+ All Categories
Home > Documents > La globalizzazione come opportunità di sviluppo del ... · La globalizzazione come opportunità di...

La globalizzazione come opportunità di sviluppo del ... · La globalizzazione come opportunità di...

Date post: 18-Feb-2019
Category:
Upload: doannguyet
View: 213 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
53
La globalizzazione come opportunità di sviluppo del sistema moda: verso un nuovo paradigma del network e dell’innovazione A cura di Clemente Tartaglione STESURA PROVVISORIA 20 novembre 2006
Transcript

La globalizzazione come opportunità di sviluppo del sistema moda:

verso un nuovo paradigma del network e dell’innovazione

A cura di

Clemente Tartaglione

STESURA PROVVISORIA 20 novembre 2006

Sommario

1. Obiettivi e contenuti della ricerca

2. Uno sguardo al sistema moda in Europa

3. Principali risultati dell’industria italiana della moda negli ultimi 5 anni: alcuni dati generali

3.1 la dinamica della produzione e delle vendite

3.2 l’evoluzione degli scambi con l’estero

3.3 L’impatto occupazione

4. Il profilo struttura dell’industria italiana della moda

4.1 Il contributo del settore all’economia nazionale

4.2 Struttura ed evoluzione della filiera moda

4.3 Le trasformazioni dell’apparato manifatturiero

4.4 Il ruolo delle micro e piccole imprese

5. Il contesto competitivo nell’era post-ATC: le priorità strategiche come risposta alla liberalizzazione

5.1. Un nuovo paradigma del network di distretto

5.2. La sfida dell’innovazione tecnologica e del potenziamento delle componenti immateriali della filiera

5.3 Nuovi mercati e nuove strategie commerciali

5.4 La formazione come fattore di innovazione delle imprese italiane del settore moda

6. Un quadro di sintesi degli scenari emersi e delle opzioni di policy

2

1. Obiettivi e contenuti della ricerca

Nel corso dell’ultimo decennio i processi di globalizzazione e un forte avanzamento tecnologico hanno prodotto una integrazione economica, industriale e dei mercati, che ha avuto l‘effetto di allargare il perimetro entro cui si collocano e si diversificano le opportunità di sviluppo.

Questo nuovo contesto ha segnato profondamente l’intero apparato produttivo dei paesi avanzati tra cui l’Italia, per le caratteristiche della sua industria, è tra le economie più esposte.

L’allargamento dei confini economici anche ai paesi di nuova industrializzazione, i cambiamenti nella geografia della produzione e la formazione di nuovi mercati al consumo trainati da uno forte accelerazione dello sviluppo, sono fattori che impongono un cambiamento nell’architettura su cui costruire le prospettive del sistema industriale del paese.

Questa nuova architettura, come unanimemente condiviso in ambito europeo e nazionale, dovrà fare leva su un modello di sviluppo centrato su un nuovo paradigma dell’innovazione a cui contribuiscono in modo sistemico e integrato tutte le componenti su cui si forma il valore del prodotto, dell’impresa e di una intera economia.

Ed è su questi presupposti che nel documento di accompagnamento del decreto Bersani troviamo una nuova definizione di manifatturiero in cui si estende il concetto di industria alle nuove filiere produttive che integrano le diverse fasi del processo manifatturiero e delle sue tecnologie e valorizzano l’apporto dell’intero apparato dei servizi. In questo senso, come si legge sul documento, affinché l’industria possa continuare a rappresentare il motore dello sviluppo economico italiano, questo segmento dell’economia va riferito alle nuove sinergie che si possono creare tra imprese manifatturiere, imprese del terziario e ricerca industriale.

Ovviamente, questo generale cambiamento di prospettiva coinvolge anche il sistema moda, ed è per questo che la Filtea anche in questa occasione si è impegnata in un progetto di ricerca che possa dare un contributo concreto ad una politica che consenta all’economia della moda di superare i suoi confini tradizionali per avanzare nella direzione di un sistema con una geometria diversa dal passato.

In una prospettiva di sviluppo vincolata all’esigenza di superare una competizione centrata sui costi, diventa infatti inevitabile spostare il baricentro delle politiche su quei segmenti di mercato dentro e fuori dai confini nazionali che impongono una forte valorizzazione del prodotto sul piano materiale dei suoi contenuti tecnici/tecnologici e sul piano immateriale nella sua componente creativa e della comunicazione.

E’ questo l’approccio strategico che anche l’UE attraverso il gruppo di alto livello propone come condizione per salvaguardare una pezzo del manifatturiero che in Europa occupa 3 milioni di lavoratori e in Italia oltre 700 mila addetti.

Naturalmente, una condizione fondamentale, affinché possa essere acquisita questa multidimensionalità del processo di valorizzazione del prodotto moda, diventa senza alcun dubbio la possibilità di gestire in modo sinergico e finalizzato tutte quelle fasi della filiera che contribuiscono a questo risultato.

3

Questo impone di superare un approccio basato sulla nozione tradizionale di settore, per accedere ad un concetto più esteso di filiera moda.

La filiera è infatti l’unica chiave di lettura che consente di rappresentare l’effettiva articolazione di attività di produzione e servizi (opportunamente segmentata al suo interno per distinguere le fasi a monte o a valle della catena del valore) attraverso cui si realizza quel processo integrato che genera il valore finale del prodotto.

Sulla base di questo criterio-guida, il sistema moda può essere rappresentato come una piattaforma operativa in cui convivono tre componenti: l’insieme delle industrie manifatturiere che contribuiscono alla realizzazione del prodotto; le attività di servizio che contribuiscono a conferire valore immateriale ai beni, e le attività di tipo commerciale.

E’ quindi del tutto evidente che diventa necessario moltiplicare le occasioni di contaminazione tra tutte quelle componenti industriali e dei servizi che sono fondamentali per tradurre nei fatti questo nuovo e auspicato spostamento dell’obiettivo strategico del sistema moda.

Con questo obiettivo, è stato disegnato un rapporto di ricerca dove all’interno di un quadro generale del sistema moda in Europa è stata sviluppata una prima parte di analisi delle performance e del profilo strutturale del settore. Sulla base di questo apparato informativo è stato poi costruito un approfondimento sui principali driver dello sviluppo del settore all’interno del nuovo contesto competitivo nell’era post-ATC. Con questa seconda parte sono stati affrontati tre temi: quella della ridefinizione del modello organizzativo di distretto; quello della centralità delle componenti tecnologiche e dei più innovativi fattori immateriali su cui costruire il valore del prodotto; e quello della formazione come catalizzatore del cambiamento.

2. Uno sguardo al sistema moda in Europa

Nel corso dell’ultimo decennio il sistema moda è stato uno dei maggiori protagonisti del processo di globalizzazione dell’economia. Il principale effetto di questo allargamento dei confini economici è stato un mutamento della geografia produttivo/commerciale del settore nella direzione di una crescita del ruolo dei paesi emergenti ed in modo particolare dei paesi asiatici di nuova industrializzazione.

In questo nuovo quadro di divisione internazionale del lavoro l’apparato produttivo insediati in Europa ha dovuto affrontare un processo di razionalizzazione e riposizionamento competitivo che ha inciso significativamente sulle dinamiche di sviluppo del settore. Dagli ultimi dati Eurostat, nel periodo che va dal 1993 al 2004, la produzione è infatti diminuita ad una media annua del 3,3% e questa riduzione del volume di attività ha determinato una perdita di quasi un terzo della forza lavoro presente in Europa.

All’interno di questo nuovo assetto internazionale del settore sta cambiando anche il ruolo dell’Europa negli scambi commerciali con il mondo. La vecchia Unione a 15, pur continuando a giocare un ruolo da protagonista del commercio mondiale non riesce a difendere le sue quote di mercato. Nel periodo che va dal 1999 al 2003 la sua quota sul totale delle esportazioni mondiali è infatti scesa dal 30,5 al 28,7%. Nella

4

stessa direzione è andato anche il contributo dell’america del Nord che è sceso dal 6,2% del 1999 al 4,2% del 2003.

Sul piano degli scambi commerciali, il processo di apertura internazionale ha invece favorito quelle aree di nuova industrializzazione che sono riuscite a capitalizzare un forte vantaggio sul costo del lavoro. In questo ambito si conferma il protagonismo dell’Asia orientale che, trainata dal contributo della Cina, detiene una quota di esportazioni mondiali di prodotti moda pari al 42,5% (40% nel 1999). Pur con una dimensione relativa diversa, cresce anche il ruolo dell’Asia centra che porta la sua quota di export al 6,2%.

Nonostante questa ridefinizione della geografia degli scambi verso l’aria dei paesi asiatici, è senz’altro importante evidenziare come l’Europa centro orientale, pur partendo da quote minime, stia riuscendo a ritagliarsi un ruolo che sta crescendo nel corso degli anni (2,2% la quota di export nel 2002 contro una posizione che si fermava all’1,6% nel 1999). Le cifre consegnano una situazione diversa per l’industria della moda dell’America centro meridionale che invece perde quote di mercato (5,7% nel 2003 rispetto ad un risultato del 6,6% nel 1999).

I principali esportatori di prodotti tessili e articoli di abbigliamento (% sul totale export nel mondo)

Cina 24,4%

Belgio e Lussemburgo 3,2%

Altri paesi Asia centrale

1%

Bangladesh 1,4%

Pakistan 1,5%

India 2,5%

Altri paesi Asia orientale

7%

Altri paesi UE159,4%

Europa centro orientale

2%Altri paesi europei

1%

Turchia 3,0%

America settentrionale

5%

Taiw an 2,5%

Corea del Sud 3,3%

Italia 7,3%

Germania 5,3% Messico

2,3%

Resto del Mondo

6,1%

Atri paesi America centro meridionale

3%

Francia 3,5%

Hong Kong 4,9%

Asia orientale 42,5%

Asia centrale 6,2%

UE15 30,5%

Fonte: Eurostat

Il valore del sistema moda nell’economia europea Anche dopo questa lunga fase di declino, il sistema moda continua a rappresentare un pezzo importante dell’economia manifatturiera europea. Complessivamente, nell’area UE25 i comparti moda “tessile, abbigliamento, pelletteria, calzature e concia”, realizzano 73 miliardi di euro di valore aggiunto e occupano poco più di 3 milioni di lavoratori

5

(se si allarga l’indagine anche a Romania e Bulgaria - paesi di prossima adesione - l’occupazione sale a circa 3,8 milioni e il valore aggiunto sfiora i 75 miliardi di euro).

Con questi numeri, il settore rappresenta all’interno dell’apparato manifatturiero UE a 25 circa 8,5% dell’occupazione e poco più del 4% del valore aggiunto. Questo risultato prende forma attraverso l’aggregazione di comparti con dimensioni diverse. In termini di addetti il primo comparto è l’abbigliamento con quasi 1,5 milioni di unità, seguito dal tessile che supera di poco il milioni di lavoratori e il sistema della pelletteria che si ferma a quasi 550 mila unità. Per quanto riguarda invece il valore aggiunto la situazione vede al primo posto l’apparato produttivo tessile con 32 miliardi di euro; non distante, l’abbigliamento con 28 miliardi di euro, ed infine, la pelletteria con quasi 13 miliardi di euro.

Il valore del sistema moda in Europa (UE25) - anno 2002

Valore assoluto (in migliaia di unità)

Quota % sul totale industria

Valore assoluto (in milioni di €)

Quota % sul totale industria

Tessile 1.056 2,9 31.794 1,8

Abbigliamento 1.475 4,1 28.084 1,6

Pelletteria e calzature 548 1,5 12.870 0,7

Totale sistema moda 3.079 8,6 72.767 4,1

Occupazione Valore aggiunto

Fonte: Eurostat, Structural Business Statistics (Industry, Construction, Trade and Services), Annual enterprise statistics

La configurazione geografica del settore dentro l’UE25 Dentro il perimetro europeo il settore moda si concentra largamente nell’area occidentale. Gli ultimi dati di fonte Eurostat consentono infatti di attribuire all’aggregato dei 15 paesi della vecchia Europa oltre il 90% del valore aggiunto e circa il 73% dell’occupazione. Questa configurazione geografica del settore cambia significativamente quando si allarga l’indagine anche a Romania e Bulgaria (ossia i due paesi di prossima adesione UE). In particolar modo, in termini occupazionali, l’inclusione di questi due paesi riduce la dimensione relativa dell’area occidentale dell’UE ad una quota del 60%. Resta invece sostanzialmente invariata la distribuzione del valore aggiunto che si sposta verso l’area Centro orientale per soli due punti percentuali.

Rimanendo nell’ambito UE25, il comparto dove è maggiore il contributo dell’area centro orientale è quello dell’industria dell’abbigliamento con il 34% dell’occupazione ed il 10% del valore aggiunto. Per gli altri due settori la quota dei 10 paesi di nuova adesione si ferma invece al 22% della forza lavoro e al 5% del valore aggiunto. Di nuovo, il ruolo dell’area orientale cresce in tutti i comparti quando si allarga il perimetro ai due paesi di nuova adesione. In modo particolare, l’impatto più visibile è sull’abbigliamento che in termini di occupazione registra un contributo dell’area extra-UE15 pari al 51% del totale (36% pelletteria e calzature; 29% Tessile).

6

La configurazione del settore moda per comparto e macro aree geografica - 2002

93%

71%

87%

49%

93%

64%

91%

60%

7%

29%

13%

51%

7%

36%

9%

40%

Valoreaggiunto

Addetti Valoreaggiunto

Addetti Valoreaggiunto

Addetti Valoreaggiunto

Addetti

Tessile Abbilgiamento Pelletteria e calzature Totale sistema moda

Primi 15 paesi UE 10 paesi di nuova adesione UE + Romania e Bulgaria

Fonte: Eurostat, Structural Business Statistics (Industry, Construction, Trade and Services), Annual enterprise statistics

A formare il sistema moda europeo contribuiscono in modo diverso i paesi. A questo proposito, un ruolo eccezionale spetta all’Italia che occupa saldamente la prima posizione sia per numero di addetti (20% del totale Europa a 27) che per reddito prodotto (circa il 33% del totale). Rispetto alla variabile di occupazione, il secondo posto dopo l’Italia è occupato dalla Romania con una forza lavoro pari a 540 mila unità. Come fotografato dal grafico, tra i primi cinque paesi per dimensione occupazionale ci sono anche la Polonia, la Spagna ed il Portogallo, che assorbono circa 300 mila addetti ciascuno. Da notare che dalla ripartizione dell’occupazione emerge un settore che nonostante la sua presenza diffusa, si caratterizza per una rilevante concentrazione geografica. Nel complesso i paesi dove l’apparato produttivo moda supera i 100 mila addetti sono 11 dei 27 che formano l’area dell’aggregato europeo, e solo sommando i primi 5 si realizza quasi il 60% dell’occupazione.

Occupazione del sistema moda UE27 per paese (val. assoluti in migliaia) anno 2002

Romania (RO); 540; 14%

Polonia (PL); 314; 8%

Portogallo (PT); 305; 8%

Spagna (ES); 295; 8%

Francia (FR); 248; 7%Germania (DE); 216; 6%

Regno Unito (UK); 213; 6%

Rep.Ceca (CZ); 136; 4%

Ungheria (HU); 130; 3%

Rep. Slovacca (SK); 65; 2%

Lituania (LT); 64; 2%

Belgio (BE); 52; 1%

Grecia (EL); 40; 1%

Austria (AT); 37; 1%

Slovenia (SI); 32; 1%

Paesi Bassi (NL); 28; 1%

Estonia (EE); 27; 1%

Lettonia (LV); 24; 1%

Altri paesi UE27; 61; 2%

Bulgaria (BG); 191; 5%

Italia (IT); 778; 20%

7

Dal alto del valore aggiunto, se si esclude l’Italia che consolida il suo primato con una quota di reddito che si avvicina ad un terzo del totale prodotto in Europea, la graduatoria tra gli altri paesi cambia significativamente. Come già evidente dai risultati per macro area, la larghissima parte del reddito prodotto dal settore proviene dalle imprese dell’Europa occidentale (oltre il 90% del totale). Assieme all’Italia, gli altri 4 paesi che maggiormente contribuiscono a questo risultato sono: Regno Unito, Germania e Francia, con dimensioni relative che si attestano intorno all’11% del totale, e la Spagna che occupa la quinta posizione con quasi il 9% del valore aggiunto. In questa graduatoria il primo paese dell’area centro orientale è la Polonia che contribuisce con il 3% del valore aggiunto e occupa la ottava posizione dopo il Belgio e il Portogallo. Il dato di ripartizione del valore aggiunto restituisce un fenomeno di concentrazione ancor più evidente di quello misurato sull’occupazione. Sommando i primi 5 paesi si ottiene infatti oltre il 75% della ricchezza prodotta dall’apparato produttivo moda insediato nella futura Europa a 27.

Valore aggiunto del sistema moda UE27 per paese (val. n milioni di €) -anno 2002

Italia (IT); 24356; 33%

Francia (FR); 8822; 12%

Germania (DE); 8466; 11%

Regno Unito (UK); 7875; 11%

Portogallo (PT); 3369; 5%

Belgio (BE); 2513; 3%

Polonia (PL); 1994; 3%

Austria (AT); 1465; 2%

Romania (RO); 1311; 2%

PaesiBassi(NL); 1162; 2%

Grecia (EL); 981; 1%

Rep.Ceca (CZ); 952; 1%

Spagna (ES); 6697; 9%

Altri paesi UE27; 2011; 3%

Svezia (SE); 499; 1%

Danimarca (DK); 557; 1%

Finlandia (FI); 580; 1%

Ungheria (HU); 664; 1%

Fonte: Eurostat, Structural Business Statistics (Industry, Construction, Trade and Services), Annual enterprise statistics

Profilo strutturale dell’apparato produttivo Le differenze per macro area geografica e paese non si esauriscono con il dato sulla dimensione relativa di occupazione e valore aggiunto. Un primo fattore di forte disomogeneità che sta segnando la geografia delle delocalizzazioni verso i paesi in via di sviluppo è indubbiamente il costo del lavoro. Rispetto a questa variabile il vantaggio competitivo dell’area centro orientale è particolarmente evidente. Le stime Eurostat, infatti, attribuiscono all’Europa a 15 un costo medio del lavoro di 20.000 euro contro un livello che nella media dei 12 paesi dell’area orientale si ferma a circa 4000 euro.

In realtà questa rappresentazione di un sistema fortemente polarizzato tende a sfumarsi se si accede ad una comparazione tra paesi. Analizzando la situazione dei principali paesi occidentali per dimensione del

8

settore, si scopre infatti che il costo del lavoro oscilla da un massimo di circa 30.000 mila euro della Germania per poi scendere progressivamente fino a toccare un punto di minimo con il Portogallo (4° paese per numero di occupati nel settore), che con i suoi 8,5 mila euro di costo va a sovrapporsi ai risultati della Polonia (3° paese per numero di occupati in Europa).

Ovviamente, l’area di sovrapposizione rappresenta anche il punto di maggior costo del lavoro nell’ambito dei principali paesi tessili dell’Europa Orientale. I dati riportati nel grafico descrivono infatti un contesto in cui convivono quattro diverse aree di costo: quella dei due paesi di prossima adesione (Bulgaria e Romania), che esprimono il livello di costo più basso in Europa (circa 1500 euro l’anno); c’è poi un secondo raggruppamento di 2 paesi (Lituania e Repubblica Slovacca) che si attesta attorno ai 3400 euro; il terzo aggregato è quello composto da Ungheria e Repubblica Ceca dove il costo sale intorno ai 4600 euro; ed infine, c’è la Polonia che come già sottolineato rappresentano il punto più vicino al sistema occidentale.

Il costo medio annuo del lavoro (in migliaia di €)

1,3

1,6

3,3

3,5

3,49

4,5

4,8

7,2

8,5

16,1

18,6

19,62

23,7

27,8

30,3

Bulgaria (BG)

Romania (RO)

Lituania (LT)

Repubblica Slovacca (SK)

Media nuovi 10UE + Bulgaria-Romania

Ungheria (HU)

Repubblica Ceca (CZ)

Polonia (PL)

Portogallo (PT)

Spagna (ES)

Italia (IT)

Media UE15

Regno Unito (UK)

Francia (FR)

Germania (DE)

Fonte: Eurostat, Structural Business Statistics (Industry, Construction, Trade and Services), Annual enterprise statistics

I forti differenziali di costo del lavoro non sembrerebbero segnare allo stesso modo il livello di competitività dei sistemi paese. Continuando questo esercizio di comparazione attraverso un’analisi della capacità di valore aggiunto si scopre infatti che i differenziali tra paesi sul costo si ripetono con la stessa intensità anche rispetto alla variabile di produttività apparente del lavoro. Questa forte correlazione tra costo e produttività, conferma anche nelle statistiche il persistere in Europa di un settore moda che si sviluppa su due modelli industriali le cui asimmetrie non si misurano solo attraverso i differenziali salariali, ma riguardano complessivamente una diversa capacità di dotarsi di un assetto organizzativo

9

efficiente, di sviluppare il prodotto nel suo contenuto tecnico e di design; e di predisporre una strategia commerciale e di marketing capace di valorizzazione il prodotto sul mercato.

Rapporto tra costo medio annuo del lavoro e valore aggiunto per addetto (migliaia €)

Germania

Spagna

Francia

Italia

Portogallo

Regno Unito

Rep. Ceca

Lituania Ungheria

Polonia

Rep Slovacca

BulgariaRomania

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 35,0 40,0

Costo medio del lavoro per addetto (in miglia di €)

Valo

re a

ggiu

nto

per a

ddet

to (i

n m

iglia

di €

)

Fonte: Eurostat, Structural Business Statistics (Industry, Construction, Trade and Services), Annual enterprise statistics

Le caratteristiche dell’occupazione L’elemento portante dell’assetto occupazionale del sistema moda, nonché fattore di omogeneità tra i diversi paesi UE, è senz’altro la larga presenza di donne. Come evidente dal grafico elaborato sempre su dati Eurostat, nella media dei 25 paesi UE la quota di donne assorbe infatti quasi i due terzi dell’occupazione. Tra i paesi dove esiste una presenza significativa del settore il dato oscilla dal 54% del regno unito fino a raggiungere un picco intorno all’80% in Polonia, Ungheria Repubblica Slovacca e Lituania. Questa forte caratterizzazione di genere diventa poi ancora più evidente quando si fa il confronto con il dato medio dell’economia manifatturiera. Infatti, nella media dell’industria dell’Europa a 25 il tasso di femminilizzazione del lavoro si ferma al 35% contro il 65% del tessile.

10

La presenza femminile nel sistema moda: un confronto tra i principali paesi UE per dimensione relativa del settore

53,757,2 58,2 58,7

6165

68,5

77,2 78,4 79,381,9 82,3

Reg

no U

nito

(UK)

Ger

man

ia (D

E)

Spag

na (E

S)

Fran

cia

(FR

)

Italia

(IT)

EU

-25

Porto

gallo

(PT)

Rep

. Cec

a (C

Z)

Polo

nia

(PL)

Ung

heria

(HU

)

Rep

. Slo

vacc

a (S

K)

Litu

ania

(LT)

Fonte: Eurostat, Structural Business Statistics (Industry, Construction, Trade and Services), Annual enterprise statistics

I paesi dell’UE rispetto alle specializzazioni produttive all’interno della filiera moda Continuando in questo esercizio di analisi del settore moda dell’UE, un altro dato interessante riguarda le differenze tra paesi rispetto all’articolazione di comparto su cui si compone il settore. A questo proposito, i dati di occupazione e valore aggiunto restituisce una fotografia in cui l’aria orientale, ad eccezione della Repubblica Ceca, si caratterizza per una evidente specializzazione sull’abbigliamento, mentre nei paesi della vecchia Europa la quota maggiore va attribuita al comparto tessile. A scandire questa contrapposizione, ci sono da un lato i due paesi di prossima adesione (Bulgaria e Romania) e la Lituania dove l’abbigliamento supera il 60% degli occupati e del valore aggiunto, e dall’altro lato il Regno Unito e la Germania dove le stesse cifre devono essere invece attribuite al tessile. In tutti i paesi, il comparto della produzione di calzature e pelletteria occupa per dimensione relativa la terza posizione. Le due aree dove il contributo di questo comparto è maggiore sono la Slovacca (con il 26% dell’occupazione ed il 30% del valore aggiunto), e l’Italia con quote intorno al 25%.

11

Confronto tra i principali paesi moda dell’UE25 per

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Rom

ania

Bulg

aria

Ung

heria

Rep

. Slo

vacc

a

Litu

ania

Porto

gallo

Polo

nia

Italia

Spag

na

Fran

cia

Reg

no U

nito

Ger

man

ia

Rep

.Cec

a

Valore aggiunto

Pelletteria e calzature

Abbigliamento

Tessile

Bulg

aria

Rom

ania

Ung

heria

Polo

nia

Rep

. Slo

vacc

a

Litu

ania

Porto

gallo

Italia

Spag

na

Fran

cia

Rep

.Cec

a

Ger

man

ia

Reg

no U

nito

Occupazione

Fonte: Eurostat, Structural Business Statistics (Industry, Construction, Trade and Services), Annual enterprise statistics

3. Principali risultati dell’industria italiana della moda negli ultimi 5 anni: alcuni dati generali

3.1 La dinamica della produzione e delle vendite In questo nuovo contesto di crescente apertura delle economie nazionali e forte protagonismo dei paesi in via di sviluppo anche il sistema moda italiano evidenzia una chiara difficoltà a difendere il suo posizionamento competitivo. Nell’ultimo quinquennio (2001 – 2005), senz’altro un periodo di accelerazione del processo di globalizzazione oltre che di complessivo rallentamento dell’economia europea e di rafforzamento dell’euro, il sistema moda ha infatti fatto registrare non solo una forte riduzione della produzione nazionale ma anche una perdita di fatturato (sceso da quasi 96 miliardi nel 2001 a poco più di 80 miliardi nel 2005) e di vendite all’estero (diminuite dell’11%).

Questa criticità dell’apparato produttivo moda emerge in modo evidente anche dal confronto con l’andamento medio dell’aggregato manifatturiero il quale pur segnando una riduzione della produzione (-6% il risultato 2005 rispetto al 2001) realizza una leggera crescita del fatturato (+3,5%) e dei flussi commerciali verso l’estero (+7,5%).

Come evidente dal grafico che segue, nessuno dei macro comparti su cui prende forma il sistema moda è riuscito ad imporsi in questa fase di ridefinizione dell’assetto competitivo del settore. Infatti, nonostante evidenti differenze di intensità, nei cinque anni che vanno dal 2001- al 2005, tessile, abbigliamento e pelletteria, segnano una perdita sia della produzione nazionale che del fatturato. L’unico dato in controtendenza è quello delle vendite all’estero di prodotti dell’abbigliamento che diversamente dagli altri comparti resta fermo ai livelli del 2001

12

Dinamica % della produzione, fatturato ed export nel periodo 2001-2005

Tessile Abbigliamento Pelletteria e calzature

Totale attività manifatturiere

2001/2005 -17% -22% -29% -5,9%

2005/2004 -4% -12% -9% -2,5%

2001/2005 -23% -5% -12% 3,5%

2005/2004 -7% -6% 0% 0,8%

2001/2005 -17% 1% -14% 7,4%

2005/2004 -5% 4% -2% 4,2%

PRODUZIONE

FATTURATO

EXPORT

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

3.2 l’evoluzione degli scambi con l’estero per prodotto e destinazione

Per il sistema moda che realizza fuori dai confini nazionali quasi la metà del suo fatturato, l’andamento degli scambi commerciali con l’estero rappresenta un indicatore essenziale per ricostruire un quadro ragionato sui risultati di competitività del settore.

A questo proposito, attraverso i dati Istat è stata analizzata la dinamica negli ultimi cinque anni dei flussi commerciali con l’estero per settore e area geografica.

I dati, come evidente dalle tabelle che seguono non sono confortati. Complessivamente, nel periodo 2001-2005, la combinazione di un rafforzamento dell’euro sul dollaro, l’avanzare della concorrenza dell’industria tessile dei paesi a basso costo del lavoro, e un diffuso rallentamento dei consumi in Europa (principale area di sbocco dei prodotti moda italiani), hanno determinato: una crescita delle importazioni del 7%, che hanno spinto il valore complessivo dei prodotti moda acquistati all’estero vicino ai 22 miliardi di euro, a cui si associa una diminuzione dell’export di quasi 5 miliardi di euro (pari ad una variazione dell’11% rispetto al 2001) portando il valore delle vendite all’estero a poco più di 38 miliardi di euro. Naturalmente questa divergenza nella dinamica dei flussi commerciali ha indebolito la posizione netta dell’Italia che è scesa del 27% portando il saldo commerciale del settore a poco meno di 17 miliardi di euro.

A questo arretramento della competitività internazionale non contribuiscono allo stesso modo i tre macro comparti su cui prende forma il settore. Come anticipato nel paragrafo precedente, l’abbigliamento, infatti, riesce a difendere la sua presenza all’estero (+1% la variazione dell’export nel periodo 2001-2005), mentre tessile e pelletteria arretrano rispettivamente del 17% e del 14%. Il confronto tra comparti rileva invece una situazione diversa dal lato delle importazioni: in cinque anni cresce in valore del 30% l’acquisto di prodotti dell’abbigliamento dall’estero; mentre per la pelletteria e il tessile si registrano variazioni meno marcate e poco distanti dai risultati del 2001.

13

Flussi commerciali verso il resto del mondo nel periodo 2001-2005

in valore in %

import 6.986 -486 -7%

export 13.942 -2.923 -17%

saldo 6.956 -2.437 -26%

import 8.191 1.927 31%

export 12.037 166 1%

saldo 3.846 -1.761 -31%

import 6.484 33 1%

export 12.479 -2.086 -14%

saldo 5.995 -2.118 -26%

import 21.662 1.473 7%

export 38.459 -4.843 -11%

saldo 16.797 -6.316 -27%

import 244.482 23.499 11%

export 285.224 19.733 7%

saldo 40.742 -3.765 -8%

Totale attività manifatturiere

Valore 2005 (in milioni €)

Tessile

Variazione 2005/2001

Abbigliamento

Pelletteria e calzature

Totale sistema moda

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Analizzando gli scambi commerciali per area geografica si scopre che l’arretramento delle vendite all’estero, benché ampiamente generalizzato, può essere imputato in larga parte ad una perdita di competitività nell’area dell’UE a 15 e nel mercato Nord americano. Nell’aggregato dei 15 paesi di prima adesione UE, che ancora oggi rappresenta il 45% del fatturato all’estero del sistema moda italiano, il periodo 2001-2005 è segnato da una riduzione dell’export pari al 16% (che corrisponde ad una perdita in valore di 3,3 miliardi di euro). Studiano la situazione per singolo paese, emerge in tutta evidenza un problema di tenuta competitiva che riguarda 13 dei 15 stati della vecchia unione. In controtendenza vanno solo Spagna e Grecia dove l’export aumenta rispettivamente dell’11% e del 4%. Tra le aree UE15 dove si registra un arretramento, la Germania, il primo mercato per l’Italia, è anche il mercato su cui si registra la perdita più grave (-33% pari a una diminuzione del valore delle vendite di oltre 2 miliardi di euro).

Sempre in Europa, un andamento delle vendite in controtendenza all’UE a 15 riguarda l’aggregato PECO dove in cinque anni l’export è aumentato dell’8%, diventando il secondo mercato (con una quota del 18% delle esportazioni dall’Italia) dopo l’area occidentale. Ovviamente, si tratta di un flusso commerciale che per una sua parte prende forma per effetto di transazioni temporanee legata ai processo di delocalizzazione produttiva. Un caso emblematico di questa natura degli scambi è la dimensione delle vendite verso la Romania che oggi rappresenta il settimo mercato per l’Italia con una valore dell’export che sfiora i 2 miliardi di euro. In ogni modo, la costante crescita della capacità di consumo di quest’area dell’Europa sta diventando anche una opportunità di commercializzazione del Made in Italy, e questo trova conferma nella forte espansione degli acquisiti provenienti dalla Russia che nel 2005 è diventato un mercato che per l’Italia ha un valore pari a 1,4 miliardi di euro (+32% rispetto al 2001).

L’Europa oltre ad essere la principale area di sbocco delle vendite all’estero dell’industria della moda italiana, rappresenta anche il primo mercato di provenienza delle importazioni con una dimensione pari al

14

50% del totale. Naturalmente, a trainare le vendite verso l’Italia sono i paesi dell’area centro orientale che, grazie ad un processo di crescente specializzazione settoriale in parte sostenuto dalla presenza di multinazionali Italiane, sono riusciti a difendere la loro posizione (+6% le vendite del 2005 rispetto al 2001, per una quota pari al 24% dell’import totale), nonostante la concorrenza proveniente dall’Asia.

Scambi commerciali del sistema moda verso l'estero per macro area geografica

var. 05/'01 var. 05/'01 2005 2001

in mil. € Quota % in % in mil. € Quota % in %

UE15 5.381 24,8 -7,7% 17.503 45,5 -15,8% 12.122 14.972

UE25 6.522 30,1 -8,3% 19.338 50,3 -15,8% 12.816 15.859

Europa centro orientale 5.151 23,8 5,6% 6.899 17,9 7,8% 1.747 1.517

Totale Europa 11.721 54,1 0,9% 27.490 71,5 -7,9% 15.768 18.234

Africa 1.529 7,1 -9,0% 1.172 3,0 -8,7% -357 -396

America settentrionale 242 1,1 -14,5% 3.620 9,4 -31,4% 3.379 4.993

America centro meridionale 568 2,6 -32,5% 405 1,1 -33,2% -162 -235

Asia centrale 1.697 7,8 17,4% 248 0,6 35,4% -1.450 -1.263

Asia orientale 5.477 25,3 53,4% 4.623 12,0 -9,4% -853 1.530

Resto del mondo 428 2,0 -43,0% 901 2,3 -10,0% 472 250

TOTALE 21.662 100 7,3% 38.459 100 -11,2% 16.797 23.114

in milioni €

import export saldoanno 2005 anno 2005

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Continuando in questo esercizio di analisi dei flussi commerciali per macro area, come già anticipato nella prima parte del paragrafo, merita una particolare attenzione l’andamento delle vendite verso il Nord america. In cinque anni le vendite sono infatti diminuite del 31% e il valore complessivo delle vendite è sceso a 3,6 milioni di euro (pari ad una quota sul totale export del 9,4%). Senz’altro questa forte perdita di posizioni sul mercato americano può essere spiegata da un rapporto di cambio sfavorevole all’euro, nonostante questo non si può fare a meno di notare che i numeri dell’export verso l’area, esprimono una difficoltà a sviluppare una strategia efficace di penetrazione commerciale verso quello che ancora oggi rappresenta il principale mercato del mondo.

Nella stessa direzione sono andati anche gli scambi con l’America centro meridionale. Anche questo un importamene mercato in crescita dove però l’Italia arretra del 33% portando il valore delle esportazioni a 400 milioni di euro.

Un'altra area che si inserisce prepotentemente nella nuova geografia degli scambi dell’Italia verso il resto del mondo è l’Asia. Il tratto che emerge in modo evidente è l’intensificazione delle importazioni dall’area orientale che dopo una crescita in cinque anni del 53%, assorbe oggi il 25% degli acquisiti dell’Italia dall’estero. Come noto, questo risultato è da attribuire largamente alla Cina, una paese che per effetto della liberalizzazione (giunta alla sua realizzazione definitiva nel 2005) è riuscito a capitalizzate un vantaggio

15

competitivo che prende forma attraverso la combinazione di una significativa tradizione tessile, un’ampia capacità produttiva e uno straordinario vantaggio sui costi. Grazie a queste condizioni l’industria cinese in soli cinque anni è riuscita a raddoppiare le vendite verso l’Italia, assorbendo in questo modo quasi il 20% degli acquisti dall’estero di prodotti moda.

Come si evince dalla lettura dei dati presenti nella tabella che segue, nessuno comparto è immune dalla pressione dell’industria cinese, ciò nonostante, il vestiario che assorbe il 45% degli acquisti dalla Cina (26% la quota tessile e 28% la quota pelletteria) e quasi un quarto del totale import di prodotti del comparto (la quota si ferma al 16% nel tessile e raggiunge il 19% nella pelletteria) è senz’altro quello più esposto alla penetrazione di prodotti cinesi.

A fronte di questa progressione dell’import non è corrisposto una accelerazione delle esportazioni sufficienti a compensare la posizione commerciale dell’Italia verso la Cina. Pur in una dinamica di crescita (+25% nel periodo 2001-2005) , le vendite sul mercato cinese si fermano infatti a poco più di 450 milioni di euro. Una distanza rispetto al volume delle transazioni in entrata che si traduce in un saldo negativo per quasi 4 miliardi di euro.

Altrettanto sbilanciata, anche se i volumi sono largamente inferiori, è la posizione verso l’Asia centrale. Nel 2005, a fronte di esportazioni pari a 250 milioni di euro gli acquisti sono balzati a poco meno di 1,7 miliardi di euro. In quest’aria il primo paese per valore degli scambi è l’India con vendite verso l’Italia che hanno raggiunto il miliardo di euro (+18% nel 2005 rispetto al 2001) seguita da Pakistan e Bangladesch che realizzano entrambi un risultato di circa 300 milioni di euro.

Scambi commerciali di prodotti moda tra Italia e Cina

Valori (in milioni di €) Quota % Valori (in milioni

di €) Quota % Var.% 2005/2001

Quota % sul totale flussi commerciali con

l'estero

Import

Tessile 624 27,6 1.133 26,2 82% 16,2%

Abbigliamento 933 41,2 1.952 45,2 109% 23,8%

Pelletteria e calzature 705 31,2 1.236 28,6 75% 19,1%

Totale sistema moda 2.262 100,0 4.321 100,0 91% 19,9%

Export

Tessile 160 43,5 196 42,5 22% 1,4%

Abbigliamento 20 5,6 56 12,2 174% 0,5%

Pelletteria e calzature 188 50,9 209 45,4 11% 1,7%

Totale sistema moda 369 100,0 461 100,0 25% 1,2%

Saldo

Tessile -463 .. -938 .. .. ..

Abbigliamento -912 .. -1.896 .. .. ..

Pelletteria e calzature -518 .. -1.026 .. .. ..

Totale sistema moda -1.893 .. -3.860 .. .. ..

ANNO 2001 ANNO 2005

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

16

L’esercizio sin qui svolto di ricostruzione dei flussi commerciali per macro area geografica restituisce un quadro abbastanza chiaro delle specificità della presenza internazionale del sistema moda. Un primo tratto che emerge in modo evidente è senza dubbio la straordinaria concentrazione delle vendite del settore verso l’Europa occidentale a fronte di una debole presenza dei prodotti italiani sui mercati extra UE sia quelli di prima e più antica industrializzazione come l’America del Nord che quelli di nuovo sviluppo oggi in forte crescita (Asia e America del Sud). Senza dubbio, questo sbilanciamento verso i paesi dell’Europa occidentale, i cui mercati sono meno dinamici di quelli asiatici ed americani, ci consegna un primo ed importante fattore di criticità che sta frenando la crescita del settore.

Una situazione che è possibile ricondurre in via prioritaria ad almeno tre ragioni: la prima, attiene alle caratteristiche del tessuto produttivo che come vedremo in modo più dettagliato nei capitolo 3 e 6, prende forma su un modello di agglomerazione di micro e piccole imprese che ancora oggi privilegiano la competizione alla collaborazione. Questo approccio organizzativo, come più volte confermato dalle diverse indagini sul settore, non consente di raggiungere una dimensione adeguata per accedere ad un livello di risorse finanziarie e di know how manageriale ed operativo, sufficienti a sviluppare una strategia di internazionalizzazione commerciale anche nella direzione di quelle aree di consumo extra UE dove non si realizzano quei vantaggi di relazione dati da una maggiore prossimità geografica e culturale; una

seconda ragione che contribuisce a spiegare le difficoltà del sistema moda italiano a sviluppare la sua presenza commerciale fuori dai confini europei, ed in modo particolare verso i paesi di nuova industrializzazione del continente asiatico, riguarda un problema di asimmetria della concorrenza che prende forma non solo per effetto di differenziali di costo che spesso si allargano per effetto di vere e proprie forme di dumping; ma anche per effetto di un sistema di regole tariffarie e non tariffarie che di fatto configurano un ostacolo alla pratica della reciprocità commerciale prevista dal WTO; infine, una

terza ragione che senz’altro aiuta a capire il ritardo della presenza commerciale extra UE può essere rintracciata in una impostazione strategica largamente diffusa tra le imprese moda che per lungo tempo hanno attribuito alle aree di nuova industrializzazione principalmente un ruolo nella riorganizzazione dell’assetto produttivo per capitalizzare i differenziali di costo dei fattori, trascurando invece le potenzialità commerciali di quei mercati.

3.3 L’impatto occupazione

La flessione delle vendite e della produzione nonché l’impegno di molte imprese ad adeguare la configurazione strategico-organizzativo rispetto ai cambiamenti del contesto competitivo, non ha mancato di incidere in modo rilevante sui livelli occupazionali.

Nel corso di cinque anni il settore moda ha parso poco più di 100 mila addetti, che corrisponde ad una riduzione del 12% rispetto ai livelli registrati nel 2001. Una situazione di straordinaria gravità se si pensa che nello stesso periodo la media del settore manifatturiero segnava un perdita pari al 2%.

Dal confronto dei risultati annuali sull’occupazione, si scopre che oltre la metà delle espulsioni si concentrano nel 2005 (-53 mila addetti rispetto al 2004).

17

Tutti i macro comparti sono andati nella stessa direzione: sempre nello stessi periodo (2001-2005) l’occupazione è infatti diminuita del 9% nelle Confezioni (che corrisponde a -29 mia addetti), del 15% nella pelletteria (-32 mila addetti) e del 14% nel tessile (-43 mila addetti). A seguito di questo processo di espulsione, gli addetti complessivi del sistema moda sono scesi a 737 mila unità, di cui 264 sono lavoratori del tessile, 298 mila dell’abbigliamento e 175 mila della pelletteria.

Anche in quest’ultimo quinquennio, come più volte accaduto nelle fasi di forte difficoltà del settore, alla diminuzione degli addetti hanno contribuito con intensità diverse le due categorie del lavoro. I dati disaggregati restituiscono infatti perdite che si attestano a poco più del 6% tra gli autonomi (-10 mila unità), mentre il volume dell’occupazione dipendente arretra per oltre il 13% (-94 mila unità). Naturalmente queste differenze hanno prodotto una modificazione dell’assetto occupazionale nella direzione di un rafforzamento della componente di lavoro autonomo che oggi rappresenta una quota vicina al 19% del totale degli addetti del settore.

Occupazione nel periodo 2001-2005 (in unità di lavoro standard)

Tessile Abbigliamento Pelletteria e calzature

Tot.sistema moda

Totale attività manifatturiere

Unità 2005 - in migliaia 264 298 175 737 4.779

in valore - 43 - 29 - 32 - 103 - 100

in % -13,9% -8,9% -15,3% -12,3% -2,1%

in valore - 19,3 - 19,9 - 14,5 - 53,7 - 79,6

in % -6,8% -6,3% -7,6% -6,8% -1,6%

Unità 2005 - in migliaia 226 233 142 600 3.984

in valore - 37 - 28 - 29 - 94 - 76

in % -14,1% -10,7% -17,0% -13,5% -1,9%

in valore - 14,1 - 16,7 - 9,8 - 40,6 - 37,8

in % -5,9% -6,7% -6,5% -6,3% -0,9%

Unità 2005 - in migliaia 38 65 34 137 795

in valore - 6 - 1 - 3 - 10 - 25

in % -12,9% -1,7% -7,4% -6,5% -3,0%

in valore - 5,2 - 3,2 - 4,7 - 13,1 - 41,8

in % -11,9% -4,7% -12,2% -8,7% -5,0%

Tota

le Var. 2005/2001

Var. 2005/2004

Var. 2005/2001

Var. 2005/2004Dip

ende

nti

Indi

pend

enti

Var. 2005/2001

Var. 2005/2004

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

4. Il profilo strutturale dell’industria della moda italiana

4.1 Il contributo del settore moda all’economia nazionale Pur in una fase di forte razionalizzazione del settore e perdita di posizione nel quadro della competizione mondiale, il sistema moda italiano continua a giocare un ruolo da protagonista. A livello nazionale, secondo gli ultimi dati Istat il settore contribuisce al 15% dell’occupazione manifatturiera, al 10% del valore aggiunto e al 13% delle vendite di prodotti all’estero.

Ma al di la di queste cifre più generali, il valore del sistema moda diventa ancora più evidente se misurato anche rispetto al suo contributo al fatturato dei principali settori verso cui si rivolge per i suoi acquisti

18

esterni di prodotti intermedi. Su questo versante, nell’ambito dell’industria manifatturiera, i dati delle tavole input-output ci consegnano un quadro delle interdipendenze settoriali in cui il sistema moda rappresenta il primo committente dell’industria chimica (esclusa la componente farmaceutica) e della gomma plastica con quasi 8 miliardi di acquisti (pari al 17% del totale delle vendite di prodotti intermedi verso operatori esterni al settore).

Ripartizione % delle vendite dell’industria chimica (esclusa l’attività farmaceutica) e della gomma plastica verso altri settori

in milioni di euro quota%

Sistema moda 7 910 17,2

Mezzi di trasporto 3 652 7,9

Macchine ed apparecchi meccanici 3 565 7,7

Apparecchi elettrici, per la comunicazione, macchine per ufficio, computer, strumenti medicali, di precisione e orologi

3 407 7,4

Metalli e fabbricazione di prodotto in metallo esclusi apparecchi e macchine 3 170 6,9

Trasporti e attività ausiliarie dei trasporti 2 990 6,5

Carta, editoria e stampa 2 892 6,3

Costruzioni 2 678 5,8

Prodotti del legno (inclusi mobili) 2 266 4,9

Commercio 2 136 4,6

Industrie alimentari 1 740 3,8

Minerali non metalliferi 1 625 3,5

Agricultura 1 478 3,2Energia elettrica, gas, acqua e smaltimento rifiuti 1 124 2,4

Alberghi, ristoranti e attività ricreative 676 1,5

Servizi finanziari e assicurativi 529 1,1

Altri servizi 3 538 7,7

Altre attività dell'industria 685 1,5

Totale vendite di prodotti intermedi ad imprese esterne al settore 46 062 100,0

Totale vendite di prodotti intermedi ad imprese della filiera chimica e della gomma plastica

31 405 ..

Valore degli impieghi di prodotti dell'industria chimica e gomma-plastica per settore

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Un’altra area dell’economia verso cui si registra un contributo importante del sistema moda per dimensione degli acquisti è quello dei servizi. La spinta del settore verso una crescente attenzione ai contenuti immateriale del prodotto moda, l’allungamento della filiera verso il mercato al consumo attraverso una integrazione operativa con la distribuzione, l’allargamento operativo verso mercati extra nazionali, e una generale esigenza di migliorare gli standard di qualità dei processi e dei prodotti, sono indubbiamente elementi che hanno generato un crescente fabbisogno dell’impresa moda di investire in servizi esterni specializzati. Oggi, in termini di valore, l’apparato produttivo TAC acquista servizi (escluse le utilities) pari a circa 13 miliardi di euro. Con questa cifra il settore assorbe il 13% del totale dei servizi venduti nell’ambito della trasformazione industriale e occupa la prima posizione assieme al comparto delle macchine ed apparecchi meccanici. Come evidente dalla tabella sotto riportata, dalla

19

declinazione per macro comparto elaborata nelle tavole input-output emerge che l’area del terziario dove si concentrano maggiormente gli acquisto del settore moda è quella delle attività professionali con una spesa pari a 5,5 miliardi. Sempre rispetto al valore della spesa occupano una posizione rilevante anche i servizi di tipo commerciale (2,3 miliardi di euro), quelli finanziari (1,8 miliardi) e le attività di trasporto (poco oltre un miliardo).

L’acquisto di servizi (escluse le utilities) nel manifatturiero e nel settore moda

Trsformazione industriale Sistema moda

Prestazioni di tipo commerciale 14 921 2 382

Alberghi, ristoranti e attività culturali e ricreative 5 257 564

Trasporti e servizi ausiliari 14 183 1 036

Poste e telecomunicazioni 4 024 423

Intermediari finanziari, assicurazione e servizi ausiliari 12 379 1 778

Attività immobiliari e servizi di noleggio 5 719 858

Computer e servizi connessi 2 540 178

Attività professionali 37 491 5 454

Altri servizi 1 510 203

Totale servizi escluse le utilities 98 025 12 876

Acquisto di servizi in miliardi di €

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Un ultimo aspetto a cui deve essere rivolta l’attenzione quando si analizza il contributo dell’industria della moda all’economia nazionale riguarda l’occupazione femminile. I dati elaborati da Hermes Lab nel suo rapporto “Il sistema integrato della Moda, un settore al femminile” ci consegnano infatti un quadro occupazionale in cui rispetto ad un dato medio di presenza femminile nell’industria manifatturiera pari al 30%, i comparti moda occupano le prime tre posizione con livelli che oscillano dal 76% nelle confezioni al 58% nel tessile e 47% nelle calzature. Con questi numeri l’imprenditoria moda contribuisce a poco più di un terzo del totale delle donne occupate nella trasformazione industriale. Indubbiamente un risultato rilevante se riportato all’interno di un mercato del lavoro nazionale in cui il divario di tasso di occupazione e di attività rispetto alla variabile di genere continua ad essere straordinariamente elevato.

Ma come fa ben notare Lorenzo Birindelli - sempre nel rapporto di Hermes lab – quando si vuol analizzare la presenza femminile nel settore e il suo contributo all’economia nazionale sarebbe fuorviante limitare l’osservazione ai soli dati di occupazione. In questo settore infatti si trova concentrata anche una forte componente dell’imprenditoria femminile. Secondo i dati di Movimprese-Infocamere, l’insieme delle industrie della moda è l’unico settore in cui le imprenditrici (oltre 33.500, pari al 52%) sono più degli imprenditori. Un risultato straordinariamente importante se pensa che nemmeno nel settore del commercio e del turismo si trovano quote così elevate di imprenditorialità femminile (40%) e che nella media dell’economia manifatturiera il dato si ferma al 23%.

20

4.2 Struttura ed evoluzione della filiera moda

In questa parte del lavoro verrà fatto il tentativo di studiare la struttura ed evoluzione dell’economia moda guardando al complesso di attività manifatturiere e di servizio che contribuiscono alla formazione del valore del prodotto. La crescita dell’importanza del contenuto immateriale del prodotto e la rilevanza assunta da componenti non strettamente industriali rende infatti non più valido un approccio di analisi basato sulla nozione tradizionale di settore, ed impone invece di accedere ad un concetto più esteso di filiera moda. La filiera è infatti l’unica chiave di lettura che consente di rappresentare l’effettiva articolazione di attività di produzione e servizi (opportunamente segmentata al suo interno per distinguere le fasi a monte o a valle della catena del valore) attraverso cui si realizza quel processo integrato che genera il valore finale del prodotto.

Sulla base di questo criterio-guida, come scrive Marco Ricchetti nel Rapporto di Hermes Lab “Sistema integrato della moda, un settore al femminile” il sistema moda può essere rappresentato come una piattaforma operativa in cui convivono tre componenti: le industrie manifatturiere che realizzano materialmente i prodotti; le attività di servizio che contribuiscono a conferire valore immateriale ai beni, e le attività di trade.

In sintesi, in questo passaggio da settore a sistema, l’economia moda, come esemplificato dalla figura che segue per la parte che riguarda il solo tessile-abbigliamento, diventa l'insieme delle aziende e delle attività che concorrono alla realizzazione, distribuzione e commercializzazione di un prodotto.

All’interno di questa architettura della filiera organizzata su tre macro aree di attività la componente industriale che tradizionalmente viene identificata con l’economia moda può essere declinata su diversi sistemi manifatturieri, tra cui quelli principali sono: quello del tessili – abbigliamento (TA) e quello della concia e fabbricazione di prodotti in cuoio (ossia, calzature e pelletteria). Entrambi i sistemi si sviluppano su una pluralità di fasi di lavorazione: in ambito TA la produzione manifatturiera comprende un processo a monte di lavorazione di fibre che possono essere naturali o di origine polimerica, e di fabbricazione di superfici tessili (filatura, tintoria e finissaggio, tessitura), e un processo a valla che consiste nella trasformazione di questi materiali tessili in prodotti finiti che vanno dall’abbigliamento e accessori per la persona fino ai diversi prodotti per la casa. L’industria della pelle e calzature, per quanto più semplice, presenta anch’essa un sistema produttivo articolato che va dalle fase della concia e predisposizione dei prodotti intermedi fino all’assemblaggio dei prodotti finiti tra cui quelli principali sono i diversi accessori in pelle, le calzature, borse e valige.

21

Fonte: Tex-Map project

Per quanto riguarda invece l’area dei servizi, una possibile ricostruzione è quella proposta sempre da Hermes Lab secondo cui le molteplici attività immateriali che contribuiscono a dare valore al prodotto possono essere ordinate combinando un primo livello che fa riferimento al contenuto e segmento della filiera moda su cui agisce ed un secondo livello rispetto al grado di specializzazione moda dello stesso servizio.

Seguendo questo duplice criterio, come riportato dalla figura che segue, il sistema dei servizi può essere declinato su: quattro aree di attività • i servizi creativi e tecnici di progettazione dei prodotti; • la comunicazione e l’editoria; • le attività legate al trade, e più in generale, al rapporto con i clienti; • i servizi di consulenza gestionali ed organizzativi.

tre livelli di specializzazione • specializzati per la moda, ossia, quei servizi utilizzati esclusivamente (o quasi esclusivamente) dalle imprese del sistema moda (tra cui quelli principali sono gli studi di stile, stampa specializzata, agenzie di modelle per le sfilate, organizzazione di fiere specializzate ecc); • a forte prevalenza della moda, ossia, quei servizi intensamente utilizzati dal sistema moda anche se non dedicati al settore in modo esclusivo (rientrano indubbiamente in questo ambito la stampa per quanto riguarda le riviste femminili, la gestione degli spazi urbani per l’organizzazione di eventi, fotografi, società di analisi dei trend culturali ecc.);

• generali, ossia, quei servizi che ogni sistema metropolitano offre al sistema delle imprese (spazi espositivi, trasporti e centri per la logistica, reti di telecomunicazioni, servizi finanziari, consulenza, spazi di produzione culturale, ecc.).

22

La mappa dei servizi per la moda

Fonte: Hermes lab

Infine, la terza componente della filiera è quella del trade, che come noto dall’inizio degli anni novanta sta assumendo un importanza crescente nel processo di valorizzazione dei prodotti moda. La peculiare importanza del settore distributivo per la moda deriva dalla rilevanza delle componenti immateriali di comunicazione ed immagine incorporate nei prodotti nonché dalla necessità di intercettare in modo sempre più efficace i continui mutamenti dei gusti dei consumatori.

In questa prospettiva, si assiste ad un processo di strutturale ammodernamento del sistema distributivo nella direzione di formule più organizzate di retail dove accanto ad un maggior investimento nella qualità del punto vendita anche come luogo della comunicazione, il principale elemento di novità riguarda il rafforzamento dell’integrazione con la produzione fino in alcuni casi a realizzare un vero e proprio controllo di quest’ultima sui canali di vendita attraverso lo sviluppo di una rete dei negozi propri e in franchising o per mezzo di joint-venture.

Con questo rafforzamento della sinergia tra produzione e distribuzione, oggi diffuso principalmente nell’ambito delle imprese caratterizzate da marchi di prestigio, è stato infatti possibile moltiplicare i benefici di reddito per l’intero sistema grazie ad una maggior capacità di controllo e coerenza dell’intero “teatro della rappresentazione dell’immagine” del prodotto e una maggior efficacia nell’interpretare i segnali deboli del consumatore e attrezzare una riposta di prodotto e servizio commerciale coerente alle esigenze più consapevoli e sofisticate di quella fascia di consumatori – principale target del Made in Italy - che si è emancipata dall’acquisto di massa.

23

4.3 Le trasformazioni dell’apparato manifatturiero

Un primo contributo per misurare statisticamente le modificazioni all’interno della filiera moda è senz’altro l’analisi delle variazioni della dimensione occupazione e del peso relativo dei diversi comparti su cui si formano l’apparato manifatturiero del sistema tessile-abbigliamento e del sistema della pelletteria e calzature.

Per svolgere questo esercizio verranno utilizzati prima i dati di contabilità nazionale che consentono una rappresentazione delle trasformazioni per macro settore e poi quelli di censimento che come noto sono l’unica fonte per accedere ad una informazione dettagliata sul comportamento di ciascun comparto su cui si forma il processo manifatturiero dei due sistemi oggetto di analisi.

Naturalmente non va dimenticato che l’utilizzo del censimento se da un lato offre il vantaggio di una analisi che consente di mettere in luce le trasformazioni per singole attività e per segmento del processo manifatturiero, dall’altro lato presenta il limite del periodo che come noto si ferma ai risultati del 2001. Ciò evidentemente esclude la possibilità di utilizzare questa fonte per decifrare l’impatto della crisi dell’ultimo quinquennio anche a livello di singolo comparto.

Fatta questa premessa, il primo dato utile all’obiettivo di questo esercizio è senz’altro quello di contabilità nazionale sulla dimensione occupazionale dei tre macro settori del sistema moda in una serie storica lunga che va dal 1991 al 2005.

Come mostra il grafico, nel corso degli ultimi 15 anni l’intero apparato produttivo riconducibile al sistema moda è stata colpita da un notevole processo di ridimensionamento. In termini di occupazione, l’aggregato tessile, abbigliamento e pelletteria è passato da quasi 1.100 mila unità di lavoro nel 1991 a poco più di 840 mila nel 2001, per poi continuare la discesa nel periodo della crisi dell’ultimo quinquennio fino a 740 mila addetti. Complessivamente, le crisi e ristrutturazioni che hanno attraversato il sistema moda dall’inizio degli anni novanta hanno prodotto una contrazione dell’apparato manifatturiero di circa 350 mila addetti, pari ad una variazione del 32% rispetto al livello occupazionale del 1991. A fronte di questa tendenza generale, non si registrano differenze particolarmente visibili tra settori a monte e a valle della filiera: il tessile oggi ha una dimensione industriale di circa 260 mila addetti dopo aver perso il 30% della forza lavoro nel periodo 1991-2005; per le imprese dell’abbigliamento la capacità occupazionale si ferma a poco meno di 300 mila unità di lavoro dopo una contrazione nello stesso periodo del 35%; ed infine, per quanto riguarda l’apparato industriale della concia e pelletteria gli occupati sono 175 mila e il ridimensionamento rispetto al 1991 supera anche in questo caso il 30%.

24

Struttura occupazionale della componente manifatturiera del sistema moda: cambiamenti per macro settore nel periodo 1992-2005

378307 264

256

207

175

327298

457

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1.000

1.100

1992 2001 2005

Uni

tà d

i lav

oro

(in m

iglia

ia)

Industrie conciarie, prodotti in cuoio, pelle e similari

Confezioni di articoli di abbigliamento

Industrie tessili

Fonte: elaborazioni su dati Istat

Come già anticipato, con i dati del censimento è possibile fare un passo avanti nella conoscenza dei cambiamenti strutturali all’interno della filiera moda guardando alla situazione di occupazione ed imprese per comparto e segmenti di attività. Disaggregando il processo manifatturiero per specifica attività economica è infatti possibile ricostruire quanto è accaduto all’interno della filiera, separando le diverse produzioni rispetto alla loro capacità di rinnovarsi e difendere l’occupazione

Il comparto della filatura Il complesso dell’attività di filatura in dieci anni perde il 30% delle sue imprese e poco oltre il 20% dei suoi addetti. L’analisi disaggregata del comparto consente di osservare con quale diversa intensità la crisi abbia colpito i diversi segmenti di questa attività economica.

Il primo dato che salta agli occhi guardando le cifre della tabella riguarda il crollo dei filati di cotone e lino. Due attività che nel decennio 1991-2001 hanno perso oltre il 40% degli addetti. Nella stessa direzione anche se con risultati meno drammatici vanno i filati cucirini (-24% gli addetti) e il segmento della seta assieme ai prodotti artificiali e sintetici (-16%).

Più articolata è la situazione nelle attività laniere dove si registra una dinamica divergente tra la lavorazione cardata e quella pettinata. La filatura della lana pettinata perde il 37% degli operatori, ma è una delle poche realtà dove si registra una crescita occupazionale, peraltro significativa (+19%). All’opposto la situazione del cardato, dove le imprese si sono ridotte ad un terzo di quelle registrate nel 1991, con una perdita di addetti superiore al 49%.

Infine quelle attività che vanno sotto il nome di altre fibre tessili (Iuta, rafia, filati di carta) costituiscono un’eccezione completa al quadro sinora delineato. Si tratta come evidente dalla stessa tabella di un segmento che in 10 anni triplica il numero delle imprese e aumenta del 177% il numero degli addetti.

Con questi numeri subisce modificazioni importanti il comparto sia in termini di rilievo delle diverse attività che di caratteristiche dimensionali delle sue unità produttive. Precisamente, nella filatura le principali vittime della crisi sono state le micro e piccole imprese e questo ha determinato una consistente crescita della dimensione media delle sue unità produttive. Straordinariamente importante è stato il

25

movimento sulla lana pettinata dove si passa da una dimensione di 12 addetti/impresa del 1991, a una nuova situazione dove gli occupati per unità diventano oltre 22.

Naturalmente, le differenze nella dinamica di occupazione e imprese ha spostato il peso relativo delle attività all’interno del comparto. Dopo 10 anni di forti scossoni al suo apparato produttivo, l’industria della filatura sembra aver mutato la sua configurazione non solo per una diffusa crescita della dimensione media ma anche per uno spostamento del suo baricentro dal cotone e lino verso la lana pettinata (oggi il 19% degli addetti contro un peso del 1991 pari al 13%) e fibre alternative come filati di carta, Iuta e rafia, che sono diventate poco più del 15% degli addetti (solo il 4,4% nel 1991).

La situazione nei comparti della filatura attraverso i dati delle imprese e dell’occupazione (valori assoluti e quota %)

IMPRESE ADDETTI

V.A var.% Quota (in %) V.A var.% Quota (in %)

2001 2001/1991 1991 2001 2001 2001/1991 1991 2001

TOTALE FILATURA 3.872 -29,0% 100 100 54.642 -20,3% 100 100 Preparazione e filatura di fibre tipo cotone 310 -52,8% 12,0 8,0

10.900 -41,5% 27,2 19 9 ,

Preparazione e filatura di fibre tipo lino 5 .. 0,1 0,1

1.237 -42,5% 3,1 2,3

Preparazione e pettinatura fibre di lana 526 -46,3% 18,0 13,6

3940 -20,0% 7,2 7,2

Filatura della lana cardata 631 -65,7% 33,7 16,3 9.265 -49,3% 26,7 17 0 , Filatura lana pettinata 460 -36,6% 13,3 11,9 10.345 19, % 2 12,7 18 9 , Torcitura e preparazione della seta, di filati sintetici o artificiali 463 -32,7% 12,6 12,0

8.449 -15,8% 14,6 15,5

Preparazione di filati cucirini 126 20,0% 1,9 3,3 2.162 -23,7% 4,1 4,0 Preparazione e filatura di altre fibre tessili(1) 1.351 196,3% 8,4 34,9

8.344 177, 2% 4,4 15 3 ,

(1) Iuta, rafia, filati di carta Fonte: elaborazioni Filtea su dati Istat

Evoluzione nella dimensione media delle imprese nei comparti della filatura (numero medio di occupati per impresa)

12,6

28,4

5,0

9,912,0

14,6

27,0

6,6

14,1

35,2

7,5

14,7

22,5

18,2 17,2

6,2

FILATURA Preparazione efilatura cotone

Preparazione epettinatura lana

Filatura dellalana cardata

Filatura lanapettinata

Torcitura epreparazione

seta, sintetici oartificiali

Preparazionedi filati cucirini

Preparazione efilatura di altrefibre tessili (1)

1991

2001

(1) Iuta, rafia, filati di carta Fonte: elaborazioni Filtea su dati Istat

26

Il comparto della tessitura e finissaggio Come era logico aspettarsi in un sistema che opera in modo integrato, anche il complesso delle tessiture e finissaggi perde imprese (-3.900 imprese che corrisponde ad una variazione del 40%) e occupazione (29.580 addetti pari a -22%).

Questo risultato dipende in larga parte dalle stesse materie tessili viste sulla filatura (cotone, seta e lana cardata). Drammatica la situazione della tessitura della lana cardata ridotta nel 2001 a solo il 48% degli addetti del 1991. Segue, in termini di gravità, la tessitura del cotone che perde il 33,5% dell’occupazione e la tessitura della seta (-28%). Molto rilevante (-44%) anche la perdita accusata dal comparto del finissaggio. In questo caso l’occupazione è stata colpita in misura minore (-13%).

Almeno fino al 2001, la tessitura della lana pettinata costituisce una delle poche eccezioni al quadro sopra illustrato. Tra il 1991 e il 2001 le aziende del settore aumentano di ben il 61%. Gli addetti crescono anch’essi, ma in misura decisamente inferiore (+16,6%) e si riduce di conseguenza la dimensione media delle imprese.

L’altro settore che supera positivamente le difficoltà del decennio è quello della tessitura delle altre materie tessili (Iuta, rafia, filati di carta) dove raddoppia il numero degli operatori e l’occupazione cresce di quasi il 60%.

Da questo insieme di eventi il sistema delle tessiture e finissaggi ne esce con un profilo modificato. Da un lato il finissaggio diviene l’attività prevalente (sia per imprese e sia per addetti) e la tessitura di altre materie tessili (Iuta, rafia, filati di carta) assume un peso relativo notevole. Dall’altro in ambito laniero al declino del sistema cardato si contrappone la vivacità del sistema pettinato.

In questi 10 anni cambia anche la dimensione media delle imprese. Le cifre disponibili descrivono un situazione in cui micro e piccoli operatori sono quelli che hanno maggiormente subito la crisi. Questo dualismo ha determinato uno spostamento da 14 a 18 occupati per unità produttiva.

La situazione nei comparti della tessitura attraverso i dati delle imprese e dell’occupazione (valori assoluti e quota %)

IMPRESE ADDETTI

V.A var.% Quota (in %) V.A var.% Quota (in %)

2001 2001/1991 1991 2001 2001 2001/1991 1991 2001

TOTALE TESSITURA 5.966 -39,6% 100 100 107.364 -21,6% 100 100

Tessitura cotone 859 -45,8% 16,0 14,4 23.351 -33,5% 25,6 21,7

Tessitura lana cardata 1.040 -70,8% 36,0 17,4 12.317 - 52,% 18,8 11 5 ,

Tessitura lana pettinata 1.158 60,8% 7,3 19,4 12.213 16,6% 7,6 11,4

Tessitura seta 328 -23,2% 4,3 5,5 9.312 -28,2% 9,5 8,7

Tessitura di altre materie tessili (1) 912 50,2% 6,1 15,3 9.503 57,7% 4,4 8,9

Finissaggio dei tessili 1.669 -44,0% 30,2 28,0 40.668 -13,0% 34,1 37,9

(1) Iuta, rafia, filati di carta Fonte: elaborazioni Filtea su dati Istat

27

Evoluzione nella dimensione media delle imprese nei comparti della tessitura (numero medio di occupati per impresa)

13,9

22,1

7,2

14,5

30,4

9,9

15,718,0

27,2

11,810,5

28,4

10,4

24,4

TESSITURA Tessitura cotone Tessitura lanacardata

Tessitura lanapettinata

Tessitura seta Tessitura di altrematerie tessili (1)

Finissaggio deitessili

1991

2001

(1) tessuti ad armatura larga in lino, ramiè, canapa, iuta, rafia, e filati speciali; fabbricazione di tessuti di polipropilene e di fibre di vetro Fonte: elaborazioni Filtea su dati Istat

Il comparto degli articoli tessili diversi dal vestiario Prima di addentrarsi nei numeri proposti nella tabella che segue è utile evidenziare che quello in esame è un segmento del sistema tessile che per la molteplicità e disomogeneità di prodotto e per il livello di classificazione disponibile non consente di accedere ad una analisi sufficientemente precisa dei sui risultati di occupazione e imprese. Pur con questi limiti è comunque possibile fare alcune considerazioni generali sulle varie aree di attività.

In primo luogo, guardando il dato generale si scopre che questo comparto manifatturiero sembra aver accusato nel decennio in esame perdite decisamente più contenute di quelle viste in precedenza: le aziende calano di quasi il 6%, gli addetti del 6,6%.

Dalla lettura dell’andamento occupazionale all’interno delle diverse ripartizione di attività sembrerebbe evidenziarsi uno spostamento dai prodotti più tradizionali e legate alle industrie del vestiario e dell’arredamento, verso attività dal contenuto meno decorativo e più tecnico con frequenti impieghi in industrie estranee a quelle della filiera della moda (meccanica, automobilistica, alimentare, ecc.).

In effetti, tra i settori che hanno accusato perdite consistenti compaiano: la fabbricazione di tappeti e moquette (circa -43% sia imprese che addetti), la produzione di ricami (-32% le aziende, -39% gli addetti); la confezione di biancheria per la casa (-15% le imprese, -33% gli addetti) e la fabbricazione di spago, corde, funi e reti che nei 10 anni in esame vede dimezzata la sua consistenza (-47,6% le imprese, -58,3% gli addetti).

Al contrario, a confermare l’ipotesi prima proposta, sul fronte dei settori che chiudono il decennio con un saldo occupazionale attivo troviamo l’insieme di quelle imprese che operano nell’ambito della fabbricazione di prodotti dal contenuto più specialistico e tecnico. A questo proposito è eccezionale la crescita nell’ambito dei tessuti non tessuti (dove imprese e addetti quasi triplicano) e nel comparto classificato con la denominazione tessili diversi che come evidente dalla nota in tabella mette insieme manufatti che trovano prevalente impiego in ambito industriale (+110%).

28

I dati disponibili consento di fare qualche considerazione anche sui cambiamenti intervenuti sulla struttura produttiva. Guardando il dato generale non si rilevano cambiamenti nella dimensione media delle imprese che infatti restano ferme a 7 addetti/impresa. Nonostante questo, non mancano comparti che si muovo in modo divergente rispetto al dato generale. Il caso più evidente riguarda il comparto dei tessuti elastici dove aggregazioni di imprese e chiusura di aziende minori hanno comportato un deciso aumento delle dimensioni medie che dai 18 addetti/impresa del 1991 salgono a 32 addetti del 2001.

La situazione nei comparti degli articoli tessili (non vestiario) attraverso i dati delle imprese e dell’occupazione (valori assoluti e quota %)

IMPRESE ADDETTI V.A var.% Quota (in %) V.A var.% Quota (in %) 2001 2001/1991 1991 2001 2001 2001/1991 1991 2001 ARTICOLI TESSILI 9.377 -5,9% 100 100 64.999 -6,6% 100 100

Biancheria letto e arredamento 3.081 -15,3% 36,50 32,86 13.768 -33,1% 29,58 21,18

Articoli in materie tessili nca (1) 2.141 21,0% 17,77 22,83 12.712 15,3% 15,84 19,56

Tappeti e moquettes 194 -42,8% 3,40 2,07 2.164 -42,4% 5,40 3,33

Spago, corde, funi e reti 233 -47,6% 4,47 2,48 1.780 -58,3% 6,13 2,74

Tessuti non tessuti 240 182,4% 0,85 2,56 4.952 187,9% 2,47 7,62

Feltri battuti 55 34,1% 0,41 0,59 1.680 52,3% 1,58 2,58 Nastri, fettucce, stringhe, ecc. 543 -16,7% 6,54 5,79 6.093 -8,0% 9,52 9,37 Tessuti elastici 109 -28,3% 1,53 1,16 3.459 23,1% 4,04 5,32

Articoli tessili diversi (2) 1.058 189,9% 3,66 11,28 9.659 109,3% 6,63 14,86

Tulli, pizzi, merletti 164 -14,6% 1,93 1,75 1.772 5,4% 2,41 2,73

Ricami 1.559 -31,8% 22,94 16,63 6.960 -39,0% 16,40 10,71 (1) fabbricazione di incerate, tende e articoli da campeggio, vele, teli per tende da sole, teloni per autoveicoli, ecc., bandiere, stendardi, striscioni, ecc., panni per spolverare, teli per coprire mobili o macchinari, strofinacci da cucina e simili, giubbotti di salvataggio, paracadute, foderine per auto. (2) - fabbricazione di tessuti vari: fabbricazione di tortiglie per pneumatici con filati sintetici e artificiali ad elevata resistenza, di tele da lucidi e da disegno, di tele preparate per la pittura, di tele rigide e simili, di tessuti spalmati di colla o di sostanze amidacee - fabbricazione di manufatti vari: lucignoli di materie tessili, reticelle ad incandescenza e tessuti tubolari a maglia occorrenti per la loro fabbricazione, tubi per pompe, nastri trasportatori e cinghie di trasmissione, garze, veli e tele per filtri, dischi in tela o in sisal per macchine pulitrici, guarnizioni in fibre tessili, fiscoli in materie tessili per l’industria olearia

Evoluzione nella dimensione media delle imprese nei comparti degli articoli tessili -non vestiario (numero medio di occupati per impresa)

7,0

5,7

6,2

11,1

9,6

20,2

26,9

10,2

18,5

12,6

8,8

5,0

6,9

4,5

5,9

11,2

7,6

20,6

30,5

11,2

31,7

9,1

10,8

4,5

FABBRICAZIONE ARTICOLI TESSILI (escluso v estiario)

Confezionamento di biancheria da letto, da tav ola e per l'arredamento

Fabbricazione di articoli in materie tessili n.c.a.(1)

Fabbricazione di tappeti e moquettes

Fabbricazione di spago, corde, funi e reti

Fabbricazione di tessuti non tessuti, esclusi gli articoli di v estiario

Fabbricazione di feltri battuti

Fabbricazione di nastri, fettucce, stringhe, ecc. di fibre tessili

Fabbricazione di tessuti elastici div ersi

Fabbricazione di articoli tessili div ersi

Fabbricazione di tulli, pizzi, merletti

Fabbricazione di ricami2001

1991

(1) tessuti ad armatura larga in lino, ramiè, canapa, iuta, rafia, e filati speciali; fabbricazione di tessuti di polipropilene e di fibre di vetro

29

Il comparto della maglieria Il complesso dei comparti della maglieria presenta una situazione assai difficile: le imprese calano del 43,4%, gli addetti del 38%. Più colpiti sono i vari prodotti del vestiario. La crisi più grave è stata infatti vissuta dalla maglieria esterna dove nel 2001 la struttura produttiva è ridotta a solo il 40% circa delle imprese e dell’occupazione registrate nel 1991. Pesante anche la situazione della calzetteria e delle imprese della maglieria intima.

Tra le attività su cui tradizionalmente prende forma il sistema della maglieria in Italia, l’unico segmento che nel periodo 1991-2001 va in controtendenza è quello della fabbricazione dei tessuti a maglia, dove gli addetti crescono del 14%.

Pur partendo da dimensioni molto contenute, decisamente positiva è anche la dinamica registrata nella fabbricazione di articoli e accessori a maglia con +3,1% per le imprese ma, soprattutto, con una grande crescita dell’occupazione, che sfiora il 60%.

Tali dinamiche hanno modificato il quadro dell’industria italiana della maglieria; in particolare, il settore della maglieria esterna perde la sua centralità per divenire comprimario unitamente al settore dei tessuti a maglia e calzetteria.

Meno marcato il cambiamento della dimensione media delle imprese. Infatti, pur notandosi un movimento verso la concentrazione, il confronto 1991-2001 vede una crescita per meno di un solo addetto per impresa, passando il dato medio da 7,4 addetti/impresa a poco più di 8.

La situazione nei comparti della Maglieria attraverso i dati delle imprese e dell’occupazione

IMPRESE ADDETTI V.A var.% Quota (in %) V.A var.% Quota (in %) 2001 2001/1991 1991 2001 2001 2001/1991 1991 2001 MAGLIERIA 10.349 -43,4% 100 100 84.005 -38,0% 100 100

Tessuti a maglia 3.981 -2,9% 22,4 38,5 22.907 13,7% 14,9 27,3

Calzetteria a maglia 1.621 -31,2% 12,9 15,7 21.109 -17,9% 19,0 25,1

Maglieria esterna 4.191 -62,7% 61,4 40,5 34.578 -58,1% 60,9 41,2

Maglieria intima 390 -12,2% 2,4 3,8 4.481 -32,2% 4,9 5,3

Altri articoli e accessori 166 3,1% 0,9 1,6 930 58,7% 0,4 1,1

Fonte: elaborazioni Filtea su dati Istat

Dimensione media delle imprese nei comparti della Maglieria (occupati per impresa)

7,4

4,9

10,9

7,3

3,6

8,1

5,8

13,0

8,3

11,5

5,6

14,9

MAGLIERIA Fabbricazione ditessuti a maglierie

Fabbricazione diarticoli di calzetteria

a maglia

Fabbricazione dipullov er, cardiganed altra maglieria

esterna

Fabbricazione dimaglieria intima

Fabbricazione dialtri articoli e

accessori a maglia

1991

2001

(1) tessuti ad armatura larga in lino, ramiè, canapa, iuta, rafia, e filati speciali; fabbricazione di tessuti di polipropilene e di fibre di vetro

30

Il comparto del vestiario. L’area del vestiario anche dopo una fase di snellimento del suo apparato produttivo (-24% gli operatori e -28% gli addetti) continua a rappresentare un pezzo dell’economia fashion che da lavoro a quasi 300 mila persone.

In questo comparto la situazione è assai variegata. Ci sono attività dove le forti contrazioni possono trovare una spiegazione in un cambiamento radicale delle abitudini dei consumatori. E’ questo il caso della confezione di vestiario su misura (-55% gli addetti) per il quale prosegue con intensità il processo di sostituzione da parte del pret à porter. E’ ancora il caso della confezione di pellicce e di vestiario in pelle (che perde il 50% degli addetti) contrastata da atteggiamenti di acquisto più animalisti. E lo stesso si può dire anche per il piccolo comparto dei cappelli dove continua il processo di declino del prodotto già da tempo avviato.

Per quanto riguarda invece la situazione degli indumenti da lavoro sulla crisi del settore giocano almeno due fattori: la contrazione oggettiva della domanda causata dalla riduzione dell’apparato industriale in Italiana e nelle tradizionali aree di sbocco del sistema delle imprese italiane; a cui si associa la concorrenza dei prodotti di altri paesi.

Queste difficoltà a imporsi su una nuova concorrenza dove i vantaggi competitivi sono dati anche dalla possibilità di abbattere straordinariamente i costi, sicuramente sono alla base della crisi occupazionale che ha coinvolto la confezione di biancheria personale (-51% degli addetti) e di vestiario esterno (-27%).

Positive, invece, le dinamiche che hanno interessato gli accessori e gli indumenti tecnici per lo sport. In questi casi, almeno fino al 2001 e quindi prima della crisi congiunturale che ha inciso gravemente sul settore, è cresciuto sia il numero delle imprese, sia quello degli addetti.

La nuova fotografia dell’industria del vestiario dopo le dinamiche del decennio tra i due censimenti segnala un preoccupante fenomeno di ulteriore destrutturazione. Benché il dato generale sulla dimensione media delle imprese arretra in modo modesto, non si può fare a meno di evidenziare come nell’area su cui maggiormente prende forma la specializzazione del comparto, ossia quella della produzione di vestiario esterno, c’è stato un vero e proprio fenomeno di dispersione del suo apparato produttivo il cui livello di gravità può essere letto nei cambiamenti della dimensione media che è passata da 15 addetti/impresa del 1991 a 9 addetti/impresa nel 2001.

La situazione nei comparti del vestiario attraverso i dati delle imprese e dell’occupazione

IMPRESE ADDETTI V.A var.% Quota (in %) V.A var.% Quota (in %) 2001 2001/1991 1991 2001 2001 2001/1991 1991 2001 VESTIARIO E ACCESSORI 43.780 -23,7% 100 100 298.619 -28,1% 100 100

Pellicce e vestiario in pelle 3.674 -39,8% 10,6 8,4 12.687 -49,4% 6,0 4,2

Indumenti da lavoro 548 -28,9% 1,3 1,3 3.447 -57,3% 1,9 1,2

Vestiario esterno 19.742 19,3% 28,8 45,1 179.378 -27,0% 59,2 60,1

Vestiario su misura 7.115 -68,1% 38,8 16,3 17.647 -55,3% 9,5 5,9

Biancheria personale 2.233 -43,7% 6,9 5,1 20.726 -51,3% 10,2 6,9

Cappelli 278 -38,9% 0,8 0,6 1.869 -36,9% 0,7 0,6

Accessori X l'abbigliamento 4.856 63,5% 5,2 11,1 27.349 33,8% 4,9 9,2 Indumenti tecnici per lo sport e abbigliamento per neonati 5.334 24,1% 7,5 12,2

35.516 14,5% 7,5 11,9

Fonte: elaborazioni Filtea su dati Istat

31

Evoluzione nella dimensione media delle imprese nei comparti del vestiario (numero medio di occupati per impresa)

7,2

4,1

10,5

1,8

10,7

6,5

6,9

7,2

6,8

3,5

6,3

9,1

2,5

9,3

6,7

5,6

6,7

14,9

VESTIARIO E ACCESSORI (esclusa maglieria)

Confezione pellice e v estiario in pelle

Confezione di indumenti da lav oro

Confezione di v estiario e attiv ità collegate

Confezione su misura di v estiario

Confezione di biancheria personale

Confezione di cappelli

Confezione accessori per l'abbigliamento

Confezione di indumenti particolari

2001

1991

Fonte: elaborazioni Filtea su dati Istat

4.4 Il ruolo delle micro e piccole imprese

Da più di un decennio l’apparato produttivo del sistema moda ha intrapreso un processo di implementazione del suo modello organizzativo nella direzione di un assetto industriale più coerente con le sfide della globalizzazione. In questo percorso si assiste ad un investimento nella direzione di una concentrazione del sistema non solo attraverso la crescita dimensionale delle imprese ma anche attraverso lo sviluppo di aggregazioni nella forma di gruppi industriali. Questa tendenza, pur avendo ridotto il livello di frazionamento del sistema, non sembrerebbe aver modificato il suo assetto strutturale che infatti continua ad avere nelle micro e piccole imprese un suo asse portante.

Gli ultimi dati disponibili di fonte Istat ci consegnano un settore moda (tessile, abbigliamento e calzature) in cui le sole micro imprese con meno di 9 addetti contribuiscono con il 27% dell’occupazione ed il 15% del fatturato; un contributo che diventa il 48% dell’occupazione e 30% del fatturato quando si allarga la classe dimensionale fino a 19 addetti.

32

Struttura del sistema moda per dimensione d'impresa (Percentuali per le classi su totale 100)

Addetti

10- 1921%

20- 4919%

50-24921%

1- 927%

250 e oltre12%

Fatturato

10- 1915%

20- 4920%

50-24928%

1- 915%250 e oltre

22%

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Questo importante ruolo delle piccole imprese si ripete in tutti i comparti. Per quanto riguarda il fatturato, non si registrano differenze significative tra tessile, abbigliamento e calzature: in entrambe le classi su cui è stato definito il perimetro delle piccole imprese gli scostamenti dal dato medio non superano l’1%.

Più articolata è invece la situazione rispetto alla variabile occupazionale. Nell’abbigliamento si raggiunge il livello di frammentazione più elevato con una quota di addetti nelle micro imprese che raggiunge il 32% mentre nelle pelletteria si sfiora il 27% e nel tessile si scende fino al 22%. Queste differenze si ripetono anche sull’aggregato più ampio delle imprese fino a 19 addetti. Infatti, all’interno di questa macro classe sono occupati il 58% dei lavoratori dell’abbigliamento rispetto ad una quota del 50% nella pelletteria e 38% nel tessile.

Il ruolo delle piccole imprese nei comparti (Percentuali per le classi su totale di comparto 100) ADDETTI

2232 27

16

2423

18

1923

26

16 20

189 7

Tessile Abbligliamento Pelletteria,Calzature

250 e oltre50-24920- 4910- 191-- 9

FATTURATO

14 14 16,4

14 1515,9

19 1824,7

30 27

27,5

23 2615,5

Tessile Abbligliamento Pelletteria,Calzature

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

33

Per capire la posizione delle micro e piccole imprese nel settore, la fonte Istat consente di integrare il dato di ripartizione per fatturato e addetti, sviluppando anche una comparazione per classi dimensionali rispetto alle performance di produttività ed export, ossia, due importanti fattori su cui oggi le imprese si giocano la competizione sul mercato.

Il primo risultato di questa comparazione, riportato nel grafico che segue, conferma in modo inequivocabile un rapporto di forte correlazione tra la dimensione d’impresa e la sua capacità di sviluppare una strategia di penetrazione commerciale sui mercati esteri. Nel settore, infatti, le micro imprese, che rappresentano il 27% degli occupati ed il 15% del fatturato, contribuiscono al 7% dei flussi commerciali verso l’estero. Un volume di attività che messo in relazione al fatturato restituisce un livello di propensione all’export che si ferma al 20%. Partendo da questo punto di minimo la capacità di internazionalizzazione del settore progredisce in rapporto alla dimensione fino a raggiungere il livello più alto nelle imprese con più di 250 addetti che esportano quasi il 60% del loro fatturato.

Internazionalizzazione del settore moda: differenziali per dimensione d’impresa

Quota % export per dimensione d'impresa

1-- 97%

10 -- 4929%

250 e oltre35%

50 --24929%

Propensione all'export per dimensione d'impresa (Export/fatturato)

22%

35%

48%

58%

42%

1-- 9

10 -- 49

50 --249

250 e oltre

TOTALE

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

La dimensione è un freno all’internazionalizzazione commerciale in tutti i comparti. Come mostrano i dati della figura che segue, il gap di propensione all’export tra grandi e piccole imprese si attesta infatti su livelli particolarmente alti a monte e a valle della filiera. Nonostante questo fattore comune, il confronto tra comparti restituisce alcune differenze che è utile mettere in evidenza: la prima riguarda il livello medio di export, rispetto a questa variabile l’aggregato delle imprese calzaturiere si attesta vicino alla metà del fatturato mentre tessile e abbigliamento non supera il 40%; naturalmente questi differenziali sul risultato medio introducono ad una asimmetria tra comparti anche sulle performance di export per dimensione d’impresa. Se si accede a questo secondo livello di analisi si scopre infatti che il primato del calzaturiero dipende esclusivamente da una maggior capacità di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese sufficiente a più che compensare un risultato delle micro imprese che invece non riesce a sopravanzare gli altri comparti. Sulla categoria delle imprese con meno di 9 addetti, la performance migliore spetta infatti all’abbigliamento che ha raggiunto vendite all’estero pari al 25% del fatturato, mentre nella pelletteria si scende al 20% e nel tessile si registra il punto di minimo con una quota che si ferma al 15%.

34

La propensione all'export (esportazioni/fatturato) per dimensione d'impresa nei tre macro comparti moda

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

50%

55%

60%

65%

Tessile Abbigliamento Pelletteria-calzature Totale sistemamoda

Espo

rtaz

ione

/ Fat

tura

to

1-- 9 10- 49 50 e oltre Media di comparto

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Le asimmetrie tra piccole e grandi imprese non si esauriscono con il dato sull’export. Differenze importanti si riscontrano anche rispetto all’efficienza nell’utilizzo del fattori produttivi. Questa situazione è ben descritta dal dato di produttività del lavoro (valore aggiunto per addetto) che nelle micro e piccole imprese si ferma ad un livello che oscilla tra il 65 e il 75% della media nazionale. Una differenza che ovviamente diventa ancora più marcata se il confronto viene fatto con la categoria delle grandi imprese le quali hanno raggiunto una produttività del lavoro che supera del 100% le performance delle imprese più piccole.

Incrociando il dato della produttività con quello sui livelli di costo del lavoro per dipendente si scopre che la piccola impresa ancora oggi trova una risposta al deficit di competitività nell’utilizzo dei fattori produttivi sfruttando il vantaggio che realizza attraverso una politica di abbattimento del costo del lavoro. Secondo le ultime stime Istat un lavoratore della micro e piccola impresa ha un costo del 25% più basso della media nazionale e supera il 50% quando il confronto viene fatto con le imprese più grandi.

35

Differenziali di produttività (valore aggiunto per addetto) rispetto alla dimensione d'impresa (indice media totale imprese = 100)

65,572,4

77,3 78,8

104,195,5

127,3119,9

163,5

137,7

Valore aggiunto per addetto Costo del lavoro per dipendente

1-- 910- 1920- 4950-249250 e oltre

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

E del tutto evidente dai dati sin qui elaborati che il sistema moda si presenta all’appuntamento della globalizzazione con una struttura produttiva che si sviluppa su un network dove le micro e piccole imprese giocano un ruolo da protagonista. Naturalmente, affinché questo possa continuare a rappresentare un punto di forza del sistema è senz’altro opportuno che gli elementi fondanti della strategia di sviluppo delle piccole imprese siano coerenti con i fattori su cui oggi si gioca la competizione del made in Italy nel nuovo contesto globalizzato. A questo riguardo la tesi ampiamente condivisa è quella che prefigura una riduzione dell’esposizione del settore da una concorrenza giocata sul prezzo attraverso una strategia che punta ad una via alta della competizione centrata sulla la leva dell’efficienza operativa, dell’innovazione e dell’internazionalizzazione.

Rispetto a questo schema strategico, i numeri sin qui elaborati ci offrono uno spaccato in cui le piccole imprese si inseriscono con luci ed ombre. Un primo problema riguarda i mercati di sbocco (il volume di export per unità di fatturato delle micro imprese è fermo al 20% contro una performance che nella media del settore si attesta al 42% e una capacità delle imprese più grandi di esportare quasi il 70% del fatturato). Ancora oggi, nonostante le forti evoluzioni nei processi di internazionalizzazione, le imprese minori faticano a sviluppare la loro presenza all’estero e continuano a dipendere quasi esclusivamente dai mercati nazionali. Una situazione che naturalmente non può essere disgiunta da alcune caratteristiche strutturali del settore che eredita una organizzazione produttiva in cui larga parte delle piccole imprese svolgono un ruolo di fornitura di processi manifatturieri verso una committenza nazionale strutturata su quelle imprese che sono invece riuscite ad evolvere nella direzione di un assetto produttivo in cui convive la funzione manifatturiera ed una forte attenzione al rapporto con il mercato finale.

Questo modello di relazioni, benché per molti anni sia stato alla base del successo competitivo del settore, diventa oggi il punto nodale da cui far partire una riflessione sulle prospettive delle piccole imprese. Il modello operativo che abbiamo visto ci riporta infatti ad un ambiente fatto di spazi economici più limitati nei termini della concorrenza internazionale, delle opportunità di consumo e delle innovazioni. In modo

36

più preciso si tratta di un modello che ha funzionato con successo in una fase in cui l’internazionalizzazione era di tipo commerciale e la produzione era largamente affidata a micro e piccole imprese nazionali organizzate in network destrutturato.

Oggi il contesto economico sta cambiando rapidamente, l’innovazione tecnologica e la completa liberalizzazione del mercati, favorisce un processo di superamento dei confini nazionali anche sulle scelte di produzione. Inevitabilmente questa evoluzione, sta progressivamente indebolendo la catena di trasmissione interna su cui si consolidava il rapporto di subfornitura, spiazzando quindi quelle imprese che continuano a costruiscono le loro prospettive di sviluppo dentro i confini nazionali.

Dentro questo nuovo scenario, la piccola imprese dovrà quindi rapidamente attrezzarsi per gestire in modo diretto anche il rapporto con il mercato internazionale. Questo significa che anche le piccole imprese devono accelerare nella direzione di un nuovo assetto operativo in grado di far convivere le funzioni manifatturiere e quelle competenze commerciali e di marketing fondamentali per intercettare la domanda che viene dall’estero.

Ovviamente, in un quadro di concorrenza che coinvolge anche i paesi a basso costo del lavoro, il successo di questa prospettiva di internazionalizzazione si gioca sul rafforzamento della qualità complessiva dell’attività dell’impresa. Rispetto a questo obiettivo, diventa fondamentale imprimere una accelerazione verso quelle politiche - di avanzamento nella tecnologia, nell’organizzazione intra ed extra firm, nello sviluppo del prodotto e dei processi, nello sviluppo dei sistema di commercializzazione - che complessivamente consentono di recuperare efficienza operativa (in questo momento la produttività del lavoro dell’aggregato delle micro e piccole imprese è del 25% più basso della media del settore e quasi la metà del livello raggiunto dalle imprese più grandi) e di valorizzare il prodotto sul mercato.

5. Il contesto competitivo nell’era post-ATC: le priorità strategiche come risposta alla liberalizzazione

Come più volte ricordato in questo rapporto, i processi di liberalizzazione ed il nuovo protagonismo di paesi che possono avvantaggiarsi di un basso costo del lavoro, impone al settore moda insediato nell’area occidentale di puntare ad una via alta della competizione sviluppando quella tastiera di fattori che consentono di ridurre l’esposizione ad una concorrenza puramente da prezzo.

Questa tesi viene assunta anche dall’UE all’interno del rapporto conclusivo “THE CHALLENGE OF 2005 - european textiles and clothing in a quota free environment - dove il gruppo di alto livello traccia una strategia articolata su sette raccomandazioni che possono essere ricondotte tutte ad un obiettivo di innovazione del sistema: ◙ nella componente gestionale-organizzativa, per realizzare un assetto più adeguata alle nuove sfide del settore; ◙ nella componente industriale, puntando ad intensificare gli investimenti sulla tecnologia e sui fattori tecnici e di design del prodotto; ◙ nella componente commerciale, rafforzando la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, superando gli ostacolo all’accesso ai nuovi mercati emergenti, intensificando quegli investimenti di sviluppo dei canali di vendita, marketing e comunicazione fondamentali per allargare i mercati di sbocco dei prodotti; ◙ e nella

37

componente professionale, sostenendo le imprese nell’investimento su quelle competenze chiave su cui dovrebbe prendere forma il nuovo pattern di sviluppo.

5.1. Un nuovo paradigma del network di distretto

Rispetto allo scenario descritto, da diverso tempo policy maker ed esperti si sono posti il problema di capire quanto l’attuale piattaforma operativa su cui è organizzato il settore sia adeguata per attuare una strategia che impone un elevato impegno di risorse..

Ovviamente alla base di questa riflessione c’è il distretto (attualmente sono 99 e sviluppano oltre due terzi dell’occupazione del settore), ossia, un sistema industriale fatto di: forte radicamento territoriale; specializzazione settoriale; ampia popolazione di piccole imprese; ed elevata frammentazione dei processi che il larga parte si ricompongono attraverso contratti di sub-fornitura e comportamenti cooperativi.

Con queste caratteristiche il distretto si è rivelato per un lungo periodo una importante opportunità competitiva per le piccole imprese. Una situazione che in letteratura viene collegata ai benefici delle esternalità (Marshall, 1920). Concetto che introduce alla tesi che la creazione di valore non è garantita solo da un impegno interno all’azienda su investimenti e acquisizioni tecnologiche, bensì è la risultante delle competenze dell’unità di rete, dei meccanismi di cooperazione ed interazione, nonché, della condivisione e appartenenza ad un territorio con il suo sistema di valori e relazioni sociali.

Oggi però la nuova geografia economica ridisegnata dal processo di globalizzazione e il vincolo delle imprese italiane di spostare la propria frontiera competitiva fuori dalla concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro sembrerebbero mettere in discussione alcuni elementi portanti del modello di distretto.

Le indagini più recenti descrivono infatti un settore in cui il binomio, fatto di outsourcing di prossimità largamente basato su forme di interconnessione commerciale e condivisione di valori socio economici, oggi non esprime più un modello di organizzazione della produzione in grado di garantire anche alla micro e piccola impresa la possibilità di cumulare quel capitale (fatto di risorse finanziarie e know how) necessario per partecipare da protagonista a questa nuova fase di sviluppo del settore.

La dimensionale, che per più di due decennio aveva trovato una risposta attraverso un sistema di relazioni di concorrenza e cooperazione dentro al distretto, torna quindi ad essere elemento di fragilità nel nuovo contesto competitivo.

Inevitabilmente, per un settore dove quasi la metà degli addetti si concentrano nelle micro e piccole imprese, questo cambiamento riporta al centro dell’attenzione le prospettive del distretto nella sua configurazione tradizionale.

Su questo versante, la letteratura scientifica (Carminucci e Casucci, 1997; Corò e Grandinetti, 1998; Nuti, 1997; Pilotti, 1998; Cappellin, 2001; Becattini; Ring e Van de Ven) è unanime nel riconoscere che il cambiamento più rilevante riguarda l’affermazione di un distretto che dovrebbe operare attraverso un network che si sviluppa su un sistema di relazioni più stabili e formalizzate.

38

Questo rafforzamento delle interconnessione stabile nella forma delle alleanze strategiche, dei consorzi fino alla costituzione di gruppi di impresa, si dovrebbe rivelare di particolare interesse non solo in termini di abbattimento dei costi di transazione (qualificando l’intero sistema nell’orientamento al mercato, nei tempi di progettazione, acquisizione tecnologica, approvvigionamento e flessibilità) ma anche per l’effetto che prefigura in termini di nuove opportunità per il sistema delle piccole imprese. L’evoluzione dai tradizionali rapporti di mercato verso rapporti di partnership formalizzati prefigura infatti sia l’abbattimento delle barriere dimensioni che frenano gli investimenti sia il miglioramento della condizione negoziale di ciascuna impresa la quale potrà condividere strategia e know how e per questa via migliorare la sua posizione nella ripartizione dei benefici di reddito.

L’altra importante innovazione riguarda l’estensione del quadro geografico. Alla base di questa ipotesi c’è la tesi secondo cui il radicamento territoriale (“embeddedness”) non è in contraddizione con un rafforzamento delle relazioni esterne ma al contrario diventa elemento di consolidamento del network e delle condizioni di sviluppo delle imprese. che in questo modo mettono insieme il vantaggio di una integrazione fatta di esternalità territoriali, con i benefici di relazioni che agevolano l’accesso ad informazioni e specializzazioni non disponibili all’interno del sistema locale. Il nuovo distretto dovrebbe quindi superare un modello di localismo autarchico per assumere la forma di una struttura reticolare in cui è prevista la partecipazione di player esteri il cui contributo dovrebbe essere quello di arricchire le competenze e le specializzazioni interne.

Naturalmente, come rilevano diversi studiosi (Bianchi and Gualtieri, 1990; Dei Ottati, 1996; Balloni and Iacobucci, 1997; Bianchi et al., 1999; Brioschi and Cainelli, 2001), processo di estensione geografica e spostamento su link strutturati dovrebbe ridisegnare la leadership che governa il distretto. A questo proposito, già nel 1991 Becattini osservava la necessità di andare nella direzione di un agglomerato industriale che fosse capace di esprimere un centro strategico per il processo di formazione delle decisioni. Il superamento della dispersione nei processi decisionali è infatti considerato un terzo passaggio fondamentale per migliorare la capacità complessiva del sistema nella attuazione di un pattern di sviluppo che implica una forte coerenza di obiettivi tra gli attori della filiera.

Il percorso sin qui descritto di approccio alla criticità dimensionale attraverso una modificazione del modello di organizzazione del sistema di relazioni tra le imprese del distretto rappresenta una linea strategica che da diverso tempo hanno intrapreso molte imprese del distretto. L’evidenza statistica descrive infatti un settore in cui sta aumentando il numero di imprese che sviluppano partnership strutturali attraverso la pratica del consorzio, delle alleanze strategiche e della formazione di gruppi.

Ciò che resta da fare è quindi una politica che sia in grado di estendere l’accesso a questo nuovo pattern organizzativo. Si tratta quindi di pianificare un’azione che sposta l’interlocuzione dall’impresa singola alle reti e che sia in grado di moltiplicare gli elementi di integrazione creando condizioni che facilitano forme esplicite di cooperazione (“partnership”).

Come anticipato da diversi programmi regionali di sviluppo, tra cui quello della Toscana ed Emilia Romagna, questo significa facilitare l’attuazione di progetti: di accorpamento equity (fusioni, acquisizioni, e scambio di partecipazioni tra imprese); di formazione di consorzi e altre forme di cooperazione

39

competitiva per la gestione comune di attività d’imprese; di sviluppo della tecnologia delle reti telematiche; di alta formazione rivolto alla creazione di figure professionali strategiche per la costruzione e gestione dei sistemi integrati.

Con questa nuova ottica della politica industriale verrebbe favorito un modello di sviluppo inclusivo di tutte le parti del sistema produttivo. Un nuovo modello di sviluppo che risolve lo svantaggio dimensione, e per questa via moltiplica la capacità dell’intero settore di accumulare quelle risorse di conoscenza tecnologica, produttiva e manageriali indispensabili per rimanere protagonisti anche all’interno del nuovo mercato globale.

5.2.La sfida dell’innovazione tecnologica e del potenziamento delle componenti immateriali della filiera

Qualche anno fa suscitò grande interesse un libro di Richard Florida, ricercatore americano che si occupa di politiche pubbliche per l’innovazione e la competitività, intitolato “L’ascesa della nuova classe creativa”. La tesi sostenuta dall’autore è che i presupposti del successo economico risiedono nella contemporanea presenza di alcuni fattori sintetizzati nella formula delle 3T: Talento, Tolleranza, Tecnologia.

Con questa teorizzazione della formula delle 3T il successo competitivo viene affidato alla capacità di tradurre operativamente un concetto di innovazione in cui convivono tutte quelle attività che consentono di adeguare i prodotto e i processi organizzativi e produttivi alle esigenze dei mercati e dei clienti, comprendendo in tutto questo il concetto di innovazione tecnica/tecnologica e quello di avanzamento creativo.

Naturalmente, una condizione fondamentale affiche questa multidimensionalità del processo innovativo diventi la leva su cui costruire lo sviluppo dell’impresa è senza alcun dubbio la capacità di gestire in modo sinergico e finalizzato la produzione creativa e quella tecnologica. L’esercizio della creatività e quello dell’implementazione tecnologica devono quindi diventare due fasi di una pianificazione aziendale che attraverso una logica di gestione della conoscenza si inseriscono all’interno di un processo produttivo che ha come finalità ultima la valorizzazione del prodotto sul mercato

E’ del tutto evidente che rispetto a questa nuova definizione, pochi altri settori, probabilmente si presentano al dibattito sull’innovazione con un così ampio spettro di argomenti, come l’economia della moda. Va infatti ricordato che in questo settore, all’esigenza di contenere i costi per mantenere compatibili i margini di profitto, si è da tempo abbinata la necessità di giocare la propria competitività in termini di sempre maggior attribuzione del valore del prodotto stesso, sia per quanto concerne gli aspetti funzionali che evocativi.

In questa nuova prospettiva di sviluppo, come già oggi evidenziano importanti imprese di successo internazionale, il settore moda, beneficando anche di una diffusa creatività e una forte contaminazione con l’industria meccano-tessile e quella chimica, sta consumando un passaggio da settore tradizionale ad

40

industria ad alta capacità innovativa non solo per contenuto moda ma anche per caratteristiche tecniche e tecnologiche.

Naturalmente le implicazione di questo passaggio all’interno del settore possono essere molteplici. La spinta tecnologica diventa infatti una opportunità di razionalizzazione dell’assetto produttivo e logistico, con importanti benefici di costo ed efficienza, ma anche di maggiori opportunità di trasformazione industriale del processo creativo e di valorizzazione del prodotto attraverso un offerta che combina caratteristiche di gusto, stile, immagine e adesione a modelli di comportamento socialmente apprezzati e contenuto tecnico del prodotto finalizzato al confort e protezione della persona.

Rispetto a quest’ultimo punto importanti esempi di attribuzione di valore tecnico al prodotto sono le calzature traspiranti, i capi termoregolanti, quelli antibatterici, e quindi antiodore, ed i tessuti che proteggono dalle radiazioni UV o dalle onde elettromagnetiche. Un’ulteriore esemplificazione di questa opportunità di valorizzazione tecnica del prodotto può essere fornita anche dalla proposta di prodotti eco compatibili, realizzati in fibre biologiche o con fibre recuperate dalla tradizione (ginestra, canapa, ortica).

Va da sé che dal punto di vista gestionale questo processo debba contemplare da parte dell’impresa un’elevazione delle competenze su tutte le aree operative, dalla progettazione e industrializzazione fino al marketing e commercializzazione. Inoltre, affinché l’innovazione diventi leva strategica, gli investimenti in tali aree devono consolidarsi come obiettivi operativi all’interno del budget e del business plan aziendali. Tutto ciò presuppone che l’impresa sia in grado di esprime una dotazione di risorse e know how tecnico gestionali che consenta di riprodurre un modello organizzativo complesso e formalizzato.

A questo riguardo, il modello di implementazione creativa e tecnologica del settore largamente basata su prassi informali rappresenta senza alcun dubbio un punto di fragilità nella prospettiva di una auspicata diffusione di questa opportunità competitiva. Va poi ricordato che persiste una struttura produttiva in cui è ancora molto ampia la presenza di imprese di subfornitura che svolgono un servizio di trasformazione manifatturiera in cui è affidata alla committenza l’intera gestione dei processi innovativi dalla progettazione all’implementazione tecnologica. A ciò si aggiunge uno scenario complessivamente povero di strutture di formazione specialistica e di ricerca che siano in grado di offrire alle imprese quel costante rifornimento di conoscenze e nuovi addetti che è alla base di ogni processo di innovazione.

Senza dubbio quelli descritti sono i principali elementi che spiegano un contesto produttivo che si caratterizza per un una costellazione di imprese che per una parte significativa ancora non trova margini di realizzazione per gli investimenti in innovazioni, di prodotto e/o di processo.

Secondo gli ultimi dati disponibili di fonte Istat, l’area delle imprese che ha scelto questa forma d’investimento come strategia di sviluppo è infatti pari al 24% contro un livello che nella media del manifatturiero raggiunge il 38%. Va evidenziato che al risultato del settore moda contribuiscono in modo significativamente diverso i tre comparti: nel tessile, anche per effetto di un più elevato tasso tecnico del prodotto, le imprese che hanno orientato i loro investimenti in un’innovazione di prodotto e/o di processo sono il 28%, ossia, un livello di 8 punti superiore all’industria del vestiario che si ferma al 20% e di 6 punti superiore al calzaturiero dove le imprese innovatrici sono il 22% del totale.

41

La quota di Imprese innovatrici nei tre comparti moda (valori % sul totale delle imprese per settore)

20,322,5

28,7

38,1

Abbigliamento Pelletteria calzature Tessile Industria in sensostretto

Fonte: elaborazioni su dati Istat.

5.2.1 La posizione del settore nell’ambito delle tecnologie informatiche

Nel quadro degli investimenti in innovazione è senz’altro utile dedicare una particolare attenzione alle tecnologie informatiche. Nella definizione dei nuovi vincoli della concorrenza assume infatti sempre maggiore consenso la tesi secondo cui la tecnologia dell’informazione (ICT) rappresenta una fondamentale leva per contribuire all’avanzamento competitivo delle imprese. Naturalmente, un’area di forte impatto potenziale della tecnologia ICT è quella dei rapporti e coordinamento intra e extra filrm. I vari sistemi Internet consentono di immagazzinare, elaborare e comunicare informazione in tempo reale e con costi marginali pressoché nulli. Con questa tecnologia diventa quindi possibile sviluppare sistemi di networking complessi abbattendo significativamente i problemi di coordinamento tra imprese.

Questo contributo dell’ICT alla realizzazioni di sistemi capaci di maggior efficienza trova conferma anche in diverse evidenze empiriche. L’indagine di Bugamelli e Pagano su 3.000 imprese italiane e l’indagine della Banca d’Italia su un campione di circa 1.500 imprese manifatturiere, evidenziano come forti guadagni di produttività sono legati alla disponibilità nell'impresa di potenziare il capitale umano ed investire su modelli organizzativi ad alta dotazione ICT.

Ma nonostante le dimostrate possibilità del mezzo ed il basso costo di accesso, ancora oggi le statistiche disponibili ci restituiscono un quadro in cui l'imprenditoria moda registra un forte deficit nell'acquisizione della tecnologia ICT. Nel quadro proposto dall’Istat si scopre che ci sono ancora il 12% delle imprese del tessile abbigliamento e il 15% delle imprese del comparto della pelletteria che non dispone di un computer. La situazione peggiora quando l’analisi si sposta anche sulle forme più elementari di trasmissione dati: le imprese TA che non hanno una connessione internet ed un indirizzo di posta elettronica sono quasi un terzo del totale; il risultato è ancora più basso nella pelletteria dove solo la metà delle imprese ha un email e circa il 40% non ha connessione Internet. Ovviamente, la resistenza del settore all’ICT raggiunge un livello straordinariamente alto rispetto all’acquisto di prodotti più sofisticati: ben oltre la metà delle

42

imprese non dispone di un sito internet (60% nel TA e 70% nella pelletteria) e come evidente dal grafico l’investimento in reti digitali dedicate (intranet ed extranet) è quasi marginale.

Diffusione ICT nelle imprese moda (valori percentuali sul totale delle imprese per settori di attività economica)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Imprese conpersonalcomputer

Imprese con E-mail

Imprese conInternet

Imprese consito Web

Imprese conIntranet

Imprese conExtranet

Pelle e calzature

Tessile abbigliamento

Totale industria Manifatturiera

Fonte: elaborazioni su dati Istat.

Anche sul versante dell’innovazione in ambito ICT, la letteratura scientifica attribuisce questo ritardo del settore moda, ma in modo più generale dell’economia manifatturiera tradizionale, ad un problema di fragilità organizzativa del sistema che come noto opera attraverso un sistema reticolare di prossimità in cui prevalgono modelli di relazioni e di business fortemente informali e idiosincratici.

Infatti, come dimostrato dalle diverse indagini empiriche, il mezzo ICT può abbattere il costo dell’informazione e aumenta la flessibilità senza produrre effetti di dispersione operativa e maggiori costi di transazione, quando esiste un forte sistema di governance. In altre parole, la rete elettronica può generare una situazione di avanzamento competitivo se associato ad un investimento che sviluppa una organizzazione con un alto livello coordinamento e formalizzazione. In questo senso l’adozione delle tecnologie ICT appare più facile ed efficace laddove le attività all'interno dell'impresa e tra questa e l'esterno (rapporti con i fornitori, con i distributori, con i clienti finali, con i finanziatori, etc.) si presentano già prima dell’informatizzazione all’interno di strutture più gerarchiche e burocratizzate.

Assumendo questo vincolo dell’elevato livello di coordinamento e formalizzazione quale condizione per lo sviluppo ICT, diventa chiaro che le imprese che potranno maggiormente cogliere le opportunità di networking offerte dalle nuove tecnologie saranno quelle capaciti di superare un sistema di relazioni spontaneo e scarsamente codificato per accedere ad un modello di organizzazione più strutturato.

Alla luce di questi risultati, è del tutto evidente che una politica che voglia scongiurare il rischio di una rinuncia ai benefici competitivi che derivano dall’inserimento dell’ICT, non può limitarsi ad un contributo che abbatte il costo dell’investimento hardware e software. Tra le azioni utili ad agevolare le imprese

43

all’utilizzo dello strumento informatico non può infatti mancare un pacchetto di servizi di formazione e consulenza indispensabili per aiutare le imprese a modificare il suo assetto organizzativo e questo nella direzione di un sistema che per dimensione e standardizzazione delle procedure possa beneficiare dei vantaggi dati dall’uso dell’ICT.

5.3. Nuovi mercati e nuove strategie commerciali

Come già ampiamente evidenziato nei diversi capitoli di questo rapporto il processo di globalizzazione sta profondamente mutando il business della moda. La crescente presenza di produttori insediati nelle aree in via di sviluppo che come noto godono di alti vantaggi per disponibilità di risorse umane, costo del lavoro e architettura di regolazione del sistema produttivo, ha spiazzato le imprese delle economie avanza sulle produzioni a basso valore aggiunto e di modesto contenuto tecnologico e know how creativo.

In questo nuovo quadro, l’industria tessile e calzaturiera italiana, per sottrarsi da una concorrenza internazionale particolarmente agguerrita e favorita da costi di produzione estremamente competitivi, sta ridefinendo il suo posizionamento strategico nella direzione di un allargamento della presenza sui mercati extra nazionali attraverso una produzione che per contenuto innovativo e qualità sia capace di attestarsi sulla fascia medio alta dei prodotti moda.

Questo nuovo impianto strategico oltre ad imporre cambiamenti sostanziali nella sfera tipicamente manifatturiera ha generato l’esigenza di ampliare tutte le funzioni di valorizzazione del prodotto sul mercato.

A questo riguardo va infatti ricordato che il concetto della qualità come leva su cui costruire il vantaggio competitivo di un impresa deve essere affrontato su tre piani: quello delle caratteristiche tecniche e di design; quello strettamente commerciale, ossia, della capacità di stare sul mercato; e quello della percezione del consumatore, ossia della capacità del prodotto di rispondere a quelle esigenze (espresse o latenti) che appartengono esclusivamente alla sfera socio - culturali della persona.

Rispetto a questi presupposti, la competenza di creazione e produzione rimane quindi condizione necessaria ma certamente non sufficiente. Per cogliere l’intero vantaggio competitivo dato dalla qualità, è infatti essenziale che l’investimento in innovazione di prodotto (tecnica e di design) sia guidato dalle opportunità di mercato. Per realizzare questo si pone all’impresa, grande e piccola, la necessità di integrare le competenze manifatturiere con l’acquisizione di un know how dal lato dei servizi di conoscenza e qualificazione del rapporto con il mercato di riferimento.

In questa prospettiva la formalizzazione all’interno di un’impresa dell’area marketing nella sua complessa articolazione di attività assume un ruolo centrale per una buona performance di mercato.

Ovviamente, occuparsi di marketing nelle imprese non significa solo fare comunicazione, ma anche essere in grado di analizzare il mercato e segmentare la clientela, decidere il posizionamento competitivo, scegliere i canali distributivi e sviluppare servizi che rafforzano le relazioni e il coordinamento tra canali di vendita e produzione.

44

All’interno di questa articolazione delle attività riconducibili al più generale concetto di marketing, l’evidenza empirica di questi ultimi 15 anni ci consegna almeno due importanti elementi di innovazione strategica di approccio al mercato: il primo riguarda lo sviluppo dei marchi; il secondo attiene alla riorganizzazione del rapporto con la distribuzione.

Sul fronte delle forme di collaborazione con la distribuzione, gli anni novanta rappresentano infatti un periodo di cambiamento e di interessanti sperimentazioni per la parte più avanzata dell'industria moda.

Come noto, larga parte delle imprese caratterizzate da marchi di prestigio, riconosciuti dai consumatori hanno intrapreso una strategia di potenziamento del controllo sulla distribuzione attraverso lo sviluppo di una rete dei negozi propri e in franchising o per mezzo di joint-venture.

Grazie a questo processo di rafforzamento dell’integrazione con la distribuzione, l’impresa moda è riuscita a recuperare redditività non solo per effetto di un beneficio di redistribuzione del valore aggiunto che si realizza nella fase di commercializzazione al dettaglio, ma anche perché questo allungamento della filiera fino al dettaglio ha garantito un beneficio in termini di stabilità di presenza sul mercato, di conoscenza diretta delle caratteristiche del consumatore e di controllo dell’intero “teatro della rappresentazione dell’immagine” del prodotto.

In sintesi, questo spostamento nella direzione di una filiera moda che si appropria di un rapporto diretto con il mercato attraverso la gestione dei punti vendita si sta rivelando un approccio strategico particolarmente efficace per attrezzare una riposta di prodotto e servizio commerciale coerente alle esigenze più consapevoli e sofisticate di quella fascia di consumatori – principale target del Made in Italy - che si è emancipata dal prodotto di massa.

Ma nonostante questi esempi di successo, le relazioni fra produttori e distributori restano ancora l'aspetto più complesso e problematico di questo settore, nonché quello che in prospettiva richiederà un ulteriore impegno per individuare nuove modalità di collaborazione e di alleanza.

L’evoluzione del rapporto con il commercio nella forma prima descritta ha infatti coinvolto soprattutto imprese di grandi dimensioni in grado di sostenere gli ingenti investimenti di acquisizione e apertura dei punti vendita, mentre la platea delle piccole imprese, a causa di una scarsità di risorse e di un orientamento ancora oggi sbilanciato sul prodotto e meno al mercato, continua ad essere sguarnita di un modello relazioni che consenta loro di riappropriarsi di margini di redditività fortemente compressi dal crescente potere contrattuale del sistema distributivo.

Da diverse ricerche risulta infatti che l’accesso al mercato dei prodotti delle piccole imprese passa prevalentemente attraverso i canali tradizionali, ossia, la rete dei grossisti, il rapporto diretto con punti vendita al dettaglio indipendenti e il sistema delle fiere.

Come noto, questo schema di integrazione tra produzione e distribuzione, pur continuando a rappresentare un veicolo importante di accesso al mercato, oggi è in forte difficoltà in quanto il consumo si sta spostando sempre di più nella direzione o della grande distribuzione o dei canale monomarca o comunque catene organizzate.

45

In questo contesto, per scongiurare il rischio di un isolamento delle piccole imprese diventa quindi una priorità la costruzione di un nuovo modello di accesso al mercato che sia coerente con l’evoluzione delle forme di consumo e dell’organizzazione del sistema distributivo.

Su questo versante, una forma alternativa di rapporto con il mercato che consentirebbe anche alle piccole imprese di capitalizzare una strategia che fa leva sulla qualità, è senza dubbio quella già in parte sperimentata di rapporti di partnership con quel segmento della grande distribuzione nazionale ed estera interessata a posizionarsi anche su quella fascia sempre più ampia di consumatori maggiormente attenti ai fattori di qualità e personalizzazione del prodotto.

Naturalmente, affinché questo avvicinamento tra grande distribuzione e produzione possa diventare un vantaggio strutturale anche per le piccole imprese diventa indispensabile sviluppare un modello di relazioni in cui si realizza una solida convergenza di interessi tali da superare quelle forme di scambio commerciale che quasi sempre si risolvono in un rapporto gerarchico che come noto determina una posizione dominante della distribuzione e una sostanziale esclusione della piccola impresa dal maggior valore aggiunto che potrebbe derivare da una strategia di integrazione della filiera sui segmenti medio alti del mercato.

Certamente, il principale fattore che contribuisce a determinare la qualità delle relazioni riguarda le caratteristiche dei player della filiera, e precisamente, la capacità delle parti di misurasi con i mutamenti dei fattori di competitività e di sviluppare nell’ambito dei propri ruoli quelle specializzazioni, capacità manageriali e di organizzazione che garantiscono un contributo effettivo al miglioramento del rapporto con il mercato.

Su questo versante, affinché la piccola impresa manifatturiera possa rafforzare la propria posizione negoziale con la distribuzione e garantirsi per questa via una opportunità di sviluppo strutturale diventa essenziale incrementare il contenuto professionale dell’offerta sia nei termini della qualità e valore innovativo del prodotto che della capacità di garantire una risposta immediata ai continui mutamenti del mercato. Più alte sono queste caratteristiche e più probabile che la distribuzione cerchi di istaurare con la fornitura un rapporto non opportunistico ma bensì basato sull’interesse reciproco a condividere i benefici che si realizzano attraverso una integrazione di ruoli e competenze.

Naturalmente in questa nuova logica dell’integrazione operativa assume un ruolo fondamentale anche lo schema di relazioni con cui si compone il collegamento tra produzione e distribuzione. E’ infatti del tutto evidente che il funzionamento di un approccio sistemico dipenderà molto dalla capacità di garantire una forte coerenza tra le componenti del network in termini di standard qualitativo e tempi di risposta al mercato; un risultato che inevitabilmente implica l’aggiornamento di un meccanismo di semplice interazione commerciale (oggi molto diffuso) che normalmente genera una maggior dispersione all’interno di un sistema reticolare, per accedere ad una architettura più sofisticato di relazioni stabili e formalizzate (che possono essere alleanze strategiche, consorzi, cordate fino alla partecipazione patrimoniale) che invece garantiscono un maggior beneficio in termini di codificazione dei processi e quindi simmetria dei risultati.

46

Come già anticipato, nell’esperienza dell’industria della moda un altro punto importante all’interno della strategia di valorizzazione del rapporto con il mercato è stato l’investimento sui marchi. Benché questo approccio venga da lontano, negli ultimi 15 anni si fa sempre più visibile per quelle imprese che hanno scelto di collocarsi su prodotti innovativi una azione strategica che pur continuando a guardare al prodotto nelle sue componenti moda e qualità, rivolge una particolare attenzione ad ampliare e consolidare il rapporto con il mercato utilizzando la leva del marchio come canale di immagine e riconoscibilità del prodotto. La “marca” attraverso opportune azioni di comunicazione diventa quindi il mezzo con cui trasferire il prodotto sia nei suoi contenuti materiali (caratteristiche tecniche e di design) che nella sua componente di valori espressivi, comunicativi ed emozionali.

Naturalmente come per la pratica dell’accesso diretto al mercato, la questione che si apre per le piccole imprese è quello di superare l’ostacolo economico, organizzativo e dimensionale per garantirsi l’opportunità di accedere ai benefici di competitività che assicura una politica di valorizzazione della qualità del prodotto attraverso la leva del marchio. Va infatti ricordato che in un mercato sempre più ampio e sofisticato la costruzione del marchio d’impresa implica ingenti investimenti che non sono alla portata di una piccola impresa.

Una prima risposta concreta che va in questa direzione è senza alcun dubbio una politica di valorizzazione del prodotto attraverso azioni di comunicazione basate su un marchio collettivo. Come noto, in questo ambito le esperienze più diffuse nel sistema moda sono quella del marchio territoriale e quella di certificazione della qualità tecnica del prodotto. Inoltre, negli ultimi anni, nel quadro di un processo di globalizzazione che ha riportato al centro dell’attenzione le problematiche di tutela socio ambientale dei paesi in via di sviluppo, stanno aumentando quelle imprese che aderiscono ad una politica di valorizzazione del prodotto che fa leva sulla certificazione di qualità ambientale e socio-sanitaria.

Lo scenario dunque che oggi si prospetta, è quello di una competizione internazionale che non risparmia le piccole imprese da un impegno a ridefinire il proprio assetto strategico nella direzione di una articolazione di attività che va ben oltre la pratica manifatturiera. La necessità di superare i confini nazionali e orientarsi verso target di consumo più sofisticati per capacità di interpretare contenuti tecnici e valori immateriali del prodotto, impone infatti anche alle piccole imprese un salto di qualità nella direzione di una aziende multi-funzione dove tutte le componenti immateriali genericamente riconducibili all’area del marketing tendono ad acquisire importanza, in alcuni casi anche superiore a quella degli stessi prodotti.

Naturalmente, per lasciarsi alle spalle un modello operativo tutto concentrato sulle attività manifatturiere ed accedere ad un sistema che segue il prodotto fino al mercato, l’impresa dovrà investire in un processo di adattamento culturale e sviluppo di competenze a cui indubbiamente la formazione può concorrere a supportare con successo.

47

L’azienda a competenza multipla

Design

Manufacturing

Communication

Retailing

MultiMulti--competencecompetencecompanycompany

CultureSociety

Consumption

Design

Manufacturing

Communication

Retailing

MultiMulti--competencecompetencecompanycompany

CultureSociety

Consumption

The fashionThe fashion business inbusiness in thethe ‘‘90s90s

Fonte: Hermes Lab

5.4 La formazione come fattore di innovazione delle imprese italiane del settore moda

Cercando di dare una lettura trasversale della situazione del sistema moda italiano, possiamo dire che esso risente di problematiche afferenti a due ambiti differenti ma legati tra loro: uno di natura esogena, ovvero esterna all’assetto nazionale del settore; l’altro di natura endogena, ovvero interna al settore stesso.

In un’ottica macro, i punti problematici di natura esogena, sono rappresentati in maniera preponderante dall’elevata competitività dei mercati esteri..

Guardando invece alle imprese, come riproposta dalle cifre su cui è stata elaborata l’analisi delle caratteristiche strutturali dell’apparato produttivo moda, è evidente che dentro al settore esiste una ampia quota di imprese che continua ad essere legato ad una concezione della produzione ancorata a logiche, dinamiche imprenditoriali e organizzative e, in taluni casi, tecnologie produttive che hanno difficoltà a generare al loro interno innovazioni di idee, di prodotto e di logiche produttive.

Due livelli di criticità che, sempre secondo l’analisi statistica proposta nelle pagine precedenti, sembrerebbero trovare nel “nanismo imprenditoriale” il fattore che ne moltiplica l’impatto sulla capacità competitività del settore.

Come noto, lo scenario nazionale è infatti costellato di micro e piccole imprese che evidenziano una difficoltà a crescere, ma ancora di più, evidenziano una difficoltà ad attuare quella strategia di crescita derivante da un pensiero “innovativo” (ovvero l’innovazione non solo nel processo, ma l’innovazione nel pensare il processo), un approccio che in questa nuova fase di competizione globale è alla base delle strategie di sviluppo di ogni imprese. L’innovazione è infatti diventato il principale motore per dare sicurezza allo sviluppo di un sistema produttivo occidentale che deve spostare il suo posizionamento competitivo fuori dall’angolo del fattore prezzo su cui i PVS presentano un consolidato vantaggio competitivo.

Il cambiamento nell’approccio allo sviluppo diventa quindi un perno su cui costruire le prospettive delle piccole imprese all’interno del settore moda, e questo ovviamente attribuisce un ruolo fondamentale ad una politica della formazione che sia capace di sviluppare un capitale umano capace di gestire l’innovazione.

48

A questo riguardo i dati Excelsior ci propongono una fotografia del settore ancora in forte ritardo nell’accesso ai benefici di un percorso formativo strutturato. Nel 2004 sono infatti solo il 9% del totale delle imprese del settore ad aveva effettuato corsi di formazione. Un risultato che ci consegna un sistema imprenditoriale che nella sua larghissima maggioranza ancora oggi preferisce seguire strategie di apprendimento nel lavoro basate sull’affiancamento piuttosto che accedere a percorsi formativi strutturati.

Se osserviamo i dati nella ripartizione dimensionale, possiamo inoltre notare che questo risultato di diffusione della formazione prende forma componendo situazione molto diverse.

L’attività formativa è stata infatti rilevante tra imprese con più di 500 dipendenti (pari ad una quota del 65% delle imprese), mentre scende drasticamente al passaggio alle classi minori (che come noto sono l’asse portante del settore moda) fino a toccare un minimo del 6,1% tra le imprese con meno di 9 addetti.

Questo dato di basso utilizzo della leva formativa acquista ancor più rilevanza se riportato al dato medio dell’industria italiana. Costruendo infatti un ranking delle imprese italiane che hanno effettuato formazione nel 2004, il settore Tessile, abbigliamento e delle calzature, si attesta per tutte le classi dimensionali agli ultimi posti della classifica nazionale.

Focalizzando l’attenzione sulle micro imprese si scopre che il dato medio nazionale di accesso delle imprese alla formazione raggiunge il 17%. Tale percentuale, seppur insufficiente, è di circa 10 punti più alta rispetto a quello delle imprese del settore tessile.

Il ritardo sull’accesso alla formazione nel settore diventa ancora più visibile se si sposta l’analisi dalle imprese ai lavoratori. Nel complesso del settore i lavoratori che beneficiano di un corso di formazione sono meno del 5%, con una diffusione massima che tocca il 18% tra le imprese più grandi per poi scende al 9% tra le medie imprese (250-499), ed andare sotto la quota del 5% già nell’ambito di quelle imprese che oscillano tra 50 e 250 addetti.

Imprese nel settore tessile, abbigliamento e delle calzature che internamente o esternamente hanno effettuato formazione nel 2004

6,1 10,720,3

40,6

65,0

8,90%

20%

40%

60%

80%

100%

1-9 dip. 10-49 dip. 50-249 dip. 250-499 dip. 500 e oltre Totale

Imprese che hanno effettuato la formazione Imprese che non hanno effetuato la formazione

Fonte: Elaborazione su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior

49

Dipendenti che nel 2004 hanno partecipato a corsi di formazione effettuati dalla propria impresa, per classe dimensionale (quota % sul totale dei dipendenti)

2,4 3,1 4,6 8,9 17,7 4,90%

20%

40%

60%

80%

100%

1-9 dip. 10-49 dip. 50-249 dip. 250-499 500 e oltre Totale

Dipendenti che non hannopartecipato ai corsi di formazione

Dipendenti che hanno partecipato ai corsi di formazione

Fonte: Elaborazione su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior

Per disegnare un quadro completo sull’approccio alla formazione nel settore un ultimo passaggio di particolare interesse riguarda senza dubbio la ricostruzione degli impegni formativi sui lavoratori che le imprese dichiarano di voler assumere.

Attraverso questa analisi è infatti possibile registrare gli eventuali cambiamenti nella percezione dell’utilità della formazione. L’analisi inoltre si rivela di particolare interesse in quanto i dati Excelsior consentono di monitorare i diversi atteggiamento sia rispetto alla classe dimensione di appartenenza sia rispetto alle principali categorie professionali.

Come evidente dai dati riportato nel grafico, nel settore viene confermata una difficoltà a supera una diffusa sottovalutazione dell’importanza dell’attività formativa (solo il 9% dichiara di voler effettuare corsi di formazione ai neo assunti) e questa disattenzione si rileva nuovamente più evidente nelle micro e piccole imprese (solo il 4-5% dichiara di prevedere un corso per i neo assunti contro il 35% delle imprese che superano i 50 addetti).

Ma nonostante questo dato generale, se si accede ad una disaggregazione per categorie professionali si scopre che la percezione dell’utilità dei corsi di formazione oscilla in modo significativo tra le diverse professioni.

Possiamo osservare, infatti, che è ampiamente diffuso tra le imprese il riconoscimento dell’importanza della pratica formativa sulle nuove figure professionali specialistiche che oggi sono considerate determinanti per il successo competitivo dell’impresa (addetti vendita, disegnatori, tecnici della qualità). Naturalmente, non si può fare a meno di notare che le figure professionali prese in considerazione, si riferiscono a competenze raramente (o quasi mai) richieste dalle piccole imprese, e, di contro, molto presenti nelle gradi imprese.

Se invece andiamo ad osservare cosa succede sulle mansioni specialistiche più tradizionali (operatore macchine tessili, sarto, addetto alla lavorazione del cuoio, stiratore, confezionatore di prodotti) vediamo

50

che la percentuale di “necessità di formazione” percepita dalle aziende per le nuove assunzioni previste, si abbassa considerevolmente. Una minor attenzione che potrebbe essere spiegata sia dalla possibilità di reperire con più facilità persone che già dispongono delle competenze specifiche, sia dalla maggior possibilità di superare i deficit formativi attraverso un percorso di affiancamento interno all’impresa senza accedere ad un servizio esterno specialistico.

Quota di Imprese che segnalano la necessità di corsi ai neo assunti: una comparazione per classi dimensionali e categorie professionali

1,0

1,4

5,1

13,9

16,8

17,9

19,0

25,0

36,2

38,5

46,7

9,0

4,4

5,9

35,6

47,6

Confezionatore prodotti

Stiratore

Cucitore a macchina

Telaista industriale

Cucitore

Addetto lavorazione cuoio e pelli

Sarto

Operatore macchine tessili

Tecnico produzione e controllo qualità

Disegnatore cad-cam

Disegnatore abbigliamento

Addetto vendite

Totale professioni per l'intero aggregato delle imprese

Totale professioni per le imprese con meno di 9 addetti

Totale professioni per le imprese di 10-49 addetti

Totale professioni per le imprese con più di 50 addetti

Fonte: Elaborazione su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior

Il quadro sopraesposto ci consegna una fotografia abbastanza inequivocabile di una generale difficoltà del settore, ed ancora di più del segmento delle piccole imprese ad aderire ad un politica di sviluppo che impone un crescente impegno sulla valorizzazione del capitale umano attraverso la leva della formazione.

Risultata altrettanto chiara però che le cifre sulla diffusione della formazione restituiscono una asimmetria tra le attività tradizioni, si cui l’impresa privilegia un apprendimento interno attraverso la pratica dell’affiancamento, e quelle che oggi potremmo definire apicali, che genericamente possono essere inquadrate nell’area dell’immaterialità (concezione e valorizzazione del prodotto sul mercato) dove l’esigenza della formazione esterna comincia ad essere largamente acquisita della intera compagine delle imprese.

51

Su questi presupposti, sostanzialmente coerenti con un sistema industriale che storicamente esprime una dotazione di capitale umano fortemente sbilanciato sulle componenti manifatturiere, un impegno di facilitazione all’accesso alla formazione dovrà necessariamente essere costruito prevedendo un approccio che influenzi drasticamente l’offerta prendendo in considerazione i punti nodali che emergono dal presente rapporto e che dalle cifre sulla domanda di formazione sembrano essere diventato patrimonio comune alle imprese

Su questi presupposti, alcune importanti aree di professionalità su cui costruire un offerta formativa coerente con lo scenario delineato sono almeno cinque:

- Investire sulla cultura dell’innovazione in azienda, tenendo conto della classe dimensionale a cui la programmazione è rivolta;

- Intervenire nei contesti, individuando come necessari interventi cosiddetti “di sistema” e/o “propedeutici” finalizzati alla creazione di un contesto socio produttivo in grado di favorire demoltiplicazioni aziendali attraverso fusioni o cambiamenti strutturali in ambito di distretto che si indirizzino verso la creazione di filiere compiute e finite di produzione e commercializzazione;

- Sviluppare un’offerta formativa su figure di coordinamento delle attività che concorrono alla formazione del prodotto dalla fase di progettazione fino all’inserimento sul mercato

- Rafforzare la proposta formativa sul fronte delle competenze necessarie per sviluppare i contenuti intangibili del prodotto.

6. Un quadro di sintesi degli scenari emersi e delle opzioni di policy

Lo scenario macroeconomico in cui opera il settore TAC – Moda, descritto nei capitoli precedenti, dimostra come l’elemento centrale per la competitività delle imprese é rappresentato dalla capacità di stare al passo con il continuo progresso tecnologico e con i veloci cambiamenti di un contesto e di un mercato di riferimento ampio, diversificato e globale per attestarsi su un segmento di prodotto ad alto valore per qualità e contenuto innovativo.

E’ del tutto evidente che a percorrere questa strada della competizione sulla qualità ed innovazione dovrà essere l’intero sistema moda dalle grandi imprese fino alla componente di imprese artigianali e di imprese di piccola e piccolissima dimensione che ancora oggi rappresentano l’ossatura dell’apparato produttivo moda.

Questo nuovo posizionamento competitivo appare condizionata dalla possibilità di migliorare il contesto infrastrutturale e istituzionale in cui le piccole e gradi imprese operano e dalla realizzazione di una poderosa azione di ridefinizione dei driver dello sviluppo sul piano del riassetto organizzativo e degli investimenti in innovazione secondo un nuovo paradigma che articola le aree di intervento su tutti i fattori che contribuiscono a costruire il valore del prodotto da quelli tecnologici a quelli immateriali.

Per tradurre queste idee in progetti operativi è fondamentale che questa nuova architettura strategica diventi patrimonio comune dell’intero apparato produttivo e istituzionale. A partire da questa

52

condivisione sulle prospettive, non può mancare un concreto impegno con politiche di distretto capaci di contribuire ad una riorganizazione del settore su una piattaforma di integrazione operativa delle imprese in grado di ricomporre il processo su nuovi meccanismi relazionali che consentano di ridurre lo svantaggio competitivo di un sistema che ancora oggi presenta alti livelli di frazionamento produttivo. Andrebbero in questa direzione tutti quegli interventi che a vario livello favoriscono un processo di consolidamento del network su basi strutturali (consorzi, fusioni, formazione di gruppi).

Sempre nella prospettiva della costruzione di un nuova architettura operativa, oltre ad un sostegno delle imprese per realizzare un avanzamento sul piano dei link delle unità di rete, non può essere rimandato un’azione che contribuisca a ridefinire il perimetro degli attori su cui costruire questa integrazione. Ciò che impone questo secondo cambiamento è l’esigenza di adeguare il sistema ad un processo sempre più visibile di allargamento dei fattori su cui si forma il valore del prodotto.

Come più volte riportato nel report, il vincolo di un nuovo posizionamento competitivo su segmenti medio alti del mercato, più attenti ai contenuti tecnici ed al valore immateriale del prodotto, e l’opportunità di estendere la presenza del prodotto moda italiano sui mercati di nuovo consumo, impongono inevitabilmente un rafforzamento della presenza transnazionale e delle sinergie con la complessa area dei servizi e dell’industria chimica (che rappresenta il principale fornitore dell’innovazione di base), fino a sviluppare una nuova filiera moda che supera per funzioni e soggetti coinvolti la sua configurazione tradizionale.

Questa trasformazione organizzativa diventa funzionale e propedeutica ad una strategia di sviluppo basata su un nuovo paradigma dell’innovazione imposta dal mercato le cui componenti diventano i fattori tecnici e tecnologici assieme ai fattori creativi, di comunicazione e commercializzazione del prodotto in ambito nazionale ed internazionale.

Lo scenario che oggi si prospetta, è infatti quello di una competizione internazionale che non risparmia alcuna impresa da un impegno a ridefinire il proprio assetto strategico nella direzione di una articolazione di attività che va ben oltre la pratica manifatturiera. La necessità di superare i confini nazionali e orientarsi verso target di consumo più sofisticati per capacità di interpretare contenuti tecnici e valori immateriali del prodotto, impone infatti anche alle piccole imprese un salto di qualità nella direzione di una aziende multi-funzione dove tutte le componenti immateriali genericamente riconducibili all’area dei servizi tendono ad acquisire importanza, in alcuni casi anche superiore a quella degli stessi prodotti.

Naturalmente, per lasciarsi alle spalle un modello operativo tutto concentrato sulle attività manifatturiere ed accedere ad un sistema che segue il prodotto fino al mercato, l’impresa dovrà investire in un processo di adattamento culturale, sviluppo di competenze e estensione degli investimenti a cui indubbiamente è determinante che concorra una politica industriale che dovrà agire in modo integrato non solo sul fronte della costruzione di una nuova rete, ma anche dal lato dell’accesso alla formazione e del più complessivo impegno che l’intero sistema dovrà affrontare per acquisire quel patrimonio di innovazioni fondamentale per partecipare da protagoniste a questo nuovo scenario competitivo.

53


Recommended