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LA LEGISLAZIONE STATALE - Conosciamocimeglio.it...LA LEGISLAZIONE STATALE PER I CITTADINI DISABILI...

Date post: 06-Aug-2020
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LA LEGISLAZIONE STATALE PER I CITTADINI DISABILI 1.1 Introduzione Fare la storia della legislazione in favore dei disabili significa anche fare la storia delle persone handicappate e capire meglio come, quando e quanto sono cambiate nel nostro paese la concezione dell’handicap e soprattutto la condizione di quanti ne sono portatori. In questo capitolo cercherò di ripercorrere come nasce l’intervento istituzionale a favore dei portatori di handicap e di descrivere schematicamente entro quali quadri storici recenti si sviluppa e si modifica l’azione del legislatore nei confronti delle persone con difficoltà. In questo sguardo retrospettivo non occorre tornare molto indietro: basta fermarsi alla fine del secolo scorso e agli inizi dell’attuale; è soltanto a partire da questo periodo, infatti, che si comincia a delineare un quadro evolutivo della normativa in questo settore. Si tratta di un’evoluzione lenta, complessa, frammentaria, a volte contraddittoria e che soltanto con adeguate forzature possiamo completamente considerare a favore dei portatori di handicap.
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Page 1: LA LEGISLAZIONE STATALE - Conosciamocimeglio.it...LA LEGISLAZIONE STATALE PER I CITTADINI DISABILI 1.1 Introduzione Fare la storia della legislazione in favore dei disabili significa

LA LEGISLAZIONE STATALE PER I CITTADINI

DISABILI

1.1 Introduzione

Fare la storia della legislazione in favore dei disabili significa

anche fare la storia delle persone handicappate e capire meglio

come, quando e quanto sono cambiate nel nostro paese la

concezione dell’handicap e soprattut to la condizione di quanti ne

sono portatori.

In questo capitolo cercherò di ripercorrere come nasce

l’intervento istituzionale a favore dei portatori di handicap e di

descrivere schematicamente entro quali quadri storici recenti si

sviluppa e si modifica l’azione del legislatore nei confronti delle

persone con difficoltà. In questo sguardo retrospet tivo non

occorre tornare molto indietro: basta fermarsi alla fine del secolo

scorso e agli inizi dell’attuale; è soltanto a partire da questo

periodo, infatti, che si comincia a delineare un quadro evolutivo

della normativa in questo settore.

Si tratta di un’evoluzione lenta, complessa, frammentaria, a

volte contraddit toria e che soltanto con adeguate forzature

possiamo completamente considerare a favore dei portatori di

handicap.

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La legislazione statale per i cittadini disabili

Se guardiamo i testi di alcuni provvedimenti legislativi, anche

recenti, che in qualche modo riguardano i cittadini con handicap,

notiamo facilmente con quanti termini essi siano stati e vengano

ancora indicati (mutilati, invalidi, subnormali, minorati, inabili,

portatori di menomazioni fisiche e sensoriali). La proliferazione

di queste diverse denominazioni è certamente un indicatore del

modo disorganico e lacunoso con cui si è sviluppata la

legislazione sociale a loro favore. Lo stesso continuo ricorso alla

terminologia anglosassone, è sintomatico di una carenza lessicale

e di una scarsa elaborazione concettuale a livello giuridico delle

attese e dei bisogni delle persone con difficoltà. A tal proposito

basti pensare che termini quale “portatore di handicap”, “persona

handicappata” e “disabile” sono apparse solo di recente e hanno

trovato una prima definizione di carattere giuridico soltanto con

la Legge- quadro 104/92.

1.2 Cenni storici

Nel passato, nel contesto degli interventi istituzionali, la

figura sociale della persona con handicap ha avuto come

connotazione costante quella della marginalità quasi totale, che

si è concretizza ta “quasi sempre” con l’esclusione e l’isolamento.

Nelle società primitive e agricole la persona con handicap

aveva un suo ruolo, una sua identità. Nella società rurale, infatti, i

bambini, gli anziani e i vecchi avevano uno spazio preciso e

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La legislazione statale per i cittadini disabili

dignitoso così come lo avevano gli invalidi fisici e quelli con

disturbi psichici.

Fino a quando la produzione economica è stata basata sul

settore primario il portatore di handicap è stato accettato, se non

altro tollerato, senza eccessivi problemi.

Con il cristianesimo la persona con handicap ha assunto un

significato positivo secondo i princìpi della carità cristiana.

Persisteva, tuttavia, un’ambivalenza religiosa rispetto al male che

raffigurava un significato positivo di redenzione e allo stesso

tempo di peccato. L’intera comunità religiosa si sentiva coinvolta

e interveniva con provvedimenti di segno opposto: la solidarietà,

la preghiera, il ricorso ad esorcismi; oppure la persecuzione e il

rogo. Da quest’ambiguità derivava una pratica assistenziale che,

di fatto, si realizzava nell’esclusione delle persone con difficoltà.

In seguito, nel corso del medioevo e soprattut to verso la fine

di quest’epoca, cominciarono a nascere le prime fondazioni

ospedaliere e insieme l’accettazione sociale del mendicante

infermo.

E’ soltanto nel sec. XV che l’assistenza assume le prime

forme giuridiche, ma è proprio a partire da questo periodo che la

persona disabile perde progressivamente quell’identità positiva,

che pur con tutti i suoi limiti, era presente nella società agricola,

nelle prime ere cristiane e nel medioevo.

A partire dall’età moderna la figura del portatore di handicap

viene associata a quella dei poveri e degli atipici. La situazione di

marginalità in cui si viene a trovare fa sì che la persona con

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La legislazione statale per i cittadini disabili

handicap non assuma caratteri sociologici tali da distaccarla

dalla massa dei poveri in genere. La sua figura è vissuta come

una minaccia alla quiete pubblica o all’ordine costituito.

Le prime forme istituzionali di assistenza che cominciano a

nascere si esprimono come reclusione di massa dei poveri e dei

diversi che coinvolge anche quanti hanno difficoltà fisiche e

psichiche. Si apre quindi un lungo periodo di transizione che, per

quanto riguarda l’assistenza, vede l’alternarsi di metodiche le

quali preannunciano i termini dell’assistenza pubblica e privata

attuale. Le città e i poteri amministrativi si organizzano nelle

forme proprie della società moderna. Le autorità preposte

all’ordine pubblico dispongono, adesso, no solo di carceri, ma

anche di luoghi di ricovero più o meno coatti (istituti di

segregazione); sono essenzialmente luoghi di reclusione, a metà

tra l’ospizio e il carcere, dove si riceve assistenza, ma anche

punizioni e contenzione, e dove le condizioni igieniche e di vita

sono molto precarie.

Con le nuove idee diffuse nel secondo Settecento

dall’Illuminismo, e con l’affermazione dei diritti dell’uomo e del

cittadino propagati dalla Rivoluzione Francese, si chiudono gli

istituti di segregazione e la condizione dell’handicappato, almeno

in linea teorica, viene distinta da quella del povero e del

criminale.

Nel nostro paese, quindi, fino alla metà dell’Ottocento la

condizione dei disabili non è stata distinta da quella degli

indigenti e dei poveri in genere. L’assistenza nei loro confronti è

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stata considerata un fatto privato, di cui prevalentemente si è

fatta carico la Chiesa attraverso varie istituzioni specializzate per

categorie di assistiti: gli ospizi per i pellegrini, gli ospedali per gli

infermi, i lebbrosari per i lebbrosi. La funzione assistenziale nei

confronti dei disabili in genere è stata svolta dalle Opere Pie. Lo

Stato resta in disparte e si limita soltanto ad interventi di tutela

dell’ordine pubblico.

Nel tempo i sistemi di intervento assistenziali possono

essere così distinti:

- assistenza come beneficenza e carità privata: si origina

nel cristianesimo e si attua nel medioevo;

- assistenza come ordine pubblico: si attua soprattut to

nei regimi monarchici assoluti dal XVI al XVIII secolo;

- assistenza come diritto legale: si tratta di un sistema

politico- culturale che si afferma attraverso l’Illuminismo e

il Positivismo e si riscontra nell’enunciazione dei diritti

dell’uomo;

- assistenza come sicurezza sociale: è la teoria che si

manifesta nelle società avanzate e la cui espressione più

nota è costituita dalla teoria del Welfare State.

Quest’ultimo sistema di intervento assistenziale coincide con

lo sviluppo delle società contemporanee industrializza te. Con

l’inizio del secolo, questo sistema comincia a diffondersi anche in

diversi paesi europei, tra cui l’Italia. E’ da questo periodo che si

può cominciare a parlare della legislazione sociale nel nostro

paese con specifico riguardo ai portatori di handicap.

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La legislazione statale per i cittadini disabili

Prima dell’unità d’Italia non è possibile rintracciare

riferimenti legislativi che considerino la persona handicappata

come tale, e cioè con diritti soggettivi.

L’unico provvedimento precedente, che in qualche modo può

considerarsi rivolto anche ai cittadini con handicap, è la legge 17

luglio 1890 n. 6972 “Norme sulle Istituzioni Pubbliche di

Assistenza e Beneficenza” , tuttora vigente, che individua le IAPB

nelle Opere Pie e gli istituti di beneficenza che abbiano come fine:

a) “di prestare assistenza ai poveri tanto in stato di sanità,

quanto di malattia”;

b) “di procurare l’educazione, l’istruzione e l’avviamento a

qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro

modo, il miglioramento morale ed economico”.

Questa normativa non considera specificatamente i disabili,

se non come “poveri in stato di malattia” .

Alla fine del secolo scorso, la situazione in campo

assistenziale è basata esclusivamente su principi di carità e su

disposizioni relative alla beneficenza pubblica. Nei confronti dei

disabili non si riscontra alcuna norma di tutela socio-

assistenziale se non la possibilità dell’istituzionalizzazione in

apposite strutture emarginanti. Nel Testo unico delle leggi di

pubblica sicurezza del 1889 si legge: “Gli invalidi riconosciuti

dalle autorità locali di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi

lavoro, privi di mezzi di sussistenza e di congiunti tenuti alla

somministrazione degli alimenti sono …a cura delle autorità

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medesime, inviate in un ricovero di mendicità o altro istituto

equivalente…” .

Se quindi si vuol indicare un inizio dell’evoluzione legislativa

per i cittadini handicappati esso non può che essere collocato

agli inizi del Novecento.

1.3 Dagli inizi del Novecento alla promulgazione

della Costituzione

La normativa in favore delle persone con handicap inizia a

svilupparsi nel corso dei primi decenni del Novecento e si

struttura subito come un sistema che procede in maniera

separata rispetto all’evoluzione della legislazione sociale di

carattere generale.

Nei primi anni del Novecento prolifera una serie di enti

pubblici e privati i quali tutelano e rappresentano determinate

categorie di cittadini (INAM, INPS, OMNI, INAIL), ma solo

marginalmente si occupano dei bisogni dei cittadini disabili;

sorgono, inoltre, gli ECA (Enti Comunali di Assistenza) che

assorbono le funzioni delle IAPB in materia di tutela dei poveri

E’ soltanto nell’immediato primo dopoguerra che lo Stato,

per la prima volta, interviene con specifici provvedimenti diretti a

soggetti portatori di handicap.

Queste prime disposizioni riguardano esclusivamente una

precisa categoria: gli invalidi e mutilati di guerra. Nei loro

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confronti vengono previsti interventi economici e sanitari e

forme di avviamento professionale. Tra queste disposizioni si

possono ricordare la legge 481 del 25 marzo 1917 che riguarda il

collocamento obbligatorio per i mutilati e invalidi di guerra e,

successivamente, la legge 1132 del 21 agosto 1924 che stabilisce

le aliquote di invalidi di guerra da assumere obbligatoriamente

da parte dei datori di lavoro. Sono leggi che nascono come

“risarcimento” dello Stato al “danno” che queste persone hanno

subìto partecipando al conflitto bellico.

In seguito, con diverse e disarticolate disposizioni legislative,

si prevedono benefici per categorie di persone la cui mutilazione

o invalidità non trova origine nella partecipazione al conflitto,

ma in cause diverse (invalidi civili per cause di guerra, invalidi

per cause di servizio, invalidi per cause di lavoro, ecc.).

Alla prima categoria “protet ta” dei reduci si aggiungono,

quindi, con il passare degli anni, altre categorie verso le quali

vengono previste differenti forme di assistenza (pensioni, assegni

di invalidità, cure mediche gratuite).

Nascono così termini e definizioni giuridiche, tuttora usati,

quali “invalido per cause di servizio”, “invalido per cause di

lavoro”, ecc. Contemporaneamente vengono previste anche le

prime forme di assistenza ai ciechi, ai sordomuti e agli ex-

tubercolosi.

Le categorie da assistere vengono perciò individuate o in

base all’origine dell’handicap o in base alla tipologia.

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La legislazione statale per i cittadini disabili

Verso gli anni Trenta - Quaranta si susseguono altri

provvedimenti rivolti sempre a gruppi di “minorati” specifici e

ben definiti. Si possono trovare leggi di quel periodo addirittura a

favore dei “lussati congeniti dell’anca”, per i “bambini discinetici

poveri”, per gli affetti da “parkinsonismo encefalico”, per gli

“infermi poveri recuperabili da postumi di poliomielite anteriore

acuta”, ecc. In ogni disposizione viene data la definizione propria

dei soggetti cui essa si riferisce.

Questa normativa frammentaria, indirizza ta a categorie così

specifiche, porta ad una situazione di disparità fra i portatori di

handicap, sia per i trattamenti economici, sia per gli interventi

socio- assistenziali.

Caratteristica comune a questa legislazione è la sua impronta

pensionistica: l’intervento assistenziale viene considerato quasi

esclusivamente mediante l’erogazione periodica di somme di

denaro. Non troviamo alcuna predisposizione e offerta di servizi

a favore dell’autonomia e dell’integrazione.

Caratteristiche fondamentali della legislazione in questo

periodo sono:

- la legittimazione della separazione dei portatori di

handicap dal contesto sociale;

- la monetizzazione dell’handicap, come risposta ai

bisogni e alle esigenze delle famiglie con disabili;

- la divisione dei cittadini con handicap in categorie.

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Si affermano così criteri e linee di intervento che resteranno

pressoché immutati nei decenni seguenti e che guideranno tutta

la successiva legislazione e, in parte, quella vigente.

La divisione in categorie, individuate in base al tipo di

handicap o alla causa, e il procedere con interventi settoriali e

specifici, rappresentano le caratteristiche principali della

legislazione sociale nel settore anche dopo la promulgazione

della Costituzione.

La Costituzione, come è noto, sancisce i fondamentali diritti

civili della nostra società: innanzi tutto nell’art. 2 si afferma che

la Repubblica riconosce l’esistenza di un sistema di diritti

inviolabili dell’uomo e ne garantisce l’effettiva realizzazione;

obbliga inoltre all’osservanza di una solidarietà sociale,

economica, politica nei confronti dell’intera collettività in

direzione di un suo globale vantaggio. Si sottolinea la

responsabilità di tutti i cittadini nei confronti degli altri. Nella

Costituzione, inoltre, la nozione di uguaglianza effettiva viene

finalmente configurata con pienezza giuridica e vigore civile per

tutti i cittadini, “senza distinzione di sesso, di razza, di religione,

di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3).

L’art. 3 stabilisce che il portatore di handicap è su un piano

di assoluta parità con la persona sana, sia per dignità sociale, sia

sul piano del diritto al pieno sviluppo della propria personalità e

alla effettiva partecipazione alla costruzione sociale. Tale articolo

sancisce inoltre che: “…E’ compito della Repubblica rimuovere gli

ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la

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La legislazione statale per i cittadini disabili

libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo

della persona umana…” . Viene, quindi, emanato sia il principio di

uguaglianza formale – tutti i cittadini sono uguali davanti alla

legge e non possono essere emanate leggi che discriminino alcuni

cittadini – sia il principio di uguaglianza sostanziale – non basta

trattare tutti allo stesso modo, occorre fare qualcosa per colmare

le lacune dei punti di partenza di chi si trova in una situazione di

svantaggio.

Importanti ancora gli articoli 34 e 38: “…La scuola è aperta a

tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è

obbligatoria e gratuita…” , “…Gli inabili e i minorati hanno diritto

all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti

in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o

integrati dallo Stato.”.

La Costituzione riconosce, quindi, la parità di diritti al

cittadino con handicap a tutti i livelli: in ambito scolastico,

lavorativo e sociale; questi principi rimangono, purtroppo, per lo

più una promessa in quanto ad esse non seguono provvedimenti

dello Stato.

Nonostante i principi affermati dalla carta costituzionale, il

sistema assistenziale continua ad essere regolato da una

normativa frammentaria e settoriale la quale determina, da una

parte, una crescita eccessiva di enti nazionali e locali cui vengono

assegnati compiti gestionali in materia, dall’altra la

categorizzazione dei bisogni dei cittadini (assistenza economica,

assistenza sanitaria, collocamento al lavoro, ecc.) che comporta

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La legislazione statale per i cittadini disabili

una serie di disuguaglianze nelle prestazioni assistenziali,

soprattut to di carattere economico e sociale.

Per quanto riguarda l’assistenza economica vengono

emanate altre leggi a favore dei ciechi e dei sordomuti e di altri

gruppi di portatori di handicap. Si consolida così quella pratica

della monetizzazione dell’handicap di cui si parlava in

precedenza.

Queste disposizioni comportano l’erogazione di sussidi “a

pioggia”, senza alcuna logica spiegazione e adeguata risposta ai

bisogni. I sussidi sono di modesta entità economica e vengono

spesso usati e percepiti nelle zone più povere del paese, come

“ammortizza tore sociale” a condizioni di generalizzato disagio,

anziché come mezzo per combattere l’isolamento dei portatori di

handicap.

Oltre ad essere caratterizza to dalla suddivisione del “settore

handicap” in categorie, questo periodo è caratterizzato anche da

un modo di risolvere il problema delle persone con handicap che

segue una politica di separazione di queste ultime dal resto della

società. Si ritiene che gli individui con particolari problemi

abbiano bisogno di speciali strutture: vengono quindi emanate

disposizioni amministrative che prevedono le classi differenziali,

le scuole speciali, i laboratori protetti.

Alle scuole speciali vengono destinati i bambini definiti

“irrecuperabili”, mentre le classi differenziali vengono riservate

ai bambini ritenuti suscettibili di correzione e quindi reinseribili

un domani nella scuola di tutti. Scuole speciali e classi

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differenziali raggiungono il massimo della loro espansione negli

anni ‘71/’72 .

I laboratori protetti vengono ideati per facilitare l’ingresso

degli handicappati nelle normali attività produt tive, sono quindi

pensati come struttura transitoria che deve fornire una

preparazione concreta al lavoro; tuttavia essi finiscono ben

presto per diventare ennesime strutture emarginanti perché

vengono a mancare un confronto e un contat to con le forze

politiche, sociali e in particolare con le organizzazioni dei

lavoratori. I laboratori protetti diventano delle “aree di

parcheggio” in cui gli handicappati svolgono attività ripetitive

che non favoriscono né la socializzazione né la formazione

professionale.

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Tabella 1.1 - Le scuole speciali dal 1958 al 1981

Anni N° scuole Fisici Psichici Sensoriali Totali1958-59 238 4703 8971 8785 224591968-69 880 19929 36701 9774 664041970-71 1349 16230 44122 11399 717511971-72 1404 16112 41296 11453 688611972-73 1444 8845 40944 11127 609161973-74 1453 8625 28373 10297 472951974-75 1381 7370 32840 9354 495641975-76 1326 7373 27862 8802 440371976-77 1188 5964 20918 8016 348981977-78 998 3790 16343 6465 265981978-79 788 3402 13036 4937 213751979-80 605 2990 10183 4341 175141980-81 476 2166 8416 3257 13839

Fonte: ISTAT, Annuario statistico dell'istruzione, anni vari

Numero di alunni handicappati

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La legislazione statale per i cittadini disabili

Nel 1968 la legge sul collocamento obbligatorio di

determinate categorie protette (legge 02.04.68 n. 482), tuttora

vigente, conserva la divisione dei disabili in categorie. Tale legge

prevede che le aziende private e gli enti pubblici, con un numero

di lavoratori superiore a 35, abbiano l’obbligo di assumere

soggetti appartenenti ad alcune categorie protette (invalidi civili,

di guerra, del lavoro, orfani, vedove) in un numero proporzionale

al totale del personale. Per le suddette categorie la legge 482

prevede un normale trattamento economico, giuridico e

normativo. Vengono però esclusi da tale provvedimento gli

handicappati psichici, cioè coloro che presentano un ritardo

mentale causato da un danno celebrale. Nell’art. 5 vengono infatti

definiti “invalidi civili” solamente coloro che “siano affetti da

minorazioni fisiche che ne riducano la capacità lavorativa in

misura non inferiore ad 1/3” (art. 19). I portatori di handicap

psichici potranno ottenere il riconoscimento dell’invalidità solo

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Tabella 1.2 - Le classi differenziali dal 1958 al 1977

Anni Classi Alunni Classi Alunni1958-59 785 13673 - -1965-66 3160 29429 123 14021968-69 6626 60670 - -1969-70 7287 60935 945 104671970-71 7944 63565 973 106111971-72 7598 58821 920 96321972-73 6006 48528 643 72791973-74 4529 36692 484 57891974-75 3167 24880 445 58451975-76 2176 17334 468 40971976-77 - - - -

Fonte: ISTAT, Annuario statistico dell'istruzione, anni vari

Elementari Medie

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La legislazione statale per i cittadini disabili

nel 1971 con la legge n. 118 del 30 marzo. Solo però nel 1990,

con la sentenza della Corte Costituzionale n.50 del 2 febbraio,

verranno ammessi nelle liste di collocamento obbligatorio.

Pur avendo inserito importanti innovazioni per le persone

con handicap, la legge 482 ha rivelato negli anni delle sua

applicazione alcuni punti deboli e alcune carenze: i lavoratori

handicappati vengono collocati unicamente per chiamata

secondo l’anzianità di collocamento e non tenendo conto della

rispondenza tra le capacità del lavoratore e le mansioni richieste;

non esistendo controllo sulle aziende obbligate all’assunzione

delle categorie protette, si verifica una consistente evasione;

molte aziende preferiscono pagare delle sanzioni, tra l'altro

esigue, piuttosto che farsi carico dei problemi che potrebbero

sorgere assumendo una persona con handicap.

Comincia a delinearsi, comunque, nei provvedimenti di

questi anni anche il principio della “sicurezza sociale” che

possiamo sintetizzare con l’art. 38 della Costituzione: “Ogni

cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per

vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

Per tutti gli anni Sessanta tuttavia, e in parte anche dopo,

permangono notevoli sperequazioni tra le varie categorie di

portatori di handicap, sia per quanto riguarda le provvidenze

economiche sia per le forme di assistenza sociale e di

inserimento lavorativo.

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La legislazione statale per i cittadini disabili

1.4 La legislazione degli anni Settanta

Occorre arrivare agli inizi degli anni Settanta per notare

l’avvio di un processo di innovazione che porterà ad una

crescente attenzione del legislatore e ad una graduale

affermazione dei diritti dei portatori di handicap. Sono anni di

fervore culturale e di lotte; importanti per il settore handicap

sono le battaglie contro le istituzioni totali e contro

l’emarginazione.

L’emanazione della legge 30 marzo 1971 n. 118, pur con i

suoi limiti, può essere considerata la prima tappa di questo

difficoltoso cammino; con essa ha inizio il vero e proprio

processo di integrazione. Tale legge, pur riguardando soltanto

una fascia residuale di portatori di handicap, gli invalidi civili,

contiene, per la prima volta, princìpi ed enunciazioni di carattere

generale che, finalmente, sono diretti a promuovere il

reinserimento e l’integrazione. Essa riguarda una pluralità di

aspetti quali l’intervento economico, l’inserimento scolastico e

lavorativo, l’istruzione professionale, ecc.; definisce i destinatari

in modo complessivo e si riferisce a tutti i cittadini affetti da

minorazioni congenite o acquisite compresi gli irregolari psichici

(art. 2). L’art. 28 stabilisce che: ”L’istruzione dell’obbligo deve

avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi in

cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o

menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere

difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi

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La legislazione statale per i cittadini disabili

normali. Sarà facilitata inoltre la frequenza degli invalidi e

mutilati civili alle scuole medie superiori e universitarie. Le stesse

disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche e per i

doposcuola”.

In questa fase di cambiamento il sistema di strut ture

“speciali” viene ridimensionato: le scuole speciali subiscono, nel

giro di un decennio, un calo del 60% come numero di istituti e un

calo del 75% come numero di alunni; le classi differenziali, dopo

una notevole riduzione, vengono soppresse (vedi tabella 1.1 e

1.2); gli istituti vengono ridimensionati in misura più limitata ma

subiscono anche loro, nel giro di un decennio, una riduzione dei

ricoveri di circa un quarto (vedi tabella 1.3).

L’incontro tra popolazione “normale” e “diversa” cambia

molto l’immagine delle persone handicappate nell’esperienza

collettiva; la conoscenza diretta aiuta a superare molti stereotipi

24

Anni Anormali sensoriali Minorati fisici Minorati psichici Totale

1951 8556 4232 15328 281161959 11191 5022 17220 334331966 10648 5509 20432 365891967 10710 6060 23011 397811968 10570 5280 25593 414431969 10080 6034 25473 415871970 9980 6023 24756 407591971 9721 5505 23316 385421972 8948 5094 22278 363201973 8719 6297 21811 368271974 7910 5033 22901 358441975 6883 4438 20686 320071976 6023 4535 20275 30833

Tabella 1.3 - Assistiti negli Istituti di ricovero

Fonte: ISTAT, Annuario Statistico dell'assistenza e della previdenza sociale, anni vari

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La legislazione statale per i cittadini disabili

e pregiudizi e forse anche a scoprire le differenze tra gli

handicap e, ancora, l’originalità di ogni persona al di là del suo

handicap.

La legge 118/71 segna una svolta anche per quanto riguarda

le strutture alternative al ricovero in istituto: nell’art.4 si parla,

per la prima volta, di “istituzioni terapeutiche quali comunità di

tipo residenziale e simili”. Questo significa che l’istituto non è più

l’unica risposta ai problemi dei portatori di handicap, ma

vengono proposte dallo Stato delle alternative che vanno

incontro alle loro esigenze.

Nella legge 118/71 permangono tuttavia alcuni elementi di

discriminazione come ad esempio l’esclusione dei portatori di

handicap gravi dalle classi normali della scuola pubblica (art. 28),

o come l’istituzione dei Centri di Recupero e di Riabilitazione, in

caso sia accertata l’impossibilità di far frequentare ai portatori di

handicap la scuola comune dell’obbligo (art.29).

La legge 118/71 resterà per tutto il decennio, e anche oltre, il

punto di riferimento principale di tutta la successiva legislazione

fino alla Legge- quadro 104/92.

A partire dagli anni Settanta si susseguono specifiche

disposizioni che riguardano vari settori e aspetti del problema

handicap e che concorrono a costruire la rete attuale dei diritti

civili dei disabili.

In questo periodo vengono emanati, inoltre, provvedimenti

che, sebbene non diretti ai cittadini con handicap, pongono le

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La legislazione statale per i cittadini disabili

premesse per la successiva evoluzione della normativa a favore

dei disabili. Tra questi si possono ricordare:

- i decreti delegati del 1972, con i quali lo Stato trasferisce

alle Regioni le funzioni amministrative loro spettanti;

- il D.P.R. 416 del 31 maggio 1974, che istituisce gli organi

collegiali nella scuola materna, elementare e media;

- la legge n. 405 del 29 luglio 1975, relativa all’istituzione

dei consultori familiari;

- la legge n. 1044 del 6 dicembre 1977, che avvia

l’istituzione e la gestione degli asili nido;

- il D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977, di attuazione della

legge n. 382/77, che attribuisce agli enti locali, in modo

organico, l’intera materia dell’assistenza sociale e sanitaria

(come previsto dalla Costituzione art.117).

Con l’emanazione della legge 616 /77 si attribuiscono alle

Regioni compiti di programmazione, finanziamento e controllo

delle attività sociali e assistenziali e si privilegia il ruolo dei

Comuni e delle associazioni di Comuni nell’organizzazione e

gestione dei relativi servizi. Con l’entrata in vigore di questa

norma non vengono abrogate tutte le precedenti disposizioni in

materia e pertanto, anche per quanto riguarda i portatori di

handicap, molte competenze restano divise tra i diversi enti

locali (Provincia e Comune).

Il 23/12 /78 viene emanata la legge 833 “Istituzione del

Servizio Sanitario Nazionale” con cui si riconosce a tutti i

cittadini il diritto alla salute; con l’entrata in vigore di tale legge,

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La legislazione statale per i cittadini disabili

cui seguono le leggi regionali applicative, la gestione

dell’assistenza sanitaria è competenza delle Unità Sanitarie

Locali. Le forme di assistenza che le USL devono assicurare, e che

in particolare riguardano i portatori di handicap, sono, oltre

all’assistenza sanitaria diretta al recupero funzionale e sociale,

l’assistenza riabilitativa e protesica. A livello regionale questa

norma non è stata recepita in maniera univoca: in alcune regioni

le leggi applicative in materia hanno delegato alle USL

competenze anche di carattere sociale, mentre in altre sono

rimaste ai Comuni. Ne sono derivate, non solo difficoltà nel

definire quali siano esattamente i compiti di carattere sociale

delle USL, ma anche problemi nel predisporre ed utilizzare i

finanziamenti regionali per i diversi interventi assistenziali.

Nel 1978, inoltre, vi è la promulgazione della legge 180 i cui

principi fondamentali sono: smantellamento dei manicomi (che

invece di luoghi di cura si sono rivelati fortezze inespugnabili

della follia), rispetto della persona, fiducia nella curabilità dei

disturbi, assistenza a livello territoriale. Pur nell’ambiguità e nella

contraddit torietà di alcune sue formulazioni, la legge 180

rappresenta una conquista culturale e civile.

In questa fase di evoluzione legislativa, per quel che riguarda

le normative che direttamente interessano i portatori di

handicap, non ci sono cambiamenti notevoli nei criteri seguiti.

Si continua ad intervenire in maniera settoriale considerando

i cittadini handicappati sempre secondo il criterio della

categorizzazione, tranne che in alcune disposizioni, come la

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legge 517/77 che sancisce il diritto alla frequenza scolastica di

tutti i portatori di handicap. Viene inoltre stabilito che le classi in

cui viene inserito un portatore di handicap, non devono avere più

di 20 alunni ed inoltre devono essere assicurati la necessaria

integrazione specialistica, il servizio socio- psico- pedagogico e

forme particolari di sostegno (art. 7).

Se comunque si considera l’intera produzione legislativa di

questo periodo e si cerca un’integrazione fra le diverse

disposizioni emanate si ha di fronte un labirinto, entro il quale,

pur faticosamente, è possibile individuare molti diritti civili

gradualmente esigibili da tutti i cittadini con handicap.

In questo periodo, accanto all’intensa e crescente produzione

legislativa a livello nazionale, inizia a svilupparsi, in seguito al

decentramento regionale e al progressivo trasferimento di

diverse competenze dallo Stato alle Regioni, anche una normativa

regionale sulla problematica dell’handicap.

Alla fine degli anni Ottanta ci troviamo così di fronte ad una

legislazione vasta ma settoriale, disorganica, frammentaria e

largamente inapplicata. Il quadro normativo risulta sempre più

complesso, ma resta poco incisivo per migliorare l’effettivo

processo di integrazione delle persone handicappate.

La specificità delle norme, la carenza di adeguati strumenti

applicativi e la modesta responsabilizzazione degli organismi

istituzionali competenti alla loro osservanza, sono alcune tra le

cause che limitano la piena fruizione dei diritti civili

faticosamente riconosciuti.

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La legislazione statale per i cittadini disabili

La crescente consapevolezza di questa situazione fa

emergere, in maniera sempre più forte, l’esigenza di superare la

frammentazione delle leggi in questo settore. Matura così, nel

corso degli anni Ottanta, la necessità di un intervento legislativo

organico in materia.

I sostenitori di questo progetto si dividono tra due diverse

concezioni: alcuni ritengono che il progetto debba rispondere

all’esigenza di stabilire tutti i diritti dei disabili e coordinare

l’attività legislativa delle Regioni; altri sostengono che i problemi

dei portatori di handicap debbano essere considerati nel contesto

della legislazione sociale generale in quanto rappresentano diritti

costituzionali comuni a tutti i cittadini e una normativa specifica

potrebbe costituire una discriminazione o una “separazione

giuridica” dei disabili.

Nel corso del dibattito prevale la prima concezione. Ci si

orienta alla formulazione di una legge di indirizzo che definisca

tutti i diritti dei portatori di handicap e che coordini l’attività

legislativa delle Regioni.

Dopo un lungo e faticoso iter, il Parlamento approva la

Legge- quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti

delle persone handicappate (legge 05.02.1992 n. 104).

1.5 La Legge- quadro sull’handicap

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La promulgazione della Legge- quadro sull’handicap, pur non

riuscendo a soddisfare tutte le attese, segna un’inversione di

tendenza rispetto al passato e apre un nuovo capitolo per

l’effettiva integrazione dei disabili.

Sul piano culturale la legge esprime finalmente una

concezione sociale della persona con handicap al passo con i

tempi. Accoglie, infatti, sostanzialmente le definizioni proposte

dall’O.M.S. che nel 1980 ha elaborato una classificazione della

disabilità e della condizione di handicap corretta e

universalmente condivisa.

La persona handicappata viene definita come: “colui che

presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata

o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di

relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un

processo di svantaggio sociale o di emarginazione” (art.3).

Nella legge vengono dettati i parametri, ricorrendo i quali,

l’handicap viene considerato grave. L’handicappato grave è quella

persona che ha una minorazione che riduce l’autonomia ed è

bisognosa di assistenza in forma permanente, continuativa e

globale, sia nella sfera individuale sia nella sfera di relazione.

Per la prima volta sul piano legislativo si pone al centro la

persona nella sua globalità, indipendentemente dallo stato e dal

tipo di handicap in cui si trova, con un approccio innovativo che

considera il disabile nel suo sviluppo unitario dalla nascita alla

presenza in famiglia, nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero.

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La legislazione statale per i cittadini disabili

Con la sua entrata in vigore si avvia un processo di

coinvolgimento sulla realtà dell’handicap che interessa le diverse

amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e offre nuovi

spazi e opportunità alle forze dell’associazionismo, del

volontariato, della cooperazione e del privato sociale.

La legge, al fine di assicurare l’esigibilità dei diritti delle

persone handicappate, individua nell’azione coordinata delle

istituzioni centrali e nella maggiore responsabilizzazione degli

enti locali, i percorsi operativi e necessari.

Sul versante istituzionale e organizzativo, essa rappresenta il

superamento di una situazione contraddistinta da una ormai

cronica frammentazione delle competenze e della settorialità

delle prestazioni che, oltre ad accrescere nel tempo il carattere

speciale della normativa a favore dei disabili, di fatto ne ha

limitato fortemente l’applicazione.

La legge segna, quindi, il passaggio dallo Stato assistenziale

allo Stato sociale, predisponendo alcune condizioni strut turali a

livello normativo per offrire risposte adeguate e globali alle

persone con difficoltà.

Il testo ridefinisce e regolamenta, a livello nazionale,

l’insieme delle norme per tutelare la dignità della persona

handicappata.

Questo nuovo approccio legislativo si coglie nell’impianto

generale della legge e si individua in diverse parti che

compongono il provvedimento, ad iniziare dai primi articoli che

dispongono i princìpi e le finalità (rispetto della dignità umana,

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massima autonomia e partecipazione, recupero funzionale e

sociale, superamento dell’emarginazione).

Oltre a garantire il pieno rispetto della dignità della persona

disabile, si insiste sulla necessità di rimuovere le situazioni

invalidanti e di predisporre interventi che evitino processi di

emarginazione.

E’ evidente la preoccupazione di evitare il binomio handicap -

emarginazione, troppo spesso frequente a causa della mancanza

di idonee risposte alle esigenze delle persone disabili.

Si chiarisce che la persona con handicap è considerata tale

quando la minorazione di cui è portatrice causa delle difficoltà e

può determinare processi di svantaggio sociale.

Non si parla più di “gravi” ma di persona con handicap in

situazione di gravità, usando così un’espressione che indica una

visione evolutiva e dinamica della condizione psicofisica e

relazionale del disabile, che supera la vecchia concezione statica

della disabilità ed è utile ai fini degli interventi riabilitativi,

educativi e di integrazione sociale.

Accanto all’affermazione di questa nuova impostazione della

problematica sociale dell’handicap, la legge è riuscita a compiere

un significativo passo avanti nel riordino delle disposizioni

precedenti, sia attraverso il recepimento di norme amministrative

precedenti sia attraverso disposizioni innovative.

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La legislazione statale per i cittadini disabili

Certamente la legge, nello sforzo di sistemare tutta la

normativa vigente, non è riuscita ad abbracciare e superare tutte

le precedenti carenze.

I limiti presenti nella Legge- quadro, tuttavia, non si

riferiscono tanto ai contenuti, ma vanno ricercati soprat tu t to

nelle difficoltà di applicazione di molte delle norme previste e in

tal senso tale legge viene spesso definita un “vaso vuoto”. Non

sono mancate a tal proposito aspre critiche alla legge in generale.

Cendon 1 sostiene che “il legislatore del 1992 sembrerebbe essersi

abbandonato al gusto della compilazione; infatti, piuttosto che

costruire un sistema idoneo a garantire le persona handicappate,

ha preferito predisporre un elenco di diritti senza tuttavia indicare

gli strumenti che possano tradurli sul piano dell’effettività”.

A distanza di alcuni anni dalla sua emanazione, gli sforzi

compiuti per la sua attuazione sono stati considerevoli e hanno

permesso il raggiungimento di significativi risultati. La sua

completa applicazione incontra ancora difficoltà di rilievo, in

parte connesse all’azione sinergica dei diversi soggetti coinvolti a

vario titolo e a vario livello, la cui operatività richiede un

continuo, articolato e permanente processo di collaborazione

interistituzionale.

Tale legge prevede un servizio di aiuto personale che può

essere istituito dai Comuni o dalle Unità Sanitarie Locali, nei

limiti delle loro “risorse ordinarie di bilancio”; questa formula

1 Cendon P., Handicap e diritto. Legge 5 febbraio 1992, n.104, legge- quadro perl’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, GiappichelliEditore, Torino, 1997 pag.127

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della “non obbligatorietà” è ricorrente nella legge. In molte parti

d’Italia ciò non dà luogo a “diritti esigibili”, non essendo le

istituzioni pubbliche territoriali dotate di congrue risorse o

ritenendo che questi interventi a favore delle persone con

handicap non abbiano carattere prioritario.

A livello statale l’assenza di una legge di riordino dei servizi

socio- assistenziali, con la conseguente carenza, in diverse

Regioni, di strumenti normativi al riguardo, impedisce di

collocare la legge 104 /92 all’interno di un sistema in cui siano

chiare le competenze e le responsabilità ai vari livelli

istituzionali; tale mancanza rende difficoltose la pianificazione e

la realizzazione, a livello territoriale, dei diversi interventi

assistenziali e sociali.

A livello regionale la disomogenea produzione di norme e

disposizioni in riferimento alle deleghe attribuite alla

amministrazioni locali, rallenta la piena attuazione di

disposizioni importanti della Legge- quadro, come quelle relative

alla prevenzione e ai servizi per le persone in situazioni di

gravità.

Più che un punto di arrivo la Legge- quadro è quindi da

considerare come un ulteriore punto di partenza del cammino

che ancora resta da compiere nel nostro paese, per la completa

affermazione dei diritti civili dei disabili. Per raggiungere questo

traguardo occorre che in questo percorso finale non venga meno

il coinvolgimento globale e permanente di tutte le istituzioni e

delle risorse sociali, inteso a dare attuazione ai princìpi

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costituzionali che vengono richiamati. Occorre individuare

modalità che rendano sempre più effettivi ed incisivi quei diritti,

spazi entro cui sia più agile la collaborazione tra lo Stato e le

istanze di solidarietà che la società esprime.

E’ necessario che non solo gli organi centrali dello Stato, ma

anche e soprattut to le amministrazioni locali, a partire da quelle

regionali, svolgano il loro ruolo in un contesto di continua

interazione e collaborazione reciproca. Le Regioni, infatti, nel

rispetto e in osservanza delle competenze istituzionali in

materia, sono chiamate a svolgere un ruolo di primo piano e

fortemente incisivo.

In questo processo dinamico non può e non deve mancare

un crescente coinvolgimento della società civile, nelle sue diverse

forme ed espressioni. L’inserimento e l’integrazione sociale dei

portatori di handicap si realizza, infatti, sensibilizzando ai loro

problemi la società e le amministrazioni pubbliche e creando di

fatto una nuova cultura in cui ogni cittadino sia riconosciuto

come componente a pieno diritto dell’intera struttura sociale. Le

stesse persone disabili e le loro famiglie sono chiamate a

superare sempre più il ruolo di soggetti di assistenza e di delega

e ad esercitare, magari con il supporto dell’associazionismo, delle

forze del volontariato e della cooperazione, una crescente

partecipazione alla gestione sociale delle problematiche connesse

all’handicap.

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Infine, così come si è passati dal concetto di “assistenza” a

quello di “inserimento”, bisogna evolvere verso il concetto ben

diverso di “integrazione”. Mentre l’inserimento è l’espressione di

una volontà civile, l’integrazione ne è il risultato sociale.

L’inserimento di una persona con handicap può esaurirsi in un

semplice trasferimento da una realtà ad un'altra (ad esempio,

l’alunno con handicap viene inserito da una scuola speciale ad

una scuola pubblica comune), l’integrazione presuppone invece

un coinvolgimento dell’intera realtà sociale che s’impegna, non

solo a livello di ideali, ma anche a livello di attuazioni concrete.

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Tabella 1.4 - Riassunto dei principali provvedimenti riguardanti i disabili

N. Anno Contenuti6972 1890 Norme sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e beneficenza773 1931 Disposizioni per ricoveri di persone inabili384 1934 Assistenza a minori e adulti privi di sostegno familiare66 1968 Asssitenza economica ai ciechi482 1968 Collocamento obbligatorio delle categorie protette381 1970 Asssitenza economica ai sordomuti118 1971 Assistenza economica, sanitaria e sociale agli invalidi civili1035 1972 Norme sulla locazione alloggi di edilizia residenziale pubblica517 1977 Integrazione scolastica dei portatori di handicap616 1977 Delega alle Regioni di funzioni in materia socio-assistenziale180 1978 Accertamenti sanitari volontari e obbligatori (chiusura dei manicomi)833 1978 Isituzione del Servizio Sanitario Nazionale18 1980 Indennità di accompagnamento

D.P.R. 1985 Indirizzi sulle attività di rilievo sanitario e socio-assistenziale1008 1985 Elenco infermità per l'esonero del servizio militare50 1990 Sentenza costituzionale sul collocamento delle persone con handicap psichici269 1991 Possibilità per i disabili di visita di leva a domicilio104 1992 Legge-quadro sull'handicap382 1992 Cooperative sociali67 1993 Competenze delle Province per assistenza ai sordomuti e ciechi

1995 Nuovo elenco infermità per l'esonero dal servizio militare1996 Criteri per concessione dispensa dal servizio militare

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La legislazione statale per i cittadini disabili

Quando si parla di integrazione personale e sociale del

“diverso” bisogna porsi in una prospet tiva di relazionalità, di

coinvolgimenti e di responsabilizzazioni di coloro che entrano in

rapporto con il portatore di handicap, qualsiasi sia l’ambiente in

cui viene inserito. Integrazione vuol dire che al riconoscimento di

uguali diritti si affianca il riconoscimento di diritti specifici

connessi a specifici bisogni.

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