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LA GESTIONE DEL RISCHIO ED IL MIGLIORAMENTO DELLA...

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Master per funzioni di coordinamento delle Professioni Sanitarie DISPENSA LA GESTIONE DEL RISCHIO ED IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA’ IN SANITA’ ENRICO BURATO GRAZIELLA BORSATTI
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Master per funzioni di coordinamento delle Professioni Sanitarie

DISPENSA

LA GESTIONE DEL

RISCHIO ED IL MIGLIORAMENTO DELLA

QUALITA’ IN SANITA’

ENRICO BURATO

GRAZIELLA BORSATTI

Master per funzioni di coordinamento delle Professioni Sanitarie

E.Burato G. Borsatti - La gestione del rischio ed il miglioramento della qualita’ in sanita’ - pag. 1

INDICE ARGOMENTI

1. Clinical governance p.2

2. Il Risk Management come strumento per fare Qualità p.4

3. Gli eventi avversi p.5

4. Analisi degli incidenti che hanno provocato danni p.6

4.1 «Fallimenti» attivi p.6

4.2 «Fallimenti» latenti p.7

5. Anatomia di un incidente p.7

6. A monte del risk management: qualità, governo clinico e

appropriatezza. P.10

7. Dalla clinical governance al risk management P.13

8. Definizioni nel rischio clinico p.21

9. Tipi di errore p.23

9.1. inconvenienti e distrazioni p.23

9.2. errori veri e propri p.23

10. Il monitoraggio del rischio. P.25

11. Clinical risk management e studio dei fattori umani p.27

12. La prevenzione degli errori umani p.31

13. Cultura e clima organizzativo p.33

14. Audit clinico p.35

15. Il rapporto tra il personale sanitario ed i pazienti p.36

16. Comunicazione interna p.39

17. Conclusioni p.40

18. Glossario p.41

19. Bibliografia p.54

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1. CLINICAL GOVERNANCE Il governo clinico (Clinical governance) può essere definito come «il contesto in cui i servizi sanitari si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dell’assistenza e mantengono elevati livelli di prestazioni creando un ambiente che favorisce l’espressione dell’eccellenza clinica nel limite delle risorse disponibili» (NHS White Paper, 1999). Il Piano sanitario della Regione Emilia-Romagna 1999-2001 ha introdotto questo concetto mutuandolo dalla contemporanea riforma sanitaria britannica. Il documento programmatico regionale definisce l’atto clinico e assistenziale come cuore del sistema e afferma che la struttura organizzativa delle aziende sanitarie (come disegnata dalle leggi 502/92 e 229/99) deve facilitare la partecipazione dei professionisti sanitari alla definizione di metodi e strumenti di governo dei servizi e di promozione della qualità. Nella riforma britannica, le strategie per la promozione della qualità si identificano con le politiche di governo clinico che possono però essere applicate con successo soltanto ove si sviluppi «un ambiente lavorativo adeguato, ove le scelte siano più condivise che imposte, lo scambio d’idee elevato e il riconoscimento delle responsabilità nelle diverse posizioni più legato alla leadership che all’attribuzione burocratica d’incarichi». La Clinical governance quindi propone, o meglio ripropone con forza, un sistema di valori quali la trasparenza nella scelta delle priorità di allocazione delle risorse, l’onestà intellettuale nella dichiarazione dei conflitti di interesse, il rigore metodologico nella valutazione delle informazioni disponibili sugli interventi sanitari appropriati sulla base di prove, ma anche l’integrazione professionale, la gestione sistemica dei percorsi assistenziali, la responsabilità diffusa, l’apprendimento dall’errore, lo scambio e la comunicazione-partecipazione con il paziente. Secondo Tommaso Trenti, che ha trattato l’argomento su Iniziativa ospedaliera, «una politica tesa a rendere i professionisti responsabili a garanzia della qualità clinica delle prestazioni e delle risorse utilizzate non è privilegio in favore di difese corporative, ma una necessità di sistema. Infatti, un meccanismo gestionale che imponga standard calati dall’alto non determina risultati positivi e, pur necessitando di un

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dispendio enorme di risorse per vincolare il clinico a indicazioni sull’appropriatezza, non induce significativi cambiamenti dell’agire professionale». La qualità non può essere promossa attraverso l’applicazione di norme o sanzioni; può fondarsi solo su un patto con i professionisti sanitari che li veda protagonisti e responsabili delle azioni ma anche della definizione delle strategie e della valutazione dei risultati. Come ha affermato di recente Roberto Grilli, un elemento essenziale di cui i professionisti sanitari hanno necessità per esercitare un ruolo di primo piano nelle politiche di governo clinico è la possibilità di avere accesso in forma il più possibile sistematica e continuativa alle «informazioni su cosa viene fatto nell’assistenza a specifiche categorie di pazienti, […] al fine di valutare l’efficacia e l’appropriatezza clinica delle prestazioni erogate». Il processo di cura è un sistema complesso, che spesso richiede l’intervento di molteplici figure professionali, frammentate in diversi momenti del percorso e appartenenti a istituzioni diverse; è difficilmente standardizzabile e in rapida evoluzione tecnologica e scientifica, come in continua evoluzione sono i bisogni di salute e le aspettative nei confronti dei servizi sanitari. Misurare il miglioramento della salute conseguente alla adozione di pratiche diagnostiche, terapeutiche od organizzative che si sono dimostrate efficaci sulla base di studi clinici affidabili, può non essere facile e immediato. Occorre la consapevolezza che la variabilità dei comportamenti (tra singoli medici, tra unità operative, tra ospedali, tra aree geografiche) costituisce nei fatti un ostacolo all’equità di accesso alle prestazioni e al diritto dei cittadini di ricevere almeno tutte quelle cure che si sono dimostrate efficaci. L’EBM (medicina basata sulle prove di efficacia) e l’EBHC (assistenza sanitaria basata sulle prove di efficacia) hanno posto l’accento sull’importanza di fondare le proprie decisioni cliniche su prove scientifiche prodotte da studi metodologicamente rigorosi, sull’importanza della trasparenza nella dichiarazione dei potenziali conflitti di interesse e, infine, sul giusto ruolo che l’esperienza del singolo medico deve avere nel decidere sul singolo paziente. Attuare politiche di governo clinico è dunque obiettivo strategico

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finalizzato a creare maggiore coerenza e trasparenza, a migliorare la qualità dei servizi, a garantire alle istituzioni coinvolte un supporto importante per definire priorità e operare scelte di allocazione delle risorse limitate. Occorre tenere presente che la realizzazione del governo clinico comporta il coinvolgimento e lo sviluppo di competenze specialistiche di tipo metodologico (biostatistico, epidemiologo clinico, documentalista), che debbono integrarsi e supportare l’attività clinica e assistenziale. Gli strumenti di lavoro di un’organizzazione che pone al centro la qualità delle sue prestazioni assistenziali sono: • la valutazione critica della letteratura scientifica; • l’accesso alle fonti primarie e secondarie di informazioni, le

banche dati di pubblicazioni biomediche; • l’adozione di metodi espliciti e riproducibili per la definizione di

raccomandazioni e linee guida; • la traduzione delle linee guida in percorsi di cura

multidisciplinari; • la pianificazione di programmi di verifica o di audit clinico; • la promozione della conoscenza e dell’adozione di modelli di

gestione del rischio clinico; • la formazione sui temi sopra descritti. 2. Il Risk Management come strumento per fare Qualità Gli eventi avversi sono incidenti in cui un paziente subisce un danno non intenzionale in conseguenza di un trattamento terapeutico. Lo stato di coscienza in anestesia, la morte durante un intervento chirurgico, la mancata diagnosi di meningite sono eventi tragici sia per il paziente sia per gli operatori e possono portare a reclami o all’apertura di un contenzioso. Le istruttorie di solito focalizzano l’attenzione sulle azioni dei singoli medici e raramente analizzano il contesto in cui si verificano tali eventi. In un recente caso di perforazione intestinale intraoperatoria, l’esame della documentazione clinica ha portato un chirurgo ad essere fortemente criticato; solo successivamente è emerso che l’intervento era stato condotto quasi al buio per i numerosi problemi con le attrezzature e l’impianto elettrico.

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Gli eventi avversi di solito si determinano a causa di svariati elementi operanti a diversi livelli: il compito, l’équipe, l’ambiente di lavoro, l’organizzazione. Qui si presenta una cornice di riferimento che mira a comprendere i molti fattori che influenzano la pratica clinica. Essa può essere utilizzata come una guida per analizzare l’incidente, per generare modalità di valutazione dei rischi o per concentrare la ricerca sulle cause di outcome sfavorevoli e sulla loro prevenzione. 3. Gli eventi avversi Nonostante l’accresciuta attenzione alla qualità, gli errori e gli outcome sfavorevoli sono ancora frequenti nella pratica clinica Negli ospedali per acuti il rischio di lesioni di origine iatrogena rimane alto, con studi che riportano percentuali che vanno dal 4 al 17%.2 4 Un recente studio osservazionale americano ha evidenziato che il 45% dei pazienti sperimenta qualche inadeguatezza della gestione clinica e che al 17% di essi capitano eventi che portano ad un prolungamento della degenza o a problemi anche più importanti. Anche dopo l’avvento dell’audit clinico sono relativamente pochi gli studi che si concentrano direttamente sulle cause degli eventi avversi. Sono eccezioni significative l’inchiesta confidenziale sulle morti materne e quella in periodo perioperatorio. Leape argomenta che quando si studiano la natura, i meccanismi e le cause degli errori deve essere posta maggiore attenzione ai fattori umani e psicologici, ed ancor di più se si considera che la responsabilità per l’errore è fortemente condizionata dal contesto e dalle condizioni di lavoro. L’analisi dell’incidente critico e l’analisi organizzativa di specifici casi hanno mostrato la complessità della catena di eventi che può condurre ad un esito sfavorevole. Le cause primarie possono affondare in diversi fattori che si intrecciano, quali una sostituzione, una comunicazione o una supervisione problematica, un carico di lavoro eccessivo, carenze nella formazione. Alcune caratteristiche tipiche di una unità operativa, come la scarsa comunicazione all’interno di un team, possono determinare svariati incidenti clinici.

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4. Analisi degli incidenti che hanno provocato danni L’analisi di incidenti che hanno provocato danni sia in medicina sia in altri settori ha condotto ad una comprensione più ampia delle loro cause, con una minore focalizzazione sull’individuo che ha commesso l’errore ed una maggiore attenzione ai fattori organizzativi pre-esistenti che determinano le condizioni in cui l’errore si verifica. Questo approccio detto dei «fattori umani», è una disciplina ibrida che si occupa delle componenti umane all’interno di sistemi socio-tecnici complessi. La valutazione degli incidenti in sistemi di grandi dimensioni ha acquisito un alto profilo nell’industria, particolarmente dopo disastri come l’incendio alla stazione della sotterranea di King’s Cross, Chernobyl o alla piattaforma marina Piper Alpha. Il modello di Reason sugli incidenti organizzativi, oggi adattato per un utilizzo in contesti clinici, è stato in origine sviluppato per essere utilizzato in quei complessi sistemi industriali. Il metodo consiste essenzialmente nell’esaminare la catena degli eventi che conduce ad un incidente o all’outcome sfavorevole, considerando le azioni delle persone coinvolte, e poi – e qui sta l’elemento fondamentale – guardando più indietro, alle condizioni in cui il personale lavora ed al contesto organizzativo in cui l’incidente si è verificato. 4.1 «Fallimenti» attivi Le decisioni e le azioni umane giocano un ruolo importante in quasi tutti gli incidenti. Contribuiscono in due modi principali, attraverso «fallimenti», errori attivi o latenti (active failure, latent failure). Gli active failure sono atti non sicuri o omissioni commessi da coloro le cui azioni hanno immediate conseguenze sfavorevoli (piloti, controllori del traffico aereo, anestesisti, chirurghi, infermieri, ecc.). Il termine active failure include: • distrazioni o errori, come prendere una siringa sbagliata; • fallimenti cognitivi, come lapsus o errori determinati da ignoranza o da una inappropriata interpretazione della situazione; • violazioni, intese come deviazioni intenzionali da prassi, procedure o standard sicuri. A differenza dagli errori, che nascono principalmente a causa di problemi di informazione (dimenticanze, disattenzione, ecc.), le

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violazioni sono più spesso associate a problemi di motivazione, come morale basso, cattivo esempio dei superiori, o a una gestione in generale inadeguata. Nell’industria e, con minore estensione, in medicina esistono difese per contrastare l’errore umano ed individuare rimedi a potenziali problemi. Nell’industria queste possono consistere in un meccanismo di sicurezza che spegne un reattore; in medicina l’allarme di un monitor che segnala all’anestesista un calo della pressione sanguigna. È possibile trovare un resoconto completo di queste nel libro di Reason. 4.2 «Fallimenti» latenti Questi originano da decisioni suscettibili di errore, assunte spesso da persone non direttamente coinvolte nel lavoro. In medicina la responsabilità dei latent failure è primariamente da attribuirsi al management ed ai responsabili clinici delle gestioni, nel momento in cui assumono decisioni sulla organizzazione della loro articolazione operativa. I latent failure determinano le condizioni in cui si realizzano atti non sicuri e sono i fattori che influenzano la performance del personale; possono inoltre facilitare gli errori, avere effetti sugli esiti per il paziente e comprendono: • carichi di lavoro pesanti; • conoscenze o esperienze inadeguate; • ambiente stressante; • cambiamento organizzativo rapido; • obiettivi incompatibili (ad esempio conflittualità fra esigenze economiche e cliniche); • sistema di comunicazione inadeguato; • manutenzione inadeguata di edifici ed attrezzature. Tutti questi fattori influenzano la performance del personale, possono far precipitare errori ed avere effetti sugli esiti per il paziente. 5. Anatomia di un incidente La figura 1 mostra l’anatomia di un incidente organizzativo descritta secondo questa interpretazione. La sequenza che condurrà all’incidente incomincia con le conseguenze negative di decisioni manageriali e di processi organizzativi. I fallimenti latenti che si sono venuti così a determinare si diffondono lungo i percorsi organizzativi e dipartimentali fino al

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luogo di lavoro (la sala operatoria, il reparto) dove realizzano le condizioni che faranno accadere errori e violazioni. Il modello considera le persone che sono coinvolte più come vittime che non artefici di una sequenza negativa, anche se ciò non implica che la colpa sia semplicemente spostata «più in alto». Figura 1 anatomia di un incidente

Come si è visto, nelle cause di outcome sfavorevole è coinvolta una gerarchia di fattori che va considerata nell’analisi. Per capire e prevenire gli eventi avversi in medicina è necessario delineare le condizioni di lavoro ed i latent failure che vi si associano. Le industrie petrolifere, chimiche e nucleari hanno sviluppato strumenti per analizzare sistematicamente la performance organizzativa relativamente alla sicurezza. C’è una cornice generale che si caratterizza poi per le componenti specifiche di ciascun settore. Le condizioni di fondo che predispongono al rischio ed a pratiche non sicure sono monitorate direttamente ed in maniera routinaria per valutare non tanto la sicurezza di un singolo paziente, quanto quella dell’articolazione operativa, i suoi segni vitali. C’è certamente interesse a valutare l’influsso dell’organizzazione sulla pratica medica, ma non c’è attualmente una cornice di riferimento che tenti di integrare l’intera gerarchia dei fattori e dei loro elementi costitutivi. Nel nostro paese e nel contesto internazionale si assiste oggi ad un rinnovato interesse per il tema della sicurezza e della qualità delle prestazioni sanitarie. Si tratta di un fenomeno che merita di essere attentamente valutato attraverso un’analisi che affronti la questione a partire dal modo con cui si sono evolute le priorità strategiche dei sistemi sanitari in questo ultimo

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decennio. Le prospettive di aumento della produttività e di recupero dell’efficienza, che avevano guidato l’attenzione dei decisori istituzionali e delle aziende dalla fine degli anni Ottanta (in Italia, in particolare, con il processo di aziendalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, SSN), stanno lasciando il posto ai temi legati alla “qualità”, alla ricerca di un equilibrio possibile tra la domanda di cittadini-consumatori sempre più esigenti e dinamiche economico-finanziarie non più affrontabili con misure miopi di mero contenimento o di razionalizzazione della spesa pubblica. E’ in questo mutato contesto che si inserisce il tema del risk management nelle aziende sanitarie. Il punto di vista dell’analisi è quello della riflessione economico aziendale, declinata attraverso la ricerca sul campo. In questa prospettiva, lo spunto proposto cercherà di coniugare riflessione teorica e conoscenza empirica per sintetizzare, in una prospettiva il più possibile concreta per chi legge, le evoluzioni in atto e i contenuti di un tema innovativo come il risk management in sanità. I programmi per il miglioramento della qualità dei servizi sanitari e sociosanitari rappresentano un investimento necessario: oggi, per il miglioramento dell’appropriatezza dell’assistenza prestata ai cittadini, e domani, per garantire la sostenibilità del sistema. In questo momento il fabbisogno prioritario a livello politico, istituzionale e aziendale, è dimostrare concretamente ai portatori di interesse, interni ed esterni, il livello di efficacia e appropriatezza raggiunto e le prospettive di miglioramento delle performance attuali. In quest’ottica si colloca la sempre maggiore attenzione dei decisori (e degli studiosi) nei confronti dei concetti e degli strumenti di “corporate governance”, “internal audit”, “risk management” e, in relazione alla sfera dell’attività clinica, “clinical governance”, “clinical audit”, “clinical risk management”. La loro valenza è duplice. In primo luogo, interna: aziende sanitarie e regioni hanno investito in programmi per la qualità dell’assistenza per ottenere risultati immediati. Le realtà che hanno avviato iniziative quali, ad esempio, il clinical audit, hanno spesso prodotto significativi cambiamenti nei processi e nelle attività, ottenendo soddisfacenti “ritorni sull’investimento”. Bisogna inoltre considerare la valenza esterna. Nella logica del performance measurement, l’attivazione dei programmi per la

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qualità è un’occasione concreta per misurare l’efficacia del sistema sanitario e trasferire questa informazione all’esterno. La qualità, così processata, non rappresenta più un obiettivo strategico ritualmente declinato nei piani, ma una dimensione operativa dell’assistenza. Essa è una caratteristica misurabile, osservabile nel tempo, riferita ad un numero di aree selezionate e prioritarie (ad esempio, la gestione della cartella clinica, la presa in carico del paziente con diabete non complicato, e così via), quindi, non più “generica”. L’operazionalizzazione della dimensione della qualità dei servizi impatta sul sistema sanitario nel suo complesso e non solo nel contesto aziendale che avvia queste iniziative. Mutuando dal linguaggio economico potremmo parlare a questo proposito di “esternalità positive”. I vantaggi indiretti per il sistema derivano, quindi, non solo dagli esiti delle azioni implementate (il risultato intermedio), ma anche dall’assunzione della decisione in sé di investire nella qualità. L’impegno dimostrato stimola, infatti, la fiducia degli utenti e, di conseguenza, il loro livello di soddisfazione. La stessa considerazione vale nei confronti degli operatori e dei professionisti, così come dei referenti politici e istituzionali dell’azienda. In sintesi, l’investimento per il miglioramento della qualità, se opportunamente comunicato ai portatori di interesse, è già un primo passo per produrre in concreto il cambiamento auspicato. 6. A monte del risk management: qualità, governo clinico e appropriatezza. A livello di SSN, si è ancora lontani da una strategia unitaria per la gestione dei rischi dell’assistenza sanitaria. In questa direzione un valido contributo può venire dalla visione d’insieme dei fattori ambientali che portano ad emergere il fabbisogno di maggiore sicurezza e appropriatezza della pratica clinica. Esso si snoda attraverso un percorso in due fasi logiche, correlate ma distinte. Nella prima fase entrano in gioco una serie di fattori che stimolano la ricerca di pratiche cliniche sempre più improntate a criteri di evidenza scientifica, efficacia e appropriatezza. Queste pressioni portano allo sviluppo di azioni e strumenti che rientrano nella sfera della evidence based medicine, tra cui formazione continua, revisione tra pari, attivazione dei circoli di valutazione della qualità dei servizi, clinical audit. Nel

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complesso, essi delineano un modello (più o meno esplicito) di clinical governance, in quanto sottintendono una visione di responsabilizzazione esplicita dei professionisti e di valutazione delle performance dell’assistenza come base per innestare le azioni di miglioramento dell’efficacia e della sicurezza (Figura 2). Figura 2: Le dimensioni del clinical governance (fonte: McSherry R., Pearce P., 2002, adattato da Cosmi L.,)

I fattori più attivi in questa fase sono:

− la crescita della domanda di efficacia dell’azione sanitaria, che proviene dagli utenti, dai finanziatori (Regioni), dal sistema politico e professionale. Uno dei segnali più rilevanti è dato dalla progressiva diffusione di sistemi di misurazione degli outcome (espressi in termini di mortalità o tassi di reospedalizzazione per patologie e tipologie di utenti predefinite). Altri Paesi hanno assistito a una vera rivoluzione nel rapporto tra il sistema di assistenza e l’utenza che, in Italia, è ancora in fase embrionale1. Sono tuttavia segnali importanti in questa direzione l’avvio di sperimentazioni coordinate a livello nazionale per l’elaborazione di sistemi informativi che rilevano gli outcome delle strutture sanitarie, ad esempio quella recentemente promossa dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto Superiore della Sanità. La richiesta di

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maggiore efficacia non è più una questione formale per le aziende, ma un problema sostanziale che necessita di modifiche dei sistemi di gestione interni. Appare prioritario, in particolare, lo sviluppo di un sistema di monitoraggio in grado di integrare le informazioni dei risultati dell’area delle attività clinico-sanitarie (i processi “primari”, o core) con quelle relative alle altre aree di attività (non sanitarie, quindi i processi di supporto ai processi primari);

− il fenomeno di empowerment degli utenti, effetto della crescente disponibilità di informazioni e dell’affermarsi, nei cittadini, della coscienza del nuovo ruolo di “cliente” del sistema sanitario. Ne è un segnale evidente il rinvigorito sistema di rappresentanza degli interessi dei consumatori(associazionismo dei pazienti, Tribunale dei diritti del malato, e altri), oggi in grado di attivarsi con modalità nuove ed estremamente efficaci. La ribadita (e, si auspica, effettiva) centralità del paziente impone alle aziende e al sistema sanitario un cambiamento radicale della modalità di progettazione dei servizi. Sono disponibili a questo scopo diversi modelli concettuali di riferimento per la valutazione e lo sviluppo della qualità dei servizi utilizzati dalle aziende. Sotto etichette diverse (quality assessment, quality assurance, continuous quality improvement, total qualità management, risk management), questi strumenti sono accomunati dalla visione del sistema assistenziale come “catena di valore” che il servizio deve massimizzare con riferimento all’utente finale. L’applicazione al sistema assistenziale si è dimostrata, in alcuni casi, estremamente efficace;

− la maturità raggiunta dai sistemi di gestione delle aziende (dal sistema di programmazione e controllo alla valutazione del personale, solo per citare i principali). La disponibilità di sistemi informativi più potenti, di competenze più mature e di meccanismi più rodati stimola il passaggio da un modello di gestione reattivo, concentrato sulla verifica della “re-performance”, ad uno “proattivo”, ovvero basato sul monitoraggio e sull’anticipazione delle dinamiche in corso. La disponibilità di sistemi gestionali più maturi diventa, in tal senso, un ulteriore stimolo per il management per arricchire le prospettive e i piani di valutazione delle

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performance dell’attività assistenziali (tra cui, l’appropriatezza), rafforzando dall’interno la propensione al clinical governance.

7. Dalla clinical governance al risk management Il modello di clinical governance si limita a delineare la cornice strategica entro cui declinare operativamente alcuni strumenti a servizio dell’appropriatezza tra cui, in particolare, il risk management. Per meglio evidenziare i due livelli di obiettivi (“appropriatezza” e “sicurezza”) che fanno riferimento, rispettivamente, al sistema di clinical governance e a quello di risk management si confronti la Figura 3. Essa rappresenta, per ciascun pilastro del modello di clinical governance, i nuovi sistemi di gestione aziendale che si rafforzano o sviluppano ex-novo. Figura 3: Il rapporto tra clinical governance – risk management (fonte: McSherry R., Pearce P., 2002, adattato)

La seconda fase del percorso verso l’emergere del risk management vede in gioco due ulteriori fattori di contesto che stimolano, specificamente, lo sviluppo di un sistema aziendale a supporto della sicurezza dei processi svolti. Essi sono:

− il fenomeno, in espansione, del rifiuto degli esiti dei processi di diagnosi, cura e riabilitazione da parte dei pazienti, che sfocia nell’aumento della conflittualità e

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nell’esplosione dei reclami e, di conseguenza, dei risarcimenti. Esso dimostra la crescente litigiosità del sistema sociale, indirettamente misurabile in termini di insorgenza dei reclami e delle richieste di risarcimento per motivi di responsabilità civile del medico, supportate da vari orientamenti della giurisprudenza sempre più a favore dei “consumatori”;

− il ruolo del mercato assicurativo, che ha assistito a partire dagli anni Novanta ad un’esplosione dei costi delle polizze. La crescita dei premi sulla responsabilità civile che le aziende sanitarie corrispondono alle compagnie (oramai stabilizzatisi su livelli decisamente preoccupanti) è solo in parte conseguenza di una crescita analoga dei risarcimenti corrisposti ai pazienti. La dinamica appare, a tutti gli effetti, una variabile non governata dalle aziende sanitarie. Infatti, in assenza di modalità in grado, da un lato, di gestire il livello di rischio sopportato e, dall’altro lato, di rappresentare oggettivamente il miglioramento perseguito da queste azioni nei confronti del mercato assicurativo, le aziende non hanno la possibilità di modificare in alcun modo la dinamica delle polizze, o di contrattarne i prezzi facendo riconoscere al mercato le performance aziendali “virtuose” di gestione del profilo di rischio aziendale. In definitiva, l’asimmetria informativa tra mercato assicurativo e aziende sanitarie è un fattore che distorce le convenienze degli attori, compagnie e aziende, nel riposizionarsi verso soluzioni più efficienti. È indubbio, in ogni caso, che esso induce riflessioni e reazioni nella maggior parte delle aziende, stimolando la nascita di iniziative di risk management nonostante la scarsa ricettività dimostrata su questo fronte dal mercato assicurativo.

In sintesi, nel settore sanitario è oggi possibile osservare l’emergere non solo di una sensibilità al problema della gestione del rischio, ma anche una domanda esplicita di intervento che prefigura lo spazio per l’evoluzione di una “funzione aziendale di risk management” nelle aziende sanitarie.

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Sulla base di queste osservazioni è possibile tracciare due indicazioni preliminari per l’avvio di una “strategia di SSN” per il risk management. Per ciò che concerne lo studio e la progettazione delle iniziative di risk management, è evidente che sia l’approfondimento scientifico che l’avvio delle prime esperienze a livello aziendale non possano che essere demandate a gruppi di lavoro multidisciplinari, in grado di assicurare la convergenza di conoscenze e competenze cliniche e sanitarie, gestionali, ingegneristiche, giuridiche. La sinergia tra più paradigmi, prospettive di approfondimento ed esperienze rappresenta una condizione e, al contempo, un fattore critico di successo per il consolidarsi delle esperienze di gestione dei rischi nel settore sanitario. A livello di SSN, invece, il fiorire di sperimentazioni aziendali sul tema della gestione dei rischi in sanità testimonia una sana vitalità progettuale (nonostante le duplicazioni e gli esisti ancora non del tutto ottimali che ne derivano). Pertanto, ancor prima di auspicare una regia unitaria delle iniziative sul risk management, è comunque preferibile accettare un certo grado di ridondanza nelle esperienze in atto a livello di SSN, agendo piuttosto sul versante della promozione di presupposti comuni alla base di queste esperienze. Una “mappa mentale” comune a guida delle iniziative di risk management renderebbe sicuramente più fluida la collaborazione multidisciplinare, il consolidamento delle esperienze e il coinvolgimento di un elevato numero di operatori. Non a caso proprio su questo obiettivo si è concentrata la Commissione Tecnica sul Rischio Clinico, istituita dal 2003 nell’ambito delle attività avviate dal Ministero della Salute in tema di Qualità dei servizi sanitari, avviando il primo studio nazionale dedicato a questo tema (“Risk management in Sanità. Il problema degli errori”). Il settore sanitario produce servizi di pubblica utilità alla persona ed è caratterizzato da una missione e da modalità organizzative che presentano spiccate peculiarità. Tra questi elementi spicca, in particolare, il carattere professionale dell’organizzazione, dato dal fatto che la linea dei processi primari è guidata da professionisti dotati di un elevato grado di specializzazione e di autonomia, rendendo sostanzialmente inapplicabile la leva del comando diretto (gerarchia) per la gestione del personale al

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fine del governo dei processi. La riflessione sul tema della gestione del rischio aziendale si sviluppa originariamente nel settore industriale, e la letteratura di riferimento è stata elaborata nel campo della logistica, della produzione, della finanza aziendale e della gestione assicurativa. L’estensione dell’approccio e delle metodologie di risk management al settore dell’assistenza sanitaria è un passaggio delicato, che richiede di valutare attentamente l’applicabilità dei concetti di riferimento a questo contesto. In sanità, dove non è possibile semplicemente mutuare da esperienze e concetti elaborati altrove, la puntualizzazione di alcuni concetti di base del risk management rappresenta quindi un momento non formale, che delinea ex novo la mappa delle conoscenze per lo sviluppo della funzione. Dal punto di vista organizzativo, la scelta della definizione stessa di rischio costituisce il momento centrale dello sviluppo della funzione aziendale e dei sistemi di gestione ad essa correlati. È quindi necessario che il concetto di rischio sia il più possibile operativo, chiaro, e non troppo astratto. In questa prospettiva, è necessario definire innanzitutto le tipologie di rischio e il ciclo logico della funzione risk management, a partire dalla consolidata distinzione che distingue “rischi speculativi” e “rischi puri”. I rischi speculativi sono legati al verificarsi di eventi che implicano sia la possibilità di un beneficio che di una perdita (ad esempio: le decisioni di investimento). Essi sono connaturati all’esercizio dell’attività d’impresa: non a caso, la gestione è generalmente considerata come parte caratteristica della complessiva strategia aziendale. A fronte di questi rischi è possibile sviluppare azioni e strumenti di gestione alla base della creazione di un compenso reddituale e di vantaggio competitivo. I rischi puri, invece, sono legati al verificarsi di eventi che comportano conseguenze esclusivamente negative per l’organizzazione. I rischi puri descrivono eventi dannosi capaci di turbare il sereno svolgimento della routine operativa e ostacolare la stabilità e l’equilibrio aziendali in modo profondo e durevole (ad esempio: lo scoppio di un incendio, un danno all’impianto produttivo, il furto a valori aziendali). Il verificarsi di questi rischi è indipendente da decisioni aziendali e non è

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pertanto possibile prevedere con esattezza né il momento in cui si verificheranno, né la gravità delle conseguenze arrecate. L’interesse dell’organizzazione sarebbe, idealmente, la completa eliminazione: questa soluzione non appare tuttavia possibile, in quanto svantaggiosa sia dal punto di vista economico (costo troppo alto rispetto al beneficio raggiungibile), che tecnico. Essendo, infatti, strettamente connessi alle attività core dell’azienda, è probabile che l’unica modalità di una loro completa eliminazione sia per l’azienda l’abbandono della missione aziendale. L’insieme dei rischi che l’azienda fronteggia in un determinato momento è definito profilo di rischio. La natura di tale profilo e la sua composizione sono influenzati dalle finalità aziendali, oltre che dalle caratteristiche dell’ambiente interno ed esterno in cui essa opera. In ambito sanitario esso è funzione della mission aziendale (in particolare, la tipologia di azienda considerata e il livello di specializzazione dei servizi offerti: ASL, AO, IRCSS), della combinazione delle caratteristiche epidemiologiche e socio culturali della popolazione, delle caratteristiche istituzionali dei sistemi sanitari di riferimento (l’ambiente esterno), delle competenze professionali disponibili, della disponibilità e funzionalità dei sistemi di controllo interni dell’ambiente organizzativo interno e dalla cultura organizzativa (l’ambiente interno). La descrizione del profilo di rischio è un’operazione che non può essere generalizzata e deve basarsi su valutazioni condotte nello specifico contesto aziendale, integrando tutte le informazioni possibili. Inoltre, il profilo di rischio è estremamente dinamico, ragion per cui il management ha la responsabilità di dotarsi di sistemi di rilevazione sistematici per monitorarne costantemente l’evoluzione. La parte caratterizzante e prioritaria del profilo di rischio delle aziende sanitarie è costituita dalla dimensione del rischio clinico, definito come probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso (un danno o disagio), imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestategli durante un periodo di degenza e in grado di causare un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte. Alla base di ogni evento avverso è sempre possibile individuare uno o più errori, commessi dai singoli operatori o dal

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sistema organizzativo (processi, procedure, divisione e carichi di lavoro individuali). Gli studi di ergonomia e di psicologia organizzativa hanno contribuito alla conoscenza delle cause che originano il prodursi degli errori nelle moderne organizzazioni, attraverso l’elaborazione del modello cognitivo dell’errore. Il modello evidenzia gli eventi avversi prevenibili, ovvero quelli originati da errori, sottolineando inoltre come questi errori, in misura schiacciante, siano riconducibili al sistema piuttosto che a livello dei singoli operatori. Buona parte degli errori (e degli eventi avversi) almeno in teoria potrebbe quindi essere gestibile mediante l’attivazione di un ciclo di attività di identificazione, analisi e gestione, proprio della funzione risk management. Il risk management, su questa linea, rappresenta quindi l’insieme delle azioni, delle metodologie e degli strumenti impiegati in azienda per la riduzione della tipologia di rischi che comportano, potenzialmente, solo conseguenze negative all’organizzazione (il richiamato concetto di rischio puro che in sanità si declina, in particolare, l’errore clinico). La gestione del profilo di rischio dell’azienda sanitaria presuppone la definizione di un intervento organizzato e consapevole, sistemico e continuo, che combini attività e decisioni di natura strategica e una fase di gestione operativa. La gestione del rischio, a sua volta, si basa sulla conoscenza degli elementi che lo costituiscono. Tali elementi possono essere descritti come l’insieme delle minacce in cui i rischi si concretizzano (ovvero la fonte del rischio), delle risorse aziendali colpite dalla minaccia (i diversi sottosistemi aziendali esposti al rischio), delle vulnerabilità che rendono le risorse minacciate più attaccabili (i punti di debolezza che possono aumentare la probabilità che il concretizzarsi della minaccia dia origine ad un danno) e, infine, delle “conseguenze” del verificarsi della minaccia (l’insieme degli effetti su tutte le componenti del sistema aziendale). Definiti gli elementi di rischio oggetto di gestione è quindi possibile descrivere il ciclo logico (Figura 4) della gestione. I momenti chiave di questo ciclo sono innanzitutto il coinvolgimento e formazione del personale e l’identificazione degli obiettivi della funzione di risk management. Al termine di

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questa fase preparatoria si colloca la fase di identificazione dei rischi, mediante la ricostruzione del profilo di rischio aziendale. Si apre quindi la fase progettuale, durante la quale la valutazione e quantificazione dei rischi viene attuata per progettare le misure e gli strumenti di gestione e mitigazione. Il ciclo di pianificazione si chiude con l’avvio della fase operativa, che vede l’implementazione del programma e il controllo e feedback del ciclo attivato. Figura 4: Il ciclo del risk management Le caratteristiche della funzione risk management nelle aziende sanitarie

Solo ora è possibile affrontare il tema delle difficoltà che le aziende sanitarie stanno incontrando nello sviluppo concettuale e operativo del risk management. Dal punto di vista aziendale, questa fase testimonia un problema di definizione dei confini e delle caratteristiche della funzione. Il problema si declina, concretamente, nella scelta della missione e dell’oggetto del risk management, a cui segue logicamente la decisione di allocazione delle responsabilità aziendali della funzione. L’esplicitazione della missione e dell’oggetto della funzione appare una scelta del grado di “differenziazione orizzontale” della funzione risk management. In altri termini, di quali tipi di rischi si deve occupare la funzione risk management? Solo dei rischi sanitari (clinical negligence e malpractice)? O spaziare, ad esempio, anche alla gestione dei rischi non sanitari (emergenze, frodi, sicurezza strutturale ecc.)? La scelta non è affatto scontata. Il profilo di rischio nel settore sanitario è multidimensionale, poiché il rischio prioritario (il rischio clinico, insito nei processi primari) si accompagna sempre alla

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presenza di altre aree di rischio collocate nei processi di supporto (rischi non sanitari, tra cui, ad esempio, quelli amministrativi, logistici, ecc.). La multidimensionalità del profilo di rischio, connaturata alla missione istituzionale delle aziende sanitarie, è una caratteristica che rende particolarmente complesso disegnare una responsabilità “aziendale” di gestione del rischio. Non è un caso, quindi, che le aziende sanitarie che per prime hanno sviluppato una funzione risk management si siano concentrate su un nucleo ristretto di rischi, dando vita innanzitutto a sistemi di clinical risk management. Solo in una seconda fase si osserva, accanto al nucleo primario, uno spazio di sviluppo di sistemi di gestione di rischi delle attività di supporto. Dalla definizione dei “confini orizzontali” della funzione risk management muove in seconda battuta la decisione di come collocare le responsabilità di gestione dei rischi tra i diversi livelli organizzativi, ovvero la scelta del grado di differenziazione “verticale” della funzione. Le aziende sanitarie devono valutare la riallocazione delle diverse responsabilità di gestione dei rischi, attualmente diffuse tra più funzioni aziendali (ad esempio il servizio protezione aziendale, la direzione sanitaria), oltre alla scelta di quali attivare ex-novo (ad esempio, la gestione dei clinical audit o del rischio legato alle tecnologie sanitarie). A valle di questa decisione si colloca, poi, la definizione del disegno dei meccanismi di coordinamento e integrazione, che assicurino in prospettiva il presidio unitario della gestione del profilo di rischio aziendale. Questa fase è caratterizzata dal trade-off tra accentramento o decentramento della responsabilità di valutazione e gestione dei rischi tra gli organi di governo, la funzione dirigenziale e i team di professionisti. L’allocazione della responsabilità di gestione dei rischi sanitari è una decisione estremamente delicata, che chiama in gioco il carattere professionale dell’organizzazione sanitaria, citato precedentemente. La gestione dei rischi clinici, a questo proposito, è un terreno che enfatizza efficacemente la debolezza della leva gerarchica nella gestione delle organizzazioni professionali. La valutazione e la decisione delle azioni di governo dei rischi legati alle attività di diagnosi e cura richiede necessariamente un intervento da parte del management nella sfera dell’autonomia professionale dei

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professionisti. D’altra parte, la gestione del rischio clinico è un’area di responsabilità di cui rispondono sia il management intermedio (primari, responsabili di distretto e dipartimento, direzioni di presidio) che la direzione strategica (direzione sanitaria, in primis). A quale livello – verticale, quindi – deve essere affidata la responsabilità della gestione del rischio clinico? L’unica strada percorribile, in questo contesto, è la sottoscrizione di un patto tra azienda e professionisti in grado di assicurare l’autonomia di decisione di gestione dei rischi clinici e, al contempo, la responsabilizzazione mediante l’autogoverno delle pratiche cliniche, a livello individuale e di team. Accanto alla responsabilità di line della gestione del rischio clinico (relativa alle aree specifiche di performance clinica), lo sviluppo della funzione risk management dovrà perciò prevedere un efficace meccanismo di integrazione in grado di assicurare il governo unitario delle azioni di gestione dei rischi clinici, in mano ai professionisti, con le altre attività di gestione dei rischi non sanitari. 8. Definizioni nel rischio clinico Il rischio clinico è l’eventualità di subire un danno come conseguenza di un errore. La gestione del rischio clinico (Clinical Risk Management - CRM) - sorta negli USA inizialmente per controllare i reclami, le cause legali e le richieste di indennizzo - si propone ora come mezzo per ridurre l’incidenza dei danni ai pazienti e per diminuire le loro sofferenze. Pazienti e operatori sanitari devono congiungere i loro sforzi per prevenire gli eventi avversi, ridisegnare i processi di assistenza e rendere un sistema complesso come la Sanità più sicuro per tutti. Affrontare in modo organico il problema del rischio clinico permetterà di rispondere a molte importanti domande: quanti sono gli incidenti accaduti, quanti si potevano evitare ed erano conseguenza di un "errore umano", quanti invece erano imprevedibili ed inevitabili? Prima di affrontare questi interrogativi è utile dare alcune definizioni:

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• Il rischio clinico (clinical risk) è la probabilità, per un paziente, di subire un danno per effetto di un trattamento medico o delle cure prestate

• La sicurezza del paziente (patient safety) è la garanzia di aver ridotto la probabilità di danno accidentale al livello minimo possibile in base alle conoscenze tecnico scientifiche attuali

• L' errore in medicina (medical error) può essere definito come:1-l'incapacità di completare nel modo dovuto un’azione pianificata, o 2-l’impiego di un piano errato per raggiungere uno scopo determinato. Gli errori dipendono da due generi di insufficienze: o un’azione pianificata non è eseguita in modo corretto (errori di esecuzione), o l’azione originale che abbiamo condotto a termine non è di per sé corretta (errori di pianificazione).

• L' evento avverso (adverse event) è un danno/lesione procurato da un intervento medico, quindi non dovuto alle condizioni cliniche del paziente; gli eventi avversi sono considerati prevenibili quando sono causati da errori medici .

Gli eventi avversi da errore medico hanno tre fondamentali caratteristiche:

• sono per loro natura indesiderabili o dannosi per il malato.

• coinvolgono o hanno un impatto – o un potenziale impatto – su uno o più pazienti.

• soltanto per puro caso, o per un intervento tempestivo, possono non determinare un danno (close calls, near misses) sono, almeno in parte, conseguenza del processo di assistenza (sia attraverso una azione che una omissione, cioè una azione mancata).

Gli eventi avversi dovuti a negligenza sono quelli causati dall' inosservanza del dovere di prestare una adeguata assistenza

Gli eventi sentinella, secondo la JCAHO, sono gli eventi che hanno la potenzialità di provocare un esito negativo grave (le morti inattese o le gravi perdite di funzione non correlabili alle condizioni cliniche del paziente, il suicidio del paziente, gli interventi chirurgici dal lato sbagliato, l’affidamento di un

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neonato alla famiglia sbagliata, reazioni trasfusionali emolitiche) e quindi richiedono una immediata inchiesta ed una altrettanto rapida risposta. Tutti gli eventi avversi sono dovuti a trattamenti medici, ma non tutti sono prevenibili/evitabili (cioè non tutti sono attribuibili ad errori), alcuni sono "complicanze" legate alle condizioni cliniche e/o al trattamento. Nel campo degli eventi avversi da farmaci (Adverse Drug Event -ADE), quelli non prevenibili sono chiamate reazioni avverse a farmaci (adverse drug reaction): per esempio una reazione allergica in un paziente con allergia non nota. Gli errori da uso di farmaci (medication error) sono gli errori commessi lungo tutto il "processo dell’impiego di un farmaco", comprendente la prescrizione, la trascrizione, la distribuzione, la somministrazione ed il monitoraggio; per esempio gli errori di prescrizione (prescribing errors) comprendono gli errori che riguardano sia la decisione del prescrivere, sia la scrittura della prescrizione stessa.

9. Tipi di errore 9.1. inconvenienti e distrazioni dove la programmazione è adeguata ma le azioni associate non vanno come previsto. Questi errori sono dovuti a problemi di esecuzione. Si classificano in “slips” ovvero: Azioni che vengono eseguite in modo diverso da come pianificato, cioè il soggetto sa come dovrebbe eseguire un compito, ma non lo fa, oppure in maniera inavvertita lo esegue in maniera non corretta. Avvengono quando le azioni sono svolte diversamente dall’intenzione; sono spesso dovute a stanchezza, stati emotivi alterati, preoccupazioni, sovraccarico di lavoro Si classificano anche in “lapses” ovvero: In questo caso l’azione ha un risultato diverso da quello atteso a causa di un fallimento della memoria 9.2. errori veri e propri dove le azioni vanno esattamente nel senso voluto, ma il piano è inadeguato per il risultato atteso. Si tratta del fallimento dell’intenzione e si classifica in “rule based” e “Knoledge based mistake”.

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Nel primo caso vi è la scorretta applicazione di regole e procedure. Si determinano quando l’individuo incontra un problema relativamente familiare, ma applica una soluzione standardizzata sbagliata (sia applicando male la regola/procedura corretta, che scegliendone una sbagliata) (Reason 1993). Sono situazioni che sono determinate a livello conscio, che possono consistere nella incapacità ad eseguire quanto deciso ed anche nell’errato riconoscimento di una situazione e per questo la scelta di una soluzione sbagliata. Riguardano le modalità di applicazione di regole predefinite, intese nel senso di protocolli, di procedure appropriate, di soluzioni predefinite sulla base dell’esperienza e del training. Gli errori possono derivare da una applicazione inappropriata di una buona regola, da un’applicazione di una cattiva regola, o dalla mancata applicazione di una buona regola Nel secondo caso l’individuo incontra una problema per il quale non sono sufficienti le soluzioni basate su regole pre-apprese attraverso la formazione o l’addestramento ricevuto. Se l'esperienza manca, la decisione viene assunta solo sulla base delle conoscenze teoriche, ma il modello mentale del problema è incompleto e può determinarsi l’errore (Reason 1993). Esempi tipici di questi errori sono quelli commessi dai giovani laureati o dai neo assunti, per i quali è elevato il numero delle situazioni nuove, ma anche quelli che accadono quando personale esperto deve passare ad un diverso modello di attrezzature, che può avere procedure differenti. Le violazioni invece sono azioni deliberate, in cui l’individuo ha scelto di non rispettare le regole. Si differenziano, rispetto agli errori “rule based” in quanto c’è consapevolezza di operare in maniera difforme da quanto stabilito, mentre nel caso degli errori non c’è intenzionalità. Si classificano in: violazioni della routine: quando si adottano abitualmente scorciatoie fra fasi di un compito, ed esse sono accettate in ambito operativo e qualche volta anche in sede gestionale. violazioni ragionate: sono occasionali consapevoli allontanamenti da protocolli o procedure per una ragione valida

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violazioni per noncuranza: sono deviazioni deliberate, senza una valida ragione, anche se non si intende far danno. violazioni per dolo: sono deliberate deviazioni dai protocolli e includono atti di sabotaggio. 10. Il monitoraggio del rischio. Gli incidenti sono portati alla luce seguendo due strategie, la sorveglianza attiva e quella passiva. I metodi più utilizzati sono: Metodi Attivi 1. Monitoraggio degli eventi avversi (Occurrence

screening), metodo attivo, richiede uno screening sistematico di diverse sorgenti di dati per l'intercettazione di potenziali eventi avversi: • revisione delle cartelle cliniche, applicando criteri

oggettivi per l'identificazione di eventuali EA; due importanti studi (California Medical Insurance Feasibility Study 1977 e Harvard Study of Adverse Event 1984) hanno utilizzato una metodologia a due stadi (screening iniziale per la selezione dei casi, successiva revisione da parte di clinici esperti), i limiti del metodo sono legati al suo essere retrospettivo e costoso

• sistemi di monitoraggio automatizzato (Computerized detection/monitoring systems) come quelli relativi: ai dati di laboratorio (biochimica e/o microbiologia), all'uso dei farmaci (servizio di farmacia) e algoritmi elettronici che collegano i dati di laboratorio con quelli della farmacia

• analisi dei dati amministrativi tratti dalle schede di dimissione ospedaliera (Administrative data analysis e complications screening program-CSP): n° ricoveri, durata di degenza, diagnosi, complicanze, mortalità, ricoveri successivi

• analisi dei reclami e delle segnalazioni di disservizio (claims data analysis)

• segnalazioni raccolte da infermiere addestrate (nurse monitoring) che visitano quotidianamente ogni unità operativa per sollecitare i rapporti su base volontaria.

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2. Osservazione diretta (Observation Method), metodo attivo, molto accurato: un osservatore addestrato controlla di persona il processo con cui è erogata l’assistenza e registra errori o incidenti; metodo di difficile applicazione perché implica la presenza capillare di personale esperto

Metodi passivi 1. Sistemi di segnalazione passiva degli incidenti (Passive

incident reporting systems o Occurrence reporting): gli operatori sanitari (medici o infermieri), delle diverse unità operative, segnalano gli eventi avversi significativi (eventi sentinella - sentinel event), seguendo criteri ben definiti: • Segnalazione obbligatoria degli eventi avversi con esito

negativo (danno al paziente) : gli eventi devono essere segnalati (a voce, per scritto, per telefono), al momento o poco dopo che si siano verificati (early warning); il metodo è particolarmente utile per facilitare la risoluzione delle richieste di indennizzo ma sottostima il numero di eventi avversi per scarsa collaborazione degli operatori dovuta sia alla preoccupazione per eventuali conseguenze legali sia alla scarsa convinzione dell'utilità della segnalazione ai fini del miglioramento della qualità.

• Segnalazione volontaria degli eventi sentinella evitati (near miss sentinel event): gli eventi potenzialmente pericolosi, ma le cui conseguenze più gravi sono state evitate, sono molto più frequenti degli EA con esito grave e vengono più facilmente segnalati perché privi di implicazioni medico-legali.

Gli eventi avversi individuati con il metodo della segnalazione passiva hanno una frequenza simile a quella degli EA rilevati con i metodi attivi ma sono qualitativamente diversi, con una concordanza pari soltanto al 41% dei casi (K<0.50)(14). Questi due diversi metodi di rilevazione degli EA forniscono visioni differenti, ma complementari, degli eventuali errori commessi. I metodi attivi permettono una analisi epidemiologica del fenomeno, mentre i metodi passivi favoriscono la comprensione delle cause profonde e quindi dei fattori latenti che hanno portato all'evento avverso.

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11. Clinical risk management e studio dei fattori umani Più in generale l’ergonomia è quella disciplina che studia le interazioni degli esseri umani con le macchine, i processi e l’ambiente al fine di migliorare il benessere psico-fisico degli operatori e la performance del sistema. Ancora oggi il termine “Ergonomia” (dal greco ergo e nomos) è spesso riferito, nella conoscenza comune, a quella che viene definita l’ergonomia fisica, ovvero il rapporto dal punto di vista posturale e antropometrico ma anche di forza fisica con gli strumenti di lavoro e le postazioni di lavoro. La maggior parte delle persone tende infatti ad associare questa parola al posto di guida dell’autovettura, al sedile di lavoro, al personal computer. In ambito sanitario, l’ergonomia ha avuto le sue origini dagli studi di Frank e Lillian Gilbreth (1910) sui tempi e metodi di lavoro del personale di sala operatoria. Da queste analisi, che avevano lo scopo di razionalizzare l’attività chirurgica, sembra sia derivata la figura della ferrista. Più recentemente altri campi di intervento dell’ergonomia in ospedale sono stati: lo studio delle tecniche di movimentazione manuale dei pazienti per ridurre il carico biomeccanico sulla colonna vertebrale correlato ad una elevata frequenza di lombalgie nel personale sanitario; la progettazione di riuniti in odontoiatria per migliorare la performance del dentista; il design della strumentazione chirurgica, soprattutto in chirurgia videolaparoscopica, per favorire la tecnica operatoria. Meno conosciuta invece è stata sino ad oggi l’ergonomia cognitiva (human factor engineering). Questa branca dell’ergonomia ha avuto la sua origine e sviluppo negli Stati Uniti dove, in particolare in ambito psicologico, si è studiata l’interazione uomo-macchina e uomo-processo dal punto di vista dei processi mentali che sottendono alle nostre azioni skill based, rule based e knowledge based (Reason, 1990). L’aeronautica è stato il settore in cui le conoscenze in “fattore umano” hanno avuto la maggior e più vasta applicazione con il risultato di standard di affidabilità e sicurezza del sistema tra i più elevati che si conosca. E’ stato il rapporto “To err is human” dell’Institute of Medicine (2000) che ha dato enfasi e risalto alle competenze in human

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factor per lo studio degli eventi avversi ed errori umani in medicina (evento avverso: danno causato ad un paziente dalla gestione sanitaria e non dipendente dalla malattia). Relativamente all’interazione uomo-tecnologie informatiche, l’obiettivo degli esperti in fattore umano è ridurre il golfo dell’esecuzione (la distanza esistente tra intenzione e azione) e della valutazione (la distanza esistente tra azione e valutazione del risultato) ovvero il gap esistente tra pianificazione mentale e azione e valutazione del risultato (Norman, 1999). In ospedale un esempio di questi due concetti può essere riferito ad alcuni software utilizzati per la programmazione delle pompe per infusione. Gli errori commessi nella programmazione della somministrazione del farmaco hanno determinato in alcuni paesi degli eventi avversi riconducibili ad un ampio golfo della valutazione per l’operatore sanitario (Vincent, 2001). Analoghi inconvenienti di programmazione sono stati rilevati sui dispositivi di comando o di rilevazione di varie apparecchiature biomedicali. La Food and Drug Administration attribuisce al design scadente della strumentazione medica circa la metà di 1.3 milioni di incidenti non intenzionali che ogni anno si verificano negli ospedali U.S. (D B Burlington, Biomed Instrum Technol 1996). L’intervento dell’esperto in Human Factor (o ergonomo) in

sanità può realizzarsi in vari ambiti:

- collaborazione alla definizione di processi e procedure di

lavoro che considerino il fattore umano;

- valutazione ergonomica dei software usati per

apparecchiature biomedicali per ridurre il golfo della

esecuzione e valutazione;

- analisi e riprogettazione di attività lavorative che

comportano un sovraccarico mentale e fisico;

- studio dello stress occupazionale nel personale sanitario

e del clima organizzativo;

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- analisi ed organizzazione dei turni di lavoro;

- analisi degli eventi avversi ed errori umani mediante

specifiche tecniche di task analysisi (es. la Failure Modes

and Effects Analysis o la Root Cause Analysis) (Kirwan

and Ainsworth, 1993);

- prevenzione del rischio muscolo-scheletrico da

movimenti ripetitivi (ferriste), movimentazione manuale

dei pazienti, posture incongrue in sala operatoria;

- studio della comunicazione uomo-macchina e uomo-

processo.

Alcuni di queste interventi, la maggior parte, rientra in quello

che oggi si definisce Clinical Risk Management, una delle

attività su cui si basa la Clinical Governance, un nuovo sistema

per migliorare gli standard delle pratiche cliniche.

Oltre alla gestione del rischio clinico, la Clinical Governance

prevede come strumenti per migliorare la qualità del servizio, il

training e l’addestramento continuo degli operatori sanitari, la

pratica della medicina basata sulle evidenze, iniziative per

favorire la trasparenza del sistema, lo sviluppo della ricerca e la

diffusione del clinical audit.

Il Clinical Risk Management può essere definito in base a

funzioni ed obiettivi. Le sue funzioni consistono nell’individuare

le condizioni di pericolo presenti nel sistema, nel valutare la

probabilità che tali condizioni possano causare danni,

nell’attuare le misure di controllo e contenimento più idonee.

Gli obiettivi che si intende raggiungere sono: migliorare la

sicurezza del paziente e l’immagine dell’ospedale, ridurre i

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costi, organizzare il lavoro in modo più congruente alle

esigenze degli operatori e dei clienti.

Per la gestione del rischio clinico sulla base dell’esperienza

maturata nel campo della sicurezza e dell’affidabilità dei sistemi

in questi ultimi trent’anni, è necessario un intervento cosiddetto

“sistemico”.

Il processo lavorativo deve essere visto secondo un sistema

complesso costituito da diverse componenti: uomo, artefatti con

cui reagisce, procedure e modalità che regolano tali interazioni

all’interno di un determinato ambiente. L’approccio sistemico

considera e cerca di integrare in un unico quadro concettuale il

software (le regole e procedure di lavoro); l’hardware

(strumenti, attrezzature, tecnologie); l’environment (ambiente

fisico sociale, politico ecc.); il liveware (fattore umano nei suoi

aspetti relazionali e comunicazionali).

Le azioni che si possono attuare all’interno di questo modello di

intervento sono finalizzate alla riduzione degli errori umani sia

in una ottica di tipo reattivo che proattivo.

L’intervento di tipo reattivo si concentra sull’analisi degli

incidenti e funziona attraverso il meccanismo del backtracking

(procedere a ritroso), fino alla individuazione degli errori attivi e

latenti che hanno determinato l’evento.

L’analisi di tipo proattivo è invece mirata al processo di lavoro e

mediante tecniche di analisi dell’attività mira ad individuare le

condizioni critiche prima che si verifichi l’incidente.

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Tutte queste modalità di analisi fanno parte del curriculum

formativo dell’esperto in human factor ed è forse per questo il

professionista con le maggiori competenze per occuparsi di

clinical risk management.

La sua attività deve essere comunque ovviamente supportata

da tutti gli specialisti medici che forniranno la loro competenza

per l’analisi degli eventi avversi e delle possibili soluzioni

(cambiare le procedure, acquisire nuove tecnologie, addestrare

il personale).

E’ peraltro necessario che del gruppo di professionisti che

costituiscono l’unità di gestione del rischio clinico facciano

parte, seppure non in pianta stabile, alcuni clinici di provata

esperienza e con un training in clinical risk management.

12. La prevenzione degli errori umani La gestione del rischio clinico deve partire dall’analisi del tipo di

errori generalmente commessi. Nolan (2000) ha determinato le

probabilità di errore per vari tipi di azione, l’organizzazione dei

turni di lavoro e lo stress occupazionale sono tra le condizioni

che configurano il maggior rischio.

In generale, gli errori da disattenzione, dimenticanza sono quelli

tipici di chi ormai ha una buona esperienza di lavoro e molte

delle azioni che svolge sono del tipo skill based (l’abitudinarietà

di svolgerle riduce l’impegno cognitivo nell’esecuzione). Questa

condizione può favorire gli errori tipo slip (errori di esecuzione,

l’intenzione era corretta ma l’esecuzione manuale è stata

sbagliata).

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Al contrario, gli errori conseguenti a pianificazioni sbagliate per

difficoltà a trovare delle soluzioni ad hoc dettate dall’esperienza

(knowledge mistake), sono più probabili per chi ha una minore

esperienza lavorativa.

Per quanto invece concerne gli errori basati sulle regole (rule

mistake), conseguenti all’aver scelto una regola sbagliata

sebbene applicata correttamente oppure giusta ma applicata in

modo scorretto, il rapporto con l’esperienza ha un andamento a

campana (fig.4). La probabilità di errore in questo caso

aumenta in una prima fase con l’accrescersi della pratica

professionale per poi cominciare a decrescere.

Fig.4 La pratica modifica il tipo di errori

La pratica modifica il tipo di errori

Probabilità di errore

Livello di pratica

Knowledge-basedSkill-based

Rule-based

Per impedire di commettere questi errori è necessario seguire il

principio di rendere impossibili o difficili le cose sbagliate e facili

quelle giuste.Alcune linee di condotta a cui attenersi

nell’organizzare i processi e le procedure di lavoro sono

sintetizzate in tabella 1.Ridurre la complessità delle procedure e

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quindi gli steps per arrivare al risultato atteso riduce il rischio di

errori.

Tabella 1 – Strategie per ridurre la probabilità di errore - Ridurre la complessità - Ottimizzare l’informazione sul processo - Non affidarsi troppo alla memoria - Automatizzare con saggezza - Usare delle costrittività - Mitigare gli effetti indesiderati del cambiamento - Scegliere lo staff giusto - Standardizzare - Riprogettare sulla base degli errori Da Nolan, BMJ 2000

13. Cultura e clima organizzativo L’implementazione di un sistema di gestione del rischio clinico

non può prescindere da una cultura organizzativa ed in

particolare un clima organizzativo in grado di recepirne il

significato ed i vantaggi per tutti gli operatori.

Il clima organizzativo è un concetto molto interessante ai fini

della definizione di un sistema di qualità e di miglioramento

continuo all’interno di una struttura sanitaria. Lo studio e la

valutazione del clima organizzativo costituisce la precondizione

per realizzare un piano efficace per la gestione del rischio

clinico. Avere un quadro di dati sulla percezione della qualità

globale delle condizioni di lavoro da parte degli operatori è

infatti il punto di partenza per organizzare le attività di revisione

degli eventi avversi e miglioramento della sicurezza dei pazienti

in modo che tali attività riescano a collocarsi all’interno del

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contesto di lavoro rispondendo adeguatamente alle

caratteristiche del clima interno.

Dal punto di vista ergonomico, quindi, lo studio del clima

organizzativo risponde all’esigenza di valutare l’impatto di

azioni organizzative sui processi di lavoro quotidiani oltre che

essere un modo per misurare lo stato di salute di

un’organizzazione.

Il clima organizzativo è una “qualità” relativamente stabile

dell’ambiente interno di una organizzazione che

• È percepita dai membri

• Influenza il loro comportamento

• Può essere descritta sulla base di una serie di fattori che

fanno riferimento ad elementi strutturali, interpersonali,

individuali

Rispetto alla cultura organizzativa, il clima è la manifestazione

nelle pratiche di lavoro quotidiane delle norme, dei valori, dei

significati condivisi che costituiscono la prospettiva culturale di

fondo di un’organizzazione. Se confrontato con la cultura, il

clima è quindi più soggetto a mutamenti provocati da

cambiamenti nelle pratiche o da modificazioni dell’ambiente

circostante. Di conseguenza il clima organizzativo è un

concetto misurabile e gestibile dal management aziendale, a

differenza della cultura che non può essere quantificata e

modificata in tempi brevi dalle azioni organizzative (Bellandi’02)

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Tabella 2 : Il legame tra clima organizzativo e cultura aziendale Trattano entrambi dei modi con cui i membri di un’

organizzazione attribuiscono senso al loro ambiente Clima e cultura sono entrambi appresi attraverso

processi di socializzazione e interazione tra i membri di un gruppo

Il clima si sviluppa da alcuni elementi stessi della cultura Il clima interseca le forme della cultura che sono esperite in modo più

immediato. Clima e cultura sono due costrutti complementari

14.Audit clinico L’audit clinico è il momento centrale per la revisione degli eventi

avversi e la proposta delle azioni di miglioramento da

intraprendere per evitare il ripetersi degli incidenti.

L’audit clinico è una pratica che fa parte di tutti i piani di

gestione del rischio clinico realizzati all’interno delle strutture

sanitarie di molti paesi, in particolare nel mondo anglosassone.

La definizione che qui riportiamo è quella del servizio sanitario

della Gran Bretagna, che è stato il primo ad avviare in maniera

sistematica un piano nazionale per la gestione del rischio

clinico.

“L’audit clinico è un’iniziativa condotta da clinici che cerca di migliorare la qualità e gli outcomes dell’assistenza attraverso

una revisione tra pari strutturata, per mezzo della quale i clinici esaminano la propria attività e i propri risultati in confronto a

standard espliciti e la modificano se necessario.” (National Health Service Executive, 1996)

A differenza di altri tipi di audit, come quello di sistema o per la

qualità, l’audit clinico si caratterizza come una revisione tra pari,

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cioè di un metodo che favorisce il lavoro di gruppo e la

partecipazione diretta dei professionisti all’analisi degli eventi

avversi ed all’individuazione delle possibili soluzioni. Per

garantire la validità dell’analisi, le pratiche effettive di gestione

del caso in discussione vengono confrontate con i migliori

standard scientifici a disposizione. La revisione avviene in

maniera strutturata, seguendo una serie di passaggi che sono

necessari per il buon esito dell’audit:

1. Proposta del caso da esaminare

2. Pianificazione della riunione

3. Svolgimento della riunione

4. Stesura del report conclusivo

5. Pianificazione delle azioni di miglioramento

6. Monitoraggio e valutazione dei cambiamenti

Un esperto di ergonomia e fattore umano ha il compito di

supportare l’organizzazione dell’audit e gestire il momento della

discussione secondo la tecnica del brainstorming, in maniera

tale da favorire l’intervento di tutti i professionisti coinvolti

nell’audit e di indirizzare il dialogo verso la scelta delle soluzioni

praticabili per la prevenzione degli eventi avversi all’interno

della struttura sanitaria.

15. Il rapporto tra il personale sanitario ed i pazienti

Lo scambio di informazioni tra professionista sanitario e

paziente è il cuore della pratica clinica. Il tempo in cui i medici

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potevano guardare ai pazienti come passivi oggetti di diagnosi

e cure ed assumere la piena delega sul controllo del loro

destino è storia passata. Tra i molti fattori che hanno contribuito

a cambiare questa relazione aprendo lo spazio della

comunicazione tra professionista clinico e paziente, i principali

elementi che influiscono sull’evoluzione delle relazioni tra le

professioni sanitarie e la cittadinanza sono:

l’innalzamento del livello medio di istruzione nella

popolazione

la maggior disponibilità ed accessibilità di risorse

informative a carattere scientifico

il crescente peso dell’opinione pubblica e dei media

Nei Paesi a capitalismo avanzato, l’innalzamento del livello di

istruzione ha riguardato la grande maggioranza della

popolazione nel corso degli ultimi decenni. L’effetto sulle

pratiche cliniche di tale acculturazione di massa consiste

nell’acquisizione di maggior consapevolezza da parte del

paziente rispetto alle proprie condizioni di salute, con la

conseguente pretesa di controllo sulle decisioni terapeutiche

che lo riguardano. I cittadini oggi si aspettano di essere trattati

con rispetto come individui dotati di autonomia decisionale e di

capacità di mettere in discussione le autorità quando si tratta di

fare delle scelte su questioni importanti di interesse personale e

pubblico. Per questo i clinici hanno il compito di migliorare la

qualità e la quantità delle comunicazioni con i pazienti,

cogliendo in questa esigenza l’opportunità di stabilire relazioni

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più oneste e trasparenti con il pubblico piuttosto che viverla

come una restrizione di autonomia.

L’autonomia e l’acculturazione del cittadino va di pari passo con

l’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della

comunicazione. L’opportunità di accedere tramite internet ad

una quantità enorme di informazione scientifica in precedenza

diffusa solo nella ristretta cerchia dei professionisti sanitari,

mette il paziente nelle condizioni di controbilanciare

l’asimmetria informativa nella relazione con il medico. Pur

essendoci una certa preoccupazione circa l’accuratezza e la

validità di molte informazioni disponibili su internet, l’opportunità

di libero accesso a tali risorse per tutti pone al medico nuovi

quesiti sul proprio ruolo di interprete competente della domanda

di salute del paziente. Ed un interprete competente ha bisogno

di essere anche un fluente comunicatore.

Il crescente peso che l’opinione pubblica esercita attraverso i

media è l’elemento più visibile dell’attenzione della popolazione

alla qualità dei servizi sanitari. La spinta dei media è

determinante nel definire l’agenda dei temi caldi all’interno di

una comunità, soprattutto a livello locale. La salute e la

sicurezza sono chiaramente argomenti d’interesse comune.

Spesso i media presentano una versione distorta dei bisogni di

salute e di sicurezza della popolazione. In ogni caso, l’opinione

pubblica e i media pongono delle domande ai professionisti ed

ai managers sanitari che attendono delle risposte. Se le

risposte a singoli quesiti sono dovute, la realizzazione di un

piano sistematico di comunicazione pubblica è uno degli

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obbiettivi del governo clinico per costruire un canale di

comunicazione ed informazione stabile tra strutture sanitarie ed

opinione pubblica. Si tratta di avvicinare i servizi alle aspettative

della cittadinanza, per favorire la reciprocità e la trasparenza.

16. Comunicazione interna

La comunicazione tra professionisti è d’importanza vitale

all’interno delle strutture sanitarie. Sono pochi i clinici di lunga

data a non essersi mai ritrovati in situazioni di grave conflitto tra

persone che dovrebbero lavorare come colleghi. La non-

comunicazione tra colleghi che dovrebbero collaborare

danneggia il morale di chi lavora e la sicurezza dei pazienti.

Una delle aree critiche in cui c’è bisogno di aprire ambiti di

comunicazione interna è proprio la gestione del rischio clinico e

la sicurezza del paziente. Non c’è maggior sfida comunicativa

che dire ad un collega che la sua performance è stata o è

potenzialmente dannosa per il paziente. Una buona

comunicazione interna ed il lavoro di gruppo sono essenziali

per il successo del programma di gestione del rischio clinico e

più in generale per la Clinical Governance.

La comunicazione è la prima causa di errore in medicina sulla

base delle Root Cause Analysis effettuate dalla Joint

Commission on Accreditation of Healthcare Organizations sugli

eventi sentinella denunciati (fig. 5).

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Figura 5– Cause più frequenti di eventi sentinella segnalati alla

Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizations

1995-2002 (da www.jcaho.org)

17. Conclusioni Nelle aziende sanitarie, il dibattito sul tema della sicurezza e della gestione dei rischi può in definitiva essere letto come segnale dell’aumentato “fabbisogno di controllo” che caratterizza il settore sanitario, in analogia a quanto già avviene in altri settori di produzione di beni e servizi. Questo fabbisogno si esplicita nell’attenzione crescente agli strumenti e condizioni che consentono, in una prospettiva, il pieno e consapevole governo del funzionamento di tutte le operazioni aziendali e dei loro sistemi di gestione e, in un altra, la minimizzazione della possibilità che eventi inaspettati colpiscano l’azienda nella sua attitudine a perseguire le finalità prefissate. L’emergere dell’aumentato fabbisogno di sicurezza e qualità è stimolato da un insieme di variabili, che agiscono all’interno dell’organizzazione o nell’ambiente di riferimento, e che concorrono, seppure in modo diverso, a determinare un’evoluzione delle strategie e dei sistemi di gestione aziendali. Lo sviluppo del risk management fornisce un approccio sistemico e sistematico al fabbisogno di governo dell’

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incertezza aziendale. Il risk management reinterpreta in modo originale la tradizionale “funzione di controllo”, attraverso una strategia di responsabilizzazione sulla qualità dell’assistenza erogata, che viene affidata alla gestione dei professionisti in cambio della piena autonomia decisionale relativa a dove e come agire sui fallimenti del sistema assistenziale. L’approccio giustamente sottolinea la necessità di dare vita ad un nuovo rapporto tra management e professionisti come condizione per introdurre nuove strategie e sistemi di gestione rischi. Concludendo, la prospettiva di una efficace co-gestione management-professionisti del profilo di rischio aziendale appare oggi sempre più realistica. Innanzitutto perché le aziende sanitarie dispongono oggi di sistemi gestionali più maturi, che da meccanismi reattivi si stanno trasformando in sistemi anticipatori e proattivi rispetto alla lettura delle possibili dinamiche ambientali. In secondo luogo, perché il contesto ambientale di riferimento è fonte di una serie di stimoli sempre più pressanti nella direzione della sicurezza e della qualità dell’assistenza sanitaria e, in questo senso, non pare più possibile che le aziende possano tornare indietro sulla strada intrapresa. Infine, perché a dispetto dei tentativi di ingegneria organizzativa che stanno caratterizzando questa fase di sviluppo della funzione, il risk management è una prospettiva di rafforzamento della qualità delle pratiche cliniche che affonda le radici nella cultura professionale medica e, proprio per questo motivo, se opportunamente guidata dalle aziende e dal sistema, rende oggi fiduciosi degli esiti positivi che contribuirà a produrre anche per il settore sanitario pubblico. 18. Glossario ACCREDITAMENTO : Processo attraverso il quale un’agenzia o altra organizzazione valuta e riconosce che un’istituzione corrisponde standard predefiniti. In Italia si usa la parola “accreditare” in diversi contesti: • Decreto Legislativo 502/92 (art. 8 comma 7) e successive

modifiche e integrazioni.

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Compete alle Regioni l’introduzione di sistemi di sorveglianza e

di strumenti e metodologie per la verifica della qualità dei servizi

a partire dall’autorizzazione ad operare già posseduta (requisiti

minimi) DPR 37, 14.1.97.

• Relazione di accompagnamento alla Legge Regionale

n.34/98.

(....Si intende...) per accreditamento l’atto con il quale si

riconosce ai soggetti, già autorizzati all’esercizio di attività

sanitarie, lo status di potenziali erogatori di prestazioni

nell’ambito e per conto del Servizio sanitario nazionale.

• Accreditamento professionale.

Attivato da società scientifiche e da gruppi di professionisti, di

natura volontaria e autogestito, secondo il modello dei paesi

anglofoni; si realizza mediante visite fra pari.

• Enti di certificazione.

Gli enti di certificazione per potersi proporre come verificatori

dei requisiti previsti dalle Norme UNI EN ISO (certificazione di

parte 3°), debbono essere accreditati come idonei da un ente

sovraordinato (per l’Italia il SINCERT).

ADDESTRAMENTO Acquisizione di abilità (“saper fare”), idonee ad una funzione ben definita e precisa, le quali prima non erano considerate utili e/o pertinenti. Riconducendo l’oggetto ai percorsi della qualità si può paragonare l’addestramento alla qualità statica. AGGIORNAMENTO Acquisizione di abilità coerenti con l’evoluzione tecnica, scientifica e organizzativa, in una parola “professionale” (vedi). Attraverso l’aggiornamento il professionista adegua le proprie “competenze”, in genere sviluppando la dimensione tecnica della professione.

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APPROPRIATEZZA Condizione che si realizza quando al paziente “giusto” viene reso il servizio giusto, al momento giusto e nella giusta quantità. Il consumo di risorse collegato all’erogazione di un servizio può risultare inappropriato per diversi motivi: perché viene resa una prestazione non efficace; perché non viene resa una prestazione efficace; perché la prestazione, pur efficace, viene resa in quantità non adeguata alle necessità della persona; perché la prestazione viene resa ad un livello assistenziale superiore o inferiore alla necessità della persona. ATTIVITÀ Insieme di azioni organizzate e finalizzate.L’insieme di attività connota il processo. Le attività si realizzano per il concorso equilibrato degli individui, dei metodi di lavoro, delle tecnologie. AUDIT (clinical, medical) Analisi critica e sistematica della qualità della assistenza medica (o sanitaria) che include le procedure utilizzate per la diagnosi e il trattamento, l’uso delle risorse, gli outcome risultanti e la qualità di vita per i pazienti (definizione Brit. Govern. 1985.) Medical audit : valutazione di parte medica di aspetti assistenziali. Clinical audit : valutazione multidisciplinare (medico, infermiere, tecnico) di aspetti assistenziali. Professional audit : valutazione degli elementi che dipendono dalla attività di professionisti sanitari non medici. Service audit : valutazione complessiva del servizio erogato. AUDIT della qualità Esame sistematico e indipendente mirato a stabilire se le attività svolte per la qualità e i risultati ottenuti sono in accordo con quanto stabilito e se quanto stabilito è attuato efficacemente e risulta idoneo al conseguimento degli obiettivi. AUTORIZZAZIONE Si definisce “autorizzazione” un atto giuridico che ha la natura della rimozione di un divieto. Si realizza mediante la verifica del possesso, da parte di chi la richiede, di requisiti pre-dichiarati e oggettivamente posseduti. AZIENDA Sistema di processi economici che si svolgono in istituti sociali di diverse specialità, cui si applicano il principio

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obiettivo della razionalità economica (massimizzazione del risultato con minimo impegno di risorse) e i criteri della corretta amministrazione. Si distinguono aziende con finalità di reddito e aziende senza finalità di reddito (profit e non profit). AZIENDA SANITARIA Soggetto giuridico, pubblico o privato, che offre attività o prestazioni sanitarie. Azienda sanitaria pubblica : tipica azienda senza finalità di reddito (non profit). Si prefigge come scopo non la remunerazione del capitale investito bensì l’acquisizione e/o l’erogazione di servizi di interesse collettivo primario. BENCHMARK Parametro di riferimento: un risultato misurato assunto come modello ; un criterio di riferimento o di misura usato per confrontare ; un livello di prestazione riconosciuto come standard d’eccellenza per una pratica specifica. BENCHMARKING Tecnica manageriale che consiste nel confrontare il vissuto della propria azienda con quello delle aziende migliori al fine di razionalizzare obiettivi, strategie e processi e raggiungere l’eccellenza individuando i fattori critici di successo ed elementi guida . Il confronto avviene alla pari su risultati e processi di produzione. CARATTERISTICA Ciascuno degli aspetti peculiari che costituiscono le note distintive di un oggetto (nel nostro caso di un servizio/prestazione). Le caratteristiche scelte per rappresentare l’oggetto si definiscono come requisiti. CARTA DEI SERVIZI Documento contrattuale adottato dai soggetti erogatori di servizi pubblici attraverso il quale si esplicitano mission, criteri di relazione e standard di qualità dei servizi erogati. Nel caso dei servizi sanitari esso è redatto sulla base dei principi indicati nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M. 19/5/95). CENTRO DI RESPONSABILITA’: unità organizzative parziali del sistema aziendale. Concettualmente non bisogna confondere i centri di costo con i centri di responsabilità; i primi sono strumenti contabili per la rilevazione e la determinazione

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di configurazioni di costo, i secondi sono suddivisioni del sistema organizzativo aziendale. CERTIFICAZIONE (di un Sistema Qualità) Si intende un atto formale attraverso il quale viene riconosciuta ad una organizzazione che ha predisposto attività pianificate e documentate per garantire i propri prodotti/servizi secondo certi standard. Il riconoscimento è rilasciato da un ente terzo, accreditato nazionalmente o internazionalmente. Il modello di riferimento è rappresentato dalle norme ISO 9000:2000. CLIENTE Destinatario di un prodotto e/o di un servizio. Può essere una unità interna, un fruitore specifico intermedio rispetto al prodotto finale (in questo caso si parla di “cliente interno”). COMPETENZA Aspetto organizzativo “hard” : sono le capacità individuali agite. Deriva da esperienza o studio e definisce all’interno della organizzazione lo “spazio” (cioè i compiti assegnati) e l’autorità (vedi professionalità). CONTINUOUS QUALITY IMPROVEMENT (CQI) Miglioramento continuo della Qualità (vedi). Già dai primi anni ’90 il termine CQI viene utilizzato per caratterizzare l’approccio della Qualità Totale nello specifico della sanità (es. Ministero Sanità Canadese). COSTO: quantifica il valore economico attribuito ai fattori al momento dell’impiego, diventa così rilevante il momento del consumo interno che si contrappone alla spesa, la quale quantifica invece il valore economico attribuito ai fattori al momento dell’acquisto, diventando così rilevante il momento in cui si ha il rapporto con terze economie. CRITERIO Enunciato che dichiara che si vuole investigare un fenomeno a fine di valutazione mediante l’osservazione di sue caratteristiche pre-definite. Il criterio è pertanto un punto di vista di osservazione di un oggetto, fenomeno, ecc., legato strettamente al soggetto osservante. CRITICITÀ: si intende, in ambito organizzativo, quella caratteristica di qualsiasi elemento dell’organizzazione che

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dipende da un lato dalla sua importanza e dall’altro dalla sua problematicità (grado di difficoltà che si incontra per ottenere, mantenere o migliorare l’elemento in questione). DIFFERENZIAZIONE (DI UN SERVIZIO) E’ il modo in cui il servizio fissa nelle menti dei clienti, degli acquirenti, di coloro che inviano i clienti, ciò che distingue la sua risposta in termini di benefici che produce loro. Un servizio si posiziona nel mercato mediante la differenziazione, il cui scopo è raggiungere un vantaggio competitivo. DISEASE MANAGEMENT Percorsi assistenziali integrati centrati sul paziente ( consenso informato )e non sugli erogatori di prestazioni garantiscono la continuità assistenziale ( in presenza di un data base comune)e vanno sottoposti a verifiche in itinere e a chiusura del caso ,con adeguati indicatori DISPONIBILITÀ ALL’USO Attitudine di un’entità a essere in grado di svolgere una funzione richiesta in determinate condizioni o a un dato istante, o durante un dato intervallo di tempo, supponendo che siano assicurati i mezzi esterni eventualmente necessari . EQUITÀ: conformità ad un principio che definisce ciò che è giusto ed equo nella distribuzione delle risorse sanitarie (ad esempio il principio che è corretto fornire la stessa assistenza a parità di bisogno e non indistintamente la stessa assistenza come vorrebbe un principio di uguaglianza). EFFICIENZA: esistono diverse definizioni di efficienza, si intende la capacità di utilizzare le risorse per raggiungere un determinato risultato massimizzando la produzione a parità di input o minimizzando le risorse impiegate a parità di output. FORMAZIONE Processo permanente finalizzato a costruire un progetto professionale nell’ottica dell’eccellenza. Se l’addestramento richiama la “qualità statica”, l’aggiornamentol’idea di “manutenzione”, la formazione si inserisce nell’idea di “qualità dinamica”, intesa come tensione all’eccellenza e ricerca del miglioramento continuo. Nella sua dimensione professionale globale (percepita e agita come azione organizzativa) il soggetto in formazione dà e riceve

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dall’organizzazione ; è nell’esperienza professionale che divengono opportunità per l’organizzazione e per il singolo gli eventi, i successi e gli errori. GOOD CLINICAL PRACTICE (Norme di buona pratica clinica): standard a cui fare riferimento per la progettazione, la conduzione, l’esecuzione, il monitoraggio, la verifica, la registrazione, le analisi ed i rapporti relativi agli studi clinici: garantisce che i dati ed i risultati riportati siano attendibili ed accurati, e che siano salvaguardati i diritti, l’integrità e la riservatezza dei soggetti partecipanti allo studio. GOVERNO CLINICO Funzione aziendale, dedicata ad assicurare qualità, efficienza tecnico-operativa e distribuzione appropriata dei servizi. Garantisce l’adozione di sistemi di garanzia e la realizzazione di attività di miglioramento e il controllo della qualità dei prodotti sanitari, in riferimento alla produzione propria della Azienda Sanitaria o acquisiti da altri erogatori. I principi fondamentali del “governo clinico” dal punto di vista del professionista sono la condivisione multidisciplinare, la responsabilizzazione e la partecipazione alle scelte del sistema. GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO Sistematica identificazione, valutazione, comunicazione e riduzione delle possibilità e probabilità di danni o lesioni a pazienti per effetto di errori imputabili al sistema curante e ai professionisti che vi operano. GRUPPI DI MIGLIORAMENTO Piccoli gruppi volontari di professionisti, interfunzionali e interprofessionali, che intervengono sui processi di lavoro con le metodologie del miglioramento continuo presidiando globalmente il percorso del cambiamento (analisi, diagnosi, terapia, valutazione, implementazione e documentazione JOINT COMMISSION OF ACCREDITATION HOSPITAL ORGANIZATION ( JCAHO - USA): é una divisione not-for-profit fondata nel 1952; la sua mission é quella di migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria in ambito internazionale, fornendo servizi connessi con il processo di accreditamento su base volontaria. . Elabora periodicamente standard ed

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indicatori di performance su attività sanitarie e cliniche su cui basa il proprio processo di screditamento delle strutture sanitarie che ne fanno richiesta. IASP INTERNATIONAL ASSOCIATION FOR THE STUDY OF PAIN: Seattle, Washington. La IASP è un'associazione professionale, multidisciplinare, senza scopo di lucro, che promuove la ricerca scientifica sul dolore e sul controllo del dolore. INDICATORE misura degli standard riferiti a criteri qualitativi o quantitativi di un oggetto o di un fenomeno che su questi consente di inferire (= costruire ipotesi, dare giudizi). Il risultato della osservazione della caratteristica in questione, definisce il ‘valore’ o la misura dell’indicatore. In senso traslato indicatore può essere : 3. il ‘valore’ che fornisce indicazioni sullo stato e permette, se

ripetuto, una evidenza della tendenza alla evoluzione nel

tempo di specifici output di una organizzazione ;

4. lo strumento utilizzato per misurare l’oggetto

dell’osservazione.

LINEE GUIDA raccomandazioni di comportamento, elaborate in modo sistematico e finalizzate a indirizzare il clinico a prendere decisioni appropriate in specifiche circostanze cliniche. MIGLIORAMENTO CONTINUO Approccio alla qualità secondo le logiche della razionalità limitata, proiettato verso il superamento delle mancanze (qualità negativa) e l’aggiunta di valore (qualità positiva), alla ricerca di nuovi e più soddisfacenti risultati . MISSION Motivo per cui una organizzazione un processo, una azione esiste, è agita, viene prodotta. Per l’organizzazione è la ragione d’essere : ciò che essa sceglie di fare per rendersi visibile all’esterno e per soddisfare i bisogni (le richieste) dei suoi utenti (clienti).

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MONITORAGGIO Misurazioni ripetute e continuative di una varietà di indicatori, operate per identificare potenziali problemi (WHO), per presidiare un fenomeno, per misurare l’evoluzione e il miglioramento continuo. ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE: organizzazione caratterizzata da un nucleo operativo di base costituito da professionisti, con forte decentramento decisionale. La natura professionale dell’organizzazione comporta una ridotta influenza del vertice, rispetto ad altri tipi di organizzazione, per quanto riguarda gli orientamenti e le scelte aziendali e la necessità di un coordinamento di tipo orizzontale. Tale coordinamento può essere cercato attraverso la standardizzazione delle specializzazioni e delle conoscenze. OUTCOME: effetto prodotto da output connotati in termini di qualità (indicatori e standard conseguenti ai requisiti). OUTPUT (prodotto): indica la prestazione/servizio come risultato di un processo. PDCA Il “ciclo PDCA” rappresenta la sequenza logica del pianificare (plan), realizzare (do), verificare (check), re-agire (act) per consolidare o migliorare i risultati ottenuti. Elaborato concettualmente e operativamente da Deming costituisce lo “strumento” base dell’approccio alla qualità mediante il Miglioramento Continuo. All’interno di ognuna delle fasi può essere realizzato un ulteriore ciclo PDCA. PERFORMANCE Azioni manifeste e oggettivabili di un soggetto (singolo o équipe) come espressione concreta e misurabile attraverso appositi indicatori delle abilità dello stesso. In ambito organizzativo le performance riguardano la risposta a precisi mandati e ad ambiti di lavoro riconosciuti in funzione della realizzazione del servizio/prodotto. Le performance sono il campo privilegiato dell’intervento formativo : il loro miglioramento può riguardare la sostanza ( la prestazione) oppure le modalità concrete di esecuzione (forma, metodo, relazione...). Migliorare la performance appartiene, nella logica dell’agire processuale, al campo del metodo (protocolli, procedure, etc.) e delle persone.

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POLITICA AZIENDALE: Sono gli obiettivi e gli indirizzi generali di una organizzazione espressi in modo formale dalla Direzione. Deriva ed è definita: • dalla ragione d’essere dell’azienda (Mission)

• dalle sfide di lungo termine dell’azienda (Vision);

• dagli obiettivi scelti per il medio periodo (obiettivi che

debbono essere specifici, misurabili, accettabili, orientati ai

risultati, temporizzati: SMART);

• dalle strategie operative.

PROCEDURA: Modalità definite per eseguire un’attività. Una

procedura contiene; lo scopo e il campo di applicazione di

un’attività; che cosa deve essere fatto e da chi; dove e come

deve essere fatto; quali materiali, apparecchiature e documenti

devono essere utilizzati; come ciò deve essere tenuto sotto

controllo e registrato.

PROCESSO Successione strutturata di attività finalizzate a produrre un risultato (prodotto, servizio...) che ha valore per il cliente finale. Strumenti per il raggiungimento del risultato sono le risorse umane, le tecnologie, i metodi. Definiscono un processo l’evento scatenante (input), la sequenza di azioni (che produce il valore aggiunto), l’output. PROCESSO (rappresentare un) Esistono tecniche utili a indagare un processo. Ognuna di esse ne evidenzia caratteristiche particolari a scapito di altre ; la tecnica va pertanto scelta in funzione degli obiettivi della descrizione. In prima istanza occorre definire gli elementi “anagrafici” del processo : - evento scatenante, fornitore, misurazioni possibili, requisiti richiesti e riscontri. LOV (line of visibility) evidenzia gli attori (cliente compreso) in rapporto alle attività. È un metodo che mette in evidenza gli

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strati organizzativi (anche esterni alla organizzazione) attraversati dal processo. FLOW CHART : evidenzia la “logica” del processo (in toto o per sue parti critiche). PERT : evidenzia la cronologia delle attività ed è particolarmente utile per valutare la variabilità temporale di un processo. TIME CHART : evidenzia, oltre al “chi fa cosa” anche i tempi di esecuzione delle attività, eventuali precedenze e complicazioni (consente di valutare quanto del tempo impiegato non è a valore aggiunto). PRODOTTO Risultato di una sequenza di azioni organizzate e finalizzate (processo). PROFESSIONALITÀ Spazio operativo riconosciuto ad un soggetto all’interno di una organizzazione, concepito direttamente come risultato di una negoziazione dove entrano in relazione il voler essere (potenziale dinamico), dover essere (posizione), e poter essere (profilo di ruolo). Si realizza su tre direttrici principali : il contributo tecnico specifico della attività professionale ; l’operatività quotidiana ; la gestionalità e la leadership. PROGRAMMA Risposta organizzata per eliminare o ridurre uno o più problemi. La risposta include uno o più obiettivi, lo svolgimento di una o più attività e il consumo di risorse (WHO).

PROTOCOLLO Strumento descrittivo o istruzioni

standardizzate per l'erogazione di attività sanitarie al paziente

, sviluppato con procedimento formale riferito alla migliore

evidenza scientifica di efficacia ed all'opinione di esperti.(Joint

Commission),o modalità di comportamento o successione di

atti definiti da documenti formali o normativa , che devono

essere sistematicamente ottemperate;( ISO 8402)

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QUALITÀ Insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto e/o di un servizio che gli conferiscono la capacità di soddisfare i bisogni espliciti e impliciti del cliente/fruitore. Nota : ogni Azienda traduce il concetto in una propria

definizione operativa.

Tale definizione deve essere conseguente agli obiettivi

strategici della organizzazione.

QUALITÀ totale Filosofia, tessuto connettivo di tutto l’agire organizzativo in funzione del miglioramento continuo, orientato al cliente/fruitore e incentrato sulla risorsa professionale.

RISCHIO Concetto matematico che si riferisce alla probabilità

che un evento si realizzi ed alla ggrraavviittàà dei suoi esiti.

REQUISITO Ciascuna delle caratteristiche necessarie e richieste affinché un prodotto/servizio risponda allo scopo (vedi qualità). SERVIZIO Ciò che risulta da una relazione basata su uno scambio economico, informativo, operativo, emotivo, affettivo sostenuto da una sostanziale interdipendenza fra i protagonisti della relazione. Dalla significatività di tale interdipendenza si può misurare la dimensione della qualità. Nelle organizzazioni la relazione è sempre a tre : cittadino/cliente, professionista, contesto organizzativo. Il livello di tale relazione presuppone una partecipazione tra i tre “attori”. SISTEMA QUALITÀ Insieme di responsabilità, struttura organizzativa, procedure, attività, capacità, risorse, che mira a garantire che processi, prodotti, servizi soddisfino bisogni e aspettative dei clienti/fruitori al minor costo . SODDISFAZIONE DEL CLIENTE (strategia della) Elemento base, insieme al coinvolgimento e alla motivazione del personale, e al governo dei processi dell’approccio gestionale alla qualità attraverso la filosofia e le tecniche del Miglioramento Continuo. La “scelta” da parte della organizzazione di orientarsi alla soddisfazione del beneficiario ultimo dei suoi processi produttivi attiva un nuovo approccio manageriale alla gestione.

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STANDARD Valore assunto o auspicato da un indicatore su di una “scala” di riferimento. Valore soglia: valore predeterminato dell’indicatore che divide in due sotto insiemi di diverso significato l’insieme dei possibili valori dell’indicatore stesso. Standard prescrittivo: valore imposto da leggi e regolamenti Standard ideale: riferimento di confronto generalmente definito da dati di letteratura Standard minimo previsto È un punto di riferimento per

orientare 1'azione, che può essere definito dalla legislazione

e/o dalla comunità scientifica. In loro assenza viene definito dal

comportamento ritenuto qualitativamente accettabile da parte

del Servizio.

STRUTTURA ORGANIZZATIVA Dimensione organizzativa complessiva della funzione svolta TECHNOLOGY ASSESSMENT (VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIE SANITARIE) Ambito di ricerca che si prefigge di valutare, attraverso un approccio multidisciplinare le dimensioni qualitative (tecniche, economiche, sociali, etiche) che definiscono una tecnologia sanitaria e l’opportunità della sua adozione. Le tecniche specifiche di acquisizione delle informazioni e di raggiungimento del consenso sono la meta-analisi, le consensus conferences, l’elaborazione di linee guida). VERIFICA Operazione di controllo permanente per mezzo della quale si procede all’accertamento di un fatto, di un atto, di un evento (coerenza, regolarità, congruenza ...). VISION Orizzonti sfidanti che una organizzazione si propone

esplicitamente di raggiungere. Deriva dalla cultura e dai valori e

traduce in scelte spendibili la Mission. È esplicitata dal Top

Management, così come la mission, per sviluppare coesione tra

tutti i membri della Organizzazione.

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Riferimenti dei docenti Enrico Burato - Graziella Borsatti Area Qualità e Appropriatezza Direzione Sanitaria Aziendale

A.O. “Carlo Poma” di Mantova v.le Albertoni 1 – 46100, Mantova [email protected] [email protected]


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