio-ni sistematiche e aggiornate sullo stato della situa-zione. Si tratta di un segnale importante dato al i vello istituzionale: è solo auspicabile che anche irisultati dell’ o s s e rvatorio siano tenuti in ugualeconto dallo stesso live l l o.

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“ 160.000bambiniimmigratisono giànelle nostrescuole”

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LETTERE ALLA NORMALE

“LETTERE ALLANORMALE” È UNARUBRICA IN CUICIASCUNO DI NOI

NORMALISTI PUÒPORRE UN TEMADI RIFLESSIONE,PROPORREUN APPUNTODI VIAGGIO,

RACCONTAREUN’ESPERIENZA,APRIRE UNDIBATTITO.

Cari amici,Forse è proprio la letteratura la materia in cui è più forte la differenza tra l’inse-gnamento universitario in Italia e negli Stati Uniti. (Lasciamo da parte, in que-sta occasione, le notevolissime differenze di carattere strutturale che riguardanol’organizzazione degli studi e la vita degli studenti). La letteratura - antica emoderna - costituisce infatti una parte essenziale, e quindi obbligatoria, di ognicurriculum universitario: anche lo studente che intende laurearsi in economia oingegneria deve frequentare un certo numero di corsi in discipline umanistiche.Uno di questi, inevitabilmente, sarà una qualche versione dei ‘great books’, ilpilastro della ‘liberal education’, cioè del progetto culturale sul quale si fonda dadecenni l’università americana: procurare una formazione a largo raggio in piùcampi, fornire l’ossatura indispensabile per una coscienza critica. Alla specializ-zazione, che già ovviamente emerge a livello di laurea, provvederanno soprattut-to i corsi di master, quelli che forniranno, per esempio, il titolo di avvocato odottore in medicina.

I ‘great books’ nascono nella loro forma originaria nella ColumbiaUniversity di Lionel Trilling, ma si diffondono subito, in molte forme, quasidappertutto. L’idea è quella di un canone di opere ‘immortali’ che devono esse-re patrimonio comune di ogni persona colta, da Omero a Dante, da Virgilio aShakespeare, dalla Bibbia a Tolstoj. Negli anni Ottanta, soprattutto, l’implicitafiducia in questa gerarchia è stata posta sotto accusa da più parti: il canone, siopinava, celebra solo ‘uomini bianchi e morti’, esclude cioè le voci meno ovviee pone l’accento soprattutto sul passato (dell’Occidente), implicitamente impa-reggiabile. Nonostante la bufera la ricetta di fondo non è cambiata: resta l’ambi-zione di fornire a tutti gli studenti un lessico comune di emozioni e parole –nonimporta, in fondo, se invece di Omero si legge Saffo- promosso a sostrato di unaformazione che si vuole, in qualche misura, ‘disinterassata’ e critica.

E’ così che insegnare letteratura diventa almeno in parte un’esperienzadiversa da quella cui eravamo abituati in Italia. Meno specialismo, ovviamente,maggiore concentrazione sugli aspetti di contenuto (inutile dire che questi auto-ri si leggono in traduzione), e sulla continuità della tradizione, il permanere ditemi e punti di vista. Altra cosa è, naturalmente, lo studio specialistico della let-teratura e delle Humanities in generale, che resta ben vivo negli USA; in questocaso la prassi di insegnamento è del tutto comparabile con quella europea: unseminario specialistico su Ovidio presenta tratti molto simili a Pisa, Boston oLondra. Forse una differenza permane: qualcuno degli studenti che vi partecipanegli Stati Uniti ha imparato a leggere ed amare quegli autori par tendo proprioda uno dei ‘great book courses’ cui, volente o no, ha partecipato.

Alessandro SchiesaroKing’s College, Londra

Niente frettadi specializzarsi

“I l percorso accademico e scientifico di Alfredo Stussi si è svolto parte nell’ambito

della "Storia della lingua italiana", parte nell’ambito della "Filologia italiana".

Corrispondentemente, l’attività di ricerca si è indirizzata a temi sia storico-lin-

guistici, sia filologici, fin dalla prima importante esperienza concretatasi nell’edizione con

commento linguistico dei più antichi documenti del volgare veneziano. Dalla metà degli anni

Sessanta ad oggi le indagini linguistico-filologiche di Alfredo Stussi, senza perdere di vista

Venezia, si sono estese a tutto il Veneto, nonché ad altre regioni come il Salento, le Marche,

l’Umbria, il Lazio, la Toscana, la Liguria e la Corsica, di cui ha pubblicato i più antichi testi

in volgare. All’interesse per la conoscenza dei volgari italiani medievali nella forma più "sin-

cera", cioè quella consegnata a testi di carattere pratico, si è accompagnato lo studio dei loro

impieghi con intenti d’arte, riservando particolare attenzione al formarsi di una letteratura

dialettale riflessa: alla sintesi Lingua, dialetto e letteratura pubblicata nel primo volume della

Storia d’Italia Einaudi hanno fatto seguito numerosi saggi monografici; da ultimo, la lirica

profana in volgare italiano di più antica attestazione, scoperta due anni fa presso l’Archivio

Storico Arcivescovile di Ravenna, è stata pubblicata con un commento linguistico e lettera-

rio. Seguendo una diversa, ma complementare ed organica linea di ricerca, da più di un

decennio Alfredo Stussi sta dedicando numerosi saggi a testi in volgare non scritti su sup-

porto cartaceo o pergamenaceo, ma dipinti o graffiti incisi su pietra, dove è pur prevalente

l’interesse per l’aspetto linguistico dei manufatti: viene anche affacciata l’ipotesi che la moda

mediotrecentesca delle epigrafi in rilievo abbia trovato una spinta decisiva a Venezia, nel

coevo e anteriore uso bizantino, a Napoli, in quello arabo-ispanico. Una linea di ricerca

manifestatasi negli ultimi anni consiste nello studio della prosa narrativa antica e moderna

condotto con particolare attenzione alla sintassi, allo scopo di ottenere, utilizzando strumen-

ti in parte nuovi, una descrizione esauriente della struttura portante del racconto, di coglie-

re nessi tra diversi livelli espressivi e di identificare opzioni significative dal punto di vista

dello stile”.

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ONORI

Il Premio FeltrinelliadAlfredo Stussi

MOTIVAZIONE DEL CONFERIMENTO DEL PREMIO INTERNAZIONALE

“ANTONIO FELTRINELLI” PER LA FILOLOGIA E LA LINGUISTICA PER L’ANNO 2000.COMMISIONE: IGNAZIO BALDELLI (PRESIDENTE),

VTTORE BRANCA, AURELIO RONCAGLIA, CESARE SEGRE, MANLIO SIMONETTI

RICONOSCIMENTIACCADEMICI,

ONORI DELLAREPUBBLICA E DIALTRI PAESI, PREMI,SUCCESSI, STORIE,PUBBLICAZIONI,IN QUESTA RUBRICA.

Alfredo Stussi

FILOLOGIAE LINGUISTICADELL’ITALIA UNITA

L a classe dirigente del nuovo Stato unitariointervenne subito e in modo incisivo sulleistituzioni universitarie nel tentativo di por-

tarle, per qualità scientifica ed efficacia dell’inse-gnamento, alla pari con le migliori europee. Comestessero le cose, era chiaro ai governanti piemonte-si, i quali, impegnati da tempo nel potenziamentodell’istruzione superiore, più d’una volta a giovanipromettenti avevano pagato soggiorni di studio dilà delle Alpi: ben noto è il caso dell’astronomoGiovanni Virgilio Schiaparelli spedito nel 1857 aBerlino; ma anche prima e in campo umanistico,onde dare a Torino un qualche decoro come centrodi studi indologici, nel 1838 Gaspare Gorresio erastato inviato a Parigi e, nel 1848 Giacomo Lignanaa Bonn, entrambi a studiare sanscrito; meno fortu-nato l’ a l t ro sanscritista piemontese Gi ova n n iFlechia, che nel 1838 s’era dovuto mantenere perconto suo a Londra e Parigi dando lezioni private diitaliano.Conoscenza delle lingue, pubblicazione di testi ori-

ginali, traduzioni spesso eccellenti rappresentavanoun buon punto di partenza, ma per andare oltreoccorreva partecipare a quell’autentica rivoluzionecopernicana, che, soprattutto nel centrodell’Europa, verso la metà del secolo aveva portatogli studi linguistici e filologici a occupare una posi-zione d’avanguardia. Ai governi provvisori va rico-nosciuto il merito di aver dato il primo impulso alrinnovamento degli studi: nel maggio del 1859 fuchiamato a insegnare Storia e Lingua araba, primaa Pisa e poi a Firenze, Michele Amari che rientravada un lungo esilio a Parigi, dove aveva acquisitocompetenze tali da procurargli la nomina a conser-va t o re dei manoscritti arabi della Bi b l i o t h è q u eNationale; nel settembre dello stesso anno LuigiCarlo Farini, governatore delle province parmensi,modenesi e romagnole, accendeva nuovi insegna-menti come quello bolognese di "Filologia compa-rata" (cioè indoeuropea), per il quale fu officiatoGiacomo Lignana, che tuttavia preferì attendere lascadenza del mandato parlamentare e occupare nel1861 la cattedra di "Filologia" a Napoli.Studioso di larga e aggiornata informazione, ma dinon grande originalità, il Lignana apparteneva poli-ticamente all’ e s t rema sinistra radicaleggiante, enelle elezioni del 1857 in Piemonte aveva avuto unduro confronto col Farini. Farini, e in seguitoTerenzio Mamiani, facevano parte del fronte mode-rato, eppure nei confronti della linguistica indoeu-ropea non manifestarono preclusioni e furo n o

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Alfredo Stussi durante lacerimonia per il conferimento delPremio Feltrinelli

“ Farini,Mamiani,Lignana:la rinascita della ricerca”

incuranti delle proteste di quanti consideravanoquesta disciplina un pericolo per la fede e per icostumi: preoccupazioni frutto certo di ignoranza edi pregiudizi, ma condivise da personaggi di presti-gio come un Niccolò Tommaseo.Durante il suo breve governo il Farini intese anchevalorizzare il patrimonio linguistico e letterarioquale fondamento dell’identità nazionale, e infatti,cercando di sfruttare al meglio, e insieme di svec-c h i a re, l’ o p e roso purismo emiliano-ro m a g n o l o ,diede nuovo impulso agli studi filologici istituendonei primi mese del 1860 la "Commissione per iTesti di Lingua" (in origine: "Commissione pe’Testi di Lingua nelle province dell’ Emilia") edotando Bologna, Modena e Parma di cattedredantesche in connessione con l’ambizioso progettodi una nuova edizione della Commedia, da appron-tare per il centenario della nascita dell’Alighieri nel1865. Nello stesso tempo, dando prova di intelli-gente rispetto verso il policentrismo culturale delnuovo Stato, il governatore istituiva in Emilia treDeputazioni di Storia Patria, fra i cui compiti dove-va essere il censimento delle tradizioni popolari e laraccolta del tesoro lessicale dei dialetti emiliani.Ma nel campo dei nostri dialetti era ormai indi-

spensabile operare adottando la strumentazionetecnica che in Germania Friedrich Diez aveva tra-sferito dalla linguistica indoeuropea alla linguisticaromanza, cominciando a pubblicare nel 1836 aBonn la Grammatik der romanischen Sprachen: aDiez appunto sarà dedicata l’opera che nel 1873fonda la moderna dialettologia italiana, i Saggiladini di Graziadio Isaia Ascoli. Il maggior impegnocon cui anche in Italia a partire dal Settanta ci sioccupa di lingua, varietà dialettali, letteratura delleorigini e tradizioni popolari, certo risente dell’esa-me di coscienza che, dopo Sedan e dopo laCommune, porta studiosi francesi come GastonParis all’impietosa denuncia di un inferiorità, neiconfronti della Prussia, che riguardava la scuola el’organizzazione degli studi superiori, prima ancora

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Il Presidente della Repubblica,Carlo Azeglio Ciampi, ha conferito“motu proprio” a Edoardo

Vesentini e a Salvatore Settis la mas-sima onorificenza italiana, il titolo diCavaliere di Gran Croce dell’Ordine alMerito della Repubblica in considera-zione della lunga e straordinaria attivi-tà scientifica, ma anche dell’impegnoistituzionale e civile del Presidente

dell’Accademia dei Lincei – giàdirettore della Scuola – e dell’at-tuale direttore della ScuolaNormale.Ciampi negli ultimi mesi havoluto dedicare un’attenzioneparticolare al mondo della ricer-ca e della formazione.All’interno di questa attenzionecostante si collocano alcuni rico-noscimenti che il Capo delloStato ha dato a professori dellaScuola e a suoi ex allievi. Inoccasione della Festa dellaRepubblica scorso 2 giugno hainsignito dell’onorificenza diGrande Ufficiale la professores-sa Paola Barocchi, la grandeorganizzatrice dell’attività diricerca normalistica nel campo

dei beni artistici; ha insignito dellastessa onorificenza il professor BrunoCoppi, professore di fisica.Nell’attenzione alle giovani leve unriconoscimento di cavaliere dell’OMRIè stato dato al professor AlessandroSchiesaro, classe 1963, direttore deldipartimento di lettere classichedell’Università di Londra. Schiesaro èstato chiamato dal Ministro

dell’Università e della Ricerca scienti-fica a far parte della comitato previstodal decreto che stanzia finanziamentiper il ritorno nelle università italiane oper l’acquisizione di studiosi italiani estranieri già impegnati da almeno untriennio all’estero. Il comitato è statoinsediato il 18 di aprile dal sottosegre-tario per l’Università LucianoGuerzoni e comprende, oltre aSchiesaro, Luigi Labruna, presidentedel CUN; Luciano Modica, presidentedella CRUI; Luciano Maiani, direttoredell’Organisation Europeenne pour larecherche nucleaire; VicenzoCappelletti, direttore scientificodell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana“Treccani”. L’iniziativa stanzia com-plessivamente 150 miliardi di lire neltriennio 2001-2003. E’ prevista la sti-pula di contratti di diritto privato constudiosi italiani e stranieri; il sostegnofinanziario di specifici programmi daaffidare ai titolari di tali contratti; l’in-centivazione di chiamate nel ruolodella docenza di professori stranieri oitaliani stabilmente impegnati all’este-ro.

Carlo AzeglioCiampi

insieme al Direttore Settis

“ Il lavorodellecommissioniche ‘rifecero’l’italianomoderno”

SopraIl Presidentecon Edoardo

Vesentini

VESENTINI E SETTIS CAVALIERIDI GRAN CROCE

che l’esercito.Nel generale ristagno degli studi di filologia greca elatina spicca già negli anni Cinquanta la straordina-ria personalità di Domenico Compare t t i .Farmacista in origine Domenico Comparetti, avvo-cato in origine Ernesto Monaci; entrambi, comefilologi, autodidatti, nella Roma di Pio IX, dove alMonaci nei primi mesi del 1870 era capitato divedersi bloccare dalla censura una copia della gram-matica delle lingue romanze di Diez, che s’era fattospedire da Parigi.Il quarantennale fervido magistero di Monaci haun’importanza decisiva per la crescita, intorno allafilologia e alla linguistica, del consenso, o almenodella curiosità: sintomatico il fatto che a seguirequei corsi ci fossero, accanto a un Sa l o m o n eMorpurgo, anche giovani che avrebbero manifesta-to tutt’altra vocazione, come d’Annunzio ePirandello. ma già prima degli anni Ottanta uncontesto favorevole era assicurato dal radicarsi del-l’idea che il rinnovamento della ricerca storica e sto-rico-letteraria dovesse poggiare innanzi tutto su basifilologicamente valide. ne era certo convinto a PisaAlessandro D’Ancona anche lui, come il Carducci aBologna, professore di nuova nomina nel 1860:non filologo né linguista, introduceva tuttavia nellostudio della letteratura italiana una forte compo-nente storico-erudita e si rendeva ben conto delfatto che esistevano competenze a lui estranee,eppure indispensabili. Per questo faceva ricorso allaconsulenza più che dello spigoloso Ascoli, del cor-tese Mussafia. Lo spalatino Adolfo Mussafia era unaltro suddito austriaco di sentimenti italiani; invita-to più volte a trasferirsi in Italia, non se la sentì dilasciare la prestigiosissima cattedra dell’ateneo vien-nese, dalla quale tuttavia esercitò una profondainfluenza sui nostri studi sia con gli scritti pubbli-cati, sia con lettere private, le quali spesso assume-vano la misura e la qualità di veri e propri saggi orecensioni.Mussafia dunque rimase a Vienna, nonostante chea una diversa scelta certo potesseindurre lui ebreo la considerazio-ne del numero e dell’autorevolez-za dei professori ebre in e l l’ Un i versità dell’ Italia unita.Torna infatti a onore della classedirigente risorgimentale l’ a ve reignorato il serpeggiare di umori antigiudaici dalvario colore politico e l’aver messo in cattedra, perfare due soli esempi, sia il laico D’Ancona, sia ilpraticante Ascoli, il quale, al momento di prendereservizio, chiese e ottenne di giurare sulla Bibbiaebraica.E’ ve ro che qualche manifestazione di ostilità in sedelocale turbò i primi anni dell’insegnamento di

D’Ancona, ma è tuttavia notevole che l’ A s c o l idichiarasse d’ a ver ricevuto solo nel 1890 "il primosaggio diretto o personale" di antisemitismo; di lì apoco, tuttavia, nel 1892, sarebbe dovuto interve n i repubblicamente per smascherare un’infame montatu-ra giornalistica a proposito della Pasqua degli ebre i .Mette in conto di ricord a re che nello stesso periodoin Francia le perizie grafiche d’uno dei padri dellafilologia romana, l’alsaziano Paul Me ye r, ebberoi m p o rtanza decisiva per la riabilitazione di Dre y f u se per l’assoluzione di Zola. Tale comport a m e n t oe s e m p l a re spicca per la risonanza internazionaledella vicende, e tuttavia esso è sintomatico d’ u n a

deontologia largamente e orgo-gliosamente condivisa, allaquale nel suo complesso parelegittimo estendere questo giu-dizio emesso, a pro p o s i t oappunto di Me ye r, da un con-temporaneo: “c’est toujours

a vec une émotion joyeuse et virile qu’on entend sor-tir des paroles singulières et audacieuses de la bou-che d’hommes de science qui par une pure questiond’honneur prefessionel viennent dire la vérité, unevérité dont ils se soucient seulement parce qu’elle estvérité qu’ils ont appris à chérir dans leur art”.Il giudizio non è né di un fililogo né di un lingui-sta, ma di Marcel Proust.

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PREMIO DEI LINCEIA ITALO MANNELLI

L’Accademia dei Lincei ha assegnato il premio“Luigi Tartufaru” per la fisica e la chimica perl’anno 2000 al preside della classe di scienze della

Scuola Normale, professor Italo Mannelli, ex allievo dellaScuola. La commissione, composta da Giorgio Salvini(presidente), Sergio Carrà, Paolo Corradini, Giorgio Parisi,Luigi A. Radicati di Brozolo (relatore) ha scritto così nellarelazione del premio: «Italo Mannelli è un ricercatoreraffinato, di grande cultura e di notevole impegno: La suaricca produzione scientifica riguarda temi di grande rilievonella fisica delle particelle elementari…Tra i risultati più significativi ricordiamo: 1) la dimostrazione della violazione delle parità deidecadimenti degli iperoni e la determinazione del loro spin;2) lo studio di effetti di polarizzazione nella fotoproduzionedi mesoni; 3) lo studio sistematico ad alte energie delle reazioni con scambio di carica (o stranezza) iniziate da pioni interagenti con protoni, prima con tecniche di camere a scintilla ad alzo Z e poi con tecniche calorimetriche; 4) la produzione di coppie elettrone-positrone ad alta massa(fino a 12 GeV): la produzione inclusiva di pioni neutri adalto impulse e l’osservazione della produzione diretta difotoni singoli in interazione protone-protone utilizzandocalorimetri ad Argon liquido».

“ La lungimiranzadella classe dirigente

del Risorgimento”

Da quando, circa 25 anni fa, si è riusciti atrasferire una unità funzionale di DNA(un gene) da un organismo ad un altro,

sono nate le biotecnologie transgeniche e si è avutala chiara percezione che gli scambi di DNA poteva-no avvenire non più esclusivamente all’interno dellespecie e generi compatibili; infatti, si possonoormai prelevare frammenti di DNA dal genoma ditutte le creature esistenti e trasferirli su altri organi-smi appartenenti anche a regni sistematici diversi.

E’ chiaro che questa tecnologia, che corretta-mente va sotto il nome di tecnologia del DNAricombinante, conferisce elevatissime potenzialitàdi trasformazione degli esseri viventi e quindi hagenerato, fin dagli inizi, interrogativi di tipo etico.Nel contempo, mentre in Nord America ed anchein altre aree del mondo, la diffusione delle pianteagrarie “transgeniche” aumentava progressivamentedalla metà degli anni ’90 ai nostri giorni, si orga-nizzava, in particolare in Europa, un movimento diopposizione che creava nella pubblica opinione unacrescente diffidenza verso questi nuovi prodotti ali-mentari, tale da far approdare ad una moratoria di

fatto della coltivazione e della commercializzazionedi alimenti transgenici nei territori della U.E.,spingendosi persino alla richiesta di una moratoriadella ricerca e sperimentazione in campo.

D’altra parte la pubblica opinione si forma, ingran parte, sull’informazione così detta “massme-diatica” che è talora carente ed approssimata. A tito-lo esemplificativo riporto una figura che ho ripresoda un quotidiano a tiratura nazionale (Fi g . 1 ) .L’impressione che si poteva avere leggendo il gior-nale era dunque che, andando al supermercato piùvicino o dal verduraio sotto casa, si poteva trovarela papaia transgenica, come la patata transgenica,come il pomodoro e la cicoria; in altre parole tuttii prodotti vegetali di cui noi ci alimentiamo pote-vano essere transgenici. Ma questa non è la realtà esi può dedurre dalla tabella 1 nella quale è riporta-ta l’area coltivata con piante transgeniche oggi; lacoltivazione di queste piante è cominciata nel 1995,dopo circa due decenni di ricerca molto intensa, masu meno di un milione di ettari mentre, nel 1999 sisono raggiunti 40 milioni di ettari; rispetto allasuperficie globale coltivata nel mondo (circa un

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BIOTECNOLOGIEALIMENTARI:

SCIENZA,TECNOLOGIA EDINFORMAZIONE.

SCIENZA

di AMEDEO ALPI

Come farsiun’opinione sul

“ t r a n s g e n i c o ”

AREA MONDIALE COLTIVATACON PIANTE TRANSGENICHE (fonte: Science, 1999)

Coltura Area seminata Inseriti nel 1999

(Milioni Ha)

Caratteri Area seminataPOMODOROMATURAZIONEPIÙ LENTA “BUC-CIA”PIÙ GROSSA

MAISRESISTENTEAGLI ERBICIDI

ZUCCHINARESISTENTE AIVIRUS

PAPAIARESISTENTE AI VIRUSCOLZARESISTENTE AGLI ERBICIDI

PATATARESISTENZA ALLADORIFORADELLA PATATA

SOIARESISTENTE AGLI ERBICIDI

CICORIA

L’ORGANIZZAZIONEMONDIALE DELLA SANITÀ

E LA FAO CONSENTONOIL COMMERCIO DI QUEGLI

ALIMENTI TRANSGENICICHE NON CONTENGONO

ALCUNA SOSTANZAPERICOLOSA SIAPER L’UOMO CHE PER L’AMBIENTE

FIG 1 “IL SUPERMERCATO DEGLI ALIMENTI TRANSGENICI”

Soia 22Mais 11Cotone 4Colza 3Patata <0.1Zucca <0.1Papaya <0.1

28

9

3

<1

Tolleranzaagli erbicidi

Resistenzaagli insetti (Bt)

Tolleranzaagli erbicidi + Bt

Resistenzaai virus

TAB 1

nel 1999(Milioni Ha)

miliardo e mezzo di ettari), non sono grande cosa,però rappresentano una superficie importante per-ché, ad esempio, sono molto più della superficiecoltivata dell’Italia. Le specie transgeniche coltivate,sino al 1998, sono sostanzialmente quattro: soia,mais, colza e cotone. A prescindere dal cotone cheè una pianta “no food”, queste piante non sonodestinate direttamente all’alimentazione umana,ma ne ricaviamo sostanze che entrano nella catenaalimentare, oppure servono per l’alimentazione delbestiame in allevamento. Le caratteristiche per lequali queste piante erano state rese transgenichesono sostanzialmente la tolleranza agli erbicidi o laresistenza agli insetti parassiti (quest’ultima rag-giunta tramite il trasferimento dell’informazioneper la sintesi della tossina detta Bt perché è la tossi-na prodotta dal batterio Bacillus thuringiensis). Lestatistiche del 1999 riportano che, per la primavolta, sono state messe in coltura piante con unanuova caratteristica: la resistenza ai virus. E’ un ele-mento molto importante perché i virus sono paras-siti che insidiano molte coltivazioni; il carattere diresistenza è stato trasferito in patata, zucca e papaia;le ultime due sono consumate anche nei paesimeno sviluppati e quindi la tecnologia del DNAricombinante comincia a dare prodotti non soloper il cosiddetto mondo occidentale. Comunque ladistribuzione territoriale è la seguente: il 72% diqueste coltivazioni è negli Stati Uniti d’America, il10% in Canada (quindi l’America del Nord rap-p resenta l’82% di questo settore), il 17% inArgentina. Tab. 2. Uno degli interrogativi maggior-

mente ricorrenti è: perché sono state fatte le piantetransgeniche? A quale necessità rispondono? Farepiante transgeniche è l’ e s p ressione ultima delmiglioramento genetico. Il miglioramento geneticodelle specie vegetali coltivate e degli animali di alle-vamento è sempre stato perseguito da quando l’uo-mo è divenuto agricoltore e si è particolarmenteaccentuato nel XX° secolo a seguito delle fonda-mentali scoperte genetiche, realizzate nel corso del‘900, incluse le “Leggi di Mendel”, che risalgonoall’800, ma furono riscoperte agli inizi del XX°secolo. Tab. 3 la tecnologia del DNA ricombinantesi continua quindi un antico lavoro che ha perobiettivo: a) piante più resistenti ai parassiti inmaniera da ridurre l’uso dei fitofarmaci, (e quindicon un migliore impatto ambientale); b) un innal-zamento della qualità nutrizionale di molti alimen-ti; questo è un obiettivo sia dei paesi occidentali chedei paesi in via di sviluppo; c) l’ottenimento divarietà adatte ad ambienti difficili (gli ambientimarginali nel mondo non stanno diminuendo, pur-troppo stanno aumentando, quindi c’è necessità diconferire alle piante coltivate caratteristiche di adat-tamento a tali ambienti). Questi sono alcuni deiclassici obiettivi del miglioramento genetico dellepiante, perseguiti, per tutto il secolo XX°, con i tra-dizionali sistemi di selezione di incrocio; in più,con la tecnologia del DNA ricombinante, possiamoraggiungere nuovi risultati non consentiti dai vec-chi metodi. Per dare risposta piena ai precedentiinterrogativi, ritengo utile considerare con attenzio-ne la posizione di chi dichiara che gli OGM sono

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TAB. 2 PRINCIPALI PRODUTTORI DI OGM NEL 1999

Paese Milioni di Ha % del totale Incremento dal 1998 (milioni di Ha)

USA 28,7 72 8,2ARGENTINA 6,7 17 2,4CANADA 4 10 1,2CINA 0,3 1 0,2AUSTRALIA 0,1 1 <0,1SUD AFRICA 0,1 <1 <0,1MESSICO <0,1 <1 <0,1SPAGNA <0,1 <1 <0,1FRANCIA <0,1 <1 <0,1PORTOGALLO <0,1 <1 <0,1ROMANIA <0,1 <1 <0,1UCRAINA <0,1 <1 <0,1TOTALE 39,9 100 12,1

TAB. 3 BENEFICI DERIVANTI DALL'IMPIEGO DI PIANTE TRANSGENICHE

• OTTENIMENTO DI SOGGETTI RESISTENTI AI PARASSITI IN MODO RELATIVAMENTE RAPIDO E PRECISO, CON CONSEGUENTE RIDUZIONE OD ELIMINAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI ANTIPARASSITARI

• INNALZAMENTO DELLA QUALITÀ NUTRIZIONALE DI MOLTI PRODOTTI (SEMI, FRUTTI, ORTAGGI ETC.)

• OTTENIMENTO DI PRODOTTI UTILI IN FARMACOLOGIA (NUOVI FARMACI, VACCINI ETC.)

• OTTENIMENTO DI NUOVE VARIETÀ ADATTE AD AMBIENTI DIFFICILI

inutili alla nostra agricoltura. Occorre pertanto fareun quadro, se pur sommario, delle principali risor-se naturali indispensabili per l’agricoltura; ed èanche necessario considerare un quadro di riferi-mento mondiale, perché è dentro di esso che siinserisce l’agricoltura italiana. Prendiamo in esame,ad esempio, il suolo che costituisce il substrato pri-mario per le coltivazioni (Fig.2). L’evoluzione che isuoli italiani hanno subìto durante l’ultimo secolo èriportata in figura. All’inizio del secolo si coltivava-no circa 20 milioni di ettari; oggi destiniamo allecoltivazioni e all’allevamento del bestiame pocomeno di 15 milioni di ettari. Questa forte flessionedella superficie destinata all’agricoltura è uno deisegni più evidenti del forte mutamento sociologicoche ha contraddistinto l’Italia durante l’ultimosecolo e che ha avuto una forte accellerazione neglianni ’60. Il nostro paese ha subito una veloce tran-sizione da società contadina a società urbano -industriale ed infine a quella postindustriale deinostri giorni. L’aumento delle zone riportate infigura come boschive è soprattutto dovuto allo sto-rico “esodo” degli agricoltori dalla campagna versole città, con il conseguente abbandono dei terrenialto collinari e montani (che vanno ad incrementa-re la percentuale delle aree a bosco) ed il progressi-vo inurbamento di masse crescenti di ex agricoltori(in Italia sono state costruite più case dal secondodopoguerra ad oggi, di quante se ne siano costruitein tutta la sua storia precedente; inoltre questa cre-scita urbana si è in gran parte realizzata in ottimesuperfici agrarie pianeggianti dove l’agricoltura èpiù facile e maggiormente redditizia). Ave n d o

quindi perso un buon 25% della superficie agrariasi potrebbe immaginare un calo della produzionelorda vendibile; ma questo calo non c’è stato, anziabbiamo decisamente prodotto di più. La risposta aquesto apparente paradosso risiede nell’incrementodelle rese unitarie che si è realizzato a partire daglianni ’50 (Tab. 4). Le rese per ettaro per molte col-ture importanti (frumento, patata, pomodoro, bar-babietola da zucchero e molte altre) sono più cheraddoppiate o sono comunque aumentate sensibil-mente portando ad un forte aumento globale dellaproduzione agricola. La crescita delle rese unitarieha accomunato tutto il cosiddetto mondo occiden-tale (Nord America, Europa, Giappone, Australia)perché l’agricoltura di questi paesi ha potuto avva-lersi – nell’arco di tempo considerato, cioè la secon-da metà del secolo – di un impiego massiccio e pro-gressivamente crescente, dei mezzi tecnici (fertiliz-zanti, erbicidi, anticrittogamici, insetticidi, macchi-ne agrarie, impianti di irrigazione, nuove varietàmigliorate geneticamente e quindi più produttiveTab. 5). A titolo paradigmatico sono riportati intabella i quantitativi dei principali fert i l i z z a n t iimpiegati in agricoltura nell’arco di tempo conside-rato: il potassio risulta più che triplicato, l’azoto piùche duplicato ed anche il fosforo è comunquemolto aumentato. Dagli anni ’40 agli anni ’80 siafferma quindi una forma di coltivazione dei campiche viene chiamata “agricoltura intensiva” chetende ad ottenere il massimo possibile in terminiquantitativi impiegando grandi risorse tecniche siain termini materiali che energetici. Ma durante glianni ’80 l’intera comunità del mondo sviluppatodeve arrendersi di fronte ad una doppia constata-zione: 1) ulteriori incrementi nell’impiego di mezzitecnici nel processo produttivo agrario non deter-minano avanzamenti produttivi (si è giunti cioè aduna “saturazione”); 2) si diffonde, in strati semprepiù ampi della popolazione, la coscienza che l’agri-coltura “intensiva” chiede troppo in terminiambientali. Non è cioè compatibile con il concettodi sviluppo sostenibile, in quanto, sia per il forteconsumo di risorse naturali sia per il contributoall’inquinamento, l’agricoltura intensiva favorisce ildegrado dell’ambiente.

Negli ultimi decenni si è aggiunta una ulterio-re constatazione. A seguito di molteplici e scriteria-

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TAB. 4EVOLUZIONE DELLE RESE PRODUTTIVE DELLE PRINCIPALI COLTU-

RE(Q.LI / HA)

ANNI FRUMENTO PATATA POMODORO BARBABIETOLA

1960 14,9 101,0 205,8 316,51975 27,1 164,4 310,8 462,61998 36,3 257,4 492,5 483,8

Anni

FIG. 2EVOLUZIONE DELL’USO DEI SUOLI IN ITALIA(29.5 MILIONI DI ETTARI)

Suoli sterili

Aree urbane

Boschi e terreni agricoli abbandonati

Agricoltura

TAB. 5IMPIEGO DI FERTILIZZANTI CHIMICI IN

ITALIA(000 Q.LI)

ANNI AZOTO FOSFORO POTASSIO

1960 3478 3970 12731975 7101 4410 21891995 8792 5847 4270

te attività antropiche o di mutamenti dei cicli cli-matologici cui naturalmente è sottoposto il nostropianeta o, con più probabilità, per il combinarsi deidue fattori, le risorse naturali, che sono alla basedell’agricoltura, stanno gravemente e progressiva-mente deteriorandosi. Tra queste risorse citiamo, atitolo emblematico, il suolo e l’acqua. Uno deimaggiori problemi ambientali è la desertificazionedei suoli. Forse, superficialmente, si è portati a pen-sare che questo problema riguardi le zone sub -sahariane, il Sahel (Fig.3); in realtà quando andia-mo ad osservare con attenzione dove accade ladesertificazione dei suoli, vediamo che il problemainteressa non solo l’Africa, che ne è colpita in gran-dissima parte, ma molte altre aree del mondo inclu-so parti importanti del cosiddetto mondo sviluppa-to. Anche l’area mediterranea non è esclusa da que-sta problematica. Il suolo agrario costituisce il sot-tilissimo strato superficiale della crosta terrestre,profondo pochi decimetri. E’ sorprendente verifica-re come questo piccolo strato sia così fondamenta-le, così importante. Infatti se questo strato vieneeroso o si altera a seguito dell’influenza di vari fat-tori (ad esempio la salinità, una piaga tremenda deinostri tempi; i terreni salini stanno aumentando esono già molti) si genera desertificazione e quindiuna caduta drastica degli alimenti ottenibili, perché

viene a mancare o ad essere difettoso il substratofondamentale della produzione: il suolo.

Il mondo ha superato i sei miliardi di popola-zione e aumenta di circa 80 milioni all’anno. Purconsiderando che il tasso di crescita globale stadiminuendo, la popolazione è destinata ad aumen-tare; nel 2050 quasi sicuramente saremo 9 miliardi.E’ un aumento del 50% della popolazione, già smi-surata, di questo pianeta. Per questi 9 miliardidovremo comunque produrre alimenti ed altremerci di origine agricola: c’è il potenziale per pro-durre per tutti? E a quale condizione? Questo è ilpunto! (Fig.4).

Consideriamo le disponibilità alimentari dicereali che sono la base della alimentazione deipopoli del mondo. La produzione globale di cerea-li negli ultimi 50 anni è andata aumentando però laproduzione pro capite sta diminuendo; ciò è dovu-to certamente all’incremento della popolazione maanche al fatto che i mezzi tecnici sono giunti ad unasoglia di “saturazione” - come già ricordato - edinoltre l’agricoltura intensiva viene gradualmentesoppiantata da una agricoltura “sostenibile” piùrispettosa dell’ambiente, ma talora meno produtti-va. Pertanto a fronte di un volume globale di ali-menti prodotti nel mondo che attualmente è, sepur in linea teorica, sufficiente per i bisogni dell’in-

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FIG.3 LA DESERTIFICAZIONE

Aree soggettea desertifazione

FIG. 4 DISPONIBILITA’ ALIMENTARIProduzione mondiale di cereali pro capite

(1951-1997)

produzione annualemedia quinquennio

Produzione mondiale di cereali per ettaro(1951-1997)

tera popolazione del globo, riscontriamo una ten-denza ad una minore produttività procapite checertamente peggiorerà nel prossimo futuro sia acausa dell’incremento demografico che a causa delleforti e determinanti limitazioni ambientali. E’ inquesto quadro che va inserita la ricorrente afferma-zione di un’Europa eccedentaria per i prodotti ali-mentari. In conclusione, se la “questione alimenta-re” è tutt’altro che risolta, non abbiamo bisogno diaccantonare la tecnologia, ma forse questa ci puòrappresentare una delle speranze per risolvere il dif-ficile dilemma sopra esposto (Fig.5). Credo che siainteressante, a questo punto della trattazione, pro-porre un confronto tra la produzione agraria degliU.S.A. e quella italiana. Lo 0,3% degli agricoltorimondiali è statunitense ma producono il 50% dellasoia prodotta nel mondo, il 40% del mais, 1/4 dellacarne ed una alta percentuale di un prodotto “no-food” quale il cotone. Potremmo dire, in chiave dibattuta, che non esiste solo un “ombrello militare”americano, ma anche un ombrello alimentare contutto ciò che da questo deriva.

La politica agraria italiana sembra seguire, almomento, una sua via molto peculiare e certamen-te diversa da quella americana. Partendo dalla ovviaconstatazione del nostro eccellente gusto alimenta-re e della estrema varietà e ricchezza dei nostri pro-

dotti, l’Italia vuole valorizzare al massimo i cosid-detti prodotti locali, tipici, tradizionali, attingereinsomma a quei “giacimenti enogastronomici” chehanno contribuito a re n d e re l’ Italia nota nelmondo, in modo da conquistare – in nome delgusto italiano – sempre più mercati internazionali.Credo che sia una buona linea di politica agraria;non c’è dubbio che i nostri vini, i salumi, i formag-gi, gli ortaggi, alcuni particolari legumi e cereali etc,siano preziosità gastronomiche uniche al mondo.Ma se questa è l’unica linea di politica agraria allo-ra probabilmente vi è una pericolosa ingenuità. Noisiamo quasi 60 milioni; abitiamo perciò in un paesepopolato che ha enormi bisogni alimentari. Dalpunto di vista agricolo ha quindi bisogno anchedelle “large commodities” cioè dei generi di primanecessità e, pertanto, quanto della nostra agricoltu-ra può essere destinata ai prodotti “tipici”?

A mio parere il nostro paese deve quindi gioca-re le sue carte “agrarie” sia in direzione dei prodot-ti tipici, sia nella direzione dei generi di primanecessità. Entrambi questi prodotti hanno bisognodi una serie di strumenti per la loro protezione, tracui, in primo piano, vi sono anche gli strumentitecnologici e tra questi ultimi includerei le biotec-nologie anche a base genetica. Infatti non vedocome i prodotti tipici, così come le coltivazioni diprima necessità, possano reggere la concorrenzamondiale se non vengono adeguatamente sostenu-ti, protetti con tutti i mezzi e, all’occorrenza,migliorati. In questo senso il miglioramento geneti-co, storicamente, è servito a migliorare le nostreproduzioni.

Uno degli argomenti maggiormente usati daglioppositori delle biotecnologie transgeniche è quel-lo della loro dubbia sicurezza per la salute dell’uo-

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FIG.5

SOIA 50% MAIS 40%

CARNE 25% COTONE 15%

CON SOLO LO 0,3% DEGLI AGRICOLTORIMONDIALI GLI STATI UNITI SONO I MAGGIORIPRODUTTORI MONDIALI DI MOLTI DEI PRIN-

CIPALI PRODOTTI AGRICOLI

TAB. 6PROCEDURA DI AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE SUL MERCATO DI OGM (90/220)

Fonte G.U. Francese n°13 del 16.07.1999

mo e per la stabilità degli ecosistemi (Tab. 6 e 7). Igrafici che sono riportati indicano quanto comples-sa e profonda sia la normativa in materia - sia dap a rte nazionale che per conto della Un i o n eEuropea - e quindi quanti controlli debbano essereeffettuati per consentire che la pianta transgenicasia, prima, rilasciata per la sperimentazione incampo e poi per la coltivazione commerciale. Variecommissioni multidisciplinari prendono in esamele procedure attraverso le quali si sono ottenuti gliorganismi transgenici, come pure le numerose ana-lisi di vario tipo che devono comprovare la sicurez-za richiesta. (Ad esempio oltre mille parametri bio-chimici sono stati analizzati per il cosiddetto “maisBt” transgenico per la resistenza alla piralide, unlepidottero parassita). Si può ben affermare che nes-sun altro alimento prima d’ora è stato sottoposto acosì attenta analisi da parte delle Agenzie prepostealla sicurezza alimentare. Inoltre la situazione dimoratoria di fatto che l’Unione Europea ha impo-sto su questi organismi dovrebbe servire proprio arivedere e perfezionare tutta la normativa concer-nente la sicurezza degli alimenti transgenici inmodo da dare più forti e definitive certezze al con-sumatore. E’ anche opportuno ricordare che il pro-

blema della sicurezza alimentare va posto nei suoilimiti reali anche per l’alimentazione tradizionale;in Europa molti milioni di persone sono annual-mente colpite da disturbi dovuti a trascurata igienealimentare (Fig. 6).

Comunque la tecnologia del DNA ricom-binante, oltre ai prodotti che ha già generato e cheho ricordato inizialmente, può essere di grandeaiuto per molti obiettivi futuri e, a titolo esemplifi-cativo, voglio ricordare il caso del “Golden rice” siaperché è un prodotto quasi pronto per il commer-cio, sia perché il riso costituisce la base alimentareper la maggioranza della popolazione mondiale ecioè gli asiatici. Questo riso “dorato” si ottiene pre-levando due geni da una pianta ornamentale, il nar-ciso, e un gene dall’Erwinia amilovora, un batterio;questi tre geni, e quindi le proteine enzimatiche perle quali questi geni codificano, vengono trasferitiall’embrione di riso che darà origine ad una piantadi riso geneticamente trasformata, cioè con la capa-cità di sintetizzare il carotene. Il betacarotene è ilprecursore della vitamina A; sappiamo che in Asiadecine di milioni di persone (se non di più) soffro-no di gravi avitaminosi. Una alimentazione priva omolto carente di vitamina A può causare forti dis-

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"Valutazione del carattere inserito per eventuali rischi legati all’emissione dell’OGM

"Stabilità del nuovo gene inserito nel genoma

"Possibilità di trasferimento inter o intra-specie sulla base della biologia riproduttiva della pianta OGM (auto-gamia, allogamia, anemofilia/entomofilia)

"Ambiente dove avverrà l’emissione: vicinanza a zone agricole “sensibili” (colture da seme), aree protette, parchi

"Ciascun OGM è esaminato sulla base delle conoscenze scientifiche che scaturiscono da fonti accreditate(esperti, letteratura nazionale ed internazionale)

PROCEDIMENTO FASE PER FASE1. FASECRITERIO DEL MASSIMO CONTENIMENTO

• Localizzazione in zona “non vocata”• Distanza da specie sessualmente compatibili• Ingresso vietato a persone ed animali• Controllo in prefioritura e/o emasculazione delle specie

a fecondazione incrociata• Distruzione dei residui vegetali• Monitoraggio post-raccolta dell’area

2. FASECRITERIO DI VERIFICA DELL’IMPATTO AMBIENTALEED AGRONOMICO

• RIpetizione della prova in più zone• Monitoraggio per valutare la dispersione del gene inserito (uso di piante spia)

TAB. 7 CRITERI DI SICUREZZA ADOTTATI DALLA COMMISSIONE INTERMINISTERIALE BIOTECNOLOGIE

FIG. 6 IL “GOLDEN RICE”

NarcisoGeni per b-carotene

Plasmide(DNA batterico)

Agrobacterium(batterio fitopatogeno)

Risotrasformato

Erwinia (batterio)

Utilizzando geni vegetali e batterici il riso è stato trasformato per poter produrre b-carotene,precursore della vitamina A, che normalmente non è in grado di sintetizzare

Embrionedi riso

turbi sino ad arrivare a produrre alterazioni allavisione che, in casi estremi, arrivano alla cecità. Inalcune aree asiatiche vi sono molti bambini (edadulti) ciechi. Semi di riso ricchi di vitamina A pos-sono rappresentare un sollievo non indifferente perqueste popolazioni.

Su argomenti di questo tipo c’è sempre qualcu-no che obietta: “…non penserai mica con questoriso di risolve re i problemi dell’ A s i a ? ” .Assolutamente no; come ho già detto non si tratta dir i s o l ve re la fame del mondo con questi sistemi.Dobbiamo però capire che, mentre le nostre tavo l esono imbandite dei vari prodotti tipici, di cui giu-stamente ci gloriamo, altre tavole vedono riso e poiriso e poi ancora riso, di giorno in giorno e di annoin anno. Allora se questo riso è più ricco di vitami-na A, rappresenta comunque un contributo a popo-li non molto fortunati e che invece di sperare nellen o s t re elemosine alimentari potre b b e ro più dignito-samente e concretamente cominciare a pro d u r requalcosa che gli è più utile. Naturalmente non stop roponendo il transgenico come la soluzione di tuttii mali; sto parlando di tecnologie che sono a nostradisposizione e possono svo l g e re una funzione utile.

Per compre n d e re meglio l’ e f f e t t i va potenzialitàdelle biotecnologie nelle specie vegetali, mi sembrao p p o rtuno ricorre re ad un esempio nel campo dellafisiologia vegetale che è il settore di mia specificacompetenza. Un aspetto di grande interesse per unfisiologo vegetale è costituito dalla maturazione (esenescenza) del fru t t o. Durante la maturazione(comunemente segnata dal passaggio dal coloreve rd e - c l o rofilla ad altri colori più accesi) si attiva unmetabolismo assolutamente nuovo che comporta lasintesi di tante nuove sostanze. Ad esempio nella fra-gola, durante la transizione da frutto ve rde a rosso siformano circa 300 nuove sostanze che sono in granp a rte responsabili del tipico aroma di fragola.

Se ci si pone l’obiettivo di studiare questoaspetto della maturazione della fragola si deve quin-di capire come si formano queste 300 molecole. Unmodo di affrontare lo studio è quello biochimicoclassico che prevede l’estrazione - dal frutto di fra-gole - di tali sostanze, la loro purificazione, separa-zione ed identificazione. E’ facile immaginare come

questo lavoro sia complesso e lungo anche in fun-zione degli elevati livelli di altre sostanze (fenoli,polisaccaridi, ecc.) che interferiscono con le proce-dure biochimiche menzionate (Fig.7).

Le tecniche oggi a disposizione ci consentono,però, di risolvere il problema in altra maniera,ricorrendo ai metodi tipici della “biologia moleco-lare” che è quel settore della biologia più prossimoalle biotecnologie transgeniche. Alludo alla tecnicadel “micro-array”. Sicuramente nella fragola moltisono i geni che presiedono alla sua maturazionesotto vari aspetti (colore, aroma, consistenza) ebuona parte di essi non sono stati ancora scoperti.Per studiare questo complesso fenomeno utilizzan-do la tecnica del “Micro-array”sono stati seleziona-ti 1700 geni caratterizzanti le principali vie meta-boliche che vari ricercatori hanno isolato e clonato(cioè moltiplicato in tante copie).

E’ pertanto possibile distribuire questo DNA(ben 1700 geni diversi) su di una struttura sottile epiccola (in tutto simile ad un vetrino da microsco-pio) dalle dimensioni millimetriche. Nelle vaschet-te microscopiche di questo vetrino, un appositorobot distribuisce il DNA in modo che in ciascunavaschetta vi sia un singolo gene in molte copie.

Si estrae successivamente l’ RNA messaggerodai frutti ai vari stadi di maturazione (verdi, bian-che, rosa, rossi) e si procede alla “ibridizzazione”, simette cioè a contatto questo RNA messaggero conil DNA dei geni in questione.

I vari messaggeri, a seconda dello stadio dimaturazione del frutto da cui derivano, sono staticoniugati a sostanze colorate. A questo punto cia-scun gene può riconoscere il proprio messaggero ilquale, essendo colorato, conferisce uno specificocolore alla relativa vaschetta. La lettura delle colora-

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FIG. 7Microarray Application

STRAWBERRY (FRAGARIA SPP.) RIPENING AND FLAVOR BIOGENESIS

"More than 300 compounds contribute toaroma biosynthesis

PROBLEM:"high levels of phenolic compounds andpolysaccharides interfere on biochemicalcharacterization of the ripening process

FIG. 8EVALUATION OF MICRO-ARRAY EXPERIMENTS

Foldrepression

Foldinduction

Expression ratios in green-, white-, and turning-stagetargets relative to red-stage identified 401 probescorresponding to differentially expressed genes in threeexperiments.

zioni di queste vaschette, effettuata mediante lasercon successiva elaborazione al computer, ci dicequindi quali sono i geni e il loro grado di espressio-ne (la misura se pur approssimativa del RNA mes-saggero prodotto) durante i vari stadi di maturazio-ne del frutto. Quindi, invece di procedere a com-plicate analisi biochimiche, dal risultato taloraincerto, si può avere una misura accurata dell’indu-zione o repressione di geni responsabili della matu-razione. Con questo lavoro si è scoperto come, diquei 1700 geni, solo 400 sono in realtà coinvoltinella maturazione della fragola, restringendo cosìnotevolmente il campo di osservazione.

Scendendo ancor più nel particolare, si vedecome uno di quei 400 geni, precedentemente iden-tificati nel vetrino del “micro array”, possieda uncolore rosso molto intenso. Questo significa che ilgene è fortemente indotto durante la maturazione,infatti, questo è il gene che codifica per una alcoo-laciltrasferasi, enzima che produce gli esteri.

Questi ultimi sono composti altamente vo l a-tili, responsabili del caratteristico aroma della fra-gola matura e di altri frutti. Naturalmente il pro-cesso di maturazione non può essere opera di unsolo gene, ma anche di molti altri; è certo comun-que che quello individuato è part i c o l a r m e n t ei m p o rtante (Fi g . 8 ) .

L’esempio della maturazione della fragola,estremamente riassunto e semplificato, è indicativodi quanta nuova conoscenza si possa velocementeaccumulare tramite la tecnica della biologia mole-colare. Traducendo in tempi di laboratorio si puòdire che con i “micro-array” si possono ottenere, inun paio di settimane, le informazioni che con letecniche di biologia molecolare precedenti (e giàconsiderate molto innovative) si ottenevano facen-do lavorare ininterrottamente due persone per unpaio di anni.

Basti pensare che l’era della “genomica”, cioèdello studio funzionale dei geni, è già iniziata, perimmaginare l’enorme quantità di dati scientifici,fondamentali per la conoscenza dei vari processifisiologici delle numerose specie coltivate, che stan-no entrando in nostro possesso. Se a questo dato sicollega anche il grosso lavoro che viene fatto sulsequenziamento dei genomi delle piante (il genomadi Arabidopsis thaliana - la specie modello per studidi genetica vegetale - è già interamente sequenziatoe quello del riso lo sarà presto) si può ben com-prendere come la nostra potenzialità di interventosia enormemente dilatata.

Al termine, tengo particolarmente a fare unriferimento preciso alla ricerca scientifica in questosettore tenendo conto della forte valenza applicati-va. In questa mia breve trattazione ho tenuto piùvolte distinti i prodotti tipici dai beni di prima

necessità. Per entrambi l’Italia, e l’Europa, non pos-sono non tenere conto della competitività interna-zionale (Tab. 8). Siccome non c’è capacità compe-titiva senza innovazione, la ricerca diventa fonda-mentale. Pertanto non solo la ricerca biotecnologi-ca deve continuare, ma deve ampliarsi ed aprirsi allacollaborazione con le imprese.

Troppo tempo è stato perso e molta strada va,sperabilmente, recuperata attraverso l’esplorazionee l’implementazione delle nuove tecnologie.L’Italia, e quindi l’Europa, deve avere strategie diricerca attive e non difensive.

A l l’inizio del mio intervento ho fatto riferimen-to alle notizie riportate, nell’estate 2000, da un quo-tidiano; mi piace concludere citando una rivistascientifica di grande prestigio internazionale“ Na t u re” che in uno dei suoi ultimi numeri torna suldiscusso argomento delle biotecnologie transgeniche.La rivista ha sempre avuto un atteggiamento favo re-vole verso i cibi transgenici in quanto li considerasicuri sia per l’uomo che per l’ambiente. Ne l l’ a rt i c o l ocui mi riferisco ci si chiede però, vista la posizione digrande prudenza assunta dall’ Eu ropa, quale sarà ilf u t u ro degli alimenti a base di OGM. Con un lin-guaggio molto pacato si suggerisce di considerarecon la massima attenzione le ragioni degli opposito-ri cercando di spiegare loro, nel contempo, i possibi-li vantaggi ottenibili ed impegnandosi a rive d e re len o r m a t i ve in modo da rassicurare la pubblica opi-nione ed averne il consenso.

Mi pare che questo messaggio sia chiaro; altret-tanto chiaro, ma di segno diverso, è il messaggioscritto sui muri della nostra Facoltà di Agraria cheinvita ad opporsi al cibo biotecnologico reclaman-do invece un sempre maggior spazio agli alimenticosiddetti biologici. Non ha senso creare una con-trapposizione tra cibo biologico e cibo biotecnolo-gico; gli obiettivi sono altri: la sicurezza alimentare,la qualità dei nostri cibi e la diffusione del “made inItaly” nei mercati internazionali. Per raggiungerequesti obiettivi le tecniche di gestione “biologica”delle coltivazioni e degli allevamenti devono unirsialla tecnologia del DNA ricombinante su prodottie caratteristiche a noi utili. Spero che il buon sensoci guidi verso questo traguardo.

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TAB. 8TENDENZE PER LA RICERCA PUBBLICA INEUROPA

• Aumento della competitività internazionale della ricerca agricola europea

• Orientamento della ricerca verso l’esplorazione e l’implementazione di nuove tecnologie

• Possedere strategie di ricerca attive piuttosto che difensive

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NOTIZIE,

INIZIATIVE,APPUNTAMENTI:INIZIAMOCON IL MEMORANDUMSULLA

CONSERVAZIONEDEI BENI ARTISTICI DELKOSOVO.

NEWS

E’ nata una nuova iniziativadella Scuola Normale: iDIALOGHI DELLANORMALE, una serie diincontri di esperti e giornalisti sutemi di attualità culturale. Laformula è innovativa: il primogiorno, a “porte chiuse” riservatoalle relazioni e agli scambi diopinioni degli esperti. Il secondogiorno, invece, è dedicato ad undibattito pubblico dal qualenascono delle proposte concrete.Il primo DIALOGO si è tenutoil 29 e 30 marzo presso la sededella Scuola. Il tema è ambizioso

e quanto mai attuale, date lerinate tensioni nella zona,Monumenti del Kosovo: unPatrimonio da salvare.

“Sembra incredibile, ma ildialogo di Pisa è il primo

incontro su questo tema”, sonole parole del metropolitaArtemji, guida spirituale delladiocesi ortodossa di Raska ePrizsen, noto per essere inprima linea nella difesa deimonasteri medioevali delKosovo. Il dialogo in questioneera il primo della serie dei

“Dialoghi della Normale”, chesi è tenuto il 29 e 30 marzoscorso ed è stato moderato daun ospite di eccezione: padreEnzo Bianchi, priore dellaComunità di Bose ed esperto didialogo interconfessionale einterreligioso. Risultatotangibile, un Memorandumfirmato dai partecipanti: oltreal metropolita, erano presentitra gli ospiti il direttore delMuseo del Kosovo di Pristina,l’albanese Kemail Luci, lostorico Gojko Subotic, espertiitaliani come gli storici dell’arteValentino Pace e MariaAndaloro, l’islamista UmbertoScerrato e diversi rappresentantidelle istituzioni. Il Kosovo è sede di un“patrimonio che appartieneall'umanità e dev'essereprotetto e salvato, a qualsiasicultura e religione essoappartenga” si legge nelMemorandum che ipartecipanti presenteranno alleautorità. Nel corso del dibattitoil metropolita ha illustrato lasituazione della chiesa

In alto a destrapadre Enzo Bianchi

In basso un momentodella Conferenza

Salviamoi monumenti

del Kosovo

SEZIONE A CURA DIFRANCESCA PREDAZZI

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ortodossa del Kosovo con “oltre120 chiese” danneggiate dopola fine del conflitto, mentreLuci ha parlato di “genocidioculturale” ai danni dellapopolazione albanese con 220moschee danneggiate.“Abbiamo sentito parlare delladistruzione delle chiese e diquella delle moschee”, haconcluso il direttore dellaScuola Normale, SalvatoreSettis, “ma il punto non è cheuna cosa sia vera e l’altra siafalsa, purtroppo sono vereentrambe”. Ed è proprio fareun passo successivo alconteggio delle ferite, fisiche espirituali, riportate dagliabitanti del Kosovo, lo scopodel dialogo pisano. “Il rispettoper la storia e per i monumentida un lato, quello per lepersone dall'altro sono dueaspetti dello stesso problema ead essi va dedicatasimultaneamente una grandeattenzione”, si legge ancora nelMemorandum, che lancia unappello all’UNESCO diriconoscere le bellezze atristichedel Kosovo come patrimoniodell’umanità.La documentazione èdisponibile sul sito www.sns.it

MEMORANDUMPER LA SALVAGUARDIADEL PATRIMONIOARTISTICO,CULTURALE E RELIGIOSODEL KOSOVO

I partecipanti al dialogoorganizzato a Pisa dalla ScuolaNormale Superiore il 29 e 30marzo 2001 hanno ritenuto disottoporre all'attenzione delleautorità alcuni punti di vitaleimportanza, che si ritiene dipoter riassumere come segue :

1. Il Kosovo* è sede di unpatrimonio culturale, religiosoe artistico di altissimo valore,che non solo testimonia lapresenza di varie religioni eciviltà, ma anche il vitaleincrocio di culture fra Europaoccidentale ed Europaorientale. Questo patrimonioappartiene all'umanità edev'essere protetto e salvato, aqualsiasi cultura e religione essoappartenga.

2. Il patrimonio artistico,culturale e religioso del Kosovo(beni mobili e immobili) hasubito e continua a subiredanni e distruzioni gravissimi

SITI WEB RELATIVI ALLA SITUA-ZIONE DEI MONUMENTI INKOSOVO

"Museums in Kosovo: A First Postwar Assessment"http://www.bosnia.org.uk/bosrep/marjune00/museums.htm

"Libraries and Archives in Kosovo: A Postwar Report"http://www.bosnia.org.uk/bosrep/decfeb00/libraries.htm

Relazioni della International Federation of Library Associationsand Institutions (IFLA) e dell’International Council on Archives:

"Libraries in Kosova/Kosovo"by Carsten Frederiksen and Frode Bakkenhttp://www.faife.dk/faife/kosova/kosorepo.htm

"General Assessment of the Situation of Archives in Kosovo"by Bruce Jackson and Wladyslav Stepniakhttp://www.unesco.org/webworld/publications/jackson_report.rtf

Immagini relative ai danni al patrimonio architettonico:http://archnet.org/calendar/item.tcl?calendar_id=2658

Siti yugoslavi:

http://www.yuheritage.com

http://www.serbia-info.com/news/1999-06/12/12509.htmlhttp://www.mfa.gov.yu/bela/05.htm

http://www.spc.org.yu/Svetinje/svetinje_e.html

http://www.archaeology.org/9907/newsbriefs/kosovo.html

http://www.un.org/icty/index.html

Sondaggio dei danni ai beni architettonici:http://archnet.mit.edu/news/kosovo2.html

Sui danni alle costruzioni tradizionali albanesi:http://www.geocities.com/kosovaheritage/kullas.htm

Restauro della moschea Hadum di Djakovica:http://www.geocities.com/kosovaheritage/Xhamiagjakova.htm

Sito della diocesi di Raska e Prizrencontenente un catalogo delle chiese ortodosse distrutte dopo la fine della guerrae l’arrivo delle truppe della KFOR:http://www.kosovo.com/crucified/

Kosovo Cultural Heritage Project (Harvard University):http://www.crocker.com/~fob/_action/action_06.htmhttp://www.crocker.com/~fob/_action/action_12.html

Monastero di Decani(1327-1335)Chiesa di Cristo Pantocratore

Monastero di Decani“Costantino e S. Elena”(1338-1348)

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non solo in conseguenza diazioni di guerra e di singoli attidi vandalismo, ma anche per lasospensione o la diminuzionedella sorveglianza e dellamanutenzione del patrimonioartistico. L'incuria favorita dalleattuali incertezze politiche eamministrative può rendereirreparabili danni che, coninterventi immediati,potrebbero essere facilmentesanati.

3. La protezione delpatrimonio artistico, culturale ereligioso del Kosovo è unproblema che non può essererisolto se non nel necessariocontesto di un dialogorispettoso e aperto fra le etnie,le culture e le religioni che inquella regione hanno avutosede e hanno convissuto persecoli. Il rispetto per la storia eper i monumenti da un lato,quello per le persone dall'altrosono due aspetti dello stessoproblema e ad essi va dedicatasimultaneamente una grandeattenzione.

4. Va effettuato con estrema

urgenza un censimentoaccurato, attendibile esistematico dei problemi postidalla conservazione delpatrimonio artistico, culturale ereligioso del Kosovo, e deirischi a cui esso è sottoposto,garantendo l’accessibilità ditutti i monumenti; occorreprocedere in pari tempo a uncensimento egualmenteaccurato, attendibile esistematico delle iniziative giàprese o in corso dielaborazione, da parte sia diorganizazioni locali, sia diorganizzazioni non locali,governative e non governative,o da organismi internazionali.

5. E' estremamente importantecoordinare le iniziativespecifiche nel quadrodell'attuale amministrazioneprovvisoria del Kosovo, maanche raccogliere tutte leinformazioni possibili suiprogetti di restauro, ladocumentazione e le iniziativeprese negli scorsi decenni dagliorgani di tutela del governoiugoslavo, procedendocostantemente in pieno accordo

con tutte le autorità religiose acui i monumenti sono affidati.

6. Si ritiene che l'UNESCOpossa contribuire ad affrontareil problema, prima di tuttodedicando una particolare emirata attenzione aimonumenti del Kosovo sia nelloro complesso che nella loroindividualità, favorendone laconoscenza e la protezione.

7. Si raccomanda vivamenteche la Convenzione dell'Aja del1954 sui beni culturali nellearee soggette a conflitti bellici,riveduta e rinnovata alla lucedelle esperienze più recenti,venga ratificata al più presto,vigilando sulla sua rigorosaosservanza da tutte le partiinteressate.

8. Si raccomanda vivamenteche, in parallelo al censimentodei problemi e delle iniziativedi cui al punto 4, si proceda ainiziare immediatamente nuoveoperazioni di restaurosistematico, con metodologiegarantite e rigorose, di alcunimonumenti dove più grave è ilrischio di danni irreversibili.

9. Si raccomanda che in talioperazioni di restauro venganousate al massimo, sulla base diaccordi paritetici, le esperienzee le maestranze locali, e che icantieri di restauro diventinoanche scuole di formazione insitu di nuovi operatori.

10. Si sottolinea che unapproccio corretto ed efficace alproblema della protezione deibeni religiosi, culturali eartistici del Kosovo può essereun contributo decisivo alprocesso di pace e all'economiadella regione.

* Noto anche come Kosovo eMetohija in lingua serba, Kosovain lingua albanese.

Patriarcato di PecChiesa SS. Apostoli,parete ovest (entrata)

Affreschi che risalgonoall’anno 1300 circa.

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VISITA DEL SIGNORPRESIDENTE DELLAREPUBBLICA CARLOAZEGLIO CIAMPI ALLASCUOLA NORMALESUPERIORE DI PISA

Il 6 dicembre 2000 la ScuolaNormale Superiore ha ricevutola visita ufficiale del Presidentedella Repubblica Carlo AzeglioCiampi, che ha così fattoritorno, per la prima voltadall’elezione alla massima caricadello Stato Italiano, nelle saleche lo videro allievo fra il 1937e il 1941. L’incontro dell’anticonormalista con la sua Scuola siè aperto, significativamente,nella Sala degli Stemmi con lasolenne cerimonia di consegnadei diplomi agli allievi licenziatinel corso dell’anno. IlDirettore, Prof. Salvatore Settis,esprimendo gratitudine perl’attenzione che il Presidentedella Repubblica, con l’autoritàdel suo alto ufficio, dedica almondo della cultura e dellaricerca, ha ricordato come laspecificità della formazionenormalistica, caratterizzatadall’interazione fra didattica ericerca, rappresenti un modellod’innovazione riconosciuto alivello internazionale.Nell’affrontare le nuoveprospettive d’integrazioneeuropea, la Normale,congiuntamente alle Scuolesorelle che ne condividono la“sostanziale diversità

istituzionale”, continua adesercitare un’azione trainantedall’interno del sistemauniversitario italiano, non soloampliando la reteinternazionale dellecollaborazioni scientifiche, maanche contribuendo alladefinizione di nuove figureprofessionali attraverso percorsiformativi rivolti alle più attualiesigenze della società. Nellacoerente evoluzione conosciutanell’arco di due secoli di vita, laNormale si prepara a diventare,da Scuola d’interesse nazionaleintimamente legata alle vicendestoriche del nostro Paese,

istituzione di carattere europeo,confermando la vocazioneinternazionale che da sempre ladistingue.Al termine del discorso, ilDirettore ha pronunciato laformula di conferimento deldiploma agli allievi licenziatinel corso dell’anno – 12 per laClasse di Lettere, 14 per laClasse di Scienze – chiamandolipoi singolarmente a ricevere iltitolo, consegnato dal Presidedella rispettiva Classe diappartenenza.La rigidità del cerimoniale haperò ceduto il passo, subitodopo, ad un più disteso climadi familiarità, quando ilPresidente ha preso la parolarievocando, sull’onda deiricordi personali, la Normale diun tempo. Fondamentale era ilrapporto d’estrema confidenzacon i docenti, che possedevanola straordinaria capacitàd’innalzare gli allievi al propriolivello: il giovane Ciampi potérendersene conto già durantegli esami d’ammissione,quando, attendendo il

SopraCarlo Azeglio Ciampimentreconversa con alcuni normalisti.

SottoIl Presidente prende la parola alla cerimonia di consegna deiDiplomi nella Saladegli Stemmi.

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momento di sostenere la provaorale, fu avvicinato, insiemecon altri candidati, dal filologoGiorgio Pasquali, che iniziò aprovocare gli aspirantinormalisti interrogandoli sullagrammatica delle lingueclassiche. L’abitudine al dialogocostituiva lo spirito dellaNormale: la condivisione dellevarie esperienze di studio el’interesse per l’attualitàfornivano lo spunto perstimolanti discussioni, in uncostante arricchimentoreciproco delle singolepersonalità. L’educazione alconfronto delle opinioni sirivelava utile specialmente nelmondo della ricerca, con ilquale i normalisti entrano incontatto, per tradizione, fin dalprimo anno. Il Presidente haricordato, a tale riguardo,l’importanza del colloquio perl’acquisizione di un metodo,che, attraverso la comparazione

e verifica dei dati, si propone dirisalire direttamente alle fonti,senza mai dare nulla perscontato. L’impostazionementale ed etica maturatagrazie al rigoroso metodo diricerca ha accompagnato CarloAzeglio Ciampi nelle attivitàintraprese dopo gli studigiovanili: com’egli stesso hariconosciuto più volte, inqualsiasi campo, dalla filologiagreca all’economia, si richiededi “interpretare i dati per fardire loro quel che si ritiene chedicano e non per deviarli versoaltri fini”. Questa era laspiegazione che Ciampi, neglianni di servizio presso leistituzioni finanziarie, forniva achi gli chiedesse, meravigliato,come fosse riuscito a passarecon tanta disinvoltura dallostudio dei classici all’analisi distatistiche industriali. IlPresidente ha confessato di averprovato per lungo tempo una

sorta d’imbarazzo spirituale neiconfronti della sua Scuola, acausa delle scelte di vita operatedopo l’iniziale formazioneletteraria: furono tuttavia lestesse amicizie del periodopisano a fargli notare come laNormale prepari a compiere ilproprio dovere con dignità inogni campo, anche nei piùlontani dall’immediata etradizionale realizzazionenell’insegnamento.Alla conclusione dellacerimonia, il Presidente è statoaccompagnato dal Prof. Settisnella Sala Azzurra, dove loattendeva l’incontro con unarappresentanza di 50 studentidella Scuola. In un amichevoleclima di conversazione, ilnormalista di un tempo harinnovato la consuetudinegiovanile del dialogoconfrontando le proprieesperienze con quelle degliallievi, ai quali ha rivolto paroled’incoraggiamento e d’auspicio.Nel ritorno al luogo della suaformazione, “normalista fra inormalisti”, Carlo AzeglioCiampi ha lasciato ai giovanil’esempio della sua storiapersonale al servizio dell’Italia edell’Europa, in cui hannotrovato luminosa confermagl’ideali appresi alla scuola diuomini che, con il loroimpegno intellettuale ed etico,hanno contribuito allapromozione del nostro Paese.

Marco Rinaldi

IL CENTENARIO DI ENRICO FERMI A PISA

“Nobel only”. Questo il testodel curioso cartello con unagrande P in campo blu espostoin un parcheggio interno alcampus dell’universitàamericana di Berkley, riservato,per l’appunto, solo a queiprofessori che hanno meritato il

Da sinistra:Giovan Battista Pacella (1915-16

e 1918-20) normalista, matematico (1897-

1967)Gaetano Gotti (1920-23)

normalista, letterato (1920)Enrico Fermi (1918-22)

Luigi Fantappié (1918-22) norma-lista, matematico (1901-1956)

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premio Nobel, cheevidentemente in quel luogonon scarseggiano.Dal 18 al 21 ottobre Pisapotrebbe esporre un cartelloanalogo, durante il convegno“Enrico Fermi and ModernPhysics”, dedicato al Nobel perla fisica italiano nel centenariodella sua nascita. Anche inquesto caso i premi Nobel, epiù precisamente i premi Nobelper la fisica non sarannopochissimi: Claude Cohen-Tannoudgji (1997), CarloRubbia (1984), Klaus vonKlitzing (1985), Jerome I.Friedman (1990), JackSteinberger (1988), Chen NingYang (1957). Gli ultimi tre, inparticolare, sono stati allievi diEnrico Fermi e ricorderanno ilprofessore con le loro memoriepersonali.Il convegno pisano, che verràinaugurato dal Presidente dellaRepubblica Carlo AzeglioCiampi, vuole però esseresoprattutto un omaggioscientifico al ruolo di Ferminella fisica di oggi, proponendointerventi sui temi a cui Fermi

dedicò i suoi studi o a queisettori della fisica che eglicontribuì a creare: l’energia, lafisica atomica, la materiacondensata, la meccanicastatistica, la cosmologia el’astrofisica, la fisica delleparticelle, la teoria dei campi.Il 15 ottobre dell’anno 1918,Enrico Fermi presentava lasua domanda di ammissioneal concorso per accedere allaScuola Normale Superiore diPisa. Non stupirà sapere chesuperò brillantemente laprova con una votazione di8/10 nello scritto di algebranel quale al giovane Fermivenne chiesto di formulareuna presentazione dellateoria delle potenza, e conaddirittura 9+/10 nellaprova di geometria. Fermirisultò il primo vincitore delconcorso di quell’anno,l’ultimo della guerra. Insieme alui nella classe di scienze venneammesso solo un altro allievo,il matematico Luigi Fantappiè.Gli altri studenti del 1918 nonsono matricole, ma tuttigiovani che riprendono gli

CELEBRAZIONI DI ENRICOFERMI

20 marzo- 28 aprile Mostra “Mille anni di Scienza in Italia”- RomaNella sede del Ministero per l’Università e la RicercaScientifica (MURST)La mostra verrà presentata anche in altre città italiane

29 settembre – 2 ottobreConvegno e mostra: La figura scientifica di Enrico FermiA Roma nel complesso di Sant’Andrea al Quirinale (Teatro deiDioscuri) sabato e lunedì, mentre martedì il convegno siconclude all’Accademia dei LinceiAlla presenza del Presidente della Repubblica, ministri deiBeni Culturali, MURST, Pubblica istruzione, Rettori delleUniversità, presidenti CNR, INFN, INFM, AIN, Accademiadel Lincei, Accademia dei XL, Società Italiana di Fisica,European Physical Society, Società Italiana per il Progressodelle Scienze.

3-6 ottobre“Fermi e l’Astrofisica”A Pescara presso l’International Center for RelativisticAstrophysics

18-21 ottobre“Enrico Fermi and Modern Physics”Convegno presso l’Università di Pisa e laScuola Normale Superiore di Pisa alla presenza del Presidente della Repubblica e deipremi Nobel per la Fisica Carlo Rubbia, Claude Cohen-Tannoudgji,Klaus von Klitzing, Jerome I. Friedman, Jack Steinberger,Chen NingYang

Francobollo commemorativo delle Poste Italiane

Francobollo commemorativo delle Poste USA

NovembreSimposio su Fermi alla Columbia University di New YorkNella sede della Italian Academy for Advanced Studies

Altre manifestazioni negli Stati Uniti:Università di ChicagoFermilabLaboratori di Los Alamos

“Correzione di una contraddizione…masse elettro-magnetiche”;uno di primi lavori di Fermi, pubblicato su“Nuovo Cimento”, vol. 25, pag. 159 (1923), e svolto a Pisa nel 1922

Da sinistra: Franco Rasetti, Nello Carrara, Enrico FermiA giudicare dalla foto potrebbero essere sulle Alpi Apuane (zona cave di marmo) che fra l’al-tro sono facilmente raggiungibili da Pisa . (A. Velli)

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studi dopo la Grande Guerra.Alla Normale Fermi era arrivatosu consiglio di Adolfo Amidei,collega del padre Alberto, alMinistero dei Trasporti. E’l’inizio della carriera scientificadi un uomo geniale che a soli26 anni ottiene la cattedra infisica teorica dell’Università diRoma. Nel 1938, il normalistaEnrico Fermi riceve aStoccolma il premio Nobel perla fisica e nello stesso viaggioabbandona l’Italia fascista perandare a Chicago, negli StatiUniti, paese nel quale resteràfino alla morte. In Italia lasciaperò i semi che faranno fiorireuna delle migliori scuole difisica e un grande amore per lasua materia. Carlo Rubbia, che forse più diogni altro ha seguito il percorsodi Enrico Fermi, dalla Normaleal Nobel in Fisica, parlerà deltema dell’energia, mentre unintervento sarà dedicato aldelicato argomento deiproblemi etici nella ricercascientifica. Le celebrazioniiniziano con l’inaugurazione delnuovo dipartimento di Fisicadell’Università di Pisa, intestato

a Enrico Fermi, nell’edificio diun’ex fabbrica di tessuti. Importante anche la mostra“Enrico Fermi. Documenti efotografie” a cura del professoredell’università di Pisa e storicofermiano, Roberto VergaraCaffarelli, che illustra la vita diFermi con immaginifotografiche originali edelaborate al computer,presentando una particolareesibizione dei documenti delperiodo pisano. Fra questi, i 29documenti del fascicolo dellostudente Enrico Fermi, i registricon gli esami sostenuti, icompiti di fisica, algebra egeometria per il concorso diammissione alla ScuolaNormale e la tesi di Fermi.Questo ultimo documento èstato riscoperto solo di recenteproprio da Vergara Caffarelli.Era infatti andato perduto peruna storpiatura al nome diEnrico Fermi. Ironia dellasorte, proprio quel nome, intempi non lontani, sarebbediventato quello del più notoscienziato italiano e avrebbedato nome a numerosi Liceiscientifici in tutta Italia.

LA VOCE DI OMERO:LETTORI CERCASI

“Musa, quell’uom dimultiforme ingegno/Dimmi,che molto errò, poich’ebbe aterra/Gittate d’Ilion le sacretorri…” Così inizia il primoverso dell’Odissea nella famosatraduzione di Pindemonte chegenerazioni di studenti deiLicei italiani hanno letto,interpretato o imparato amemoria. Potrà sembrare unapiccola rivoluzione, allora,un’Odissea non in poesia, main prosa, la prima in Italia,completata Franco Ferrari,docente della Scuola Normaledi Pisa, che inizia così: “IlVagabondo, o Musa, tucantami, l’uomo che molto erròdopo aver abbattuto la roccasacra di Troia…”.I confronti tra la versione inpoesia e l’audace rivoluzionedel professore pisano che metteda parte la metrica per rendereil testo di Omero piùaccessibile ad un’immediatalettura, troveranno certamentepartigiani da entrambe lesponde, ma lasciando aglieruditi i confronti tra le dueversioni, proponiamo invece unsingolare appuntamento.La VOCE DI OMERO saràviva per bocca di oltre 200studenti e docenti all’Abbaziadi San Zeno di Pisa il 22 e il 23giugno 2001. La ScuolaNormale organizza infatti laprima lettura pubblicadell’intera Odissea. La versionescelta, sarà naturalmente quellainedita del professore pisanoche bene si presta ad unaimmediata comprensione daparte del pubblico.Per la singolarerappresentazione, che si ispiraad un evento simile (era stataletta l’Iliade) svoltosirecentemente a Ginevra congrande successo, verranno

Alla porta del Palazzo deiCavalieri;

Da sinistra Renato Gardini

(normalista, matematico 1916-17 e 1918-21),

Giovan Battista Pacella, GaetanoGotti,

Luigi Fantappié, un portiere della

Normale, Enrico Fermi

selezionati circa 200 lettori nonprofessionisti volontari chehanno riposto al bandopubblicato dalla ScuolaNormale. Per leggere tutti i 24canti dell’Odissea sarannonecessari due giorni interi, damezzogiorno a mezzanotte, enumerosi “narratori”. Il ruolodell’Omero narrante è statoinfatti diviso tra numerosiaspiranti narratori, vista la moledell’opera da mettere in scena.Oltre ad Omero nonmancheranno i personaggi,grandi e piccoli che hanno resofamosa l’Odissea.Tutti i cittadini di Pisa edintorni che si saranno residisponibili, verranno istruitialla prima lettura pubblicaintegrale dell’Odissea da partedi non professionisti, con unalezione da parte di un omeristasulla struttura dell’Odissea,oltre a lezioni di allestimento,scenografia e tecniche dilettura. Invece di declamarecontro i compagni di Ulisse“Stolti! Che osaro violare isacri/al Sole Iperion candidibuoi/ con empio dente, edirritaro il Nume”, leggeranno“si rovinarono gli stolti per lapropria cecità cibandosi dellevacche del Sole Iperione” . E ilpubblico capirà.

IL CENTROINFORMATICO DELLETRADIZIONI LETTERARIEDIRETTO DA LINA BOLZONI

Nel dicembre 2000 la ScuolaNormale si è dotata di unnuovo centro, il Centro diElaborazione Informatica diTesti e Immagini nellaTradizione Letteraria, diretto daLina Bolzoni, con sede presso ilCentro Ricerche Informaticheper i Beni Culturali, ScuolaNormale Superiore.Il Comitato Direttivo del

nuovo centro è formato daPaola Barocchi, DavideConrieri, Giuliana Crevatin,Maria Monica Donato,Lamberto Maffei. Il CTL siavvale inoltre della consulenzadi un Comitato ScientificoInternazionale di alto livello:fra i suoi membri, MarcFumaroli del Collège deFrance, Mary Carruthers dellaNew York University, ClaudeImbert dell’Ecole NormaleSuperieure.Il CTL coordina progetti diricerca, già avviati o da avviare,dedicati ai rapporti tra parole eimmagini, con lo scopo diriscoprire quelle ampie zone diinterazione che, in periodi egeneri diversi, hannocaratterizzato la tradizioneletteraria, ben al di là delloschema tradizionale chesancisce la superiorità dellelettere sulle arti.Due sono i progetti già avviati:Il Sogno nella letteratura delRinascimento e il Corpus delleopere firmate del Medioevoitaliano. Il primo mira allacostituzione di un archivioindicizzato di testi letterari e diimmagini in cui si narra o sidescrive un sogno; si inseriscenel progetto di interessenazionale ‘Il Sogno Raccontato’finanziato dal Murst(Responsabile: L.Bolzoni;coordinatrice, S. Volterrani). Ilsecondo ha come obiettivo lacreazione di un archiviomultimediale delle operemedievali ‘firmate’ (iscrizionicomprensive dei nomi degliartefici), dalle primeattestazioni al GoticoInternazionale,realizzate da artisti italiani estranieri in/per l’Italia, o inItalia ab antiquo (Responsabile:M.M. Donato; coordinatrice:M. Manescalchi).Tra i progettiin fase di avvio, quelli dedicatia Scambi letterari e traduzionitra Italia e Penisola Iberica nel

Siglo de Oro (D.Conrieri);Petrarca e le arti figurative (M.Ciccuto, G. Crevatin, M.M.Donato); Le Arti dellamemoria (L. Bolzoni,L. Maffei).

Nei giorni 21 e 22 maggio2001 si terranno, presso laScuola Normale Superiore, duegiornate di studi , dal titolo:PAROLE E IMMAGINI.Linee di ricerca e dielaborazione informatica per unnuovo Centro della ScuolaNormale Superiore.(Per informazioni consultare il sito www.ctl.sns.it)

SEMINARIO DELPIANISTA JÖRG DEMUSSUL "CLAVICEMBALOBEN TEMPERATO" DIBACH

Uno degli eventi piùsignificativi della Stagione2000-2001 dei "Concerti dellaNormale" è stato il Seminariodel pianista austriaco JörgDemus, tenuto per otto sereconsecutive, dal 29 gennaio al6 febbraio 2001, con il solointervallo della domenica, ed ilregalo di una lezione fuoriprogramma, il giorno 7, daparte del docente al suofedelissimo pubblico.Argomento: "Il clavicembaloben temperato di Bach".Alternando l’esposizione parlataall€interpretazione dal vivo,questo grande interprete dellaletteratura musicale e dellaprassi esecutiva barocca eclassica ha affascinato inumerosi appassionati chehanno affollato l’Auditoriumdell€Opera della PrimazialePisana, ubicato proprio sotto laTorre di Pisa. È stato un feliceritorno ad una sceltapreferenziale verso laformazione musicale, intesacome pratica e arricchimento

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intellettuale, che hacaratterizzato, fin dalle origini,"I Concerti della Normale"Fu uno storico incontro a metàdegli anni Sessantanell’Università di Urbana(Illinois) fra GilbertoBernardini, direttore dellaNormale, e Piero Farulli, alloraviola del Quartetto Italiano, asegnare l’atto di nascita delconnubio fra musica e culturain una sede universitaria.Narrano le cronache che questedue forti personalità, dopo unconcerto, nel corso in unariunione conviviale, ebbero unaaccesa discussione, cheriguardava la musica,cenerentola della culturaitaliana. Secondo i testimoni,fu un vero e proprio duello, cheportò, successivamente, al loro

ritorno in Italia, i suoi frutti.Bernardini chiamò Farulli aPisa e così, dal nulla, partirono"I Concerti della Normale".Correva l’anno accademico1967-68. Prima, l’unicapresenza musicale nella Scuolaera stata quella di Luigi Ronga,che teneva la cattedra di Storiadella Musica.Da quella prima Stagione,l’antica scienza del quadriviorientrò in una sede universitariaitaliana, dove era stata unfenomeno estraneo, a differenzadell’esperienza inglese oamericana, francese o tedesca,con una ricca fioritura di cori eorchestre.La musica, infatti, non era soloconcepita come una occasionedi svago con una serie di beiconcerti, ma doveva ancheentrare a far parte della vitaculturale della Normale.Nacquero così il CoroVincenzo Galilei e un corso diintroduzione al linguaggiomusicale. Inoltre, con questeiniziative, la musica penetrò nelcuore della città, con grandesuccesso. Da allora gli spettatorihanno affollato le sale deiconcerti, con una media elevata(lo scorso anno è stata di 435persone).Il Seminario di Demus è stato,

in qualche modo, un ritornoalle orgini, alla vocazioneformativa della Scuola, ancheattraverso la musica. Cicli dilezioni non sono mai mancati,a completamento della Stagioneconcertistica, e negli ultimianni con il fondamentalecontributo dell’AssociazioneAmici della Scuola Normale.L’avventura di proporre perotto sere lezioni alternate aconcerti è stata invece unnovità. Tanto più per il fattoche la frequenza era a numerochiuso, limitato a categoriepredeterminate, in modo dagarantire un attestato finale aifedeli partecipanti. Con qualirisultati?Lasciamo parlare i numeri. Gliiscritti sono stati 115, di cui 20allievi della Normale, 33studenti dell€Università di Pisa,11 abbonati alla Stagioneconcertistica, 6 studenti diconservatorio, 31 "altri".Hanno conseguito l€attestatoin 86, con una percentuale disuccesso del 75 per cento: intesta gli studenti delConservatorio (86%), poi gli"altri" (79%) e, a seguire, glistudenti universitari (76%), gliabbonati (69%), infine inormalisti (65%). L’esito finaledipendeva unicamente dalle

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Il Maestro Piero Farulli

a Pisa durante la conferenza

del Venerdì del Direttore il

30 aprile 1999

presenze, non vi è stata unavalutazione. È stato premiatosolo chi ha seguito conassiduità(almeno 6 serate) la sinfonia diparole e suoni che con grandesapienza Jörg Demus haproposto nella sua personalelettura del "Clavicembalo bentemperato di Bach",avvalendosi sia di diapositivedel testo musicale, sia dell’usodel pianoforte a gran coda e diun clavicordo, strumento raro,gentilmente prestato dal Museodell’organo di Pistoia.Un’emozione unica, che moltihanno chiesto di ripetere infuturo, finita anche con unamemorabile cena del maestroDemus con alcuni suoi allievi,più ricca di insegnamenti chedi vivande.

Amelia Pozzi Vallerini

UN INCONTRO DILAVORO CON L’ON.GIOVANNA MELANDRISULLE NUOVETECNOLOGIE E BENICULTURALI

In un momento in cui piùdiffusa è la consapevolezza deicontributi che la tecnologiapuò portare allamodernizzazione nella gestionee valorizzazione del patrimonioculturale, più urgente apparel’esigenza di un confronto traistituzioni e centri di ricerca.Un appuntamento importante,in un panorama ancoradiscontinuo e frammentato, èstato quello del 5 febbraioscorso, quando l’On. GiovannaMelandri, ministro per i beni ele attività culturali, ha fattovisita alla Scuola Normale,riconoscendone l’impegno nelcampo della ricerca evalorizzazione dei beniculturali. Accolta dal direttoredella Scuola, Salvatore Settis, ilministro ha incontrato nella

Sala Azzurra del Palazzo dellaCarovana docenti e allieviintrecciando con ricercatori eprofessori un colloquio a piùvoci sulle diverse esperienze nelcampo della ricerca evalorizzazione dei beniculturali. Sono state presentatecosì le attività dei laboratoriche rappresentano l’aspetto piùconcreto di una strategiaculturale promossa dalla ScuolaNormale per unire tecnologia econoscenza storica nel terrenointerdisciplinare della ricercastorico-artistica, archeologica,filologica e letteraria. Notevoleè l’attività che la ScuolaNormale svolge ormai da oltreun ventennio nel campodell’elaborazione informaticaper le discipline umanistiche.Nell’antico palazzo di via dellaFaggiola che ospitò GiacomoLeopardi durante il suosoggiorno pisano, hanno oratrovato sede unitaria le attivitàdi ricerca e di didattica di tre

laboratori: il Centro di ricercheinformatiche per i beni culturali,il Laboratorio di arti visive,diretti da Paola Barocchi, e ilCentro per l’elaborazioneinformatica di testi e immagininella tradizione letteraria,diretto da Lina Bolzoni. Lasfida dei Centri di RicercheInformatiche per i Beni Culturalidella Scuola è quella diutilizzare le potenzialità offertedalle nuove tecnologie perproporre nuovi strumenti diricerca: un legame sempre piùstretto tra analisi dei contenutistorico-artistici e progettazioneinformatica che valorizziappieno la profondità ecomplessità delleinterconnessioni che danno vitaai fenomeni culturali. Uncampo sperimentale vastissimoapre così possibilità nuove aivari settori della ricerca, daquello dei sistemi informativiarchitettonici, a quellodell’analisi testuale per le fonti

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L’On. Giovanna Melandri,Ministro per i Beni e le Attivitàculturali

letterarie e storico artistiche,dallo studio di metodologie perla gestione degli archivi storici,ai sistemi per la gestione epromozione del territorio,contribuendo a formare figureprofessionali nuove, capaci digestire le innovazionitecnologiche sulla base di unaprofonda conoscenza storica.Sul terreno interdisciplinareche intreccia storia, archeologia,topografia, epigrafia, analisi estudio delle fonti, il Laboratoriodi topografia storico-archeologicadel mondo antico, fondato daGiuseppe Nenci e ora direttoda Carmine Ampolo,promuove attività di ricerca edi didattica con particolareriguardo ai problemi delcontatto culturale nelle areeinteressate dalla colonizzazionegreca. Scavi in Sicilia (Entella,Segesta), Calabria (la Kauloniamagno-greca, oggi MonasteraceMarina), Puglia (Rocavecchia,in provincia di Lecce) siintrecciano con attività dimusealizzazione (Museo diEntella, Progetto per il Museodelle Navi di Pisa) e conun’intesa attività didattica eseminariale. In unione con il

Laboratorio informatico per lelingue antiche sono avviateinoltre ricerche su banche datidella letteratura latina e greca(grazie al programma SNSGreek and Latin) e su lessiciinformatizzati (come il LexiconVasorum Graecorum e ilLexicon HistoriographicumGraecum et Latinum).L’impegno della Scuola dia b b i n a re alla qualità dellar i c e rca storica l’uso delle nuovetecnologie ha trovato uni n t e r l o c u t o re sensibile nelm i n i s t ro, che facendo unbilancio delle attività del suoministero in chiusura dimandato, ha tracciato il quadrodegli interventi ministeriali nelsettore museale, la fittissimarete degli oltre cinquantaluoghi d’arte rinnovati orestaurati, l’impegno nellaricerca di nuovi strumentigiuridici e normativi perfavorire la partecipazione delsettore privato, gli sforzi perrafforzare il rigore della tutela,le guerre agli abusivismi edilizi.Da questo quadro complesso ilministro non ha escluso lepotenzialità promozionali ecomunicative della Rete,

annunciando il progetto delnuovo Portale della culturaitaliana, una porta di accesso edi orientamento ai siti italianidedicati alla cultura,un’importante strumento didiffusione delle conoscenze delpatrimonio culturale nazionalein tutti i suoi settori, dallospettacolo all’arte, dallaletteratura al restauro e allatutela. E mettendo in rilievo ilruolo attivo degli esperti dellaScuola Normale all’interno delgruppo di lavoro che staelaborando le linee guida delprogetto, ha auspicato nuovecollaborazioni tra il mondodella ricerca e quelloistituzionale e della tutela:un’inversione di tendenza cheaprirebbe davvero nuoveprospettive per la gestione evalorizzazione dell’ immensopatrimonio di cultura e distoria che abbiamo la fortunadi vivere come un benequotidiano.

Sonia Maffei

IL NOSTRO GRAZIE DI CUORE A RADICATI

“‘Normale’ è il segno dellavitalità e dell’ottimismo dellanostra Associazione. Diottimismo dobbiamoveramente averne se, comeprimo segno della nostraesistenza, abbiamo deciso dipubblicare questo notiziario”.Cominciava cosi, in punta dipiedi e senza squilli di trombe,la storia della nostra rivista. Erail giugno del 1998, e LuigiRadicati scriveva il primoeditoriale del primo numero di‘Normale’, quello che dovevaessere il “Bollettinodell’Associazione Normalisti”, mache è diventato col tempomolto di più, tanto darichiedere oggi unatrasformazione che non è (esperiamo che ve ne accorgerete)

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Il Ministro Melandri

con il Direttore

Settis.

solo estetica. Ci piace ricordarequesti anni passati molto infretta perché le somme chepossiamo tirare sono, tuttosommato, positive.Quando prese corpo l’idea dicreare una rivista di normalisti,che radunasse sulle sue paginele vicissitudini, le memorie, lestorie e le esperienze di tutticoloro che erano passati dalPalazzo della Carovana, lesperanze di riuscire aconfezionare una rivista cheandasse a genio a tutti erano,diciamocelo pure, molto basse.E, per dirla tutta, nemmeno il“come”, il “quanto” (e persino il“quando”) di questa rivista,erano molto chiari. Il progettooriginario di Normale nacquecosi dopo molti mesi dalladecisione di creare questofantomatico “bollettino”, presadurante il primo consigliodirettivo. Nacque dallo studiodi alcune riviste simili giàesistenti, dal confronto con leesperienze di fogli diassociazione di universitàanglosassoni, tedesche efrancesi, ma nacque soprattuttodal confronto serrato ef ruttuoso tra i pochivo l e n t e rosi che attorno all’ i d e adi questo giornale si eranor i t rovati. Vo l e n t e rosi etemerari. Fa re un giornaleintitolato ‘No r m a l e’ era infattiuna scommessa: la scommessadi uscire indenni dalla spietataattitudine alla critica che laScuola Normale instilla neisuoi allievi. Luigi Radicati, chea ve va accettato di mettersi acapo di questa sparuta pattugliadi audaci per mettere ord i n enei nostri caotici progetti, disse(e scrisse) che cis o t t o p o n e vamo al duro esamedei nostri lettori con “m o d e ra t oo t t i m i s m o”. E infatti le critichep i ov ve ro, benché in misuraassai minore del pre v i s t o ,accompagnate anche( i n c redibile dictu!) da qualche

s p a ruto consenso. Da buoninormalisti, abbiamo accettatocritiche e consensi in dovuta (ed i ve rtita) considerazione, esiamo andati ava n t i .Abbiamo cercato di dar vita adun prodotto che potesses o d d i s f a re i palati raffinati ei p e rcritici dei nostri soci,conciliando 1’aspettoi n f o r m a t i vo del “ b o l l e t t i n o” c o ngli spazi di discussione e dip roposte più originali nei va r icampi in cui i normalisti sir i t rovano ad agire. Di questavoglia di essere voce del va r i ou n i verso normalistico, econtemporaneamente una vo c en u ova, anche se modesta, Lu i g iRadicati è stato il ve ro art e f i c e .La sua declinazione di “vo c em o d e s t a” ha chiamato ac o m p a r i re sulle nostre pagineFreeman Dyson e Alfre d oStussi, Claudio Magris eAntonio La Penna, Vi t t o reBranca ed Eugenio Garin etanti altri nomi illustri dellel e t t e re e delle scienze, chehanno conferito prestigio aln o s t ro “ b o l l e t t i n o”, un po’ pera m o re della Scuola Normale emolto per amicizia neic o n f ronti del nostro dire t t o reresponsabile. Non fosse statoper lui, molto pro b a b i l m e n t e

‘ No r m a l e’ sarebbe rimastoq u e l l’anonimo “ b o l l e t t i n op a r ro c c h i a l e” che tantot e m e vamo all’inizio della nostraa v ventura. “Vo r remmo comeminimo non essere noiosi”, hascritto un giorno Radicati: eral’alfa e l’omega delle nostreriunioni di redazione, lunghediscussioni nel suo studio incui ‘No r m a l e’ nasceva, quasiper caso, come il frutto di unap i a c e vole chiacchierata traamici. Ma non vo g l i a m os c i vo l a re nell’eulogia delpassato, venendo meno ainostri stessi buoni pro p o s i t i .Tre anni sono forse un po’pochi per fare bilanci econsuntivi: della nostra rivista èstato detto tutto e il contrariodi tutto, e non sempre icommenti erano benevoli. Cip reme però dire che di quelloche voi lettori avete trova t oi n t e ressante, gran parte delmerito va a Luigi Radicati, all a vo ro e alla passione che hamesso in questo suogiornalismo su cui ha sempres c h e rzato non poco (non siamosicuri che non lo facciaancora). Vo l e vamo dirgli grazie,di tutto. E speriamo solo dir i u s c i re a sfuggire ai suoir i m p roveri di essere stati noiosi.

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Il Prof. Luigi A. Radicati di Brozoloinsieme al Prof. Claudio Cesa durante l’assemblea generale ordinariadell’AssociazioneNormalisti, tenutasi a Pisa il 4 novembre 2000

LE NOTIZIE DELLACLASSE DI SCIENZEConvegni:• Cattedra Galileiana 2001WALTERSCHACHERMAYERTechnische Universität, WienA Course on:Mathematical Models In Fi n a n c ePisa, May 21st to May 30th,2001, 2001Palazzo della Carovana Saladegli Stemmie-mail: amicisns.sns.ithttp://www.sns.it/html/ClasseScienze/• PERSPECTIVES IN LOW

DIMENSIONAL GEOMETRY

Villa Passerini ("Il Palazzone"),Cortona, June 3-9, 2001Organizing Committee:Gang Tian (M.I.T.)Giuseppe Tomassini (S.N.S.)Paolo de Bartolomeis(Università di Firenze)http://www.sns.it/html/ClasseScienze/• KAON 2001International Conference onCP ViolationPisa, June 12-17, 2001Organizing Institutions:Istituto Nazionale di FisicaNucleareScuola Normale SuperioreUniversità di Pisahttp://www.pi.infn.it/kaon2001• ENRICO FERMI

AND MODERN PHYSICS

Celebrazioni nel centesimoanniversario della nascita diEnrico FermiPisa, 18-20 ottobre 2001Organizing institutions:Istituto Nazionale di FisicaNucleareScuola Normale SuperioreUniversità di Pisahttp://www.sns.it/html/ClasseScienze/• THE MATHEMATICS

OF ENNIO DE GIORGI

Pisa, 24-27 ottobre 2001Organizing Committee:Luigi Ambrosio (SNS)

Sergio Spagnolo (Università diPisa)Marco Forti (Università di Pisa)Gianni Dal Maso (SISSA,Trieste)Mario Miranda (Università diTrento)Antonio Leaci (Università diLecce)http://www.sns.it/html/ClasseScienze/ (pagina in preparazione)Visitatori:• ARNAUD DEBUSSCHE

(matematica)Université de Paris SudMaggio 2001• VIOREL BARBU (matematica)Università di Iasi, RomaniaGiugno 2001• ZHERA AKDENIZ (fisica)Università di Istanbul, TurchiaGiugno 2001• GERARD CZAJKOWSKI (fisica)Academy of Technology andAgriculture, Bydgoszoz, PoloniaGiugno 2001• MICHAEL ROECKNER

(matematica)Università di Bielefeld,GermaniaSettembre 2001• MARIE FARGE (matematica)Ecole Normale Supérieure,Paris, FranceOttobre 2001• VLADIMIR AGRANOVICH

(fisica)Università di Mosca• SERGIO RODRIGUEZ (fisica)Purdue University• YURIJ KOSEVICH (fisica)Moscow State University ofTechnologySeminari previstinei prossimi mesi• GIOVEDÌ 24 MAGGIO

Stein E.Titolo da definirePrinceton University• GIOVEDÌ 7 GIUGNO

Mather J.Titolo da definirePrinceton University• GIOVEDÌ 14 GIUGNO

- Marcolli M.Titolo da definire

Max Planck Institut, Bonn- Galli Resta LTitolo da definireIstituto di Neurofisiologia delCNR, Pisa• GIOVEDÌ 21 GIUGNO

David G.Titolo da definireUniversité de Paris Sud, Orsay• 16 GIUGNO

Greenough W.T.Titolo da definireThe Beckman Institute,Urbana, IL, USA

PROGRAMMA DELLEINIZIATIVEDELLA SCUOLANORMALE SUPERIOREFINO A SETTEMBRE 2001I CONCERTI DELLANORMALE• 15 MAGGIO 2001,StabilimentoTeseco/Laboratorio per l’artecontemporanea, ore 21:Daniele Lombardi (pianoforte).Musiche di Savinio, Lourié,Mossolov, Antheil, Lombardi.• 25 MAGGIO 2001,Teatro Verdi, ore 21:Nelson Freire (pianoforte).Musiche di Robert Schumann(progetto Schumann IV).• 31 MAGGIO 2001,Teatro Verdi, ore 21:ORT-Orchestra della Toscana,Thomas Hengelbrock(direttore), Fiorella Burato(soprano).Musiche di Rameau, Gluck,Beethoven, Mozart.• 5 GIUGNO 2001,Chiesa dei Cavalieri, ore 21:Coro “Vincenzo Galilei”,Francesco Rizzi (direttore).Musiche di Clari, A. Scarlatti.

CORSID’ORIENTAMENTO PERL’ANNO 2000-2001Colle di Val d’Elsa, 15-21Luglio 2001.Cortona, 2-8 Settembre 2001.

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