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La nuova India · to in India di testi di ... rico cinese dell’Arte della Guerracitato e amato...

Date post: 16-Feb-2019
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La nuova India DOSSIER COSì DELHI ENTRA NELLA GLOBALIZZAZIONE di Danilo Taino FILIPPINI: TRE MODELLI PER L’ASIA a cura di Antonio Barbangelo QUANTO È SOSTENIBILE LA CRESCITA DELL’INDIA di Marzia Mongiorgi È L’EUROPA IL PRIMO PARTNER COMMERCIALE di Stefano Chiarlone VERNETTI: COSA ABBIAMO IN COMUNE a cura di Maria Elena Viggiano ECCO IL NUOVO SISTEMA BANCARIO di Stefano Chiarlone e Saibal Ghosh UN GIGANTE DI NOME TATA di Silvia Bruschieri Contrasto/R.E.A.
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La nuova IndiaDOSSIER

COSì DELHI ENTRA NELLA GLOBALIZZAZIONE di Danilo Taino

FILIPPINI: TRE MODELLI PER L’ASIA a cura di Antonio Barbangelo

QUANTO È SOSTENIBILE LA CRESCITA DELL’INDIA di Marzia Mongiorgi

È L’EUROPA IL PRIMO PARTNER COMMERCIALE di Stefano Chiarlone

VERNETTI: COSA ABBIAMO IN COMUNE a cura di Maria Elena Viggiano

ECCO IL NUOVO SISTEMA BANCARIO di Stefano Chiarlone e Saibal Ghosh

UN GIGANTE DI NOME TATA di Silvia Bruschieri

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Così Delhi entranella globalizzazionedi Danilo Taino

L’India si affaccia alla globalizzazione non soltanto come giovanepotenza economica in grado di sfidare la Cina, ma anche per lasua cultura e per il carattere fondamentalmente democratico delsuo sistema politico. Restano tuttavia grandi aree di arretratezza edi povertà. Che non sfuggono a Sonia Gandhi e al Partito delCongresso…

A Delhi, Bombay, Calcutta, le gallerie d’arte non sono maiandate così bene. Pezzi della tradizione. Ma, soprattutto, arte con-temporanea: un vero boom. La nuova classe medio-alta indiana,quella che ogni anno cresce di qualche milione di persone, ha ini-ziato a comprare, a riconoscere la pittura della nuova India. E ilmercato internazionale si è subito messo al passo, anzi ha iniziato acorrere. Nel 2005, un quadro di Tyeb Mehta è stato battuto daChristie’s per oltre un milione e mezzo di dollari, la prima voltache un artista contemporaneo indiano ha superato la soglia delmilione. Da allora, altri pittori sono entrati nel million-dollar club,per esempio Sayed Haider Raza e Francis Newton Souza. Nel2000, le aste di arte indiana avevano totalizzato una cinquantina dimilioni di dollari: l’anno scorso, 150. Nuovi fondi d’investimentospecializzati, destinati a comprare solo arte del subcontinente, sonoin preparazione: gli esperti stimano che raccoglieranno una settan-tina di milioni di dollari solo nel 2007.

È uno dei tanti segni di come l’India stia entrando a 360 gradinella globalizzazione. Prima il miracolo hi-tech, che ha portato aBangalore, a Hyderabad, a Calcutta tutte le maggiori imprese dialta tecnologia del mondo; poi la corsa (in atto) verso la creazionedelle infrastrutture per sostenere la crescita – porti, aeroporti, stra-de, centri commerciali; infine la cultura. Già, la cultura che rara-mente, mercato dell’arte a parte, entra nell’elenco delle “merci” chemuovono l’economia globalizzata. Eppure, proprio sulla cultura lafutura superpotenza India gioca molte delle sue carte. È questo,probabilmente, il terreno sul quale può superare la rivale Cina, intermini proprio di capacità di influenzare il resto del mondo, carat-teristica che – hanno insegnato gli imperi del passato e del presen-te – è essenziale nello stabilire qualsiasi forma di egemonia.

Succede che da qualche tempo, negli Stati Uniti, il mondo dellegrandi imprese ha iniziato a scoprire e ad apprezzare alcuni aspettidella filosofia indiana. Una serie di cosiddetti “guru” del manage-ment stanno introducendo nelle business school e nelle aziende un

DOSSIERÈ vero che con l’alta marea tutte le barche salgono. Le cifre dello sviluppo economicodell’India sono ormai molto vicine a quelle della Cina. La creazione annuale di ricchezza,vicina al 10% del Pil, può andare a beneficio di tutti. Ma la scarsa qualità dell’istruzione,soprattutto nelle scuole pubbliche primarie, il potere di ricatto delle burocrazie, la corru-

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nuovo approccio di gestione che sembra più adatto al clima socialee politico del Ventunesimo secolo di quanto non lo fossero le ideeforti che hanno guidato la America Inc. nei decenni scorsi. Piùattenzione al ruolo allargato dell’impresa, cioè non solo agli azioni-sti ma anche ai consumatori, alle comunità, all’ambiente, ai dipen-denti. Apprezzamento del profitto, ma con una certa moderazione:in concreto, il rifiuto di considerare l’avidità un valore assoluto. Unapproccio pro-attivo alla gestione dell’impresa e ai mercati, soprat-tutto un po’ meno opportunista che in passato. La novità è che gliapostoli che stanno propagando questo nuovo verbo sono perlopiùindiani.

Swami Parthasarathy, per esempio, è un autore molto conosciu-to in India di testi di Vedanta, un’antica scuola di filosofia indù chesi occupa della natura della realtà. Di recente, ha visitato businessschool americane per insegnare come si gestisce lo stress e haincontrato uomini d’affari per spiegare loro la differenza tra il farefortuna e il raggiungere la felicità. C.K. Prahalad, VijayGovindrajan, Ram Charan sono guru del management tra i piùriconosciuti al mondo. Il 10% dei professori delle scuole di busi-ness delle università di Harvard, della Kellogg, del Michigan sonodi origine indiana, ha calcolato il settimanale americano “BusinessWeek”. Che, dunque, ha definito questa nuova ondata KarmaCapitalism: Lord Krishna che starebbe sostituendo Sun Tzu, il teo-rico cinese dell’Arte della Guerra citato e amato dal Gordon Gekkodel film Wall Street, 1987. Un nuovo modo di esercitare la leader-ship, insomma, ispirato dalle filosofie indiane.

Ora: le scuole di management vanno e vengono come i tram,chi ci sale adesso tra non molto scenderà. Ciò nonostante, il fattoche l’esotismo della cultura indiana non sia più riserva di figli deifiori e di occidentali in crisi, ma entri nei consigli di amministra-zione e influenzi le Borse, è il segno della sua forza e, allo stessotempo, della disponibilità dell’Occidente a importare dall’Indiaanche valori, non solo incensi da bruciare in salotto. Molto dipen-derà da come gli stessi imprenditori di Mumbai (la ex Bombay) edi Bangaluru (la ex Bangalore) gestiranno le loro società, dalla lorocapacità di creare in casa un modello di capitalismo innovativo.Alcuni già ci stanno provando: da Nandan Nilekani, fondatorevisionario della Infosys, a Ratan Tata, grande imprenditore e allostesso tempo grande filantropo. In altri casi, però, il mondo degli

zione, le divisioni di casta impediscono che al boom economico partecipino gli abitantidegli slum di Bombay, Delhi, Bangalore e Calcutta. Il rischio, dunque, è che le ingiustiziee inefficienze fermino la crescita. Ma c’è anche un altro pericolo: la mancanza di infra-strutture potrebbe creare nel medio-lungo periodo...

_La nuova classe medio-alta indiana ha iniziato a com-

prare l’arte della nuova India. Nel 2006 le aste hanno to-

talizzato 150 milioni di dollari e sono in preparazione

nuovi fondi d’investimento specializzati nell’arte del sub-

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affari indiano è ancora legato a modi di operare corrotti e in qual-che modo mafiosi, a un rapporto perverso con lo Stato centrale egli apparati burocratici locali formatosi negli anni del Licence Raj,dal 1947 al 1990, quando l’economia era in gran parte pianificatasu un modello semi-socialista e tutto avveniva solo dopo una lungacatena di carte bollate.

La cosa certa, comunque, è che l’India ha un bacino di culturaesportabile. Nel management ma, a maggior ragione, nella convi-venza tra diverse religioni: certo, si verificano grandi scontri, anchesanguinosi, per esempio tra indù e musulmani; ma anche unacapacità di sintesi e di convivenza eccezionale, che rende la demo-crazia indiana non solo la più colorata (anche tra le più corrotte),ma probabilmente la più capace di tenere assieme le enormi diffe-renze di religione, di reddito, di etnia, persino di casta. È un Paeseper l’80% induista, ma ha un presidente musulmano, un primoministro sikh e la persona più potente è una cattolica cresciuta inprovincia di Torino: non è poco. Una tolleranza che, di fronte alleondate migratorie, l’Occidente può imparare e l’India può esporta-re.

Questo è un vantaggio considerevole rispetto alla Cina. Cosac’entra la Cina? Innanzitutto, c’entra perché è l’ossessione degliindiani. Il rivale storico del Nord cresce di più, ha iniziato prima lamarcia verso la potenza industriale, ha muscoli sempre più ricono-sciuti a livello internazionale, siede come membro permanente nelConsiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non passa giorno che igoverni di Delhi e i media indiani non facciano paragoni: sullavelocità della crescita, sulla capacità di attrarre investimenti, sulnumero di ingegneri, sulla lunghezza della rete stradale, su quasi

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tutto ciò che può dare lustro. È una questione di influenza regiona-le che la democrazia indiana espone alla luce del sole, nonostante ilparagone sia quasi sempre perdente, e la Cina comunista tienenascosta nelle stanze del partito.

In secondo luogo, Pechino c’entra per ragioni meno psicologi-che. L’emergere di due superpotenze asiatiche confinanti – moltopopolose, nucleari, con economie iperdinamiche – secondo qualcu-no le spinge ad avvicinarsi, in una nuova divisione del potere inter-nazionale, fino a creare un’area alternativa a quella dominata dagliStati Uniti. È la teoria di Cindia, Cina più India: regione del mondopopolosa come nessun’altra, polo di attrazione economica e politi-ca, rivale strategica dell’Occidente. Secondo altri osservatori, piùconvincenti, al contrario le allontana, le mette se non in rotta dicollisione almeno su percorsi alternativi. L’accordo strategico fir-mato l’estate scorsa da Manmohan Singh e George Bush – che hariconosciuto, eccezionalmente, lo status nucleare indiano anche seDelhi non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione nucleare– indica che è questa, con ogni probabilità, la strada che prenderà larelazione tra India e Cina: rivalità, confronto, lotta per l’egemoniaregionale; anche se non necessariamente questo scenario dev’esserecruento e non significa che New Delhi si schiererà sempre e sututto con Washington.

_Scarsa qualità dell’educazione, soprattutto nelle scuole

pubbliche primarie, il potere di ricatto delle burocrazie,

la corruzione e le divisioni di casta impediscono spesso

che al boom economico partecipino tutti

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In terzo luogo, la Cina c’entra perché i modelli di sviluppo delledue economie sono assolutamente diversi. L’impero di mezzo hafondato la sua crescita sull’industria manifatturiera, sulla capacitàdi attrarre investimenti dall’estero, su stimoli che arrivano dal cen-tro e si diffondono nel Paese, nelle diverse regioni in via di svilup-po. Un approccio top-down in linea con le caratteristiche centraliz-zate e autoritarie dello Repubblica Popolare. Il modello indiano èagli antipodi: servizi invece che industria, finora molto autofinan-ziato (solo adesso gli investimenti dall’estero iniziano a esseresignificativi), diversi poli di sviluppo che sono cresciuti autonoma-mente. Un approccio bottom-up che si sposa perfettamente con lacultura indiana, con la struttura federale e con la democrazia. Ilcapitalismo – è la domanda che il confronto ta Pechino e Delhipone implicitamente al mondo – fiorisce meglio sotto il tallonedell’autoritarismo o nel caos democratico? Sul breve, la dittaturaha preso parecchie miglia economiche e infrastrutturali di vantag-gio; sul lungo periodo, però, sarà molto probabilmente la forzademocratica dell’India – che garantisce più partecipazione e piùlibertà d’innovazione – ad avere la meglio. Fatto sta che il confron-to è aperto e il suo esito – che sarà poi l’essenza delle nuove poten-ze emergenti – influenzerà non poco il resto del mondo. Almomento si può affermare che, se una superpotenza deve ancheavere una cultura e un modello sociale e politico da esportare, èdifficile che l’Occidente (ma non solo) abbia desiderio di aprirsi allavia cinese; le importazioni di questo genere dall’India, come si èvisto, sono invece già iniziate.

Fin qui, le potenzialità. Perché esse si trasformino in realtà,l’India dovrà però avere successo, dovrà cioè trasformarsi in unPaese per molti aspetti diverso da quello che è oggi. Non si tratta diperdere l’anima: la ricchezza e la forza culturali del subcontinentesono così straordinarie che non accadrà per secoli e secoli.Cambiare, per l’India, vuole dire pensare ai poveri, ridurre la cor-ruzione imperante, sfoltire la burocrazia, costruire strade e aero-porti, ridurre le lotte tra fazioni famigliari e politiche. Se la nuovaprosperità non scenderà per i rami dell’albero che sta crescendo, seresterà concentrata in una élite molto ristretta o anche in una clas-se media comunque di gran lunga ancora minoritaria, la politica siprenderà una rivincita sull’economia: se i 300 milioni di poveri chevivono con un dollaro al giorno (la ricchezza media degli indiani èdi 750 dollari l’anno, meno della metà di quella dei cinesi) nonbeneficeranno del nuovo ruolo che il Paese ha nell’economia glo-bale, il meccanismo democratico potrebbe bloccare la crescita inatto; gli indiani sono capaci di rivolte drammatiche fino e oltrel’autolesionismo.

È vero che con l’alta marea tutte le barche salgono. E quindi lacreazione di ricchezza, che si avvicina ormai alla crescita del 10%del Prodotto interno lordo, ha la potenzialità di beneficiare tutti.Ma la scarsa qualità dell’istruzione, soprattutto nelle scuole pubbli-che primarie, il potere di ricatto delle burocrazie, la corruzione, ledivisioni di casta impediscono spesso che al boom economico parte-cipino gli abitanti degli slum di Bombay, di Delhi, di Bangalore, diCalcutta e nemmeno i contadini che vivono nei villaggi, spessosenza luce, senza acqua corrente, con i pozzi comuni dall’uso deiquali sono esclusi gli intoccabili. C’è un dramma umano in questearretratezze. E in esse c’è anche il rischio maggiore alla crescita

DOSSIER

_La cultura indiana ora entra anche nei consi-

gli di amministrazione e nelle scuole di ma-

nagement. Vi sono vari esempi di imprenditori

innovativi, come Nandan Nilekani (qui sopra),

visionario fondatore della Infosys. Ma nello

sviluppo futuro dell’India conterà molto an-

che la sua forza democratica. Espressa da

personaggi come Manmohan Singh (foto in

alto), primo ministro innovatore in economia

e politica, sostenuto da Sonia Ghandi (nella

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dell’India: che le ingiustizie e le inefficienze fermino il miracolo inatto. Come, d’altra parte, il miracolo si fermerà se l’intraprendenzadegli imprenditori, vecchie famiglie e giovani innovatori, saràschiacciata dalla mancanza di infrastrutture – spesso produrre inIndia sarebbe più conveniente che in Cina, se si guarda ai costi, mapoi non ci sono strade per arrivare a esportare le merci prodotte – edalla regolazione di Stato che protegge, o meglio crede di protegge-re, molti settori, dalla grande distribuzione alle banche alle assicu-razioni.

Molta parte del futuro dell’India, dunque, cade sulle spalle fra-gili della sua classe politica. Il Partito del Congresso è tornato alpotere, in modo sorprendente, nelle elezioni del 2004, in buonaparte grazie al pieno rientro sulla scena politica dei Gandhi. Soniaha condotto una campagna elettorale perfetta, ha messo insiemeuna coalizione laica che si oppone alle divisioni tra le comunità, halanciato sulla scena politica il figlio, Rahul, e poi ha lasciato il postodi primo ministro a Manmohan Singh, forse non un leader chetrascina le folle, ma certamente un innovatore in economia e inpolitica. La sconfitta del partito che aveva governato negli anniprecedenti, il nazionalista e pro-induista Bharatiya Janata Party, èstata il segno sia del fatto che la maggioranza degli indiani nonvuole politiche che dividono la società secondo linee etniche o reli-giose, sia del fatto che il boom economico (lo slogan del partito, nel2004, era India Shining, l’India che risplende) non si traduce invoti se l’impressione di molte parti della società è di essere lasciateai margini della fortuna. Ora, il Bjp è piuttosto in crisi di idee e dileadership. Ciò non significa, però, che il Congresso sia in unabotte di ferro e che la politica indiana viaggi su binari certi. Anzi.

Prima di tutto, la politica del subcontinente rimane sotto ilsegno di potentati locali fondati su singole personalità, su famiglie,su clan che si possono spostare da un’alleanza all’altra sulla base diquestioni che non hanno nulla a che fare con gli interessi generalidel Paese, ma sono spesso vicende di soldi, di potere in uno Stato,di orgoglio dei patriarchi, di sgarbi personali. Lo stesso Partito delCongresso, la maggiore forza politica nazionale, è un dominio dellafamiglia Nehru-Gandhi, che dall’Indipendenza del 1947 ha espres-so tre primi ministri – Jawaharlal Nehru, la figlia Indira Gandhi, ilnipote Rajiv Gandhi – e oggi conta su Sonia, il vero potere dietroManmohan Singh, e su Rahul, probabile futuro primo ministro. Inpiù, l’attuale governo, per raggiungere la maggioranza inParlamento, si deve appoggiare a forze, prima di tutto i comunistiforti in Stati come il Kerala e il West Bengala, che non semprefavoriscono l’apertura dell’economia, le liberalizzazioni, le privatiz-zazioni. Il rischio che un incidente politico o una semplice disputadi potere facciano saltare gli equilibri è sempre presente; soprattut-to, queste divisioni portano a una lentezza del processo decisionaleche può essere esasperante ed è certamente uno svantaggio compe-titivo micidiale nella gara con la Cina a chi attrae più investimenti.

Fatto sta che i galleristi di Bombay sul futuro dell’India ciscommettono, con pochi dubbi. E probabilmente hanno ragione.Quelli di New York e Londra li seguono, non si può rischiare diperdere il treno che potrebbe portare al Paese delle meraviglie: persicurezza, comunque, nelle loro collezioni, per ora, di fianco a unartista contemporaneo indiano ne mettono due cinesi. La gara èaperta. O

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Parla Filippini: sono tre i modelli asiatici a cura di Antonio Barbangelo

Parlando di Asia si pensa soprattutto alla Cina, ma è l’intero con-tinente a crescere. India, Cina e Giappone hanno dato rispostediverse alle sfide poste dall’Occidente: modernizzazione e globaliz-zazione. La Cina è considerata la fabbrica del mondo, l’India l’uf-ficio del mondo; ma ci sono indicazioni di una reciproca “invasio-ne di campo” tra le due economie. E se un occidentale vuole fareaffari in Asia…

Cina, India e Giappone vogliono dire circa due miliardi emezzo di persone (e di consumatori), oltre un terzo della popola-zione del pianeta. Le tre potenze asiatiche stanno mostrando unosviluppo senza precedenti, ma è l'intero continente asiatico a cre-scere. Anche se dalle nostre parti spesso stentiamo a immaginarela ciclicità della storia (e della vita quotidiana), e fatichiamo acomprendere che il “pendolo” sta ritornando verso Oriente.

“Fino a 200 anni fa circa le economie asiatiche mostravanolivelli di sviluppo simili a quelli europei. Poi, per limitarci alcampo economico, la rivoluzione industriale segnò l’inizio di undivario crescente tra Europa e l’America, da un lato, e l’Asia dal-l’altro. Intorno al 1960 inizia la ripresa impetuosa di questa regio-ne: il Giappone dapprima, le quattro ‘tigri’ e le varie nidiate ditigrotti poi, la Cina e l’India più recentemente. Ma se guardiamocon occhi cinesi a 2.000 (o 5.000) anni di storia, gli ultimi duesecoli sono una riga anomala di una lunga pagina scritta prevalen-temente in ideogrammi cinesi.”

È quanto dice Carlo Filippini, docente di Economia politicapresso l'Università Bocconi di Milano, nonché direttore dell'Isesao(Istituto di Studi Economico-Sociali per l'Asia Orientale). AFilippini, uno dei maggiori esperti italiani di economia giapponesee di Asia, per il suo ventennale impegno di ricerca sul Giappone èstato conferito l'Ordine del Sol Levante, l'onorificenza che l'impe-ratore riconosce anche agli studiosi stranieri che si siano distintinella diffusione della cultura giapponese.

Cina, India e Giappone hanno dato risposte differenziate allesfide poste dall'Occidente, seguendo modelli di sviluppo diversi traloro. Dietro a questi percorsi dissimili sono presenti valori cultu-rali che noi occidentali dovremo imparare a conoscere meglio.Anche per non perdere il treno dello sviluppo mondiale.

Per anni abbiamo osservato la crescita dell’economia giapponese.In Europa è stato sottovalutato lo sviluppo di Cina e India? Penso che i Paesi europei abbiano sottovalutato, e in una certa

misura stiano ancor oggi sottovalutando, la Cina e l’India. Lemotivazioni sono naturalmente diverse e non sempre ingiustifica-te: dipendono dalla storia, dalla struttura produttiva e da moltialtri fattori.

Anche la scuola ci mette del suo?Certo è che anche la scuola gioca un ruolo importante. I pro-

DOSSIER

L’ASIA AL CENTRO DEL MONDO

Il grande dinamismo attuale delle econo-mie asiatiche dovrebbe spingerci a rein-terpretare l'eurocentrismo come unaparentesi storica, e ad avvicinarci allacultura asiatica con rispetto e interesse.L’Asia sta semplicemente tornando alcentro del sistema economico mondiale. è quanto sostengono gli autori del volumeAsia al centro (Università BocconiEditore), scritto a quattro mani dallo sto-rico Franco Mazzei, professore ordinariodi Storia e Civiltà dell'Estremo Orientepresso l’Università degli studi di Napoli“L’Orientale”, e dal banchiere VittorioVolpi, presidente di Ubs Italia ed espertodel Giappone.Lo sviluppo attuale è destinato a sospin-gere, entro il 2040, la Cina al primoposto mondiale per dimensioni economi-che e l’India al terzo. Anche il Giapponesembra essere uscito da 15 anni di sta-gnazione, dimostrandosi come l'unicoPaese sviluppato in grado di trarre davve-ro vantaggio dalla crescita cinese (l’eco-nomia giapponese costituisce ancora il60% di quella continentale). Il volumeevidenzia come molti degli atteggiamentigiuridici ed economici dei cinesi e deigiapponesi (che disorientano gli occiden-tali) possano essere fatti risalire a unavisione del mondo confuciana, che misu-ra le performance in termini di beneficiocollettivo, antepone l'etica al diritto, enon riconosce il principio di non contrad-dizione. Si va delineando uno scenariomondiale su tre poli: Usa, Asia edEuropa; ma gli americani sembrano piùconsapevoli della nuova reltà. L'Europa èrelativamente immobile.

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grammi di storia, letteratura o geografia non danno molto spazioa questi Paesi, per non parlare dell’economia che in Italia è quasiassente a tutti i livelli. In Giappone invece tutti studiano la storiadell’Europa. Inoltre, il comune sentire relativo a tutte le realtàasiatiche, tranne forse il caso del Giappone, è che siano società conun grande passato, ma ancora sottosviluppate (per usare un termi-ne ora politically incorrrect). I principali motivi di interesseriguardano il turismo, naturalmente in alberghi o villaggi simili aquelli che potremmo trovare ovunque in Italia; solo i camerierisono più numerosi e servizievoli. Spesso l'attenzione verso i Paesiasiatici dipende dalla (falsa) credenza di potervi trovare modi divivere fortemente in opposizione a ciò che è moderno e alla globa-lizzazione; in ultima analisi al progresso economico.

Ma cosa ci dicono le cifre dell'economia?Nel 2005 le esportazioni dell’Ue-25 verso la Cina e l’India

erano pari rispettivamente al 4,88% e 1,99% e le importazioni al13,45% e 1,61% del totale extra-Ue 25. Per l’Italia le esportazioniverso la Cina e l’India erano pari rispettivamente al 3,8% e 1,4%e le importazioni al 10,8% e 1,7%, sempre sul totale dei flussicommerciali extra-Ue.

Perché è importante conoscere le specificità culturali di un Paeseper operare al meglio in ambito economico? È spesso citato il caso di un profumo che doveva essere lanciato

in Giappone: si pensò a un nome tipo “fragranza # 4” (copiandoun più celebre “# 5”). La società venne poi a sapere che il carattere“4” si pronuncia come quello “morte”: nessun giapponese avrebbemai comprato o regalato un profumo il cui nome suonava “fra-granza morte”.

Se in Giappone, e in molti altri Paesi asiatici, un managerstringe la mano di un collega a lungo, magari con tutte e due lesue mani, o – peggio ancora – distribuisce affettuose pacche sullespalle di colleghi non farà grandi affari. In America può funziona-re, in altri contesti sociali non funziona.

Naturalmente al di là dei comportamenti esteriori è importan-te conoscere il modo di pensare, i valori sui quali si fonda il com-portamento di una persona. Si tratta di caratteristiche spessomolto antiche, che si sono formate nell’arco di secoli, spesso comerisposta a situazioni di rischio e di incertezza.

In Occidente cerchiamo sempre di ottenere risultati in tempi rapi-di... Infatti, il tempo è denaro. Non si può chiedere alla controparte

giapponese, o cinese, di decidere rapidamente, senza aver consulta-to e convinto gli altri membri del gruppo o del consiglio.Ugualmente nei rapporti di lavoro il comportamento con i colle-ghi, ai vari livelli, è molto differente. In un contesto orientale lagerarchia è importante e occorre saper comandare, mentre il coin-volgimento dei subordinati nel decidere una linea di azione puòsembrare incapacità, ignoranza o, peggio, paura di prendere deci-sioni. Naturalmente occorre capire ciò che è sostanziale e ciò che èeffimero: fino a pochi decenni fa i formaggi o il vino erano quasisconosciuti ai consumatori asiatici; oggi rappresentano mercati inrapida crescita.

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La globalizzazione non ha reso “universali” i valori dell’Occidente.Sotto quali aspetti, in particolare? Occorre precisare due aspetti. In primo luogo l’Occidente non

è omogeneo e ben definibile. Il capitalismo renano o germanico haparecchi aspetti di somiglianza con quello giapponese ed è moltodiverso da quello anglosassone, senza trascurare le altre tipologie.In secondo luogo è vero che la globalizzazione è vecchia di secolise non millenni, ma nel suo significato più diffuso ha meno dicinquanta anni.

Quindi...Quindi è ingenuo pensare che valori profondi possano essere

diffusi, trapiantati in così poco tempo. In molti settori vi è stataun’estensione dei valori occidentali all’Asia: pensiamo alla certez-za del diritto oppure alla corporate governance. Invece il caso piùclamoroso di non universalizzazione è, secondo molti, quello delComunismo in Cina: il segretario del PCC sarebbe una versione“aggiornata” dell’imperatore e i funzionari di partito gli eredidiretti dei mandarini e della burocrazia imperiale.

Perché Cina, Giappone e India hanno dato risposte così differen-ziate alle due sfide poste dall'Occidente: modernizzazione e glo-balizzazione? La domanda è molto complessa. Sinteticamente si può ricorda-

re che a metà del XIX° secolo, quando le navi “nere” americaneobbligano il Giappone ad aprirsi dopo 250 di isolamento, la classepolitica cambia radicalmente; perfino la capitale è spostata da

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Kyoto a Edo, poi nominata Tokyo. Il nuovo governo sceglie, confallimenti e ripensamenti, l’industrializzazione e l’occidentalizza-zione per non diventare una colonia. La struttura sociale restagerarchica, se non feudale. I valori culturali spingono al primato.In pochi decenni il miracolo si realizza e la sconfitta della Russianel 1905 suggella la trasformazione.

Mentre la Cina...Nello stesso periodo la Cina è invece debole; il senso di supe-

riorità che la pervade porta a sottovalutare la potenza tecnologica(prima ancora che politica o militare) dell’Occidente. Sono note lerisposte sprezzanti della corte imperiale agli inviati britannici. Unsecolo più tardi il governo (comunista) cinese è invece forte e nel1978 le ultime resistenze all’apertura verso l’estero sono sconfitte.Inizia il periodo della rapida crescita; la proiezione internazionalenon deve sorprendere: la Cina si è sempre considerata il centro delmondo.

E nel Paese del Taj Mahal e del Gange...L’India è la prima a subire il contatto con le potenze occidenta-

li. Fino al XVII° secolo la partita è in bilico; solo le innovazioninavali e balistiche permettono alla Gran Bretagna di sopperireall’inferiorità numerica: più volte i vari Stati locali sono stati sulpunto di ributtare a mare le piccole spedizioni e forze d’invasione.Inoltre, i vari Stati indiani sono in conflito tra loro; il governo bri-tannico è abile nel dividere gli avversari, prima politicamente poiusando la religione: accanto a ogni funzionario indù ne viene

_Fino a oggi la Cina è stata considerata la

fabbrica del mondo e l’India il back office,

ma ora cominciano a esserci chiare indicazio-

ni di reciproche invasioni di campo, sia detta-

te dalla tecnologia, sia volute da organi gover-

nativi e imprenditoriali

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messo uno musulmano. Anche i valori culturali e la stratificazionesociale non indirizzano alla modernizzazione.

Possiamo vedere meglio... In che senso ci sono state rispostediverse?In Giappone molti samurai e commercianti diventano impren-

ditori fin dal XIX° secolo, in sintonia e con il sostegno dello Stato.In Cina fino a 30 anni fa la burocrazia controllava tutto e solo lecomunità cinesi d’oltremare (gli “Overseas Chinese”) mostravanoiniziativa e forte collaborazione. Allora la domanda – senza verarisposta – era: come mai i cinesi all’estero hanno successo e inpatria sono passivi?

Invece, nell’ex colonia britannica...In India l’industrializzazione sviluppata dagli inglesi come

appendice dell’industria britannica non ha radici solide. Poco dopol’indipendenza del 1947 si afferma il modello sovietico, pianifica-zione e industria pesante, con limitati progressi. Anche le comu-nità indiane all’estero non mostrano particolare dinamismo e coo-perazione.

Gli indiani sembrerebbero più vicini a noi, non solo geografica-mente... Nel mondo degli affari l’India adotta le pratiche, e lingua,

inglesi. Giappone e Cina conservano invece tradizioni proprie esolo esteriormente si adeguano al modello anglosassone.

Quali ambiti della vita economica, in Giappone e Cina, possonoessere fatti risalire – più di altri – a una visione del mondo confu-ciana? Molti sono gli aspetti che derivano dal confucianesimo. Non

c’è una contrapposizione “Stato-mercato”, ma una sinergia tra idue. Questo genera miglior coordinamento e minor incertezzasistemica, ma anche opacità e corruzione. Le reti pubbliche di sicu-rezza sociale sono limitate, servono solo come estrema risorsa; inprima istanza la famiglia o il gruppo devono provvedere ai bisognidei singoli, come listruzione dei figli o sostegno degli anziani.

In una visione della vita quotidiana di questo genere, le scelteall'interno di un gruppo sono condivise?Nelle decisioni l’accordo deve essere quasi unanime. Si richiede

più tempo per prendere una decisione, ma l’attuazione è più velo-ce, efficace e condivisa. Nessuno “rema contro”.

Che valore ha un contratto scritto?Gli accordi scritti hanno un valore relativo, se le circostanze

cambiano anche l’accordo può e deve cambiare. Una curiosità: lafirma è poco usata, il sigillo o il timbro sono più diffusi.

Quali sono le principali differenze da evidenziare tra la visione delmondo confuciana e la cultura indiana ? La visione confuciana sottolinea l’armonia, il consenso e il cor-

retto comportamento nelle principali situazioni sociali: superiore-inferiore, padre-figlio e così via. Si tratta di una cultura della ver-gogna: “perdere la faccia” è la peggior situazione possibile. Il

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gruppo sociale è più importante del singolo individuo. La mobilitàsociale è assicurata dall’istruzione, in passato per la verità moltonozionistica e mnemonica. Chi riesce a istruirsi può percorreretutti i gradini e assurgere ai più alti vertici del potere, o dellaburocrazia imperiale. Inoltre il cinese e, in modo diverso, il giap-ponese pensano di essere superiore agli altri, agli stranieri.

Cosa succede in India sotto questo aspetto?Nella cultura indiana si mescolano e sovrappongono tradizioni

diverse: indù, musulmana, occidentale-inglese, in piccola partebuddista e parsi. Molto sinteticamente, non vi è spinta a crescere ocorreggere una situazione imperfetta. La società è divisa in casteche ancor oggi sono importanti; la mobilità sociale è ridotta. Dasottolineare è però l'assimilazione del concetto di democrazia epreminenza della legge.

Sono diversi i valori confuciani in Giappone e in Cina? In chesenso?La tradizione culturale confuciana pervade i giapponesi insie-

me a quelle buddhista e scintoista. Una prima differenza tra Cinae Giappone può essere questa: un sincretismo religioso e filosoficoper cui si dice spesso che in Giappone vi sono circa 120 milioni diabitanti e 300 milioni di soggetti religiosi. Più specificamente sipuò notare una sottolineatura delle caratteristiche nazionali e delparticolarismo giapponese. Inoltre la gerarchia sociale ha al suovertice l’imperatore che aveva natura quasi divina; ne consegueche in Giappone non era permesso uccidere l’imperatore che non

_Differenti tradizioni e costumi giocano anco-

ra un ruolo importante. Per questo motivo è

importante conoscere a fondo le specificità

culturale di un Paese per operare al meglio in

ambito economico

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faceva il bene del popolo, mentre in Cina era ammesso (in modosimile si pronunciava san Tommaso d’Aquino). L’aver assimilatodalla Cina i più importanti elementi culturali – dalla scrittura alconfucianesimo al buddismo – ha generato un certo complesso diinferiorità che spinge i giapponesi alla ricerca di un primato, diuna perfezione: negli ultimi 50 anni si è manifestato soprattuttoin campo tecnologico.

Pesa il fatto che non tutti i Paesi in Asia siano stati colonizzati?Certamente. Non è trascurabile il fatto che in Asia solo

Giappone e Thailandia non siano stati colonizzati da potenzeeuropee, totalmente o parzialmente.

Ancora a proposito di diversità culturali rispetto all'Occidente,quali sono i valori (i tratti dello stile di vita) che noi occidentalifacciamo più fatica a comprendere? Vi sono alcuni aspetti esteriori che sembrano “strani”: come

esprimere apprezzamento per il cibo facendo forti rumori. Su unpiano un po’ più serio forse la mancanza del senso di colpa: se nonsi perde la faccia, tutto è permesso. Oppure l’incertezza relativa alrispetto dei contratti sottoscritti, almeno finché il rapporto non sisia consolidato. Naturalmente ciascuno percepisce come diversi esbagliati alcuni stili e non altri. Nell’Ue un finlandese forseapprezza il controllo emotivo degli asiatici; un siciliano forse loconsidera insensibilità.

Nel Rapporto di Freedom House 2006, la Cina è nella lista deiPaesi “non liberi”. L’Occidente continua a “chiudere un occhio”per non perdere alcuni vantaggi economici?Lo stimolo del profitto, e soprattutto l’illusione di poter fare

enormi profitti in Cina, condizioneranno ancora i comportamentidei governi e delle imprese occidentali. È ben noto il caso diInternet: parecchie imprese americane sono state accusate di averfornito al governo cinese gli strumenti per controllare i navigatoridella rete e censurare le parole e gli argomenti “proibiti”: peresempio, versioni sofisticate dei programmi che permettono aigenitori di impedire ai figli in giovane età l’accesso ai siti webritenuti diseducativi o dannosi. Dal punto di vista del governocinese si tratta, in un certo senso, di preservare il popolo cinese danocive influenze straniere, come ogni buon imperatore farebbe.

Un tema difficile... Intanto l’Occidente procede in ordine sparso... Le imprese occidentali, invece, nella maggior parte dei casi, si

presentano divise, in concorrenza tra loro; la controparte è spessouna sola: il governo centrale o un governo provinciale o un’im-presa statale. Essa ha un potere contrattuale molto più forte.Anche molti governi dell’Ue spesso e volentieri si battono peraiutare i propri campioni nazionali a danno di altre imprese euro-pee.

Torniamo all'India. Sta crescendo il ruolo delle grandi famiglie nelcapitalismo di questo Paese? Le imprese private sono state sempre vincolate da regolamenti

e burocrazia che non favorivano certo la crescita, soprattutto nelsettore industriale. I grandi gruppi però erano riusciti a tessereC

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relazioni con politici e burocrati che in parte compensavano queicosti. Le riforme iniziate negli anni Novanta, insieme alle priva-tizzazioni, hanno modificato questa situazione a favore del settoreprivato, ma hanno anche, in qualche caso, ristretto le situazioni direndita monopolistica. Le grandi famiglie indiane hanno approfit-tato di questo cambiamento rafforzandosi in patria ed espanden-dosi all’estero. Il caso della Arcelor Mittal è ben noto. Non trascu-rabile è anche il flusso di investimenti diretti che originanodall’India: per molti ancor oggi è difficile immaginare investimen-ti di imprese indiane in Italia.

La posizione competitiva dell’Italia in questi tre Paesi non è consi-derata positivamente. Sarà possibile recuperare terreno? L’Italia può sfruttare alcuni vantaggi che derivano dal passato e

dalle caratteristiche naturali. Moda, alimentari e turismo sono iprimi settori che vengono alla mente. Bisogna però andar oltre ilsole, il mare o i marchi. L’industria italiana è leader in alcune pro-duzioni di nicchia, spesso ad alto contenuto tecnologico. Anche iservizi alla produzione devono essere sostenuti. Dalla finanzaall’istruzione universitaria (il “pezzo di carta” è molto importantein Cina) vi sono innumerevoli possibilità.

In quale dei tre grandi Paesi maggiormente?Forse l’India, dove la concorrenza è meno forte – ma non

debole – rispetto agli altri due Paesi, con leggi e tribunali certi ecorretti.

La Cina è considerata la fabbrica del mondo, l’India l’ufficio delmondo. è prevedibile una parziale “invasione di campo” tra le dueeconomie?Finora questa è stata la divisione del lavoro tra i due giganti

asiatici. Possiamo ricordare un solo motivo (familiare all’Italia): larigidità del mercato del lavoro nell’industria indiana; nel settoredei servizi invece la regolamentazione è molto più blanda o addi-rittura non esistente. Vi sono però chiare indicazioni di "invasionidi campo" da parte di entrambe le squadre, sia dettate dalla tecno-logia sia volute dagli organi governativi e imprenditoriali.

In quali settori?Il settore dell’automobile è un chiaro esempio dell’importanza

della tecnologia. Questo prodotto diventa sempre più “componentielettroniche” e sempre meno “parti meccaniche” (in termini divalore aggiunto). Occorreranno naturalmente parecchi anni, ma leseconde diventeranno simili al mobile dei televisori: produzioni abasso livello tecnologico svolte nei paesi più arretrati. Invece le(prevedibili) liberalizzazioni e deregolamentazioni che il governoindiano attuerà nei prossimi anni apriranno nuove prospettive allalocale industria manifatturiera.

_In Giappone e Cina molti sono gli aspetti che risalgono

a una visione del mondo confuciana. Non c’è una con-

trapposizione Stato-mercato, ma una sinergia tra i due. E

conseguentemente miglior coordinamento, ma anche

opacità e corruzione Cor

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Cosa accadrà sul terreno dell’hi-tech?Sul versante cinese possiamo ricordare che nel 2008 sarà lan-

ciato un terzo standard per l’alta definizione nei DVD oltre aquelli già esistenti, il “blue-ray” e l’HD-DVD: il “red-ray” “crea-ted in China“, non semplicemente “made in China”. Ancor piùambizioso è poi il progetto di produrre un sistema operativo percomputer concorrente con Windows e Mac.

All’Europa cosa rimarrà nei prossimi anni ?Il futuro non è già scritto. Sarà costruito anche dalle decisio-

ni e dalle politiche che saranno prese e attuate. Da un lato pos-siamo immaginare una situazione simile a quella dell’annomille avanti Cristo: l’Egitto (l’oriente) ricco e civilizzato,l’Europa molto più arretrata. È avvenuto e potrebbe ritornare.In questo caso all’Europa resterebbe poco: il suo reddito e teno-re di vita diminuirebbero, non solo in termini relativi, ma ancheassoluti. Produrrebbe merci e servizi con basso livello tecnologi-co e valore aggiunto, oltre a qualche bene di lusso e a servizituristici.

Ma non è il solo scenario possibile...Infatti, più probabile è l'altro scenario, nel quale l'Europa

investe in istruzione e nella ricerca, rende i suoi mercati piùdinamici e pronti al cambiamento, adotta politiche coordinateverso l’estero e nel settore fiscale, sa accogliere e integrare isuoi immigrati. Allora l’Unione Europea sarà un attore prota-gonista sulla scena mondiale, non una vecchia gloria piena diillusioni e rimpianti. Penso che questo scenario possa realizzar-si. L’Europa ha valori culturali molto radicati e forti, risorseumane preparate, un sistema innovativo articolato e, in alcunisettori, alla frontiera. Vi sono certamente gruppi che percepi-scono redditi in virtù di privilegi e di protezioni: si tratta dizavorra che deve essere scaricata per guadagnare quota, perinnalzarsi.

_La Cina si sta aprendo alla globalizzazione,

ma rimangono ancora zone buie. E innovazio-

ni come Internet vengono ancora censurate

nel tentativo di difendere il popolo cinese dal-

le influenze esterne

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Quanto è sostenibile questomodello di sviluppodi Marzia Mongiorgi

Ci sono due modi per raccontare la crescita impetuosa dell’India: ilprimo acritico e apologetico, il secondo più vicino alla realtà. I datidimostrano che lo sviluppo del Paese prosegue a ritmi elevatissi-mi. Ma questo non deve far dimenticare le grandi contraddizionieconomiche e sociali del Paese. Quasi il 30% degli indiani vivonocon meno di 2 dollari al giorno e…

In base alla parità di potere di acquisto (PPA), l’economiadell’India è la terza più grande nel mondo, con un prodottointerno lordo (PIL) pari a circa 3,6 trilioni di dollari USA. Semisurata in termini di tasso di cambio rispetto al dollaro USA,è la decima più grande economia a livello mondiale, con un PILdi circa 900 miliardi di dollari USA. L’India è la seconda econo-mia a più rapida crescita nel mondo, con un tasso di incremen-to del PIL pari a circa il 9% alla finedel secondo trimestre dell’annofiscale 2006 (dal 1° aprile 2006 al 3marzo 2007). Tuttavia, l’immensapopolazione dell’India produce unreddito pro-capite pari a 3.400 dolla-ri USA a livello di PPA e 714 dollariUSA a livello nominale. La WorldBank classifica l’India come un’eco-nomia a basso reddito. Nell’annofiscale 2005 la crescita del PIL èrimasta solida posizionandosi sucirca l’8,4%, prevalentemente acausa della continua forte espansio-

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IMPORT ED EXPORT TRAINANO LA CRESCITA DELL’INDIA (VALORI IN %)

REALE PREVISTO2001-04 2005 2006 2007

PIL (cambiamento annuale) 6,4 8,4 7,8 7,8Inflazione (cambiamento annuale) 4,7 4,4 5,5 5,0Eccedenza globale di bilancio/Deficit (% del PIL) -8,9 -7,5 -7,0 -6,5Massa monetaria (cambiamento annuale) 14,4 21,3 16,0 15,2Esportazioni (cambiamento annuale) 16,5 27,5 20,0 20,0Importazioni (cambiamento annuale) 21,1 31,6 26,2 21,0Bilancio di conto corrente (% del PIL) 0,9 -1,3 -2,1 -1,9

Tratto da: Rapporto sull’economia sud-asiatica, ottobre 2006, Asian Development Bank.

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ne della produzione e dei servizi industriali, e si prevede cheresterà intorno all’8% durante il periodo 2007-2009. Altrimotori della crescita del PIL nel primo trimestre del 2006-2007sono stati i settori commerciali, alberghieri, dei trasporti e dellecomunicazioni (9,5%) e delle costruzioni (13%). Il settore deiservizi è anche esso cresciuto del 10,6 percento. Un eccezionaletasso di crescita è stato registrato in alcune industrie specifiche,come il 36% nei veicoli commerciali, il 49% nei collegamentitelefonici e una crescita dei passeggeri nell’aviazione civile del32 percento.

I risultati delle esportazioni sono rimasti buoni a causa deiprezzi elevati dei prodotti globali e dell’eliminazione dellequote sui tessili, coadiuvati da un incremento nelle esportazio-ni di attrezzature per i trasporti, macchinari, prodotti chimicidi base, filato di lana, abiti confezionati e servizi software (ser-vizi informatici e su base informatica) che ha comportato unacrescita di oltre il 30% fino alla cifra di circa 24 miliardi di dol-lari USA. Il deficit di conto corrente esterno si è ampliato finoall’1,3% del PIL in conseguenza all’incremento dei prezzi delpetrolio. Cionostante, le riserve di valuta estera sono rimastesolide quantizzate in circa 155 miliardi di dollari USA grazie acostanti incrementi sia negli investimenti diretti sia in quelli diportafoglio. Tuttavia, il deficit fiscale consolidato, che era dimi-nuito di oltre un punto percentuale fino al 7,7% nell’annofiscale 2005, continua a rappresentare un problema. Nel corsodell’anno fiscale 2005 l’inflazione si trovava al livello moderatodel 4,4 percento. Fino a ora il governo ha protetto con successoi consumatori dagli elevati prezzi del petrolio internazionale.

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Tuttavia, il passaggio incompleto dei prezzi del petrolio inter-nazionale ha fomentato le aspettative relative all’incrementodell’inflazione. I prezzi in ascesa del petrolio nazionale, la fortedomanda interna, e i prezzi elevati dei prodotti internazionalifaranno verosimilmente crescere l’inflazione fino a circa il5,5% nel corso dell’anno fiscale 2006.

1. Nonostante i solidi fondamenti macroeconomici, il deficitfiscale consolidato rimane ad una percentuale di PIL del 7,5%preoccupantemente alta. Il Bilancio Federale per l’anno fiscale2006 era stato preparato in un contesto di solida crescita, infla-zione moderata e aumento delle tasse in base al quoziente diPIL (secondo il piano, le entrate fiscali lorde cresceranno del20%, con un incremento del 50% proveniente dalla riscossionedelle tasse sui servizi). Il bilancio cerca di mantenere un equili-brio tra prudenza fiscale e garanzia delle risorse per le spese disviluppo, quali i programmi del settore sociale per gli schemi dioccupazione rurale e i recentemente annunciati programmiinfrastrutturali “Build India”. Di conseguenza, l’obiettivo perl’anno fiscale 2006 è la diminuzione di entrambi deficit delleentrate e deficit fiscale globale come percentuale di PIL.

2. Nonostante la crescita globale del PIL dell’India sia statamolto sostenuta, non ha avuto una base ampia né ha incluso isuoi 700 milioni di popolazione rurale, che vive distribuita incirca 600,000 villaggi rurali di piccole dimensioni. Circa dueterzi del popolo indiano ricavano il loro sostentamento dall’a-gricoltura e quasi tre quarti dei poveri del Paese (200 milioni dipersone) vivono in aree rurali. Nonostante l’agricoltura contri-buisca al PIL del 22%, rimane tuttora il settore economico più

_L’india è la seconda economia a più rapida

crescita nel mondo, ma la crescita del Pil non

ha avuto una base ampia, né ha incluso i suoi

700 milioni di popolazione rurale. Gli indica-

tori sociali continuano a mostrare preoccu-

panti disparità tra zone urbane e zone rurali

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ampio. Pertanto, la sua lenta crescita rappresenta un problemaparticolare, che sembra avere una tendenza al declino nel lungotermine, essendo scesa da una media del 3,2% negli anniottanta fino al 2,4% degli anni Novanta e all’1,3% nel corsodegli ultimi tre anni (contro un obiettivo governativo del 4%).La decelerazione nella crescita agricola sembra essere generalein terre coltivate e regioni, ma è stata particolarmente pronun-ciata negli stati paniere (Punjab, Haryana e Uttar Pradesh), eriflette un rallentamento su vasta base nella crescita della pro-duttività. Il reddito medio in India si posiziona tra il 30 e il50% circa del più elevato reddito medio nel mondo. Una pro-duttività tanto bassa nasce da un numero di fattori, incluso illento progresso nella riforma agraria, servizi di marketing ina-deguati per i prodotti agricoli e la lenta adozione di pratiche,tecniche e infrastrutture agricole moderne. Come conseguenzadella ridotta crescita produttiva, si è verificata una bruscaimpennata nella disoccupazione assoluta (da 20 milioni nelperiodo 1993-1994 fino a 27 milioni nel 1999-2000), e unagrave diminuzione dei salari rurali. I bassi salari associatiall’abbondante manodopera non qualificata limitano gli incen-tivi alla meccanizzazione, che, a loro volta, limitano la crescitadella produttività.

3. L’importanza del settore agricolo per il tessuto economi-co, sociale e politico dell’India va ben oltre il contributo al pro-dotto nazionale e l’impatto del suo declino a lungo terminesulla qualità della vita in India è stato forte. Il rallentamentodella crescita dell’agricoltura è la radice del problema delle dif-ficoltà rurali venute a galla in molte parti del paese (suicidi diagricoltori e proteste pubbliche). Gli indicatori sociali in Indiamostrano preoccupanti disparità di genere, grandi differenzetra zone urbane e rurali e ampie variazioni tra stati nonostanteuna crescita costante registrata nell’ultima decade, impedendoal paese di raggiungere molti degli obiettivi fissati nel pianoMillenium Developement Goal entro il limite di tempo stabili-to. Nel 2005, su 177 Paesi l’indice di sviluppo umano dell’Indiaè diminuito fino a 127. Gli indicatori sociali chiave sono adessomolto più bassi di quelli della Cina e di Paesi confinanti persi-no più poveri. L’aspettativa di vita in India è attualmente di 7anni inferiore a quella della Cina e di 11 anni inferiore a quelladel Sri Lanka. Il tasso di mortalità dei bambini di età inferioreai cinque anni è almeno tre volte più alto del tasso registrato inCina, almeno 6 volte più alto del tasso del Sri Lanka ed è anchepiù alto di quello del Bangladesh e del Nepal, i due Paesi piùpoveri dell’Asia. La disparità dello sviluppo economico e socialetra stati e regioni e tra segmenti diversi della società si staallargando. Oltre un sesto della popolazione dell’India (160milioni) vive ai piedi della struttura delle caste. Essi sono gli“intoccabili” e pertanto viene loro negato l’accesso alla terra,ad acqua pulita e istruzione, sono tagliati fuori dal recente pro-cesso di modernizzazione e dalla crescita economica in ascesa,costretti a lavorare in situazioni degradanti e periodicamentemaltrattati dalla società, nonostante tutte le leggi anti-casta etutte le politiche mirate all’eliminazione delle discriminazionibasate sul concetto di casta.

4. In India nel 2003 l’incidenza della povertà da 1 dollaro al

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giorno era del 30,7% e il numero assoluto di poveri era pari a362 milioni. Considerando il limite di povertà da 2 dollari algiorno, l’incidenza della povertà aumenta fino al 78,0% e ilnumero di poveri sale a 830 milioni. L’obiettivo del governo diridurre entro il 2007 l’incidenza della povertà del 5% dal livel-lo del 26% del 2000, non è stato realizzato, e tra aree rurali eurbane esistono tuttora vaste ineguaglianze di cui, negli annirecenti, è stato registrato l’approfondimento. È stato stimatoche, durante l’ultimo decennio, la povertà è diminuita di uninsignificante 0,74%, nonostante la solida crescita economicatotale. L’abitante medio dei villaggi ha utilizzato meno di 50centesimi di dollaro al giorno in spese di consumo e l’abitanteurbano medio ha speso meno di 80 centesimi di dollaro.Soltanto il più abbiente 10% degli abitanti delle città ha spesooltre 1,40 dollari al giorno per persona, mentre il 10% piùpovero degli abitanti dei villaggi ha speso meno di 20 centesimial giorno. Tuttavia, quei livelli di spesa erano più alti di quantolo fossero solitamente. Tra il 1994 e il 2005, la spesa rurale,regolata in base all’inflazione, è cresciuta del 13,5%, e la spesaurbana è salita fino al 15,9 percento. Nuova ricchezza si stalentamente sviluppando, ma non abbastanza velocemente. Sonoanche in fase di creazione nuove povertà, a causa del processodi industrializzazione. Gli agricoltori vengono cacciati dalleloro fattorie e gli emigranti lasciano i loro villaggi, divenendodisoccupati e vulnerabili alla violenza.

Riassumendo, esistono due versioni relative alla crescitaeconomica indiana. Una è la versione felice del creatore di ric-chezza più veloce nel mondo, grazie ad un mercato azionarioesuberante e a guadagni più alti che affluiscono verso le classimedie e alte. L’altra è la storia di una maggioranza di individuilasciati indietro: l’indiano medio guadagna tuttora circa 2 dol-lari al giorno, e i gruppi marginalizzati, quali i settentrionali, ledonne, gli agricoltori, anche meno. L’india si trova oggi in unacongiuntura critica, dove il potenziale per un’elevata crescitasostenibile fornisce al paese un’opportunità unica di ridurre lapovertà nel corso del decennio futuro, a patto che venganoeffettuate le scelte giuste. A meno che gli 800 milioni che vivo-no ancora al di sotto del limite di povertà vengano inclusi nellosviluppo generale, la sostenibilità del processo di crescita sem-plicemente non esisterà, incrementando il rischio di conflittipolitici. La governance migliorata, uno sviluppo rurale soste-nuto, lo smantellamento delle politiche repressive che perpe-tuano le ineguaglianze sociali, e migliori infrastrutture posso-no aiutare l’economia indiana ad ottenere una crescita sosteni-bile su vasta base.

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_Durante l’ultimo decennio la povertà è diminuita di un

insignificante 0,74%, nonostante la solida crescita eco-

nomica totale. L’abitante medio dei villaggi ha utilizzato

meno di 50 centesimi di dollaro al giorno in spese di

consumo e quello urbano meno di 80 centesimi

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L’Europa è il primopartner commercialedi Stefano Chiarlone

Quasi un quarto delle esportazioni dell’India si indirizza versol’Eu. Un po’ più basse le importazioni, di poco superiori al 17 per-cento. Seguono gli Stati Uniti, ma con un peso decrescente. Infinegli Emirati Arabi, la Corea e il Giappone. In fortissima crescital’interscambio con la Cina

Il commercio internazionale è una componente importante del-l’economia indiana, sebbene meno che in Cina: il peso di impor-tazioni ed esportazioni mercantili sul PIL è passato dal 20 al 31%fra il 1995 e il 2005. Nello stesso periodo, le esportazioni mercan-tili sono aumentate da 32 a 103 miliardi di dollari americani e leimportazioni da 37 a 150 miliardi, con un disavanzo cresciuto da5 a circa 47 miliardi di dollari (5,7% del PIL), a cui corrispondeun deficit delle partite correnti di 17 miliardi di dollari (2,1% delPIL). Il tasso di crescita del commercio internazionale indiano èaccelerato negli ultimi cinque anni: se esportazioni e importazio-ni erano cresciute, rispettivamente, di circa il 40 e il 43% fra1995 e 2000; esse sono esplose nel quinquennio successivo, nelquale sono aumentate, rispettivamente, del 130 e 191 percento.

La composizione del commercio indiano (e del suo disavanzo)risente in misura considerevole del peso dei prodotti energetici.Infatti, se scomponiamo importazioni ed esportazioni per desti-nazione d’uso, notiamo che lubrificanti e carburante rappresenta-no, rispettivamente, il 34 e l’11% del totale, generando da soli undisavanzo di 38 miliardi di dollari statunitensi. Nel 2005, lamanifattura rappresentava, invece, circa il 71% delle esportazioni(75 miliardi di dollari) e il 49% delle importazioni (74 miliardi didollari) e il suo saldo è sostanzialmente in equilibrio. Il tasso dicrescita delle importazioni manifatturiere dell’ultimo quinquen-nio è stato estremamente sostenuto (223%), dato che le importa-zioni erano pari ad appena 23 miliardi di dollari statunitensi nel2000. Le esportazioni sono cresciute in misura meno elevata,aumentando, nel medesimo periodo, di “solo” il 115% (erano 35miliardi nel 2000). Questi brevi cenni statistici sono sufficientiper notare che l’India è un mercato di sbocco di principale inte-resse globale: al continuare della sua crescita, infatti, la domandadi manufatti risentirà in maniera positiva del favorevole poten-ziale di crescita delle imprese (beni investimento) e del sempremaggiore reddito disponibile della popolazione che, sebbenemediamente povera, inizia a sviluppare una classe media condiscrete capacità di spesa (beni di consumo).

A fine 2005, l’Unione Europea (27 Paesi) è il primo partnercommerciale dell’India: è la destinazione del 22,6% delle esporta-zioni Indiane (23,4 miliardi) e fornisce il 17,4% delle importazio-ni (26,1 miliardi). Altri partner importanti sono gli Stati Uniti(che assorbono il 16,9% delle esportazioni indiane nel 2005, incalo dal 20,9% del 2000 e forniscono circa il 6% delle importa-zioni), Emirati Arabi Uniti, Corea, Giappone, Singapore, Svizzera,Cina e Regno Unito. Fra i fenomeni di particolare rilievo, vanno

DOSSIER

ECCO DOVE PUNTA L’ITALIA

MODA, TESSILE E ABBIGLIAMENTOL’interscambio tra Italia e India trova nel settoredella moda, del tessile e dell’abbigliamento uno deimaggiori punti di forza. L’Italia ha già una posizionedi rilievo nella fornitura di macchinari di precisione evanta altissimi livelli di lavorazione e finitura. A que-sto si aggiunge l’immagine di eccellenza del Made inItaly, riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo.L’India ha un vasto patrimonio tradizionale nel tessi-le e nella lavorazione a mano, in particolar modo neiricami, e un’ampia disponibilità di materie prime. Èinfatti il maggior produttore di juta (65% della pro-duzione mondiale), il secondo produttore di seta(19% della produzione mondiale), il terzo produttoredi cotone (15% delle colture mondiali) e il quinto difibre e filati sintetici. Per quanto riguarda i tessuti,nel periodo gennaio-settembre 2006 il valore delleesportazioni italiane sul mercato indiano è stato paria 18.265 migliaia di euro mentre quello delle impor-tazioni pari a 61.356. Nel periodo gennaio-settembre2005 il valore delle esportazioni è stato di 26.474migliaia di euro mentre le importazioni di 51.882migliaia di euro. Il valore delle esportazioni italianedi cuoio (esclusi gli indumenti) nel periodo gennaio-settembre 2006 è stato pari a 33.646 migliaia dieuro mentre le importazioni pari a 77.867. Nel perio-do gennaio-settembre 2005 l’export italiano è statopari a 27.304 migliaia di euro mentre l’import pari a58.891 migliaia di euro. Tra le aziende italiane chehanno già investito in India figurano Benetton, LaPerla, Liberti e Gruppo Coin.

AGROALIMENTAREÈ uno dei settori con maggiori opportunità di investi-mento poiché le imprese italiane possono fornire letecnologie e le conoscenze necessarie all’India perrilanciare la sua agricoltura. I produttori indiani nonconoscono i metodi di conservazione e solo il 4%della produzione agricola totale viene sottoposta aprocessi di trasformazione. Il governo punta sugli

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menzionati il fatto che la quota del Regno Unito sulle importa-zioni indiane è in calo significativo (da 6,3 a 2,6% fra il 2000 e il2005), mentre quella sulle esportazioni è stabile intorno al 5%.Aumenta in misura significativa, inoltre, il peso della Cina chenel 2005 fornisce il 7,3% delle importazioni indiane (contro il3% del 2000), e assorbe il 6,6% delle esportazioni contro l’1,9%del 2000, suggerendo la crescente rilevanza di flussi di commer-cio intraregionali.

Per ciò che concerne l’Italia, il suo assorbimento di merciindiane è cresciuto fra il 2000 e il 2005, ma in misura inferiore aquanto avvenuto per altri Paesi europei: il valore delle esportazio-ni indiane in Italia è passato da 1,3 a 2,5 miliardi di dollari, ma laquota italiana sul totale delle esportazioni indiane si è ridotta dal2,9 al 2,4 percento. Lo stesso fenomeno caratterizza le importazio-ni dell’India. Infatti, se l’Italia ha aumentato le sue esportazioni inIndia da 0,7 a 1,9 miliardi di dollari, la sua rilevanza è comunquediminuita: essa fornisce circa l’1,2% del mercato indiano nel 2005,mentre la quota era l’1,4% nel 2000. Nello stesso periodo, invece,Francia e Germania hanno sfruttato meglio le potenzialità di cre-scita del mercato indiano: esse hanno aumentato la loro penetra-zione sul mercato indiano, aumentando – rispettivamente –dall’1,3% (650 milioni) del 2000 al 2,8 (4,1 miliardi) nel 2005; edal 3,5% (1,8 miliardi) del 2000 al 4 (6 miliardi) nel 2005 la loroquota sulle importazioni totali indiane. Tab. 1

investimenti stranieri per lo sviluppo di Parchi Agro-Alimentari e le imprese italiane potrebbero forniremacchinari per la conservazione degli alimenti, lacatena del freddo e l’imballaggio. Nel periodo gen-naio-settembre 2006 il valore delle esportazioni ita-liane per i prodotti dell’agricoltura, della silvicolturae della pesca sono state di 2.606 migliaia di eurocontro 1.554 del 2005. Nel periodo gennaio-settem-bre 2006 il valore delle importazioni è stato di 71.772migliaia di euro mentre nel 2005 di 52.659. A rende-re difficoltoso lo scambio commerciale sono le eleva-te barriere tariffarie indiane. La gravosa imposizionefiscale riguarda in particolar modo gli alcolici e ilvino, il cui dazio di importazione va da un minimo del150% a oltre il 250 percento. Bisogna anche aggiun-gere le tasse accessorie che vengono applicate per losdoganamento del prodotto. Considerando le bevan-de alcoliche distillate, il valore delle esportazioni ita-liane nel periodo gennaio-settembre 2006 è stato di98 migliaia di euro mentre le importazioni pari a 80migliaia di euro. Per il periodo gennaio-settembre2005, il valore delle esportazioni è stato di 56migliaia di euro mentre le importazioni di 35 migliaiadi euro.

MECCANICALe importazioni principali dall’Italia riguardanomacchine e componenti per industria meccanica,macchine elettriche e loro parti, apparecchi audiovi-sivi, articoli ottici, fotografici e di misura. L’aumentodell’export di questa tipologia di prodotti è un evi-dente segnale del rapido sviluppo dell’economiaindiana. Una delle voci principali riguarda gli appa-recchi per uso domestico. Il valore delle esportazioniitaliane per il periodo gennaio-settembre 2006 èstato di 629.951 migliaia di euro mentre per lo stes-so periodo del 2005 è stato di 518.707 migliaia dieuro. Per quanto riguarda le importazioni le cifresono molto inferiori. Per il periodo gennaio-settembre2006 sono stati importati elettrodomestici per unvalore di 80.079 migliaia di euro mentre nel 2005 per67.208 migliaia di euro. Gli investimenti italiani sonogià considerevoli in questo settore. La Merloni

1. PRINCIPALI PARTNER COMMERCIALI INDIANI (2005)

Importazioni Esportazioni EU 27 17,433 EU 27 22,6di cui Germania 4,038 di cui Regno Unito 4,9

Belgio 3,168 Germania 3,5Francia 2,760 Belgio 2,8Regno Unito 2,635 Italia 2,4Italia 1,244 Olanda 2,4Olanda 0,704 Francia 2,0

Cina 7,286 Stati Uniti 16,9Stati Uniti 6,344 Emirati Arabi Uniti 8,3Svizzera 4,391 Cina 6,6Australia 3,317 Singapore 5,3Repubbilca di Corea 3,060Emirati Arabi Uniti 2,919 Cina, Hong Kong SAR 4,3Giappone 2,723 Giappone 2,4Singapore 2,248 Sri Lanka 2,0Indonesia 2,017 Repubblica di Corea 1,8Sud Africa 1,657 Arabia Saudita 1,8Malesia 1,619 Bangladesh 1,6Cina, Hong Kong SAR 1,480 Spagna 1,6Federazione Russa 1,356 Sud Africa 1,5Arabia Saudita 1,094 Indonesia 1,3Altri Paesi asiatici 0,927 Israele 1,2Tailandia 0,812 Iran 1,2Svezia 0,786 Malesia 1,1

Fonte: UN, Comtrade

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Dal punto di vista settoriale, l’India mostra uno schema dicommercio anomalo rispetto ad altri paesi emergenti. L’elevatopeso delle importazioni di prodotti intensivi in lavoro non quali-ficato (21,3%) da parte dell’India, in buona parte determinato dalsettore dei manufatti non metallici (e soprattutto da perle, pietrepreziose, argento e platino, seguiti in misura minore dal tessile eabbigliamento e produzioni navali), è anomalo per un paese invia di sviluppo che dovrebbe importare soprattutto beni tecnolo-gici e di investimento. I settori intensivi in alta tecnologia rappre-sentano, invece, poco più della metà delle importazioni indiane(circa il 60% nel 2005, in calo dal 62% del 1995). Il principalecanale di trasferimento tecnologico a favore dell’economia india-na attraverso le importazioni è costituito dal settore chimico chenelle sue varie filiere rappresenta circa il 20% delle importazioni.ICT e macchine elettriche svolgono, invece, un ruolo minore (enettamente inferiore a quanto registrato per la Cina) seppurenon marginale (14,0%), benché rappresentino input fondamenta-li per la competitività dei servizi professionali e informatici neiquali il Paese è fortemente specializzato. Tab. 2

Per quanto riguarda le importazioni Indiane dall’Italia, i prin-

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Termosanitari Ltd. è diventata il maggior produtto-re di scaldabagni elettrici in India e di altri prodot-ti come articoli sanitari (Ariston). La De Longhi èun'altra azienda italiana che sta conquistandoquote di mercato per i propri elettrodomestici,favorita anche dalla collaborazione per il marke-ting con il grande gruppo indiano Birla. I grandimarchi dell’industria automobilistica e componen-tistica vedono crescenti possibilità di sviluppo. Trale aziende che hanno investito in India figurano ilgruppo Fiat, la Pirelli & C. che produce pneumati-ci e la Piaggio Vehicles Private Ltd. che fabbricaveicoli a tre ruote.

INFORMATION TECHNOLOGYL’India è uno dei maggiori produttori ed esportato-ri di software e di servizi informatici al mondo. È ilterzo Paese per numero di ingegneri e personalespecializzato e sicuramente il basso costo dellamanodopera unito ad un'elevata qualità lo rendepiù competitivo rispetto ad altri paesi occidentali.L'hi-tech indiano si sta sviluppando e perfezionan-do, i dvd, i cellulari e i computer sono sempre piùnumerosi e sofisticati. Il settore dell'ITC è dunquecentrale per l'economia e il Governo ha deciso dipromuovere dei piani di sviluppo tra cui la realiz-zazione di nuovi Parchi Tecnologici. Il valore delleesportazioni italiane sul mercato indiano per ilperiodo gennaio-settembre 2006 nel settore deiprodotti dell'ICT, elettrotecnica e strumenti di pre-cisione è stato di 204.696 migliaia di euro mentrenel 2005 di 165.077 migliaia di euro. Le importa-zioni, sempre per il periodo gennaio-settembre2006, sono state di valore pari a 81.364 migliaiadi euro e, per lo stesso periodo del 2005, di 48.714migliaia di euro. Bangalore è l'avampostodell'Information Technology e in questa area sono

2. LA COMPOSIZIONE (%) DELLE IMPORTAZIONI MANIFATTURIERE INDIANE

1995 2000 2005SETTORE MANIFATTURIERO 56,2 45,1 69,2INTENSIVI IN LAVORO NON QUALIFICATO 15,1 28,2 21,3Prodotti in Pelle 0,4 0,6 0,3Prodotti in Legno e Sughero 0,1 0,1 0,1Tessile e Abbigliamento 1,7 2,6 2,7Calzature 0,1 0,1 0,1Manufatti non metallici 11,0 22,0 13,1Produzioni Navali 0,5 1,5 3,6Arredamento e Idraulica 0,1 0,2 0,3Giocattoli, articoli plastici, da ufficio e vari 1,1 1,1 0,9INTENSIVI IN CAPITALE UMANO 22,2 19,0 18,3Oli essenziali, e prodotti per concia e colorazione 1,0 1,4 1,0Prodotti in Gomma e plastica 2,8 2,5 1,6Manufatti metallici e non metallici 14,3 10,1 10,9Radio, televisioni e apparecchi sonori 0,1 0,2 0,6Elettrodomestici 0,1 0,3 0,2Mezzi stradali e ferroviari 2,5 1,6 1,5Orologi, arte, gioielleria e strumenti musicali 1,4 3,0 2,5INTENSIVI IN TECNOLOGIA 62,6 52,7 60,4Prodotti chimici, plastici e fertilizzanti 24,3 16,8 16,1Prodotti Farmaceutici 2,0 1,7 1,4Macchine di generazione di potenza 3,8 2,3 2,5Macchine non elettriche 17,1 10,6 12,5Macchine da ufficio, elettroniche e da TLC 5,7 11,5 14,0Macchine elettriche 3,7 4,5 4,0Aereoplani 2,4 1,1 6,7Apparecchi fotografici, ottici e cinematografici 3,6 4,2 3,3

Fonte: UN Comtrade

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cipali settori sono concentrati nel comparto ad alta tecnologia(71,4% del totale, in linea con i dati riscontrati per Francia eGermania). In questo comparto, in particolare, l’interscambio ita-liano mostra punti di particolare presenza nei macchinari nonelettrici, che – insieme ai generatori di potenza e affini – rappre-sentano il 45% dell’intero paniere di esportazioni italiane.Tuttavia, la quota di mercato italiana in questo comparto è infe-riore a quella tedesca. Sono importanti, inoltre, nel paniere espor-tato dall’Italia, la chimica, le macchine elettriche ed elettroniche,ma anche in questo caso la quota di mercato italiana è moltoinferiore a quella tedesca e cinese. Negli altri comparti, si segna-lano la rilevanza, per l’Italia delle esportazioni in India di manu-fatti metallici e non metallici (come per gli altri Paesi presi comeriferimento). Dai dati, infine, emerge la significativa presenza deisettori del comparto moda: 3,5% delle esportazioni italiane per iltessile e abbigliamento (secondo solo ai valori registrati dallaCina); e 0,6% per le calzature (superiore anche al valore registra-to per la Cina). Anche in questi settori, tuttavia, la quote di mer-cato della Cina (in virtù del maggiore interscambio assoluto conl’India) è nettamente superiore a quella dell’Italia. Tab. 3 e 4

presenti le grandi multinazionali come Cisco, IBMe Microsoft. Il merito di aver precorso i tempi spet-ta però alla STMicroelectronics, che per prima hacompreso le potenzialità dell'industria informaticaindiana e dal 1992 progetta circuiti integrati e svi-luppa soluzioni software in India.

INFRASTRUTTUREIn questo ambito si delineano interessanti pro-spettive di collaborazione a livello bilaterale poichélo sviluppo infrastrutturale è una delle priorità delGoverno indiano. L'XI Piano di Sviluppo (2007-2012) prevede un costo di 320 miliardi di euro perrealizzare l'ammodernamento di strade, autostra-de, ferrovie, porti e aeroporti. L'importanza di que-sto programma è nella promozione della partner-ship con privati, infatti 150 miliardi di euro potreb-bero provenire da investimenti esteri. La carenzanei trasporti limita la crescita anche di altri setto-ri e rende difficoltosi gli scambi commerciali. I pro-getti di prossima realizzazione sono numerosi ecomprendono l'espansione dei grandi aeroportiinternazionali come quelli di Chennai e Kolkata e losviluppo di centri locali per il traffico aereo mino-re. Per migliorare il trasporto delle merci è previstala ristrutturazione delle stazioni di Delhi e Mumbaie la costruzione di una nuova rete ferroviarie dicirca 8.000 Km. L'intensificarsi del commerciodovrà essere favorito da nuove strutture portuali edalla realizzazione di strade ad alta velocità. Unprogetto denominato "Bharat Nirman" prevedeinoltre l'adeguamento delle infrastrutture ruralidel paese tramite un investimento di oltre 30miliardi di euro fino al 2009. I settori principalisono sei: irrigazione, energia, strade, edilizia civi-le, comunicazione e distribuzione di acqua potabi-le.

3. SCOMPOSIZIONE DELLE IMPORTAZIONI INDIANE DA PAESI SELEZIONATI (2005)

Cina Francia Germania Italia SpagnaSETTORE MANIFATTURIERO 88,4 95,5 93,7 92,9 89,5INTENSIVI IN LAVORO NON QUALIFICATO 16,3 3,8 5,4 11,7 8,5Prodotti in Pelle 0,1 0,1 0,1 2,5 2,4Prodotti in Legno e Sughero 0,1 0,0 0,2 0,3 0,2Tessile e Abbigliamento 9,5 0,4 1,0 3,6 1,0Calzature 0,4 0,0 0,1 0,6 0,2Manufatti non metallici 2,2 0,7 1,5 1,6 2,6Produzioni Navali 1,1 1,8 1,6 0,6 0,8Arredamento e Idraulica 1,1 0,1 0,2 0,8 0,4Giocattoli, articoli plastici, da ufficio e vari 1,7 0,6 0,7 1,7 0,9INTENSIVI IN CAPITALE UMANO 14,9 8,7 17,1 16,9 33,6Oli essenziali, e prodotti per concia e colorazione 1,0 0,8 1,5 1,3 3,4Prodotti in Gomma e plastica 0,8 0,7 1,8 1,6 2,0Manufatti metallici e non metallici 8,8 5,2 9,6 10,9 26,3Radio, televisioni e apparecchi sonori 1,3 0,0 0,1 0,0 0,1Elettrodomestici 0,6 0,0 0,1 0,2 0,2Mezzi stradali e ferroviari 1,0 0,2 2,2 1,9 1,5Orologi, arte, gioielleria e strumenti musicali 1,4 1,8 1,8 1,0 0,2INTENSIVI IN TECNOLOGIA 68,8 87,5 77,6 71,4 57,8Prodotti chimici, plastici e fertilizzanti 14,7 5,3 11,6 9,8 26,2Prodotti Farmaceutici 3,7 0,9 1,1 2,2 3,8Macchine di generazione di potenza 1,1 1,5 7,9 3,0 4,6Macchine non elettriche 10,0 6,7 34,9 41,9 14,9Macche da ufficio, elettroniche e da TLC 31,8 3,8 3,6 5,7 0,7Macchine elettriche 5,8 3,9 7,9 4,6 5,2Aereoplani 0,0 63,0 4,2 0,8 0,0Apparecchi fotografici, ottici e cinematografici 1,6 2,4 6,4 3,4 2,4

Note: Settore Manifatturiero: in percentuale del commercio totale; Altri settori e comparti: in percentuale delcommercio manifatturieroFonte: UN Comtrade

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Per ciò che riguarda gli investimenti diretti dall’estero, l’Indiaha adottato politiche di apertura agli inizi degli anni Novanta, inritardo rispetto ad altri Paesi in via di sviluppo. Gli investimentisono ancora tutti formalmente sottoposti a procedura di approva-zione governativa, che spesso ha carattere automatico non discre-zionale. Le principali eccezioni alla libertà di accesso continuano aessere rappresentate dalle attività riservate al settore pubblico, daquelle sottoposte a licenza non automatica e dai circa 800 settoririservati alla micro-impresa, con un limite massimo di capitalestraniero del 24 percento. Fra i passi più recenti compiuti dall’at-tuale Governo segnalata l’abrogazione della norma che imponevaalle compagnie straniere in joint venture con partner indiani diottenere l’assenso di questi ultimi allo scioglimento della societàprima di poter costituire nuove entità controllate al 100%; e ilfatto che esso pare voglia coinvolgere il settore privato – anchestraniero – nella modernizzazione delle infrastrutture. Tab. 5 e 6

L’afflusso di IDE in India è ripartito dal 2000: gli IDE attrat-ti dall’India negli ultimi anni si sono mantenuti fra i 2,5 e 5miliardi di dollari statunitensi, prima di toccare i 6 miliardi nel

VERNETTI: UNA POLITICACOMUNEa cura di Maria Elena Viggiano

L’India e la Cina sono due realtà di straordi-nario interesse. Ad affermarlo è GianniVernetti, sottosegretario agli Esteri condelega per l’Asia, che traccia un quadrodell’attuale sistema economico indiano edelle opportunità di investimento per leimprese italiane

Prima la Cina ora l’India. è il secolodell’Asia?L’India e la Cina sono due realtà di straor-dinario interesse. Entrambi i Paesi hannoregistrato negli ultimi anni un’impetuosacrescita economica e sono ormai attori diprimo piano sulla scena mondiale, innanzi-tutto nei rapporti economico-finanziari masempre più anche sotto il profilo politico.Dinamiche simili, anche se su scala diver-sa, si verificano in diversi altri Paesi dell’a-rea per cui non è certamente errato ritene-re che l’Asia nel suo insieme sarà protago-nista di questo secolo. La crescita dell’Asiaè un fenomeno importante, che mette indiscussione vecchi assetti dell’economia edella politica internazionale. Offre tuttavianuove opportunità di sviluppo economico,sociale e politico che dobbiamo sapercogliere e favorire. Per questo motivol’Italia e l’Europa stanno elaborando ecominciando ad attuare una strategia eura-siatica che tiene conto di questa nuovarealtà.

Qual è l’attuale situazione economica inIndia?Con un Pil di circa 800 miliardi di dollari ègià fra le maggiori economie del mondo.

4. QUOTE DI MERCATO NELLE IMPORTAZIONI INDIANE PER PAESI E SETTORI (2005)

Cina Francia Germania Italia SpagnaSETTORE MANIFATTURIERO 12,9 5,3 7,6 2,3 0,7INTENSIVI IN LAVORO NON QUALIFICATO 9,8 0,9 1,9 1,3 0,3Prodotti in Pelle 4,4 1,3 3,2 17,8 5,0Prodotti in Legno e Sughero 11,2 1,0 9,2 5,1 1,1Tessile e Abbigliamento 44,8 0,8 2,8 3,1 0,3Calzature 39,9 2,1 4,2 11,5 1,1Manufatti non metallici 2,2 0,3 0,9 0,3 0,1Produzioni Navali 4,0 2,7 3,3 0,4 0,1Arredamento e Idraulica 42,9 1,3 4,6 5,0 0,9Giocattoli, articoli plastici, da ufficio e vari 24,6 3,4 6,3 4,4 0,7INTENSIVI IN CAPITALE UMANO 10,5 2,5 7,1 2,1 1,3Oli essenziali, e prodotti per concia e colorazione 12,9 4,0 11,2 3,0 2,3Prodotti in Gomma e plastica 6,3 2,1 8,5 2,4 0,8Manufatti metallici e non metallici 10,4 2,5 6,7 2,3 1,7Radio, televisioni e apparecchi sonori 27,5 0,3 0,8 0,1 0,1Elettrodomestici 44,7 1,6 3,5 2,7 1,0Mezzi stradali e ferroviari 8,3 0,6 10,8 2,9 0,7Orologi, arte, gioielleria e strumenti musicali 7,3 3,8 5,6 0,9 0,1INTENSIVI IN TECNOLOGIA 14,7 7,6 9,7 2,7 0,7Prodotti chimici, plastici e fertilizzanti 11,7 1,7 5,4 1,4 1,1Prodotti Farmaceutici 34,7 3,5 6,1 3,8 1,9Macchine di generazione di potenza 5,8 3,0 23,6 2,7 1,3Macchine non elettriche 10,3 2,8 21,2 7,8 0,8Macche da ufficio, elettroniche e da TLC 29,3 1,4 1,9 0,9 0,0Macchine elettriche 18,9 5,1 15,1 2,7 0,9Aereoplani 0,0 49,8 4,7 0,3 0,0Apparecchi fotografici, ottici e cinematografici 6,4 3,8 14,6 2,4 0,5

Fonte: UN Comtrade

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2006. Ciononostante, si tratta di valori contenuti, sia rispettoalle dimensioni dell’economia indiana, sia rispetto a quelliattratti dalla Cina: gli IDE in entrata sono inferiori all’1% delPIL, mentre il medesimo rapporto per la Cina è compreso fra il3,8 e il 4 percento. Lo stock di IDE presenti in India, infine, erapari al 5% del PIL nel 2004; contro il 16,2% in Cina, secondodati delle Nazioni Unite. Un’altra differenza rispetto alla situa-zione cinese riguarda la composizione settoriale degli IDE: inIndia essi si dirigono sempre più verso i servizi. Oltre alleMauritius, per le quali il dato potrebbe essere distorto da ope-razioni di società multinazionali, i principali Paesi investitori inIndia sono gli Stati Uniti, l’Olanda, il Giappone e il RegnoUnito. Anche nel caso olandese, potrebbe influire la tendenzadi talune società straniere a utilizzare veicoli di diritto olandeseper gli investimenti. L’Italia non ha investito molto in Indianell’ultimo quindicennio ed è undicesima, con un investimentocumulativo nell’ordine di mezzo miliardi di dollari (pari a circal’1,4% del totale), un valore inferiore a quello registrato dallaGermania (1,6 miliardi, pari al 4,3% del totale) e dalla Francia

Le statistiche mostrano una crescitacostante negli ultimi anni intorno all’8%annuale. L’India vanta potenzialmente unbacino di circa 300 milioni di consumatoricon un potere d’acquisto che presto saràpari al nostro. Questa nuova classe mediaè sempre più attratta da uno stile di vitamoderno e curante del bello e quindi sirivolge naturalmente all’Italia e a quanto ilnostro Paese sa offrire. A essi noi guardia-mo con grande interesse.

Si presenta come un Paese di grandi oppor-tunità.I dati economici da soli giustificherebberola collocazione dell’India tra i partner stra-tegici dell’Italia e dell’Unione Europa. Ma viè di più. L’India è anche e soprattutto unmodello di democrazia laica, etnica e mul-ticulturale. Non è un eufemismo descriver-la come “the largest democratic country”nel mondo. Il Paese ha un sistema politicomultipartitico, una magistratura indipen-dente e una stampa libera. è anche unesempio di tolleranza religiosa con unapopolazione di fede musulmana di circa200 milioni di persone.

Cosa può fare l’Italia per sviluppare le rela-zioni bilaterali?Il Governo Prodi ha colto in pieno l’impor-tanza dell’India e in generale del continen-te asiatico nei nuovi equilibri mondiali e haquindi riconosciuto un ruolo prioritario allerelazioni con i Paesi dell’area. Non cinascondiamo alcuni ritardi, i rapporti eco-nomici, che pure sono cresciuti negli ultimitempi, si prestano ad ampie possibilità disviluppo. Ma abbiamo cambiato registro e irisultati non tarderanno. L’India e l’Asia siaffiancheranno quindi alle due tradizionalivocazioni della politica estera italiani,Europa e Stati Uniti, come terzo pilastrogeopolitico.

L’Italia è il quarto partner europeodell’India. Non è già un buon risultato?L’interscambio commerciale è pari a 4miliardi di euro. L’export è aumentato del32% nel 2005 e del 24% nel primo seme-stre del 2006. Nel 2005 è stato ridotto ildeficit, passando da 753 a 521 milioni dieuro. Sono tutti indicatori positivi ma sonoconvinto che per l’Italia vi siano ancoragrandi possibilità di sviluppo e di incre-

5. AFFLUSSO DI IDE

Periodo Miliardi di Dollari statunitensiAgosto 1991- Marzo 2000 (Cumulativo) 16,72000 2,92001 4,22002 3,12003 2,62004 3,82005 5,52006 6,1

Fonte: UN, Comtrade

6. INVESTIMENTI DIRETTI DALL'ESTERO PER PAESE DI ORIGINE (CUMULATIVI, 1991-OTTOBRE 2006)

Milioni di Dollari statunitensi % del totaleMauritius 15442 40,2USA 5497 14,3Olanda 2367 6,2Giappone 2172 5,7Regno Unito 2111 5,5Germania 1643 4,3Singapore 1554 4,0Francia 883 2,3Corea 789 2,1Svizzera 678 1,8Italia 531 1,4Svezia 476 1,2Hong Kong 403 1,0Emirati Arabi Uniti 246 0,6Australia 188 0,5

Fonte: UN, Comtrade

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(1,6 miliardi, pari al 4,3% del totale). Secondo datidell’Ambasciata d’India in Italia, i principali settori di investi-mento italiano in India sono l’industria dei trasporti, l’indu-stria alimentare, l’industria metallurgica, il settore tessile el’industria elettrica ed elettronica Tab. 7 e 8

Secondo il rapporto semestrale dell’ICE e del ministero degliEsteri , dopo un periodo di stasi, negli ultimi anni si è assistitoad un progressivo risveglio d’interesse da parte delle aziende ita-liane per nuovi investimenti in India. Il medesimo rapporto, fragli investimenti italiani in India più rappresentativi cita:

“Il gruppo Fiat; la Carraro India (una joint-venture dellaCarraro S.p.a. con la Escorts Ltd. costituitasi nel 1997 per laproduzione di assali e trasmissioni per trattori); la NewHolland (gruppo Fiat) in collaborazione con la Mahindra &Mahindra (società locale leader nel settore dei trattori); laPerfetti Van Melle, costituitasi nel 2001 attraverso la fusionedi Perfetti S.p.a. e Van Melle M.V.; il Gruppo Italcementi,entrato sul mercato indiano nel 2001 attraverso una joint-venture al 50% fra la controllata francese Ciments Français ela società locale Zuari Industries, uno dei più grandi produttoriindiani di fertilizzanti; la Pirelli & C. S.p.a., attraverso laPirelli Tyre (Europe) SA, che produce pneumatici; la Piaggio

DOSSIER

mento dello scambio commerciale e pertale obiettivo stiamo attivamente operando. Quali potrebbero essere i principali settori

di investimento?Nonostante la crescita economica, l’Indiapresenta ancora diffuse carenze. IlGoverno indiano è impegnato in un ambi-zioso progetto di ammodernamento delleinfrastrutture – ferrovie, strade, porti eaeroporti. Si aprono quindi interessantiambiti di collaborazione e opportunità diinvestimento per le nostre imprese. Come dicevo, si sta affermando in Indiauna classe media che ha oggi nuoveopportunità e guarda con interesseall’Italia. Dobbiamo essere in grado di offri-re a questa classe emergente lo stile di vitaitaliano, che non è solo moda, ma anchedesign, tecnologia (la principale industriaautomobilistica indiana ha un vero e pro-prio partenariato con la FIAT), produzioneagroalimentare.

Tra l’Italia e l’India è stato firmato un accor-do tra enti universitari e di formazione nelsettore del design. Potrebbe essere un altroambito di sviluppo?Sono ancora pochi gli studenti indiani chesi iscrivono nelle nostre università e anchequesta è una lacuna che va colmata.Formare dei giovani indiani significa nonsolo arricchire il nostro mondo universitariodi giovani talenti tra i più dinamici almondo, ma anche di “investire” nel futurocreando oggi dei rapporti di amicizia e discambio con quella che sarà la classe diri-gente di domani. Le nostre università sonoconsapevoli dell’importanza, direi neces-sità, di aprirsi a giovani indiani e asiatici.Proprio in India i nostri principali ateneihanno realizzato nelle scorse settimane uninteressante programma promozionale inalcune città indiane che non a caso hannovoluto chiamare “Invest your talent inItaly”.

Come incentivare e aiutare le imprese chevogliono investire in India?Il ruolo dei governi è sicuramente impor-tante nel creare le migliori condizioni diinvestimento per le imprese, attraverso adesempio la rimozione di dazi e di tutti que-sti ostacoli non tariffari che ancora si frap-pongono all’attività imprenditoriale. Lenostre industrie, soprattutto le PMI, vanno

7. INVESTIMENTI DIRETTI DALL'ESTERO PER SETTORE (CUMULATIVI, 1991-OTTOBRE 2006)

Milioni di Dollari statunitensi % del totaleMacchine elettriche ed elettroniche 6712 17,5Servizi 5235 13,6Telecomunicazioni 3797 9,9Trasporto 3460 9,0Carburante (incluse le raffinerie) 2731 7,1Chimica 3348 8,7Alimentare 1211 3,2Cemento 917 2,4Industria metallurgica 779 2,0Consulenza 537 1,4Ingegneria e Meccanica 530 1,4Tessile 471 1,2Hotel e Turismo 428 1,1Commercio 448 1,2Carta e affini 366 1,0

Fonte: Indian Ministry of Commerce and Industry

7. INVESTIMENTI DIRETTI DALL'ESTERO ITALIANI PER SETTORE: VALORE DEI PROGETTI APPROVATI CUMULATIVI (1991-OTTOBRE 2006)

Milioni di Dollari statunitensi % del totaleTrasporto 56,2Alimentare 9,0Industria metallurgica 8,2Tessile 4,5Macchine elettriche ed elettroniche 4,5

Fonte: Indian Ministry of Commerce and Industry

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incoraggiate affinché conoscano meglio ilmercato indiano e siano esse stessemeglio conosciute. Per questo motivo ilpresidente del consiglio Prodi nella suaprossima missione in India sarà accompa-gnato da una folta rappresentanza di nostriimprenditori, soprattutto espressioni di pic-cole e medie imprese.

Qual è il ruolo delle istituzioni? Vi è sicuramente in Italia un crescenteinteresse per l’India, come per la Cina el’Asia in generale. è un interesse che siestende dal mondo imprenditoriale a quel-lo scientifico, universitario, culturale, allasocietà civile. Il ruolo delle istituzioni èquello di dare una voce unitaria a tale dif-fusa attenzione e di offrire e arricchire tuttele possibilità di collaborazione per il nostroPaese. L’Asia è una delle priorità dellanostra politica estera. Il presidente Prodi,dopo essere stato in Cina a settembre,andrà nei prossimi giorni in India in un giroimpegnativo che lo porterà in ben cinquecittà. In questi giorni il ministro D’Alema èin Giappone e Corea. Personalmente neiprimi sei mesi al ministero degli Esteri hoincontrato sia in Italia che nelle capitaliasiatiche esponenti governativi di quasitutti i Paesi della regione, non solo Cina,India e Giappone, ma anche Vietnam,Thailandia, Malesia, Singapore, Corea, SriLanka, dove sono stato nelle scorse setti-mane. Senza naturalmente dimenticarel’Afghanistan, dove il Governo italiano èimpegnato in una apprezzata collaborazio-ne per la ricostruzione del Paese.

Oltre ai vantaggi economici?L’intensificazione degli scambi, non soloeconomici, ma anche scientifici, culturali,turistici è un beneficio indiscutibile perentrambi i Paesi. Sul piano politico lademocrazia indiana ha un ruolo di prima-ria importanza negli scenari internazionalie occupa una funzione chiave per la stabi-lizzazione regionale. Basti pensare che èattivamente presente per la ricostruzionedell’Afghanistan, dove ha stanziato circa750 milioni di dollari. Abbiamo quindi inte-resse a intensificare le consultazioni e lacollaborazione con le autorità indiane inuna visione strategica della partnership trai due Paesi e questo sarà uno dei temidella prossima visita del presidente Prodi.

Vehicles Private Ltd., che produce veicoli a tre ruote nello sta-bilimento di Pune (Stato del Maharashtra); la Technimont ICBPvt. Ltd. (TICB), società di “engineering & contracting” costi-tuita in India nel 1996 come joint venture paritetica fra laTecnimont S.p.a. (gruppo Edison) e un partner privato indiano;il Gruppo Luxottica, che ha acquisito in India la divisioneEyeware di Bausch & Lomb, costituendo in tal modo la societàRayBan Sun Optics India Ltd.; la STMicroelectronics India,che ha il merito di aver precorso i tempi intravedendo lepotenzialità a livello internazionale dell’industria informaticaindiana; la Merloni Termosanitari (India) Ltd., divenuta ilmaggior produttore di scaldabagni elettrici in India, ma ancheproduttore di altri prodotti quali articoli sanitari (Ariston) epiccoli elettrodomestici (Racold) esportati in varie parti delmondo; la De Longhi, che attraverso una collaborazione per ilmarketing con il grande gruppo indiano Birla si sta conqui-stando buone quote di mercato per i propri elettromestici; nelsettore moda e abbigliamento gli insediamenti produttivi diBenetton, Liberti, La Perla, Carrera, Monnalisa, Gruppo Coin,Zucchi, Zambaiti, Maxato, Brembana, Zegna, Monti, CalitriDenim, Marzotto, Conceria Virginia, Calzaturificio Pucci,Suolificio Malaspina, Saporiti”.

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Paese che vai banca che trovidi Stefano Chiarlone e Saibal Ghosh

In questo momento il settore finanziario indiano vede due gruppidi attori principali: banche e istituzioni finanziarie. Le banche com-merciali rappresentano oltre l’85% dei capitali del settore bancarioe muovono la gran parte del risparmio nazionale. Nel 2006 le ban-che commerciali censite erano 217, di cui 133 rurali e…

Nella storia moderna, il settore bancario indiano ha attraversa-to tre fasi. All’epoca dell’indipendenza, l’India presentava unasituazione finanziaria e infrastrutturale relativamente debole.Entro il 1951, la maggior parte delle banche erano di proprietàdi gruppi aziendali privati e molte aree rurali e semiurbanenon erano ben servite. Il grosso del credito disponibile venivaindirizzato a imprese ed aziende di vaste dimensioni. Tali carat-teristiche non erano considerate soddisfacenti. Di conseguenza,il governo introdusse un controllo sociale approfondito sullebanche, al fine di utilizzare il sistema finanziario come stru-mento politico: le esigenze del mutuatario presero il soprav-vento sulla produttività finanziaria del settore bancario. Questeevoluzioni culminarono in un processo di nazionalizzazionebancaria in due stadi, il primo nel 1969 (14 banche) e quindinel 1980 (6 banche), che aprì la fase della proprietà pubblicadelle banche. Corollari importanti del periodo furono il “presti-to ai settori prioritari” (venne richiesto alle banche pubbliche eprivate di concedere almeno una percentuale fissa di creditoall’agricoltura e alle piccole industrie); la politica di concessionedi licenze alle filiali (le banche furono obbligate ad aprire quat-tro filiali in località prive di banche per ogni filiale aperta dovepreesistevano banche); e un controllo pubblico rigoroso (laBanca Centrale fu autorizzata a fissare un Coefficiente di riser-va contanti e un Coefficiente di liquidità statutario al fine dicostringere le banche a disporre di liquidi). Nel complesso,durante questo periodo, il sistema bancario non era affatto flo-rido ed era afflitto da numerose inefficienze, con una redditi-vità limitata associata ad una scarsa qualità del servizio. Tab. 1

La crisi della bilancia dei pagamenti dei primi anni Novantae la diminuzione del risparmio pubblico stimolarono un raffor-

1. ANDAMENTO DELL’ATTIVITÀ BANCARIA COMMERCIALE IN INDIA

Indicatori Giugno 1969 Dic 1980 Marzo 1991 Marzo 2006No. di banche commerciali 73 154 272 221No. di uffici bancari 8262 34594 60570 71177di cui Rurali & semiurbani 5175 23227 46115 46272Capitale/PIL 0,18 0,59 0,58 0,79

Fonte: Tabelle statistiche, Reserve Bank of India

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zamento del settore finanziario. Tra le principali misure delpacchetto di riforme, ricordiamo la riduzione della prelazionestatutaria (vale a dire, requisiti relativi alle riserve), una razio-nalizzazione graduale della struttura del tasso di interesseamministrato, l’apertura alle banche private, un accesso piùfacile per le banche straniere, la possibilità per le banche delsettore pubblico di innalzare il loro capitale di rischio fino al49% tramite il mercato finanziario, una serie di misure micro-prudenziali progressivamente più rigide riconosciute a livellointernazionale (vale a dire, standard di capitale basato sulrischio pari all’8%, classificazione del capitale e requisiti diapprovvigionamento per prestiti infruttiferi, e norme sull’e-sposizione e standard di contabilità), la creazione di istituzioniconcentrate sul miglioramento dei regolamenti e della vigilan-za (vale a dire, Commissione di vigilanza finanziaria) e sullagaranzia dell’integrità dei pagamenti e dei sistemi di liquida-zione, e il rafforzamento di ambiente legale e governanceaziendale delle banche. Nonostante le riforme, il prestito prio-ritario resta ancora dominante: le banche nazionali devono tut-tora devolvere almeno il 40% del loro portafoglio prestiti aisettori prioritari designati, con sotto-obiettivi quali agricoltura(minimo 18%) e piccole industrie (minimo 10%), come purecommercio al dettaglio e piccole imprese, sebbene le areecoperte dai settori prioritari siano state gradualmente ampliate.Le banche straniere devono prestare il 32% del credito netto aisettori prioritari; entro questo limite, esistono sotto-obiettiviper piccoli prestiti (10%) e prestiti per esportazioni (12%).

Il pacchetto di riforme era mirato a promuovere un sistemafinanziario diversificato, efficiente e competitivo. Il primo sta-dio di riforme era mirato a fornire la piattaforma necessariaperché il settore bancario potesse operare su una base di flessi-bilità operativa e di autonomia funzionale, migliorando pertan-to l’efficienza, la produttività e la redditività. Il secondo stadiodedicò maggiore attenzione al rafforzamento del sistema ban-cario e al miglioramento della sua competitività internazionale.Le riforme vennero prudentemente applicate in base a un ordi-ne di sequenza. Per esempio, le norme prudenziali e il rafforza-mento della vigilanza vennero introdotti all’inizio del ciclo,seguiti dalla liberalizzazione del tasso di interesse e dall’abbas-samento della prelazione statutaria, mentre gli aspetti più com-plessi delle misure legali e contabili vennero applicati soltantopiù avanti. Infine, le riforme furono caratterizzate da graduali-smo e partecipazione tramite un processo di consultazione con-tinua e più stretta con tutti gli azionisti. Nel complesso, l’im-patto netto dei cambiamenti di politica si sta riflettendo inmigliori risultati finanziari delle banche di proprietà statale ein un graduale incremento della presenza di nuove banche pri-vate.

Attualmente, il sistema finanziario indiano è strutturato sudue gruppi di attori principali: banche e istituzioni finanziarie.Le banche commerciali rappresentano oltre l’85% dei capitalidel settore bancario e mobilizzano la maggior parte dei rispar-mi del Paese: a marzo 2006 esistevano 217 banche commerciali C

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registrate, 133 di cui erano banche rurali. Queste fornisconotradizionalmente credito a breve termine per soddisfare l’esi-genza di capitale d’esercizio da parte di industria e agricoltura,e credito commerciale e credito da medio a lungo termine alsettore aziendale. Tuttavia, a partire dalla liberalizzazione,molte delle banche commerciali più grandi e nazionalizzatehanno cominciato a puntare anche al mercato dei crediti infra-strutturali e al settore del commercio al dettaglio. In assenza diun ben sviluppato mercato nazionale di crediti a lungo termine(nel 2005 i rimborsi di crediti nazionali e internazionali insospeso rappresentavano meno del 3% del PIL), le istituzionifinanziarie mantengono il loro ruolo nel soddisfare i requisitidi finanziamento a lungo termine di aziende di grandi e mediedimensioni. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, la distinzionetra banche commerciali e istituzioni finanziarie si è indebolita,dato che numerose di queste istituzioni sono state trasformatein banche. Tab. 2

Il capitale bancario comprende circa il 90% del PIL e le ban-che del settore pubblico dominano l’attività bancaria commer-ciale, rappresentando il 61,7% del capitale totale. Tali banchesono caratterizzate da vaste reti di filiali e da un’ampia coper-tura geografica, rappresentando oltre il 77% degli uffici banca-ri in India. Alla fine del 2004, circa il 70% delle filiali dellebanche commerciali era situato in aree rurali e semiurbane. LaState Bank of India è di gran lunga la banca più grande e con-trolla il 17,4% delle anticipazioni totali. Tra le prime dieci ban-che mutuanti di grandi dimensioni, nove sono a controllo sta-tale (State Bank of India, Canara Bank, Punjab National Bank,Bank of India, Bank of Baroda, Union Bank of India, IDBI Ltd,Central Bank of India e UCO Bank). Assieme, queste bancherappresentano il 47,6% del mercato dei prestiti. Le banche pri-vate, in toto, rappresentano circa il 17,4% del capitale totale eil 21% delle anticipazioni totali. Le 20 cosiddette “vecchie ban-che del settore privato” (che esistevano prima della riforma)sono afflitte da una qualità di capitale relativamente più debolee da capitalizzazione inadeguata. Tipicamente, queste banchehanno una forte presenza regionale in alcune parti del Paese.Le nuove banche private sono state in grado di guadagnarsiuna presa sul mercato piccola, ma crescente. La strategia di nic-

chia adottata ha consentito loro diconcentrarsi su pochi individui eimprese affidabili e ad alto valorenetto. La ICICI Bank è la banca pri-vata più grande e la seconda bancaindiana per quanto riguarda le anti-cipazioni (9,6% del totale). Da sola,rappresenta circa la metà del settoreprivato. Molte banche private nazio-nali hanno, recentemente, valutatonuove alleanze o fusioni data lacompetizione incrementata (peresempio, ICICI e Bank of Madura,Punjab National Bank e NedungadiBank, Global Trust Bank e OrientalBank of Commerce e, più recente-

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DOSSIER

_L’india ha fatto importanti passi in direzione

di un sistema finanziario efficiente. L’utilizzo

effettivo della tecnologia per garantire prodot-

ti e servizi a una gamma di popolazione sem-

pre più ampia è uno degli obiettivi a medio

termine. Sopra, Rakesh Mohan, governatore

della banca centrale

2. STRUTTURA DELL’ATTIVITÀ BANCARIA INDIANA (ALLA FINE DI MARZO 2006)

Istituzione Numero di istituzioni Percentuale su capitale totaleSettore bancario (1 + 2) 100,001. Banche commerciali ( a + b) 221 88,01

(a) Banche commerciali registrate 217 88,00Banche settore pubblico 28 61,7Banche settore privato 27 17,4Banche straniere 29 6,2Banche regionali rurali 133 2,7

(b) Banche commerciali non registrate 4 0,012. Banche cooperative ( a + b) 2.998 11,9

(a) Banche cooperative rurali 1.145 7,6(b) Banche cooperative urbane 1.853 4,3

Fonte: Tabelle statistiche, Reserve Bank of India

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mente, Centurion Bank e Bank of Punjab). Per quanto riguardai problemi di redditività e stabilità, la redditività delle banchestatali, calcolata come rendimento del capitale (0,87 per ilgruppo State Bank of India, l’attore principale, e 0,88 per lealtre banche nazionalizzate) è più bassa del valore sia dellebanche straniere (2,09), sia di quelle private (1,08). I coefficien-ti di adeguatezza del capitale (CAR) sono oltre il 12% dei lorocapitali a rischio ponderato per molti gruppi bancari, con l’ec-cezione delle vecchie banche private (11,7% alla fine di marzo2006). I prestiti infruttiferi lordi sono gradualmente diminuitinel corso del periodo di riforma e attualmente rasentano circail 3-5% tra i gruppi bancari, con il valore più basso registratodalle nuove banche private (1,8%) e da quelle straniere (2%).

Alla fine di settembre 2006, 29 banche straniere erano atti-ve in India, rappresentando il 6% del capitale totale. Tali ban-che provengono da 19 Paesi e dispongono di un aggregato di258 filiali distribuite in 19 Stati e territori dell’Unione. Circa27 banche straniere hanno uffici di rappresentanza. Il settorebancario indiano è stato sempre tradizionalmente aperto allebanche straniere; in India non esistono limitazioni alle conces-sioni di licenze a nuove banche straniere, a meno che la quotadi mercato della banca straniera superi il 15% dell’attività ban-caria. Per il momento, alle banche straniere è consentito diaprire filiali oppure di creare affiliate completamente di loroproprietà e sono soggette agli stessi requisiti prudenziali delleloro controparti nazionali. Il loro contributo tradizionale si èsempre espresso nel campo delle transazioni in valuta estera ederivate e delle esigenze bancariedelle imprese straniere in India.Recentemente, alcune di esse si sonoaffacciate con successo sui mercatidell’attività bancaria rivolta a classimedie e privati. Il loro vantaggiocompetitivo si basa sulla gamma diprodotti più ampia e su un migliorestandard di servizio. Tuttavia, lenuove banche indiane del settore pri-vato rappresentano per loro unaminaccia, in quanto puntano aggressi-vamente agli stessi segmenti di cliente-la. La ricerca di competitività delle ban-che straniere è limitata dalle restantilimitazioni all’espansione delle filialidelle banche straniere (non oltre 12nuove filiali all’anno). Tab. 3 e 4

Nel 2005, il ministero delleFinanze ha annunciato un piano perl’eliminazione delle barriere significa-tive che comporterebbe una maggiorepresenza straniera sul mercato banca-rio indiano. In base a questo piano, lebanche straniere desiderose di stabili-re una presenza in India potrebberoscegliere di operare tramite filialioppure di creare un’affiliata al 100%

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3. BANCHE STRANIERE ATTIVE IN INDIA

Paese di fondazione Numero di banche Numero di filiali in IndiaBelgio 1 1Canada 1 5Francia 3 15Germania 1 8Hong Kong 1 45Giappone 2 5Paesi Bassi 1 24Singapore 1 2Regno Unito 2 83Stati Uniti 4 52Altri 12 70

Fonte: Rapporto sulle tendenze e i progressi del sistema bancario, RBI

4. STATISTICHE BASE PER DIVERSE CATEGORIE BANCARIE IN INDIA

No. di uffici Depositi Anticipazioni Rendimento (% del totale) (% del totale) (% del totale) del capitale(%)

SBI & sue affiliate 24,9 25,1 24,5 0,87Banche nazionalizzate 62,7 49,9 48,5 0,88Banche straniere 0,5 5,3 6,4 2,09Banche private 12,0 19,7 20,6 1,08Media di tutte le banche 100,0 100,0 100,0 1,00

Fonte: Profilo delle banche, RBI (2006)

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di loro proprietà. Per le nuove ed esistenti banche straniere, sipropone di superare la regola in vigore che prevede non più di12 nuove filiali all’anno. Inoltre, fusioni e acquisizioni transna-zionali saranno rese più semplici. Per garantire alle bancheindiane un anticipo sufficiente per prepararsi alla competizioneglobale, alle banche straniere verrà inizialmente consentito dientrare soltanto nelle banche del settore privato identificatedalla RBI (Royal Bank of India) per la ristrutturazione. Il limi-te globale del 74% resterà valido. Le proposte di modificare lalegislazione consentiranno infine alla proprietà economicadegli investitori di riflettersi nei diritti di voto. Da aprile 2009,avrà inizio un’ulteriore eliminazione delle limitazioni alle ope-razioni delle banche straniere. Le affiliate completamente diproprietà di banche straniere potranno quotare e diluire le loroazioni in modo che almeno il 26% del capitale conferito del-l’affiliata sia in mano a residenti indiani. Infine, alle banchestraniere verrà consentito, in base a condizioni ed approvazioniregolatorie, di entrare in fusioni e acquisizioni con qualunquebanca del settore privato in India purché il limite globale diinvestimenti sia del 74%.

Riassumendo, l’India ha intrapreso importanti passi versoun sistema finanziario moderno ed efficiente. Cionondimeno, ènecessario intraprenderne molti altri. Nel medio termine, l’uti-lizzo effettivo della tecnologia per garantire prodotti e serviziad una gamma crescente di popolazione e, contemporaneamen-te, la gestione dei rischi associati, rimane una conditio sine quanon, specialmente per le banche del settore pubblico e le vec-chie banche private. L’adozione della tecnologia è spesso limita-ta dalla disponibilità di personale qualificato, cosicché gli inve-stimenti in risorse umane assieme a remunerazioni competiti-ve, rimangono sfide importanti nel medio termine. I problemidi concessione del credito restano importanti, dato che la pene-trazione del credito nelle aree rurali e semiurbane rimanemeno che adeguata. In questo senso, l’inclusione finanziaria –

_Kundapur Vaman, direttore della ICICI Bank,

la banca privata più grande e la seconda ban-

ca indiana per quanto riguarda le anticipazio-

ni. Da sola rappresenta circa la metà del set-

tore privato.

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fare entrare una proporzione maggiore di individui entro l’am-bito della finanza formale – è sempre più ricercata dalle auto-rità. Un accesso più facile di investitori stranieri alle bancheindiane, ed un ulteriore allentarsi del prestito prioritariopotrebbero creare maggiore competizione. Nel corso di unperiodo lievemente più lungo, lo sviluppo del mercato dei cre-diti nazionale riveste grande importanza come fonte alternati-va di finanziamento alle aziende e per il suo spillover positivosulla capacità di resistenza alle crisi finanziarie. La proprietà eil controllo delle banche pubbliche sono tuttora importanti. Lebanche pubbliche dovrebbero impegnarsi ad ottenere su basecontinua livelli di profittabilità e solidità simili a quelli dellebanche private. Il proposto abbassamento delle partecipazioniazionarie governative nelle banche di proprietà statale fino aun minimo di 33% (previsto nel Bilancio dell’Unione 2000-1)potrebbe rafforzare questa situazione. Il miglioramento deicontrolli interni delle banche e, in particolare, il miglioramentodei loro standard di governance assumeranno maggiore impor-tanza una volta attivato il piano. La qualità della governanceaziendale nello scenario emergente sarebbe, tuttavia, fonda-mentalmente guidata dalla capacità da parte delle banche direperire adeguati professionisti qualificati e indipendenti dafare sedere nei loro consigli.

Infine, mentre il processo di consolidamento è stato preva-lentemente confinato a poche fusioni nel settore privato, larapida crescita nel commercio globale, nei flussi di investimen-to e nello sviluppo tecnologico suggeriscono opportunità perfusioni transnazionali. Allo scadere delle restanti limitazioni, èverosimile che le banche straniere dimostrino una notevolecrescita nella loro presenza in India. Nonostante numerosepreoccupazioni (selezione accurata nel mercato dei prestiti eun’eccessiva concentrazione da una parte e nuove sfide impel-lenti per la vigilanza), tale evoluzione potrà soltanto migliorarela modernizzazione del mercato.

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Un gigante mondialedi nome Tatadi Silvia Bruschieri

Con un fatturato di 5,5 miliardi di dollari e 22 mila dipendenti, ilnuovo partner di Fiat è il più grande produttore automobilisticoindiano, il quinto nel mondo per i veicoli commerciali. Ecco unabreve storia del gruppo fondato da Jamsetji Tata nel 1868

Tata Motors Limited fa parte di Tata Group, fondato daJamsetji Tata nel 1868. I grandi gruppi diversificati a controllofamiliare – come il Gruppo Tata – hanno avuto storicamenteun ruolo di rilievo nell’economia indiana: alla fine degli anni’80 circa due terzi delle attività dell’industria privata eranocontrollate dai venti maggiori gruppi, tre quarti dei quali eranoa loro volta a controllo familiare. E, nonostante l’avvio del pro-cesso di liberalizzazione dell’economia indiana nel corso deglianni ’90, il controllo familiare delle grandi imprese resta unanota caratteristica di questa economia.

Le attività del Gruppo Tata si sviluppano, già dagli anni ’70del ‘800, in settori diversi: dal tessile ai servizi alberghieri, dalsettore siderurgico a quello dell’elettricità, dalla chimica ai tra-

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sporti aerei. Negli anni che seguono la conquista dell’indipen-denza dall’Impero britannico il gruppo continua a espandersi:nel settore alimentare – per esempio con la costituzione dellaTata Tea – in quello dei servizi per l’esportazione, dell’editoria,delle telecomunicazioni, delle assicurazioni, del software; e l’e-lenco potrebbe continuare.

A partire dal 2000, dopo la ristrutturazione del grupposeguita all’insediamento alla presidenza di Ratan Tata, TataGroup si rende protagonista di numerose acquisizioni all’este-ro: si comincia con l’operazione che porta nelle mani dellacompagnia indiana l’importante marchio britannico di te TetleyTea – suscitando per questo notevole scalpore – e si arriva finoalla battaglia attualmente in corso con la brasiliana CSN perl’acquisizione del produttore di acciaio Corus, una societàanglo-olandese che occupa 47.000 persone ed è attiva in 40Paesi. Tata Group rappresenta oggi uno dei più grandi conglo-merati industriali indiani, con 96 società – 28 delle quali quota-te in borsa – attive nei settori chimico, energetico, dei materia-li, dell’engineering, dei beni di consumo, della comunicazione edei sistemi informatici, che danno lavoro, nel complesso, aoltre 200000 persone. Il fatturato del gruppo nell’anno 2005-06è stato di 21,9 miliardi di dollari, pari al 2,8% circa del PILindiano.

Tata Motors rappresenta una “new entry” nel mondo deiproduttori di automobili, nel quale compie i primi passi nelcorso degli anni ’90: il lancio dei primi veicoli per il trasporto

_Tata Motors rappresenta una new entry nel

mondo dei produttori mondiali di auto. È già

diventata la più grande società automobilisti-

ca indiana, quinto produttore mondiale di vei-

coli commerciali medi e pesanti e secondo

produttore di autovetture

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passeggeri – la Tata Sierra – è del 1991 e quello del modelloIndica è del 1998. Prima di allora – la società è stata infattifondata nel 1945 – le sue attività consistevano principalmentenella produzione di veicoli commerciali, cominciata nel 1954con un accordo di collaborazione con la tedesca Daimler Benz.

Nonostante la sua breve “storia” come produttore di auto-mobili – e nonostante alcune difficoltà iniziali: la Indica pre-sentò dei problemi di qualità non da poco, con conseguentidanni economici e di immagine per l’azienda, che non raggiun-se la quota di mercato che era stata fissata per questo modello– Tata Motors ha conseguito dei risultati piuttosto brillanti.Nel 2000 iniziano le esportazioni della Indica; nel 2004 TataMotors e MG Rover lanciano il modello CityRover, una versio-ne di Indica adattata per il mercato europeo; nello stesso annoTata Motors è la prima azienda ingegneristica indiana a quo-tarsi alla borsa di New York; nel 2005 produce il suo cinque-centomillesimo veicolo per il trasporto passeggeri e intessel’alleanza con Fiat, sfociata negli accordi del 2006.

Una prima intesa operativa con il gruppo italiano, nel gen-naio dello scorso anno, stabilisce che Tata distribuirà in India imodelli Palio e Siena prodotti da Fiat vicino a Bombay. Pochimesi dopo, in maggio, Ratan Tata, dal 1991 presidente dellaTata Sons, capogruppo del Gruppo Tata e di Tata Motors, entranel consiglio di amministrazione di Fiat Auto come indipen-dente. In dicembre vengono formalizzati i termini dell’accordoper la costituzione di una joint venture per la produzione –presso lo stabilimento Fiat già esistente a Ranjangaon – diautomobili, sia di marca Fiat sia di marca Tata, destinate almercato interno e alle esportazioni, e per la produzione dimotori e cambi.

L’accordo prevede inoltre la commercializzazione delle autoFiat attraverso la rete di vendita indiana di Tata. Tra Fiat e Tatasono inoltre allo studio progetti di collaborazione industriale ecommerciale che riguardano il mercato dell’America Latina, edin particolare la produzione di veicoli con marchi Fiat e Tatanello stabilimento Fiat di Cordoba (Argentina).

Tata Motors partecipa poi a diverse altre joint venture costi-tuite in India con partner stranieri, tra cui Tata Cummins,avviata con Cummins (USA) per la produzione di motori perTata Motors; Telco Construction Equipment Company, conHitachi Machinery Company (Giappone), per la produzione evendita di macchine movimento terra e attrezzature percostruzioni; Tata Holset, con Holset Engineering Company(RU), per la produzione di parti di motori. Nel 2006 è statoinoltre concluso l’accordo con il produttore brasilianoMarcopolo per la costituzione di una joint venture in India perla produzione di autobus e pullman sia per il mercato indianosia per le esportazioni. La società ha inoltre effettuato alcuneoperazioni di rilievo all’estero: nel 2004 l’acquisizione diDaewoo Commercial Vehicle Co. Ltd (Corea del Sud), ribattez-zata Tata Daewoo Commercial Vehicle Co. Ltd e nel 2005 l’ac-quisto del 21% delle azioni del produttore spagnolo di autobusHispano Carrocera, con un’opzione per l’acquisto successivodel restante pacchetto azionario.

Tata Motors rappresenta oggi la più grande società automo-

DOSSIER

_Con la presidenza di Ratan Tata, il Gruppo si

è reso protagonista di numerose acquisizioni

all’estero, dal marchio britannico Tetley Tea,

fino alla battaglia in corso per l’anglo-olande-

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Page 39: La nuova India · to in India di testi di ... rico cinese dell’Arte della Guerracitato e amato dal Gordon ... nelle diverse regioni in via di svilup-po. Un approccio top-downin

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bilistica indiana, quinto produttore mondiale di veicoli com-merciali medi e pesanti e secondo produttore indiano di auto-vetture dopo Maruti, la joint venture costituita negli anni ’80tra la casa giapponese Suzuki e il governo indiano. Tata Motorsha 22.000 dipendenti e nell’anno 2005-06 ha registrato un fat-turato di 5,5 miliardi di dollari, il 14% del quale deriva dalleesportazioni. La produzione è concentrata in alcuni centri prin-cipali in India – Jamshedpur, Pune e Lucknow – ed è affiancatada una rete di oltre 2.000 punti vendita, di distribuzione diricambi e di fornitura di servizi. Le risorse che l’impresa desti-na alla R&S ammontano al 2% circa del fatturato annuale epresso il suo centro ricerche di Pune lavorano 1.400 ricercatori.I suoi veicoli, sia commerciali sia per il trasporto passeggeri,sono esportati verso Europa, Africa, Medio Oriente, Asia delSud e del Sud-est e Australia e la società dispone di unità diassemblaggio in Malesia, Bangladesh, Ucraina, Kenya, Spagna,Russia e Senegal. Di un anno fa, infine, l’annuncio della prossi-ma apertura di uno stabilimento di questo tipo anche inZambia.

In conclusione, il mercato indiano dell’auto risulta di grandeinteresse per le imprese del settore, indiane e straniere: le ven-dite di auto nuove sono passate da 675.000 unità del periodo2001-2002 a 1,1 milione di unità nel periodo 2004-2005 e sistima che nel 2010 questa cifra possa salire a 2 milioni di vet-ture circa. Per cogliere queste opportunità stanno rivolgendouno sguardo interessato verso l’India i principali attori del set-tore: oltre a Fiat, che si è mossa in questa direzione con l’accor-do con Tata, i grandi costruttori già presenti hanno in pro-gramma l’ampliamento dei loro investimenti (ad esempioHyundai, GM, Ford), mentre quelli ancora assenti stanno pen-sando di entrare sul mercato (per esempio, Volkswagen eRenault).

Se in generale Tata Motors intende affermarsi come “globalplayer” nel mondo dei produttori automobilistici, nel contestoindiano il suo obiettivo principale è quello di avvicinare l’im-presa leader Maruti che nel 2005 deteneva una quota di merca-to superiore al 40%, contro una quota di Tata del 19% circa.Per colmare il proprio distacco, Tata lavora tra l’altro da diversianni al progetto della “vettura da 100.000 rupie”, pari – alcambio di 57 rupie per 1 euro – a 1.754 euro. Nello scorsodicembre la costruzione del nuovo stabilimento per la produ-zione di quest’auto è stata approvata dal governo del WestBengala e, se tutto procede secondo i piani, le prime vetturedovrebbero essere pronte entro un anno e mezzo. Non si trat-terà della versione a costo ridotto di un modello precedente, nédella copia di qualche modello sviluppato in passato da qualcheproduttore internazionale, bensì di un’auto concepita del tuttoex novo: un articolo che potrebbe trovare un’ottima rispostapresso il pubblico indiano, ma sulle cui prestazioni in terminidi sicurezza e impatto ambientale viene sollevata qualche per-plessità e che per questo probabilmente sarebbe difficile com-mercializzare sui mercati dei Paesi più industrializzati, almenoper il momento.

_Nel 2004 Tata Motors e MG Rover lanciano

il modello City Rover, una versione di Indica

adattata per il mercato europeo

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