Economia
Angus Deaton
La Grande Fuga
2013
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Come ha fatto quella parte dell’umanità appartenente all’Occidente a lasciarsi alle spalle la
miseria e la morte prematura? In questo libro l’economista scozzese Angus Deaton, Premio
Nobel nel 2015, spiega perché solo l’Occidente sia riuscito in questa impresa, mentre gli
altri hanno fallito. Deaton chiarisce inoltre i motivi per cui il “cammino verso un mondo
migliore” produce disuguaglianze. La difficoltà principale, per ogni società in fuga dalla
povertà, è proprio quella di gestire le tensioni provocate dalle innovazioni necessarie alla
crescita economica. Deaton esamina infine le dinamiche degli aiuti ai paesi poveri,
illustrando perché, lungi dal favorire la crescita, gli aiuti alimentano corruzione e rallentano
o impediscono l’evoluzione di quei paesi verso una democrazia compiuta.
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PUNTI CHIAVE
La crescita economica porta sempre con sé una crescita della disuguaglianza.
Il benessere non è soltanto una questione di durata della vita e reddito.
La speranza di vita è dovuta più al miglioramento delle condizioni igieniche che al venir
meno della mancanza di cibo.
La riduzione della mortalità dei bambini incide sulle aspettative di vita in misura
maggiore della riduzione della mortalità tra gli anziani.
Poiché nel terzo mondo si muore di malattie che si curano nei paesi ricchi, la crescita
economica salva più vite della politica sanitaria.
L’aumento della polarizzazione della ricchezza è dovuto, tra l’altro, allo sviluppo
dell’Information Technology e alla globalizzazione.
L’esplosione demografica non ha precipitato il mondo nella miseria.
Gli aiuti ai paesi poveri si sono rivelati fallimentari.
RIASSUNTO
Crescita e disuguaglianza
La crescita della prosperità è sempre andata di pari passo con la crescita delle
disuguaglianze, anche con l’attuale globalizzazione. Se paesi come Cina, India e quelli del
sud est asiatico hanno fatto passi avanti fuori dalla povertà, chi rimane indietro, come i
paesi africani, si scopre ancora più povero in rapporto agli altri.
Nuove conoscenze, nuove invenzioni e nuovi modi di fare le cose sono gli elementi decisivi
per il progresso. L’ambiente economico-sociale e la maggior produttività hanno fatto
crescere i salari, mentre l’abbondanza di carbone ha permesso lo sviluppo di quelle
macchine che hanno dato vita alla Rivoluzione Industriale. Secondo Deaton, però, anche la
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disuguaglianza incide sui processi di invenzione. Positivamente, se si pensa che le
sofferenze dei poveri incentivano la ricerca di nuovi sistemi per colmare i divari;
negativamente, poiché interessi consolidati hanno molto da perdere da nuove invenzioni e
nuovi modi fare le cose. Del resto, c’è sempre chi trae vantaggio per primo da nuove
invenzioni e nuove conoscenze, ma le disuguaglianze che così si creano sono di breve
durata, mentre i vantaggi per la collettività nel suo complesso sono duraturi.
La fuga più grande nella storia dell’umanità è quella dalla povertà e dalla morte, e come
tutte le fughe ha avuto effetti positivi per alcuni che sono diventati più ricchi, più sani, più
alti e robusti e più colti, mentre su chi è rimasto indietro ha inciso maggiormente la
disuguaglianza.
Povertà e benessere
Il benessere, però, non consiste solo nel vivere più a lungo, ma anche nel vivere il più
possibile in buona salute. Un reddito più alto consente alle persone di godere di una salute
migliore, soprattutto in luoghi in cui occorre denaro per acquistare cibo in quantità
sufficiente, per avere una buona istruzione e per consentire alle amministrazioni pubbliche
di offrire acqua potabile a condizioni igieniche adeguate.
Riguardo ai paesi poveri, il loro Gap con i paesi ricchi è determinato da 250 anni di crescita
da parte dei paesi ricchi. I paesi poveri, tra l’altro, potrebbero non riuscire a crescere (vedi
paesi africani negli anni Ottanta) oppure, quando ci riescono, i proventi della crescita
finiscono spesso nelle tasche di una ristretta élite già ricca al potere, provocando così una
maggior disuguaglianza. Tra il 1981 e il 2008 la povertà globale è scesa grazie soprattutto
alla crescita di Cina e India. Nonostante un aumento di popolazione di due miliardi, il
numero delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno è diminuito di 750
milioni di persone, passando dal 40% al 14% della popolazione mondiale.
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Nella preistoria
Per il 95% della storia umana, gli uomini hanno vissuto cacciando animali e raccogliendo
frutti ed erbe selvatiche. Fra i cacciatori-raccoglitori che popolavano la preistoria la
fecondità era bassa, poiché un’attività fisicamente faticosa e il prolungato allattamento
riducevano la probabilità di concepimento nella donna. La speranza di vita era sui 20/30
anni. Pur non conoscendo norme igieniche, i cacciatori-raccoglitori, non essendo stanziali,
non erano sottoposti al contagio dovuto all’accumularsi dei rifiuti urbani, mentre la vera
minaccia era rappresentata dalle malattie zootecniche trasmesse da altri animali o da
parassiti come i vermi intestinali. L’estinzione degli animali di grossa taglia abbassò il tenore
di vita dei cacciatori-raccoglitori, che dovettero cavarsela cibandosi di piante, semi e
animali più piccoli.
Con il neolitico arrivò l’agricoltura e nacque la proprietà privata, che rese più efficiente il
lavoro agricolo, ma aumentò le disuguaglianze all’interno delle comunità. Gli aumenti di
produttività avvenuti in seguito a qualche innovazione non si traducevano in aumenti di
reddito o di speranza di vita, ma in incrementi di tassi di fecondità, mentre nei periodi di
crisi le bocche da sfamare superavano le risorse disponibili e la popolazione diminuiva.
Rivoluzione industriale e teoria microbica
Dal 1550 al 1750, in Inghilterra, l’aspettativa di vita era determinata più dalla malattia che
dalla mancanza di cibo. Dal 1750 l’aspettativa di vita dei nobili diventa più alta rispetto a
quella della gente comuni, ma dal 1770 inizia a crescere anche quella del popolo. A partire
dal 1850, poi, con a drastica diminuzione nella mortalità dei bambini, l’aspettativa di vita
crebbe continuamente. In Inghilterra e in Galles si passò dai 40 anni del 1850 ai 45 del 1900,
per giungere ai 70 nel 1950.
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Più che la medicina, poterono il progresso socio-economico, una dieta più ricca e il
controllo delle malattie attraverso interventi di salute pubblica, soprattutto con il
miglioramento dei servizi fognari e sanitari, e della fornitura di acqua pubblica. Con la
rivoluzione industriale e le sue fabbriche milioni di persone delle campagne si riversarono
nelle città, dove erano scarsi o assenti le disposizioni e i servizi con cui affrontare gli
straordinari problemi sanitari causati dalla concentrazione di così tanti individui in quartieri
angusti. La vita in campagna può dimostrarsi ragionevolmente sicura anche in mancanza di
provvedimenti per lo smaltimento dei rifiuti; non così nei centri urbani.
La scoperta, la diffusione e l’adozione della teoria microbica delle malattie determinarono
la riduzione della mortalità dei bambini in Gran Bretagna e nel resto del mondo. Le
conoscenze di base secondo cui sono i microbi a causare le malattie diffondendosi
attraverso l’acqua contaminata erano a disposizione di tutti gratuitamente, ma se erano
gratuite le conoscenze di base, non era gratuito implementarle. Non si può pensare che i
progressi della scienza vengano dal nulla come una manna dal cielo. La rivoluzione
industriale, e l’urbanizzazione che l’ha accompagnata, hanno generato sia il bisogno di
scoperte scientifiche sia la creazione delle condizioni propizie al loro verificarsi.
Mortalità infantile e povertà
Oggi, in India, la speranza di vita è più elevata di quella della Scozia nel 1945, benché il
reddito pro capite indiano corrisponda a quello che la Gran Bretagna aveva nel 1860,
mentre in una trentina di paesi, il 10% dei bambini muore prima di avere raggiunto i cinque
anni. Non muoiono di malattie nuove o tropicali, ma delle stesse malattie che un tempo
uccidevano i bambini europei, ma che ora sappiamo curare. Quelle del terzo mondo sono
le “malattie della povertà”, nel senso che verrebbero ridotte qualora venisse ridotta la
miseria, dal che si deduce che più che la politica sanitaria può la crescita economica. Nei
paesi poveri i bambini muoiono delle stesse malattie di cui morivano un tempo i bambini
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nei paesi ricchi e questo perché in questi ultimi le persone dispongono del denaro per
curarsi.
Purtroppo, nei paesi poveri i governi agiscono poco spesso nell’interesse dei propri cittadini
e così spendono poco in salute pubblica e sanità. Ma se questo è dovuto in buona parte alla
corruzione di regimi dispotici, va detto che queste scelte dipendono anche dalla volontà
dei cittadini di quei luoghi. Per gli abitanti dell’Africa la salute è meno importante della lotta
alla povertà e alla disoccupazione. Così, quei governi che creano posti di lavoro inutili
all’interno di pubbliche amministrazioni elefantiache non fanno che venire incontro ai
desideri delle loro popolazioni. Eppure, la quota dei cittadini soddisfatti della propria salute
è la stessa nei paesi ricchi e nei paesi poveri.
Via via che la mortalità infantile diminuisce, nei primi anni successivi alla riduzione della
mortalità la popolazione aumenta, ci saranno molti bambini in più e quindi più persone non
in grado di dare un contributo fattivo all’economia del paese. Ma questo è un effetto
temporaneo, perché i bambini sopravvissuti alla morte divengono poi adulti produttivi.
Pertanto, non vi è ragione di supporre che una popolazione più numerosa sia anche una
popolazione più povera.
Crescita economica e povertà
Le scoperte relative alle malattie cardiovascolari e al cancro si stanno propagando in tutti i
paesi, compresi quelli poveri. Solo in Africa le malattie infettive rappresentano la principale
causa di morte. Ma a differenza degli economisti, gli studiosi della salute considerano
negativamente l’influsso della gobalizzazione, sia per la diffusione del fumo da parte delle
multinazionali del tabacco, sia per il sistema dei brevetti che rende il costo dei farmaci
molto elevato. In ogni modo, le disuguaglianze trai paesi nell’assistenza sanitaria si stanno
riducendo.
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La crescita economica ha innalzato il tenore di vita e ridotto la povertà, con la quota di
popolazione mondiale in condizioni di povertà estrema che è scesa dall’ 84% al 24% tra il
1820 e il 1992. Nel XVIII secolo le disuguaglianze più profonde erano interne ai paesi (tra
proprietari terrieri appartenenti all’aristocrazia e popolo), mentre nel 2000 erano tra paesi.
Con una crescita annua del 2% i redditi raddoppiano ogni trentacinque anni.
Disuguaglianza e benessere negli Stati Uniti
Nel corso degli ultimi 30 anni la distanza tra il livello di benessere materiale della
maggioranza della popolazione e quello raggiunto dai gruppi al vertice della distribuzione
si è allargata in modo marcato. Gli economisti ritengono che ciò sia dovuto allo sviluppo
dell’Information Technology e alle skills da essa richieste. L’ultimo 90% dei contribuenti ha
visto crescere i propri redditi al lordo delle tasse di meno dello 0,15%, mentre i redditi al
lordo delle imposte dell’1% più ricco è aumentato di 2,35 volte.
A questa tendenza concorre anche la globalizzazione, con personaggi dello spettacolo e
grandi atleti i cui compensi sono esplosi, poiché hanno la possibilità di farsi ammirare dal
mondo intero e non soltanto dai loro pubblici locali. E lo stesso discorso vale per gli
imprenditori globalizzati, che possono aumentare i loro profitti ampliando il loro mercato
in tutto il globo.
Il settore finanziario, che ha contribuito in modo significativo a sovvenzionare
l’innovazione, ha visto aumentare la sua importanza e la sua influenza e questo ha suscitato
polemiche e discussioni. L’implicita garanzia che il governo avrebbe soccorso le istituzioni
“troppo grandi per fallire”, ha indotto queste ultime a correre rischi fortemente
remunerativi ma anche eccessivi, provocando un collasso nel sistema e a far perdere il
lavoro a milioni di persone che hanno visto diminuire i propri redditi, trovandosi sommersi
dai debiti.
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Incremento della speranza di vita ed esplosione demografica
L’aumento della speranza di vita, gradito da tutti, è stato seguito dall’aumento del numero
dei vivi, un incremento della popolazione globale, non gradito da tutti. Perché la
popolazione mondiale raggiungesse, all’inizio del XIX secolo, il miliardo di individui c’è
voluta buona parte della storia del genere umano. Al traguardo dei due miliardi si è arrivati
intorno al 1935, solo 125 anni più tardi; per raggiungere, nel 1960, quello di tre miliardi
sono stati necessari solo 25 anni. A questo punto, anziché iniziare a rallentare, il tasso di
crescita della popolazione mondiale ha raggiunto nel 1960 il 2,2% all’anno, il più alto di
tutta la storia, sufficiente a consentire al numero dei vivi di raddoppiare ogni 32 anni. Che
la popolazione stesse crescendo in modo esplosivo non era un’esagerazione.
A dispetto delle profezie di sventura, l’esplosione demografica non ha precipitato il mondo
nella carestia e nella miseria. È possibile che la nascita di altri bambini imponga ai già vivi
nuovi costi, ma porta anche nuovi benefici sotto forma di idee nuove e nuovi modi di fare
le cose, che sono la base stessa della crescita economica e gli strumenti per intraprendere
la grande fuga.
Il fallimento degli aiuti ai paesi poveri
Dalla fine della seconda guerra mondiale i paesi ricchi hanno cercato di colmare le distanze
con i paesi poveri attraverso il sistema degli aiuti ai paesi poveri, con l’obiettivo di
migliorare la vita delle persone in miseria. Gli argomenti etici a sostegno della lotta alla
povertà sono importanti, ma il problema non è di ordine morale, bensì pratico. Per quanto
paradossale possa sembrare, dare più risorse di quanto si stia dando oggi peggiorerebbe le
cose anziché migliorarle, perché rimediare alla povertà nel mondo o salvare i bambini dalla
morte precoce è considerato un problema ingegneristico, simile alla riparazione di una
tubatura.
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Uno dei maggiori dilemmi degli aiuti all’estero consiste nel fatto che se le “condizioni
necessarie allo sviluppo” sono presenti, gli aiuti non sono necessari. Se le condizioni locali
sono avverse alla crescita, gli aiuti sono inutili e qualora contribuiscano a perpetuare quelle
condizioni diventano persino dannosi. L’aiuto è più efficace laddove è meno necessario, ma
i donatori più entusiasti insistono sulla sua efficacia per chi ne ha più bisogno. Gran parte
degli aiuti viene destinata a regimi che hanno pochissimo interesse a soccorrere i propri
cittadini. Quasi la metà dell’ODA (Official Development Assistance) finisce nelle mani di
regimi dispotici.
Gli aiuti inducono i governi ad aumentare le spese, perché consentono la conservazione del
potere senza il sostegno del popolo. Infatti, senza gli aiuti un governo ha bisogno non
soltanto di tasse, ma anche della capacità di imporle. L’obbligo di rendere conto ai paesi
donatori e non alla popolazione locale non consente di sperimentare in prima persona gli
effetti degli aiuti, pertanto i governi dei paesi donatori e i rispettivi elettorati potrebbero
non avanzare le richieste appropriate. La sola fonte di informazione sono i rapporti delle
agenzie erogatrici degli aiuti, che tendono a concentrarsi sul volume delle risorse, anziché
sulla loro efficacia.
Sollecitate dagli elettori a “fare qualcosa” contro la povertà globale, le agenzie di
cooperazione nazionali trovano molto difficile ridurre gli aiuti, anche quando i loro
rappresentanti sul campo sanno bene la fine che faranno. È un meccanismo di cui sono
consapevoli tanto i politici del paese donatore quanto quelli del paese destinatario, che
spesso utilizzano la propria gente come “ostaggi in nome dei quali strappare fondi ai
donatori”. È necessario che i cittadini dei paesi donatori si prendano coscienza che la tesi
“ovvia” secondo cui erogare denaro ridurrebbe la povertà è in realtà palesemente falsa.
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CITAZIONI RILEVANTI
Gli effetti della globalizzazione
«Gli economisti concepiscono le epoche di innovazione come generatrici di ondate di
“distruzione creatrice”. I nuovi metodi spazzano via quelli vecchi, distruggendo le esistenze
e i mezzi di sostentamento dei gruppi che vivevano secondo il vecchio ordine. La
globalizzazione attuale ha danneggiato veri gruppi sociali; l’importazione di beni a buon
mercato è in tutto simile a un nuovo modo di produrli ed è una maledizione per chi si
guadagnava da vivere producendoli nel proprio paese. Alcuni di coloro che rischiano di
rimetterci sono politicamente forti e perciò in grado di mettere al bando le nuove idee o di
ostacolarne il successo. Nel 1430, preoccupati della minaccia al loro potere rappresentata
dai mercanti, gli imperatori della Cina vietarono le spedizioni transoceaniche, cosicché le
esplorazioni dell’ammiraglio Zheng He costituirono una fine anziché un nuovo inizio. Allo
stesso modo l’imperatore d’Austria Francesco I mise al bando le ferrovie, vedendo in esse
la possibile miccia di una rivoluzione e una minaccia al suo potere.» (p. 31)
La salute pubblica
«Per la tubercolosi, la malaria, la diarrea e le malattie delle basse vie respiratorie è
necessario che a cambiare sia l’ambiente. Sarebbe bene che il controllo degli animali
portatori di malattie fosse più stringente, che l’acqua fosse pulita e che i sistemi di
smaltimento degli escrementi fossero più efficienti: tutti obiettivi perseguibili attraverso
l’azione collettiva organizzata dal governo centrale o locale. Il sistema sanitario basato sul
rapporto medico-paziente in questo caso non può fare molto. I problemi da risolvere sono
di salute pubblica, non di assistenza sanitaria alla persona, sebbene questa volta possa
aiutare ad affrontare le conseguenze della mancata soluzione di quei problemi. Anche
godere di un tenore di vita migliore può essere d’aiuto, benché in sé, come si è visto, non
sia sufficiente.» (p. 145)
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Politiche di controllo delle nascite
«Negli anni Sessanta la questione dell’esplosione demografica è stata motivo di grande
allarme. All’origine di queste preoccupazione vi erano spesso ragioni umanitarie, con
popolazioni, come quelle asiatiche e africane, già in difficoltà a garantire cibo a sufficienza
alle loro popolazioni di allora. Così, in Occidente si pensò di “aiutare” i poveri del mondo a
controllare la loro popolazione riducendo il numero di figli per donna e questo divenne un
obiettivo della politica estera dei paesi ricchi, delle istituzioni internazionali e delle
fondazioni filantropiche. Ma cosa i poveri del mondo ne pensassero non fu oggetto di
grande attenzione. Infatti, i bambini asiatici e africani protagonisti di questa esplosione
demografica erano nella maggior parte dei casi desiderati dai propri genitori. E se è vero
che non tutti, in questi paesi abbiano avuto accesso a metodi contraccettivi moderni, è
altresì vero che la storia delle passioni sfrenate era soltanto un pretesto per giustificare
quanto “noi” intendevamo fare, e cioè “aiutare” i poveri ad avere meno figli di quanti “essi”
ne desiderassero e “noi” no. Nessuno si è dato la pena di fornire qualche prova del fatto
che i poveri volessero questo aiuto e neppure che avere meno figli avrebbe migliorato le
loro vite. Al contrario.» (p.272)
Il processo di produzione
«Quando gli aiuti rispondono a una condizione di difficoltà economica, che vi sia una
relazione negativa tra crescita e sussidi è esattamente quello che ci si deve aspettare! In
altre parole, che gli aiuti siano destinati a paesi a bassa crescita sarebbe non il loro
fallimento, ma al contrario del loro successo: li si invierebbe dove servono per rispondere
a uno stato di bisogno. Gli aiuti non funzionano come gli investimenti. La vecchia teoria
idraulica parte proprio da questo assunto: ossia che, proprio perché in miseria, i paesi
poveri non possono permettersi di investire sul futuro e che spetta dunque agli aiuti
colmare il vuoto. È una condizione che tuttavia i dati contraddicono (gli aiuti non
funzionano allo stesso modo degli investimenti), e in ultima analisi priva di senso,
considerato che non pochi paesi poveri hanno oggi facile accesso ai mercati finanziari
internazionali privati.» (p.321)
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L’AUTORE
Angus Stewart Deaton è nato a Edimburgo, in Scozia, il 19 ottobre 1945. Studia e si laurea
al Fettes College di Edimburgo e consegue il Dottorato di ricerca nel 1975 a Cambridge con
una tesi dal titolo Models of consumer demand and their application. Dopo aver insegnato
econometria all’Università di Bristol, nel 1983 viene chiamato a insegnare a Princeton alla
Woodrow Wilson School of Public and International Affairs (WWS), dove insegna tuttora
Economia e Affari Internazionali. Nel 1978, Deaton è stato il primo vincitore della medaglia
Frisch, un premio della Econometric Society assegnato ogni due anni ad un lavoro
pubblicato sulla rivista Econometrica. Ha ricevuto lauree ad honorem dall'Università Tor
Vergata di Roma, dallo University College di Londra e dalla University of St. Andrews. Nel
2007 è stato eletto Presidente dell'American Economic Association. Nel 2011 ha vinto il
premio della BBVA Foundation Frontiers of Knowledge Award of Economics, Finance and
Management per il fondamentale contributo alla teoria del consumo e del risparmio e per
la misura del benessere economico. Nel 2015 ha ricevuto il Premio Nobel per l’Economia
per le sue analisi sui consumi, sulla povertà e sul welfare. Altri suoi lavori sono
Understanding Consumption (1991), The Analysis of Household Surveys: A
Microeconometric Approach to Development Policy (1997) e The Great Indian Poverty
Debate (2005).
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NOTA BIBLIOGRAFICA
Angus Deaton, La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza, Il Mulino,
Bologna, 2015, p. 384, traduzione di Paola Palminiello.
Titolo originale: The Great Escape, Health, Wealth and the Origins of Inequality