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LA LINGUISTICA IN CAMPO - IRIS Università degli Studi di ... · La prima è che, banalmente, una...

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LA LINGUISTICA IN CAMPO Testi di Luisa Amenta, Chiara Amoruso, Mar- cello Amoruso e Adele Pellitteri, Laura Bonu- ra, Adriana Arcuri, Egle Mocciaro e Maria Rosa Turrisi, Michele Burgio, Marina Casti- glione, Alessandra Colonna Romano, Elena D’Avenia, Vito Matranga, Nicolò Paesano, Giuseppe Paternostro, Vincenzo Pinello, Giu- liano Rizzo, Giovanni Ruffino, Francesco Sca- glione, Roberto Sottile. € 20,00 ISBN 978-88-6274-662-5 LA LINGUISTICA IN CAMPO SCRITTI PER MARI D’AGOSTINO A cura di Gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia Edizioni dell’Orso Il volume ricapitola e mette in comune le esperienze di ricerca svolte da quanti hanno voluto e potuto lasciare un piccolo segno del loro affetto per Mari D’Agostino. Gli interventi cercano di rendere conto degli interessi di ricerca attorno ai quali Mari D’Agostino ha costruito nel corso degli anni il suo profilo di studiosa attenta e curio- sa: la teoria della variazione; la ricerca sul campo, con particolare riferimento all’esperienza dell’ Atlante Linguistico della Sicilia; il rapporto con la scuola e l’insegnamento dell’italiano come L2. C M Y CM MY CY CMY K cover d'agostino 1.pdf 1 15/03/16 15:19
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Testi di Luisa Amenta, Chiara Amoruso, Mar-cello Amoruso e Adele Pellitteri, Laura Bonu-ra, Adriana Arcuri, Egle Mocciaro e Maria Rosa Turrisi, Michele Burgio, Marina Casti-glione, Alessandra Colonna Romano, Elena D’Avenia, Vito Matranga, Nicolò Paesano, Giuseppe Paternostro, Vincenzo Pinello, Giu-liano Rizzo, Giovanni Ruffino, Francesco Sca-glione, Roberto Sottile.

€ 20,00

ISBN 978-88-6274-662-5

LA LINGUISTICA IN CAMPO SCRITTI PER MARI D’AGOSTINO

A cura diGruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia

Edizioni dell’Orso

Il volume ricapitola e mette in comune le esperienze di ricerca svolte da quanti hanno voluto e potuto lasciare un piccolo segno del loro affetto per Mari D’Agostino. Gli interventi cercano di rendere conto degli interessi di ricerca attorno ai quali Mari D’Agostino ha costruito nel corso degli anni il suo profilo di studiosa attenta e curio-sa: la teoria della variazione; la ricerca sul campo, con particolare riferimento all’esperienza dell’Atlante Linguistico della Sicilia; il rapporto con la scuola e l’insegnamento dell’italiano come L2.

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Edizioni dell’OrsoAlessandria

La linguistica in campoScritti per Mari D’Agostino

A cura del Gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia

© 2016Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.via Rattazzi, 47 15121 Alessandriatel. 0131.252349 fax 0131.257567e-mail: [email protected]://www.ediorso.it

Redazione informatica e impaginazione a cura di ARUN MALTESE ([email protected])

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata,compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente persegui-bile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41

ISBN 978-88-6274-662-5

Introduzione p. VII

Luisa AmentaQuando la grammatica incontra il parlante 1

Chiara AmorusoL’intervista fra ricercatore nativo e informatore straniero 15

Marcello Amoruso – Adele PellitteriAnalfabeti all’Università: storia di un viaggio, storia di un progetto 27

Laura BonuraIl gioco con l’altalena nell’ALS: schede e appunti 41

Adriana Arcuri – Egle Mocciaro – Maria Rosa TurrisiUna marcia in più. Ricerca, didattica e documentazione per la formazione degli insegnanti di italiano L2 51

Michele BurgioSe il poeta è un (buon) informatore. Contributo per un repertorio della parlata serradifalchese 59

Marina CastiglioneAllotropia e usi morfosintattici: bbellu e bbeddu in Sicilia 73

Alessandra Colonna RomanoDalla ricerca del dato alla ricostruzione di storie. Lo scavo biografico nell’inchiesta sociovariazionale ALS 91

Elena D’AveniaLe indagini sul campo per il modulo marinaro dell’ALS 105

INDICE

Vito MatrangaVocali medie toniche e variabili sociali in alcune varietà della Sicilia occidentale. Primi dati 113

Nicolò PaesanoSintatticamente nell’ALS: ca e chi nel siciliano contemporaneo 123

Giuseppe PaternostroSociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore. Storie di trattini, parentesi e univerbazioni 137

Vincenzo PinelloL’apprendistato dell’artigiano e la lezione dell’ALS. Come le lingue e gli spazi ci raccontano il mondo 157

Giuliano RizzoUn etnotesto ludico: la fionda 171

Giovanni RuffinoStranizzare/stranizzarsi: note storico-grammaticali e condizioni d’uso 175

Francesco ScaglioneDialetto ed “emozioni”: alcuni aspetti descrittivi 183

Roberto SottileA caccia di “autoctonismi” nella scrittura di Andrea Camilleri. La letteratura come accianza di sopravvivenza per le parole altrimenti dimenticate 195

VI Indice

‘Chi la fa l’aspetti’, recita un vecchio adagio popolare (con il che esauriamosubito il bonus di luoghi comuni a disposizione). È passato un lustro da quando,in uno stanzino dell’allora Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo illuminatocome una gabbia per la produzione di uova, guidati da Mari D’Agostino eravamoimpegnati in una corsa contro il tempo per garantire l’uscita nella data prevista(quella del compleanno del dedicatario) di Per i linguisti del nuovo millennio(Sellerio), raccolta di scritti che tutti noi (amici, colleghi e allievi) dedicammo aGiovanni Ruffino in occasione dei suoi settanta anni. Come nelle miglioricongiure, D’Agostino era riuscita a non far giungere nulla alle orecchie e agliocchi del festeggiato, nonostante l’alto numero di cospiratori, sfidando in ciò tantapubblicistica corrente sulla teoria del complotto.

Il volume venne presentato in pompa magna (come Magna era l’aula che ospitòl’evento) nel corso di un seminario, organizzato, volle il caso, da un ignaroRuffino, in cui studiosi da sempre impegnati nella ricerca sul campo dialogaronocon gli studenti interessati (nonostante tutto) a dedicare parte della loroformazione alle scienze linguistiche. Preso gusto alla cospirazione, Mari D’Ago -stino avrebbe avuto un’altra importante occasione di congiura promuovendo ilconferimento a Ruffino del titolo di ‘Benemerito dell’Ateneo di Palermo’. Chic’è stato, ha ancora negli occhi le immagini del pomeriggio del 3 dicembre 2015,giorno della cerimonia ufficiale di consegna della benemerenza. La cospiratricemise assieme, per quell’occasione, oltre mille persone, radunate nel Teatro Biondodi Palermo per un’iniziativa che pose fianco a fianco le più alte autoritàaccademiche e le centinaia di ragazzi e ragazze che, grazie all’impegno profusodalla Scuola di Lingua italiana per Stranieri (ItaStra), di cui Mari D’Agostino èstata fondatrice con Ruffino ed è oggi instancabile direttrice e animatrice, appenascesi dai barconi con i quali sono giunti nell’avamposto dell’Europa, hanno aPalermo la possibilità di imparare l’italiano insieme a studenti tedeschi, francesi,spagnoli, turchi, inglesi, olandesi, cinesi, russi, brasiliani, americani che si trovanonel nostro ateneo grazie ai progetti internazionali di mobilità universitaria. Unprogetto di inclusione linguistica e sociale a cui Mari D’Agostino si è, negli ultimianni, dedicata anima e corpo con tutte le energie e la generosità di cui è capace,e che pone le discipline linguistiche di fronte a una sfida epocale, quella didivenire davvero sociolinguistica, cioè una linguistica ‘in campo’ (come recita il

Introduzione

titolo che abbiamo voluto dare alla presente raccolta) al servizio della società e delsuo progresso.

Non sapeva, la Nostra, che Nemesi stava per entrare in azione, restituendo(non certo con gli interessi, ché l’omaggio che qui stiamo presentando è davveropoca cosa rispetto sia a quanto da Lei fatto per altri sia a quanto Ella meriterebbe)pan per focaccia, ben sapendo noi quali differenze intercorrano fra le due ‘cose’prima ancora che fra le due ‘parole’.

Non possiamo qui nemmeno tentare, nel presentare il nostro omaggio a MariD’Agostino (la quale avrà appena compiuto i suoi primi sessanta anni quando loriceverà), di ripetere l’esperienza di scrittura collettiva del ‘saggio’ (si fa per dire)nel quale il Gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia argomentava(anche allora a seguito di una felice intuizione dagostiniana) circa lo status di‘non maestro’ del ‘fondatore’ di quel gruppo. Non lo facciamo essenzialmenteper due ragioni. La prima è che, banalmente, una riproposizione dello stessoschema sarebbe rientrata nella casistica della cosiddetta ‘minestra riquariata’,che solo in Toscana dà luogo a una prelibatezza, mentre altrove è solo insipidarimasticatura. La seconda, assai più seria, è che, a differenza dell’Archetipo, ilvolume di cui facciamo dono a Mari D’Agostino nasce tutto all’interno della‘famiglia scientifica’, che, ci piace pensare, corrisponde anche a quella ‘umanaallargata’, che oggi decide di abbracciare Mari D’Agostino facendole sentire il suoaffetto e il suo ringraziamento per tutto quel che ha dato e che saprà e vorrà ancoradare. Una famiglia che è nata e si è negli anni rafforzata grazie alla straordinariaesperienza dell’ALS, di cui ella dirige la sezione sociovariazionale, ma che si èpoi ampliata, accogliendo le storie e le persone di quanti hanno partecipato epartecipano alla straordinaria avventura di ItaStra.

Al volume che qui licenziamo ha contribuito buona parte di coloro che, inquesti anni, hanno avuto occasione di condividere con la nostra Festeggiataun’idea di lavoro in cui ella crede fermamente, quella di ‘gruppo’ appunto. Dalei, non solo i suoi allievi ‘diretti’ (molti dei quali hanno fatto di tutto per rispettarei tempi strettissimi di consegna imposti) ma anche i suoi colleghi/amici hannoimparato che la ricerca non può essere davvero individuale, giacché essapresuppone un confronto continuo con gli altri, uno scambio di idee che può, anzideve, tradursi in una salutare messa in discussione del proprio lavoro. Solo così– almeno questa è la nostra esperienza, questo è l’insegnamento che MariD’Agostino ha dato a tutti noi in questi anni – è possibile creare un gruppo chenon sia solo raggruppamento legato alle ragioni strumentali dei settori scientifico-disciplinari.

Il volume è un modestissimo tentativo di ricapitolare e mettere in comune leesperienze di ricerca svolte da ciascuno di coloro i quali hanno voluto e potutolasciare un piccolo segno del loro affetto per Mari o per la Professoressa, aseconda del diverso tipo di rapporto che lega ciascuno di noi a lei. Gli interventi,presentati in rigoroso ordine alfabetico, cercano di rendere conto degli interessi

VIII Introduzione

Introduzione IX

di ricerca attorno ai quali la nostra festeggiata ha costruito nel corso degli anni ilsuo profilo di studiosa attenta e curiosa: la teoria della variazione; la ricerca sulcampo, con particolare riferimento all’esperienza dell’ALS; il rapporto con lascuola e l’insegnamento dell’italiano come L2.

Un sentito ringraziamento va, in chiusura, agli amici Lorenzo Massobrio eTullio Telmon, per aver accolto con entusiasmo la richiesta di ospitare il nostrovolume a ‘casa loro’. Un modo, crediamo, di segnalare la speciale vicinanza frascuola palermitana e scuola torinese, che Mari D’Agostino ha contribuito amantenere e rafforzare con il suo instancabile lavoro.

Palermo, 9 aprile 2016

La vita ci fa incontrare persone le cui storie incrociamo per poco tempo o anche pertutta la vita. In questi anni tantissime sono state le persone che hanno avuto l’opportunitàdi conoscere Mari D’Agostino, di lavorare al suo fianco e di crescere grazie al suoinsegnamento più importante, che è quello di imparare a farsi le domande giuste. Alcunedi queste persone (dottori di ricerca, borsisti, studenti, e tutti coloro che hanno lavorato,a vario titolo, al progetto ALS; insegnanti, collaboratori, tirocinanti e alunni di ItaStra)continuano ancora adesso a far parte della sua e della nostra vita, altre hanno preso altrestrade, ma non mancano mai, quando ne capita l’occasione, di ricordare e di ringraziareMari D’Agostino, ciascuno con un proprio personale episodio. Non basterebbe metà diquesto volume per nominarle tutte, bastino queste righe per far giungere alla Nostra illoro abbraccio.

1. Introduzione

Quello della delimitazione dei campi d’indagine della linguistica è un temapresente sottotraccia fin da quando essa (qualunque cosa sia e di qualunque cosasi occupi) si è costituita come disciplina scientifica in senso proprio (dunque,grosso modo, dai primi del XIX secolo). Lungi dal voler trattare una materia cosìcomplessa in questa sede, mi limito a osservare che quello dell’oggetto di studioè tutt’altro che un aspetto scontato, non soltanto per chi si accosta a una qualunquedisciplina per la prima volta, ma anche per chi la intenda praticare da specialista.Anche in quest’ultimo caso, infatti, è raro che si dia luogo a riflessioni esplicite.Il più delle volte si resta, piuttosto, sul piano della collocazione all’interno di unateoria, di un approccio, persino di un paradigma ai quali si aderisce implici -tamente. Tale adesione implicita si traduce troppo spesso in una certa confusionecirca la portata delle differenze, anche notevoli, che dividono le varie anime diquesta o quella disciplina.

Particolarmente confusa mi sembra la situazione riguardante la sociolin gui stica,soprattutto per quel che attiene al posto che essa occupa o do vrebbe/vorrebbe oc-cupare nella galassia delle discipline linguistiche. Di questo tema ho avuto spessol’occasione di discutere con Mari D’Agostino. Stimolanti scambi di opinioni, chehanno assunto già in un’occasione anche la forma di ragionamento ‘scientifico’(D’Agostino / Paternostro 2009).

In queste pagine proverò ad allargare quel ragionamento agli aspetti cheriguardano i confini e quindi anche la definizione della sociolinguistica. Inparticolare proverò a toccare i punti nodali che, sin già dalla sua nascita ‘ufficiale’(vedi oltre), distinguono le diverse anime della sociolinguistica. Non pretendocerto di esaurire in poche pagine questioni che hanno a che fare con la storia delladisciplina, anche perché, come si vedrà, occorrerebbe prima stabilire se quellache siamo soliti chiamare sociolinguistica sia una disciplina univocamentedefinibile e identificabile. Piuttosto, intendo aggiungere un mattoncino ‘pubblico’a un tema al centro di molte delle tante discussioni avute con la nostra festeggiatain quasi quindici anni di collaborazione, confronti che hanno contribuito in mododeterminante alla mia formazione e alla mia crescita scientifica e umana.

Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore. Storie di trattini, parentesi e univerbazioni

Giuseppe Paternostro

2. Una disciplina periferica?

Sembrerà forse banale specificare che una disciplina si caratterizzaprimariamente per il suo campo di intervento. Tuttavia, a guardare, anche solo avolo d’uccello, la storia del dibattito attorno allo statuto epistemologico dellasociolinguistica, sembra che proprio da qui occorra partire. A prima vista, lo stessotermine dovrebbe aiutare a fugare qualunque dubbio. ‘Sociolinguistica’ è, infatti,un composto determinativo il cui primo elemento sta a indicare come la disciplinasi occupi di studiare i rapporti fra lingua e società. Sarebbe una definizionepacifica se non fosse che, a voler essere provocatoriamente semplificatori, lescienze del linguaggio sin dalla fine dell’Ottocento, con il superamento delmodello neogrammaticale, hanno sottolineato, pur con accenti diversi (si pensisolo a Saussurre e Meillet), che, da un lato, il funzionamento sincronico di unalingua è strettamente legato alle forme di organizzazione sociale vigenti, e che,dall’altro, i cambiamenti linguistici vanno di pari passo con quelli sociali. PersinoChomsky non nega affatto la funzione sociale del linguaggio, ma non ritiene cheil suo studio faccia parte del campo di interesse della linguistica (ma su questo siveda oltre).

Di parere del tutto opposto è Louis-Jean Calvet, il quale, estremizzando (anchein modo provocatorio, com’è nel suo costume) una nota affermazione di Labovper il quale la sociolinguistica è la linguistica1, decide di mettere fra parentesi ilprimo elemento, «les parenthèses ayant pour fonction de suggérer que cette partiedu mot devait un jour tomber, comme un fruit mûr, lorsque la linguistique seraitdevenue, enfin, sociale» (Calvet 2003a: 11). Il problema è che, secondo Calvet,affermare che «la sociolinguistica è la linguistica» significa implicitamenteaccettare il paradigma nel quale attualmente si muove tutta quanta la linguisticacontemporanea, che rifiuta di fatto, e nonostante le enunciazioni di principio chetali tuttavia restano, l’idea che la lingua sia essenzialmente un costrutto sociale.Gli stessi sociolinguisti, infatti, avrebbero fino ad ora dato legittimità a unarappresentazione della relazione fra linguistica e sociolinguistica nei termini delladialettica metaforica centro-periferia, laddove la nostra disciplina si collocherebbe

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1 Secondo Labov, il tipo di ricerca linguistica che intende giungere a elaborare una teoria delcambiamento linguistico che tenga conto degli usi linguistici in auge in una comunità e della loroevoluzione nel tempo «has sometimes been labeled as ‘sociolinguistics’, although it is a somewhatmisleading use of oddly redundant. […] We will be concerned with the forms of linguistic rules,their combination into systems, the coexistence of several systems and the evolution of these rulesand systems with time. If there were no need to contrast this work with the study of language outof its social context, I would prefer to say that this was simply linguistics [corsivo nell’originale][…] It seems natural enough that the basic data for any form of general linguistics would belanguage as it used by native speakers communicating with each other in everyday life» (Labov1972a: 183-184).

Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 139

(ça va sans dire) nella periferia. Dalla parentesi di cui Calvet auspica una prontacaducazione, si passa, dunque, al più realistico trattino unificatore (‘socio-linguistica’), usato da Gadet (2004) per segnalare simbolicamente la marginalitàdella disciplina. L’Autrice osserva che la sociolinguistica vive, almeno in Francia,una condizione paradossale di marginalizzazione nel mondo accademico, che simanifesta in più di un aspetto: numero relativamente limitato di insegnamentiuniversitari (soprattutto nei corsi di laurea in sociologia) che recano nelladenominazione la parola ‘sociolinguistica’; scarsità di prodotti editoriali acarattere didattico quali manuali o compendi introduttivi alla disciplina; numeroesiguo di riviste specializzate vocate esplicitamente a istituire e rafforzare i legamifra discipline linguistiche e sociologiche. La stessa rivista Langage & Société,sede di buona parte dei contributi al dibattito francese sullo stato di salute dellasociolinguistica, gode di maggior prestigio all’estero che non in Francia, dove(almeno fino a qualche tempo fa) non rientrava nel novero delle riviste che da noichiameremmo “di fascia A”.

2.1 Di storie e scuole (socio)linguistiche

Il dibattito francese sulla marginalità della sociolinguistica appare davveroparadossale se si pensa all’estremo interesse che le riflessioni e gli spunti venutifuori da quel dibattito suscitano in un lettore italiano minimamente avvertito sullastoria dei rapporti fra le discipline linguistiche.

A quello stesso lettore non sarà, inoltre, di certo sfuggito che in Italia è mancatoun dibattito paragonabile, nell’intensità di toni e contenuti, a quello che si è avutoin Francia. Curiosamente, tale assenza coincide con una ben maggiore ricchezzadi studi, in termini sia di quantità di pubblicazioni sia di varietà e ampiezza ditematiche affrontate (cfr. D’Agostino / Paternostro / Pinello [2013] per unarassegna relativa all’ultimo decennio).

Lungi dal voler grossolanamente affermare che la sociolinguistica stia meglioin Italia che in Francia (vedremo nelle conclusioni che la crisi delle disciplinelinguistiche appare generalizzata), occorre, in ogni caso, provare a capire leragioni di quella che si presenta quantomeno come una percezione diversa dellostato di salute della disciplina e della sua collocazione in seno alle scienzelinguistiche.

Questo non perché ci interessi realmente il caso in sé, ma perché il confrontofra situazione italiana e francese può aiutare a cogliere il senso più profondo delparadosso della sociolinguistica, che è quello di essere, come proverò a mostrareanche nei paragrafi successivi, legata intimamente alle condizioni storico-socialidella realtà nella quale opera, quasi che anch’essa fosse soggetta a processi divariazione in sincronia e di mutamento in diacronia. In questa prospettiva,sembrano più chiare le ragioni delle difficoltà in cui la sociolinguistica si dibatteva(e di cui dibatteva) ancora fino a pochissimi anni or sono in Francia. In entrambe

le aree la sociolinguistica si innesta su una solidissima tradizione dialettologica egeolinguistica basata sulle inchieste sul campo, con una chiara primazia dellascuola francese, che già fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo aveva prodottoi primi pionieristici lavori che avevano al centro l’intuizione che il cambiamentolinguistico sia collegato all’azione di fattori sociodemografici (si pensi solamentealle ricerche di Rousselot e di Gauchat).

Sempre in Francia, nello stesso torno di anni, la linguistica storica diderivazione (anche solo per ragioni di filiazione accademica) saussurianaelaborava le fondamentali riflessioni di Meillet e dei suoi allievi sul legame frasistema linguistico e organizzazione sociale, che erano a loro volta fortementedebitrici nei confronti del pensiero sociologico durkheimiano.

Ora, paradossalmente, a fronte di queste intuizioni convergenti, la tradizionecomparatistica francese si è scissa in due tronconi che pochissimo hannodialogato, finendo per indebolirsi vicendevolmente. Specchio di questaindifferenza reciproca è il sostanziale disinteresse che uno dei più brillanti allievidi Meillet, Marcel Cohen (le cui ricerche sul plurilinguismo urbano di una cittàcome Algeri sono ricche di intuizioni che anticipano i temi centrali dell’analisisociolinguistica, in particolare quelle sul contatto linguistico), mostrava per “unegéographie linguistique attachée aux usages souvent les plus anciens” (Boutet2009: 33)2.

In Italia la sensibilità variazionale giunge con qualche anno di ritardo rispettoalla Francia, grazie alla formidabile stagione dell’AIS, la cui esperienza contribuìal rinnovamento teorico e metodologico della scuola comparatistica italiana e allaformazione di una generazione di studiosi che diventeranno i padri dellageolinguistica e, per il tramite di questa, della sociolinguistica italiana. La figurapiù rilevante di questa nouvelle vague è senza dubbio quella di BenvenutoTerracini, le cui intuizioni si trovano oggi riproposte (assai spesso, per la verità,inconsapevolmente e proprio per questo sono tanto più attuali) nelle tantediscussioni sui concetti di ‘identità’, ‘appartenenza’e ‘comunità linguistica’.

In ragione di questa più chiaramente riconoscibile filiazione, in Italia, come giàosservava quaranta anni or sono Gaetano Berruto (cfr. Berruto [1977]), si è avutauna naturale evoluzione in chiave sociolinguistica della ricerca dialettologica egeolinguistica, evoluzione che non ha, tuttavia, impedito a queste discipline di

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2 Nel citato lavoro, Boutet osserva che l’importanza degli studi di Cohen non risiede soltantonell’aver proseguito nella strada indicata dal suo maestro Meillet nel celebre saggio sul mutamentosemantico (cfr. Meillet 1904), strada che pure lo condurrà, in età avanzata, a pubblicare la primamonografia in cui compare l’espressione ‘sociologia del linguaggio’ (Cohen 1956). Di Cohen èricordat soprattutto il decisivo contributo offerto al rinnovamento metodologico degli studi etno-antropologici francesi, ben poco avvezzi fino agli anni ’20, stando almeno a Haudricourt (1985),al lavoro sul campo.

Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 141

operare anche in maniera autonoma le une dalle altre. Non è forse un caso chedall’Italia, diversamente che dalla Francia, siano venuti, ancorché timidi e nonpiù ripetuti, tentativi e proposte di avvicinare le “due” linguistiche (si pensi, adesempio, a Mioni 1975).

Apparati teorici, metodologie di ricerca e di costruzione del dato, e strumentidi analisi autonomi hanno garantito, in Italia, a dialettologia, geografia linguisticae sociolinguistica di evitare la subalternità nei confronti della cosiddetta linguisticainterna, di cui invece pare soffrire la disciplina in Francia: una linguistica di serieB, insomma, che lascia gli aspetti individuali alle spiegazioni cognitiviste einnatiste di marca chomskiana e che si consegna senza correttivi al ruolo di ancelladella sociologia.

Orfana della grande tradizione dialettologica e sociolinguistica, la socio -linguistica francese non ha, secondo Calvet, avuto il coraggio di dotarsi di unapparato teorico e metodologico capace di affrontare da un punto di vista ‘sociale’questioni solitamente demandate a un’analisi puramente descrittiva che fannodella lingua un artefatto fuori dal tempo e dallo spazio, privo di qualunqueaggancio con la realtà.

In Italia, la continuità storica fra dialettologia/geografia e sociolinguistica ha,al contrario, garantito anche una contiguità di interessi e campi di indaginerivelatasi assai salutare per entrambe le discipline. Tale contiguità si è espressa,per restare solo agli ultimi trenta anni, in una feconda integrazione di strumentidi analisi, che ha prodotto riflessioni teoriche e esperienze di ricerca che hannocontribuito all’avanzamento delle conoscenze sia sul piano della teoria dellavariazione sia su quello dinamiche repertoriali dell’Italia linguistica contem -poranea. Anche a rischio di incorrere in dimenticanze di cui qui preventivamentefaccio ammenda, vorrei ricordare almeno (in rigoroso ordine sparso): ladefinizione di nozioni quali ‘habitat sociolinguistico’ (Sornicola 2006) e ‘spaziovissuto’ (D’Agostino 2006); la messa a punto di modelli repertoriali (basti pensarealla nozione berrutiana di ‘dilalia’); lavori che si muovono nell’ambito delladialettologia percezionale (Cini / Regis 2002), o della ricerca di modelli in vistadella costruzione di una “dialettologia sociologica” (Sornicola 2002);l’elaborazione e la realizzazione di progetti atlantistici capaci di coniugarevariazione spaziale e variazione sociale, aspetti sociolinguistici ed etnografici, dicui l’Atlante Linguistico della Sicilia rappresenta una delle espressioni piùcompiute; infine i diversi luoghi e momenti di confronto fra studiosi di diversaformazione e provenienza3.

3 Mi limito a citare, rimandando per il resto alle rassegne di Telmon (2013) e D’Ago -stino/Paternostro/Pinello (2013), solo la straordinaria palestra rappresentata, per almeno duegenerazioni di studiosi, dalla Rivista Italiana di Dialettologia (RID), il cui sottotitolo (Lingue,Dialetti, Società) riassume perfettamente il senso degli studi italiani sulla variazione. Un esemplare

Nel paragrafo successivo getteremo uno sguardo sulla fitta rete di relazioni fratradizioni di studio, scuole nazionali europee ed extraeuropee, filiazioniaccademiche vere o presunte, che sembra caratterizzare la storia di quella cheabbiamo imparato a conoscere come ‘sociolinguistica’. Vedremo come sia assaiarduo individuare il filo principale di una matassa che appare tanto ingarbugliataquanto affascinante.

3. E pluribus unum

Il lettore italiano che si accosti per la prima volta a quella disciplina che gliviene presentata (in opere di carattere generale quali manuali voci di enciclopedia)sotto l’etichetta di ‘sociolinguistica’ è di solito immediatamente avvertito del fattodi essere di fronte a un ambito di studi fortemente sfaccettato, caratterizzato da unagrande varietà di approcci, alcuni dei quali sono presentati come più centrali opiù vicini di altri a un presunto nucleo originario, e come tali ricevono uno spazioassai rilevante nella trattazione. Questa narrazione (come usa dire oggi)presuppone che sin dal suo nascere (grosso modo dalla fine degli anni ’60 del’900, dapprima negli USA e poi in Europa) si sia avuta una differenziazione fraposizioni, per così dire, ‘ortodosse’ ed ‘eterodosse’. In realtà, una rilettura (sempresalutare sul piano formativo) dei lavori del decennio pionieristico che va dal 1963al 1974 (cioè dalla pubblicazione della ricerca laboviana a Martha’s Vineyard alpunto fatto da Dell Hymes nel 1974 significativamente intitolato Foundations inSociolinguistics) fornisce un quadro in cui, pure nella vivacità della dialettica fraquelle che comunque emergevano come sensibilità diverse, comune era la ricercadi luoghi e momenti di confronto. A questo proposito, Emanuel Schegloff, nelrichiamare quel clima in occasione del trentennale della prima pubblicazione delcelebre saggio di Labov e Walezky sull’analisi delle narrazioni orali (cfr. Labov/ Waletzky 1967), ha osservato che «the mid-60s was a time when a range ofrelated ways of addressing a related range of subject matters at the intersection oflanguage, interaction, discourse, practical action and inference, and the like wasbeing explored» (Schegloff 1997: 98). Schegloff si riferiva probabilmente alseminario tenutosi nel 1964 alla UCLA, i cui atti sono raccolti in Bright (1966),e che è considerato il momento simbolico di fondazione della sociolinguistica4.Al convegno parteciparono studiosi di diversa ascendenza e che però erano tutti

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momento di confronto e riflessione è rappresentato dal seminario Dove va la dialettologia, svoltosiun decennio fa in Val D’Aosta, da cui uscì fuori una visione assai chiara del fondamentale ruoloche ancora oggi la dialettologia ha nel promuovere il necessario rinnovamento di strumenti, metodie prospettive dell’ indagine linguistica alla luce delle mutate condizioni sociali e culturali.

4 La parola era già apparsa nei decenni precedenti in più di un lavoro, sia sotto forma di

Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 143

variamente interessati a studiare i legami fra lingua, cultura e società, oltre adessere impegnati a fare una linguistica di campo, una linguistica cioè in cui ladescrizione delle strutture non fosse basata sulle intuizioni del linguista ma sudati raccolti da parlanti concreti in situazioni sociali e culturali concrete. Fra di essispiccavano Charles Ferguson, Harold Garfinkel, John Gumperz, Einar Haugen,Dell Hymes e William Labov, accademicamente più giovane degli altri, che avevada poco concluso la sua tesi di dottorato sotto la direzione di Uriel Weinreich.Come si può vedere, erano rappresentate quelle che sarebbero diventate lediscipline ‘sorelle’ (come le ha definite Bright) delle sociolinguistica: etnografiadella comunicazione, antro pologia del linguaggio, etnometodologia, creolistica elinguistica del contatto.

Nell’introdurre il volume che riunisce gli Atti di quel seminario, Brightsottolinea la difficoltà di definire con precisione il campo di azione dellasociolinguistica. Dire che essa affronta i rapporti fra lingua e società è affermarequalcosa di eccessivamente vago.

«If we attempt to be more exact, we may note that sociolinguistics differs fromsome earlier interests in language-society relationships in that, following modernviews in linguistics proper it considers language as well as society to be a structure,rather than merely a collection of items. The sociolinguist’s task is then to showthe systematic covariance of linguistic structure and social structure – and perhapseven to show a casual relationship in one direction or the other […] linguisticDIVERSITY is precisely the subject matter of sociolinguistics» (Bright 1966: 11,maiuscoletto nell’originale).

Tuttavia, forse proprio la vaghezza, o meglio l’ampiezza, dell’orizzonte a cuiguardare, ha favorito il fiorire di una stagione che fu davvero feconda. Nello stessoanno in cui si tiene il convegno alla UCLA si ha la pubblicazione del numeromonografico di American Anthropologist sull’etnografia della comunicazionecurato da Gumperz e Hymes (cfr. Gumperz / Hymes [1964]), che contiene ancheun saggio di Labov sui correlati fonologici della stratificazione sociale.

Ancora nel 1972, il primo numero di Language in Society vedeva un editoriale

aggettivo sia di sostantivo. Tuttavia, osserva Calvet «il ne fau pas confondre l’histoire du mot etcelle de la chose, et le fait que sociolinguistics soit utilisé en 1939 ne signifie nullement que lasociolinguistique était constituée en science» (Calvet 1999: 26). La cosa (almeno dal punto di vistaaccademico) nasce intorno alla metà degli anni ’60 del secolo scorso, quando vengono istituiti iprimi corsi con la denominazione di Language in Society o di Sociolinguistics. A partire dal 1964alcuni corsi degli istituti della LSA (Linguistic Society of America) recano queste denominazione,e nel 1966 Charles Ferguson tiene un corso istituzionale di Sociolinguistics alla GeorgetownUniversity. Già nel 1956, invece, Joshua Fishman aveva tenuto per la prima volta un corso diSociology of Language all’Università della Pennsylvania.

introduttivo a firma di Hymes (che ha firmato come curatore 22 numeri dellarivista) e un lungo saggio di Labov sulla metodologia della ricerca linguistica (cfrLabov 1972b).

A titolo esemplificativo, riporto alcuni stralci di quell’editoriale:

«A journal, devoted to the emerging field of sociolinguistic research, and seekingto perform an integrative role, in indeed needed […] The timelines of the journalis evident in the surge of attention to the term, ‘sociolinguistics’; the roots of thejournal go deeper, however, than focus on a word. […] its approach would beintegrative, not additive: and it would lead, some believe, to a reconstruction ofsocial theory in the light of linguistic methods and findings, and of linguistic theoryon a social basis […] It is striking that the dominant impulse in sociolinguisticresearch has not been toward self-segregation, but toward collaboration andintegration» (Hymes 1972: 1-2-12).

Dal canto suo, Labov riconosceva il ruolo fondamentale rivestito dagli studi ditaglio sociologico-etnografico condotti sulla diversità linguistica in contesti nonnord-americani e la loro funzione di precursori dello studio della lingua nel suo(nei suoi) contesto/i sociale/i. Egli, ad esempio, considera la ricerca di Ferguson/ Gumperz (1960) sulla diversità linguistica nell’Asia del sud «the beginning ofthe current interest in sociolinguistic studies» (Labov 1972a: 296).

A fronte di questa ‘unità nella diversità’ che sembra emergere negli «early daysof sociolinguistics» (Paulston / Tucker 1997), a partire dalla seconda metà deglianni ’70 si iniziano a intravedere i primi sintomi del divorzio fra le diversecomponenti. Hymes (1974) nel ribadire che la sociolinguistica è «an area ofresearch that links linguistics with anthropology» elimina dalle discipline che necostituiscono il quadro di riferimento teorico la sociologia, che invece avevainserito in un precedente contributo (Hymes 1971). Le ragioni di tale espunzionevanno probabilmente ricondotte al fatto che la sociologia aveva fornito gli spuntiper approcci allo studio di comportamenti linguistici che dalla sociologia stessatraevano i propri strumenti analitici (la linguistica laboviana da un lato, l’Analisidella conversazione dall’altro), di cui Hymes rifiutava sia gli assunti di partenzasia la metodologia. Per Hymes, sociolinguistics è, infatti, un termine generale chesuggerisce un legame «not only with sociology, but the social sciences as a whole»(Hymes 1972: 13).

Fishman, dal canto suo, rivendicava una più stretta vicinanza con la sociologia,tanto da affermare che

«the difference between these two areas [sociologia del linguaggio e socio lin -guistica] or emphases of specialization may well be far less significant than theirsimilarities. Both are concerned with the interpenetration between societallypatterned variation in language usage and variation in other societally patterned

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Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 145

behavior, whether viewed in intra-communal or in inter-communal perspective»(Fishman 1971: 8)5.

Il graduale allontanamento fra le diverse anime della disciplina può esserecolto da un semplice esperimento ‘bibliografico’. Si considerino le bibliografie didue lavori di Labov distanti più di trenta anni l’uno dall’altro (cfr. Labov 1972ae Labov 1994a). Le presenze/assenze, le aggiunte e le espunzioni da sole sono ingrado di fornire la cifra del solco scavato negli anni tra le anime principali dellasociolinguistica. Nella tabella che segue riporto il numero di citazioni relative ailavori di studiosi non appartenenti al mainstream variazionista.

5 In effetti, lo stesso Labov spese una buona parte della sua formazione nel campo degli studilinguistici (che iniziò, peraltro, piuttosto tardi, essendosi egli laureato in ingegneria chimica e comechimico avendo lavorato fin oltre i trenta anni) al Bureau of Applied Social Research (BASR) dellaColumbia University, allora diretto da H. Hyman, che contribuì a sviluppare la sua sensibilità pergli aspetti metodologici della ricerca e per l’analisi statistica dei dati.

6 Un lavoro insieme a Ferguson (cfr. Ferguson / Gumperz [1960]) e uno con Hymes (cfr.Gumperz / Hymes 1964).

Labov (1972a) Labov (1994a)

Autore Numero opere citate Autore Numero opere citate

Bernstein 1 Hymes 1

Fishman 3 Sapir 1

Garfinkell 1

Gumperz 56

Hymes 4

Sacks 1

Schegloff 1

Come si può osservare, tra il primo e l’ultimo lavoro considerato scompaionoquasi del tutto i riferimenti alle aree di ricerca (etnografia della comunicazione,sociologia del linguaggio etnometodologia) che Labov considera complementariallo studio in chiave sociale delle strutture linguistiche.

A giudicare dai dati fin qui presi in esame, sembrerebbe che da una unitàprimigenia si sia successivamente avuto una sorta di big bang. In realtà, a unosguardo appena meno superficiale si possono già scorgere le ragioni delle

differenze, anche profonde, che si dall’inizio dividevano i protagonisti dellastagione pionieristica della sociolinguistica così come la conosciamo oggi.

Già nel citato convegno del 1964 emergono due tratti (strettamenteinterconnessi) che tuttora caratterizzano (il primo più sottotraccia, il secondoesplicitamente) la sociolinguistica. Il primo è quella sorta di latente complesso diinferiorità, a cui accennavo all’inizio, nei confronti della cosiddetta linguistica‘formale’, o ‘interna’, in particolare di quella chomskyana. Il secondo è il diversomodo con cui i diversi orientamenti vedono i rapporti fra struttura linguistica estruttura sociale, che rimanda in ultima analisi ai rapporti tra la sociolinguistica ela linguistica tout-court.

Su entrambi questi punti Calvet (1999) ha interpellato a trentacinque anni didistanza i ‘superstiti’ di quell’evento. Sulla prima questione, tranne Hymes, tuttii protagonisti hanno mostrato di considerare Chomsky un po’ il convitato di pietradella riunione:

«C’est-à-dire que Noam Chomsky qui n’est bien sur jamais cité dans le textes de1964, et, de façon plus générale la grammaire générative, planent comme uneombre sur la réunion, C’est contre la menace d’une linguistique de plus en plusformelle et de moins en moins “humaine” que ces gens se réunissent, et l’on peutprendre l’hypothèse que la sociolinguistique est née en partie contre legénérativisme, contre une certaine idée de la linguistique s’éloignant de plus enplus du contexte social» (Calvet 1999: 46).

Forse proprio perché poco o per nulla preoccupato di apparire inferiore allaLinguistica (con la maiuscola), Hymes è il primo a tentare di dotare di sostanzateorica la generica constatazione che essa difetta di attenzione agli aspetti socialidella comunicazione verbale (e, a maggior ragione non verbale). Tre sonosostanzialmente i punti in cui la linguistica mostra i suoi limiti. In primo luogo,l’unica funzione del linguaggio che sembra interessare i linguisti è quellareferenziale. Le altre, benché ammesse, sono trattate solo marginalmente. Insecondo luogo, le strutture linguistiche vengono indagate come se fosseroindipendenti le une dalle altre, e in più viene sottaciuta la dipendenza funzionaledi ciascun livello da quello superiore. Infine, come conseguenza dei primi duelimiti, è assente una reale investigazione sul funzionamento generale dellinguaggio.

L’aspetto più interessante che emerge dall’analisi di Calvet è l’esistenza didifferenti visioni (forse il vero nocciolo del problema). Gumperz, al riguardo,anticipa la differenza sostanziale con quella che sarebbe poi divenuta la linguisticavariazionista laboviana, che risiederebbe nella diversa focalizzazione (sulla linguain rapporto al contesto sociale per Labov, sul repertorio linguistico comunitarioper lui):

«Rather than focusing on ‘language or languages in social context’ (to use Labov’s

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Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 147

term) where language is still the primary object of analysis, we began to focus onspeech communities and their linguistic repertoires. […] In retrospect I recall thatI found myself theoretically isolated from many other participants at thatconference who continued to focus primarily on linguistic structures» (ivi: 43).

Già in quell’incontro inconsapevolmente fondatore emergevano, dunque, al-cuni degli aspetti che avrebbero caratterizzato il profilo futuro, che è anche quel-lo attuale, della nostra disciplina. L’eterogeneità degli interessi e degli approccisi rifletteva nelle comunicazioni presentate, che rivelavano una labilissima coe-renza teorica interna. Di conseguenza, la nascente disciplina risultava

«tout ceci fait un peu velléitaire et, avec le recul que nous procure le temps, nouspourrions avoir l’impression qu’à de rares exceptions près ces précurseurs de lasociolinguistique n’y croient pas, qu’ils veulent simplement saupoudrer de socialla linguistique structurale, étudier la variation, l’émergence des languesvéhiculaires, les situations linguistiques des États, etc., en marge de la linguistique»(ivi: 49).

Nel concludere la sua rievocazione, Calvet osserva che, a trentacinque anni didistanza da quell’incontro, le questioni sul tappeto rimangono di fatto le stesse:eterogeneità di interessi di ricerca, assenza di una teoria unitaria e di forzaaccademica. Questi ultimi sono i punti di maggior debolezza rispetto al ‘convitatodi pietra’, che ha sempre considerato con sufficienza quanti hanno provato atrattare la lingua come un fatto sociale e non come un fatto ‘naturale’. Si consideri,a puro titolo esemplificativo, il seguente passo:

«Sociolinguistics is, I suppose, a discipline that seeks to apply principles ofsociology to the study of language; but I suspect that it can draw little fromsociology, and I wonder whether it is likely to contribute much to it […] You canalso collect butterflies, and make many observations. If you like butterflies, that’sfine; but such work must not to be confounded with research» (Chomsky 1979:57).

Le parole di Chomsky sul lavoro del sociolinguista sono perfettamente coerenticon il paradigma teorico a cui egli fa riferimento, basato sul metodo ipotetico-deduttivo, che decontestualizza le osservazioni sui fenomeni studiati in modo daannullare la complessità delle variabili in gioco, e sull’ambiguità del ruolo delricercatore, figura reificata che, da un lato, è vista come del tutto estraneaall’oggetto di ricerca, e a cui, dall’altro, è conferito lo status di depositario dellacompetenza linguistica. Nonostante il suo tono canzonatorio, Chomsky coglie larealtà di molte ricerche empiriche, le quali, anziché spiegare l’intrinseco disordinedelle pratiche linguistico-discorsive dei parlanti, cercano di ricostruire un ordineladdove vige un intrinseco disordine.

4. Europa-USA andata e ritorno

La principale difficoltà nel trovare una teoria unificante e, al tempo stesso,autonoma dalla linguistica strutturale risiede, almeno in parte e almeno per quantoriguarda il versante americano (che è poi quello nel quale, volenti o nolenti, lanuova disciplina è, sul piano nominale, nata) nella non piena consapevolezza deidebiti che la sociolinguistica (o forse sarebbe meglio dire ‘le sociolinguistiche’),ha nei confronti delle intuizioni maturate, come abbiamo già visto, in seno allalinguistica comparata, alla dialettologia e alla geografia linguistica europee.Koerner (1991), ad esempio, lamenta una certa mancanza di attenzione da partedella sociolinguistica americana per i legami storici con discipline che avevanoanticipato di decenni i lavori americani degli anni ’60 del secolo scorso che hannosancito la nascita ‘accademica’ della nostra disciplina7. A parte i già citatiinterventi di Hymes, il quale, come sappiamo, aveva una formazioneantropologica, dalla componente più strettamente linguistica si sono avuti pochimomenti di riflessione critica su quello che Yakov Malkiel (non a caso linguistadi formazione europea) ha definito «il lungo preludio della sociolinguistica» (cfr.Malkiel 1976). Un preludio che affonda le sue radici (come abbiamo già accennatoall’inizio) nella grande tradizione di studi linguistici europei. L’esistenza di unlegame fra spazio, evoluzione storica delle strutture sociali, da un lato, e linguadall’altro, è presente in diversi studi europei già dall’inizio del XX secolo, anchese è evidente che «a large part of the questions we discuss today were alreadyposited but without order, without relation to each other» (Calvet 2003b: 18).Oltre a quelli più noti (di Gauchat, Meillet, Vendryes, Cohen) Calvet cita altriesempi di studi europei nei quali il sociale e il linguistico, il linguaggio e lasocietà, sono accostati. Fra questi spiccano l’articolo di Guerin de la GrasserieDe la sociologie linguistique (Guerin de la Grasserie 1909) e il volume diSommerfelt (allievo di fatto di Gauchat) La Langue et la Société: caractèressociaux d’une langue de type archaique.

Nel suo lavoro di ricostruzione dei fili che collegano le due spondedell’oceano, con particolare riguardo agli influssi che hanno contribuito allaformazione del ‘canone laboviano’ della sociolinguistica, Koerner (2002)individua tre filoni: quello della dialettologia e della geografia linguistica, quello

148 Giuseppe Paternostro

7 Con una certa dose di malizia, Koerner (che non è americano) attribuisce tale mancanza diattenzione a una caratteristica della cultura nord-americana, nella quale «people are happy to be partof a trendy present which holds out the promise of becoming the future» (ivi: 57). Da talecaratteristica non sarebbero esenti nemmeno i linguisti, che mancherebbero di consapevolezzastorica rispetto al loro stesso campo di studi e, di conseguenza «can be easily led into believingclaims of novelty, discontinuity, breakthrough, and revolution made by someone in favor of a newproduct or, for that matter, a theoretical stance» (ibidem).

Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 149

della linguistica storica, quello degli studi sul multilinguismo. Riporto qui (conqualche modifica) lo schema con cui Koerner prova a ricomporre il quadro deirapporti e delle influenze che hanno contribuito al costituirsi della sociolinguisticacosì come oggi la conosciamo.

8 La collocazione di Gumperz nel filone dialettologico anziché in quello degli studi sulmultilinguismo, è forse poco perspicua, probabilmente frutto di confusione sulla differenteaccezione con cui il termine ‘dialetto’ è trattato dalla dialettologia europea e romanza in particolare.

Dialettologia/geografia linguistica Linguistica storica Studi sul multilinguismo

(Wrede)

Gauchat

(Jaberg e Jud)

Herman

(McDavid)

Gumperz8

Meillet

Vendryes

Sommerfelt

Martinet

U. Weinreich

Labov

M. Weinreich

U. Weinreich

Haugen

Ferguson

Friedrich

Sociolinguistica

Diciamo subito che a un lettore europeo non sfugge l’ingenua rigidità delloschema (che, in quanto tale, non può che essere rigido). Tuttavia esso presenta uncerto interesse, non fosse altro perché mostra quanto si sappia in nord Americadelle radici europee della sociolinguistica.

Nello schema vi sono sia ascendenze dirette (nel senso che sono ‘direttamente’verificabili nei lavori di Labov sotto forma di citazioni), sia ascendenze inferite

da filiazioni accademiche, sia infine ascendenze arbitrarie, cioè né verificabilidirettamente né inferibili sulla base dei legami accademici. Ascendenza inferita èquella ad esempio relativa a Wrede, successore di Wenker e maestro di MaxWeinreich, padre di Uriel, maestro di Labov. Ascendenza arbitraria è quella conMacDavid, il quale oltre a non essere mai citato direttamente da Labov (il che, insé non vuol dir nulla ovviamente)9, potrebbe anche essere collocato (seguendo lastessa logica meccanica di Koerner) tra i critici del metodo laboviano, in ragionedella sua non entusiastica recensione di di The Social Stratification of English inNew York City, apparsa su American Anthropologist (cfr. McDavid 1968)10.

Certamente Labov può essersi giovato di alcuni princìpi sviluppati dallageografia linguistica, anche se in termini, per così dire, più dialettici e in ognicaso per via indiretta. Se pare certa l’influenza che, per il tramite di Weinreich, ladialettologia e, soprattutto, la geografia linguistica hanno potuto giocare nel rifiutolaboviano della convinzione strutturalista (che era presente anche in Martinet)che i cambiamenti fonetici siano fenomeni troppo lenti (troppo di lungo periodo)per poter essere osservati, è altrettanto indubbio che, come osserva Malkiel(1969), poco si sapeva negli Stati Uniti del periodo europeo della formazione diWeinreich, in particolare dei suoi debiti nei confronti di Jakob Jud11. L’influenza

150 Giuseppe Paternostro

9 Se si escludono una citazione in comune con Kurath (Kurath / Mc David 1951), inclusa inLabov (1963/1972a), e due citazioni, peraltro solo in bibliografia, in Labov (1966: 586): la primarelativa al noto studio sulla variazione sociale di /-r/ post-vocalica in South Carolina (Mc David1948), la seconda a una comunicazione non pubblicata a un convegno.

10 La critica principale riguarda la rappresentatività del campione: «certain groups are notrepresented – notably the old stock with Protestant, who still make up a very large proportion ofthe New York Upper class, and whose speech patterns seem – admittedly from familiar rather thanscientific observation – to suggest other values than those found in Labov’s informants» (MacDavid 1968: 426).

11 A proposito della figura del co-fondatore dell’AIS e della ricezione di questo atlante negliStati Uniti, va segnalato un episodio ad oggi poco conosciuto (vi sono cenni in Murray [1998] ein Newmeyer [2015]). Mi riferisco al soggiorno statunitense nell’estate del 1931 di Jud eScheuermeier, invitati da Hans Kurath a tenere, nell’ambito dei corsi estivi della Linguistic Societyof America, un seminario di addestramento alla metodologia della ricerca, a cui assistette una partedel gruppo che lavorava al Linguistic Atlas of the United States and Canada, progetto poiridimensionato in un meno ambizioso Linguistic Atlas of New England (cfr. Kurath 1939-1943).Il seminario s’intitolava Les Problèmes de la Préparation d’un Atlas Linguistique e prevedevalezioni teoriche da parte di Jud ed esercitazioni pratiche da parte di Scheuermeier sui seguentiargomenti: «Exposé critique des méthodes et du but des atlas publiés ou en publication. Différencesentre l’atlas et les dictionnaires. Les préparatif d’un atlas. L’enquête sur les lieux. Classification etcoordination des matériaux recueillis. Résultats linguistiques» (LSA Bulletin, 7, 1931: 8).Nell’autunno del 2010 abbiamo potuto, con Mari D’Agostino, consultare l’Archivio Jaberg diBerna, dove abbiamo rinvenuto alcune foto e diverse lettere e cartoline indirizzate da Jud eSheuermeier a Jaberg in cui si fa cenno a quel soggiorno. Contiamo in futuro di ricostruire in modoapprofondito questo per molti versi singolare episodio.

Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 151

esercitata su Weinreich da dialettologia e geografia linguistica, secondo Malkiel,va ben oltre le tracce che possono essere desunte nel noto articolo sulla possibilitàdi una ‘dialettologia strutturale’ (Weinreich 1954). Per Weinreich la combinazionefra strutturalismo e dialettologia (o linguistica) ‘esterna’ doveva portare non tantoa una maggiore attenzione dei dialettologi alle strutture quanto a rompere latendenza di molti linguisti strutturali a minimizzare «the flux, to disregard themotley composition of the chosen speech community, and, in the process of thisarbitrary, clumsily rationalized leveling, to dehumanize the discipline» (Malkiel1969: 130).

L’elemento di maggior continuità fra l’elaborazione laboviana e la tradizionedialettologico-geolinguistica europea riguarda gli aspetti metodologici dellaricerca. La continuità è, tuttavia, più ideale che reale, dal momento che la maggiorparte della bibliografia europea (quella britannica esclusa) a cui Labov fariferimento nei suoi lavori riguarda più la descrizione di fenomeni strutturali(fonetici e fonologici in particolare) che questioni metodologiche. Se si mette aconfronto il volume sugli Internal Factors dei Principles of Linguistic Change(cfr. Labov 1994b) con quello sui Social Factors (cfr. Labov 1994a), risulta infattievidente una presenza di studi europei molto più frequente nel primo rispetto alsecondo dei citati volumi. Tra questi riferimenti si possono ritrovare, ad esempio,l’ALF, ma non l’AIS, Gilliéron e Dauzat, ma non Jaberg e/o Jud12.

Dal canto suo, Hymes, nel già citato editoriale del primo numero di Languagein Society, nel dare conto degli studiosi nei confronti dei quali la sociolinguisticaè debitrice non riporta il nome di alcun dialettologo e/o geolinguista europeo,limitandosi a far riferimento soltanto al movimento Wörter und Sachen e a ungenerico «work in special fields such as Romance Philology» (Hymes 1972: 3).Grande spazio è invece dato alla tradizione antropologico-strutturale siaamericana (Boas, Sapir, Worf) sia britannica (Malinowsky e Firth), a quellafilosofica (Cassirer, Wittgenstein, Morris), oltre che a quella più strettamentelinguistica (Meillet, Saussure, la Scuola di Praga). Tale mancanza è probabilmentedovuta alla storia e alla formazione culturale e scientifica di Hymes, in cui ladialettologia non trova posto (cfr. Murray 1983 e 1998).

L’atteggiamento più adeguato da tenere nella ricerca dei fili che collegano ledue tradizioni continentali mi sembra, tuttavia, piuttosto banalmente, quellosuggerito da Malkiel, che invita a pensare come intuizioni o relazioni disciplinarisi possano essere sviluppate in modo autonomo e parallelamente sul piano

12 Rispetto all’assenza della scuola geolinguistica svizzera, Koerner ritiene che «the fact thatLabov does not seem to refer to these works in his writings […] is no reason to leave out mentionof this research. In fact, dialectological traditions and practices loom large in Labov’s oeuvre»(Koerner 2002: 261, n25).

cronologico nelle due sponde dell’oceano. Questo vale, ad esempio, per ilgraduale avvicinamento fra linguistica e discipline antropologiche13, o anche perla coincidenza tra le ricerche di Matteo Bartoli sulle prove spaziali dei mutamentidiacronici e la cosiddetta Age-and-Area hypothesis, formulata negli Stati Uniti inambito sociologico, che tenta di spiegare «how far successions and concatenationsof events can be postulated on the basis of the geographic spread of the givenphenomena» (ivi: 64).

5. Conclusioni: superare il complesso di inferiorità

In questo contributo ho provato a usare la storia della disciplina per mostrarecome da essa si debba partire per assumere consapevolezza della peculiarità edelle potenzialità della sociolinguistica, una disciplina ‘in cerca di autore’.Parafrasando Marx, si potrebbe quasi dire ‘i sociolinguisti fanno [un’altra]linguistica, ma non sanno di farla.’ In effetti, l’avere coscienza dell’evoluzionestorica della propria disciplina è, come opportunamente rileva Koerner, ilprincipale fattore per distinguere uno scienziato da un semplice assistente dilaboratorio: «The scientist knows where the techniques s/he is using have comefrom and what their limitations are; the laboratory assistant, having only controlof the mechanics of the trade, does not, and may get easily stuck when a procedures/he expected to be appropriate to follow at all times breaks down» (Koerner 2003:378).

Anche da una sommaria (e parzialissima) ricostruzione come quella quipresentata si può trarre la percezione di un momento di difficoltà non solo dellediscipline linguistiche nel loro complesso, ma anche di tutte quante le cosiddette‘scienze umane’14. Non è certo questa la sede per ragionare sui motivi delle nienteaffatto floride condizioni della ricerca in campo umanistico né, tantomeno, perprospettare soluzioni. Tuttavia, provo a toccare, in conclusione, alcuni punti daiquali dovrebbe partire un ragionamento sulla questione.

In primo luogo, appare chiara, e al netto di tutte le avvertenze sul rischi digeneralizzazioni, che la sociolinguistica, se si presenta come quella disciplina che

152 Giuseppe Paternostro

13 Così si esprime Malkiel: «Whereas in North America it was the practitioners of socialanthropology (above all, Sapir and school) who succeeded in building a bridge to linguistics, theEuropean continent witnessed an increasingly tight bracketing, under the slogan ‘Wörter undSachen‘, of certain facets of linguistics and research in material civilization» (Malkiel 1976: 60).

14 Per quanto riguarda in modo specifico l’Italia, Tullio Telmon, facendo il punto sulle ricerchecondotte in ambito dialettologico nel primo decennio del nuovo secolo, ha impietosamentesottolineato l’attuale sostanziale incapacità di tutte quante le discipline linguistiche di incidere neldibattito pubblico del nostro Paese (cfr. Telmon 2013).

Sociolinguistica, una disciplina in cerca d’autore 153

studia la lingua in quanto fatto sociale, deve fuoriuscire da quella dialettica centro-periferia nella quale è destinata ad essere subalterna alla linguistica variamentedefinita come ‘interna’, ‘strutturale’, ‘generativo-trasformazionale’. Conseguenzaimmediata è che la sociolinguistica deve rinunciare a qualunque velleità di essereuna scienza naturale e collocarsi pienamente fra le scienze sociali. Nell’illusionedi potersi costituire quasi come una ‘scienza dura’ (con tutti i tentativi di creareuna formalizzazione e il disprezzo per qualunque riferimento alle concretepratiche linguistiche), la linguistica ha impoverito il suo stesso oggetto d’analisi,separando la lingua dal parlante, il che è come separare lo strumento dal suosuonatore. La preoccupazione principale dovrà essere quella di rivendicare ilprimato del parlante sulla lingua, e, conseguentemente, del (socio)linguista sulla(socio)linguistica, parlante fra i parlanti.

L’attenzione dovrà essere rivolta, allora, a come gli individui (soprattutto in uncontesto plurilingue) comunicano attraverso l’uso delle risorse linguistiche a lorodisposizione, come dunque essi comunicano «dans ce désordre, ou malgré cedésordre, voire même grâce à ce désordre» (Calvet 2007: 24). Dal punto di vistadel sociolinguista, l’oggetto di studio non può essere la ‘lingua’, ma le pratichecomunicative, tra le quali vi sono anche le pratiche linguistiche. Il concetto stessodi lingua (ma anche quello di varietà) è un artefatto dei linguisti, che poi siripercuote e si riflette negli atteggiamenti dei parlanti, i quali tendono adiscretizzare e a creare confini spaziali e sociali, ancorché nelle pratiche concretele cose stiano diversamente.

La ricostruzione in chiave storica iniziata in queste pagine dovrà proseguire inmodo sicuramente più accurato. Mi pare però che essa sia riuscita, quantomeno,a mostrare che il progressivo allontanamento fra le anime della sociolinguisticadelle origini è forse dovuto al fatto che esse non sono mai state realmente legateda una solida base teorica comune, il che costituisce in ultima analisi la ragioneprincipale dell’ancor oggi lasco statuto epistemologico della disciplina. Insomma,a leggere con attenzione la sua storia, sembra che più che di tronco comune sidebba parlare di una selva assai fitta, in cui tanti differenti rami si toccano finotalvolta ad intrecciarsi, pur restando comunque separati, ciascuno con le proprieradici.

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Finito di stampare nel marzo 2016da DigitalPrint Service s.r.l. in Segrate (Mi)

per conto delle Edizioni dell’Orso


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