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La Lanterna di Kircher · (latino, italiano, spagnolo, fran-cese e tedesco) che mirava, come recita...

Date post: 16-Feb-2019
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di Dora Faraci Che ne sia o meno l’inventore, la lanterna magica è strettamente le- gata al gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602-1680), erudito ed enciclopedista che dalla Germa- nia si trasferisce a Roma dove in- segna fisica, matematica e lingue orientali al Collegio Romano. Non solo esperto di ottica, matemati- ca, geologia e medicina, ma anche linguista e orientalista: Kircher è il primo a tentare di decifrare i ge- roglifici egizi come pure a intuire l’origine iconica degli ideogrammi cinesi. Basterebbero queste poche notizie a giustificare il titolo dato al “foglio” del nostro Dipartimen- to, ma qualcosa d’altro vorremmo aggiungere. Il suo metodo di indagine, più in- tuitivo che scientifico e spesso in- cline alle stravaganze barocche, rompe i confini entro cui sono iscritte le varie discipline, per of- frire, mediante una fitta rete di corrispondenze e di intrecci, un’in- terpretazione della realtà in cui la descrizione di fenomeni di varia natura si compone a formare un sa- pere universale. Questo suo modo di procedere caratterizza tutte le sue opere, tra cui una che riveste per noi un interesse particolare: è la Polygraphia nova et universalis ex combinatoria arte detecta (1663), sorta di dizionario pentaglotta (latino, italiano, spagnolo, fran- cese e tedesco) che mirava, come recita la frase che si legge nella prefazione al primo libro, ad una linguarum omnium ad unam reduc- tio mediante un complesso gioco di corrispondenze tra parole e cifre che, nelle intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto rendere possibile anche a quanti conoscevano una sola lingua corrispondere con gen- te di tutte le nazioni, grazie a un linguaggio matematico chiaro a tutti e ad un procedimento logico. Di questa operazione, macchinosa e inefficace da una prospettiva lin- guistica, ci interessa sottolineare il forte valore ideologico in quanto segnala il desiderio di Kircher di stabilire contatti tra le nazioni per il raggiungimento di una riunifi- cazione tra i popoli. Ma veniamo alla lanterna di cui Kircher ci offre la prima descrizio- ne in quella che possiamo definire la più nota delle sue opere, l’ Ars magna lucis et umbrae. Non parle- remo qui ovviamente dell’aspetto tecnico di questo apparecchio ot- tico, antenato del proiettore ci- nematografico, ma del senso me- taforico a cui si è pensato nella scelta del titolo. Il nostro foglio mira a proiettare le attività del nostro Dipartimento, ad offrire una successione di quadri (come le immagini di cui si parla nelle prime pagine della Recherche che avrebbero dovuto intrattenere il piccolo Marcel e alleviargli la tri- stezza) per rendere visibili iniziati- ve e idee al fine anche di sollecitare collaborazioni interne ed esterne all’Ateneo. Ma non solo per questo la scelta è ricaduta sull’immagine della lanterna. Giocando con le parole di una celebre frase di Go- ethe (I dolori del giovane Werther, 18 luglio), potremmo dire: “Che sarebbe per noi un mondo senza sapienza? Quello che è una lanter- na magica senza luce. Appena tu introduci la piccola lampada, ecco apparire sulla bianca parete le più svariate immagini!” All’amore di cui parla Goethe abbiamo sostitu- ito la sapienza, cara a Kircher al punto tale che fece affrescare sul- la volta della Wunderkammer del Collegio Romano questa scritta: “La sapienza è un tesoro inesauri- bile, beato chiunque la trovi, sotto umane spoglie avrà aspetto divi- no”. In nome della valenza simbo- lica della lanterna e in omaggio a Kircher, cittadino del mondo, eru- dito e poliglotta, come vorremmo diventassero i nostri studenti, ab- biamo dato questo titolo al nostro bollettino. La Lanterna di Kircher Le ragioni di un titolo Le lingue come sfida della modernità Riferendosi all’argomentazione di Musil, in un luogo specifico del romanzo, riassume: In questo passaggio non si manifesta soltanto la bravura linguistica e comica di Robert Musil, ma si mostrano anche i limiti della traduzione di un testo così raffinato. Poiché Musil gioca qui con il doppio senso della parola tedesca “Sprachfehler” (difetto di pronuncia, errore linguistico). In altre parole, l’autore vuole dire che nessuno sia mai morto per un “difetto di pronuncia” (“Sprachfehler”), ma che la Doppia Monarchia sia andata in rovina proprio per il suo “nome impronunciabile” (“Unaussprechlichkeit”). In realtà Musil non si arresta a una considerazione generale, a una battuta brillante. In un capitolo ulteriore indaga sul valore di una locuzione tipicamente associata alla rinascita delle nazioni e delle lingue nazionali, il concetto di popoli irredenti. Con ironia sottile smonta la stessa origine naturale dell’idea di irredentismo in quanto priva di una base semantica. Nessuno e in nessun luogo utilizza la forma linguistica della “redenzione”, dunque da dove sgorga l’Irredentismo? Si legga la considerazione che poi è una piccola analisi linguistica: un essere vivente non dice mai a un altro: «Tu mi puoi redimere!», oppure «sii il mio redentore!» Lo si può legare a un albero e lasciarlo morire di fame; lo si può, dopo una vana adorazione di molti mesi, abbandonare con l’amata in un’isola deserta; si può lasciar che le stesse cose ritornino, che falsifichi cambiali e che trovi un salvatore: tutte le parole del mondo si affolleranno sulle sue labbra, ma di sicuro finché è veramente commosso non dirà mai redimere, redentore o redenzione, benché in quanto a lingua non vi sia nulla da ridire. E tuttavia i popoli raccolti sotto la corona di Cacania si chiamavano popoli irredenti. L’ironia si configura allora come sarcasmo, disconoscimento di quella patria che richiede così stupidi e inutili sacrifici, che ci porta a negare il senso e l’obiettivo della lingue, delle lingue. Su di un fronte diverso, quello non dell’esteso a dismisura, ma della concentrazione spinta al massimo, si è mosso, qualche decennio dopo, Jorge Luis Borges. Il grande argentino, di radicata e radicale cultura europea, con una predilezione anglosassone, nelle sue short stories, e in una in particolare, La biblioteca di Babele, ha esemplificato la fallacia della comunicazione, ma anche la sua ineluttabilità. La diversità è connaturale, eppure la tensione verso la similitudine, in desiderio di un ritorno all’unità primigenia, resta iscritto nella nascita delle lingue e delle culture. Perché non appena ha scritto, nella dimensione che la brevità gli permette: Per molto tempo si credette che questi libri impenetrabili corrispondessero a lingue preferite o remote. Ora, è vero che gli uomini più antichi, i primi bibliotecari, parlavano una lingua molto diversa da quella che noi parliamo oggi; è vero che poche miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta piani più sopra è incomprensibile. Può subito replicare: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine di Giuseppe Grilli La riflessione sulla centralità della lingua, anzi delle lingue, è probabilmente l’ossessione maggiore delle culture, della cultura moderna. Qui per moderno si intende essenzialmente il XX secolo. Naturalmente bisogna ricorrere come sempre agli antecedenti. L’Occidente già da tempo andava disperdendo il suo maggior lascito, quello che raccoglieva l’eredità del passato, del classico, dell’antico. Se dovessimo sintetizzare in una sola espressione questa eredità, potremmo dire senza timori che essa si identifica con la lingua e con l’idea che la lingua è cultura, è politica, è società, condivise. Detto altrimenti che la Lingua – lo certificherà uno dei maggiori umanisti europei tra fine del Quattrocento e prima metà del Cinquecento è compagna dell’Impero. L’immagine coniata da Antonio de Nebrija che fu, non a caso, uno dei grandi ellenisti della prima modernità, rinvia all’idea di lingua comune, di solidarietà culturale. Egli si riferisce allo spagnolo del XVI secolo, ma ovviamente il modello a cui si pensa è quello del greco comune della diaspora o della pervasione alessandrina, e poi quello della latinità diffusa. Ma il secolo breve fu la realizzazione (oggi sappiamo quanto nefasta) del tracollo dell’idea imperiale, e il sogno imperiale fu ispirato anche a lungo da un’idea di pace, benché Tacito nel libro dedicato ai fasti di Agricola avesse sostenuto che i romani chiamassero Pace la desertificazione compiuta. D’altronde come un’idea pacifica mosse tutti i colonizzatori moderni, cominciando dagli spagnoli o portoghesi tesi a dirimere controverse insanabili tra popoli americani dalle lingue incomprensibili. Donna Marina, la vera artefice della Nueva España, fu non a caso un’interprete, dotta in interpretazione simultanea, come in quella consecutiva. In una dimensione sicuramente diversa, che va dall’esteso al conciso, credo si trovino due straordinarie metafore di quella crisi percepita del fallimento dell’ultimo Ottocento. Mi riferisco a un grande scrittore centroeuropeo, Robert Musil, che però si fa erede di quell’ironia e giocosità che sappiamo perfettamente strutturata nelle culture mediterranee. Nel suo grande interminabile (e non terminato) L’uomo senza qualità, a raffica, torna su quell’insanabile differenza che si fissa tra il sogno politico e la sua frustrazione linguistica. In un saggio pieno di suggerimenti diversi, Franz Haas ha delineato un focus di interpretazione del grande libro nel rapporto che vi si stabilisce tra il mito finale dell’Impero asburgico e la sua inevitabile caduta, se di essa causa prima resta quell’ibrido senza meticciato che fu la Monarchia Duale, frutto del compromesso del 1867. Si legga il saggio di Haas il cui titolo è estremamente indicativo (“Un paese che è andato in rovina per una lacuna linguistica”) che si trova inserito nel volume Storia, letteratura, cultura dei popoli del Regno d’Ungheria all’epoca della Monarchia austro-ungarica (1867- 1918). (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). L’enormemente esteso, lo straordinariamnete succinto e concentrato sono polarità che Joyce conobbe e volle iscrivere nel suo itinerario: dalle proliferazioni del suo Ulisse recuperato e reinterpretato in una chiave antieroica e antiretorica alla esaltazione del significato del frammento. Di recente Franca Ruggieri ha evocato questo tratto segnalandone tre radici diverse eppure convergenti: Shakespeare, Sterne, Yeats. Mi pare che in una brevissima composizione del poeta interprete eccelso della modernità resistente, ricca di significazioni da cui sono derivate esegesi o ermeneutiche fortemente differenziate, si racchiude in una locuzione iniziale (come nel Cervantino lugar de la Mancha…): Put off that mask of burning gold. Certo, le lingue non sono maschere, o almeno non sono solo maschere. Anche se in ogni dissimulazione, o nel suo contrario, nella simulazione, si racchiude una affermazione di identità linguistica e in un’insanabile propensione a farsi diversa, a muovere verso l’alterità. Detto altrimenti: senza traduzione non c’è lingua, e la lingua è sempre, persino nel chiuso della sua monodicità, una traduzione. di Luca Ratti Il convegno, organizzato con la collaborazione del Dipartimento di International Relations di The American University of Rome, è stato promosso all’interno dell’at- tività di ricerca avviata con il pro- gramma PRIN 2008, congiunta- mente alle cattedre di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Uni- versità Cattolica di Milano, dell’Università di Napoli ‘L’Orien- tale’ e dell’Università di Bari. L’obiettivo del convegno - i cui lavori si sono posti come prosecu- zione ideale della ricerca avviata dal programma PRIN 2008 e de- dicata all’evoluzione dei rapporti euro-atlantici dalle origini della Guerra Fredda fino alle nuove ten- sioni recentemente manifestatesi nei rapporti Est-Ovest - è stato quello di ricostruire le origini e l’evoluzione storica del rapporto tra Alleanza Atlantica e le Nazio- ni Unite a partire dalla firma del trattato di Washington il 4 aprile 1949 fino al crescente ruolo as- sunto dall’Alleanza nella soluzio- ne dei diversi conflitti regionali esplosi, all’indomani della disgre- gazione del blocco sovietico nel 1991, in un’ ampia area geografi- ca estesa dalla regione dei Balca- ni fino al Grande Medio Oriente. Dopo un’introduzione da parte del direttore del Dipartimento Prof. Giuseppe Grilli e del vice-provost di The American University of Rome Prof. Andrew Thomson, i lavori sono stati suddivisi in quat- tro sessioni. La prima sessione, cui hanno partecipato il Prof. Alfredo Breccia (Roma Tre), il Dr. Brooke Smith-Windsor (NATO Defence College) e il Prof. Massimo de Le- onardis (Università Cattolica di Milano) ha introdotto il dibatti- to all’interno del Congresso degli Stati Uniti nelle fasi del negozia- to del trattato dell’Atlantico del Nord fino alla firma del trattato di Washington nell’aprile 1949 tra i fautori di una stretta collabora- zione con i Paesi Europei all’in- terno dell’Alleanza Atlantica e delle Nazioni Unite e i difensori della tradizione isolazionista e unilateralista americana contrari alla formalizzazione di alcun vin- colo giuridico tra Alleanza Atlan- tica e ONU; la formalizzazione ed evoluzione giuridica e diplomati- ca del rapporto tra Alleanza At- lantica e Nazioni Unite durante e dopo la Guerra Fredda, fino a ricostruire il processo di trasfor- mazione dell’Alleanza Atlantica all’indomani della disgregazione del blocco sovietico, in particolar modo alla luce del suo interven- to nei conflitti esplosi nella ex- Jugoslavia tra il 1991 e il 1999. Nella seconda sessione sono in- vece intervenuti il Prof. Gun- ther Heydemann (Università di Lipsia), il Prof. Fabrizio Luciolli (Segretario Generale del Comi- tato Atlantico Italiano) e il Dr. Magnus Christiannsson (Collegio di Difesa Svedese), affrontando le diverse prospettive nazionali sul tema dei rapporti tra Allean- za Atlantica e Nazioni Unite e soffermandosi in particolare sul ruolo della Germania e dell’Italia all’interno dell’Alleanza e sulla strategia di partenariato avviata dalla NATO nei confronti di Pa- esi non-membri, anche al di fuori dell’area euro-atlantica. La terza sessione, in cui sono intervenuti i Prof. Fabio Bettanin (Universi- tà di Napoli, L’Orientale), Anton Giulio de Robertis (Università di Bari) e Luca Ratti (Università di Roma Tre) è stata dedicata al complesso rapporto tra l’Alleanza occidentale e la Russia ed alle sue ripercussioni sull’attività delle Na- zioni Unite, evidenziando come la difficoltà dell’Alleanza di costru- ire un rapporto di fiducia e una cooperazione durevole con Mosca costituisca uno dei maggiori osta- coli ad una collaborazione ancora più stretta tra l’Alleanza e l’ONU. L’ultima sessione ha invece af- frontato il rapporto tra Allean- za e Nazioni Unite nei conflitti esplosi all’interno del cosiddetto Grande Medio Oriente all’indo- mani della fine della Guerra Fred- da, soffermandosi in particolare sull’operazione militare condotta dall’Alleanza Atlantica contro il regime libico di Mohammar Gheddafi nel 2011, con l’autoriz- zazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in base alla risoluzione 1973, e sulla collaborazione av- viata tra l’Alleanza e l’Unione Africana nella soluzione di alcu- ni dei conflitti che persistono nel Segue a pag. 2... The Atlantic Alliance and the UN Security System: from the bipolar confrontation to the conflicts after the ‘Cold War’ (Roma, 6 dicembre 2013) I nuovi corsi liberi del Dipartimento di Giuliano Lancioni Nel secondo semestre 2013- 14 il Dipartimento di Lingue Letterature e Culture Straniere attiverà una serie di corsi liberi per ampliare l’offerta formativa e culturale rivolta agli studenti. In particolare, saranno offerte attività didattico-culturali di diversa ampiezza (corsi completi, cicli di conferenze, attività seminariali) dedicati alle lingue e alle culture persiana, catalana, romena, basca, dell’Africa di lingua portoghese, finlandese. I corsi liberi, realizzati attraverso l’impegno di docenti del Dipartimento e la collaborazione dei istituzioni culturali e consolari presenti a Roma, consentiranno agli studenti iscritti ai corsi di laurea attivi presso il Dipartimento di ampliare le proprie competenze linguistiche e culturali in ambiti che non sono attualmente coperti da insegnamenti istituzionali. Gli studenti che seguiranno le attività vedranno riconoscere il loro impegno attraverso l’attribuzione di crediti formativi (da uno a tre per corso). Di particolare rilevanza è l’accordo siglato tra il Direttore del Dipartimento, prof. Giuseppe Grilli, e il Direttore dell’Istituto Culturale della Repubblica Islamica dell’Iran, prof. Ghorban Ali Pourmarjan, per l’attivazione per l’attivazione di un corso completo di lingua e cultura persiana (farsi) di 18 ore e per l’organizzazione di una serie di attività culturali, inclusa una settimana dedicata al cinema iraniano a partire dalla rivoluzione del 1979. Scena da Viaggio a Kandahar La Lanterna di Kircher 1 febbraio 2014 Numero 0 pag. 1 Foglio volante del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere
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di Dora Faraci

Che ne sia o meno l’inventore, la lanterna magica è strettamente le-gata al gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602-1680), erudito ed enciclopedista che dalla Germa-nia si trasferisce a Roma dove in-segna fisica, matematica e lingue orientali al Collegio Romano. Non solo esperto di ottica, matemati-ca, geologia e medicina, ma anche linguista e orientalista: Kircher è il primo a tentare di decifrare i ge-roglifici egizi come pure a intuire l’origine iconica degli ideogrammi cinesi. Basterebbero queste poche notizie a giustificare il titolo dato al “foglio” del nostro Dipartimen-to, ma qualcosa d’altro vorremmo aggiungere.Il suo metodo di indagine, più in-tuitivo che scientifico e spesso in-cline alle stravaganze barocche, rompe i confini entro cui sono iscritte le varie discipline, per of-frire, mediante una fitta rete di corrispondenze e di intrecci, un’in-terpretazione della realtà in cui la descrizione di fenomeni di varia natura si compone a formare un sa-pere universale. Questo suo modo di procedere caratterizza tutte le sue opere, tra cui una che riveste per noi un interesse particolare: è la Polygraphia nova et universalis ex combinatoria arte detecta (1663), sorta di dizionario pentaglotta (latino, italiano, spagnolo, fran-cese e tedesco) che mirava, come recita la frase che si legge nella prefazione al primo libro, ad una linguarum omnium ad unam reduc-tio mediante un complesso gioco di corrispondenze tra parole e cifre che, nelle intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto rendere possibile anche a quanti conoscevano una sola lingua corrispondere con gen-te di tutte le nazioni, grazie a un linguaggio matematico chiaro a tutti e ad un procedimento logico. Di questa operazione, macchinosa e inefficace da una prospettiva lin-guistica, ci interessa sottolineare il forte valore ideologico in quanto segnala il desiderio di Kircher di stabilire contatti tra le nazioni per il raggiungimento di una riunifi-cazione tra i popoli.Ma veniamo alla lanterna di cui Kircher ci offre la prima descrizio-ne in quella che possiamo definire la più nota delle sue opere, l’ Ars magna lucis et umbrae. Non parle-remo qui ovviamente dell’aspetto tecnico di questo apparecchio ot-tico, antenato del proiettore ci-nematografico, ma del senso me-taforico a cui si è pensato nella scelta del titolo. Il nostro foglio mira a proiettare le attività del nostro Dipartimento, ad offrire una successione di quadri (come le immagini di cui si parla nelle prime pagine della Recherche che avrebbero dovuto intrattenere il piccolo Marcel e alleviargli la tri-stezza) per rendere visibili iniziati-ve e idee al fine anche di sollecitare collaborazioni interne ed esterne all’Ateneo. Ma non solo per questo la scelta è ricaduta sull’immagine della lanterna. Giocando con le parole di una celebre frase di Go-ethe (I dolori del giovane Werther, 18 luglio), potremmo dire: “Che sarebbe per noi un mondo senza sapienza? Quello che è una lanter-na magica senza luce. Appena tu introduci la piccola lampada, ecco apparire sulla bianca parete le più svariate immagini!” All’amore di cui parla Goethe abbiamo sostitu-ito la sapienza, cara a Kircher al

punto tale che fece affrescare sul-la volta della Wunderkammer del Collegio Romano questa scritta: “La sapienza è un tesoro inesauri-bile, beato chiunque la trovi, sotto umane spoglie avrà aspetto divi-no”. In nome della valenza simbo-lica della lanterna e in omaggio a Kircher, cittadino del mondo, eru-dito e poliglotta, come vorremmo diventassero i nostri studenti, ab-biamo dato questo titolo al nostro bollettino.

La Lanterna di KircherLe ragioni di un titolo

Le lingue come sfidadella modernità

Riferendosi all’argomentazione di Musil, in un luogo specifico del romanzo, riassume:In questo passaggio non si manifesta soltanto la bravura linguistica e comica di Robert Musil, ma si mostrano anche i limiti della traduzione di un testo così raffinato. Poiché Musil gioca qui con il doppio senso della parola tedesca “Sprachfehler” (difetto di pronuncia, errore linguistico). In altre parole, l’autore vuole dire che nessuno sia mai morto per un “difetto di pronuncia” (“Sprachfehler”), ma che la Doppia Monarchia sia andata in rovina proprio per il suo “nome impronunciabile” (“Unaussprechlichkeit”).In realtà Musil non si arresta a una considerazione generale, a una battuta brillante. In un capitolo ulteriore indaga sul valore di una locuzione tipicamente associata alla rinascita delle nazioni e delle lingue nazionali, il concetto di popoli irredenti. Con ironia sottile smonta la stessa origine naturale dell’idea di irredentismo in quanto priva di una base semantica. Nessuno e in nessun luogo utilizza la forma linguistica della “redenzione”, dunque da dove sgorga l’Irredentismo? Si legga la considerazione che poi è una piccola analisi linguistica:un essere vivente non dice mai a un altro: «Tu mi puoi redimere!», oppure «sii il mio redentore!» Lo si può legare a un albero e lasciarlo morire di fame; lo si può, dopo una vana adorazione di molti mesi, abbandonare con l’amata in un’isola deserta; si può lasciar che le stesse cose ritornino, che falsifichi cambiali e che trovi un salvatore: tutte le parole del mondo si affolleranno sulle sue labbra, ma di sicuro finché è veramente commosso non dirà mai redimere, redentore o redenzione, benché in quanto a lingua non vi sia nulla da ridire.E tuttavia i popoli raccolti sotto la corona di Cacania si chiamavano popoli irredenti.L’ironia si configura allora come sarcasmo, disconoscimento di quella patria che richiede così stupidi e inutili sacrifici, che ci porta a negare il senso e l’obiettivo della lingue, delle lingue. Su di un fronte diverso, quello non dell’esteso a dismisura, ma della concentrazione spinta al massimo, si è mosso, qualche decennio dopo, Jorge Luis Borges. Il grande argentino, di radicata e radicale cultura europea, con una predilezione anglosassone, nelle sue short stories, e in una in particolare, La biblioteca di Babele, ha esemplificato la fallacia della comunicazione, ma anche la sua ineluttabilità. La diversità è connaturale, eppure la tensione verso la similitudine, in desiderio di un ritorno all’unità primigenia, resta iscritto nella nascita delle lingue e delle culture. Perché non appena ha scritto, nella dimensione che la brevità gli permette:Per molto tempo si credette che questi libri impenetrabili corrispondessero a lingue preferite o remote. Ora, è vero che gli uomini più antichi, i primi bibliotecari, parlavano una lingua molto diversa da quella che noi parliamo oggi; è vero che poche miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta piani più sopra è incomprensibile.Può subito replicare:La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine

di Giuseppe Grilli

La riflessione sulla centralità della lingua, anzi delle lingue, è probabilmente l’ossessione maggiore delle culture, della cultura moderna. Qui per moderno si intende essenzialmente il XX secolo. Naturalmente bisogna ricorrere come sempre agli antecedenti. L’Occidente già da tempo andava disperdendo il suo maggior lascito, quello che raccoglieva l’eredità del passato, del classico, dell’antico. Se dovessimo sintetizzare in una sola espressione questa eredità, potremmo dire senza timori che essa si identifica con la lingua e con l’idea che la lingua è cultura, è politica, è società, condivise. Detto altrimenti che la Lingua – lo certificherà uno dei maggiori umanisti europei tra fine del Quattrocento e prima metà del Cinquecento – è compagna dell’Impero. L’immagine coniata da Antonio de Nebrija che fu, non a caso, uno dei grandi ellenisti della prima modernità, rinvia all’idea di lingua comune, di solidarietà culturale. Egli si riferisce allo spagnolo del XVI secolo, ma ovviamente il modello a cui si pensa è quello del greco comune della diaspora o della pervasione alessandrina, e poi quello della latinità diffusa. Ma il secolo breve fu la realizzazione (oggi sappiamo quanto nefasta) del tracollo dell’idea imperiale, e il sogno imperiale fu ispirato anche a lungo da un’idea di pace, benché Tacito nel libro dedicato ai fasti di Agricola avesse sostenuto che i romani chiamassero Pace la desertificazione compiuta. D’altronde come un’idea pacificamosse tutti i colonizzatori moderni, cominciando dagli spagnoli o portoghesi tesi a dirimere controverse insanabili tra popoli americani dalle lingue incomprensibili. Donna Marina, la vera artefice della Nueva España, fu non a caso un’interprete, dotta in interpretazione simultanea, come in quella consecutiva. In una dimensione sicuramente diversa, che va dall’esteso al conciso, credo si trovino due straordinarie metafore di quella crisi percepita del fallimento dell’ultimo Ottocento. Mi riferisco a un grande scrittore centroeuropeo, Robert Musil, che però si fa erede di quell’ironia e giocosità che sappiamo perfettamente strutturata nelle culture mediterranee. Nel suo grande interminabile (e non terminato) L’uomo senza qualità, a raffica, torna su quell’insanabile differenza che si fissa tra il sogno politico e la sua frustrazione linguistica. In un saggio pieno di suggerimenti diversi, Franz Haas ha delineato un focus di interpretazione del grande libro nel rapporto che vi si stabilisce tra il mito finale dell’Impero asburgico e la sua inevitabile caduta, se di essa causa prima resta quell’ibrido senza meticciato che fu la Monarchia Duale, frutto del compromesso del 1867. Si legga il saggio di Haas il cui titolo è estremamente indicativo (“Un paese che è andato in rovina per una lacuna linguistica”) che si trova inserito nel volume Storia, letteratura, cultura dei popoli del Regno d’Ungheria all’epoca della Monarchia austro-ungarica (1867-1918).

(che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine).L’enormemente esteso, lo straordinariamnete succinto e concentrato sono polarità che Joyce conobbe e volle iscrivere nel suo itinerario: dalle proliferazioni del suo Ulisse recuperato e reinterpretato in una chiave antieroica e antiretorica alla esaltazione del significato del frammento. Di recente Franca Ruggieri ha evocato questo tratto segnalandone tre radici diverse eppure convergenti: Shakespeare, Sterne, Yeats. Mi pare che in una brevissima composizione del poeta interprete eccelso della modernità resistente, ricca di significazioni da cui sono derivate esegesi o ermeneutiche fortemente differenziate, si racchiude in una locuzione iniziale (come nel Cervantino lugar de la Mancha…): Put off that mask of burning gold. Certo, le lingue non sono maschere, o almeno non sono solo maschere. Anche se in ogni dissimulazione, o nel suo contrario, nella simulazione, si racchiude una affermazione di identità linguistica e in un’insanabile propensione a farsi diversa, a muovere verso l’alterità. Detto altrimenti: senza traduzione non c’è lingua, e la lingua è sempre, persino nel chiuso della sua monodicità, una traduzione.

di Luca Ratti

Il convegno, organizzato con la collaborazione del Dipartimento di International Relations di The American University of Rome, è stato promosso all’interno dell’at-tività di ricerca avviata con il pro-gramma PRIN 2008, congiunta-mente alle cattedre di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Uni-versità Cattolica di Milano, dell’Università di Napoli ‘L’Orien-tale’ e dell’Università di Bari. L’obiettivo del convegno - i cui lavori si sono posti come prosecu-zione ideale della ricerca avviata dal programma PRIN 2008 e de-dicata all’evoluzione dei rapporti euro-atlantici dalle origini della Guerra Fredda fino alle nuove ten-sioni recentemente manifestatesi nei rapporti Est-Ovest - è stato quello di ricostruire le origini e l’evoluzione storica del rapporto tra Alleanza Atlantica e le Nazio-ni Unite a partire dalla firma del trattato di Washington il 4 aprile 1949 fino al crescente ruolo as-sunto dall’Alleanza nella soluzio-ne dei diversi conflitti regionali esplosi, all’indomani della disgre-gazione del blocco sovietico nel 1991, in un’ ampia area geografi-ca estesa dalla regione dei Balca-ni fino al Grande Medio Oriente. Dopo un’introduzione da parte del direttore del Dipartimento Prof. Giuseppe Grilli e del vice-provost di The American University of

Rome Prof. Andrew Thomson, i lavori sono stati suddivisi in quat-tro sessioni. La prima sessione, cui hanno partecipato il Prof. Alfredo Breccia (Roma Tre), il Dr. Brooke Smith-Windsor (NATO Defence College) e il Prof. Massimo de Le-onardis (Università Cattolica di Milano) ha introdotto il dibatti-to all’interno del Congresso degli Stati Uniti nelle fasi del negozia-to del trattato dell’Atlantico del Nord fino alla firma del trattato di Washington nell’aprile 1949 tra i fautori di una stretta collabora-zione con i Paesi Europei all’in-terno dell’Alleanza Atlantica e delle Nazioni Unite e i difensori della tradizione isolazionista e unilateralista americana contrari alla formalizzazione di alcun vin-colo giuridico tra Alleanza Atlan-tica e ONU; la formalizzazione ed evoluzione giuridica e diplomati-ca del rapporto tra Alleanza At-lantica e Nazioni Unite durante e dopo la Guerra Fredda, fino a ricostruire il processo di trasfor-mazione dell’Alleanza Atlantica all’indomani della disgregazione del blocco sovietico, in particolar modo alla luce del suo interven-to nei conflitti esplosi nella ex-Jugoslavia tra il 1991 e il 1999. Nella seconda sessione sono in-vece intervenuti il Prof. Gun-ther Heydemann (Università di Lipsia), il Prof. Fabrizio Luciolli (Segretario Generale del Comi-tato Atlantico Italiano) e il Dr. Magnus Christiannsson (Collegio di Difesa Svedese), affrontando le diverse prospettive nazionali sul tema dei rapporti tra Allean-za Atlantica e Nazioni Unite e soffermandosi in particolare sul ruolo della Germania e dell’Italia all’interno dell’Alleanza e sulla strategia di partenariato avviata dalla NATO nei confronti di Pa-esi non-membri, anche al di fuori dell’area euro-atlantica. La terza sessione, in cui sono intervenuti i Prof. Fabio Bettanin (Universi-tà di Napoli, L’Orientale), Anton Giulio de Robertis (Università di Bari) e Luca Ratti (Università di Roma Tre) è stata dedicata al complesso rapporto tra l’Alleanza occidentale e la Russia ed alle sue ripercussioni sull’attività delle Na-zioni Unite, evidenziando come la difficoltà dell’Alleanza di costru-ire un rapporto di fiducia e una cooperazione durevole con Mosca costituisca uno dei maggiori osta-coli ad una collaborazione ancora più stretta tra l’Alleanza e l’ONU.

L’ultima sessione ha invece af-frontato il rapporto tra Allean-za e Nazioni Unite nei conflitti esplosi all’interno del cosiddetto Grande Medio Oriente all’indo-mani della fine della Guerra Fred-da, soffermandosi in particolare sull’operazione militare condotta dall’Alleanza Atlantica contro il regime libico di Mohammar Gheddafi nel 2011, con l’autoriz-zazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in base alla risoluzione 1973, e sulla collaborazione av-viata tra l’Alleanza e l’Unione Africana nella soluzione di alcu-ni dei conflitti che persistono nel

Segue a pag. 2...

The Atlantic Alliance and the UN Security System: from the bipolar confrontation to the conflicts after the ‘Cold War’ (Roma, 6 dicembre 2013)

I nuovi corsi liberi del Dipartimento

di Giuliano Lancioni

Nel secondo semestre 2013-14 il Dipartimento di Lingue Letterature e Culture Straniere attiverà una serie di corsi liberi per ampliare l’offerta formativa e culturale rivolta agli studenti. In particolare, saranno offerte attività didattico-culturali di diversa ampiezza (corsi completi, cicli di conferenze, attività seminariali) dedicati alle lingue e alle culture persiana, catalana, romena, basca, dell’Africa di lingua portoghese, finlandese.I corsi liberi, realizzati attraverso l’impegno di docenti del Dipartimento e la collaborazione dei istituzioni culturali e consolari presenti a Roma, consentiranno agli studenti iscritti ai corsi di laurea attivi presso il Dipartimento di ampliare le proprie competenze linguistiche e culturali in ambiti che non sono attualmente coperti da insegnamenti istituzionali. Gli studenti che seguiranno le attività vedranno riconoscere il loro impegno attraverso l’attribuzione di crediti formativi (da uno a tre per corso).Di particolare rilevanza è l’accordo siglato tra il Direttore del Dipartimento, prof. Giuseppe Grilli, e il Direttore dell’Istituto Culturale della Repubblica Islamica dell’Iran, prof. Ghorban Ali Pourmarjan, per l’attivazione per l’attivazione di un corso completo di lingua e cultura persiana (farsi) di 18 ore e per l’organizzazione di una serie di attività culturali, inclusa una settimana dedicata al cinema iraniano a partire dalla rivoluzione del 1979.

Scena da Viaggio a Kandahar

L a L a n t e r n a d i K i r c h e r 1 febbraio 2014Numero 0

pag. 1Foglio volante del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere

L a L a n t e r n a d i K i r c h e rFoglio volante del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere

1 febbraio 2014Numero 0

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di Marinella Rocca Longo

Il giorno 13 e 14 novembre 2013, a cura del Master in Lin-guaggi del Turismo e Comunica-zione Interculturale si è svolto nei locali del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere e del Dipartimento di Scienze della Formazione, il Con-vegno Internazionale dal titoloI linguaggi dell’identità: Lin-gue, arti, tecnologie e culture.Il convegno si è proposto di af-frontare temi e problemi legati al concetto di identità e alle sue declinazioni in diversi campi delle Scienze Umane. La prima giorna-ta di studi, che si è svolta presso la sede del Dipartimento di Lin-gue, letterature e culture stranie-re, ha trattato l’approfondimento dell’evoluzione delle tematiche identitarie legata al rapporto tra lingua, letteratura, arte e stere-otipi, anche in ragione dei cam-biamentiintrodotti dall’utilizzo sempre più ampio di tecnologie innovative; la seconda giornata, organizzata dal Dipartimento di Scienze della Formazione, è stata invece incentrata sul tema dell’identità in una prospettiva che si muoveva tra linguistica, so-ciologia e pedagogia, attraverso le implicazioni umanistiche e tecno-logiche che investono inevitabil-mente la sfera dell’individuo e del suo rapporto con la società di oggi.

La parte gestita dal Dipartimen-to di Lingue, letterature e cul-ture straniere, in particolare, e con l’apporto determinante delle competenze del Master in Lin-guaggi del Turismo e Comunica-zione Interculturale, ha appro-fondito tematiche legate al tema dell’identità sia in prospettiva storica e letteraria (riferendosi a testi classici dal periodo elisabet-tiano e giacomiano, fino alla socie-tà Vittoriana) sia in prospettivalinguistica fino ad arrivare alle più recenti acquisizioni tecnologiche che possono portare ad una pro-fonda riconsiderazione del tema con le nuove scoperte tecnologiche. Di questo in particolare si è oc-cupato un ospite straniero, il Prof. James Katz, docente della Boston University. La giornata si è conclusa con un intervento molto speciale che ha ricostrui-to la storia dell’Inno Nazionale italiano, ripercorrendo, attra-verso di esso, le identità nazio-nali di molte nazioni europee.Le tematiche dell’identità in campo didattico e della forma-zione hanno costituito il tema degli interventi della seconda giornata, che si è svolta presso il Dipartimento di Scienze del-la Formazione, ospitando spe-cialisti italiani e internazionali.

I linguaggi dell’identità: Lingue, arti, tecnologie e culture

di Giorgio de Marchis

In occasione del Centenario del-la prima traduzione italiana di un romanzo dello scrittore portoghe-se José Maria Eça de Queiroz (La reliquia, 1913), la Cattedra “José Saramago” del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Stra-niere dell’Università Roma Tre, in collaborazione con la Fundação Eça de Queiroz, il Centro de Estu-dos Humanísticos dell’Universida-de do Minho e la cattedra di Porto-ghese dell’Università della Tuscia di Viterbo, ha organizzato il Conve-gno internazionale Eça de Queiroz no contexto da história dos media. Il Convegno, al quale hanno par-tecipato studiosi queirosiani ita-liani e portoghesi, si è tenuto a Roma e Viterbo dal 4 al 6 dicem-bre del 2013 e ha analizzato il pro-fondo legame dell’autore di Os Maias con il mondo giornalistico, letterario, operistico e teatrale della seconda metà del XIX se-colo, mettendo in evidenza come la decadenza della lettura e la de-mocratizzazione dello spazio pub-blico, in un contesto semiperiferi-co come quello portoghese della seconda metà dell’Ottocento, si siano ripercosse sulla produzio-ne di un autore particolarmente attento alle trasformazioni socia-li e culturali del proprio tempo.Il Convegno si è aperto con la con-ferenza del prof. Carlos Reis dal titolo Impaciente aspiração: a que-stão mediática em Eça de Queirós cui è seguita la presentazione agli stu-diosi italiani dell’operetta A Morte do Diabo, recentemente rinvenuta a Lisbona da Irene Fialho. I pro-fessori Maria Helena Santana, Ana Teresa Peixinho, Piero Ceccucci e Maria do Carmo Cardoso Mendes hanno analizzato la vasta produ-zione giornalistica di Eça de Quei-roz apparsa su quotidiani e riviste portoghesi e brasiliane, mentre gli interventi dei professori Orlando Grossegesse, Giorgio de Marchis e Mariagrazia Russo hanno rico-struito la presenza e la funzione dei quotidiani e dell’atto di lettu-ra in diversi romanzi queirosiani. Nel corso delle due giornate di stu-dio, è stato, inoltre, organizzato un cineforum, curato da Francesco Genovesi e Francisco Dias, nell’am-bito del quale sono stati proiettati due recenti film portoghesi tratti da opere di Eça de Queiroz (Sin-gularidades de uma rapariga loira e O Mistério da estrada de Sintra). Infine, a Viterbo, è stata allestita una mostra con tutte le traduzioni italiane pubblicate dal 1913 a oggi.

marosti (Venezia Ca’ Foscari) sulla ‘isla incognita’ di Derek Walcott.Donata Maria Carella (Università Roma Tre) e Gabriella D’Onghia (Università Roma Tre) hanno tra-sportato il pubblico alla scoperta, rispettivamente, della mitica iso-la russa di Bujan e delle Halligen, dieci piccole isole tedesche nel Mare del Nord. Bruna Donatelli (Università Roma Tre) ha arti-colato la declinazione dell’isola nell’immaginario flaubertiano. Infine, Jolanda Guardi (Univer-sità di Tarragona) ha parlato di “Al-giazira – L’isola nella lette-ratura araba contemporanea.”È prevista una prossima pub-blicazione in volume degli atti del convegno di questa ricerca.

di Fabio Luppi

Itaca e Atlantide: l’isola comespazio possibile. Dipartimento di Lingue, Culture e Letterature Straniere Università degli Studi Roma Tre, 10-11 dicembre 2014Nelle giornate del 10 e 11 dicem-bre, si è tenuto il convegno “Ita-ca e Atlantide: l’isola come spazio possibile”, conclusione dell’omo-nima ricerca collettiva trienna-le guidata da Franca Ruggieri e sostenuta dal già Dipartimento di Letterature Comparate, ora Dipartimento di Lingue, Culture e Letterature Straniere, dell’Uni-versità Roma Tre. Attraverso i contributi di studiosi di diverse università e afferenti a differenti ambiti letterari e filosofici, è sta-ta declinata “l’immagine mate-riale e la metafora immateriale” dell’isola non solo come altrove ge-ografico, ma come luogo/logos let-terario, filosofico, mitologico, sto-rico, linguistico ed antropologico.L’analisi proposta da Peter Dou-glas (Università Roma Tre) delle occorrenze della parola island nei corpora linguistici, della sua etimo-logia ed uso, e delle sue possibili de-clinazioni e definizioni rappresenta un argomento preliminare a qual-siasi approfondimento successivo.Le isole del mito, Itaca—l’isola del ritorno e della riconciliazio-ne con il passato—e Atlantide—l’isola della sperimentazione e del futuro—non sono le sole possibili. Francesca Romana Paci (Universi-tà del Piemonte Orientale) ha indi-viduato in alcune scritture europee moderne il mito antico dell’isola di Filottete; Franca Ruggieri (Uni-versità Roma Tre) ha acutamente osservato come l’Ulisse di Joyce e The Purple Island del poeta in-glese tardo rinascimentale Phine-as Fletcher rappresentino l’isola del mito come allegoria del corpo e della mente. Di modernismo (J. Joyce e D.H. Lawrence) ed insu-larità si è occupato Enrico Terri-noni (Perugia Stranieri) giocando con le parole inglesi isolation e in-sulation; Edvige Pucciarelli (Uni-versità di Bergamo) ha rivisitato il mito di Albione nell’Inghilterra Giacomiana. Fabio Luppi (Uni-versità Roma Tre) ha definito il luogo geografico della Tempesta di Shakespeare attraverso l’occor-renza nel testo di toponimi e della parola isola. Luigi Punzo (Univer-sità di Cassino) partendo da Uto-pia di Thomas More ha declinato le implicazioni politico filosofiche sottese alle utopie rinascimentali, dalla Nuova Atlantide alla Città del Sole. Richard Ambrosini (Uni-versità Roma Tre) ha illustrato quelle che sono le successive di-stopie letterarie in lingua inglese, da Swift a Stevenson fino a Wel-ls, con le loro isole, e i loro “dot-tori e yahoo post-darwiniani”.Ma le isole britanniche compren-dono anche le Shetland, come ha ricordato nel suo interven-to Christhine De Luca (Shetland Islands) e l’Irlanda, che, per John McCourt (Università Roma Tre) pone un problema di prospet-tiva: quale tradizione cantare per descriverla, quella delle Bla-sket Islands e delle Aran, e della loro desolata e tragica purezza? Percorsi post-coloniali sono sta-ti intrapresi da Pap Abdoulaye Khouma (Senegal) su “Goree, l’isola degli schiavi”, da Pauline Dodgson-Katiyo (Sheffield Hallam University) sul mito di Antigone e Robben Island, e da Roberta Ci

Itaca e Atlantide: l’isola come spazio possibile

Eça de Queirós no contexto da História dos media

di Mara FrascarelliIl 26 gennaio ho partecipato al Festival delle Scienze che si è tenuto presso l’Auditorium Parco della Musica (23-26 gennaio 2014), dove ho introdotto e moderato la Lectio Magistralis di David Pesetsky “Linguaggio e Musica: un’identità profonda”.Il Festival, organizzato dalla Fondazione Musica per Roma (con il supporto di Comune di Roma, Provincia di Roma e Regione Lazio) era infatti dedicato a I Linguaggi e ha riunito insieme alcuni tra i più importanti ricercatori, studiosi, filosofi ed esperti del settore, proponendo dialoghi e discussioni sulla relazione tra Scienza e Linguaggio, nei suoi molteplici aspetti e dimensioni.L’evento è stato davvero interessante e ha avuto grande successo sia in termini di pubblico (circa 25.000 spettatori nei 4 giorni) che di copertura da parte dei media: fatto sicuramente

Prossimi eventi

6 Marzo 2014, Convegno Shake-speare e l’emozione tragica, prof.ssa M. Del Sapio

7 Marzo 2014, Giornata di Studio, prof. K. Stantchev

19 Marzo 2014 Any Espriu:Salvador Espriu e l’Italia, prof. G. Grilli

26-27 Marzo 2014, Performing Gender and Violence in Contemporary National and Tran-snational Contexts, prof.ssa M. A. Stefanelli

27-28 Marzo 2014, China & Europe, prof.ssa R. Lombardi

10 Aprile 2014, Tavola Rotonda su Editoria Scolastica per la Scuola Media Superiore, prof. E. Grazzi

16 Maggio 2014, XII Giornata di Studi Cirillometodiani, prof. K. Stantchev

19 Maggio 2014, Giornata di Studio Turismo e dintorni, prof.ssa Marinella Rocca Longo

Festival delle Scienze: I Linguaggi

dovuto al numero e all’eccellenza dei relatori, tra cui ricordo Noam Chomsky, Mark Baker, Gennaro Chierchia, Tullio De Mauro, Kai von Fintel, Kyle Johnson, Chris Kennedy, Andrea Moro, Andrew Nevins, David Pesetsky, Luigi Rizzi, Jason Stanley e Philippe Schlenker.In particolare Gli interventi si possono ascoltare (sia in originale che in traduzione italiana) sul sito http://www.auditorium.c o m / e v e n t i / p o d c a s t ? i d _podcast=5694126

INDICE7 De la brevitasGIUSEPPE GRILLI11 La brevità greca e i Sette SapientiGIOVANNI CERRI17 La brevedad. Característica peculiar de las paremias y del microrelatoLUISA MESSINA FAJARDO29 Apotegmata. Res Cesta y dieta en Tamara y Làzaro de TormesPEDRO RUIZ PÉREZ51 L’aforisma. La logica dell’illogicoGABRIELLA D’ONGHIA63 L’estetica del frammento e la musicaELIO MATASSI67 Furfanti, bricconi e paltonieri. La traduzione dei titoli letterariNANCY DE BENEDETTO77 El Orlando innamorato de Boiardo en las anécdotas narratológicas de AcuñaMARCIAL RUBIO ARQUEZ95 Parleu igual, amb paraules contraries. Decís lo mismo con opuestats palabrasNICOLA PALLADINO103 Breve, brevissimo e ... racconti veloci di Sergi PàmiesDANIELA NATALEVaria comparata113 Viaggio verso le patrie: patrie immaginate, patrie interiori, patrie impossibiliNICOLA PALLADINO131 RecensioniTesti157 Un’altra Fedra, se vi piaceSALVADOR ESPRIU

La rivista «Dialogoi. Studi comparatistici» nasce dalla collaborazione di un comitato scientifico in-ternazionale e intende collocarsi nel panorama delle pubblicazioni che hanno un alto profilo di specializ-zazione. Si è pensato di operare una scelta discipli-nare che non fosse tuttavia esclusiva o escludente: ogni numero prevede infatti una sezione monografi-ca, estesa e ben individuabile, che consente una de-finizione di volta in volta più specifica, mantenendo una prospettiva comparatistica; segue una sezione che consente la varietas, denominata appunto varia comparata; la dimensione pluralistica della rivista prevede inoltre una sezione dedicata alle recensioni. La presenza di un testo letterario o saggistico, poco noto, se non proprio “raro”, in traduzione italiana,

esprime la passione per i testi. Da ultimo, il tratto forse più originale della rivista: non nasce per iniziativa di pochi o di un singolo, né come una diretta emanazione di una struttura universitaria o di un ente di ricerca. Essa infatti esce “in collaborazione” con il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere dell’Università degli Studi Roma Tre, per cui i membri della Giunta costituiscono il Comitato Editoriale.

Una frase, Un rigo appena

sUlla brevitas come modello, intersezione, interferenza

Dialogoi. Rivista Di stuDi CompaRatistiCi in

CollaboRazione Con il DipaRtimento Di lingue, letteRatuRe e CultuRe stRanieRe

Comitato sCientifiCo inteRnazionale

viCtoRia CiRlot, Universitat Pompeu Fabra, Barcelona; gabRiel moshe Rosenbaum, Università Ebraica di Gerusalemme; JoCelyn Wogan-bRoWne, Fordham University, New York; veRneR egeR-lanD, Lunds Universitet, Svezia; patRiCia stablein gillies, Uni-versity of Essex; paolo toRtonese, Université Paris III

Comitato eDitoRiale

fausta antonuCCi, CoRRaDo bologna, maRia Del sapio, paola faini, DoRa faRaCi, fRanCesCo fioRentino, maRa fRasCaRelli, giuliano lanCioni, stefania nuCCoRini, salvaDoR pippa, auRelio pRinCipato, ChiaRa Romagnoli.

...continua da pag. 1 continente africano, tra cui la cri-si nella Repubblica Democratica del Congo, in Darfur e nella regio-ne del Corno d’Africa, ed a cui le Nazioni Unite hanno dimostrato di non poter fare fronte da sole o senza la collaborazione delle orga-nizzazioni regionali, come appun-to la NATO e l’Unione Africana. Il dibattito finale ha discusso le diverse prospettive e punti di viste espresse dai partecipanti al conve-gno ed emerse nel corso dei lavori, riflettendo sui risultati della colla-borazione tra Alleanza Atlantica e Nazioni Unite e sulle prospettive future di questo rapporto, che ap-pare fondamentale per costruire un sistema internazionale più sta-bile e limitare i conflitti regionali.Il convegno è stata inoltre l’oc-casione per presentare il volume ‘NATO beyond 9/11: The Tran-sformation of the Atlantic Al-liance’ (London & New York: Pal-grave/MacMillan 2013), curato dal Prof. Luca Ratti insieme a do-centi del King’s College di Londra e dell’Università di Ottawa all’in-terno del network di ricerca del-la Transatlantic Studies Associa-tion, che ha trattato l’evoluzione dell’Allenaza in chiave storica e analitica a partire dagli attac-chi terroristici dell’ 11 settembre 2001 fino al suo decennale coin-volgimento dell’Alleanza in Af-ghanistan. http://us.macmillan.c o m / n a t o b e y o n d 9 1 1


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