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LA LONTRA DEL TICINO - regione.piemonte.it · LE AREE PROTETTE DEL PIEMONTE PARCHI NAZIONALI Gran...

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ISSN 1124-044 X Contiene I.P. MENSILE DI INFORMAZIONE E DIVULGAZIONE NATURALISTICA ANNO XVII. N. 7 Agosto/Settembre 2002 Poste Italiane. Spedizione in a.p.- 45%-art.2 comma 20/B legge 662/96 - D.C./D.C.I. Torino 2002 numero 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 ANIMALI E LETTERATURA Il meraviglioso bestiario di Marco Polo PARCHI PIEMONTESI Baraggia, ultimo incolto padano LA LONTRA DEL TICINO BOTANICA Orchidee, passione sfrenata
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I.P.

MENSILE DI INFORMAZIONE E DIVULGAZIONE NATURALISTICA

ANNO XVII. N. 7 Agosto/Settembre 2002Poste Italiane. Spedizione in a.p.- 45%-art.2 comma 20/B legge 662/96 - D.C./D.C.I. Torino

2002 numero 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122

ANIMALIE LETTERATURAIl meravigliosobestiario diMarco Polo

PARCHIPIEMONTESIBaraggia,ultimo incoltopadano

LA LONTRA DEL TICINO

BOTANICAOrchidee,passionesfrenata

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PARCHI REGIONALIALESSANDRIACapanne di MarcaroloVia Umberto I, 32a15060 Bosio (AL)Tel. e fax 0143 684777

Sacro Monte di CreaCascina Valperone15020 Ponzano Monferrato (AL)Tel. 0141 927120 fax 0141 927800

Parco Fluviale del Po TrattoVercellese/Alessandrino(Riserva Torrente Orba)Piazza Giovanni XXIII, 615048 Valenza (AL)Tel. 0131 927555fax 0131 927721

ASTIParchi astigiani(Rocchetta Tanaro,Val Sarmassa,Valleandona e Val Botto)Via S. Martino, 514100 AstiTel. 0141 592091 fax 0141 593777

BIELLABaragge (riserva), Bessa(riserva), Brich Zumaglia (areaattrezzata) Via Crosa 113882 Cerrione (BI)Tel. 015 677276 fax 015 2587904

Parco Burcina - Felice PiacenzaCasina Blu13814 Pollone (BI)Tel. 015 2563007 fax 015 2563914

CUNEOAlta Valle Pesio e Tanaro(Riserve AugustaBagiennorum;Ciciu del Villar;Oasi di Crava Morozzo;Sorgenti del Belbo)Via S. Anna, 3412013 Chiusa Pesio (CN)Tel. 0171 734021fax 0171 735166

Alpi Marittime(Riserve: JuniperusPhoenicea);C.so Dante Livio Bianco, 512010 Valdieri (CN)Tel. 0171 97397 fax 0171 97542

Parco Fluviale del PoTratto cuneese(Riserva Rocca di Cavour)Via Griselda 8, 12037 SaluzzoTel. 0175 46505fax 0175 43710

NOVARAValle del TicinoVilla Picchetta28062 Cameri (NO)Tel. 0321 517706

Sacro Monte di Orta(Riserve Monte Mesma;Colle Torre di Buccione)Via Sacro Monte28016 Orta S. Giulio (NO)Tel. 0322 911960fax 0322 905654

Parchi del Lago Maggiore(Lagoni di MercuragoRiserve Canneti diDormelletto e Fondo Toce)Via Gattico, 628040 Mercurago di Arona (NO)Tel. 0322 240239fax 0322 240240

TORINOCollina di Superga(Riserva Bosco del Vaj)Via Alessandria, 210090 Castagneto Po (TO)Tel. e fax 011 912462

Gran Bosco di SalbertrandVia Monginevro, 710050 Salbertrand (TO)Tel. 0122 854720fax 0122.854421

Laghi di AviglianaVia Monte Pirchiriano10051 Avigliana (TO)Tel. 011 9313000fax 011 9328055

Orsiera Rocciavrè(Riserve Orrido di Chianoccoe Orrido di Foresto)Via San Rocco, 2 - Fraz. Foresto10053 Bussoleno (TO)Tel. 0122 47064fax 0122 48383

Val TronceaV. della Pineta10060 Pragelato (TO)Tel. e fax 0122 78849

Canavese(Riserve Sacro Monte di Belmonte;Monti Pelati e Torre Cives;Vauda)Corso Massimo d’Azeglio, 21610081 Castellamonte (TO)Tel. 0124 510605fax 0124 514463Parco Fluviale del Po Tratto torinese(Area Attrezzata Le Vallere)Cascina Vallere, Corso Trieste 9810024 MoncalieriTel. 011 642831fax 011 643218

La Mandria(Aree attrezzate Collina di Rivoli;Ponte del Diavolo;Riserva Madonna della NeveMonte Lera)Viale Carlo Emanuele II, 25610078 Venaria Reale (TO)Tel. 011 4993311 fax 011 4594352

Stupinigic/o Ordine Mauriziano, via Magellano, 110128 TorinoTel. e fax 011 5681650

VERBANIAAlpe Veglia e Alpe DeveroVia Castelli, 228868 Varzo (VB)Tel. 0324 72572fax 0324 72790

Sacro Monte Calvario di DomodossolaBorgata S. Monte Calvario, 528055 Domodossola (VB)Tel. 0324 241976 fax 0324 247749

Sacro Monte della SS.Trinità di GhiffaP.zza SS. Trinità, 128823 Ghiffa (VB)Tel. 0323 59870 fax 0323 590800

VERCELLIAlta ValsesiaC.so Roma,3513019 Varallo (VC)Tel. e fax 0163 54680

Lame del Sesia(Riserve Garzaia di Villarboit;Isolone di Oldenico;Palude di Casalbertrame;Garzaia di Carisio)Via XX Settembre, 1213030 Albano Vercellese (VC)Tel. 0161 73112fax 0161 73311Monte FeneraFraz. Fenera Annunziata13011 Borgosesia (VC)Tel. 0163 209478fax 0163 209356Sacro Monte di VaralloLoc. Sacro MontePiazza della Basilica13019 Varallo (VC)Tel. 0163 53938fax 0163 54047

Bosco delle Sorti dellaPartecipanza di TrinoC.so Vercelli, 313039 Trino (VC)Tel. 0161 828642fax 0161 805515

LE AREE PROTETTE DEL PIEMONTE

PARCHI NAZIONALI

Gran ParadisoVia della Rocca 47 - 10123 TorinoTel. 011 8606211 fax 011 8121305

Val GrandeVilla S. Remigio28922 Verbania (VB)Tel. 0323 557960fax 0323 556397

PARCHI PROVINCIALILago di CandiaVia M. Vittoria, 12 - 10123 TorinoTel. 011 8612584 fax 011 8612788

SETTORE PARCHIVia Nizza 18 - 10125 TorinoSettore PianificazioneTel. 011 4322596Fax 011 4324759Settore GestioneTel. 011 4323524Fax 011 4324793Banche datiTel. 011 4324383Biblioteca Tel. 011 4323185

parchi webtutti gli indirizzi e le e-mail delle aree protette e del settore parchi sonoaggiornati nel sito ufficiale dellaRegione Piemonte

Piemonte Parchi on line

Piemonte Parchi Magazine

www.regione.piemonte.it/parchi/

www.regione.piemonte.it/parchi/rivista

www.regione.piemonte.it/parchi/news

Iscriviti alla nostra news letter:invia una e-mail a:[email protected] oggetto “iscrivetemi a Piemonte Parchi news”

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PARCHI PIEMONTESI

di Maria Vittoria Loaldifoto Ettore Centofanti

La lontra fino al secolo scorso abitavala Valle del Ticino. Poi, la caccia allasua pregiata pelliccia, la mancanza delrispetto per l’ambiente, l’inquinamen-to dei corsi d’acqua, suoi habitat na-turali, hanno portato alla sua progres-

LA LONTRADEL TICINO

C’era. E’ sparita, ora è tornatasiva scomparsa.Nel 1978 nacque il parco. Due anni do-po partì il progetto di reintroduzionedella lontra. Fu tra i primi d’Europa e ilpioniere d’Italia. A distanza di dodicianni, si può dire che l’impresa è riu-scita. Dalla prima coppia liberata nelrecinto del Bosco Vedro di Cameri so-no nati diversi cuccioli. Qualche anno

fa è stata liberata la prima coppia dilontre, gli animali si sono subito ben a-dattati alla nuova vita: se la lontra cel’ha fatta significa che l’ambiente delparco è veramente pregiato, la suapresenza rappresenta un importantesensore per la qualità delle acque delTicino.Attualmente sono in corso studi gene-

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tici sulle popolazioni in cattività e su quel-le in libertà. Si attendono i risultati gene-tici della popolazione sopravvissuta nell’I-talia meridionale e quelli sulla popolazio-ne dell’Italia settentrionale (tramite anali-si su esemplari dei musei) per poter de-cidere quali siano gli animali più adatti al-la reintroduzione nella nostra zona.Oggi, in molti guardano all’esperienza delparco: il progetto lontra è diventato unpunto di riferimento per altri enti di tu-tela, naturalisti, biologi e università chesempre più spesso indirizzano i lau-reandi in materie ambientali a svol-gere tesi e ricerche sotto il controllodei tecnici del parco. Il Progetto lon-

tra, comunque, non si arresta: co-me per ogni iniziativa scienti-

fica c’è sempre qualcosa dascoprire. Lo staff del par-

co proseguirà a teneresotto controllo l’attività

delle lontre, a mo-

nitorare i loro spostamenti, a verificareche la popolazione continui a crescere.

Il Centro lontre di Bosco Vedro Nel 1988 il Parco piemontese del Ticinoistituì il Centro lontre Bosco Vedro, a Ca-meri, comune compreso nell’area protet-ta in provincia di Novara. E’ un ambientenaturale caratterizzato da zone umide efitti boschi, ideale per la vita di questomammifero.Il centro si estende su una superficie di23.600 metri quadrati, di cui 9.200 occu-pati da quattro laghetti alimentati da ac-qua sorgiva. All’interno dell’area si trova-no due recinti per l’osservazione degli a-nimali. Nel più ampio vi sono due lanchecon abbondante varietà di pesci. Il più pic-colo è utilizzato per i controlli sanitari de-gli animali. L’ampiezza e la naturalitàdell’ambiente rendono il centro unico inEuropa. Qui si studia il comportamentodegli animali in stato di semilibertà. La va-sta superficie del centro consente il rin-selvatichimento degli esemplari prima

della loro liberazione.La prima coppia di lontre è arrivata al

centro il 20 marzo 1989. Negli an-ni successivi sono nati sette cuc-

cioli, alcuni sono stati affidati ad altri cen-tri. Nei pressi del recinto il parco ha rea-lizzato una foresteria destinata ad acco-gliere ricercatori italiani e stranieri per svi-luppare studi coordinati con istituti scien-tifici di tutto il mondo.

Veterinari all’operaAl Centro Bosco Vedro le lontre sono pe-riodicamente sottoposte a controlli sani-tari. In caso di necessità vengono ancheoperate. Gli interventi chirurgici sono svol-ti in anestesia. Prelievi di sangue con-sentono di verificare lo stato di salute de-gli animali e di intervenire tempestiva-mente in caso di forti forme virali.Le lontre al Bosco Vedro vivono in statodi semilibertà. La cattura a scopo sanita-rio è piuttosto complessa e avviene conparticolari trappole. Gli animali vengonochiusi in piccoli recinti e trattenuti per bre-vi periodi perché le lontre selvatiche nontollerano stare in ambienti ridotti.

Cacciare, nuotare, giocareAttraverso feci e urina le lontre marcanoil territorio per l’organizzazione sociale.Le femmine quando hanno i cuccioli se-gnano le zone nei pressi delle tane. I ma-schi delimitano i confini territoriali. Le lon-tre si cibano di pesci, anfibi e crostaceicacciando in acque poco profonde. Nuo-tando rincorrono la preda. Il pasto è con-sumato in acqua o sul terreno. Sono ani-mali molto attivi: oltre a cacciare, nuota-

no e trascor-rono parec-chio a gio-care in

compa-

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da piemontese. A Cameri, nel ’73, l’ul-tima lontra fu fiocinata nel canale sca-ricatore Treccione nella zona del Bo-sco Vedro, dove ora, grazie al proget-to del parco, è ritornata.Il lontraro, armato di tridente, fucile ecane al fianco partiva alla ricerca de-gli animali da abbattere. La caccia av-veniva tra novembre e febbraio quan-do il pelo era molto folto per il freddo.I lontrari utilizzavano anche tagliole le-gate a grossi sassi. L’animale intrap-polato si dirigeva verso l’acqua, il sas-so precipitava sul fondo e la lontra affo-gava con la pelliccia intatta.Fino al 1971 la lontra era considerataun animale nocivo. Solo sette anni piùtardi fu esclusa dalla lista nera. In In-ghilterra, fino al ’78 la caccia alla lon-tra era considerato uno sport popola-re. I primi gruppi di tutela nacquero al-la degli anni Settanta, quando in Eu-ropa occidentale la specie stava scom-parendo.

gnia o da sole. La lontra è un anima-le originario della Valle del Ticino. Se-condo alcuni naturalisti del XIX seco-lo era facile incontrare sulle spondepiemontesi e lombarde del fiume. Inseguito, diventò di moda il “collo di pe-lo” e gli animali diminuirono. Il “lontra-ro”, cioè cacciatore di lontre, faceva in-cetta di capi. Questa attività si sviluppòtra fine dell’Ottocento e i primi Nove-cento soprattutto nell’Italia settentrio-nale.Il lontraro riusciva a catturare quattroo cinque animali al giorno su una su-perficie di cinquanta chilometri qua-drati. Ogni cadavere in buono stato e-ra pagato 300 lire. Un compenso al-tissimo se rapportato alle 90 lire di sti-pendio mensile di un bracciante.Ma il forte calo sembra coincidere conil periodo post-bellico: negli anni Cin-quanta a Castelletto di Cuggiono (Mi)pare si sia svolta l’ultima cattura. Le ul-time due segnalazioni certe risalgonoal 1950 e al 1974 quando due esem-plari furono catturati nel tratto del Tici-no tra Galliate e Bellinzago sulla spon-

La foto inferiore del fotomontaggio è di E. Manghi

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di Giulio Caresio

A cinque anni di distanza dal primo appuntamento nazionale che ha visto radunatetutte le aree naturali protette della nostra penisola, il Ministero dell’Ambiente, laRegione Piemonte e la Federazione nazionale dei Parchi e delle Riserve naturaliorganizzano una seconda occasione di discussione e confronto sullo stato del“sistema parchi” italiano.Tutti i soggetti interessati a politiche e problemi di gestione relativi alle aree protette,pubbliche amministrazioni ed enti di gestione, associazioni protezioniste e dicategoria, organismi internazionali e strutture competenti dell’Unione Europea,federazioni ed organizzazioni internazionali, si incontreranno dall’11 al 13 ottobre2002, presso il Centro Fiere Lingotto di Torino, in occasione della II Conferenzanazionale delle Aree naturali protette.Partendo da una presa di coscienza dei mutamenti del quadro di riferimentopolitico, ambientale e sociale cui le aree protette fanno riferimento, l’incontro ha perobiettivo istituzionale un’attenta verifica delle situazione nazionale, per capire se ecome il “sistema parchi” assolva ai propri doveri istituzionali, se e come obiettivi edindirizzi di un tale progetto siano condivisi ai più vari livelli, come tale disegno siintegri nel più ampio contesto delle politiche ambientali su scala locale, nazionaleed Europea.E’ importante anche discutere in qual misura presenza ed azioni di un parcopossano influenzare i processi di sviluppo di territorio e popolazioni locali,indirizzandoli verso una direzione equilibrata e sostenibile.La conferenza sarà inoltre, occasione preziosa ed importante per far conoscere erimarcare il ricco ed unico patrimonio di natura, cultura, tradizioni ed arte conservatoe gestito nelle aree protette della nostra penisola, nonché il rinnovato spiritoprogettuale ed il bagaglio di esperienza, professionalità e capacità propositivamaturati in questo ambito. A tale scopo, nei giorni della conferenza, sarà allestitauna esposizione aperta al pubblico presso il padiglione 5 del Lingotto. L’augurio èche la II Conferenza Nazionale delle Aree naturali protette sia un trampolino capacedi trasformare la discussione tecnica sul futuro del sistema parchi in occasione piùampia di dibattito per tutti i cittadini sul territorio. Una svolta verso quella auspicatavisione scientifica e culturale del mondo, così ben sintetizzata nelle parole di ValerioGiacomini: “L’autentico discorso ecologico richiede, ed al tempo stesso propone,una concreta capacità di unificazione; suggerisce ed ammette una sola scienza:

quella che non separa l’uomo dalla natura vivente; ammette una solaeconomia: quella globale che considera anche la più vasta economia della

natura; ammette una sola cultura: quella a servizio dei reali interessidell’uomo, inevitabilmente identificati con i reali interessi della più vasta

configurazione biologica nella quale egli agisce ed in cui dispiega tutte lestraordinarie costruzioni della sua creatività”.

Info:Nella home del nostro sito regionale e in quelli del Ministero e della Federparchi,oppure digitando direttamente www.conferenzaparchi2002.org si trovano materiali e aggiornamenti sulla Conferenza.Si può anche scrivere all’indirizzo: [email protected]

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Torino 11 - 13 ottobre 2002

Seconda Conferenza nazionaleAree naturali protette

Logo Conferenza del 1997

Ministero dell’Ambiente

Federparchi

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Foto grande:Parco reg. Monti Simbruini, Cervara di Roma;in alto da sinistra:Parco naz. Foreste Casentinesi nella faggeta;Riserva reg. Laghi Lungo e Ripa sottile;la Laguna di Orbetello dal bosco della Patanella,al crepuscolo;a sinistra: nibbio reale

La voce di Nicolas: Gian et HP, c’est l’heu-re! è una liberazione, dopo una notte in-sonne per la tensione. E’ ancora buio ecerco tentoni i pantaloni e la camicia, u-midi dalla sera precedente. Henri-Pierre,compagno d’avventura, sta facendo al-trettanto. Finalmente oggi salirò sullapiattaforma che il dirigibile ha posto sul-la canopy il giorno precedente. Avremol’occasione di iniziare il progetto volto al-lo studio dell’entomofauna che vive sul-la chioma degli alberi, dove si è evolutala maggioranza degli animali che si sonoadattati alla vita arborea. Fuori della tenda, oltre Nicolas, scalato-re forestale responsabile della nostra si-curezza, c’è Hector, collega dello Smith-sonian di Panama, Setsu, fotografo giap-ponese e George, guida e portatore. Il si-lenzio è totale, rotto solo dal richiamo diun rapace notturno o dall’acuto di volpivolanti. Ci avviamo verso il fiume, la lunapiena riflessa nell’oceano rischiara il no-

stro cammino. Il campo è già in fermen-to, i tecnici stanno gonfiando il dirigibi-le per portare altri colleghi a esplorare lechiome. Sembrano formiche affannateintorno alla regina, alta 20 metri e lun-ga 50. Con la piroga risaliamo il fiume equando troviamo l’attracco tra le man-grovie comincia ad albeggiare. La forestasi sta svegliando: arrivano in volo coppiedi anatre, coloratissimi martin pescato-ri pattugliano la superficie dell’acqua, in-

stancabili uccelli tessitori si agitano at-torno al nido appeso al sicuro sui ramiprotesi sul fiume. Aironi e garzette comesentinelle immobili lungo le rive. Strani ver-si, non si sa bene se di insetti, uccelli obatraci, echeggiano un po’ ovunque. Consicurezza George individua un passaggioche ci porta su un invisibile sentiero. Nel

L’equipe francese del botanico FrancisHallé ha ideato tecniche rivoluzionarie per l’esplorazione delle foreste tropicali. Un dirigibile posiziona una piattaformasulle chiome degli alberi, cui botanici,zoologi, chimici, climatologi hannol’opportunità di accedere. Qui vivono i 3/4 degli insetti e cresce una floraunica. Una nuova frontiera, pococonosciuta, che è anche una miniera dimolecole utilizzabili in medicina, chimica, agronomia, profumeria. Ne abbiamo già parlato nel numero 94del febbraio 2000.La spedizione 2001 si è svolta inMadagascar, nella foresta di Masoala.Ha partecipato anche stavolta il Museodi Carmagnola, coi contributi del Parcod’Abruzzo e del Parco Torinese del Po.Riportiamo alcune pagine del diario diGianfranco Curletti.

Tampolo, 1° novembre 2001 L’autore dell’articolo inpiroga sul fiume Tampolo.(foto Sestumasha)

La foresta degradante nella baia sulle cui rive sorge l’accampamento. Gli scogli erosi sembrano schienedi mostri marini.

(foto Aberlenc)

RICERCA

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folto il buio e il silenzio riprendono il so-pravvento. Si percepisce immediatamenteuna cappa di forte umidità e le nostre vo-ci hanno un suono soffocato e smorzato.Poco alla volta la foresta si rischiara, madi una luce diversa, diffusa e depressiva.Si cominciano a distinguere i profili dei gi-ganteschi alberi dominanti, delle intricateradici aeree, delle serpeggianti liane, dellebromelie aggrappate a sostegni impossi-bili. Si procede spediti, bastano pochi col-pi di machete per recidere qualche liana im-

pertinente, ma il cammino non è agevo-le per la respirazione affannosa causatadalla forte umidità. Pochi i segni di vita,chi si aspetta un sottobosco tropicalepullulante di animali è destinato a rima-nere deluso. Solamente piccoli granchineri dalle chele rosso fuoco fuggono da-vanti ai nostri passi. Ma l’occhio perce-

pisce segnali interessanti: foglie rosic-chiate da insetti, segatura di xilofagi chefuoriesce dai tronchi morti, enormi e vi-schiose ragnatele piene di vittime. Su-periamo un paio di colline, comincia a pio-

Il dirigibile con la “luge”, un canestrousato per la ricerca sugli alberi.

Per evitare la deriva del vento che rende difficoltosa la manovrabilità del mezzo, il ritorno

nelle ore calde avviene radente il fiume e l’oceano. (foto Curletti)

Bruco di Brunea, saturnide creduto velenoso e urticante dai locali per la colorazione vivace, é in realtà innocuo anche al tatto. (foto Curletti)

Una delle centinaia di camaleonti arboricoli che vivonosull’isola, ritenuta a ragione la patria diquesti rettili. (foto Curletti)

Radici di mangrovie, piante che vivono nelle paludi salmastre lungo il mare.Per evitarel’asfissia le radici affioranti hanno il compito dicaptare l’ossigeno atmosferico. (foto Aberlenc)

Il granchio della foresta “...dalle chele rosso fuoco”(foto Aberlenc)

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vere a tratti, una pioggia sottile e inter-mittente, che sotto gli alberi si trasfor-ma in grosse e pesanti gocce. Già siamointrisi d’acqua per l’umidità e la doccianon dà molto fastidio. Si sale e la piog-gia lascia il posto alla nebbia. Qui gli al-beri si fanno più alti, il sottobosco hameno arbusti e lo sguardo ha un oriz-zonte più ampio. Le cavallette e le cicalefriniscono con suoni brevi e intensi, in-terrotti da lunghi silenzi. Di tanto in tan-to, all’improvviso, come ad un segnaleconvenuto, squarciano l’aria le urla colle-giali, quasi canine, dei lemuri.George si china e mi mostra una Brooke-sia, camaleonte terricolo lungo appenapochi centimetri. Come abbia fatto a ve-

derlo è un mistero, così mimetico tra lefoglie morte. Il tempo di rifiatare con lascusa di scattare qualche foto e si ri-prende il cammino. All’improvviso la no-stra guida si arresta: davanti ai miei oc-chi pende una corda da montagna. Losguardo risale la fune e tra il fogliame in-travedo la rete della piattaforma. Siamoarrivati.Sono le dieci, la nebbia è scomparsa eapprofittiamo della sosta per uno spun-tino. Il primo a salire è Nicolas, che veri-fica la stabilità della piattaforma prima

del nostro “alberaggio”. In basso ne ap-profittiamo per controllare l’attrezzatu-ra e dividere i compiti. Il nostro per oggiè di piazzare sticky traps attorno allapiattaforma e lungo un transetto oriz-zontale nel sottobosco. Vi dovranno ri-manere quattro giorni. Gli insetti impri-gionati su questi fiori artificiali servi-ranno per fare una comparazione tra idue biotopi, verificare i movimenti dellepopolazioni, incrociare i dati con le ana-loghe esperienze delle spedizioni prece-denti, in Camerun e Gabon. Toccherà ame e a Setsu salire, mentre Henri-Pierree Hector metteranno le trappole in bas-so. Nicolas ridiscende: Ce matin ils nous ontprécédés sur le Radeau. Dal suo pugnochiuso due grandi occhi gialli inquietan-ti mi osservano. E’ un Uroplatus, un gran-de geco arboricolo dalla forma di un pic-colo coccodrillo, una via di mezzo tra u-na lucertola e un camaleonte, con gi-gantesche ventose alle dita e con codaappiattita. Una macchina per arrampi-carsi sugli alberi sfruttando ogni mini-mo appiglio. Quando lo liberiamo tornain alto, saltando di foglia in foglia graziealle ventose. La piattaforma è a venti-cinque metri sopra di noi, non molto sesi pensa ai cinquanta metri del Gabon,tuttavia c’è un po’ di tensione. Il primo asalire è Nicolas, poi Setsu ed infine io.Man mano che salgo le foglie si fanno piùpiccole e numerose, ma la luce e l’umiditàpaiono costanti. Non scorgo più il terre-no in basso, nascosto dal fogliame. Lamano di Nicolas afferra il mio braccio esento scattare il moschettone della lon-ge. Guardo attraverso il buco di acces-so alla rete e una luce accecante mi fasocchiudere gli occhi. Sensazione di cal-do tremendo e di secco in gola per man-canza di umidità. E’ incredibile quanto lecondizioni climatiche possano variare nel-lo spazio di pochi metri. Pago subito il

Il dirigibile ha appena deposto

la piattaforma sulle cime degli alberi.(foto Curletti)

Un uroplato, rettile endemico dell’isola. Sono visibili le ventose ai diti e la codaappiattita, adattamenti alla vita arboricola.

(foto Curletti)

Foci del fiume Tampolo sotto la pioggia.(foto Aberlenc)

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mio contributo di sangue a un paio di ag-gressivi tafani neri dagli occhi arancioche paiono aspettare solo me, ma nonho tempo per loro, ho troppo da fare conle trappole. Le posiziono all’esterno del-la piattaforma, appese ai rami e ben e-sposte al sole, perché il riverbero funzio-ni da richiamo a centinaia di metri di di-stanza. Spostarsi sulla rete non è age-vole: anche se è un insostituibile sup-porto, la piattaforma si adatta alla su-perficie degli alberi su cui poggia e devosuperare dislivelli da K2. La corda di scor-rimento cui sono assicurato mi è d’im-paccio, affondo nella rete di sostegno,sento sotto di me il vuoto, ma le due lon-ges cui sono costantemente legato mi

rassicurano. Il sole picchia spietato, nonc’è ombra e si rischia seriamente una for-te disidratazione. Da sotto mi giungonole voci dei compagni che stanno trac-ciando il transetto. Dopo circa un’ora hofinito e posso finalmente guardarmi at-torno. Lo spettacolo è veramente sug-gestivo. Sotto la luce accecante unosconfinato tappeto verde omogeneo echiuso, interrotto dalla sagoma di qual-

che gigantesco albero dominante che e-merge come un fungo. Sfumature di co-lori più varie sul tema verde: dal muschioquasi nero allo smeraldo brillante, al ver-de-limone quasi giallo, interrotto da gi-gantesche fioriture multicolori. Foglie pic-cole e esili di leguminose si affiancano aquelle gigantesche e carnose di palma.Dai rami secchi pendono catene di liche-ni e orchidee dalle pallide plastiche fiori-ture. Se in basso la vita animale è scar-sa, qui esplode in tutta la sua esube-ranza. C’è un via vai continuo di imenot-teri indaffarati, di ditteri importuni, dicetonie scure, di papilionidi con code a-lari, di pieridi con tinte pastello e di li-bellule con ali iridescenti. Uccelli dai co-lori improbabili passano radenti la piat-taforma, mentre in alto rapaci scrutanoattentamente il territorio. Occasional-mente si intravedono tra i rami le sago-me dei lemuri, piccoli esquimesi con il mu-so incorniciato da una corona di candi-da pelliccia. Sono due mondi diversi, ilbasso e l’alto della foresta. E il confineche li divide, formato da temperatura, lu-ce, umidità, è ben netto, se anche unascimmia cresciuta nella fredda e antro-pica Europa riesce ad avvertirlo. Si torna, un salto nel vuoto e scendonell’umidità del sottobosco. La notte ar-riva presto nei tropici ed è meglio non far-si sorprendere. I riferimenti lungo il sen-tiero sono pochi con la luce, figuriamocial buio....●

Un coloratissimo miriapode diforesta in atteggiamento di difesa.

(foto Aberlenc)

Una brookesia,il camaleonte terricolo più piccolo oggi conosciuto.

(foto Setsumasha)

Coleottero dinastide del gen. Oryctes,assai comune nelle foreste malgasce. (foto Setsumasha)

Per mancanza di suoli profondi in

cui affondare le radici,questo gigante si devesostenere grazieall’appoggio di un largoapparato radicaleaereo, su cui ha trova-to ospitalità una bro-melia epifita.

(foto Curletti)

In marcia di avvicinamento alla foresta sfuttando, ove

possibile, lo spazio libero offerto dalla spiaggia. (foto Aberlenc)

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BOTANICA

di Daniele Castellino, foto e testo

Nel passato gli alberi godevano di un'al-ta considerazione in ogni parte del mon-do: erano rispettati, curati e spesso si at-tribuivano loro significati che trascende-vano la realtà. Con il tempo questo rap-porto è mutato: lo sviluppo dell’agricoltu-ra ha determinato la scomparsa delle fo-reste planiziali delle regioni temperate epoi l’urbanizzazione ha allontanato le gen-ti dalle campagne e le menti dai ritmi na-turali. Oggi l'atteggiamento di molti uomi-ni nei confronti degli alberi è tale da giu-stificare il titolo di questo articolo, non so-lo per la deforestazione delle zone tropi-cali, argomento più o meno superficial-

mente noto a tutti, ma anche per quelloche succede a casa nostra, nelle città enelle campagne. Negli ultimi decenni ilmanto forestale della nostra regione è ineffetti cresciuto, incendi e speculazioni e-dilizie permettendo, per via dell'abban-dono delle zone collinari e montane. Lamigliore tutela dei boschi è costituita nontanto da una scelta razionale dell'uomoquanto dalla scarsa remuneratività del lo-ro sfruttamento legata soprattutto alle dif-ficoltà di accesso. Per gli alberi delle zo-

ne intensamente abitate di pianura e dicollina il discorso è diverso: qui, a parte ipioppeti artificiali ben diversi da un verobosco, gli alberi e le siepi ai bordi dei cam-pi vanno scomparendo. E' un'uscita discena graduale, silenziosa e difficile dapercepire: dopo il rumore momentaneodelle motoseghe in azione ancge i ceppiben presto scompaiono e dove c'eranol'ombra e la siepe restano la terra e la pol-vere. Anche il ricordo svanisce nel tem-po. Da sempre gli uomini si procurano la

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legna ma oggi sembra che esistano so-lo buone ragioni per abbattere gli alberi enessuna per piantarne di nuovi. In pas-sato, per fare ombra ai viaggiatori, veni-vano allevati lunghi filari di tigli, platani,olmi ai lati delle strade; oggi quegli albe-ri sono un ostacolo all’allargamento del-le strade e un pericolo per i mezzi che de-vono correre sempre più numerosi e ve-loci (l’ombra non serve se c’è il condizio-natore). I grandi viali che che si diparti-vano a raggiera da Torino verso tutte le

direzioni sono spariti quasi del tutto. Vici-no alle case gli alberi creano solo fastidi:le loro foglie intasano le grondaie, l'om-bra è indesiderata, sono ricettacolo di in-setti e il loro abbattimento quando sonoalti è problematico: tutte buone ragioni pereliminarli. Paradossalmente anche neiparchi pubblici i grandi alberi possono di-ventare di troppo: se è vero che gli e-semplari più vecchi e malati possono co-stituire fonti oggettive di pericolo e cometali vanno rimossi e sostituiti (è stato il ca-

so, per esempio, del grande pioppo del-la Cascina Vallere) sono purtroppo fre-quenti le potature selvagge e le elimina-zioni indiscriminate. Ma è soprattutto nel-la campagna coltivata che gli alberi stan-no vivendo la loro più brutta stagione, nel-l'ambito di un grave processo di riduzio-ne generalizzata della biodiversità. La fo-resta, scomparsa come tale da tempo, a-veva lasciato sul territorio una improntatenace e preziosa: le siepi, i filari ed i gran-di esemplari di alberi (olmi, frassini, cilie-gio, carpini, aceri, pioppi neri, farnie, ro-veri), i boschetti residui e le fasce gole-nali costituivano fino a pochi anni orsonouna rete preziosa dove erano presentiquasi tutte le specie vegetali e molte di

Da sinistra: quercia, platano e bosco prealpino

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quelle animali originarie a garanzia dellacontinuità e della diversità biologica. Og-gi gli ultimi relitti della antica foresta pla-niziale non compresi in aree protette, (co-me ad esempio il quasi sconosciuto Bo-sco di Trepellice, tra Vigone e Villafran-ca, ridotto a poche decine di grandi quer-ce) sono misera preda delle motoseghe.Gli agricoltori si sono adeguati anch’essial moderno credo finanziario e si com-portano (al pari di tutti, d'altronde) con laterra, le piante e gli animali come se il fu-turo e la nostra stessa esistenza doves-sero terminare insieme alla stagione delraccolto o alla scadenza della prossimarata del mutuo. I lavori non immediata-mente redditizi (quali pulire i fossi e po-tare le siepi) devono essere eliminati eoccorre guadagnare gli ultimi spazi mar-ginali per le colture intensive. Gli alberi ele siepi sono un intralcio per le lavorazio-ni del terreno, fonte di ombra e sottratto-ri di spazio, quindi vanno eliminati. Le stra-de poderali devonoessere allargateper fare pas-

sare macchinari sempre più grandi e gliappezzamenti a monocoltura, veri desertiartificiali, si estendono a perdita d'occhio.Piantare alberi non dà profitto immediatoquindi, salvo rare eccezioni, agli abbatti-menti non seguono le sostituzioni. La co-sa è particolarmente grave per le specieautoctone a crescita lenta e di maggiorepregio (querce, ontani, etc.) che vengo-no soppiantate da essenze a rapido svi-luppo e spesso importate (robinia, ailan-to). Con i mezzi attuali abbattere e a-sportare un grande albero comporta po-che ore di lavoro; la sua crescita richiedeinvece molte decine di anni e, anche sela cosa può suonare strana ai cultori del-la tecnologia, non esistono scorciatoie; èmolto più facile e rapido ricostruire un pon-te, uno stabilimento o una rete informati-ca piuttosto che un albero. I pochi amicisu cui gli alberi possono contare oggi so-no per la maggior parte cittadini che, sof-frendo l'ambiente urbano quale esso è at-tualmente, vorrebbero più alberi. Si trat-ta però, spesso, di un desiderio che nonva oltre la concezione ricreativa della pas-seggiata domenicale o il vagheggiamen-to della foresta conosciuta virtualmenteattraverso il mezzo televisivo. I cittadini

non vivono né, spesso, co-noscono gli aspetti eco-

nomici legati allamoderna agricoltu-ra se non utilizzan-done più o meno

consapevol-mente e indi-scr iminata-mente i pro-

dotti. Il sogno e il desiderio di evasione“verde” del cittadino si scontrano con imoventi economici generali e di chi vivedel "verde". Le amministrazioni pubblichesi comportano in modo contradditorio: dauna parte incentivano le aree protette, dal-l'altra finanziano operazioni, quali la ce-mentificazione dei piccoli corsi d'acqua,portatrici di enormi danni attuali e futuri.All'estero troviamo nazioni con situazionipurtroppo anche peggiori della nostra maanche paesi, come quelli del Nord Euro-pa, dove il rispetto per le piante fa partedella cultura comune: le campagne sonocostellate da alberi di grandi dimensioni,le case convivono con il verde ed esisto-no ampi boschi non degradati nelle im-mediate vicinanze delle metropoli. Nellanostra mentalità sta diventando scontatala distinzione fra luoghi dove l'Uomo vivee produce e "santuari dove esiste anco-ra la Natura"; questo modo di vedere e-sprime la dicotomia gravissima che di-verse componenti della nostra cultura (re-ligione, letteratura, tecnologia, finanza),attraverso percorsi diversi ma convergenti,hanno contribuito a creare fra l'umanità eil resto del sistema vivente. La ricompo-sizione di questa frattura ideologica è es-senziale per tutti noi e, naturalmente, la"questione alberi" è solo una tessera diun complesso mosaico in cui però ogniparticolare è essenziale. Oggi si rischiadi ridurre gli alberi alla condizione aber-rante di "esseri da zoo", confinati in oasidove la loro esistenza viene sfruttata ascopo ricreativo. Si tratterebbe di una per-dita gravissima sotto tutti gli aspetti: eco-nomico, sociale e culturale. Quando, se-guendo l'esempio degli adulti, non vi saràpiù un bambino capace di riconoscere i-stintivamente un amico in un albero mae-stoso e frusciante e di provare sicurezzaal tocco della sua ruvida corteccia saràtriste e tardi.

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Quercia

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Tentare un conto economico sia pure semplificato, ma comunquesignificativo, relativo alla eliminazione degli alberi e delle siepi dal-le campagne può contribuire ad una valutazione più oggettiva delproblema. Una quercia di dimensioni medio grandi (età dai 40-50anni in su, ormai rare) venduta “in piedi” procura al proprietario unricavo lordo di circa 80-100 €. Il ricavo può essere maggiore se siprovvede in p roprio, con molto lavoro (provare per credere), al-l'abbattimento e alla sezionatura dei tronchi. Sono cifre piccole manon trascurabili se si pensa al numero di alberi che costituisconoanche un singolo filare. L’eliminazione degli alberi e delle siepi sudue lati di un appezzamento campione di un ettaro (10.000 m2)determina un guadagno di superficie coltivabile fra 200 e 400 m2,cioè del 2-4 % sul totale del campo. Si è stimata una larghezzadella fascia di 1-2 m e si sono considerati solo due lati in quantole siepi di solito sono comuni agli appezzamenti adiacenti. La col-tura del mais, la più diffusa nelle nostre pianure, dà un ricavo me-dio lordo per ettaro di circa 1000-1300 € (circa 160 q/ettaro di gra-

nella umida a 7 €/q; queste cifre variano da un anno all’altro ma,in virtù della globalizzazione dei mercati sono tendenzialmente inribasso). L’incremento di ricavo ottenibile con l’eliminazione dellealberate varia quindi dai 20 ai 50 € lordi per ettaro, da cui, per ot-tenere il profitto, andranno dedotte le spese, proporzionali alla su-perficie. Un risultato piuttosto modesto. Inoltre non si sono consi-derati il minore introito che potrebbe provenire dalla gestione ocu-lata del legname (abbattendo gli alberi maturi e rimpiazzandoli) e,soprattutto, i danni derivanti dalla riduzione della biodiversità. E’noto da tempo che la monocoltura accompagnata dall'eliminazio-ne delle specie spontanee non è sostenibile per tempi lunghi. Sihanno impoverimento del terreno e proliferazione di infestanti e diparassiti che si cerca di contrastare con l’uso di prodotti chimici disintesi. Le tendenze più moderne dell'agronomia mirano invece alripristino di un equilibrio fra le specie viventi: il calcolo economiconon limitato al breve e brevissimo termine porta inevitabilmente aduna scelta del genere.

Qualche considerazione economica

Faggio in Val Elvo

Bosco mistoCeppaia

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BOTANICA

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RSovente, nel corso del tempo, le pianteornamentali hanno suscitato passionideliranti, capaci di distruggere ingenti

fortune, e, talvolta, vite umane. La “febbre” dei tulipani, esplosa

nell’Olanda del ‘600, e quella altrettantoeffimera per le dalie, nella Francia della

prima metà dell’Ottocento, sonocertamente esempi significativi di queste

sconcertanti pulsioni. Tuttavia le orchideeesotiche detengono il primato per

avere avuto la più intensa eduratura stagione di gloria;

raggiunto il suo apogeo nellametà dell’Ottocento, si protrasse

fino al volgere del secolo,quando queste piante divennero

simbolo di lusso ed esclusività.Arrivarono in un’epoca pervasa da

un’insaziabile passione per le pianteesotiche che interessò soprattutto

nazioni come Gran Bretagna, Paesi Bassie Francia, che possedevano vasti imperi

coloniali.

O

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di Laura Guglielmonefoto di Renato Valterza

La storia inizia in sordina nella seconda metàdel Settecento, quando i primi esemplari, pro-venienti dalle colonie americane ed asiati-che, giunsero negli Orti botanici e nei giardi-ni europei come curiosità o come souvenirsportati da missionari e amministratori colo-niali. All’epoca si avevano idee piuttostoconfuse sulla loro coltivazione e solo al-la fioritura (non sempre ottenuta), ci sirendeva conto della grande bellezza diqueste piante. L’orchidea oggi nota co-me Cattleya labiata, per esempio, giunsein Inghilterra casualmente. Alcuni esemplaridi questa specie furono usati come mate-riale da imballaggio per una spedizione dimuschi e licheni destinati all’orticoltoreWilliam Cattley; incuriosito dal bizzarroaspetto delle piante, le coltivò scopren-done, alla fioritura, l’indubbio fascino!Il personaggio che diede un decisivoimpulso alla moda delle orchidee fu sicu-ramente William Spencer Caven-dish, sesto duca del Devonshire.Si narra che, ad una mostra lon-dinese nel 1833, rimase letteral-mente affascinato da un esemplare infiore di Oncidium papilio. Da quel mo-mento il suo interesse si trasformò in un’in-contenibile passione che, in breve, lo portòa possedere la collezione d’orchidee più fa-mosa d’Europa. Il vero artefice di questa col-lezione fu tuttavia il suo capo giardiniere Jo-seph Paxton, un vero genio dell’orticoltura.Egli ristrutturò il vasto giardino del duca aChatsworth, costruendovi alcune serre, unadelle quali di dimensioni ragguardevoli: circa91 metri di lunghezza, 44 di larghezza e 18d’altezza! Le serre destinate alla coltivazio-ne delle orchidee erano divise in tre sezioni(calde, temperate e fredde), allo scopo di ri-creare le condizioni climatiche dei loro luo-ghi d’origine, e possedevano un particolaresistema d’areazione. Questi accorgimenti ri-sultarono decisivi nella loro coltivazione e an-cora oggi sono ampiamente utilizzati.L’interesse per le orchidee aumentò rapida-

CHIDEEPassione sfrenata

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In alto a sinistra: varietà di Dendrobium formosum;in basso a sinistra: un esemplaredel genere Renanthera;a destra: un ibrido tra vari generi di orchidee

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Furono coinvolti i personaggi più di-sparati; non solo botanici di profes-sione, ma anche facoltosi appassio-nati dotati d’innegabile coraggio e av-venturieri di pochi scrupoli assoldatida avidi collezionisti. Si crearono cu-riose alleanze tra l’aristocrazia dell’e-poca e individui considerati perso-naggi poco raccomandabili. Cercareorchidee si rivelò un’impresa soven-te fatale e forse per questo di gran-de fascino; numerosi cacciatori furo-no uccisi dalla febbre gialla, dalla ma-laria, alcuni si trasformarono in trofeiper i cannibali o prede di svariatecreature come giaguari, serpenti ve-lenosi o altrettanto micidiali artropo-di! Solo per fare qualche esempio:William Arnold annegò durante unaspedizione sul fiume Orinoco, il suocollega e contemporaneo Schroedermorì in Sierra Leone, Falkenbergmorì a Panama, David Bowman morìa Bogotà per dissenteria e GustaveWallis di febbri in Ecuador. Klabockfu ammazzato in Messico, Brown inMadagascar, Endres a Rio Hacha,Osmers svanì in Asia senza lasciar

traccia.Nacquero i primi grandi vivaispecializzati come Black &Flory, Stuart Low & Co.,McBean’s, Sander & Son.

Sander, celeberrimo col-tivatore di quel tem-

po, possedeva ses-santa serre nellasua proprietà diSt. Albans. Perassicurarsi uncontinuo rifor-nimento as-

mente e l’aristocrazia dell’epoca vit-toriana scoprì il fascino delle pianteesotiche; collezionarne il maggior nu-mero divenne quasi un obbligo so-ciale. A quell’epoca, tuttavia, le or-chidee esotiche disponibili in Inghil-terra e nel resto d’Europa erano in-sufficienti a soddisfare le richiestesempre crescenti. A far aumentarevertiginosamente le richieste contri-buiva anche l’elevatissima mortalitàdelle piante coltivate, conseguenzadi tecniche di coltivazione assoluta-mente inadeguate. Nel 1850 il diret-tore dei giardini botanici di Kew, e-sasperato dal susseguirsi degli in-successi, affermò che l’Inghilterra e-

ra “la tomba delleorchidee tropica-li”. La ricerca dinuovi esemplari

toccò i più sperdu-ti angoli di foresta

tropicale d’Africa, A-merica ed Asia.

sunse ventitrè cacciatori che spedìovunque si sospettava vi fosseronuove orchidee. Tra i suoi cacciato-ri sicuramente uno dei più celebri fuil ceco Benedict Roezl, che durantei suoi viaggi attraverso l’America La-tina scoprì circa ottocento nuove spe-cie d’orchidee. Nato a Praga nel1824, fu considerato un personaggiodi notevole fascino; portava un unci-no al posto della mano sinistra per-duta in un incidente occorsogli all’A-vana durante la presentazione di u-na nuova macchina per sfibrare lacanna da zucchero. Vanto di questoraccoglitore fu di aver inviato in Eu-ropa in un solo carico ben otto ton-nellate di piante. Non divenne mairicco, ma ebbe la fortuna, piuttostorara per quelli come lui, di morire nel

A sinistra: Angraecum eburneum,un’orchidea endemicadell’Isola di Reunion, cherichiama insetti notturnicon il vessillo bianco.A destra: PaphiopedilumLawrenceanum; Paphio-pedilum; Dendrobium cv.“oshin”; Oncidium, sp.

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suo letto e al suo funerale interven-ne addirittura il Kaiser.E’ facile immaginare che non cor-resse buon sangue tra i cercatorid’orchidee anche se conducevano u-na vita solitaria e piena di disagi. O-gni espediente era lecito per depi-stare i potenziali concorrenti, talvol-ta cercatori ingaggiati dallo stessocommittente. Era assolutamente nor-male raccogliere tutto quello che c’e-ra e poi appiccare fuoco alla giunglaper impedire ai concorrenti di racco-gliere lo stesso bottino. Non sempreperò i cacciatori di orchidee erano fo-schi personaggi; Joseph Hooker peresempio, dopo aver raccolto migliaiadi nuove specie e perlustrato il Kan-chenjunga, ritiratosi definitivamentedalle esplorazioni, nel 1865 divenne

La farfalla previstadi Renato Valterza

Nel 1862, Charles Darwin (1809-1882)scrisse On the Various Contrivancesby which British and Foreign Orchidsare Fertilised by Insects, un libro sul-la biologia delle orchidee. Studiandole orchidee del genere Angraecinaeosservò che queste erano impollina-te da insetti specifici. Una di queste,l’Angraecum sesquipedale, del Ma-dagscar, detta anche "Stella di Be-tlemme" ha bellissimi fiori cerati di co-lore bianco/verde di 17 cm e più, a for-ma di stella, con uno sperone lungooltre 30 cm. Darwin osservando i suoifiori, arrivò alla conclusione che do-veva esistere una qualche farfalla (aquel tempo sconosciuta) dotata di u-na proboscide di almeno 30 centime-tri capace di arrivare al poco nettarepresente in fondo al lungo sperone,affinché il fiore potesse essere impol-linato. Questa farfalla è stata scoper-ta molti anni dopo ed è una falena not-turna, la cui sopravvivenza è legataalla presenza dell’Angraecum sesqui-pedale. La distruzione delle forestedel Madagascar e la raccolta di que-sta pianta per fini commerciali sta con-dannando all'estinzione la falena, e diconseguenza, la scomparsa dal suohabitat naturale dell'orchidea. Infatti,se scompare la farfalla, questa pian-ta non può riprodursi, e se scomparela nostra orchidea, la farfalla, laXanthopan morgani praedicta, nonpuò nutrirsi.

direttore dei giardini botanici reali diKew. Durante le sue spedizioni tra-scorse due anni sull’Himalaya, com-pletamente sprovvisto di equipag-giamento da alpinista ad eccezionedi una pesante giacca in tartan e diuna visiera antiabbagliante ricavatadalla veletta di un’amica. Sembra,però, che portasse con se uno scrit-toio da viaggio in quercia massicciae cassettine da toeletta profilate inottone! Sovente in queste spedizioni veni-vano coinvolte le popolazioni indige-ne, come portatori a buon mercato esoprattutto per sfruttare la loro cono-scenza del territorio e della presen-za delle orchidee. Il desiderio di tro-vare sempre più piante spesso pre-valeva sulle norme del vivere civile.In Nuova Guinea, verso la finedell’Ottocento, un cacciatore trovò al-cuni begli esemplari di orchidea checrescevano su resti umani. Raccol-se le piante e le inviò in Inghilterraancora attaccate a tibie e costole.Nello stesso periodo un Dendrobiumbirmano fu messo all’asta dalla casalondinese Protheroe’s insieme al te-schio umano su cui era stato trova-to!Sul finire del secolo si scoprì il mo-do di far germinare i semi delle or-chidee; il loro prezzo diminuì sensi-bilmente rendendole accessibili an-che ai meno ricchi. Un’epoca stavaormai tramontando. Nel 1913, al cul-mine della reazione antivittoriana, lesuffragette distrussero una cinquan-tina di specie d’orchidee, lanciandosassi contro i vetri delle serre diKew. La terribile strage di vite u-mane della prima guerra mondia-le, che dopo poco seguì,segnò la fine di quel-la forsennata maniae l’inizio di un diver-so concetto di colle-zionismo. Oggi sonoancora numerosi icollezionisti di que-ste piante. Purtroppola caccia indiscriminatadell’Ottocento e la cre-scente pressioneantropica, che e-rode senza sosta iloro habitat, hannomesso in serio peri-colo d’estinzione nu-merose specie. Fortu-natamente il commerciod’orchidee è ora regolatodalla normativa CITES (Con-vention on International trade inendangered species of Wild faunaand flora), che impedisce la venditad’esemplari raccolti in natura.

AngraecumSesquipedale

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di Emanuela Celona

La città di Leonia rifà se stessa tut-ti i giorni […]. Sui marciapiedi, avvi-luppati in tersi sacchi di plastica i re-sti della Leonia di ieri aspettano ilcarro dello spazzaturaio […] più chedalle cose che ogni giorno vengonofabbricate vendute comprate, l’opu-lenza di Leonia si misura dalle co-se che ogni giorno vengono buttatevia per far posto alle nuove […] Ag-giungi che più l’arte di Leonia ec-celle nel fabbricare nuovi materiali,più la spazzatura resiste al tempo,alle intemperie, a fermentazioni ecombustioni. È una fortezza di ri-masugli indistruttibili che circondaLeonia, la sovrasta da ogni lato co-me un acrocoro di montagne […]Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi

Procuratevi bottiglie di plastica di variocolore, della rete leggera possibilmen-te a maglia esagonale, filo di ferro, chio-

di, viti, giornali. E poi, martello, forbici,pinze, scotch e tenaglie: insomma tuttigli attrezzi necessari per l’occasione.Ora potete costruire… una balena!, diplastica, s’intende.Se non siete convinti, provate per cre-dere: o meglio, andate a vedere quellacreata da Corrado Bonomi, mentre dal“mare dei rifiuti” sventola la sua coda inuna sala del Museo “Erre come…”. Ma se amate di più gli animali “terreni”,con giornali, cartone, filo di ferro, pignee frutta secca potete dare vita a un sim-patico scoiattolo oppure, con l’aggiun-ta di legno, lana, cotone e stracci co-struire un piccolo gregge di silenziosepecorelle. Se poi prediligete animali “ce-lesti”, con tre bottiglie d’acqua traspa-renti, un po’ di fil di ferro, e un piccolocero, vi troverete in un “batter d’ali” u-na lucciola tra le mani. L’importante è

PROSSIMA

LEO

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RIFIUTI

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trovare i materiali “giusti”, rigorosamentenel cassonetto dell’immondizia. È que-sto il messaggio del Museo che, dal ’97,seguendo il “motto” di conoscere e gio-care con i rifiuti, svolge un intenso pro-gramma di educazione ambientale de-stinato alle scolaresche, ma non solo.“Il nostro Museo si rivolge al visitatoredi ogni età preponendo insegnamenticulturali di massa”, spiega il direttoreCarlo De Giacomi. “Per questo, nellanuova sede in allestimento e pronta perla prossima primavera, abbiamo pen-sato di unire al tema dei rifiuti, quellodell’acqua e dell’energia. In modo da a-vere un unico grande museo dell’am-biente, che stiamo appunto pensandodi chiamare MA [Museo Ambiente ndr],che possa assolvere al compito più ‘at-tuale’ che ha da sempre contraddistin-to anche ‘Erre come’: e cioè interveni-

re sul comportamento del visitatore eproporgli migliori ‘pratiche’. Qui abbia-mo percorsi didattici studiati e costruitiper i più piccoli, dove si riserva moltaattenzione al gioco e si interagisce conloro attraverso laboratori manuali conmateriali poveri [ad esempio la costru-zione degli animali di Bonomi ndr]; men-tre per i più grandi sono stati ideati an-che laboratori scientifici, in grado di stu-diare le caratteristiche dei materiali.Grazie alla collaborazione con oltre 40aziende piemontesi che smaltiscono alMuseo diversi scarti di materiali, siamoin grado di alimentare Re Mida, un cen-tro di riciclaggio creativo che forniscealle classi ‘materie prime’ con le qualilavorare e inventarsi nuovi progetti le-gati ai rifiuti. Sono più di 100 i labora-tori che siamo in grado di offrire: ciò si-gnifica un centinaio di programmi perstimolare la fantasia attraverso ‘ma-gazzini di idee materiali’, come amiamodefinirli, dove poi ognuno è libero dimuoversi e creare cosa gli suggeriscela propria immaginazione”. In effetti, seguendo una classe mater-na al “lavoro”, è facile comprendere leparole del direttore. I bimbi interagi-scono con i rifiuti: guardandoli attraver-

STAZIONE:

NIA

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so un vetro; calpestandoli dentro uncerchio; attraversando giganteschisacchi di immondizia appesi; toc-candoli con le mani. Poi è il mo-mento della fantasia: giunti nell’iso-la di Billabong, popolata da anima-ri (animali rari), tutti cercano di in-dovinare a quali specie apparten-gano gli esemplari che hanno da-vanti agli occhi: per metà animali eper metà rifiuti. “Perché quel pesceè fatto con un barattolo di detersi-vo?”, chiede qualcuno. “Perché lobeve!, risponde il paziente accom-pagnatore, visto che molti rifiuti fini-scono nel mare”. “Perché il cormo-rano ha una marmitta al posto del-la coda?” “Perché beve il petrolio!”è la risposta. “E lo sapete quanto cimette un rifiuto a scomparire? 1000anni solo un pezzo di polistirolo… Equanti di voi mangiano le patatine?E chi butta il sacchetto di plasticaper terra… ?”.I bambini ascoltano, interessati esorpresi da ciò che stanno sco-prendo. Ma anche noi più grandi, non ab-biamo tempo di annoiarci. Incurio-siti dalle sculture colorate che tro-neggiano un po’ ovunque all’internodel Museo, seguiamo un percorso“libero”, facendo funzionare un mo-dello di inceneritore; “pesando”, concorde e carrucole, sacchetti di rifiu-ti domestici differenziati; conoscen-do le caratteristiche del vetro, del le-gno, dell’alluminio, della carta, del-la plastica e del compost; imparan-do a fare la spesa anche dagli eco-imballaggi. Dulcis in fundo, attraversiamo il cor-ridoio del “tatto e degli altri sensi”dove, dietro un nero telone, si sno-da un percorso tra stracci appesi ebottiglie di plastica e vetro sparseper aria e per terra, che conduce al-la discarica di Torino, in via Germa-gnano: per la verità è un filmato, mal’effetto è prorompente. Un sottotitolo recita: “Oggi producebiogas [… ma] diventerà una colli-

na con verde e alberi una volta e-saurita”. Gli spunti di riflessione certo nonmancano. Uscendo dal Museo, la-sciamo alle spalle il “totem dellaquantità”: nel 2000 abbiamo pro-dotto il 3,1% di rifiuti in più rispettoal 1999. Con questo ritmo di cresci-ta, in 10 anni ne avremmo unaquantità che raggiungerà in altezzail Monte Bianco… e allora forse ri-schieremo di diventare una Leonia,visibile e reale.

Il museo“Erre come…” conta una media

di 35.000 visitatori l’anno ed è l’u-nico museo europeo permanentesui rifiuti. Una realtà analoga esi-ste negli USA, nel New Jersey. Il Museo attualmente è presso laCasa dell’Ippopotamo, c.so Casa-le 5, Parco Michelotti, Torino. Info e prenotazioni: tel. 011747101 – 7711272; fax 0117497185; e-mail: [email protected]

Orario:dal lunedì al venerdì dalle 9 alle17 per classi su prenotazione; do-menica per i singoli e le famigliedalle 15 alle 19

Biglietti:dal lunedì al venerdì visita guida-ta per le classi € 2,60 (gratuita pergli insegnanti e accompagnatori fi-no a due per classe). Laboratorisu richiesta € 2,60. Alla domeni-ca: per i singoli € 2,60 (dai 6 ai 18anni); € 3,10 per gli adulti. Labo-ratori €1,60.

Nelle foto: particolari del Museo “Erre come...” (archivio Museo)Nella pagina a fianco, le creazioni di Corrado Bonomi (foto Finotti)

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Dove nasce l’ispirazione per creare soggetti natura-li con materiali sintetici?Mi ritengo un artista alla ricerca dell’anima delle cose u-sate. Nel 1987 è nato il primo esperimento di “scatolet-ta-pesce”. È un tipo di pesce molto diffuso che affiora dal-le nostre pattumiere. Ne esistono diversi tipi a secondadella marca e del contenuto: tonno, sardine, sgombri…ma si distinguono anche per la forma: rotonde, rettan-golari. Se ne mettiamo diverse vicine, avremo un maredi pesci, o di scatolette vuote, o un mare “morto”… Di-pende dal “lettore”, ma l’oggetto ha sempre a che farecon il soggetto riprodotto.

Poi sono venuti i fiori…Su un vecchio annaffiatoio ho dipinto un cactus e mi so-no chiesto: si dirà che ha bisogno di acqua o che ne hatroppa? Ho creato dei fiori con il tipico materiale da giar-dinaggio: vasi, tubi di plastica, anche per “svelare”, in uncerto senso, gli inganni perpetrati al pubblico di massa.Tutta questa plastica che “va” in aiuto agli amici del ver-de, in realtà diventa la prima causa di soffocamento delverde stesso. Mi piace scoprire e rendere visibili gli ele-menti innaturali presenti in natura.

E gli animali del Museo “Erre come…”?Sono arrivati subito dopo. E continuano anche adesso.Nel Museo ho trovato un ambiente favorevole e conge-niale al mio modo di concepire un museo, quale spaziodi aggregazione. Alcuni animali sono opere collettive,create insieme ai ragazzi per i quali divento un direttored’orchestra. Io offro loro un’idea e un metodo per realiz-zarla. Loro aggiungono intuizioni e consigli. Con i piùgrandi si stabilisce “un confronto”, con i più piccoli unoscambio di emozioni.

Dalla natura è passato poi al territorio…Da tempo lavoro sul Fiume Po, incamerando in vasettil’acqua di alcuni dei suoi affluenti e dipingendo soprail tratto del fiume corrispondente. I fiumi vengono poiuniti tra loro in modo da divenire un’unica installa-zione che può riprodurre l’intero corso d’acqua, dal-la sorgente alla foce. È una sorta di “contributo” allamemoria del territorio… modo diverso, per conserva-re un ricordo. Così come con i miei animali e i miei fio-ri, rappresento, in modo “diverso”, la natura. (E. C.)

La naturalità nell’innaturalitàintervista a Corrado Bonomi

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ANIMALI E LETTERATURA

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di Gianni Valente

Il Milione di Marco Polo è consideratoil primo grande libro di viaggi europeoed è un’opera fondamentale per la cul-tura dell’Occidente. Come è noto, l’o-pera racconta il viaggio in Asia di Mar-co Polo, con il padre e lo zio, e la per-manenza in Cina alla corte del GranKhan Cubilai. Il resoconto del viaggio,che durò 24 anni, dal 1271 al 1295, èopera del pisano Rustichello che tra-scrisse il racconto di Marco Polo, suocompagno nel carcere di Genova. L’o-pera, che nella prima versione fu scrit-ta in un francese “gotico” venato di i-talianismi, era originariamente intitola-ta Le Divisament dou monde (Descri-

zione del mondo) ed ebbe un imme-diato ed enorme successo in tutta Eu-ropa. Vediamo un aspetto particolare del Mi-lione, cioè le parti dedicate agli animali.Un aspetto di grandissimo interesseperché Marco Polo fornì descrizioni dianimali che in Europa erano pratica-mente sconosciuti o completamenteleggendari. E poi è un vero piacere leg-gerle, grazie anche al linguaggio: un i-taliano volgare trecentesco, che per noisuona arcaico e strano e che contri-buisce ad esaltare ancora di più l’at-mosfera meravigliosa dell’opera .Iniziamo dunque questa gustosissimalettura da una mirabile descrizione delcoccodrillo: “E in questa provincia (re-

gione a nord dell’attuale Viet-nam, n-dr) nasce lo gran colubre (coccodrillo,ndr) e l’gran serpente, che sono sì i-smisurati, ch’ogni uomo se ne dovreb-be maravigliare. Egli sono molto orri-bile cose a vedere: e sappiate ch’eglive n’ha per vero di quelli che sono lun-ghi dieci gran passi, e sono grossi die-ci palmi; e questi sono li maggiori. Eglihanno due gambe dinanzi presso al ca-po, e gli loro piedi sono d’una unghiafatta come di lione; e il celfo è moltogrande, e lo viso è maggiore ch’un granpane; la bocca èe tale, che bene in-ghiottirebbe un uomo al tratto, egli haegli denti grandissimi, ed è si smisura-tamente grande e fiero, che non è uo-mo o bestia che nollo dotti (tema, ndr)

Il meravigMadi

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e non n’abbia paura”.Marco Polo fornisce anche una de-scrizione del rinoceronte che chiamaunicorno. “Egli hanno leonfanti (elefanti,ndr) assai salvatici, e unicorni che nonsono guari minori che leonfanti. E’ so-no di pelli di bufalo, e piedi come leon-fanti. Nel mezzo della fronte hanno uncorno nero e grosso: e dicovi che nonfanno male con quel corno, ma con lalingua, chè l’hanno ispinosa tutta quan-ta di spine molto grandi. Lo capo han-no come di cingharo, la testa porta tut-tavia inclinata verso terra; e istà moltovolentieri con li buoi (nella versionefrancese: nel fango; probabile errore ditraduzione, ndr): ella è molto laida be-stia a vedere. Non è, come si dice di

lioso bestiario rco Polo

giochi del circo. Plinio il Vecchio, nellasua opera Naturalis historia, lo cita edice “che si vede spesso” e ne forni-sce una breve descrizione “Ha la stes-sa lunghezza dell’elefante, le zampemolto più corte, il colore del bosso”. I-noltre il rinoceronte è raffigurato in ma-niera molto realistica nei mosaici ro-mani della Villa del Casale di PiazzaArmerina in Sicilia, rinvenuti alla luceall’inizio del ‘900. Dopo la cadutadell’Impero Romano si perse la cono-scenza di questo animale, fino prati-camente alla descrizione di Marco Po-lo che però non servì a dissipare l’alo-ne di leggenda. Lo stesso nome che ilviaggiatore veneziano diede al rinoce-ronte, unicorno, contribuì a mantenere

qua, ch’ella si lasci prendere alla pul-cella (da una vergine, ndr), ma il con-tradio”.Questo brano fornisce lo spunto ad al-cune riflessioni. Innanzitutto si può no-tare come, ad una presentazionemorfologica dell’animale tutto somma-to abbastanza veritiera, si accompa-gnino osservazioni bizzarre e del tuttofantastiche sulla sua pericolosità e sulmodo di catturarlo. Comunque questadescrizione del rinoceronte ha una no-tevole importanza storica perché que-sto animale era sconosciuto nel Me-dioevo. Curiosamente il rinoceronte e-ra invece ben noto in epoca romanapoiché esso faceva parte della schie-ra degli animali che partecipavano ai

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la confusione tra mito e realtà. Do-vranno passare ancora un paio di se-coli prima che il rinoceronte esca dal-la mitologia e venga conosciuto in Eu-ropa. (Piemonte Parchi ne ha parlatonel n. 103/2001).Ma torniamo a Marco Polo e alle pagi-ne dedicate agli animali. Realistica, mamolto suggestiva è questa descrizionedella giraffa. “E si hanno giraffe moltobelle, e sono fatte come io vi dirò. Ellehanno coda corta (nella traduzionefrancese: busto corto; probabile erroredi traduzione, ndr) e sono alquantobasse di dietro, chè le gambe di dietrosono piccole e le gambe dinnanzi e ‘lcollo si è molto alto. E sono alte da ter-ra ben tre passi, e la testa è piccola: enon fanno niun male, ed è di colorerosso e bianco a cerchi, ed è molto bel-la a vedere”.Come è noto Marco Polo non passò inAfrica e quindi le informazioni che cifornisce su questa parte del mondo so-no di seconda mano.

Un animale che invece sicuramenteMarco Polo conobbe durante i molti an-ni passati in Asia è la tigre che perònon compare mai esplicitamente nelMilione. E’ tuttavia probabile che, inmolti casi, quando Marco Polo nominail leone intenda in realtà la tigre. Anchequi vale all’incirca lo stesso discorsofatto per il rinoceronte: la tigre era bennota in epoca romana, compare neimosaici di Piazza Armerina e nei testidi Plinio e di altri autori, mentre la suaconoscenza tende a sparire durante ilMedioevo. Pur senza nominarla Mar-co Polo ci fornisce una descrizione diquesto felino, in un lungo e interes-sante brano dedicato alla caccia delGran Khan.“Egli (il Gran Khan, ndr) ha piue lionigrandissimi e maggiori assai che que-gli di Bambellonia: egli sono di moltobel pelo e di bel colore, ch’egli sonotutti vergati per lo lungo (striati, ndr),neri, vermigli e bianchi, e sono am-maestrati a prendere porci salvatichi o

buoi salvatichi, cervi, cavriuoli, orsi easini salvatichi e altre bestie. E si vi di-co ch’egli è molto bella cosa a vederele bestie salvatiche, quando il lione leprende….Egli hae ancora il signore grande ab-bondanza di aguglie (aquile, ndr), col-le quali si pigliano volpi e lievri e dainie cavriuoli e lupi; ma quelle che sonoammaestrate a lupi, sono molto gran-di e di grande podere, ch’egli non è sigrande lupo che iscampi dinnanzi aquelle aguglie, che non sia preso”.Le grandi cacce, con la presenza di mi-gliaia di falconieri e di numerosi ele-fanti, possono sembrare incredibili aigiorni nostri, ma all’epoca dovettero es-sere piuttosto frequenti e quindi le pa-role di Marco Polo sono da ritenersi af-fidabili. Del resto dalle sue pagine tra-spare sovente un atteggiamento reali-stico, in polemica con tradizioni fanta-stiche tramandate da tempi immemo-rabili, come, ad esempio, in questo ac-cenno ad una antica e diffusa creden-

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za: “La salamandra non è bestia comesi dice, che viva nel fuoco, chè niunoanimale può vivere nel fuoco”. Tuttavia Marco Polo non si libera deltutto dalla mentalità dell’epoca e quin-di non di rado riporta descrizioni fan-tastiche e irreali, come dimostra il bra-no che segue. “Dicono certi mercantiche vi sono iti (in Africa nord-orientale,ndr), che v’ha uccelli grifoni, e quegliuccelli appariscono certa parte dell’an-no; ma non sono fatti come si dice diqua, cioè mezzo uccello e mezzo leo-ne, ma sono fatti come aguglie e sonograndi com’io vi dirò. E’ pigliano lo leon-fante, e portanlo suse nell’aiere, e po-scia il lasciano cadere, e quegli si di-sfà tutto, e sopra si pasce (sottinteso ilgrifone, ndr) sopra lui. Ancora dicono,coloro che gli hanno veduti, che l’alieloro sono si grande che cuoprono ven-ti passi, e le penne sono lunghe dodi-ci passi, e sono grosse come si con-viene a quella lunghezza….Quegli di quella isola (l’Africa nord-o-

rientale erroneamente definita isola, n-dr) si chiamano questo uccello “ruc”,ma per la grandezza sua noi crediamoche sia uccello grifone”.Quest’ultimo brano è particolarmenteinteressante per svariati motivi. Innan-zitutto in questa leggenda dell’uccellorapace gigantesco confluiscono curio-samente varie tradizioni: da quella gre-ca del grifone, a quella indiana di Ga-ruda, a quella araba del ruc. Ad e-sempio, Sinbad il marinaio, nel corsodelle sue celebri avventure, si imbattenel ruc e confonde il suo uovo addirit-tura con una cupula.Inoltre in questo brano si evidenzia be-ne l’ambivalenza dell’atteggiamento diMarco Polo: da un lato afferma per duevolte che le notizie sul grifone sono ri-portate da altri e non si basano sullasua esperienza diretta, dall’altro sem-bra però implicitamente credere all’e-sistenza dell’animale. E’ questa in uncerto senso l’essenza di tutta l’operadi Marco Polo: una commistione tra il

resoconto razionale della realtà os-servata e il racconto fantastico di leg-gende ritenute veritiere In ogni casosi tratta di una commistione che ha rap-presentato un grande passo avanti perle conoscenze dell’epoca. E che ancheoggi può essere apprezzata perquell’entusiasmo giovanile e per quelsenso del meraviglioso che traspare inogni pagina del Milione e che ha sem-pre rappresentato un godimento perl’uomo di tutte le epoche.

Le immagini di questo articolo sono tratteda: Marco Polo, Il libro delle meraviglie, Co-dice miniato della Bibliotèque nazionale deFrance, Marietti, 1820. Riproduzioni di Ga-briele Mariotti. Si ringrazia la Biblioteca ci-vica centrale di Torino per la gentile colla-borazione.

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ANIMALI TOTEMICI

di Patrizia Rossi

“Avevo bisognoTi ho privato di bellezza, grazia e vita,Ho preso il tuo spirito dalla tua spoglia terrenaMai più correrai libero, a causa del mio bisognoAvevo bisognoNella tua vita, sei stato utile ai tuoi si-mili, con la tua vita io sarò utile ai mieifratelli e sorelleSenza di te, sarò nulla, sarò perdutoAvevo bisognoDammi la tua carne e la tua forza,dammi il tuo mantello per protegger-mi, le tue ossa per i miei attrezziE non avrò più bisogno

Preghiera Ojibwe, a un cervo abbattuto

Secondo i Nativi Americani la vita èsacra, ma lo è anche la morte: ogniprocesso, uccidere, mangiare, defe-care, non è altro che un rimettere incircolo, un “riciclare” come diciamonoi oggi. Un loro principio importan-te, logico secondo una prospettiva ditotale uguaglianza, è che ogni esse-re merita di vivere: questo porta adun paradosso, specialmente nei con-fronti del cervo. Infatti, perché gli u-mani possano vivere, alcuni cervi de-vono morire. Quindi, un tema ricor-rente nelle storie dei Nativi America-ni sul cervo è il tentativo di ricomporrequesta contraddizione. Se la dispo-nibilità dei cervi fosse data per certa,essi sarebbero ingiustificatamentesminuiti come esseri viventi, si sen-tirebbero insultati e così rifiuterebbe-ro di darsi agli umani. Il sottile mes-saggio è che anche il cervo può farele sue scelte. Invece del punto di vi-sta antropocentrico che fa dire al cac-

La morte com

Disegno di C. Girard

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ciatore “oggi non ho cacciato bene” c’èl’umile riconoscimento che il mondo hai suoi propri disegni, indipendenti dainostri desideri. Un cacciatore pelleros-sa dirà invece: “Il cervo non vuole mo-rire per me, oggi”. Una storia Ojibwe èmolto chiara in proposito.

I cervi erano spariti dalla terradegli Anishnabeg, il Primo Popolo, e gliUmani vagavano per il mondo cer-candoli. Gufo, che spesso predice ilfuturo, trovò tutti i Cervi in un gran-de recinto lontano a nord. Pascola-vano tranquilli come se nulla fosse.Gufo, curioso, volò giù per interro-gare i Cervi, ma uno stormo diCorvi lo cacciò via. Quando Guforiferì agli Umani la situazione deiCervi, essi formarono un grandeesercito di guerra per riscattarli.Gufo li guidò fino al recinto, ma

me dono di vitaqui furono attaccati ferocemente daiCorvi. La battaglia infuriò per giorni egiorni, senza alcun segno di vittoriada entrambe le parti. Intanto i Cervinon fecero nessun tentativo di fuga,soltanto osservavano. Finalmente il

Capo degli Umani propose una tre-gua, rendendosi conto che con-tinuare avrebbe richiesto altret-tante perdite nelle schiere degli

Umani che in quelle dei Corvi. I Cor-vi risero del fatto che gli umani aves-sero avuto bisogno di imparare la le-zione in un modo così difficile. Allorail Capo degli Anishnabeg chiese aiCervi perché non fossero interessatiper nulla al tentativo di liberarli, cheoltretutto era costato così tante per-dite. Il Capo dei Cervi rispose che es-si erano lì per scelta, i Corvi li tratta-vano molto meglio degli Umani. Gli u-mani avevano sprecato la loro carne,distrutto le loro terre, disprezzato leloro ossa. Essi avevano disonorato icervi e quindi disonorato loro stessi.“Senza di voi noi possiamo viveremolto bene. Ma senza di noi voi mo-rirete”. Gli Anishnabeg promisero dinon offendere mai più la vita, la mor-te e lo spirito del Cervo, e così i Cer-vi seguirono gli Umani tornando nel-le loro terre. Ancora oggi si onoraquesto antichissimo e sacro trattato.E’ impensabile dimenticare da doveha origine la vita: dal dono di sé stes-so del cervo.

Anche il Popolo Wintu dellaCalifornia Settentrionale pensa che lacattura di un cervo dipenda sì dall’a-bilità, dalla preparazione e dal rispet-to, ma che l’elemento decisivo siasempre la scelta fatta dal cervo. Sel’uomo non dimostrerà umiltà, grati-tudine e cortesia e non eviterà lo spre-co, il cervo non si farà vedere la vol-

ta successiva. I Cherockee pensanoche questo succeda anche quando iriti della caccia non sono celebrati inmodo sincero.

Una volta, molto tempo fa,gli umani e i cervi vivevano in pace.Gli umani cacciavano i cervi soloquando avevano bisogno di cibo evestiti. Poi qualcosa cambiò: gli U-mani inventarono arco e frecce: cosìpotevano cacciare da lontano, senzasforzo. Cominciarono ad uccidere piùdel necessario, così gli animali eb-bero paura di essere sterminati, e siriunirono a Consiglio. Gli Orsi feceroarchi ancora più robusti di quelli de-gli Umani ma i loro artigli erano trop-po lunghi per poterli usare e quandosi strapparono gli artigli non poteva-no più arrampicarsi sugli alberi. An-che le schiere degli altri animali si riu-nirono e decisero di combattere gli U-mani ma non ebbero successo. Gliultimi a riunirsi furono i Cervi, il cuicapo era Awi Udsi, Piccolo Cervo. Es-si capirono che non c’era modo di im-pedire agli Umani di uccidere, ma for-se si poteva cambiare il loro modo diuccidere. Piccolo Cervo parlò agli U-mani in sogno e disse loro che do-vevano prepararsi alla caccia permezzo di riti. Essi avrebbero dovutochiedere il permesso di uccidere uncervo, avrebbero dovuto chiedereperdono allo spirito del cervo per a-verlo ucciso. Se non lo avessero fat-to, la carne del cervo li avrebbe resimalati e paralitici. Alcuni Umani pen-sarono che questo fosse solo un so-gno e così divennero malati e parali-tici. Quelli che capirono la lezione delsogno, cioè che ogni cosa dipendeda un’altra, mai più diedero per cer-ta la presenza di un cervo e impara-rono a “rendere grazie”.

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di Enrico Massone

Da più di mille anni la Sacra di SanMichele è un punto di riferimento perla valle di Susa, e non solo. L’Ar-cangelo del Monte Pirchiriano è uni-to in un itinerario ideale di respiro eu-ropeo ad altre due importanti abba-zie a nord e a sud delle Alpi: MontSaint-Michel in Normandia e MonteSant’Angelo sul Gargano.La Sacra è un monumento religiosodi incomparabile bellezza definito dalpoeta Clemente Rebora “culmine ver-tiginosamente santo” ed è pure unmonumento nazionale d’incompara-bile valore, riconosciuto da un’appo-sita legge come “monumento sim-bolo del Piemonte per la sua storiasecolare, per le testimonianze di spi-ritualità, di ardimento, d’arte, di cul-tura e l’ammirevole sintesi delle piùpeculiari caratteristiche che può of-frire del Piemonte, nonché per la suaeccezionale collocazione e visibilità”.Nel corso del tempo la Sacra ha co-nosciuto momenti di gloria e periodidi decadenza: caposaldo della me-dievale via Francigena, dopo seicentoanni di vita benedettina fu abban-donata per due secoli, ma già nellaprima metà dell’Ottocento si avviò laripresa che le restituiva l’antica inte-grità. Nel 1836 Carlo Alberto di Sa-voia ottenne che il Papa affidasse ilsacro complesso ai Padri Rosminia-ni che lo custodiscono tuttora. Tra le pagine più significative dellasua storia più recente troviamo la vi-sita-pellegrinaggio di Papa GiovanniPaolo II nel ‘91, la citata legge re-gionale n. 68 del ‘94, la realizzazio-ne di un progetto di rinnovata ac-cessibilità nel rispetto della sicurez-za e dalla conservazione (Giubileo2000) e l’illuminazione esterna cheha trasformato l’intero complesso inun segnale di orientamento, concre-to e simbolico, di straordinario fasci-no.Nell’ultimi anni, istituzioni pubbliche,enti privati e singoli cittadini hannointrapreso concrete azioni per la tu-tela e la valorizzazione della Sacra.Innanzi tutto l’opera delle Soprinten-denze con studi mirati e indispensa-bili interventi di restauro, poi la qua-lificazione dell’ambiente circostantecondotta dalla Regione e un intensosusseguirsi di iniziative culturali, rea-lizzate anche grazie alla presenza dinumerosi volontari, come il riordinoe il potenziamento della biblioteca, laschedatura dei libri, un qualificato ser-vizio di accoglienza e di accompa-gnamento con visite guidate al mo-

Il faro San Mitra angeli e

VALLI OLIMPICHE

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diichele

e pellegrini

nastero vecchio, l’attenta cura litur-gico-religiosa dell’antico santuario mi-caelico e l’organizzazione di mostre,incontri, convegni e concerti.

Paesaggio e sacralitàL’undicesimo convegno sacrense chesi terrà alla Sacra di San Michele il13 e il 14 settembre, sarà dedicatoal paesaggio e alla sacralità e svi-lupperà tematiche di grande attualitàcome il rapporto paesaggio/religio-ne, le relazioni esistenti fra ‘paesag-gio, cultura, conservazione’ ed altriaspetti legati al territorio e alle sueproblematiche come ‘la tutela e lapianificazione: quali paesaggi per lavalle di Susa e il Piemonte?’ Il con-vegno si concluderà con una tavolarotonda fra i responsabili della pro-mozione, sviluppo e tutela dei Mini-steri e della Regione.Nel pomeriggio del 14 settembre,verrà inaugurata la mostra di stam-pe antiche, curata da Alfredo GilibertLa Sacra vista da lontano e presen-tati:- il libro La Sacra di San Michele

1991-2001, Daniela Formento,responsabile regionale Musei epatrimonio culturale.

- gli Atti X Convegno Europa cri-stiana e democrazie liberali,Giampietro Casiraghi, Universitàdel Piemonte Orientale

- CD ROM La Valle di Susa, a cu-ra di Franco Ferrero, direttorePianificazione e gestione urba-nistica Piemonte.

Inoltre: Alla scoperta del paesaggiodi un’Abbazia medievale e del pae-saggio gastronomico di una Vallepreistorica: passeggiata esplorativacon assaggi, a cura dell’Associazio-ne volontari della Sacra.

Serata in Basilica: Concerto con laSchola Gregoriana di Cremona.(Il programma aggiornato dell’inizia-tiva è sul sito Internet:www.sacradisanmichele.como telef. 011 939130) ●

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di Enrico Massone

Computer, Internet e spostamenti sem-pre più rapidi, cambiano il nostro mo-do di vivere. Invece, nei luoghi sacri iltempo e lo spazio conservano un valo-re diverso dall’ordinario. Che cosa cer-ca il credente lontano da casa?Non è facile rispondere. Le motivazioni so-no complesse e le esperienze scelte, dif-ferenti da persona a persona. Penso chepesino una serie di ragioni: interrompereper un po’ di tempo la “corsa quotidiana”,cercare luoghi sacri perché diversi da quel-li di ogni giorno, o perché ricordano mo-menti dell’infanzia e epoche passate.C’è chi cerca oasi dove potersi fermare insilenzio, c’è chi vuole essere in compagniadi monaci o monache per partecipare allaloro preghiera e alla loro vita; c’è in tutti ildesiderio di condividere la propria visionedella vita. Alcuni, e non sono pochi, han-no bisogno di parlare perché stanno vi-vendo momenti difficili nella loro e-sistenza. Infine credo che ci siaun forte desiderio di pregaree di ascoltare la Parola diDio letta e commentata.

Che cosa hanno in co-mune i pellegrini di og-gi e i penitenti del Me-dioevo?Per gli antichi il pellegri-naggio comportava sem-pre una decisione di vitaimportante, da prendereo presa; corrispondeva auna vita vissuta con mol-ta e forte passionalità.La conversione era fre-quentemente posta all’in-terno di un percorso dimarcata evoluzione per-sonale. I moderni sono inogni caso vittime delleleggi socio-economiche

della società contemporanea e figli del tu-rismo organizzato: cercano condizioni so-brie di vita, ma in ogni caso confortevoli. Ipellegrini del giorno d’oggi cercano silen-zio, ma anche cultura. Molti sono vecchicristiani insoddisfatti della loro vita di cre-denti alla ricerca di maggior coerenza oconvinzione. Ci sono però anche personemolto solide nella fede in cerca di una vi-ta religiosamente più piena, più in contat-to con le fonti della fede e della preghiera,più aperta al servizio al prossimo.

Il Grande Giubileo ha visto un flussonotevole di fedeli anche verso luoghidiversi da quelli tradizionalmente piùconosciuti. La Sindone a Torino, i San-tuari, le Abbazie, i Sacri Monti sparsinel resto del Piemonte, sono importantiméte del turismo religioso. Qual è la for-za di attrazione dei luoghi cosiddetti“minori”?

I luoghi che Lei chiama minori hannola forza della tradizione fino a ie-

ri presente e forse soltanto dauna generazione abbando-nata: si tratta di ritornare.C’è un notevole risvegliodi questo che è vissutocome un ritrovare le ra-dici. Li accompagna

un’operazione a prima vi-sta culturale, nel sensoclassico di conoscenzemigliori e maggiori checonduce alla riscopertadella storia -in questo ca-so locale- e dell’arte -inquesto caso la propria-.In un mondo dove tuttoè di qualcuno questi luo-ghi si presentano comedi tutti e di nessuno,quindi appartengono achi vive oggi ma anchea chi è vissuto nel pas-sato: per molti un sen-

so religioso di fede cristiana per ciò cheraccontano attraverso la struttura, il dise-gno dell’edificio dentro e fuori, le statue sa-cre, l’altare, gli affreschi, le tele… Lì si pre-ga in un altro modo, meglio che nella pro-pria solita chiesa.

I luoghi della fede sono ricchi d’arte edi storia. Quali analogie accomunanodevoti e cultori d’arte? Che cosa lega ilturismo religioso a quello culturale-am-bientale?Rispondo raccontando ciò che la Com-missione Arte sacra e turismo religioso cheio presiedo, sta facendo dal 1999. Ognianno promuove una giornata di studio eun viaggio-studio. La prima si svolge in u-na città del Piemonte che meriti di esserevisitata da chi ha passione per l’arte sa-cra: per ora Casale, Vercelli e Torino; infuturo Susa, Borgo San Dalmazzo... Do-po una lezione teorica diversa di volta involta (l’ultima tenuta da Thimoty Verdon siintitolava: ‘La Croce, iconografia e miste-ro’) si visitano alcuni significativi monu-menti della città. Ed è un modo per valo-rizzare il patrimonio di una nostra città of-frendo cultura artistica, storia, liturgia e co-noscenza della sacra scrittura o della vitadi santi. La seconda iniziativa è una verae propria iniziazione culturale e di fedeall’arte sacra e privilegia cattedrali, mona-steri, basiliche, iniziando dalle più antiche.Le visite sono tenute da esperti che pos-siedono cultura storica liturgica e artisticae finora hanno interessato Grado, Aqui-

TURISMO RELIGIOSO

VViiaaggggiiaarreeppeerr ffeeddee

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leia, Ravenna, Pomposa. Uno degli obiet-tivi che ci guida di fronte a un’opera è diricostruire per quanto possibile la visionedella vita (anche le condizioni di vita) e in-sieme il pensiero di fede che era propriodi chi l’ha commissionata o eseguita. Noiriteniamo che una lettura artistica non siacompleta né vera se non si sottopone an-che a questa attenta ricostruzione. Que-sto metodo, unito agli approfondimenti li-turgici e scritturistici, risponde alla do-manda relativa al rapporto arte/fedee devozione. Come si vede nonsono sue cose separate e di-stinte.La storia locale anch’es-sa compone i due a-spetti ed evita di fa-

re della devozione una cosa diversissimadall’arte. E’ l’intreccio continuo tra raffi-gurazione di scene bibliche o di biogra-fie di santi e la vita concreta del-le popolazioni (la soffe-renza del popolo equel crocifis-

so; i pesi e le sofferenze delle madri e quelmodo di rappresentare la vergine Maria).

Il turismo religioso è un’importante ri-sorsa anche sotto il profilo economicoe può contribuire a colmare il divario disviluppo delle località periferiche. An-che il Piemonte registra questa ten-denza? A mio modo di vedere il turismo religiosocontribuisce, per ora almeno, in una mi-sura molto modesta allo sviluppo delle lo-calità decentrate. Non so che cosa potràsuccedere nel futuro: in ogni caso va det-to che il turista religioso appartiene al unlivello socio economico medio e la sua cul-tura non è molto elevata, salvo eccezioniche non mancano. I tempi perché avven-ga una valorizzazione del ricchissimo, ingran parte sconosciuto e disperso, patri-monio artistico del nostro Piemonte sonomolto lunghi. Devo però dire che negli ul-timi tempi si assiste ad un risveglio di sen-sibilità molto promettente. Lo dimostra ilbuon esito che hanno avuto le nostre ini-ziative.

Intervista a Mons. Giuseppe Anfossi, Vescovo di Aosta, incaricato della Conferenza Episcopale Piemontese

per il Turismo.

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Nella foto in alto, il Santuario di Oropa(foto F. Lava)Nelle altre foto, i Sacri Monti piemontesi(foto arch. rivista)

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di Alina Piazza

In mille rivoli si disperdono i sentie-ri che risalgono le nostre montagne,si dividono, si riallacciano, supera-no valichi. Lungo di essi è facile in-contrare una cappella dedicata a unsanto di antica venerazione e fra diessi è S. Maria Maddalena, ricono-scibile per il suo vaso di unguenti ei lunghi capelli biondi. Esile è la suavicenda terrena, tanto che essa ciparla soprattutto con la sua leggen-da: è segno e non storia. Delle tredonne evangeliche (la peccatriceche inondò di lacrime i piedi di Cri-sto, Maria di Betania che ascoltò leSue parole da contemplativa, Mariadi Magdala liberata da sette demo-ni e che per prima Lo vide risorto)già nel VI sec. Gregorio Magno fe-ce un’unica persona e su di essa siagglutinarono le prerogative delleprecristiane dee delle acque e del-la fertilità e medievali cicli leggen-dari con ritrovamento di reliquie.Dalla benedettina Vézelay in Bor-gogna, punto di partenza di u-no degli itinerari per Santiagodi Compostela e luogo in cuiS. Bernardo predicò la se-conda Crociata, a partiredall’XI sec. la devozionesi diffuse lungo il “Cam-mino” e gli itinerari ver-so il Santo Sepolcro.Nel XIII sec. fulcro delsuo culto divenne ladomenicana Saint-Maximin e Jacopo daVaragine ne codificòla vita nella “Legen-da Aurea”, raccon-tando di come fos-se giunta in Pro-venza su una navesenza remi e avessepassato trent’anni ineremitaggio alla Sain-te-Baume, coperta so-lo dalla sua chioma.Prediletta da vari ordinimonastici, non stupisce lasua diffusione presso i pon-

ti e ai piedi dei colli,mantenuti da essi a-gibili con ospizi e o-spedali (la lebbra sidiffuse in Occidenteproprio con le Crocia-te e la Maddalena di-venne anche protet-trice dei lebbrosari).Compare con mag-giore frequenza inambiente alpino comeeremita e come mir-rofora, aspetti che ri-mandano alla vitacontemplativa e alpellegrinaggio, ma ilsuo vaso ricorda anche che proprioi monaci erano esperti in unguenti.Comune è poi la presenza pressole sue cappelle di grotte e sorgenti.

L’antica sacralità di questi luo-ghi non è andata persa e so-vente essi sono oggi com-presi in aree protette. Tal-

volta portano il suo nomecatene montuose, come i

Monti della Maddalenanel Salernitano e la Ca-

tena delle Maddalenein Trentino.Proprio una sorgen-te sgorga dalle fon-damenta della pic-cola cappella diBarmasc in Vald’Ayas, che fino al1839 era intitolata

alla santa. In essaper secoli è stata im-

mersa la croce pro-cessionale ogni volta che

la siccità minacciava iraccolti, con un rito cheuniva la benedizioneortodossa delle acquee la tradizione celticadi provocare la piog-gia turbando la pu-rezza di laghi e sor-genti (ne sono trac-cia santi con poterimeteorologici e stre-ghe tempestarie).

La Maddalena è infatti collegata an-che alla pioggia benefica e ai tem-porali estivi, come ricordano nume-rosi proverbi. Barmasc non è che u-na delle tante sue cappelle in Valled’Aosta, talvolta aperte solo il 22 lu-glio, giorno a lei dedicato. L’ospiziodi La Balme verso il Piccolo S. Ber-nardo accoglieva soprattutto pelle-grini ammalati ed è sintomatico checon le acque termali che sgorganonel sottostante orrido di Pré-St.-Di-dier ancora nel 1780 sia stato cura-to Pietro Bernardo Guasco, reso no-to da Xavier de Maistre come “il leb-broso della città di Aosta”. Preziosaè poi la chiesetta di Gressan, isola-ta fra i meleti e caratterizzata dalgrande sperone che sostiene il cam-panile romanico. Nel sottarco chedivide l’abside dalla navata la leg-genda della sua vita è stata affre-scata con toni fiabeschi nel XV sec.privilegiando i caldi colori della ter-ra. Nel vicino castello Sarriod-de-la-Tour di St.-Pierre una Maddalenamirrofora del ‘200 si allunga nellosguancio di una finestra sovrastan-do una sirena, suo antecedente pre-cristiano. Dove già la valle della Do-ra Baltea si apre nella pianura, unacappella della Maddalena se ne statutta su di un grande masso errati-co, fra le morbide colline di Burolopresso Ivrea.Le sorprese si sgranano lungo tuttele valli del Piemonte e della Savoia.

In cammino con

ANNO INTERNAZIONALE DELLE MONTAGNE

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Dalla Val d’Ala (con cappelle a Piandel Tetto e Molette) attraverso i col-li d’Arnas e d’Autaret si scendeva aBessans toccando il villaggio di LesVincendières con la graziosa cap-pella della Maddalena dal campani-letto inclinato. Un tempo si iniziavaad utilizzare i pascoli comunali delMollars oltre il torrente solo il 22 lu-glio e in quel giorno il parroco dopola messa patronale usciva a bene-dire le mucche. Come in quasi tut-ta la Savoia, era questo il giorno incui si pesava il latte per determina-re la quota spettante al proprietarioe un proverbio affermava: “Ao laoSainta Maodéleino, sé lao seyllié liépa pleynao, lié sé reimpleyt papluss” (se per Santa Maddalena ilsecchio non è pieno, non si riempiràmaggiormente).In Val di Susa l’Abbazia della No-valesa accoglieva i viandanti con lapiccola cappella di S. M. Maddale-na nel cui interno due affreschi delXV sec. accostano la Mirrofora e S.Maria Egiziaca nel deserto (infatti èdalla vita leggendaria di quest’ulti-ma che si trassero molti particolaridella vita eremitica della Maddale-na). Dall’alta valle, seguendo il val-lone di Thures, si scendeva nelQueyras, dove la cappella di E-scoyeres esemplifica pienamente lafunzione di “centro” esplicata so-vente dai luoghi della Maddalena.Qui infatti, già insediamento prei-

Maria Maddalena

storico e poi romano, confluivanoanche gli itinerari dall’alto Queyras,dal Brianzonese, dalla Val Pellice edalla Val Varaita. Nella valle dellaStura di Demonte, con il Colle e ilLago della Maddalena, il mese di lu-glio era detto “La Madaleno”, men-tre nelle vicine valli francesi, dove laMaddalena compare sovente in luo-ghi quasi eremitici e su colli fre-quentati solo da pastori transuman-ti, le cappelle di St.-Sébastien a St.-Étienne-de-Tinée e di St.-Érige d’Au-ron offrono due fra le più spettaco-lari raffigurazioni dell’eremita vesti-ta solo dai lunghi capelli.Il Trentino ha a Cusiano in Val di So-le la bella chiesa della Maddalenacon nel presbiterio il ciclo di affre-schi del XV sec. attribuiti ai fratelliBaschenis,che illustrano la leggen-da completa della sua vita. In AltoAdige, dove le sue cappelle sonosovente sovrapposte a luoghi di cul-to precristiano e si ritiene che allon-tanino gli spiriti malvagi (in ricordodei sette demoni che Gesù cacciòda lei), la chiesetta a Santa Madda-lena in Val di Funes spicca in unambiente intatto a ridosso delle Od-le. Ovunque i Benedettini si sianoinstallati, hanno dato per necessitàliturgiche grande impulso alla viti-coltura, selezionando vitigni e per-fezionando la vinificazione. Proprioin Alto Adige ci hanno lasciato un vi-no che permette infine di apprezza-

re anche un aspetto profano dellaloro presenza: il bel rosso St. Mag-dalener.

Per saperne di piùPer saperne di piùV. Saxer, Le culte de Marie Ma-deleine en Occident des originesà la fin du moyen âge, in “Cahiersd’archéologie et d’histoire”, n.3,Auxerre-Paris 1959;M. Mosco (a cura di), La Madda-lena tra Sacro e Profano, La CasaUsher/Mondadori, Firenze-Milano1986;G. Testori, Maddalena, Franco Ma-ria Ricci, Milano 1989;A. Piazza, Barmasc. Matrici pre-cristiane dei riti di immersione,Priuli & Verlucca Editori, Ivrea1998;A. Piazza, Una santa venuta dalontano: Maria Maddalena, in “E-spressioni della pietà popolare inVercelli”, Gallo Artigrafiche, Ver-celli 2000.

Da sinistra: Statua di fine XVII sec. daLa Balme di Pré-Saint-Didier (foto P. Pa-pone).Il Santuario di Barmasc in Val d’Ayas(Aosta).Gressan , Chiesa di S. M. Maddalena,affresco del XV sec. con l’arrivo a Mar-siglia (foto A. Nodari).Foto grande: Colle della Maddalena (fo-to F. Chiaretta).

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PARCHI PIEMONTESI

di Luciano Bolzon, architetto*

“(…) E’ molto simile a Zermatt, ma me-no desolato e piu’ pastorale. Ci siamoarrivati nel bel mezzo del taglio del fie-no e l’aria è tutta un balsamo. Dalla ve-getazione s’intuisce che è mille piedi piu’alto di Chamonix, cioè quasi l’altezzadel Sempione. Da un lato c’e’ solo unsemicerchio di rocce nude e di casca-te, dall’altro ci sono pini e acacie moltostente. I torrenti non sgorgano dai ghiac-ciai (a parte uno nel mezzo della valle),ma sono comunque d’acqua sorgiva escendono giù irruenti, vicino a dove a-bito, su blocchi di granito e gorgoglian-do tutta la notte. L’aria è frizzante, ter-sa e deliziosa, mentre le cime del Mon-te Rosa tutto intorno si levano sui pini.Lo chiamo il mio cottage perché ci sia-mo solo noi, poiché l’oste è più in altoin uno chalet per il taglio del fieno. E’ uncottage svizzero in tutto e per tutto, mol-to più piccolo di quello di Zermatt, iso-lato in mezzo ad un campo. E vi si ac-cede superando un ponte di legno e unsentiero roccioso (…)”.

Macugnaga, Val Anzasca, 24 luglio1845

John Ruskin (Viaggio in Italia,Mondadori 2002)

Nel ventesimo secolo avviene la defini-tiva trasformazione delle Alpi, e dellamontagna in genere, che porterà consé l’epocale modificazione dei luoghi,delle persone e delle loro costruzioni. Illegame esistente fra la natura coinci-dente con i luoghi ed i contesti costrui-ti, da sempre caratterizzato da una lot-ta per la sopravvivenza, perde la sua in-trinseca saldezza e diviene lotta per laricchezza materiale.Un altro concetto non trascurabile delfenomeno di sfruttamento dei territori al-pini, precedentemente interessati sol-tanto da quelle attività sociali e natura-li che ne garantivano la sopravvivenza,è la rapidità con cui ha avuto luogo il

ANNO INTERNAZIONALE DELLE MONTAGNE

Architettura ed ambiente

LA MODERNIZZAZIONE DELLE ALPI

Complesso residenzialeGrangesises,Torinoe disegni di progetto relativialle singole tipologie. (Studio Trisciuoglio)

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Fot

o G

. Fon

tana

cambiamento; difatti da un ambientecome quello della montagna dove re-gnava una immutabilità totale, quasi u-na condizione stabilita a priori, si è an-dati verso un sistema di tipo aperto chene ha provocato celermente la modifi-cazione.Gli insediamenti tradizionali erano la lo-gica conseguenza delle esigenze e del-le possibilità degli abitanti; questo con-cetto si è sempre ripetuto nel tempo ri-flettendosi nelle costruzioni delle co-munità alpine; il modo di costruire gli e-difici testimonia come queste abbianotradotto in forma questo concetto so-ciale, attraverso la realizzazione di or-ganismi edilizi che, partendo da spinteconcettuali opposte rispetto a quelle ti-piche delle realizzazioni moderne, nonriproducono niente altro che una testi-monianza legata alla memoria di un si-stema di vita e quindi di uno stile co-struttivo; la rinuncia al superfluo per icostruttori tradizionali è stata un’ovviaconseguenza delle loro abitudini e nonuna scelta.Se in città siamo abituati a percepirel’ambiente come una somma di fattori,un’unica massa costruita, in montagnala nostra comprensione dell’ambientesi focalizza attorno ad una percezionegrandangolare di una “quinta” chenell’intendimento degli anonimi co-struttori tradizionali non era sottomes-sa alle costruzioni; ne sono conseguitivillaggi ed agglomerati assoggettati al-la natura solo dal punto di vista dellapercezione visiva ma non da quello del-la mutua e continua lotta fra ambienteed uomo per il proprio sostentamento.In un ambiente come quello alpino do-ve è sempre stato impossibile costrui-re senza sottrarre porzioni vitali al ter-ritorio, la modernità ha esportato lin-guaggi derivati dalla combinazione dipoetiche moderne ed elementi locali,che sicuramente non hanno avuto co-me conseguenza il formarsi di uno sti-le moderno in montagna; i nuovi feno-meni di urbanizzazione dei territori al-pini, come la costruzione delle nuovecattedrali alpine dell’elettricità, le cen-trali idroelettriche, dei rifugi e degli al-berghi, saldavano l’idea borghese delbenessere con le valenze che l’am-biente montano offriva, divenendo so-vrapposizioni alle preesistenti realtà co-struite. E viene spontaneo suggerire unconfronto tra la coraggiosa e spregiu-dicata attività progettuale dell’inizio delXX secolo con l’impersonale attività co-struttiva del periodo dal 1960 al 1980,riferita a poche operazioni architettoni-che nascoste nelle pieghe di un edili-zia definita montana.L’architettura alpina del XX secolo hatuttavia mostrato spesso due sostan-

ziali aspetti, due qualità di fondo: il co-raggio e la curiosità. Il coraggio proprioladdove per vivere e per abitare è ne-cessario osare; la curiosità perché è sta-ta l’unico modo per inserire la diversitàdella costruzione nata in città, con tuttele sue peculiarità date per scontate inambiente urbano, come la tecnologia,inserite a forza in un ambiente dove vi-gevano modi di esistere legati alle pos-sibilità presenti nella natura.

E proprio nelle costruzioni alpine l’ardi-tezza costruttiva è stata frequentemen-te condizione di fondo per una spintaprogettuale ancorata a fattori produttivie turistici a loro volta legati agli inarre-stabili processi di modernizzazione;molte architetture sono divenute e-semplari di un certo modo di inten-dere il progetto inmontagna. Al riguar-do vanno citate lecentrali idroelettriche ed

Colonia Italsider, San Sicario, Cesana torinese (foto Renato Severino)

Colonia Italsider, veduta notturna, San Sicario, Cesana torinese (foto Renato Severino)

Residence e negozi Concaneve, Sestriere

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alcuni rifugi realizzati nell’ambiente al-pino come espressioni di modalità diimposizione nel paesaggio, dove l’ar-chitettura assume un ruolo eloquentein ambienti naturali che fino a quel mo-mento si erano misurati con ben altrerealtà. Ne sono prova le inconsuetecentrali idroelettriche progettate da Pie-ro Portaluppi nelle valli dell’Ossola do-ve al contenuto tecnologico dell’edifi-cio corrisponde un’architettura stillan-te richiami stilistici, dominate da com-ponenti ironiche e fantasiose, volte acontrapporre ad una necessità (dovu-ta al nuovo benessere) un’interpreta-zione dell’edilizia del luogo coniugataad un linguaggio assolutamente per-sonale e lontano dalle solite tipologiederivate da impostazioni ingegneristi-che; vanno assolutamente citati gli im-pianti di Verampio (1914), di Crego(1917), di Crevoladossola (1923), diValdo (1923), di Sottofrua (1924) e diCadarese (1926). D’altronde non erastato lo stesso Portaluppi a piazzarein alta quota un vagone ferroviario?L’incredibile episodio del Wagristora-tore al passo San Giacomo del 1935rappresentante un improbabile puntodi ristoro all’interno di un vero vagoneferroviario montato su pilotis, trasferitoin una località d’alta quo-ta dove tutto è possibiletranne che trovare unveicolo moderno cristal-lizzato nel territorio na-turale; inverosimile casodell’estremizzazione delruolo della modernità nelpaesaggio alpino che di-viene commento con-creto sulla modernitàstessa.D’altra parte alcuni ten-tativi volti ad una ricer-

ca integrata che sfociasse in interven-ti urbanistici macroscopici ci sono sta-ti, a partire dalla creazione dal nulladella stazione Sestriere degli anni Tren-ta fino ad arrivare al positivo interven-to di ricostruzione della borgata diGrangesises progettata nel 1973dall’architetto Trisciuoglio, passandoper l’invenzione di località sportive del-la nuova generazione come Pila e SanSicario Alto, derivate da esperienzetransalpine. Oppure i casi positivi, anche se isola-ti, della Colonia Italsider di San Sica-rio progettata nel 1959 da Renato Se-verino e del rifugio Vallanta sul Mon-

viso realizzato nel 1988 su progetto de-gli architetti Momo e Bellezza, esempidi un’eloquente e voluta imposizioneall’ambiente alpino dove sembra es-sere assunta e compresa pienamentela lezione molliniana sull’accettazionedel rapporto dialettico con la natura e-vitando il ricorso all’appiattimento mi-metico che ha caratterizzato un’interagenerazione di progettisti.

*Luciano Bolzoni, ha scritto per la Priuli & Ver-

lucca, Architettura moderna nelle Alpi italiane,

Pavone Canavese (Torino), 2001.Le immagini dell’articolo sono tratte da questo

libro (Priuli&Verlucca p.g.c.) e riguardano rea-

lizzazioni nelle valli olimpiche 2006.

Centrale Idroelettrica, Venaus, Torino. Facciata della centrale vista dall’accesso all’impianto.

Centrale Idroelettrica, Venaus, Torino. A fianco, schizzo prospettico dell’ingressoIn basso, studio del tunnel.(disegno tratto dal libro a cura diDomenico Bagliani, Domenico Morelli,ingegnere e architetto, Ed. Toso,Torino,1993)

Kandahar Center, Sestriere

Centrale Idroelettrica, Venaus, Torino. Veduta esterna dell’impianto.40

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testo di Sandro Bassifoto di Fabio Liverani

Quando, sul finire dell'800, arrivaronoi cartografi dell'Istituto geografico mili-tare, i contadini romagnoli usavanochiamare “Vena de' Zess'” quello stra-no corpo roccioso che spiccava nel lo-ro paesaggio da qualunque parte lo siguardasse: brullo e precipite nel ver-sante sud e dolcemente inclinato, in-vece, sul lato nord, dove molte pendi-ci, tra una dolina e l'altra, si potevano

coltivare. Inconfondibile era la crestasommitale, con quel profilo frastaglia-to, da “roccia dura”, così diverso dallelinee molli delle colline argillose più avalle e anche delle montagne di are-naria più a monte. I cartografi dell'Igmraccoglievano dalla viva voce degli “in-digeni” i nomi delle località, delle casesparse, dei fossi, delle montagne: seoccorreva tradurli in italiano lo faceva-no - e a ciò dobbiamo la nutrita seriedi errori, spesso assai buffi, che costella

la toponomastica ufficiale della nazio-ne - altrimenti li adottavano così com'e-rano. Ovviamente qui tradussero in“Vena del Gesso” e non sbagliarono:primo perché era impossibile sbaglia-re, poi perché il nome rende bene lanatura del luogo. Un affioramento diroccia particolare, non comune in Eu-ropa. Nel settore centrale, dove la Ve-na raggiunge la massima imponenzae verticalità nelle sue bastionate e-sposte a sud, i contadini parlavano an-che di “riva de' Zess'”. “Riva”, in Ro-

AMBIENTI

LLAA VVEENNAA DDEELL GGEESSSSOORROOMMAAGGNNOOLLAAUn parco mai nato,

o finora mancato,

La Vena del Gesso, da Monte Mauro verso Monte della Volpe

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magna, non ha il significato di “sponda”,come da vocabolario, bensì quello di “scar-pata”, di margine scosceso; e parendo lo-ro un nome adatto, i rilevatori dell'Igm ri-portarono anche quello.

Un po' di geologia:dalle lagune di 6 milioni d'anni fa alle rupi odierneDescrivere la natura geologica della Ve-na non è difficile: una “pila” di strati so-vrapposti uno sull'altro come è logico a-spettarsi per una roccia sedimentaria. Unpo' più complessa la spiegazione sulla ge-nesi di tutto ciò: bisogna far ricorso ad u-na ricostruzione paleo-ambientale e im-maginare che qui, circa sei milioni di an-ni fa, c'erano vaste lagune soggette a ve-ri e propri disseccamenti periodici, un po'come accade oggi per le saline. L'intensaevaporazione faceva concentrare i salisciolti nelle acque, e tra questi il gesso chead un certo punto cominciava a “precipi-tare”, separandosi in cristalli che cresce-vano gli uni sugli altri sul fondo della sali-na. Questo processo deve essersi verifi-

cato sedici volte - tanti sono gli strati do-ve la serie è completa - ognuna delle qua-li è durata un arco di tempo geologica-mente breve, nell'ordine del migliaio, o dipoche migliaia, di anni. Gli episodi “eva-poritici” terminavano con l'arrivo di acquadolce trasportante fango e sedimenti fini:le argille che costituiscono gli attuali in-terstrati. Il nostro discorso non sarebbe completose non aggiungessimo che:- affioramenti gessosi si trovano in varipunti di quel territorio che sei milioni d'an-ni fa costituiva il Mediterraneo; i più im-portanti sono in Italia, Spagna e Albania;in Italia il gesso si trova sporadicamentelungo tutto l'arco appenninico, dal Pie-monte alla Sicilia, ma perlopiù esso è “se-polto” da altre formazioni. In Emilia-Ro-magna i gessi affiorano nell'alto reggiano(ove vantano una maggior anzianità, ri-salendo al Triassico, cioé ad oltre 200 mi-lioni d'anni fa), nel basso reggiano, nel bo-lognese e nell'imolese-faentino; gli ultimitre risalgono tutti al Messiniano, fra i 6,5ed i 5,5 milioni d'anni fa. Piccole lenti iso-

late di gesso si trovano anche nell'estre-ma Romagna orientale, tra cui la più no-ta è quella di Onferno, nell'entroterra diRimini. I gessi romagnoli si differenzianoda tutti gli altri per continuità e linearitàdell’affioramento - 25 km di lunghezza per1 o 1.5 di larghezza, una vera e propriacatena rocciosa di bassa quota (la mas-sima è Monte Mauro, 515 m) - e per lamorfologia rupestre: i versanti sud pre-sentano pareti che arrivano alla verticalitàe talora superano il centinaio di metri d'al-tezza. E' questa la vera peculiarità deigessi romagnoli: quelli bolognesi, reggia-ni e anche siciliani hanno forma di alto-piano, discontinuo e modellato da doline,ma senza significative morfologie rupestri;- il gesso è roccia solubile per eccellenza,quindi non ospita una rete idrografica su-perficiale, sostituita in toto da quella sot-terranea, costituita da collettori più o me-no grandi cui fanno capo gli inghiottitoi. Leacque tornano a giorno con risorgenti car-siche che sono generalmente al contattocon le argille contigue ai gessi. All'interomondo del sottosuolo dei gessi diamo il

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de specie esclusive, fu il primo a sottoli-nearne nel contempo l’importanza comeoasi di rifugio per piante rare in regione.Ciò per la sua relativa integrità ambienta-le, per la sua elevata diversità di mi-crohabitat e infine per la sua collocazionegeografica, cerniera tra il mondo floristicomediterraneo e quello centro-europeo. Unultimo accenno va fatto per Cheilanthespersica, l’elegante “felcetta persiana” cheè la gemma più notevole per la flora del-la Vena; propria dell'Asia sud-occidenta-le e del Mediterraneo orientale, trova quila sua stazione più ad ovest, unica in Ita-lia e di carattere relittuale. Fu trovata nel1833 da un farmacista imolese in una lo-calità da lui mai resa nota con esattezza(se non con il generico e volutamente im-preciso “Monte Mauro”), poi raccolta nel1881 al fondo della “Stretta di Rivola”, og-gi alterata da lavori di cava e infine nel1957 presso l'ingresso della Tana del ReTiberio, anch'esso danneggiato da disca-riche di cava. Oggi la felce è stata “ritro-vata” in molti siti, tra cui anche quello sto-rico del Re Tiberio, ma resta un elemen-

nome di grotte, comprendendo inghiottitoi,abissi, caverne, tane. Ricordiamo che sitratta di un mondo assai esteso, comples-so, e che non può considerarsi del tuttonoto, nonostante le oltre 200 cavità ad og-gi esplorate, rilevate e catastate. La ricer-ca speleologica è infatti relativamente gio-vane (meno di settant'anni) e con i recen-ti progressi sono state scoperte grotte an-che dove si riteneva non vi potessero es-sere.

Aspetti floristici e vegetazionaliChe la Vena possieda una copertura ve-getale “diversa” dal restante Appennino ècosa evidente e nota da oltre un secolo. Iprimi botanici che se ne occuparono va-gheggiarono l'esistenza di una flora gi-psofila, cioé strettamente legata alle pro-prietà del substrato. Tale approccio era edè sbagliato: lo ha dimostrato il grande Pie-tro Zangheri (Forlì, 1889-1983), censendola flora dei gessi in un volume del 1959 cheresta tuttora una pietra miliare. Zangheri,giungendo alla conclusione che il gessonon è abbastanza selettivo e non possie-

to assai vulnerabile, a distribuzione limi-tatissima. Altre note possono riguardarele presenze mediterranee, tutte sui dirupisud e con arbusti non comuni nell'Ap-pennino settentrionale (ad esempio tere-binto, filliree, cisti, alaterno) e specie er-bacee come Scilla autumnalis, Campa-nula sibirica ed Helianthemum jonium. Perragioni opposte troviamo poi il raro bor-solo (Staphilea pinnata) al fondo di dolineo presso l'imboccatura di grotte che conil loro alito creano un microclima fresco-umido, paragonabile a quello di faggeta:altre piante, come il sigillo di Salomone,la mercorella canina, l'acetosella, o la lin-gua cervina, lo testimoniano.

La faunaPiù che sciorinare un lungo elenco di spe-cie in gran parte comuni al restante Ap-pennino, è preferibile soffermarsi su quel-le che trovano qui un rifugio particolare. Posto che queste ultime non sono affattopoche, si tenga presente come il visitato-re generico in cerca di animali “da vede-re” possa rimanere facilmente deluso.

In questa pagina in alto,grotta risorgente del RioBasino.A sinistra, Cheilantespersica, “felcetta persiana”raro endemismo vegetale,presente in Italia solo aMonte Mauro.A destra, Forra Rio Basino

Nella pagina a fianco,a sinistra: forra nelsettore centrale dellaVena del Gesso, sullosfondo, la cima delMonte Mauro.A destra, cristallo digesso.In basso, la Rocca diBrisighella

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La Vena del Gesso dista una quindicina di km dalla Via Emilia e dall’auto-strada A14, sviluppandosi parallelamente ad esse. Per raggiungerla si parteda Faenza, da Castelbolognese o da Imola. Per quanto le “porte di accesso” possano essere numerose, soprattutto perun itinerario automobilistico - citiamo Brisighella, Riolo Terme, Casola Val-senio e Tossignano - consigliamo un primo approccio sui gessi di Brisighel-la, all’unica grotta visitabile della zona e al Parco Carnè, area protetta dota-ta di servizi ricettivi (rifugio-ristoro con possibilità di pernottamento, centro vi-sitatori, ecc.) e di una rete di facili sentieri. Info: Museo Civico Scienze Natu-rali di Faenza (0546 662425), Parco Carnè (0546 81468), Centro Documen-tazione Vena del Gesso di Riolo Terme (0546 77411 e 71025).

La letteratura sulla Vena del Gesso,nonostante la limitata estensione ter-ritoriale, annovera diverse centinaiadi titoli. Per un primo approccio puòancora servire la Guidaverde Maggiolidel 1989, mentre per i necessari ap-profondimenti indichiamo il volumedallo stesso titolo (La Vena del Ges-so) pubblicato dalla Regione EmiliaRomagna nel 1994. Un'utile sintesied una buona proposta escursionisti-ca è quella compresa nel recente “E-milia-Romagna. Tra pianura e collina.23 idee per camminare”, cofanetto dicartine con itinerari sempre a cura del-la Regione. Infine vanno citati due ti-toli: l'immortale Flora e vegetazionedella fascia gessoso-calcarea del bas-so Appennino romagnolo, di PietroZangheri, del 1959 e La Vena delGesso romagnola: caratteri e vicen-de di un parco mai nato, di LucianoBentini, del 1993, che purtroppo (sifaccia caso al titolo) è ancora so-stanzialmente valido.

Scomparsi, per fortuna, i caprioli e i dai-ni introdotti in grave soprannumero ne-gli anni '70 al Parco Carné di Brisighella- con conseguenti alterazioni al sotto-bosco e alla rinnovazione - , probabil-mente scomparsi (e stavolta purtrop-po) alcuni uccelli di habitat selvaggi co-me il codirossone e forse anche il gran-de, nobile gufo reale, qui nidificanti fi-no a pochi anni fa, restano alcune spe-cie di notevole valore biogeografico co-me il passero solitario, l'occhiocotto ela sterpazzolina - il primo abitatore dirupi, gli altri due di macchie di tipo me-diterraneo. Importanti per la loro rarità,relativa o assoluta, sono poi tre rapacidiurni come il falco pecchiaiolo, l'alba-nella minore e lo sparviere, nidificantiin limitato numero e infine l'ortolano, unpiccolo zigolo in via di regresso in tut-ta Europa, legato agli ambienti apertie aridi. Altrettanto preziosa è la pre-senza dei chirotteri che trovano nellecavità della zona un buon rifugio per illetargo o il riposo diurno. Accertata èla presenza in grotta di almeno settespecie: i tre rinolofi (maggiore, minoreed euriale), il miniottero, l'orecchione ei due vespertili (maggiore e di Monti-celli). Per i vertebrati concludiamo con l'ulu-lone appenninco (Bombina pachypus),anfibio considerato fino a pochi anni fauna sottospecie dell'affine ululone aventre giallo (Bombina variegata) e og-gi invece distinto come buona speciesu base genetica e geografica. An-ch'esso in probabile regresso, si trovaqui al suo limite nord-orientale di di-stribuzione.

Per saperne di piùPer saperne di più

COME ARRIVARCI

Dall’alto, La Vena del Gesso, nei pressidi Sasso Letroso; a sinistra il fiumeSenio.Sotto: foglia fossile di acero dalle argilledi interstrato fra i gessi, Museo diScienze Naturali di Faenza;un raro reperto paleontologico: il caninodi un orso delle caverne

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Testo e foto di Giulio Ielardi

Poche righe, ma da incubo. “Nell’ipo-tesi che l’attuale linea di sviluppo con-tinui inalterata nei cinque settori fon-damentali (popolazione, industrializza-zione, inquinamento, produzione di a-limenti, consumo delle risorse natura-li) l’umanità è destinata a raggiungerei limiti naturali dello sviluppo entro iprossimi cento anni. Il risultato più pro-babile sarà un improvviso, incontrolla-bile declino del livello di popolazione edel sistema industriale”. Firmato: micaIsaac Asimov ma nientemeno che ilMit, blasonatissimo astro dell’empireodella ricerca scientifica americana. Cor-reva l’anno 1972 e la previsione si ab-batte come un fulmine nel ciel serenodi un mondo fino ad allora in fiduciosae suicida corsa verso le proprie “ma-gnifiche sorti e progressive”. La con-tiene The Limits to Growth, il primorapporto del Club di Roma fondatoquattro anni prima dall’italiano e pie-montese Aurelio Peccei. Seguono 27edizioni internazionali (tra cui I limiti del-lo sviluppo, ed. Arnoldo Mondadori, giàpochi mesi dopo l’edizione originale) eun successo di vendite che si misurain qualcosa come 12 milioni di copie.Il mondo è a rischio, e ora lo sa.

Dalla Fiat al pianetaMa chi era Aurelio Peccei ? Nato a To-rino nel 1908 e laureatosi in Economia

e Commercio nel ’30, Peccei entra su-bito nell’azienda che segnerà molti an-ni della sua vita: la Fiat. La direzionelo invia per un lungo periodo in Cina,e quando torna in Europa è scoppiatala prima guerra mondiale. Prende par-te alla Resistenza all’interno del movi-mento Giustizia e Libertà e si fa pure

un anno di galera fascista, poi il Comi-tato di liberazione nazionale lo nominacommissario alla Fiat. Nel dopoguerragira ancora il mondo, è uno dei mana-ger di spicco dell’azienda, fonda e di-rige la Fiat argentina. Diventa pure vi-cepresidente della Olivetti e dirigentedell’Italconsult. Ma l’impegno e la sen-sibilità intellettuale che lo animano han-no bisogno di altre sfide. Diventato con-sulente dell’Unesco, entra nell’esecu-tivo di numerosi istituti di ricerca inter-nazionali finché nel ’68, il fatidico ’68,fonda assieme a premi Nobel, leaderpolitici e intellettuali un prestigioso ce-nacolo di pensatori dediti ad analizza-re i cambiamenti della società con-temporanea. Si chiama Club di Romaperché la prima riunione avviene nellacapitale, presso la sede dell’Accade-mia dei Lincei alla Farnesina. Tra icompagni d’avventura, nomi del cali-bro di Adriano Buzzati Traverso (fon-datore dell’Istituto di biofisica e gene-tica di Napoli) e di Altiero Spinelli.I risultati non si fanno attendere. Giànell’agosto del ’70 i membri del Clubinvitano il Massachusetts Institute ofTecnology a intraprendere uno studiosulle tendenze e le interazioni di un cer-to numero di fattori dai quali dipendela sorte stessa della società. Finanzia-to dalla Fondazione Volkswagen (nonsappiamo se Peccei avesse prima fat-to un tentativo con la sua Fiat), lo stu-dio viene presentato nel ’72 e per la

Pubblicato nel 1972, fu il primo studio

scientifico che documentava l’insorgere della questione ambientale in termini globali.

In alto da sinistra: Parco naturale Del-ta del Po, davanti al tappeto galleg-giante di Nannufari a Vallesanta.Tunisia, Tataouine, si piantano pomo-dori.In basso: inquinamento, cormoranomorto alla Laguna di Orbetello

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1962La biologa marina statunitense RachelCarson pubblica Silent Spring (Primaverasilenziosa), richiamando per la prima voltal’attenzione sulla minaccia alla salute dellepersone e dell’ambiente rappresentatadall’inquinamento chimico.1968Esperti di tutto il mondo si incontrano allaConferenza sulla Biosfera, organizzata perla prima volta dall’Onu, per discutere diproblemi ambientali.1972Viene pubblicato in gennaio a cura delClub di Roma il rapporto su I limiti dellosviluppo, redatto dal Mit. Profondo scalpo-re desta la previsione dell’arco di tempo adisposizione dell’umanità per diminuire ilsuo impatto sul pianeta: appena centoanni.1972Appartengono a 114 paesi i partecipantialla Conferenza Onu sull’ambiente umano,che si tiene nel giugno a Stoccolma. Tra irisultati l’impulso alla creazione dell’Unep,il programma ambientale delle NazioniUnite.1974Dimostrato l’effetto distruttivo dei clorofluo-rocarburi (CFC) sulle molecole di ozono,che attorno alla Terra formano una barrie-ra protettiva nei confronti dei raggi ultravio-letti.1979E’ l’anno dell’ incidente alla centralenucleare di Three Mile Island, inPennsylvania.1983L’Agenzia di protezione ambientale (Epa)e l’Accademia delle Scienze degli StatiUniti certificano il legame tra emissionedella CO2 e il riscaldamento globale (effet-to serra).1986E’ il turno di Chernobyl. L’esplosione di

uno dei quattro reattori della centralenucleare ucraina causa la diffusione diparticelle radioattive fino all’intera Europaoccidentale, causando l’esposizione dicentinaia di migliaia di persone ad elevatilivelli di radiazioni.1987La World Commission on Environmentand Development dell’Onu pubblica il rap-porto Our Common Future, predispostodalla commissione Brundtland. Nelle con-clusioni l’affermazione che la protezionedell’ambiente, il riequilibrio delle risorse ela lotta alla povertà portano alla crescitaeconomica grazie alla promozione di uno“sviluppo sostenibile”.1992A Rio de Janeiro ha luogo The EarthSummit, cui partecipano quasi tutti i paesie 117 capi di stato. 1994L’Iucn pubblica una nuova Red List dellespecie minacciate: sono 11.000, su quasidue milioni conosciute (ma la stima diquelle esistenti è di 13-14 milioni).1997Il Protocollo di Kyoto prevede da parte deipaesi industrializzati la riduzione del 6-8%delle emissioni di gas serra.2001L’IPCC, un raggruppamento internazionaledi scienziati promosso dall’Onu, produceun rapporto dov’è scritto che proseguendonei ritmi attuali di produzioni di gas inqui-nanti la temperatura nel prossimo secoloaumenterà da 1,4 a 5,8 gradi.2002Si svolge tra fine agosto e i primi di settem-bre il Summit mondiale di Johannesburg, inSudafrica. La questione cui esperti e politi-ci stanno tentando di rispondere è stata: co-sa é stato fatto nei passati trent’anni per latutela dell’ambiente, e cosa occorre fare infuturo?

LE TAPPE DI UNA PRESA DI COSCIENZA

simo, se si scorrono le pagine di unotra i tanti rapporti ambientali globali se-guiti a quello studio pioniere, ad e-sempio il Global Environment Outlookdell’Unep pubblicato nello scorso mag-gio. La popolazione attuale del piane-ta è di circa 6 miliardi di persone, ap-pena meno dei 7 previsti dalla ricercadel Mit. Il problema ulteriore è che incirca la metà dei casi – e non più perun terzo, come nel 1972 – vive nelle a-ree urbane, sempre più congestionatee inquinate. Le emissioni di CO2 deipaesi più industrializzati (Ocse) hannovalori pro-capite pari al triplo della me-dia mondiale. Anche se dal ’73 ad og-gi il loro contributo alle emissioni glo-bali è diminuito dell’11%, secondo l’ul-timo rapporto dell’Enea gli obiettivi delProtocollo di Kyoto non verranno rag-giunti affatto. Relativamente più inco-raggiante è il dato relativo al bucodell’ozono, che pure nel 2000 avevaraggiunto i 28 milioni di km2 (nel ’93 imilioni di km2 erano 3): gli impegni pre-si nella riduzione dei Cfc, secondo leprevisioni attuali, porteranno un ritornoai livelli degli anni Settanta entro lametà del secolo. Riguardo alle risorsealimentari la Fao fa sapere che oggimuore di fame una persona ogni quat-tro minuti, ma tutti ricorderanno lo scal-pore suscitato dalle assenze dei lea-der dell’Occidente allo scorso verticedi Roma in giugno. Le aree forestaliscompaiono a un ritmo incalzante – neisoli anni Novanta è andato distrutto il2,4% del totale – e un terzo della po-

nell’analisi di problemi industriali, i ri-cercatori del Mit incrociano i dati deitassi di crescita dei cinque fattori già ri-cordati e cioè popolazione, industria-lizzazione, inquinamento, produzionedi alimenti, consumo delle risorse na-turali. Da grafici, modelli di previsionee curve esponenziali esce un verdettoinequivocabile: all’interno di un siste-ma chiuso come la Terra, il carattereesponenziale dello sviluppo delle atti-vità umane porterebbe al collasso en-tro un breve arco temporale, appuntocento anni. Cos’è cambiato da allora? Non moltis-

prima volta definisce con chiarezza i li-miti fisici alla moltiplicazione del gene-re umano e alla sua attività materialesul pianeta. The Limits of Growth è u-na specie di bomba, l’impressione ne-gli ambienti scientifici e sull’opinionepubblica è enorme. Le traduzioni simoltiplicano affannosamente, c’è chiparagona il rapporto al movimento de-gli enciclopedisti francesi che schiusel’età moderna.

Un allarme mai più cessatoUtilizzando il metodo della dinamica deisistemi, già applicato con successo

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DALMONDODELLARICERCA

a cura di Giovanni Boanodirettore Museo civico scienze

naturali, Carmagnola

di Caterina Gromis di Trana

A prima vista non si direbbe perché igabbiani abitano ormai dappertutto,non solo al mare ma nel delta dei fiumi,all’interno delle pianure, nelle città. Einvece nella moltitudine di Laridi op-portunisti e adattabili c’è una specie piùfragile, che ha bisogno di uno sguardoprotettivo e di maggiore attenzione. Sitratta del gabbiano corso, endemico delMediterraneo nel cui bacino ha il suo a-reale riproduttivo unico al mondo, conuna spiccata concentrazione nel settoreoccidentale. Le notizie più aggiornatevedono il 65% della popolazione in Spa-gna, il resto in piccoli nuclei sparsi traItalia, Grecia, Corsica, Tunisia, Maroc-co, Turchia, Cipro, Libano. Sembrereb-be inutile preoccuparsi, la specie è bendistribuita. Invece verso la fine degli an-ni sessanta questo gabbiano contava600-800 coppie al mondo ed era entra-to nella lista degli animali minacciati diestinzione. Oggi le coppie stimate sonocirca 19.000 e un fatto positivo è chenon siano tutte raggruppate, come è sta-to un tempo, in poche enormi colonie.Dal punto di vista ecologico le proba-bilità di sopravvivenza di una specie so-no maggiori se la popolazione è rap-presentata da unità anche piccole ma di-stribuite in ampie zone. Le colonie digabbiano corso del Mediterraneo cen-trale e orientale (Italia e Grecia) quindisono importanti ancore di salvezza. So-no tra loro indipendenti e di consisten-za discreta: in caso di disastro altrovepotrebbero diventare i nuovi punti dipartenza per il futuro. Studiare le ra-gioni che provocano l’incremento deinidificanti è stato il primo passo che hapermesso di raggiungere lo stato attua-le delle cose: bilancio positivo, gabbia-no corso fuori pericolo.Il benessere di molti uccelli marini de-riva soprattutto da quel che la loro die-ta impone. In questo caso serve il pesceazzurro, legato a filo diretto con la ne-cessità di mare pulito. Per questo gab-biano il malessere è legato a una som-ma di disturbi. Il turismo balneare coin-cide con la sua stagione riproduttiva,povero lui. E l’aumento numerico delgabbiano reale non semplifica la vita:più grosso e invadente, lo precede di al-meno un mese nella nidificazione equindi occupa per primo i siti migliori.In più, aggressivo com’è, gli preda uo-va, pulli e perfino gli adulti. Poi ci sonoi predatori terrestri, l’inquinamento del

mare, i branchi di pesci spariti e chi piùne ha più ne metta. In Italia è stato redatto un piano d’a-zione nazionale che ha lo scopo di man-tenere al livello attuale la consistenza ela distribuzione del gabbiano corso nelnostro paese. Vale la pena di leggerloper gli ornitofili amanti del mare, se èvero che approfondire la conoscenza diuna specie e del suo habitat sviluppa lasensibilità. C’è chi nemmeno sa che e-siste un gabbiano conterraneo di Na-poleone: conoscerne la storia forse puòrendere i bagnanti più attenti. Se nonaltro che non intralcino le operazioni dicova di schiusa e di allevamento dei pul-li, e che guardino da lontano la faticadei genitori all’opera: quel duro lavorosi svolge nei tempi che la natura ha lo-ro assegnato, e se coincidono con quel-li delle nostre vacanze, non facciamonetempi nefasti.

Gianluca Serra, Luca Melega, NicolaBaccetti (a cura di): “Piano d’azione na-zionale per il Gabbiano corso (Larus au-dounii)”.Quaderni di conservazione della natu-ra - n. 6 Pubblicazione distribuita dal Ministerodell’Ambiente e dall’Istituto Nazionaleper la Fauna Selvatica “A. Ghigi”.Si può farne richiesta alla bibliotecadell’INFS, via Cà Fornacetta 9 – 40064– Ozzano Emilia

Attenzione al gabbiano corso

IL CLUB DI ROMA OGGIPresieduto attualmente dal princi-pe di Giordania El Hassan binTalal, i l Club di Roma restaun’organizzazione esclusiva checonta tra i suoi membri persona-lità come Victor A.Sadovnichy,rettore dell’Università di Mosca, ilprofessor Umberto Colombo, illeader politico portoghese MarioSoares. La sede è ad Amburgo(www.clubofrome.org). In Italiapresso i l Wwf ha sede laFondazione Aurelio Peccei(tel.06 844971), che organizzaannualmente una Lecture: aquella del 2001, tenutasi inCampidoglio a Roma, l’ospite eral’ecologo americano LesterBrown. Sempre il Wwf ha intitola-to a Peccei il proprio Centro dieducazione ambientale diOrbetello.

polazione oggi vive in aree a media oelevata siccità.

Ruolo precursoreNegli anni successivi, al rapporto delClub di Roma non sono state rispar-miate critiche anche assai accese. Imodelli su cui era basato lo studio e ilpresupposto della continua crescita del-la produzione, secondo alcuni, si sonorivelati inaffidabili. Carenza di risorse escarsità di energia, in particolare, si sa-rebbero dimostrati fattori assai menolimitanti del previsto, almeno nell’arcodi tempo indicato. Altri hanno ribattutoalle osservazioni con controsservazio-ni. Quel che rimane indubbio, però, èil ruolo precursore che lo studio del Mite le analisi delle dinamiche produttivee demografiche hanno avuto nelle so-cietà dei paesi industrializzati. Aldilà diqualunque accusa di catastrofismo emillenarismo – che non risparmia nem-meno certi rapporti dell’oggi, quelli delWolrdWatch Institute in testa – l’allar-me lanciato nel 1972 ha significato laprima vera presa di coscienza di quel-la che chiamiamo la questione am-bientale. “Senza una forte ventata di o-pinione pubblica mondiale”, sostenevaPeccei, “alimentata a sua volta dai seg-menti più creativi della società – i gio-vani e l’”intellighenzia” artistica, intel-lettuale, scientifica, manageriale – laclasse politica continuerà in ogni pae-se a restare in ritardo sui tempi, pri-gioniera del corto termine e d’interes-si settoriali o locali, e le istituzioni poli-tiche, già attualmente sclerotiche, ina-deguate e ciò nonpertanto tendenti aperpetuarsi, finiranno per soccombe-re”. Non è un appello ancora valido?

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LIBRIA cura di Enrico Massone

Uomini e parchi oggiNel 1996 la Federparchi (al-lora Coordinamento delle a-ree protette) “riscoprì” l’ope-ra e le idee di Valerio Giaco-mini (1914/1981) e la loro at-tualità. Il suo libro Uomini eparchi, completato dal suoprincipale collaboratore Va-lerio Romani per la sua im-provvisa scomparsa, era or-mai vecchio di quindici anni.Quindici anni densi di avve-nimenti per il “mondo” deiparchi una legge nazionale, u-na mappa più fitta di areeprotette, la superficie pro-tetta notevolmente cresciuta.La stessa risposta potremmodare oggi dopo che sono tra-scorsi altri cinque anni. Da al-lora le idee di Giacomini,sempre grazie al lavoro di Fe-derparchi, si sono anche “ma-terializzate” in un Centro Stu-di, situato a Gargnano nelparco dell’Alto Garda Bre-sciano, che porta il suo nome.Il Centro Studi è stato unmodo per “rilanciare” tra tec-nici e amministratori delle a-

ree protette e delle università,le idee scientifiche e umani-stiche di Giacomini. Propriol’elaborazione umanistica diGiacomini rimane una baseculturale e scientifica indi-spensabile. Per questo moti-vo la nostra rivista, la Regio-ne Piemonte ed altri enti han-no collaborato alla ristampadi Uomini e parchi, FrancoAngeli editore, Milano €10.Un’operazione che non nascedalla nostalgia, bensì dallaprofonda sintonia culturale eideologica con le idee espres-se nel libro, sul ruolo, le fina-lità e il modo di agire delle a-ree protette in una realtà co-me quella italiana. Coniuga-re rigore scientifico e natura-listico con una visione uma-nistica è la strada che il men-sile dei parchi piemontesi cer-ca da vent’anni di percorrere.Giacomini scriveva ad un cer-to punto che si parla di par-chi, di leggi, di regolamenti,di piani, di fauna e di florama si finisce poi di parlare diuomini e dei loro rapporti traloro. Ecco, far parlare le cul-ture presenti nelle aree pro-tette tra loro: la cultura natu-ralistica, quella scientifica equella amministrativa, tremodi di vedere ed affrontarei problemi dell’ambiente. Vi sono poi in Uomini e par-chi affermazioni che potrem-mo riscrivere oggi, talmentefotografano ancora la realtà i-

Il lupo storicoC’è il lupo della biologia edell’etologia e quello miticonel nostro immaginarioprofondo e spesso inconscio.E poi c’è il lupo storico, quel-lo che emerge dai documen-ti ufficiali. È questo il lupo in-dagato nel libro curato daMario Comicini in L’uomo ela ‘bestia antropofaga’, Edi-zioni Unicopli 2002. Viene a-nalizzato il rapporto tra l’uo-mo e il lupo nell’Italia setten-trionale dal medioevo all’Ot-tocento, attraverso la punti-gliosa consultazione di docu-menti storici in decine di ar-chivi di Stato, comunali edecclesiastici. Ne esce un ani-male che, in determinate con-

Panda d'Oro alla Regione per il lupo

Il WWF ha premiato l’Asses-sorato Ambiente della Regio-ne Piemonte, per la realizza-zione del progetto di conser-vazione e ricerca dedicato alritorno sulle Alpi del lupo, u-na delle specie maggiormen-te a rischio negli ultimi anni.Grazie anche alla salvaguar-dia dei parchi, oggi e’ torna-to a ripopolare la catena alpi-na e appenninica, dal Pie-monte alla Calabria.Con questa motivazione, allaRegione Piemonte, e soprat-tutto ad alcuni parchi pie-montesi (Marittime, Salber-trand, Troncea, Orsiera e Val-le Pesio), è andato il ricono-scimento del WWF, il “Pan-da d’oro” per aver realizzatoun’attivita’ concreta per la tu-tela della diversità biologica ela creazione di un'autenticaRete Ecologica Nazionale.Il premio è stato consegnatoall’assessore regionale UgoCavallera e al presidente del-la Regione, Enzo Ghigo, dalpresidente delle WWF ItaliaFulco Pratesi, venerdi 14 giu-gno. Info sui progetti e attivita'

premiati con il Panda d’Oro2002: www.wwf.it; tel. 06 84497463 info sul lupo in Piemonte:www.regione.piemonte.it/parchi/index/htm

taliana. Ad esempio: “Gli o-rientamenti in materia di par-chi, e in generale delle zone ditutela, non sono certamenteil frutto di una visione chiaraed unitaria, come simile ar-gomento esigerebbe”. Il libro di Valerio Giacominiè del 1982. Chi avrà modo dileggerlo (o di rileggerlo) tro-verà un’ulteriore stimolo perriprendere l’ampia gammadei temi e contribuire alla cul-tura dei parchi. I “messaggi”che Giacomini ci ha lasciatosono molti. Riscoprire, unadimensione umanistica, idea-le, sociale e anche simbolicadella natura, per non lasciareche questo nodo della nostravita si impantani nelle beghee nei particolari e ristretti in-teressi, è l’obiettivo di fondoperseguito da questa ristam-pa. (g.b.)

dizioni sociali e ambientalicostituiva un effettivo peri-colo per l’uomo con diverse

centinaia di casi di antropo-fagia verbalizzati, in oltre cin-quecento comuni e nel corsodi alcuni secoli.Una ricerca seria che ci invi-ta ad uscire dalla facili sem-plificazioni di parte. In deter-minate condizioni il Canis lu-pus era particolarmente peri-coloso anche per l’uomo. Sitratta di inquadrare corretta-mente il problema senza al-larmismi strumentali proprioora che lentamente sta ripo-polando l’arco alpino da cuiera scomparso da circa un se-colo. Ma neppure di “far fin-ta di niente” o bollare preoc-cupazioni come semplici re-taggi di un passato cultural-mente arretrato.

nella foto (G.Mariotti) ilmomento della premiazione aPalazzo Cavour a Torino

NOTIZIE

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@vvisi ainaviganti

Rita [email protected]://www.lagazzettaweb.it

GLI INDIRIZZIsegnalati in questa rubrica sono«linkati» nella versioneon-line dellarivista.Sono graditesegnalazioni di siti interessanti o curiosi.

www.regione.piemonte.it/parchi/rivista/index.htm

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Ancora qualche indirizzo di siti “mon-tanari”, in questo 2002 che le NazioniUnite hanno voluto Anno internaziona-le delle montagne (http://www.une-sco.it/aim/montagna.htm). La primaindicazione:all’http://www.ines.org/apm-gfbv/2c-stampa/01-3/011214it.html si puòleggere, e magari far proprio, un ap-pello della “Associazione per i popoliminacciati” a “Garantire i diritti umanidei popoli di montagna!”. E’ un appelloche merita attenzione, specialmenteperché “in molte regioni di montagna,in tutto il mondo, popoli indigeni sonovittime dello sfruttamento della loroterra a causa dell'industria mineraria,del disboscamento o delle dighe”. Tra ipopoli di montagna più perseguitati sicitano i Tibetani, gli Uzuli (Carpazidell'Ucraina), i Kurdi (Turchia, Iran, I-raq, Siria), gli Igorot ed Ifugao (Filippi-ne), Kogi e U'wa (Colombia), i Q'ero(Ande peruviane), i Tuvini (Mongolia),gli Oromo (Etiopia), i Lakota Oglala(USA), gli Hazara (Afghanistan) ed al-tri.Alla salvaguardia dell'ambiente mon-tano è dedicata un’intera sezione delsito italiano dell'Unesco(http://www.unesco.it). Vi sono se-gnalate, in particolare, località monta-ne testimoni di un corretto rapportouomo-montagna. Un rapporto, cioè,caratterizzato dal rispetto dell'ambien-te e dal permanere di tradizioni colle-gate alla conservazione dei luoghi edelle risorse. Scopo dell’iniziativa: sen-sibilizzare i cittadini sui temi relativi al-la tutela delle montagne, e diffonderela conoscenza degli ecosistemi mon-tuosi e delle comunità presenti nelleloro aree. Da notare: chi vuole puòcontribuire ad allungare l’elenco dellelocalità censite, indicando le proprieproposte all'indirizzo di posta elettroni-ca [email protected]).http://www.regione.piemonte.it/montagna/pubblicazioni/home.htm è in-vece un indirizzo in cui rintracciare,nel sito dell’assessorato regionale pie-montese che si occupa di montagna eforeste, articoli interessanti per esem-pio sul valore dei sentieri montani osul patrimonio culturale rappresentatodalle meridiane.A proposito, la stagione delle vacanzeè ancora in corso e ciò m’induce a for-

nirvi un altro paio d’indirizzi di siti incui andare a curiosare. Un gruppo diragazzi milanesi si occupa della“montagna che risveglia”…, vale a di-re dell’ossolana Alpe Veglia e dell’o-monimo parco naturale (VB):http://www.alpeveglia.it. è un porta-le davvero ricco d’informazioni, sto-ria, tradizioni, foto, notizie, mappe, e-scursioni etc.E’ milanese pure il diciottenne chenello scorso dicembre ha creatoGressoney OnLine(http://www.gressoneyonline.it),consistente portale interamente dedi-cato ai comuni valdostani di Gresso-ney Saint Jean e Gressoney La Tri-nitè. Il sito, ben articolato e di facilenavigazione attraverso un’ordinatapagina introduttiva (complimenti algiovanissimo webmaster!), offre ogniinformazione utile per organizzare almeglio il proprio soggiorno: dalle pre-visioni meteorologiche alla disponibi-lità alberghiera, dai campeggi ai ser-vizi sanitari, dai rifugi ai cinema, dal-l’artigianato alle attività sportive, dallepasseggiate al folklore o alle ricetteetc. Belle anche le pagine riservate avari aspetti della tradizione e dellacultura della locale comunità monta-na Walser. Da notare, infine, la sche-da sul Museo Regionale della FaunaAlpina (di cui, lo ammetto, finora i-gnoravo l’esistenza…).Su Piemonte Web (http://www.pie-monteweb.it) ci sono parecchie pa-gine, accurate e colme di informazio-ni, interessanti per i turisti in cerca diverde e di quiete. Sono quelle, impre-ziosite da belle foto a colori, in cuiscoprire il Piemonte attraverso i suoiparchi(http://www.piemonteweb.it/PW/pp_Parchi.htm), gli itinerari devozionalidei Sacri Monti ed anche – poiché

“gola” e “spirito” sanno viaggiare ap-paiati… - i prodotti tipici sulla tavoladi una terra che sa essere generosapure a proposito di vini e di cibi.Il tutto è inserito in un portale, certa-mente pronto a crescere ancora (allafine di marzo varie nuove parti risulta-vano in costruzione), che della regio-ne subalpina fornisce numerose chia-vi di lettura e quindi propone moltealtre informazioni e curiosità relativeper esempio ad arte, storia, culturaed economia. Da segnalare, in parti-colare: le 8 sezioni riservate alle al-trettante province piemontesi, e alcu-ni servizi per gli utenti.Nelle vostre navigazioni avete trovatoaltri siti interessanti? Non siate egoi-sti, segnalateli anche a noi.

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La naturadà spettacolo.La natura più intatta e preziosa

svela i suoi segreti:

i prodotti, l’artigianato,

l’enogastronomia,

la cultura e le tradizioni.

1a Mostra Mercato Europea delle Aree Protette

Torino, Lingotto Fiere10-13 Ottobre 2002

Organizzazione: Lingotto Fiere S.p.A. - Via Nizza, 29410126 Torino - Tel.+39.011.66.44.111 - Fax +39.011.66.46.642Web Site:www.lingottofiere.it/parchidel2000E-mail: [email protected]

Per Informazioni: Project Manager Vincenzo Reda Tel/Fax +39.011.436.23.98 - Cell. 335.535.88.28E-mail: [email protected]

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