ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO
La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci 4 novembre 2018 www.ilgibbo.it
CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO
(A. M. FANUCCI, PRO MANUSCRIPTO. LEZIONI ALLA LUMSA-GUBBIO, ANNO 1999 )
Cap. 12
Nella chiesa della prima parte del SECOLO BREVE
(1914-1958)
TRE PAPI VENUTI DAL PASSATO (VI)
Don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al
Corso.
Comunità di Capodarco dell’Umbria. Residenza per disabili “Pierfrancesco”,
Via Elba 47, 06024 Gubbio (Pg) 075 922 11 50
XXXI domenica del tempo ordinario 04.11.2018
Gubbio Chiesa S. Maria dei Servi – Sabato 3 novembre 2018 Lectio Divina alle ore 15.30
PIO XI: IL FUTURO È TUTTO NEL PASSATO
C)1 LA CHIESA E IL NAZISMO
I rapporti della Chiesa di Pio XI col nazismo giunsero
all’esasperazione alla fine degli anni 30, ma prima di quella data
fecero registrare a lungo, alternativamente, alti e bassi, sulla scia
del comportamento della Chiesa cattolica tedesca, della quale,
tramite il suo prediletto nunzio (poi cardinale) Eugenio Pacelli,
Papa Ratti si fidava ciecamente.
C)1-1 l’altalena della Chiesa tedesca
Hitler, salito democraticamente al potere con le elezioni del 1933, all’atto del suo
insediamento come Cancelliere proclamò che il vero nemico della Germania e della
Chiesa era il bolscevismo, perché -disse- i pilastri veri della vita tedesca sono le Chiese.
Personalmente il Fϋhrer in pubblico più volte si dichiarò membro della Chiesa cattolica;
certo, sul piano ufficiale lo rimase sempre, non fu mai scomunicato. Ma in privato
confidava di non ritenersi cristiano, e tanto meno cattolico.
La Conferenza Episcopale Tedesca, presieduta del card. Michael von Faulhaber, nei
confronti di Hitler tenne sempre un comportamento altalenante.
Nel 2013 sono stati resi pubblici gli appunti che il cardinale stese a commento della
propria vita personale e dell’alto, interminabile servizio ecclesiale che gli venne richiesto.
Faulhaber fu alla guida della diocesi di Monaco e Frisinga tra il 1933 e il 1945, ma
dovette impegnarsi a fondo, ai vertici del cattolicesimo tedesco, tra il 1911 (ultimo anno
dell’Impero) e il 1952 (partenza della Repubblica Federale Tedesca di Konrad Adenauer).
La figura di questo gigante della storia della chiesa, uomo di fiducia sia di Pio XI che del
Card. Pacelli Prima e di Pio XII poi, si inserisce in un momento di smarrimento della
Chiesa Cattolica tedesca:.
Inizialmente, nel 1931, in pieno furore propagandistico del nazionalsocialismo, che
cresceva a vista d’occhio, la Conferenza Episcopale Bavarese, da lui presieduta, aveva
messo in guardia i cattolici contro i gravissimi pericoli del nazionalsocialismo e lo aveva
dichiarato inconciliabile con il cristianesimo.
Però alla vigilia delle elezioni del 1933, quando Hitler aveva solennemente rinnovato le
garanzie che egli avrebbe sempre assicurato alle due confessioni del cristianesimo
tedesco, la protestante e la cattolica, mons. Faulhaber si espresse in favore di Hitler.
A conferma del suo giudizio, il discorso che Hitler pronunciò nel 1933 non dispiacque
nemmeno a Pio XI, che ad un ambasciatore non meglio precisato confidò: Ho cambiato
opinione su Hitler per come oggi sta parlando del comunismo; per di più alcuni giorni dopo, nella
solennità ufficiale d’un concistoro, il papa elogiò apertis verbis il Führer. Il card. Faulhaber
che ovviamente era presente nell’aula del concistoro, una volta tornato da Roma, riferì
con grande esultanza le parole del Papa ai vescovi della Germania, cosicché nella
riunione della Conferenza Episcopale Tedesca, a Fulda, in quello stesso 1933, tutti i
vescovi tedeschi ritrattarono i divieti e le riserve precedentemente formulati in diverse
sedi nei confronti del nazismo.
Fra condanna di Hitler e comprensione verso il popolo, che adorava il suo Fϋhrer, il
Faulhaber ritenne doverosa un via di mezzo, un’oscillazione non facile da capire:
rimangono memorabili i durissimi sermoni pronunciati contro Hitler nell’avvento del
’33, è molto probabile che dalla sua penna sia uscita la prima bozza dell’enciclica con la
quale Papa Ratti XI avrebbe più tardi, nel 1937, condannato il nazismo, la Mit brennender
Sorge, in lingua tedesca.
E alla fine del ’38 dopo la Notte dei cristalli, Faulhaber alzò forte la voce contro il nazismo
e fu definito “il cardinale ebreo” dai nazisti che nottetempo lanciarono ripetutamente
pietre contro il suo arcivescovado.
Eppure fu sempre lui a firmare le missive con la frase «Che Dio conservi il Cancelliere
del Reich al nostro popolo»; e fu lui ad inviare a Hitler dopo l’attentato fallito del 1939,
un telegramma di compiacimento per essere scampato al pericolo «ad opera della divina
Provvidenza».
Forse, in conclusione, la risposta al nostro “cosa pensare di tutto questo” potremmo
affidarla a Himmler, fondatore e guida indiscussa delle SS, che nei suoi rapporti segreti
presenta sempre il card. Michel Faulhaber come «il capo spirituale della resistenza
cattolica allo Stato nazista».
Ancora più significativa lla scelta dell’Unione delle Comunità Ebraiche Bavaresi, che nel
1049 ringraziò pubblicamente e solennemente Faulhaber per averle difese.
C)1-2 La rottura
Ma a questo punto emerge, provvidenziale, la figura di Mons. Von Galen, Vescovo di
Münster dal 1932.
A poco più di un mese dalla sua elezione denunciò la violazione delle norme del
Reichskonkordat sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole, facendo seguito
a note analoghe (ma ben più cautelose) che aveva inviato il nunzio Pacelli.
Ma quando, nel gennaio 1934, Hitler designò il filosofo Alfred Rosenberg, autore di Der
Mythus des 20. Jahrhunderts (Il mito del XX secolo, 1930), niente meno come Supremo
Direttiore Ideale e Spirituale del nazismo, mentre Pacelli inviava a Hitler l'ennesima,innocua
nota di protesta, per condannare l'opera di Rosenberg, von Galen prese a stendere la
consueta lettera pastorale per la quaresima, che stavolta però bollava il nazismo di
neopaganesimo,
Sulla scia della formidabile lettera pastorale di Von Galen, Pio XI nel 1936 per ben tre
volte denunciò la guerra alla Chiesa da parte del regime nazista; i Vescovi Olandesi
proibirono ai loro cattolici di aderire al Nationaal-Socialistische Beweging; nel 1937. La
pressione dell'episcopato tedesco si era ormai fatta unanime e fortissima, e Pio XI rese
pubblica l'enciclica Mit Brennender Sorge (“Con crescente preoccupazione”), che
condannava fermamente tutti i fondamenti sui quali si fondava l'ideologia nazista.
Ma dopo poco (una botta al cerchio e una botta alla botte) l’enciclica Divini
Redemptoris condannava l'ideologia comunista.
Dure le proteste del governo tedesco. Il Segretario di Stato mons. Pacelli minimizzò
l’accaduto, affermando che la posizione della Chiesa si poneva sul piano spirituale, non
su quello politico.
Poco dopo il Card. Mundelein, vescovo di Chicago definì Hitler un inetto imbianchino
austriaco, e lo fece in pubblico: la Santa Sede, fatta oggetto di vibranti proteste, giudicò
inopportuni i toni usati dal porporato d’oltre oceano, ma non lo smentì.
C)1-3 Fin sull’orlo dello scontro
Con l'enciclica Mit brennender Sorge (1937) Pio XI, su pressione di Pacelli, fattasi ormai
rigorosa, denunciava non solo le ripetute violazioni del concordato da parte del
nazismo, ma condannava il mito della razza, rigorosamente, come contrario al diritto
naturale.
È anche vero che l’atteggiamento di Pio XI sul piano strettamente personale si
discostò notevolmente dalla ferma opposizione ai regimi totalitari contenuta
nell’enciclica, almeno nei confronti del fascismo, al quale riservò sempre di
cenno di approvazione perché nel fascismo vedeva forse una terza via tra
capitalismo e socialismo e perché apprezzava il corporativismo fascista, in
tutto tranne che nel fatto che non permetteva il sorgere di nessun altra libera
organizzazione. Analogamente si spiegano quelle che sono state chiamate
strizzatine d’occhio a Salazar in Portogallo e a Dolfuss in Austria.
Nel Maggio del 1938, con un Hitler che è a Roma in visita di stato, e non ha nemmeno
chiesto un incontro con il papa, Pio XI risponde abbandonando Roma per Castel
Gandolfo, facendo chiudere i Musei Vaticani e spegnere tutte le luci di S. Pietro; e
nell’omelia pronunciata il giorno della Festa della Santa Croce (che allora cadeva i primi
di Maggio, mentre oggi cade il 14 settembre) parla del fatto tristissimo: a Roma in quel
momento grandeggia l'insegna di una croce che non è la croce di Cristo: alludeva alle
numerose svastiche che Mussolini aveva fatto esporre ovunque in città, in omaggio a
Hitler.
Agli inizi del 1939 Papa Ratti stava preparando un secondo documento, l’enciclica
Societatis unio (altri dicono che s’intitolasse Humani generi unitas, L’unità della razza umana)
ancor più deciso nella condanna del razzismo1, e lo preparava ben sapendo che non
pochi cattolici, in Italia e fuori, nutrivano più di una generica simpatia per la
discriminazione antiebraica legata alle leggi razziali.
La nuova enciclica condannava in modo ancora più diretto l'ideologia della razza superiore;
era stata stesa dal gesuita John La Farge, profondo conoscitore del razzismo negli Stati
Uniti, e il suo diretto superiore, il generale della Compagnia di Gesù P. Ledóchowski,
non solo aveva dato una mano sul piano dei contenuti, ma gli aveva affiancato due grassi
calibri, Gustav Gundlach e Gustave Desbuquois, ambedue gesuiti.
1 Cfr G. PASSELECQ, B. SUCHECKY. L’enciclica nascosta di Pio XI, Corbaccio 1997
L’enciclica non venne mai firmata, perché papa Achille Ratti morì la notte prima della
sua probabile pubblicazione.
Significativo il ritorno all'uso del latino, che rendeva ancor più universale il documento;
ma va sottolineato è il fatto che, a pochi giorni dalla pubblicazione dell'enciclica contro il
nazismo, veniva condannato il totalitarismo comunista con l'enciclica Divini Redemptoris.
Questa seconda condanna era motivata dal fatto che il comunismo si proclamava ateo, e
questo, per chi, come Pio XI metteva sempre in prima linea le preoccupazioni religiose, è
sempre stato il massimo; è per questo che il comunismo è intrinsecamente perverso; un
cristiano non può, per nessun motivo, collaborare con esso. Parole pesantissime che non troviamo
nella Mit brennender Sorge a proposito del nazionalsocialismo: ed è logico, perché il
nazionalsocialismo non ha abolito né la religione, né la proprietà privata, né la famiglia,
mentre il comunismo l’ha fatto. Se potessimo stilare una qualche gradazione nella malizia
dei due totalitarismi, per Pio XI quello comunista risulterebbe nettamente peggiore di
quello nazista.
A noi oggi, anno domini 2016, ragionando sine ira et studio dopo la fine di quasi
tutti i regimi comunisti del mondo, appare del tutto errato mettere non solo
dichiarare il totalitarismo comunista maggiormente perverso rispetto al
totalitarismo nazista, ma prima ancora metterli sullo stesso piano: il comunismo
può a volte essere stato anche più crudele e violento del nazismo, ma muoveva e
muove da un sogno di giustizia per tutti, impossibile ma autentico.
L’intento di base del nazismo è stato invece quello di dar vita ad un mondo in cui ci
fosse posto solo per i forti e i deboli, in primis gli ebrei, venissero emarginati, se non era
possibile eliminarli.
Gubbio, 30 ottobre 2018 don Angelo M. Fanucci, Rettore della Chiesa di S. Maria de’
LA TEOLOGIA DI PAPA FRANCESCO, 19
LA DEBOLEZZA DI DIO PER L’UOMO
(AL: Amoris Laetitia; EG: Evangelii gaudium; EN: Evangelii nuntiandi; ES: Eserciti Spirituali;
GS: Gaudium et spes; LG: Lumen gentium; LS: Laudato si’; MeM: Misericordia et Misera; RS:
Ratio studiorum)
Secondo LUCIO CASULA LA CRISTOLOGIA DI PAPA FRANCESCO (Cap. 1, L’epifania della misericordia, continua) La gerarchia fra le verità della fede a fra gli insegnamenti morali Nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Papa Francesco sostiene che
sul piano della dottrina esiste una “gerarchia” tra le verità de-la fede, in ragione della loro
capacità di esprimere il cuore del Vangelo, che è la bellezza dell’amore salvifico di Dio
manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (EG, n. 36);
sul piano degli insegnamenti morali della Chiesa, si ripropone una “gerarchia delle verità”,
centrata da san Tommaso d’Aquino quando ha affermato che la misericordia è la più
grande di tutte le virtù (cfr. EG, n. 37).
Temi che ritornano nella Lettera apostolica Misericordia et misera, a conclusione del Giubileo
omonimo.
Particolarmente efficace risulta l’icona evangelica dell’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr.
Gv 8,1-11). Prendendo spunto dal commento che ne ha fatto sant’Agostino, il Papa
mostra come «tutto si rivela» e «tutto si risolve» nella misericordia, che si manifesta in
modo concreto nell’incontro con Gesù Cristo: «Una donna e Gesù si sono incontrati.
Lei, adultera e, secondo la Legge, giudicata pas-sibile di lapidazione; Lui, che con la sua
predicazione e il dono totale di sé, che lo porterà alla croce, ha riportato la legge mosaica
al suo genuino intento originario.
Al centro non c’è la legge e la giustizia legale, ma l’amore di Dio, che sa leggere nel cuore
di ogni persona, per comprenderne il desiderio più nascosto, e che deve avere il primato
su tutto. In questo racconto evangelico, tuttavia, non si incontrano il peccato e il giudizio
in astratto, ma una peccatrice e il Salvatore. Gesù ha guardato negli occhi quella donna e
ha letto nel suo cuore: vi ha trovato il desiderio di essere capita, perdonata e liberata. La
miseria del peccato è stata rivestita dalla misericordia dell’amore
II testo citato è il seguente: «La misericordia è in se stessa la più grande delle virtù, infatti
spetta ad essa donare ad altri e, quello che più conta, sollevare le miserie altrui. Ora
questo è compito specialmente di chi è superiore, ecco perché si dice che è proprio di
Dio usare misericordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza»
(Summa Theologiae, II-II, q. 30, art. 4). In nota poi aggiunge anche la citazione di un
altro testo di san Tommaso d’Aquino: Summa Theologiae, II-II, q. 30, art. 4, ad 1).
Al centro
Al centro del mistero della compassione e della misericordia c’è sempre Gesù Cristo: in
Lui si manifesta il primato dell’amore di Dio di fronte all’uomo peccatore e bisognoso di
aiuto.
Nella prima enciclica firmata da papa Francesco, Lumen fidei, la cui prima stesura era stata
opera di Benedetto XVI, leggiamo: Al centro della fede biblica, c’è l’amore di Dio, la sua cura
concreta per ogni persona, il suo disegno di salvezza che abbraccia tutta l’umanità e l’intera creazione e
che raggiunge il vertice nell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo (LF, n. 54).
Mettendo la misericordia al centro della fede e della vita cristiana ed ecclesiale, il Papa
offre l’occasione
per riflettere sul contenuto fondamentale del messaggio biblico e della rivelazione
di Dio in Cristo, per comprendere meglio
o la novità cristiana,
o il valore dell’incarnazione,
o il rapporto dell’uomo con Dio.
L’incarnazione di Cristo, infatti, rispetto alle concezioni filosofiche e alle tradizioni
religiose precedenti, ha attuato un radicale capovolgimento del rapporto tra l’uomo
e Dio e della logica salvifica. Nella prospettiva cristiana la salvezza non si ottiene
attraverso un cammino faticoso di ascesi verso Dio e le realtà divine, compiuto per
iniziativa umana. La novità cristiana è che il Verbo si è fatto carne e si è fatto carico
della condizione umana.
Dunque, non è l’uomo che deve prendere l’iniziativa di andare verso Dio, perché è
Dio che ha preso l’iniziativa e, per la sua compassione e misericordia, con l’incarnazione
del Figlio, è disceso verso l’uomo.
Il motivo originario e i suoi riflessi umani.
Chiaramente il motivo che sta all’origine di tale “capovolgimento” che riguarda Dio e
l’uomo in Cristo, è l’amore, cioè la misericordia.
San Giovanni ha scritto: In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha
amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. [...] Noi amiamo,
perché egli ci ha amati per primo (1Gv 4,10.19).
Nell’Esortazione apostolica EG troviamo, inoltre, che l’amore di Dio manifestato in
Gesù Cristo è la fonte di tutte le gioie umane (cfr. EG, n. 7).
Papa Francesco afferma che il centro e l’essenza dell’annuncio cristiano è «il Dio che ha
manifestato il suo immenso amore in Cristo morto e risorto», il «Vangelo eterno» (Ap
14,6), «lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8), la cui ricchezza e bellezza sono
inesauribili (EG, n. 11). Gesù Cristo, infatti, è capace di rompere gli schemi noiosi nei quali gli
uomini pretendono di imprigionarlo e di sorprendere con la sua creatività divina.
Si tratta di un tema già presente nell’omelia (“Comunicatore, chi è il tuo prossimo?”)
della Messa celebrata dal cardinal Bergoglio nell’ottobre del 2002,in occasione del terzo
Congresso dei Comunicatori. Con riferimento al buon samaritano, il Papa aveva parlato
della bellezza dell’amore: «Nel Gesù morto sulla croce, che non ha un’apparenza né una
“presenza” da offrire agli occhi del mondo o delle telecamere, risplende la bellezza del
meraviglioso amore di un Dio che dà la sua vita per noi. E la bellezza della carità, quella
dei santi». La bellezza dell’amore di Dio vive in Gesù Cristo morto e risorto e nella sua
presenza misericordiosa in mezzo agli uomini.
L’epifania impegna la storia
Dal fondamento cristologico della manifestazione dell’amore di Dio e della sua
misericordia scaturisce per la Chiesa e per tutti i cristiani un impegno preciso.
È l’impegno ad aprire il cuore e a essere compassionevoli nelle situazioni di precarietà e
di sofferenza che affliggono il mondo.
Nella Bolla di indizione del Giubileo, con riferimento alla scena del giudizio finale
basato sull’atteggiamento usato nei confronti degli affamati, degli assetati, dei forestieri,
di chi è nudo o malato o in carcere (cfr. Mt 25,31-46), papa Francesco raccomanda la
pratica delle opere di misericordia corporale e spirituale, perché -egli scrive- In ognuno di
questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come un povero corpo
martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga... per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con
cura.
Poi, commentando il racconto della visita di Gesù alla sinagoga di Nazareth (cfr.
Le 4,16-21), quando si alzò a leggere il passo del profeta Isaia sulla missione: Lo Spiri-to
del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai
poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in
libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di misericordia del Signore (Lc 21,1-2), il Papa spiega
l’impegno cristiano di portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la
liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società moderna, restituire la vista a chi
non riesce più a vedere perché curvo su se stesso, restituire dignità a quanti ne sono stati privati. La
predicazione di Gesù si rende di nuovo visibile nelle risposte di fede che la testimonianza dei cristiani è
chiamata a offrire.
Il commento del Card. Kasper
Il cardinale Kasper (in La sfida della misericordia, 55, 20, 25, 61, 119-120) osserva che, per
papa Francesco,
la misericordia non è soltanto una virtù sociale o ecclesiale,
o ma ha una dimensione cristologica e
o una dimensione mistica
che affonda le j sue radici nella Bibbia e nella tradizione patristica.
Egli scrive: Gesù è venuto per predicare il vangelo, la lieta novella per i poveri (cf. Le 4,18), lui che
era ricco si è abbassato e si è fatto povero e debole fino alla croce (cfr. 2Cor 8,9).
Questa kenosis, cioè questo autoabbassamento, questa autospoliazione e autoumiliazione continua nel
suo corpo mistico che è la chiesa, continua nei poveri. Papa Francesco spesso ripete che nelle piaghe dei
lacerati e dei poveri possiamo toccare Gesù; ciò che abbiamo fatto ai poveri e ai miseri, lo abbiamo fatto a
lui stesso (cfr. Mt 25,40) ».55
Dal Maestro ai discepoli
Dunque, il Papa presenta la misericordia come «dimensione fondamentale della missione
di Gesù», ma sostiene anche «il primato della misericordia» come regola della vita dei
discepoli e di tutta la Chiesa. Scrive: «La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia
gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdo-nati e incoraggiati a vivere
secondo la vita buona del Van-gelo» (EG, n. 114).
Il primo compito della Chiesa è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di
Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per prima ad essere testimone veritiera della
misericordia professandola e vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo.
Perché L’epifania di Dio in Cristo, la rivelazione del suo dono, non si è conclusa con
l’esistenza terrena di Gesù: essa continuerà a trasmettersi “di fede in fede”, nel corso
della storia, grazie a uomini e donne che, avendola accolta nella propria vita, diventano
discepoli e apostoli per gli altri».
Questo pensiero sostiene l’immagine di Cristo come rivelatore di Dio nella sua esistenza
terrena, ma insiste anche sul fatto che la rivelazione continua grazie agli uomini e alle
donne che hanno accolto e accolgono la rivelazione di Cristo.39 Qui si può cogliere la
dimensione cristologica della rivelazione data nella vita e nelle parole di Gesù, ma anche
di quella data nella trasmissione della fede di tutti coloro che, partecipi del mistero di
Cristo, “diventano discepoli e apostoli per gli altri”. Vale per tutti gli uomini e le donne
che diventano discepoli e apostoli ciò che san Paolo scrive di sé: «Si compiacque di
rivelare in me il Figlio suo» (Gal 1,15-16).
Papa Francesco afferma: «Da Cristo stesso, che si ri-vela a noi, riceviamo la missione di
apostoli (Rm 1,5), ed è lo stesso Cristo che parla e agisce per tramite nostro (Rm 15,18),
che non è debole bensì potente, grazie alla predicazione nata dentro di noi, quando
abbiamo accolto la sua manifestazione (2Cor 13,3) ».
Agli, negli, attraverso
Gesù rivela agli uomini, ma rivela anche negli uomini e attraverso gli uomini.
Nell’ascolto dei discepoli di ogni tempo avviene l’ascolto di Gesù stesso.
Si può dire che la rivelazione di Dio avviene sempre secondo la modalità
dell’incarnazione; ovvero, la rivelazio-ne di Dio avvenuta con l’incarnazione del Figlio,
continua ad avvenire nella carne di uomini e donne di ogni tempo. Papa Francesco dice:
«L’epifania di Dio, accolta in noi, si fa carne nella vita del discepolo, in modo da poter
essere trasmessa solo attraverso questa “incarnazione”, e quindi non attraverso parole di
carne e sangue, né grazie alla sapienza umana, ma attraverso lo scandalo, la necessità
della croce: può essere trasmessa solo dal martyrion, cioè il testi-mone».
La rivelazione di Dio continua ad essere trasmessa soltanto attraverso la sua
“incarnazione” nella vita dei di-scepoli e di ogni cristiano che rende testimonianza di Cri-
sto con la propria vita, fino alla croce.
19.a continua
***
ALLA RICERCA DELLA TEOLOGIA
CHE MOTIVA E ARTICOLA LA RADICALITÀ
DELL’IMPEGNO CRISTIANO CONTRO L’EMARGINAZIONE
I – 14 B
di don Angelo M. Fanucci
(EMARGINAZIONE E SOCIETÀ)
14.2 Le urgenze del nostro Stato sociale (seconda parte)
NEL SETTORE DELLA DISABILITÀ
IL RECUPERO DEL BUON SENSO
Le nostre osservazioni più pertinenti e maggiormente legate all’esperienza più che
trentennale che abbiamo maturato vogliono collocarsi su questa falsariga.
Senza dimenticare alcune altre nostre osservazioni, annose, che avrebbero dovute essere
prese in considerazione da tempo:
che l’organo della Regione o dell’ASL che stabilisce l’ammontare della retta sia lo
quello stesso che fissa l’organigramma al quale è tenuto l’ente che percepisce
quella retta;
che ci venga finalmente concessa l’autorizzazione che chiediamo dalla notte dei
tempi: l’autorizzazione a fatturare l’80% della retta nei giorni nei quali i nostri
“ricoverati” si assentano per particolari incombenze o ricorrenze; la Regione
Umbria ha sempre fatto orecchie da mercante; e i nostri Amministratori vivono il
mese di dicembre come gli eroi di
Fort Apache, perché tra tredicesime e i “buchi” dovuti al fatto che giustamente
molti dei nostri “ricoverati” desiderano passare le feste in famiglia, la dèbacle
sembra ogni anno imminente...:
LE MINE VAGANTI DELLE POLITICHE PER L’HANDICAP
Le politiche per l’handicap debbono oggi fare i conti con delle vere e proprie mine
vanganti, che sono tute di taglio culturale. C’è una cultura dei soggetti forti che, nei
confronti dei soggetti deboli e dei disabili in particolare, anche quando non lo dice
giustifica le maggiori aberrazioni:
il custodialismo, la convinzione cioè, espressa o sottintesa, che mentre tutti hanno
diritto a vivere, il disabile se sopravvive è grassa che cola;
la monetizzazione dell’handicap: quando ad un disabile ventenne gli hai assicurato un
reddito, hai fatto tutto quello che c’era da fare;
la medicalizzazione dell’handicap: nella valutazione e nella cura dell’handicap, le
necessità mediche spesso monopolizzano l’intero intervento;
l’aziendalizzazione delle USL; le USL (Unità Sanitaria Locale) sono diventate ASL
(Azienda Sanitaria Locale); era un passo necessario e non rimandabile. Ma l’ASl è
anche un’azienda, non solo, né soprattutto. Se nel suo rapporto con le fasce deboli
l’ASL si comporta come se fosse solo un’azienda, li stritola. Come a volte accade.
LE TRADUZIONI CONCRETE DEL PRIMATO DELLA PERSONA
Tutti d’accordo: nell’impegno sociale il riferimento essenziale è il primato della
persona.
Ma il primato della persona non è materiale da riservare alle elucubrazioni degli studenti
della facoltà di Filosofia, bensì un’istanza che deve avere delle traduzioni concrete.
Le preferenze da accordare
ALLA LUCE DEL PRIMATO DELLA PERSONA va stilata la... classifica delle realtà
del Privato sociale; quelle che in questa direzione presentano un maggiore “valore
aggiunto”, quelle per le quali, nella concretezza del loro impegno, un disabile è prima di
tutto un persona, poi un cittadino a tutti gli effetti, poi un lavoratore (potenziale,
purtroppo, il più delle volte), poi un elettore poi ANCHE un disabile.
Abbattere l’assurda barriera che separa il sanitario dal sociale
ALLA LUCE DEL PRIMATO DELLA PERSONA va abbattuta la barriera che separa il
sanitario dal sociale appare assurda. Non si capisce perché un’appendice infiammata meriti
tutto l’impiego di tutte le risorse che occorrono per operarla, mentre si tenta di
economizzare sul superamento di una povertà di vita totalmente sconquassata sul piano
relazionale.
Rivisitare la vera valenza della riabilitazione
ALLA LUCE DEL PRIMATO DELLA PERSONA la riabilitazione estensiva potrebbe
essere molto più importante di quella intensiva. L’Italia è piena di gente che si è riabilitata
fisicamente e adesso vegeta aspettando la morte. Anche le terapie di mantenimento
possono essere sottostimate solo da chi non si mette nella prospettiva della persona
disabile, ma ne parla come si parlerebbe di un motore in panne. La riabilitazione dell’arto
leso è solo l’inizio.
Ricoverato e operatore
ALLA LUCE DEL PRIMATO DELLA PERSONA va ridotto, a volte addirittura
annullato, lo stacco che esiste fra operatore e ricoverato. Quando, ad esempio, la
struttura di accoglienza ospita soggetti ad alto tasso di disabilità fisica, che acquisiscono
professionalità acclarate in questo o quel campo dello scibile umano, e si laureano con
110 e lode, in Economia (ad esempio), ma più spesso in Scienze dell’Educazione o
materie affini, e magari condividono, nella stessa casa, la vita quotidiana di soggetti
psichicamente problematici, perché non potrebbero lavorare dentro la comunità che li
ospita? Come operatori sociali, educatori, consulenti, ecc. Quanti altri posti di lavoro
concretamente potrebbero aprirsi loro, se sul piano dell’agibilità del proprio corpo hanno
bisogno di assistenza continua? E la struttura che li ospita dovrebbe continuare a
percepire una retta per garantire l’assistenza in ordine a questa agibilità.
L’inserimento lavorativo
ALLA LUCE DEL PRIMATO DELLA PERSONA l’inserimento lavorativo
va sempre personalizzato,
deve prevedere una gamma di interventi molto differenziata.
Questo perché DISABILE È UN CONCETTO DEL TUTTO NEGATIVO. Dice
quello che non è, quel particolare soggetto; non dice quello che è.
E invece…; a suo tempo la vecchia USL Alto Chiascio si attribuì, in proposito, come se
fossero in re, benemerenze che erano quasi tutte in votis. Balle grandiose.
Pretendere di aver “collocato al lavoro” un disabile senza tenere conto delle specificità
del suo handicap è una bestialità.. Il mio amico Filippo ha lavorato 20 anni in un
Ministero romano: ne è uscito distrutto; e oggi ne parla come di “Venti anni d’inferno”.
Anche Dino, a Milano, ha vissuto un’esperienza simile
LA VERA NOVITÁ DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ
Ma la novità dell’assunzione del principio di sussidiarietà per noi ha veramente del
grandioso, perché con esso noi del Privato Sociale in qualche modo entriamo a far parte dello
Stato.
E questo da parte dei competenti organi dello Stato comporta un atteggiamento nuovo nei
nostri confronti. “Comporta”? Meglio: dovrebbe comportare. Perché l’handicap con
estrema facilità tracima in emarginazione socio/culturale; e l’emarginazione sociale non è
la patologia di una singola parte della società, ma uno dei sintomi più eclatanti di
un’intera società malata.
La valenza concreta delle istanze ideali
Esistono delle realtà di accoglienza del disabile che portano avanti nella vita di ogni
giorno istanze ideali di prima grandezza. Nel nostro caso queste istanze hanno un
duplice nome: autogestione e condivisione della vita. La presenza di queste istanze, che
funzionano secondo la logica dell’utopia e hanno quindi dei percorsi particolari, ma
fecondissimi, merita di essere attentamente valutata da parte dello Stato, sul piano del
benessere della persona che esse possono produrre.
Rapporti collaborativi, non puramente ispettivi
Le ASL non possono più limitarsi ad “ispezionarci”, prescrivendo e imponendo, ma, pur
conservando con tutta la necessaria autorevolezza il compito di programmare con
oculatezza e di verificare con puntualità, devono anche farsi carico delle nostre realtà.
Un ruolo attivo nell’UMV (Unità Multidisciplinare Valutativa)
Ridurci ad uditori quando si tratta di valutare lo stato del disabile che ci chiede
accoglienza, o lo stato del disabile del quale ci facciamo carico magari anche da molto
tempo, è inaccettabile.
Noi disponiamo di competenze professionali pari e a volte superiori a quelle delle quali
dispongono gli operatori o i funzionari dell’ASL, mentre sul piano dei rapporti umani
interpersonali abbiamo evidentemente da dire cose che solo il diuturno rapporto con gli
accolti permette di dire.
Nell’UMV la realtà da valutare deve poter disporre di una nostra presenza, corposa e
decisionale, anche se minoritaria, ma con possibilità di appello all’istanza di livello
superiore.
Escluderci dalla strutturazione di questo momento decisivo del cammino di riabilitazione
della persona svantaggiata non solo è offensivo nei confronti della nostra lunga e
ponderata esperienza, , ma è in flagrante contraddizione con il conclamato Principio di
Sussidiarietà
La certificazione della qualità
La certificazione della qualità dei servizi erogati va fatta con serietà e continuità, non però
con metodi “estrinseci” (come quando entrano in gioco solo l’agibilità dei locali e
l’organigramma), ma adottando, debitamente corretti, i metodi seri in uso per le aziende
serie, però con tutta quella serie di accorgimenti che il CNCA (Coordinamento
Nazionale delle Comunità di Accoglienza) ha messo a punto e ha pubblicato per i tipi
dell’EGA nell’aureo libretto intitolato La qualità prende servizio.
LA PRUDENZA NELL’APPLICAZIONE DEI PRINCIPI
Dal tempo di Aristotele la prudenza fa parte del corredo elementare della moralità
umana, come una delle 4 virtù/cardine; la prudenza è l’attitudine a proporzionare i al
fine che si intende perseguire i mezzi che vengono adottati per conseguirlo.
La nuova mappa delle tipologie di sostegno ai disabili prevede spesso la
compartecipazione alla spesa sia da parte dei Comuni che da parte della famiglia.
Teoricamente impeccabile, o quasi. Ma anche da pensare con molta attenzione. Perché
la quota spettante al Comune va richiesta
o solo dopo che ai Comuni saranno state assicurate le relative risorse
o solo dopo che i Comuni saranno stati obbligati a spendere quelle risorse in
quella direzione;
la quota richiesta alle famiglie dei soggetti accolti va attentamente pensata:
o se hanno l’assegno d’accompagnamento, e se non l’usano per accompagnare il
loro congiunto al lavoro o allo studio (questo era inizialmente l’intento del
legislatore), quella dovrà essere la giusta quota a carico delle famiglie;
o se non hanno l’assegno d’accompagnamento, ogni benché minima richiesta
di denaro alla famiglia potrebbe equivalere alla cancellazione di quanto le
realtà come la nostra hanno faticosamente costruito con loro in anni di
“prossimità”; i loro genitori accumulano “per il loro futuro” (?!), ma per il
loro oggi non scuciono un €
E qui si apre un capitolo potenzialmente molto doloroso. Quando un disabile ricoverato
“esce dalla retta” i responsabili dell’ASL si fregano le mani. Ma a volte può capitare
qualcosa di molto increscioso; il papà di D.C., un pensionato semplice e cordialissimo,
veniva quasi settimanalmente in comunità e gioiva dei grandi progressi che D. stava
realizzando; ma alla sua morte la cognata, che nel frattempo aveva perso il suo lavoro
extra moenia, ha pensato bene di trovarsi un lavoretto a domicilio e contestualmente di
“dedicarsi a D.”. Oggi D. è chiusa da anni in casa, come Tutankamen nella sua tomba. Il
risparmio c’è stato e c’è, ma…è tutto qui?
14.2 fine