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La nazionalizzazione elettrica in Italia

Date post: 01-Nov-2021
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La nazionalizzazione elettrica in Italia Conflitti di interessi e progetti legislativi 1945-1962 di Fabio Silari L’evoluzione del ruolo dello stato nell’eco- nomia italiana costituisce uno dei più impor- tanti problemi affrontati dalla storiografia nel secondo dopoguerra. Un esempio parti- colare di questa evoluzione si può riscontra- re nel settore della produzione e della distri- buzione di energia elettrica, dove venne adottata, dopo il 1945, una politica di am- pliamento del controllo pubblico e poi, nel 1962, si procedette alla nazionalizzazione del servizio. Nelle pagine che seguono cer- cheremo di ricostruire il dibattito che ha ac- compagnato tali eventi, cercando di collega- re le iniziative e i progetti avanzati dalle va- rie forze politiche con le questioni industriali specifiche del settore (produzione, traspor- to, distribuzione, domanda e tariffe). Dagli anni trenta al secondo dopoguerra Il servizio elettrico, dopo una lunga fase di sviluppo produttivo e di aggregazione finan- ziaria tra gli anni dieci e venti1, aveva rag- giunto una configurazione definitiva con la crisi economica e finanziaria dei primi anni trenta2. Da quel momento si consolidò defi- nitivamente una struttura produttiva e fi- nanziaria basata su sei grandi gruppi auto- nomi a carattere regionale3, che perseguiro- no una strategia basata su un elevato grado di autonomia dei propri sistemi elettrici (cioè dell’insieme delle rispettive strutture produttive e distributive), escludendo per- tanto l’avvio di una politica di coordina- mento nazionale del servizio. Durante gli anni trenta il perdurare di una cattiva con- giuntura economica, con le sue conseguenze sulla domanda, ed il sovradimensionamento della capacità produttiva causato dalla forte spinta costruttiva degli anni venti, spinsero ad un rallentamento degli investimenti in nuovi impianti. Era anche un sintomo del- l’esaurirsi dei precedenti meccanismi di svi- luppo di un servizio che, fino a quel mo- mento, si era basato su una domanda in co- stante crescita4. Il rallentamento degli investimenti e la 1 Per una analisi di questa fase vedi Giorgio Mori, Le guerre parallele. L ’industria elettrica in Italia nel periodo della grande guerra (1914-1919), “Studi storici”, 1973, n. 2, e Renato Giannetti, La conquista della forza. Risorse, tecnologia ed economia nell’industria elettrica italiana (1883-1940), Milano, Angeli, 1985. 2 II passaggio all’Iri della Banca commerciale e della controllata Bastogi portò sotto il controllo pubblico quasi il 30 per cento della capacità produttiva. La politica di smobilizzo seguita durante gli anni trenta ridusse il peso pub- blico, ma non rinfocolò gli scontri per l’egemonia all’interno del settore 3 I sei gruppi elettrocommerciali erano: la Edison; la Sip (Iri); la Sade; la Centrale; la Sme (Iri e privati); la Basto- gi. Questi gruppi controllavano nel 1946 il 54,4 per cento della produzione di energia elettrica. 4 In proposito vedi le dichiarazioni di Mario Ungaro, vice direttore dell’Iri, in Ministero per la Costituente, Rap- porto della commissione economica presentato all’Assemblea Costituente II, Industria, II: Appendice alla reiazio- Italia contemporanea”, dicembre 1989, n. 177
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La nazionalizzazione elettrica in ItaliaConflitti di interessi e progetti legislativi 1945-1962

di Fabio Silari

L’evoluzione del ruolo dello stato nell’eco­nomia italiana costituisce uno dei più impor­tanti problemi affrontati dalla storiografia nel secondo dopoguerra. Un esempio parti­colare di questa evoluzione si può riscontra­re nel settore della produzione e della distri­buzione di energia elettrica, dove venne adottata, dopo il 1945, una politica di am­pliamento del controllo pubblico e poi, nel 1962, si procedette alla nazionalizzazione del servizio. Nelle pagine che seguono cer­cheremo di ricostruire il dibattito che ha ac­compagnato tali eventi, cercando di collega­re le iniziative e i progetti avanzati dalle va­rie forze politiche con le questioni industriali specifiche del settore (produzione, traspor­to, distribuzione, domanda e tariffe).

Dagli anni trenta al secondo dopoguerra

Il servizio elettrico, dopo una lunga fase di sviluppo produttivo e di aggregazione finan­ziaria tra gli anni dieci e venti1, aveva rag­

giunto una configurazione definitiva con la crisi economica e finanziaria dei primi anni trenta2. Da quel momento si consolidò defi­nitivamente una struttura produttiva e fi­nanziaria basata su sei grandi gruppi auto­nomi a carattere regionale3, che perseguiro­no una strategia basata su un elevato grado di autonomia dei propri sistemi elettrici (cioè dell’insieme delle rispettive strutture produttive e distributive), escludendo per­tanto l’avvio di una politica di coordina­mento nazionale del servizio. Durante gli anni trenta il perdurare di una cattiva con­giuntura economica, con le sue conseguenze sulla domanda, ed il sovradimensionamento della capacità produttiva causato dalla forte spinta costruttiva degli anni venti, spinsero ad un rallentamento degli investimenti in nuovi impianti. Era anche un sintomo del- l’esaurirsi dei precedenti meccanismi di svi­luppo di un servizio che, fino a quel mo­mento, si era basato su una domanda in co­stante crescita4.

Il rallentamento degli investimenti e la

1 Per una analisi di questa fase vedi Giorgio Mori, Le guerre parallele. L ’industria elettrica in Italia nel periodo della grande guerra (1914-1919), “Studi storici”, 1973, n. 2, e Renato Giannetti, La conquista della forza. Risorse, tecnologia ed economia nell’industria elettrica italiana (1883-1940), Milano, Angeli, 1985.2 II passaggio all’Iri della Banca commerciale e della controllata Bastogi portò sotto il controllo pubblico quasi il 30 per cento della capacità produttiva. La politica di smobilizzo seguita durante gli anni trenta ridusse il peso pub­blico, ma non rinfocolò gli scontri per l’egemonia all’interno del settore3 I sei gruppi elettrocommerciali erano: la Edison; la Sip (Iri); la Sade; la Centrale; la Sme (Iri e privati); la Basto­gi. Questi gruppi controllavano nel 1946 il 54,4 per cento della produzione di energia elettrica.4 In proposito vedi le dichiarazioni di Mario Ungaro, vice direttore dell’Iri, in Ministero per la Costituente, Rap­porto della commissione economica presentato all’Assemblea Costituente II, Industria, II: Appendice alla reiazio-

Italia contemporanea”, dicembre 1989, n. 177

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mancanza di una linea di collegamento in­terregionale provocò alla fine degli anni trenta un intervento del governo in linea, anche se con obiettivi più limitati, con ana­loghe iniziative prese, tra gli anni venti e trenta, in Inghilterra, in Germania e in Francia per la realizzazione della intercon­nessione dei sistemi elettrici regionali e per il loro coordinamento a livello nazionale5. I gruppi elettrici italiani riuscirono però ad evitare l’intervento diretto dello stato impe­gnandosi a realizzare una linea di trasporto ad alta tensione tra il Nord ed il Sud del pae­se6 ed un programma di nuovi impianti. Il ritardo dell’Italia nella costruzione di un si­stema elettrico integrato a livello nazionale rispetto agli altri paesi europei va peraltro attribuito anche alla struttura produttiva del settore, basata esclusivamente sulla genera­zione idraulica, che permetteva in parte di immagazzinare la capacità produttiva ren­dendo meno rilevante il problema del con­trollo del carico, cioè il problema di ripartire la copertura dell’offerta in modo economi­camente efficiente tra diversi tipi di impianti in rapporto alla domanda7. In Italia, fino agli anni cinquanta, il carico venne coperto utilizzando gli impianti idroelettrici ad ac­qua fluente, integrati, per la copertura delle punte, da quelli a serbatoio o da pochi im­pianti a generazione termica. Una tale strut­tura produttiva permise il mantenimento di

esercizi regionali separati, che soltanto sotto la spinta della differenziazione dell’apparato produttivo, lentamente avviata dopo il 1949, furono interessati da un processo di integra­zione8. Viceversa, nei sistemi basati sulla ge­nerazione termica o mista, come quelli dei maggiori paesi europei, si poneva l’esigenza del controllo del carico, in modo da ottenere un efficiente sfruttamento delle economie di scala degli impianti termoelettrici funzio­nanti a ciclo continuo e destinati alla coper­tura del carico di base9.

La gestione privata del servizio elettrico aveva sollevato molte critiche già pochi anni dopo l’avvio delle prime imprese elettriche10. Sia i liberisti che i fautori di un ruolo più at­tivo dello stato nell’economia avanzarono proposte per la costituzione di un monopo­lio pubblico nel servizio elettrico, perché lo ritenevano un importante servizio di pubbli­ca utilità e un settore vitale per l’economia di un paese privo di risorse energetiche. Tra il 1944 e il 1945 alcuni fattori di ordine poli­tico ed economico misero ancora una volta in discussione il ruolo dell’iniziativa privata. Il tema trovò posto nei progetti economici elaborati congiuntamente da tutte le forze politiche riunite nei Cln. In questi progetti si individuavano gli strumenti per la ricostru­zione del paese nella lotta ai monopoli e nel­la pianificazione pubblica, e quindi nell’as­sunzione diretta da parte dello stato del ser­

ri e; (interrogatori), Roma 1949, pp. 41-42, e Enrico Marciani, Necessità di una politica di “load management”, in Pippo Ranci-Gianni Cozzi (a cura di), Energia elettrica: tariffe e controllo della domanda, Milano, Angeli, 1981, p. 45.! Per la situazione europea prebellica vedi Edmond Roux, Organizzazione della produzione e distribuzione dell’e­nergia elettrica, “L’energia elettrica”, 1938, fase. 9, pp. 558-567.6 Cfr. le dichiarazioni di Giovanni Silva, presidente della Coniel, in Anidel, Rapporti tecnici e commerciali di scambio di energia tra imprese, Milano, Anidel, 1962, p. 62.7 Cfr. P. Ranci-G. Cozzi, Energia elettrica, cit., pp. 14-15.8 La potenza installata nella generazione termoelettrica passò, tra il 1949 e il 1962, dal 15 per cento al 31,5 per cen­to del totale.9 Cfr. P. Ranci-G. Cozzi, Energia elettrica, cit., p. 15.10 Le discussioni e le prime proposte di nazionalizzazione presero spunto da una circolare del ministero dei Lavori pubblici del giugno 1898 sulle modalità di concessione degli impianti di produzione. In proposito vedi Francesco Saverio Nitti, Scritti di economia e finanza, vol. Ili, parte II, Bari, Laterza, 1966, p. 160.

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vizio elettrico11. Anche se molti presupposti programmatici dell’immediato dopoguerra furono presto abbandonati, il tema della lot­ta anti-monopolista non scomparve dalla propaganda politica. Infatti, nei programmi presentati per le elezioni del 1946 dai tre maggiori partiti furono evocati più o meno estesi interventi pubblici attraverso socializ­zazioni, statizzazioni o nazionalizzazioni di settori o industrie12.

Mentre in Francia e in Gran Bretagna la politica di ricostruzione venne impostata su un ruolo attivo dello stato nella regolazione dei meccanismi economici, con l’adozione di politiche di stampo keynesiano, in Italia in­vece i rapporti di forza politici e l’insuffi­ciente preparazione economica della nuova classe dirigente13 portarono all’affermazione di una politica economica liberista nel cam­po fiscale e nella spesa pubblica, accompa­gnata da una aspra critica del dirigismo eco­nomico e della eccessiva estensione della presenza dello stato nella struttura economi­ca e finanziaria del paese14. In questo conte­sto le possibilità di allargare l’area dell’inter­vento pubblico ad altri settori industriali di­ventarono incompatibili non solo con le na­zionalizzazioni, ma con qualsiasi riforma economica di ampio respiro. L’opportunità di un intervento pubblico nel settore elettri­

co rimase però di attualità. La crisi produtti­va in cui versava il settore, che comportò dal 1945 ai primi mesi del 1950 un razionamento dei consumi, unita alle continue richieste di aumenti tariffari, contribuirono a mantene­re la ‘questione elettrica’ in primo piano e ad allargare il consenso per un intervento dello stato15.

I governi di ‘unità nazionale’, fin dal mi­nistero Parri, non considerarono mai la pos­sibilità di procedere alla nazionalizzazione del servizio elettrico, adducendo prima mo­tivazioni istituzionali — giustificate dalla fa­se di transizione costituzionale — e poi op­portunità di ordine politico generale16. Sul tema delle nazionalizzazioni sintomatiche furono le posizioni assunte dal Pei. Togliat­ti, ad esempio, affermò, alla conferenza economica del Pei nell’agosto del 1945, che il problema delle grandi riforme e delle na­zionalizzazioni doveva essere considerato come “un rifugiarsi in problemi lontani”, mentre l’impegno del partito doveva con­centrarsi sulla lotta all’inflazione, la ripresa produttiva e la difesa dell’occupazione17. L’atteggiamento del Pei, che da una parte inseriva nei suoi programmi economici le nazionalizzazioni, e dall’altra ne disconosce­va la priorità, venne chiarito, nel dicembre del 1946, da Scoccimarro, allora ministro

11 Cfr. Mario Ferrari-Aggradi, La svolta economica delta resistenza, Correggio, Forni, 1975, p. 55.12 Sui programmi dei partiti nel periodo 1944-1947 cfr. A tti e documenti della Democrazia cristiana, 1943-1959, Roma, Cinque Lune, 1961; Rodolfo Morandi, Democrazia diretta e ricostruzione capitalistica, Torino, Einaudi, 1960; Luciano Barca-Franco Botta-Alberto Zevi (a cura di), I comunisti e l ’economia italiana (1944-1974). Antolo­gia di scritti e documenti, Bari, De Donato, 1975.13 Su questo tema vedi Piero Barucci, Il dibattito sulla politica economica della ricostruzione (1943-1947), in L ’Ita­lia dalla liberazione alla repubblica. Atti del convegno internazionale organizzato a Firenze il 26-28 marzo 1976, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 397.14 In proposito vedi Camillo Daneo, La politica economica della ricostruzione (1945-1949), Torino, Einaudi, 1975, pp. 327-328.15 Nel secondo dopoguerra il servizio elettrico venne nazionalizzato in Gran Bretagna e in Francia, mentre in Ger­mania occidentale fu rafforzato il coordinamento nazionale.16 II liberale Leone Cattani, ministro dei Lavori pubblici del primo gabinetto De Gasperi, rese noto nel 1960 che in quel periodo fu deciso di adottare la linea del controllo del servizio elettrico, come la più semplice e adatta alla si­tuazione generale del paese, pur esistendo, anche da parte sua, il convincimento della necessità di nazionalizzare. Cfr. Eugenio Scalfari et al., Le baronie elettriche, Bari, Laterza, 1960, p. 156.17 Cfr. L. Barca-F. Botta-A. Zevi (a cura di), I comunisti e l ’economia italiana, cit., pp. 71-75.

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delle Finanze, che proprio in relazione alla ‘questione elettrica’, spiegò le proposte di nazionalizzazione come stimoli alla ripresa produttiva dei settori dove si manifestava insufficiente l’iniziativa privata18. Le ambi­guità nell’uso dello strumento della nazio­nalizzazione furono del resto comuni a tutti e tre i partiti di massa19. La soluzione della ‘questione elettrica’ non era in effetti indivi­duata nella nazionalizzazione, ma in un in­tervento limitato al controllo e al coordina­mento di un servizio che, comunque, dove­va restare privato. Soltanto il secondo go­verno De Gasperi prese una iniziativa legi­slativa per dare al servizio elettrico “un re­gime” più consono agli interessi dell’econo­mia nazionale20. Il progetto governativo, che tutti definivano impropriamente nazio­nalizzazione e che aveva provocato un crol­lo dei titoli elettrici in Borsa, era invece una riforma volta a coordinare la produzione delle imprese a partecipazione statale e il trasporto di energia elettrica a livello nazio­nale. Elaborato dal ministro dei Lavori pub­blici, il socialista Romita, il progetto preve­deva l’unificazione delle partecipazioni elet­triche dell’Iri in una impresa pubblica, la quale avrebbe anche acquisito gli impianti della Terni sul Vomano — ancora in fase di realizzazione —, quelli della Larderello (Ff- Ss) — completamente distrutti dai tedeschi nel 1944 — e quelli della Società Medio Adige (Edison, Sade, La Centrale) — ancora in fa­

se di realizzazione. Con questi impianti e l’acquisizione della linea ad alta tensione della Compagnia nazionale imprese elettri­che (Coniel) — messa fuori servizio dai tede­schi nel 1944 — la nuova impresa pubblica avrebbe potuto regolare gli scambi tra le va­rie zone del paese. Il progetto Romita si completava con una riforma in senso più re­strittivo del Testo Unico sulle acque del 1933, per ottenere un maggiore controllo sui tempi e sulle dimensioni delle opere, e con un programma di finanziamenti per nuovi impianti da realizzare con la compartecipa­zione pubblica21. Il progetto seguiva uno schema già proposto da Romita nel 194422 e si ispirava, aggiornandole, alle già cita­te esperienze europee degli anni venti e trenta.

La proposta non incontrò il favore del Comitato interministeriale per la ricostru­zione (Cir), che si pronunciò per una sua re­visione in base al criterio della limitazione dell’intervento pubblico al solo controllo esterno. I partiti della maggioranza ritenne­ro il provvedimento non in linea con l’esi­genza di uscire rapidamente dalla situazione di crisi in cui versava il servizio. In pratica, si ribadì la convinzione che lo stato non sa­rebbe stato capace di gestire una razionaliz­zazione della struttura produttiva senza ag­gravare il deficit di energia elettrica che gra­vava sul paese23. Il nuovo progetto di Romi­ta fu quindi limitato alla costituzione di un

18 Per le dichiarazioni di Scoccimarro vedi L ’avvenire dell’industria elettrica, “Il commercio 24 ore”, 29 novembre 1946 e La nazionalizzazione dell’industria elettrica, “l’Unità”, 11 dicembre 1946.19 Per un esempio di questo atteggiamento vedi Rodolfo Morandi, Iniziativa d ’impresa, “Avanti!” , 29 ottobre 1946.20 Per il programma del governo vedi Discorso di De Gasperi all’Assemblea Costituente, “Avanti!” , 16 luglio 1946.21 Del progetto di legge di Romita non è stato possibile rintracciare alcuna stesura diretta. Ci siamo quindi affidati alle notizie della stampa. In proposito vedi: 28 miliardi per ìa nazionalizzazione del collegamento elettrico tra Nord e Sud, “Il commercio 24 ore”, 5 novembre 1946; Impianti elettrici e carbone, “l’Unità”, 6 novembre 1946; Il pro­getto Romita al Cir, “Il Sole”, 29 novembre 1946.22 Nell’ottobre 1944 Romita inviò al presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi, un progetto di legge che prevedeva l’istituzione di un Commissario nazionale per l’energia elettrica dotato di compiti generali di coordinamento e di controllo. Cfr. Archivio centrale dello stato, presidenza del Consiglio dei ministri, fase. 1310, n. 29802, Commissa­rio nazionale per l ’energia elettrica.23 Sulle conclusioni della riunione del Cir vedi: Riunione de! Cir, “l’Unità”, 28 novembre 1946; Riunione serale

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comitato di coordinamento, la modifica del Testo Unico sulle acque e un programma di costruzioni24. La svolta politica centrista del maggio 1947 portò all’accantonamento defi­nitivo della riforma sul servizio elettrico, e quindi dell’ultima versione del progetto di riforma curato dal nuovo ministro dei Lavo­ri pubblici, il comunista Sereni25. Il successo degli elettrici non fu tuttavia completo. I grandi gruppi avevano fornito un rilevante appoggio alla campagna neo-liberista ed avevano evitato ogni intervento di riforma, ma non erano riusciti a conseguire quello che ad un certo momento era sembrato a portata di mano, cioè il completo affranca­mento dal controllo statale con la liberaliz­zazione delle tariffe26. L’appartenenza del servizio elettrico ai servizi di pubblica utilità e quindi il suo controllo da parte dello stato fu ribadito in due occasioni. Nel 1949, quando i tentativi di abolire il regime vinco­listico sulle tariffe, varato nel 1936, furono sventati da un ampio consenso parlamentare che andava da alcuni settori della De alle si­nistre27. E in precedenza, nel 1947, quando una analoga maggioranza si era formata in sede Costituente per approvare alcuni arti­coli che lasciavano aperta la possibilità di

nazionalizzare le attività di pubblica utilità operanti nel settore delle fonti di energia28.

l ‘baroni dell’elettricità’

La rinunzia all’intervento diretto dello sta­to, decisa nel 1946, non chiuse la ‘questione elettrica’, perché non eliminò le radici delle polemiche sull’inefficienza della gestione privata e sulle sue conseguenze sull’econo­mia del paese. Contro l’assetto produttivo e proprietario del settore elettrico venivano mosse tre principali accuse: il monopolio; l’inefficienza; la frammentazione. Il primo punto prendeva le mosse dalla constatazione dell’esistenza di una relazione obbligata tra distributore ed utente, che configurava il servizio elettrico come una situazione di mo­nopolio. Ne derivavano, secondo i canoni della letteratura antimonopolistica, dei giu­dizi negativi sulla gestione privata, conside­rata inadatta ad uno sviluppo degli impianti adeguato alle esigenze del paese29 e responsa­bile di livelli tariffari eccessivamente eleva­ti30. Accanto alla constatazione dell’esistenza di un monopolio tecnico, veniva utilizzata l’argomentazione del servizio elettrico co­

de/ Cir, “Il commercio 24 ore”, 28 novembre 1946; Riunione del Cir. Controllo dello stato sugli impianti elettrici, “Corriere della Sera”, 28 novembre 1946.24 Per il secondo progetto Romita vedi Progetti di Romita al Consiglio dei ministri, “Il commercio 24 ore”, 18 di­cembre 1946. La contrarietà del Pei alla seconda stesura del progetto Romita fu espressa da L. Barca, Da Romita a Casini il progetto è capovolto, “l’Unità”, 29 dicembre 1946.25 Per il progetto di Sereni vedi Cesare Dami, Problemi dell’industria elettrica italiana, “Moneta e credito”, 1950, n. 10, p. 188.26 Cfr. Anidel, Relazione del Consiglio direttivo all’assemblea dei soci, “L’energia elettrica”, 1949, n. 7, pp. 411- 413.27 Per il dibattito parlamentare sullo sblocco delle tariffe vedi C. Dami, Problemi dell’industria elettrica, cit., p. 189, e Anidel, Relazione del Consiglio direttivo all’assemblea dei soci, “L’energia elettrica”, 1950, n. 6, p. 349.28 Sull’elaborazione e l’approvazione dell’articolo 43 del testo costituzionale vedi Camera dei deputati, La Costitu­zione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma, 1977, vol. II, pp. 1671-1673, voi. Ili, pp. 2180-2194.29 Su questo tema le prime critiche alla gestione privata furono mosse da F.S. Nitti, Scritti di economia e finanza, cit., p. 222. Sullo stesso tema vedi anche Filippo Di Pasquantonio, La nazionalizzazione dell’industria elettrica, Roma, Editori Riuniti, 1962, p. 57.30 Su questo argomento gli interventi furono particolarmente numerosi. Cfr. ad esempio Ernesto Rossi, Settimo non rubare, Bari, Laterza, 1952, pp. 288-289, e E. Scalfari, Rapporto sul neocapitalismo in Italia, Bari, Laterza, 1961, p. 28.

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me di un “monopolio naturale” per rivendi­care la necessità di una gestione unica e pub­blica del servizio. Il mercato dell’energia elettrica permette infatti, grazie alle econo­mie di scala, la crescita di imprese destinate ad assorbire sempre maggiori quote di do­manda, che praticano prezzi che mettono fuori mercato qualsiasi impresa concorrente non in grado di esprimere le stesse capacità di espansione produttiva31. Quindi un pro­duttore unico raggiunge il massimo dell’effi­cienza possibile. Alle critiche al monopolio si aggiungevano quelle all’efficienza della gestione per una serie di ritardi nella razio­nalizzazione dell’esercizio, e in particolare nella costruzione delle linee di interconnes­sione; nell’unificazione delle frequenze e tensioni; nell’avvio della marcia in parallelo degli impianti; nell’istituzione di un dispac­ciatore centrale del carico32. Tutti problemi che erano strettamente legati alla struttura produttiva dei sistemi elettrici italiani, nei quali i problemi della regolazione del carico si erano presentati, come si è visto, molto in ritardo rispetto agli altri paesi.

I dirigenti dei gruppi elettrici ritenevano tali critiche del tutto ingiustificate e frutto di una profonda ignoranza dei problemi del servizio33. Secondo loro le società elettriche non agivano in una situazione di monopolio perché sul mercato dell’energia elettrica ope­ravano più produttori e rivenditori ed era

sempre possibile accedere all’autoproduzio- ne34. Allo stesso tempo veniva messo in evi­denza che la dinamica dello sviluppo del set­tore era stata quella di una crescita continua della produzione e degli utenti allacciati, mentre si era verificato un calo in termini reali delle tariffe nel lungo periodo35. I diri­genti delle società elettriche respingevano anche, come superficiali, i raffronti con i maggiori paesi europei sul consumo medio procapite, che ponevano l’Italia nelle ultime posizioni, perché a loro giudizio non teneva­no conto della diversa situazione del paese, anche sul piano dei redditi36. Ancora più de­cisa era la difesa dell’efficienza nella gestio­ne del servizio. Non si poteva parlare di ri­tardi tecnologici, perché i sistemi elettrici erano stati sempre gestiti nel modo più ra­zionale: per esempio, l’unificazione delle frequenze e delle tensioni era stata comple­tata solo alla metà degli anni cinquanta per­ché prima non costituiva un problema per l’esercizio. Anche la presenza di più società elettriche non era ritenuta di per sé una pro­va di inefficienza, anzi, una tale struttura aveva assicurato un intenso sviluppo del set­tore, mentre la cooperazione volontaria tra i vari gruppi permetteva da tempo una condu­zione dell’esercizio a livello nazionale37.

Tutta la polemica sulla gestione del servi­zio elettrico risentiva delle posizioni di prin­cipio inconciliabili dei due schieramenti, che

31 Cfr. Barbara Di Bernardo, II prezzo dell’energia elettrica e il costo marginale, “Economia delle fonti di ener­gia”, 1981, n. 13, pp. 9-10.32 Per un panorama completo di questi tempi vedi Federico Vanini, L ’interconnessione dell’energia elettrica, Firen­ze, Vallecchi, 1962.33 In risposta alle critiche l’Associazione nazionale imprese produttrici e distributrici pubblicò alcuni opuscoli nei momenti di più acuta polemica. In particolare vedi Anidel, Aspetti e problemi delia nazionalizzazione, Milano, Anidel, 1946, e Anidel, “Il monopolio privato sotto accusa’’ ovvero “Dell’obiettività e della logica". Replica ad Er­nesto Rossi, Roma, Anidel, 1960.34 In proposito vedi Gabriele Verzi, Struttura e problemi dell’industria elettrica italiana nel 1962, Milano, Giuffrè, 1962, pp. 14, 96-99. Il saggio del Verzi — collaboratore della Giunta tecnica del gruppo Edison — venne pubblica­to nel giugno del 1962 e servì da spunto alle relazioni di minoranza delle opposizioni di destra contro la legge istitu­tiva dell’Enel.35 Cfr. G. Verzi, Struttura e problemi dell’industria elettrica, cit., p. 15.36 Anidel, “Il monopolio privato sotto accusa”, cit., pp. 37-40.37 Anidel, “Il monopolio privato sotto accusa”, cit., pp 18-27.

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non lasciavano alcuno spazio al confronto concreto sui problemi del settore. Un solo esempio: il problema di determinare il tasso di crescita della capacità produttiva degli impianti era visto dagli antiprivatisti come un’occasione per dotare il paese di una ca­pacità produttiva superiore alla tendenza de­cennale di aumento della domanda,e quindi per stimolare lo sviluppo economico genera­le attraverso una larga disponibilità di ener­gia a basso prezzo38. Per i gruppi elettrici l’equazione ‘più energia più sviluppo econo­mico’ non teneva conto che la disponibilità di energia elettrica era soltanto uno, e nep­pure il più importante, dei fattori che stimo­lavano la crescita dell’industria e la sua loca­lizzazione, almeno nella maggior parte dei casi39.

L’attenzione polemica rivolta alla gestio­ne del servizio elettrico era legata, oltre che ai problemi dell’esercizio, anche al peso eco­nomico e politico che i gruppi elettrici si era­no conquistati nel paese; essi detenevano in­fatti un ruolo predominante nel panorama finanziario con circa un quarto dei capitali delle società per azioni. A livello politico, gli elettrici avevano legato strettamente le loro fortune al mantenimento della maggioranza centrista, la sola che garantisse la conserva­zione dell’assetto proprietario esistente. Questo significava non solo battersi contro

ogni ipotesi di apertura a sinistra, ma anche opporsi ad una diversa politica della spesa pubblica, dei salari e quindi dei consumi, che appariva invece più accettabile ad altri gruppi industriali40. Per quanto riguarda il mondo economico i gruppi elettrici si trova­rono spesso in contrasto con l’utenza indu­striale, in particolare con la Montecatini e la Fiat, per le richieste di revisione dei livelli tariffari41. Negli anni cinquanta, un altro elemento di perturbazione dei rapporti nel mondo industriale fu provocato dall’espan­sione di alcuni gruppi elettrici in altri settori produttivi. In particolare la Edison entrò più decisamente nel settore chimico fino a quel momento monopolizzato dalla Monte- catini42. Questi fatti contribuirono ad incri­nare la solidarietà nella Confindustria — co­munque ancora egemonizzata dalla Edison e dagli elettrici43 — sulla questione elettrica, come diventò palese nel 1962, quando la Fiat e la Montecatini non appoggiarono la campagna antinazionalizzazione44. Nel cam­po dell’industria pubblica i gruppi elettrici privati trovarono sia appoggi che opposizio­ni. L’Iri, interessata a mantenere le parteci­pazioni nelle società elettriche, difese rasset­to esistente45. Per contro, l’Eni di Enrico Mattei e il Comitato nazionale per le ricer­che nucleari (Cnrn) di Felice Ippolito, impe­gnati in modi diversi in una strategia di al-

38 Per una sintesi di questo tema vedi Aa.Vv., Fonti di energia e sviluppo economico nel sud, “Quaderni di nuovo Mezzogiorno”, 1961, n. 5, p. 5.39 Per i presupposti teorici delle posizioni dei gruppi elettrici vedi Disponibilità di energia elettrica e sviluppo eco­nomico, “Quaderni di studi e notizie della giunta tecnica del gruppo Edison”, 1960, n. 324, pp. 804 sgg.40 Cfr. Giuseppe Tamburrano, Storia e cronistoria del centro-sinistra, Milano, Feltrinelli, 1971, pp. 67-70, 132.41 La Fiat e la Montecatini parteciparono nel 1948 alla costituzione dell’Unione nazionale consumatori di energia elettrica (Unacel) con lo scopo di tutelare gli interessi delle utenze di forza motrice.42 Per una sintesi delle strategie della Edison nel settore chimico vedi Assemblea della società Edison (1957), “Qua­derni di studi e notizie della giunta tecnica del gruppo Edison”, 1958, n. 240, p. 229.43 I gruppi elettrici rappresentavano a livello locale una delle componenti più forti e compatte degli industriali. La Edison, in particolare, controllava l’Assolombarda, la componente maggiore della Cgii. Su questi temi vedi Joseph La Palombara, Clientela e parentela. Studio sui gruppi d ’interesse in Italia, Milano, Comunità, 1967, p. 277.44 1 due gruppi non andarono al di là di una solidarietà formale. Soltanto quando venne paventata la possibilità che la nazionalizzazione coinvolgesse anche gli autoproduttori reagirono contro il provvedimento.45 Per l’atteggiamento dell’Iri nei confronti delle polemiche sul servizio elettrico vedi Aa.Vv., Fonti di energia e sviluppo, cit., pp. 11-12, 28-31.

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largamento dell’area di intervento pubblico nel settore energetico — al fine di realizza­re un sistema verticale, dal combustibile al­la vendita di energia elettrica — dettero un forte appoggio alla campagna ‘anti-elettri- ca’46.

L’intervento statale negli anni cinquanta

Nel 1949, la decisione di mantenere il regime di blocco delle tariffe elettriche e la non li­quidazione dell’Agip rappresentano, rispet­to alle scelte politiche del 1946-1947, un pri­mo punto di svolta nell’approccio della poli­tica di governo verso i settori delle fonti di energia. Questa evoluzione venne sostenuta dalle correnti democristiane interessate ad un ruolo più attivo dell’amministrazione pubblica e delle partecipazioni statali nella vita economica del paese, come gli ex-dos- settiani47. La conservazione all’Agip del mo­nopolio dell’estrazione del gas naturale — ribadita nel 1953 con l’istituzione dell’Eni — e la creazione, nel 1952, del Cnrn rappresen­tarono i momenti di maggior contrasto tra i gruppi elettrici e i fautori dell’intervento pubblico presenti nella maggioranza gover­nativa. Le società elettriche vedevano nel gas naturale — ma allora si sperava anche nella scoperta del petrolio — la possibilità di alimentare le nuove centrali termoelettriche conservando in questo modo la tradizionale

autonomia energetica48. L’Agip non solo di­fese il monopolio pubblico, ma indirizzò la produzione di gas naturale verso gli usi diret­ti che, in alcuni consumi industriali e dome­stici, fecero concorrenza a quelli elettrici49. Il Cnrn seguì una politica fortemente contraria all’ingresso dei gruppi elettrici nel campo nu­cleare avviando uno scontro di carattere prettamente politico sulle competenze relati­ve alla ricerca e all’utilizzo dell’energia nu­cleare, nel quale brillò per la sua assenza una seria attività di ricerca applicata50. Si giuocò in tal modo una partita pubblico-privato quando ancora il sistema di produzione era oggetto di scelta, cosicché l’Italia fu l’unico paese, dopo gli Stati Uniti, nel quale furono avviati gli studi in tutti i tipi di ‘filiere’51.

Per quanto riguarda più precisamente l’in­tervento pubblico nel servizio elettrico esso si realizzò, durante gli anni cinquanta, attra­verso la riorganizzazione delle partecipazioni statali e il controllo amministrativo sui pro­grammi di sviluppo e sui livelli tariffari. Nel quadro della ristrutturazione deH’Iri venne costituita una holding elettrica, la Finelettri­ca, che assunse il controllo della Sip, della Trentina, della Terni (insieme alla Finsider) e della Sme (insieme ai privati), cioè di circa il 23 per cento della produzione elettrica nazio­nale52. La Finelettrica si impegnò in una serie di programmi di integrazione delle società controllate, distribuite per tutta la penisola, seguendo anche le esigenze delle altre hol-

46 Per la politica anti-elettrica dell’Eni vedi Marcello Colitti, Energia e sviluppo in Italia. La vicenda di Enrico Mattei, Bari, De Donato, 1979, pp. 213 sgg. Per la politica del Cnrn vedi Felice Ippolito-Folco Simen, La questione energetica. Dieci anni perduti, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 82, 85-86.47 Vedi Cario Pinzani, L ’Italia repubblicana, in Storia d ’Italia - Dall’Unità ad oggi, vol. IV, tomo III, Torino, Ei­naudi, 1976, p. 2567 e Bruno Bottiglieri, La politica economica dell’Italia centrista (1948-1958), Milano, Comuni­tà, 1984, pp. 216-220.48 Vedi Alberto Mortara (a cura di), Iprotagonisti dell’intervento pubblico in Italia, Milano, Angeli, 1978, p. 628.

Per le strategie di mercato dell’Eni vedi Enrico Mattei, Il metano e le forze endogene nel quadro dell’economiaitaliana, “Il calore”, 1953, n. 9, pp. 430-431.50 Sulle polemiche e sui risultati della ricerca nucleare in Italia vedi Mario Silvestri, Il costo della menzogna. Italia nucleare 1945-1968, Torino, Einaudi, 1968, pp. 79-83, 108-109.51 Vedi M. Silvestri, Il costo delta menzogna, cit., pp. 240, 245, 334-336.5" Sulla costituzione e i programmi della Società finanziaria elettrica nazionale vedi Pietro Campilli, Situazioni e prospettive dell’industria italiana, Roma, Istituto poligrafico dello stato, 1953, p. 46.

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dings dell’Iri come la Finsider. Questa poli­tica di sviluppo tendeva, in prospettiva, a sopperire anche alle carenze nell’esercizio dell’intero settore elettrico, non in alternati­va alle società elettriche private ma nel qua­dro dello sviluppo di una ‘cooperazione vo­lontaria’ tra gruppi regionali. Infatti i grup­pi elettrici passarono, durante gli anni cin­quanta, da una serie di accordi di inter­scambio bilaterali, che trovavano nelle so­cietà della Finelettrica l’elemento più im­portante, ad accordi multilaterali per l’eser­cizio in parallelo delle grandi reti di inter­connessione53.

Gli altri aspetti dell’intervento pubblico riguardavano i punti su cui maggiormente si incentrava la polemica sul monopolio, cioè il controllo amministrativo dei programmi di sviluppo della produzione e il livello delle tariffe. Lo strumento del controllo dello svi­luppo degli impianti, era un atto meramente formale. Infatti il sistema dei programmi di costruzioni, lungi dal costituire una misura di regolazione statale, era un semplice atto informativo dei gruppi elettrici sugli investi­menti da loro autonomamente previsti54. Più complessa risulta la valutazione delle conse­guenze del controllo sulle tariffe a cura del Comitato interministeriale prezzi (Cip), data la scarsità di informazioni sulla struttura e la dinamica dei costi e ricavi delle imprese55. Le linee generali che sovraintendevano alle strutture tariffarie delle imprese elettriche

possono essere comunque ricostruite attra­verso le dichiarazioni programmatiche dei loro dirigenti. Uno dei presupposti più im­portanti riguardava la determinazione del costo di produzione sulla base del costo di sostituzione degli impianti, il che significa­va, in generale, una sopravvalutazione dei costi di produzione dell’esercizio ed una age­volazione dell’ammortamento accelerato de­gli impianti con una conseguente sottostima dei profitti. La tariffazione si basava sul co­sto medio di produzione, in modo da tenere conto dei costi complessivi di tutti gli im­pianti56. Questo veniva poi suddiviso per ca­tegorie d’utenza. Si creava così una forte di­scriminazione a sfavore, ad esempio, dei consumi per illuminazione domestica, giusti­ficabile solo in parte con i maggiori costi di distribuzione sostenuti per questa categoria.

Una delle ragioni principali dei diversi li­velli del prezzo del kWh derivava invece dal­la diversa elasticità dei consumi e dalla loro sostituibilità. Infatti, le utenze per forza mo­trice erano in una condizione in cui, dato un certo livello delle tariffe elettriche, poteva diventare conveniente autoprodurre l’ener­gia necessaria, specie se si trattava di grandi consumatori. La scelta di fissare il prezzo del kWh in base al costo di produzione me­dio prefigura quindi l’adozione, almeno dal punto di vista teorico, di un sistema di prez­zi di monopolio. Ad oggi è comunque im­possibile precisare, data la scarsità di dati, le

53 Sul ruolo della Finelettrica nei programmi di interconnessione nazionale vedi Franco Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975, p. 269.54 L’Anidel raccoglieva i dati dalle associate ed elaborava dei programmi di sviluppo secondo la regola del raddop­pio decennale dei consumi. In proposito vedi le relazioni del Consiglio direttivo all’assemblea dei soci contenute in vari numeri di “L’energia elettrica” .55 Attualmente è disponibile la serie dei prezzi del kWh per illuminazione privata a Milano elaborata dall’lstat sui dati della Edison. I dati per tutte le categorie di utenza e per società sono disponibili in modo completo solo dal 1960.56 Per ricostruire l’ideologia che stava alla base della tariffazione ci siamo serviti delle dichiarazioni e dei commenti di Rodolfo Muller, consigliere delegato della Cieli (Edison). In proposito vedi La formazione dei prezzi dell’energia elettrica e del gas: le discussioni al convegno di Colonia, “Quaderni di studi e notizie della giunta tecnica del grup­po Edison”, 1955, n. 207, pp. 824-27.

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complesse strutture tariffarie delle varie so­cietà elettriche.

Nel secondo dopoguerra i prezzi dell’ener­gia elettrica — bloccati nel 1936 e modificati fino al 1948 con aumenti percentuali fissi uguali per tutte le categorie — erano una semplice perpetuazione delle condizioni ta­riffarie prebelliche57. Però, rispetto agli anni trenta, erano cambiate alcune condizioni del mercato dell’energia elettrica, che provoca­rono importanti conseguenze sulla struttura delle tariffe. Un primo cambiamento riguar­dava i ricavi delle società elettriche, che usu­fruirono di aumenti delle tariffe inferiori a circa il 50 per cento della variazione dell’in­dice generale dei prezzi58. Un secondo cam­biamento si verificò nella struttura dei con­sumi elettrici con un forte aumento degli usi civili ed in particolare di quelli domestici non per illuminazione. Questi, che avevano tariffe meno discriminate ma comunque su­periori a quella per forza motrice, permisero un aumento generale dei ricavi59, ma provo­carono anche una modifica della precedente regolazione giornaliera del carico, con le re­lative conseguenze sull’esercizio. Una terza novità venne dalla trasformazione di una struttura produttiva basata esclusivamente sulla generazione idraulica in una di tipo mi­sto, che comportò l’aumento della capacità d’invaso ed infine di quella di pompaggio, in vista del passaggio dell’energia idroelettrica

alla copertura dei carichi di punta. Si tratta­va di un tipo di sviluppo che era destinato a colpire i consumatori di energia elettrica ca­scame60.

Le conseguenze delle modifiche nel mer­cato dell’energia elettrica non potevano che portare ad una disarticolazione della struttu­ra tariffaria irrigidita dal regime di blocco dei prezzi e dei contratti, e costruita su con­dizioni di offerta e di domanda superate. Sia l’utenza che le società elettriche richiesero in questa situazione un intervento pubblico. Gli utenti chiedevano un controllo sui ricavi delle società e trattamenti tariffari omogenei in tutto il paese. Le società elettriche erano invece disposte ad una unificazione delle ta­riffe solo a patto che si ridefinisse la struttu­ra tariffaria secondo le nuove esigenze del­l’esercizio: il che, in pratica, significava un aumento delle tariffe per forza motrice, cioè una attenuazione delle discriminazioni tarif­farie.

Gli interventi pubblici degli anni cinquan­ta in campo tariffario si proponevano prin­cipalmente l’unificazione del prezzo del kWh in tutto il paese per categorie d’utenza e l’introduzione di nuovi criteri di valutazio­ne dei costi di produzione. Di questi due obiettivi il governo riuscì a conseguire, nel 1961, solo quello dell’unificazione, superan­do definitivamente le macroscopiche diffe­renze tra le tariffe del Nord e del Sud61, an-

37 Posto il livello delle tariffe del 1938 uguale a 100 i prezzi del kWh risultano nel 1945 a 150 e nel 1948 a 2400. In proposito vedi P. Ranci-G. Cozzi, Energia elettrica, cit., p. 93.58 Rispetto al 1938 fatto 100, l’indice generale dei prezzi elaborato dall’lstat raggiunse nel 1948 il livello di 5000, mentre la rivalutazione dei prezzi del kWh aveva raggiunto solo il livello di 2400.59 I consumi degli usi domestici passarono dal 3 per cento del totale dei consumi del 1938, ai 9 per cento del 1947. Il prezzo del kWh degli usi domestici non arrivava nel 1961 alla metà di quelli per illuminazione. In proposito vedi Francesco Barluzzi, La tariffazione dell’energia elettrica, Firenze, Vallecchi, 1962, p. 34.60 Le riforme tariffarie degli anni cinquanta portarono ad un aumento generale dei prezzi del kWh degli usi per forza motrice. Il rapporto del prezzo di questi consumi con il livello del prezzo del kWh per illuminazione privata posto a 100 passò tra il 1940 e il 1961 da un livello medio di 16 ad uno di 37. In proposito vedi Luigi D’Alessandro, Studi sulla gestione delle imprese elettriche, Roma, Staderini, 1953, p. 88, e F. Barluzzi, La tariffazione, cit., p. 34.61 Ad esempio, secondo alcuni dati del 1940, il prezzo medio per l’illuminazione privata passava da Milano a Ta­ranto da 1,85 a 2,80 lire per kWh. In proposito vedi M. Ungaro, L ’industria elettrica italiana, cit., tav. XXI, p. 160.

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che se il livello medio fissato per l’unifica­zione provocò un aumento dei ricavi delle società elettrocommerciali62. Nel 1953, con il provvedimento del Cip numero 348 era stato introdotto, insieme ad una prima parziale unificazione, anche un diverso criterio di va­lutazione dei costi della produzione ottenuta dai nuovi impianti, ancora da ammortizza­re, e di quella ottenuta dai vecchi impianti, già ammortizzati63 64. L’adozione di questa di­stinzione rappresentava un radicale rigetto dei criteri di valutazione proposti dalle so­cietà elettriche e si inquadrava nella politica di allargamento dell’intervento pubblico nei settori energetici. Nel 1956, in una diversa situazione politica, la metà del sovrapprezzo corrisposto all’energia elettrica di nuova produzione era stato incorporato nelle tarif­fe correnti indebolendo lo spirito del prov­vedimento n. 348e4. Questa vittoria dei grup­pi elettrici privati e pubblici, ottenuta con il forte appoggio delle destre, ebbe però l’ef­fetto di compattare il fronte dei ‘nazionaliz- zatori’, che considerarono ormai irrealistica una politica pubblica tesa al semplice con­trollo esterno dei costi del servizio elet­trico65.

I progetti di riforma delia De: gli enti di coordinamento

Tra il 1947 e il 1962 la De adottò la politica del controllo esterno del servizio elettrico e della riorganizzazione delle partecipazioni pubbliche del settore, in alternativa alla scel­ta della nazionalizzazione. Il principale obiettivo di questa politica era quello di dare un assetto legislativo definitivo al servizio elettrico misto, basato sui gruppi regionali. Con questo fine furono messi a punto una serie di progetti di legge destinati a rendere più credibile il controllo esterno dello stato e ad istituzionalizzare il coordinamento dello sviluppo e dell’esercizio tra i vari soggetti produttivi. I progetti di legge presentati dal­la De nel 194966 — e reiterati con alcune va­rianti fino al 1961 — prevedevano principal­mente la riforma del Testo Unico sulle ac­que — con l’allargamento dei poteri di con­trollo del ministero dei Lavori pubblici — e l’istituzione di un organismo di coordina­mento nazionale misto del servizio elettrico e del settore energetico in generale67, secon­do le linee tracciate dai progetti di riforma accantonati nel 1947.

62 Vedi Mario Moro Visconti, Borsa e titoli elettrici, “Industria italiana elettrotecnica”, 1962, fase. 9, p. 639.63 Cfr. Anidel, Relazione del Consiglio direttivo all’assemblea dei soci, “L’energia elettrica”, 1953, n. 10, pp. 622- 624, e F. Barluzzi, La tariffazione, cit., pp. 85-118.64 Per il dibattito intorno al provvedimento del Cip n. 620 del 28 dicembre 1956 vedi Commento a! recente provve­dimento in tema di tariffe elettriche, “Quaderni di studi e notizie della giunta tecnica del gruppo Edison”, 1957, n. 241, pp. 273-274; Aldo Natoli, Antonio Bernieri, Guido Seletra et al., I monopoli elettrici contro l ’economia italia­na, Roma, La stampa moderna, 1957, pp. 15-19.65 Le mozioni delle sinistre contro la revisione dei principi del provvedimento del 1953 trovarono consenso anche in settori della maggioranza. In proposito vedi le dichiarazioni di Ugo La Malfa in Camera dei deputati, Discussioni 1953-1958, Roma, 1959, vol. XXXII, p. 30030.66 La crisi della distribuzione di energia elettrica fu nel 1949 particolarmente grave e sia l’opposizione che la mag­gioranza richiesero un intervento dello stato. Il 15 giugno 1949, il senato approva l’ordine del giorno presentato dal democristiano Focaccia, che invita il governo a costituire un organo di coordinamento e di controllo.67 Per i progetti di riforma dei ministri democristiani che si successero ai Lavori pubblici tra il 1947 e il 1953 vedi Archivio centrale dello stato, presidenza del Consiglio dei ministri, fase. 10.3.12, n. 131087, Varie disposizioni del ministero dei Lavori pubblici. Per il periodo successivo vedi Ruggero Lombardi, Costituzione, ordinamento e attri­buzioni del Comitato nazionale per l’energia, Proposta di legge n. 306 27 ottobre 1953, in Camera dei deputati, Di­segni di legge - relazioni - documenti (1953-1958), vol. Ili, e Danilo De’ Cocci ed altri, Istituzione del Comitato per l ’energia, Proposta di legge n. 3176 7 luglio 1961, in Camera dei deputati, Disegni di legge - relazioni - documenti (1958-1963), vol. XXXVII.

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Alla politica della De venne incontro nel 1950 anche una iniziativa legislativa del so­cialista Riccardo Lombardi che rilanciò l’i­potesi di una aggregazione di tutte le imprese di proprietà pubblica (Iri, Ff.Ss, Aem) del settore, con compiti di regolazione nazionale del servizio elettrico misto68. Ma i tempi non erano maturi neppure per il governo; infatti, i progetti elaborati da suoi esponenti incon­travano forti opposizioni69, mentre il proget­to di Lombardi venne tacciato di incostitu­zionalità70. Soltanto con il settimo governo De Gasperi (1951-1953) presero corpo alcuni degli interventi di riforma già ricordati.

In generale l’atteggiamento dei gruppi elettrici fu improntato ad una tenace opposi­zione a qualsiasi regolamentazione pubblica. Questo atteggiamento trovava le sue motiva­zioni, oltre che nella strenua difesa dell’au­tonomia d’impresa71, anche nella diffidenza verso alcuni settori della De che sostenevano la politica di espansione dell’Eni. Una tale preoccupazione era sicuramente fondata, non solo per lo stretto legame tra Mattei e alcuni settori della De, ma per una serie di iniziative intraprese in questo senso. Infatti

nel corso del 1953 si delineò un tentativo, poi fallito, di assegnare all’Eni lo sfrutta­mento dell’energia geotermica nelle zone inutilizzate dalla Larderello72. Un altro mo­mento di contrasto si verificò nel 1958, quando Fanfani, alla guida di un gabinetto Dc-Psdi, si fece promotore di un progetto che prevedeva il passaggio all’Eni della Fine­lettrica, con il proposito di costituire un ente energetico pubblico verticalmente integra­to73. Il progetto di Fanfani aveva anche l’o­biettivo politico di ridimensionare, attraver­so la formazione di un potente polo pubbli­co, il problema della riforma dell’assetto proprietario del servizio elettrico, e quindi della sua nazionalizzazione. Il fallimento di questi progetti dimostra i forti contrasti esi­stenti nella De sull’Eni, ma anche le divisio­ni della compagine governativa tra i fautori del controllo pubblico, identificabili nell’a­rea fanfaniana e nei repubblicani, e coloro che avversavano qualsiasi allargamento del­l’iniziativa pubblica, identificabili nella de­stra De — a cui dette un forte contributo polemico don Sturzo74 — e nei liberali75. Nella De c’erano anche le posizioni ricondu-

68 In proposito vedi Riccardo Lombardi, Norme per l ’istituzione di un consorzio obbligatorio fra le imprese elettri­che pubbliche e disposizioni diverse in materia d ’acque pubbliche, Proposta di legge n. 1666 23 novembre 1950, in Camera dei deputati, Disegni di legge - relazioni - documenti (1948-1953), vol. XIV.69 Per i progetti di riforma elaborati dal ministro dei Lavori pubblici Umberto Tupini vedi Archivio centrale dello stato, presidenza del Consiglio dei ministri, Varie disposizioni del ministero dei Lavori pubblici, fase. 10.3.12, n. 131087, Schema di decreto legislativo recante norme per l ’ordinamento elettrico, 1949.70 Per le critiche al progetto di Riccardo Lombardi vedi Anidel, Relazione del Consiglio direttivo all’assemblea dei soci, “L’energia elettrica” , 1950, n. 7, p. 393.71 In proposito sono note le dichiarazioni di Piero Ferrerio alla Commissione economica del ministero per la Costi­tuente: “io trovo che sia preferibile, in un certo senso, la più sfrenata disorganizzazione alla migliore pianificazio­ne”; in Ministero per la Costituente, Rapporto della commissione economica presentato all’Assemblea Costituente II, Industria, II: Appendice alla relazione: (interrogatori'), cit., p. 163.72 Cfr. M. Colitti, Energia e sviluppo, cit., pp. 213-214.73 L’intenzione di procedere a questa riforma venne espressa in parlamento il 9 luglio 1958. Il compito di elaborare il progetto fu affidato al ministro delle Partecipazioni statali, il socialdemocratico Edgardo Lami Starnuti. Per il progetto di riforma vedi M. Colitti, Energia e sviluppo, cit., pp. 215-220.74 Luigi Sturzo assunse su questi temi una posizione fortemente contraria fin dagli anni trenta. Durante gli anni cinquanta si oppose alla politica fanfaniana e sostenne la necessità di un maggiore controllo sulla gestione della co­sa pubblica. In proposito vedi C. Pinzani, L ’Italia repubblicana, cit., pp. 2564, 2573, 2574.75 Dopo la scissione del gruppo radicale, nel 1954, il Pii accentuò la polemica antistatalista. Secondo Scalfari esi­stevano tra il Pli e i gruppi elettrici dei legami molto stretti. Vedi in proposito E. Scalfari, Storia segreta dell’indu­stria elettrica, Bari, Laterza, 1962, p. 102.

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cibili all’area ‘dorotea’ — nata nel 1959 dal­la scissione della corrente fanfaniana di ‘Ini­ziativa democratica’ — favorevoli ad un in­tervento di riforma, magari limitato, che non danneggiasse le redditizie attività elettri­che dell’Iri e non favorisse un rafforzamen­to dell’Eni76. Queste divisioni all’interno della maggioranza ostacolarono l’approdo legislativo di ogni tipo di riforma che istitu­zionalizzasse l’assetto misto del servizio elet­trico e aprirono di fatto la strada alla nazio­nalizzazione.

Gli oppositori della gestione privata

Dopo il progetto di Lombardi del 1950, le sinistre abbandonarono definitivamente l’i­potesi di convergenze politiche sul controllo esterno e presentarono, alla fine della stessa legislatura (1953), il primo progetto di legge di nazionalizzazione del servizio elettrico. In esso la nazionalizzazione veniva ancora pro­posta come una riforma della struttura eco­nomica tesa a sostenere una più generale po­litica di pianificazione. Per questo, accanto alla nazionalizzazione dei “monopoli elettri­ci” , si indicava la necessità del passaggio al­lo stato anche della Fiat e della Montecati­ni77. Nella legislatura successiva le proposte di estese nazionalizzazioni furono abbando­nate, ma non quella del servizio elettrico. Questa evoluzione fu sia tattica che strategi­ca. L’allargamento, nella seconda metà de­

gli anni cinquanta, del fronte ‘anti-elettrico’ ad altre forze politiche ed economiche rilan­ciava le richieste per l’attuazione di un inter­vento pubblico nel settore. A questo si ag­giunse una analisi dei cambiamenti in atto nella struttura economica del paese, che por­tò ad individuare lo strumento per attuare la pianificazione dello sviluppo più nell’inter­vento pubblico in termini macroeconomici che in una politica di nazionalizzazione di­retta dei settori produttivi. Le riforme eco­nomiche restavano comunque, sia per i so­cialisti che per i comunisti, dei passi in avan­ti per la trasformazione in senso socialista della società italiana, una concezione che ac­comunò i due partiti anche nell’avvio del centro-sinistra78.

L’obiettivo della nazionalizzazione venne sostenuto in tempi diversi anche dai repub­blicani, dai socialdemocratici e dai radica­li79. Specialmente il Partito radicale, costi­tuitosi nel 1955 da una scissione dal Pii, sti­molò un ampio dibattito intorno ai poteri economici privati e pubblici in nome della difesa della libertà del mercato. In questo quadro il provvedimento di nazionalizzazio­ne doveva eliminare una anomalia nell’eco­nomia di mercato, cioè il “monopolio elettri­co”80. Il fronte ‘anti-elettrico’ partiva quindi da presupposti ideologici profondamente di­versi e trovò la sua unità soltanto nell’obiet­tivo generale di portare il servizio elettri­co nell’area pubblica in nome dell’elimina­zione di una posizione di potere e dell’effi-

76 Gli esponenti di questa componente della De esprimevano i vertici dell’Iri come il presidente dell’istituto Petrilli. Ad esempio ai vertici della Sme nel 1956 andò un personaggio vicino ad Aldo Moro, l’avvocato Vitoantonio Di Ca­gno, in sostituzione di Giuseppe Cenzato. In proposito vedi Dopo la partenza di Cenzato alla Sme arrivano i demo- cristiani, “L’Espresso”, 1956, n. 27.77 In proposito vedi le proposte di legge numero 3194, 3195 e 3196 in Camera dei deputati, Disegni di legge - rela­zioni - documenti (1948-1953), vol. XXV.78 Per il persistere di queste posizioni politiche anche nel Psi vedi G. Tamburrano, Storia e cronistoria, cit., p. 154.79 I socialdemocratici e i repubblicani definirono la loro posizione soltanto nel corso del 1960, mentre i radicali tro­varono nella campagna ‘anti-elettrica’ uno dei punti caratterizzanti della loro politica sin dalla costituzione in par­tito.80 Per le motivazioni delle campagne radicali vedi E. Scalfari, La sera andavamo in via Veneto, Milano, Mondado­ri, 1986, pp. 100-103.

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cienza del servizio. Le differenze ideologiche risultano particolarmente evidenti nelle pro­poste di legge di nazionalizzazione del servi­zio elettrico presentate prima del 1962 dalle diverse componenti del fronte ‘anti-elettri- co’. Queste proposte di legge, pur non arri­vando alla discussione parlamentare, rap­presentano un’importante fonte di analisi dei modelli di intervento previsti e dei loro obiettivi.

Il primo progetto di legge di nazionalizza­zione dei “monopoli elettrici”, come si è detto, venne presentato congiuntamente dal Pei e dal Psi, nel febbraio 1953, a ridosso delle elezioni politiche. Il progetto indicava per l’indennizzo la sostituzione delle azioni delle società elettriche con obbligazioni del nuovo ente, ad un interesse del 5 per cento, ammortizzabili in cinquant’anni. L’Azienda nazionale per l’industria elettrica, struttura­ta come un ente pubblico autonomo, avreb­be acquisito la gestione di tutti gli impianti di produzione e trasporto, compresi quelli delle aziende elettriche municipali. Erano in­vece esclusi gli autoproduttori che destina­vano al loro consumo più dell’80 per cento della produzione e le imprese che produce­vano meno di 15 milioni di kWh annui o che disponevano di una potenza installata di 5 Mw. L’elemento centrale del progetto, ispi­rato ai meccanismi di nazionalizzazione adottati in Gran Bretagna e in Francia, era l’indennizzo diretto dello stato agli azionisti e quindi lo scioglimento delle società81. In Italia, la dimensione finanziaria dei gruppi elettrici era tale che lo stato, con questo

meccanismo, sarebbe entrato in possesso di circa un quarto del capitale azionario nazio­nale e avrebbe acquisito partecipazioni in di­versi settori produttivi. Un provvedimento del genere avrebbe notevolmente perturbato gli equilibri economici generali, e ciò lo ren­deva difficilmente compatibile con l’assetto capitalistico, benché coerente con i presup­posti politico-economici delle sinistre.

Al progetto di legge del 1953 seguirono, durante la terza legislatura, due progetti di­stinti del Psi, nel 1958, e del Pei, nel 1959. Mentre quello del Psi, firmato da Lombar­di82, ricalcava il testo del 1953, il progetto del Pei prevedeva importanti novità nella struttura e nelle finalità dell’ente. Il Pei pro­poneva la costituzione di un ente autonomo che avrebbe dovuto acquisire, oltre alla ge­stione del servizio elettrico secondo le moda­lità del 1953, anche le attività produttive e distributive dell’Eni, assumendo la funzione di ente energetico nazionale83. Questo pro­getto riprendeva le proposte fanfaniane per una integrazione della Finelettrica con l’Eni, inserendole però nel quadro della naziona­lizzazione del servizio elettrico.

Nel 1960, ai progetti delle sinistre si ag­giunse quello del radicale Leopoldo Piccar- di. Presentato al IX convegno degli “Amici del Mondo”84, il disegno di Piccardi contra­stava con quelli delle sinistre sia nei mecca­nismi di attuazione della nazionalizzazione sia nella struttura prevista per l’ente elettri­co. Piccardi, seguendo il principio che la na­zionalizzazione del servizio elettrico era un atto necessario per eliminare un’anomalia

81 Cfr. Giorgio Amendola-Antonio Giolitti-Riccardo Lombardi-Vittorio Pesenti, Nazionalizzazione dei monopoli elettrici, Proposta di legge n. 3195 18 febbraio 1953, in Camera dei deputati, Disegni di legge - relazioni - documen­ti (1948-1953), vol. XXXV.82 R. Lombardi-Pietro Nenni-Sandro Pertini et al., Nazionalizzazione dell’industria elettrica, Proposta di legge n. 269 20 settembre 1958, in Camera dei deputati, Disegni di legge - relazioni - documenti (1958-1963), vol. III.83 Cfr. Pietro Longo-Cesare Dami-Aldo Natoli et al., Costituzione dell’ente autonomo di gestione delle aziende operanti ne! settore delle fon ti di energia e nazionalizzazione dell’industria elettrica, Proposta di legge n. 1268 27 maggio 1959, Camera dei deputati, Disegni di legge - relazioni - documenti (1958-1963), vol. XII.84 II convegno si svolse a Roma nel maggio del 1960 e rappresentò il momento di raccordo tra tutte le componenti dello schieramento ‘anti-elettrico’. In proposito vedi E. Scalfari et al., Le baronie elettriche, cit., pp. 4-5.

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dell’economia di mercato e non una sua ul­teriore perturbazione, non proponeva la na­zionalizzazione delle società elettriche, ma solo quella dei loro impianti. L’indennizzo, corrisposto in obbligazioni e calcolato de­traendo dal valore di mercato delle azioni i beni non espropriati, non doveva andare quindi agli azionisti, ma alle società, che potevano in questo modo continuare ad esi­stere, investendo in altri settori produttivi85. Il progetto Piccardi differiva da quelli delle sinistre anche nei limiti della nazionalizza­zione, poiché prevedeva il monopolio pub­blico integrale della produzione elettrica, in­cludendo quindi anche le aziende elettriche municipali (nazionalizzate anche nel proget­to del Psi ed escluse invece da quello del Pei) e gli autoproduttori. L’adozione di un monopolio pubblico integrale, ritenuta ne­cessaria per rendere il più possibile paritarie le condizioni del consumo dell’energia elet­trica specialmente per le attività industriali, avrebbe assicurato il ripristino delle condi­zioni di libera concorrenza alterate dai “monopoli elettrici”86.

Ricapitolando, alla fine degli anni cin­quanta si possono individuare sulla questio­ne elettrica quattro posizioni distinte: 1) quella di un progressivo allargamento, nella più completa autonomia societaria, di una cooperazione volontaria senza alcun inter­vento pubblico, sostenuta dai gruppi elettri­ci e dalle destre; 2) quella della istituziona­lizzazione di un sistema elettrico misto con organismi di controllo nazionali, sostenuta dalla De, ma con forti divergenze al suo in­terno circa gli obiettivi; 3) quella di una na­

zionalizzazione del servizio che allo stesso tempo disarticolasse il potere economico-po- litico dei gruppi elettrici, sostenuta dal Psi e dal Pei; 4) quella di una nazionalizzazione del servizio come ritorno al mercato concor­renziale, sostenuta dai radicali e dai repub­blicani.

La legge istitutiva dell’Enel

L’elemento che mise all’ordine del giorno l’intervento pubblico nel settore elettrico fu l’ingresso del Psi nell’area di governo. La nazionalizzazione del servizio elettrico venne presentata dal Psi come una richiesta non negoziabile ai fini dell’accordo di governo e trovò il consenso anche del Pri e del Psdi87. La discriminante elettrica fu accettata dalla De nel gennaio 1962, benché ancora in mo­do implicito88. Nella relazione all’Vili con­gresso nazionale del partito, il segretario Moro affermò che, in linea di principio, la De non era contraria a portare l’intero setto­re elettrico nella sfera pubblica, ma una tale misura doveva essere collegata con l’obietti­vo di ottenere una riduzione dei costi di pro­duzione e di esercizio attraverso una mag­giore unità del sistema elettrico. Per Moro, però, questo obiettivo poteva essere conse­guito anche creando condizioni tecniche suf­ficienti a raggiungere il necessario coordina­mento del sistema. La nazionalizzazione ri­maneva quindi uno strumento estremo e at­tuabile solo tenendo conto delle priorità de­gli investimenti pubblici in altri campi89. Sulla questione elettrica l’intervento di Fan-

85 II progetto è pubblicato integralmente in E. Scalfari et al., Le baronie elettriche, cit., pp. 208-249.86 In proposito vedi E. Scalfari et al., Le baronie elettriche, cit., p. 235.87 Già tra il febbraio-marzo 1960 durante le consultazioni per la formazione di un governo da parte di Antonio Se­gni il Psdi e il Pri si pronunciarono a favore della nazionalizzazione del servizio elettrico per coinvolgere il Psi. Questo episodio è riportato in E. Scalfari et al., Le baronie elettriche, cit., p. 17. Per le richieste socialiste all’in­gresso nella maggioranza vedi G. Tamburrano, Storia e cronistoria, cit., p. 23.88 II definitivo pronunciamento del partito venne soltanto il 18 luglio 1962, dopo la presentazione del progetto go­vernativo. In proposito vedi Amintore Fanfani, Centrosinistra ’62, Milano, Garzanti, 1963, pp. 157-158.89 In proposito vedi Relazione di Moro al Congresso De di Napoli, “Il Popolo”, 28 gennaio 1962.

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fani al congresso fu meno flessibile di quello di Moro, come a ricordare i suoi contrasti con i gruppi elettrici. Per Fanfani lo stato doveva intervenire nelle situazioni in cui si erano costituite delle concentrazioni econo­miche, fino ad eliminarle quando operavano in settori delicati per lo sviluppo del paese, come le fonti di energia90. Il congresso della De non dedicò particolare attenzione al pro­blema, che ormai era diventato del tutto se­condario rispetto al vero nodo politico del momento, cioè l’accettazione, da parte di tutte le componenti del partito, dell’ingresso del Psi nell’area di governo91. La nazionaliz­zazione del servizio elettrico veniva proposta nel contesto di una svolta politica, e i suoi significati politici assumevano un ruolo pre­dominante rispetto alla questione dell’asset­to produttivo e societario di un servizio di pubblica utilità. La nazionalizzazione, volu­ta soprattutto dal Psi, assunse il carattere di una plateale rottura con la politica centrista e fu rivolta contro i settori politici ed econo­mici che in quegli anni si erano opposti a qualsiasi idea di programmazione, intesa co­me riequilibrio dello sviluppo economico del paese92.

La conferma che la nuova maggioranza si era ormai orientata verso la nazionalizzazio­ne e che la discussione era ormai limitata al­la scelta delle modalità di attuazione, venne dal discorso programmatico del presidente

del Consiglio alla Camera, il 2 marzo 1962. Fanfani, pur non usando il termine naziona­lizzazione, parlò della presentazione, entro tre mesi, di un progetto di legge per l’unifi­cazione del sistema elettrico in base all’arti­colo 43 della Costituzione93, un articolo che si riferisce specificamente al trasferimento allo stato di servizi pubblici e industrie ope­ranti nel campo delle fonti di energia e in si­tuazione di monopolio. L’elaborazione del progetto governativo fu affidata ad un co­mitato ristretto composto dai ministri inte­ressati e da esperti dei partiti94. Il comitato lavorò su due ipotesi. La prima, sostenuta dalla De e in particolare dal ministro dell’In­dustria Colombo, prevedeva il passaggio dei pacchetti azionari di controllo dei gruppi elettrici ad una finanziaria pubblica. La se­conda, sostenuta dal Psi, prevedeva la costi­tuzione di un ente autonomo di diritto pub­blico, con modalità di indennizzo che segui­vano le indicazioni dei progetti presentati da Lombardi negli anni cinquanta95.

Il progetto della De non era una vera e propria nazionalizzazione, ma una ‘irizza- zione’, che portando allo stato la maggio­ranza assoluta dei capitali azionari delle sin­gole società, lasciava dei margini alla pre­senza privata nella gestione del servizio elet­trico. L’ ‘irizzazione’, che trovava anche il consenso della destra De96, si scontrava però con alcune difficoltà di attuazione. Un pro-

90 In proposito vedi A tti e documenti della De (1946-1967), Roma, Cinque Lune, 1969, pp. 1253-1254.91 Per la situazione interna della De vedi II dibattito al gruppo parlamentare della De, “24 Ore”, 8 marzo 1962.92 Anche alcuni dirigenti della De espressero pesanti commenti contro l’atteggiamento politico dei gruppi elettrici. Si possono ricordare oltre a quelli di Fanfani, già citati, anche quelli di Luigi Granelli, il quale vedeva nella nazio­nalizzazione un modo per “indebolire i più insidiosi gruppi monopolistici”. In proposito vedi L. Granelli, Il valore degli impegni de! governo, “Il Popolo”, 16 aprile 1962. L’atteggiamento di ostilità di alcuni settori della De contro i gruppi elettrici viene riportato anche da Norman Kogan, L ’Italia del dopoguerra. Storia politica da! 1945 al 1966, Bari, Laterza, 1968, p. 227.93 Cfr. Discorso di Fanfani, “Il Popolo”, 3 marzo 1962.94 Del comitato ristretto facevano parte anche Riccardo Lombardi, Pasquale Saraceno e Guido Carli. L’attività del comitato è stata ricostruita attraverso fonti giornalistiche e il saggio di Francesco Forte, La congiuntura in Italia, 1961-1965, ora in Augusto Graziani, L ’economia italiana dal 1945 ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 366-372.95 Cfr. F. Forte, La congiuntura, cit., pp. 366-368.96 Una rivista della corrente di Pella appoggiò questa soluzione. In proposito vedi L ’errore delta nazionalizzazione. La soluzione che avremmo preferito, “Stato sociale”, 1962, n. 11, pp. 899-901.

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getto simile era stato attuato nel 1956 con le società telefoniche — a cui era stata imposta la cessione dei pacchetti azionari di control­lo ad una finanziaria pubblica97 — ma l’ope­razione era difficilmente ripetibile per vari motivi. Anzitutto l’imposizione alle società telefoniche era stata giustificata dalla sca­denza delle concessioni, che aveva permesso al governo di dettare le condizioni per il rin­novo. In secondo luogo le società telefoni­che operavano, salvo casi isolati, soltanto nel servizio di concessione, mentre le società elettriche avevano interessi anche in altri set­tori economici, un fatto che poteva contra­stare con il dettato costituzionale98. Inoltre l’esperienza dell’ ‘irizzazione’ dei telefoni non testimoniava a favore di una sua ripeti­zione dato l’elevato prezzo di acquisto delle azioni e l’estensione del provvedimento ben al di là del semplice pacchetto di controllo99. Infine la fiducia riposta dalla De nelle parte­cipazioni statali non era condivisa dal Psi, per ragioni politiche ed economiche100. An­che la proposta del Psi incontrava ostacoli costituzionali per la scelta delle modalità dell’indennizzo e per il relativo scioglimento delle società. La possibilità di incorrere in eccezioni di incostituzionalità derivava per entrambe le proposte dal richiamo degli

articoli che prevedono la possibilità di un trasferimento di certe imprese allo stato solo al fine della pubblica utilità generale. Il mancato rispetto di queste norme poteva ve­rificarsi con il coinvolgimento nel provvedi­mento delle attività extra-elettriche delle so­cietà, che entrambe le proposte, in modo di­verso, prevedevano101.

La scelta del tipo di nazionalizzazione ri­cevette un rilevante contributo, il 30 maggio 1962, dall’esposizione della relazione annua­le del governatore della Banca d’Italia Carli, che sottolineò le conseguenze negative di una eccessiva emissione di obbligazioni, pre­vista dalla proposta dei socialisti, dato il li­mitato mercato finanziario del paese102. Do­po questo pronunciamento la commissione ristretta definì le linee essenziali del progetto governativo sul servizio elettrico. Reso noto il 18 giugno, esso prevedeva l’istituzione di un ente pubblico autonomo, secondo le pro­poste del Psi, e la corresponsione di un in­dennizzo in obbligazioni al 5, 5 per cento, scaglionate in venti semestralità, per i soli beni organizzati per l’esercizio elettrico103. In pratica le modalità di indennizzo prescel­te seguivano le indicazioni del progetto del radicale Piccardi ed anche la sua visione di fondo, che vedeva nelle società ex-elettriche

97 Nel dicembre del 1957, secondo le modalità previste dal D.l. 6 giugno 1957, n. 374, lo stato rinnovò le conven­zioni solo alle società telefoniche di cui era azionista con più del 50 per cento. In proposito vedi V.P., L ’irizzazione dei telefoni: un affare per il capitale privato, “Politica ed economia”, 1959, n. 1, pp. 31-32.98 I problemi connessi con le compatibilità costituzionali della nazionalizzazione furono analizzati nel giugno del 1962 da Franco Di Sabato, Appunti sulla nazionalizzazione delle imprese, “Rivista delle società”, 1962, n. 3, pp. 317-344.99 L’operazione limitata sulla carta — l’Iri attraverso la Stet controllava la parte maggiore del servizio telefonico — si rivelò invece molto complessa e costosa, a causa della recessione di molti piccoli azionisti. In proposito vedi V.P., L ’irizzazione dei telefoni, cit., p. 32.100 L’Iri e più in generale le partecipazioni statali erano considerate dal Psi di difficile controllo per una politica di programmazione. In proposito vedi M. Colitti, Energia e sviluppo, cit., pp. 218-219.101 Su questi problemi vedi F. Di Sabato, Appunti sulla nazionalizzazione, cit., pp. 325, 328.102 In proposito vedi Ferdinando Ventriglia, La soluzione tecnica l ’ha trovata Carli, “Il Mattino”, 21 giugno 1962. In un recente libro di Scalfari (E. Scalfari, La sera andavamo in via Veneto, cit., p. 229) la soluzione del problema dell’indennizzo viene attribuita invece a Emilio Colombo e a La Malfa con l’appoggio di Carli.103 In proposito vedi gli articoli n. 5, n. 6 e n. 7 in A. Fanfani et al., Istituzione dell’Ente per l ’energia elettrica e sul trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche, Disegno di legge n. 3906 26 giugno 1962, Came­ra dei deputati, Disegni di legge - relazioni - documenti (1958-1963), vol. XLIV.

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le protagoniste di una ampia iniziativa im­prenditoriale in altri settori. Era una solu­zione già sperimentata nella nazionalizzazio­ne delle ferrovie del 1905, che aveva porta­to, con un indennizzo corrisposto quasi ne­gli stessi termini, ad un vasto investimento di capitali in vari settori industriali tra cui quello della produzione elettrica con positivi effetti sull’economia del paese104. Lombardi pensò di aver salvato l’obiettivo di un con­trollo pubblico sull’indennizzo attraverso la promessa di un aggancio della corresponsio­ne degli anticipi alle direttive della program­mazione economica, ma era una promessa che non ebbe seguito legislativo e si scontrò con la revisione di molti presupposti pro­grammatici del centro-sinistra105.

Altri aspetti importanti del provvedimen­to di nazionalizzazione riguardarono la con­figurazione del servizio elettrico pubblico, e cioè i limiti del monopolio, i rapporti tra l’ente e lo stato, la struttura finanziaria del­l’ente. Dalla nazionalizzazione furono esclu­si gli autoproduttori che consumavano fino al 70 per cento della produzione, i piccoli produttori fino a quindici milioni di kWh e le aziende elettriche municipali che non face­vano espressamente richiesta di cessione de­gli impianti. Mentre l’esclusione degli auto- produttori rispondeva alla scelta di lasciare ai grandi consumatori una certa capacità au­tonoma e non contrastava con il principio generale di unificazione del sistema, il man­

tenimento della produzione e della distribu­zione autonoma delle aziende elettriche mu­nicipali non poteva rappresentare, allo stato delle necessità cittadine, che una decisione di natura politica106. I grandi autoproduttori controllati dallo stato, cioè le Ferrovie dello stato, con la Larderello e altri impianti idroelettrici, e la Finelettrica, furono inclusi invece nel provvedimento di nazionalizza­zione, in quanto componenti essenziali per l’unificazione del servizio107.

Il servizio elettrico nazionale così delimi­tato venne affidato all’Ente nazionale per l’energia elettrica (Enel). Questo era eretto in ente di diritto pubblico, sottoposto al controllo del ministero dell’Industria e, per gli indirizzi generali di sviluppo, ad un comi­tato di ministri. L’unico rapporto previsto tra l’ente e il parlamento era la presentazio­ne del bilancio annuale consuntivo. Queste scelte furono criticate sia dall’opposizione di sinistra che dalle destre. In particolare le op­posizioni di sinistra stigmatizzarono la sepa­razione delle competenze sulle fonti energe­tiche tra il ministero dell’Industria, che con­trollava l’Enel, e il ministero delle Parteci­pazioni statali, che controllava l’Eni108. Al­cuni osservatori contemporanei attribuirono queste scelte alla volontà politica di non creare alcun gruppo egemone nel settore energetico, anche a costo di un indebolimen­to dell’azione pubblica nel settore e nella de­finizione degli indirizzi complessivi della po-

104 Sulle analogie con la nazionalizzazione delle ferrovie vedi F. Di Sabato, Osservazioni sul disegno di legge di na­zionalizzazione delle imprese elettriche, “Rivista delle società”, 1962, n. 4, pp. 603-605.105 In proposito vedi G. Tamburrano, Storia e cronistoria, cit., p. 152. Nel giugno 1962 Lombardi presentò il pro­getto di legge con i concetti di “rottura” e di “sistema vulnerato” omettendo il significato del compromesso rag­giunto sull’indennizzo. In proposito vedi Riccardo Lombardi, Verso il piano, “Avanti!” , 22 giugno 1962.106 Le Aem giustificarono il mantenimento della loro autonomia richiamandosi agli obiettivi anti-monopolistici per i quali erano state create, per la difesa delle autonomie locali e per una non meglio identificata “programmazione democratica”. In proposito vedi Giorgio Lanzillo, Gli enti locali e la nazionalizzazione elettrica. Anatomia di una crisi, Verona, Cispel, 1969, pp. 42, 50.107 Gli impianti delie Ferrovie dello stato, tra cui il 72 per cento della Larderello, passarono gratuitamente all’Enel, mentre quelli dell’Iri ricevettero un regolare indennizzo.108 Su questi temi vedi F. Di Pasquantonio, La nazionalizzazione, cit., pp. 250-251, e Realtà, perplessità e sofismi intorno alla nazionalizzazione, “Mondo economico”, 30 giugno 1962, p. 16.

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litica energetica109. Anche la sistemazione finanziaria dell’Enel fu particolarmente cri­ticata da tutte le opposizioni110. Ad esem­pio, l’Enel nasceva senza fondo di dotazio­ne. In questo caso pesarono sulla scelta le aspettative positive del governo sui risultati generali dell’esercizio, che unite ai migliora­menti ottenibili dalla gestione unitaria del servizio avrebbero dovuto permettere un sufficiente flusso di fondi a copertura degli impieghi111. Il finanziamento dell’esercizio corrente, degli investimenti e dell’indenniz­zo doveva essere coperto in gran parte con l’autofinanziamento, che il governo stimava in circa il 58 per cento dei nuovi investi­menti, e con l’emissione di obbligazioni112. Ma l’Enel, già nella relazione annuale del 1963, lamentava che all’ampiezza delle sue esigenze finanziarie facevano riscontro ri­strette possibilità ad accedere alle risorse113.

Della nazionalizzazione del servizio elet­trico si possono dare valutazioni di ordine politico, economico e tecnico. Sul piano politico la nazionalizzazione fu un pieno successo; infatti il provvedimento rafforzò la nuova maggioranza isolando le destre e allo stesso tempo fu recepito dall’elettorato della De come una riforma necessaria e, nello stesso tempo, limitata. Le conseguen­

ze economiche generali della nazionalizza­zione furono invece piuttosto discutibili. L’indennizzo corrisposto alle ex-società elet­triche venne investito in attività che, durante gli anni sessanta e settanta, non dettero ri­sultati economici brillanti. Il caso più noto è quello della Montedison, nata nel 1966 dalla fusione della Edison con la Montecatini, che nel 1964 aveva a sua volta incorporato la Sa­de. La Montedison investì l’indennizzo nelle produzioni chimiche tradizionali, che anda­rono incontro a crisi di sovrapproduzione e al calo dei prezzi, mentre sul piano finanzia­rio il gruppo fu al centro di continui movi­menti di pacchetti azionari. Queste scelte produttive e la situazione finanziaria del gruppo portarono a perdite crescenti e a un forte indebitamento.

Non migliori furono i risultati dell’investi­mento dell’indennizzo da parte dell’Iri nel settore siderurgico, mentre si rivelarono alla fine positivi i risultati ottenuti dall’Istituto nei settori telefonico ed alimentare. Anche uno dei protagonisti della scelta delle moda­lità di indennizzo, Guido Carli, ha avanzato severe critiche sui risultati economici della nazionalizzazione. In una intervista del 1978, egli giudicò fallimentari i risultati delle attività delle società ex-elettriche negli altri

109 Questa spiegazione venne sostenuta da Gaetano Balducci, La sconfitta dell’Eni, “ABC”, 22 giugno 1962, e da M. Colini, Energia e sviluppo, cit., pp. 215-225. Anche nella relazione della maggioranza l’on. De’ Cocci sosteneva che si era voluto evitare ogni possibilità di “straripamento” del nuovo ente in altre attività. In proposito vedi D. De’ Cocci, Disegno di legge n. 3909-bis, Relazione di maggioranza della Commissione speciale, in Aa.Vv., La na­zionalizzazione dell’industria elettrica in Italia, Roma, Studium, 1962, p. 98.110 I gruppi elettrici criticarono l’ottimismo sulle necessità finanziarie dell’Enel. Cfr. Il progetto di legge sulla na­zionalizzazione dell’industria elettrica in Italia dopo l ’esame e l ’approvazione della Camera dei deputati, “Quader­ni di studi e notizie della giunta tecnica del gruppo Edison”, 1962, n. 374, p. 712. Il Pei propose di allungare l’am­mortamento dell’indennizzo e il calo dell’interesse. In proposito vedi Camera dei deputati, Discussioni (1958-1963), vol. XXXIX, p. 32078.111 Questi problemi sollevati nel 1962 dai liberali — cfr. Giuseppe Alpino-Mariano Trombetta, Disegno di legge n. 3909-bis, Relazione di minoranza del Pii, in Aa.Vv., La nazionalizzazione dell’industria elettrica in Italia, cit., p. 189 — furono ripresi da Giuseppe Zanetti-Giovanni Fraquelli, Una nazionalizzazione al buio. L ’Enel dal 1963 al 1978, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 16.112 Cfr. D. De’ Cocci, Disegno di legge n. 3909-bis, Relazione di maggioranza della Commissione speciale, in La nazionalizzazione dell’industria elettrica, cit., p. 102.113 In proposito vedi Enel, Relazioni del Consiglio di amministrazione, del Collegio dei revisori e bilancio a131 di­cembre 1963, Roma, aprile 1964, p. 50.

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settori, affermò che i gruppi dirigenti di quelle società erano risultati inadeguati al nuovo ruolo imprenditoriale a cui erano sta­ti chiamati e definì il loro fallimento come uno dei più gravi della storia della classe im­prenditoriale italiana114. Lombardi invece, che aveva proposto lo scioglimento delle so­cietà elettriche, attribuì il fallimento dell’o­perazione economica dell’indennizzo alla mancata attuazione di una politica macroe­conomica di indirizzo degli investimenti che rendesse effettivamente selettivo il controllo pubblico sugli investimenti dell’indenniz­zo115. Sul piano tecnico, l’obiettivo di conse­guire con la nazionalizzazione una maggiore

unità del servizio elettrico venne invece rapi­damente raggiunto. L’unificazione permise durante gli anni sessanta un maggiore sfrut­tamento delle economie di scala, mentre la copertura della domanda fu ottenuta attra­verso la costruzione di grandi centrali ter­moelettriche e il potenziamento di quelle esi­stenti.

Per quanto riguarda i livelli delle tariffe, nel Sud furono ridotte nel 1969 e in generale rimasero bloccate dal 1961 fino all’aumento dei prezzi petroliferi, assicurando un calo in termini reali del prezzo del kWh.

Fabio Silari

114 Cfr. Paolo Bonetti (a cura di), Le battaglie economiche. 1 30 anni de “Il M ondo”, Milano, Il Mondo, 1978, p. 102. In proposito vedi anche: Guido Carli, Pensieri di un ex governatore, Pordenone, Studio tesi, 1988.115 Cfr. G. Tamburrano, Storia e cronistoria, cit., pp. 152-153.


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