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*La Pazienza 98 - Ordine Avvocati Torino · 38 L’attualità del delitto di maltrattamenti in...

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rassegna dell’ordine degli avvocati di torino la P azienza Pubblicazione trimestrale - Spediz. in abb. postale 70% - Filiale di Torino- Anno XXV n. 1 - 1° trimestre - 10138 Torino, Corso Vittorio Emanuele II 130 - Contiene I.P. APRILE 2008 98
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rassegna dell’ordine degli avvocati di torino

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*Coperta n. 98 27-05-2008 14:52 Pagina 2

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COMITATO DI REDAZIONE

Luigi CHIAPPERO

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Vincenzo ENRICHENS

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Registrato al n. 2759 del Tribunale di Torino in data 9 giugno 1983

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Si ringrazia per le foto interne il fotografo Michele Pellegrino e

l’Editore Mario Astegiano

la Pazienzarassegna dell’ordine degli avvocati di torino

7 La delibera del Consiglio dell’Ordine relativamente alla Fondazione Croce

Famiglia: profili internazionali8 Il diritto internazionale privato e la famiglia di Germana Bertoli

11 Matrimoni misti: occasione di aggiornamento professionale

di Magda Naggar

13 Uniformazione del diritto europeo e armonizzazione

del diritto di famiglia di P.G. Monateri

Famiglia: principi fondativi17 Famiglia e convivenza di Mauro Ronco

20 La famiglia, oggi di Romana Vigliani

22 La famiglia: dal sentire comune al precetto penale di Silvana Fantini

26 Le trasformazioni della famiglia di Elena Sormano

Famiglia: problemi attuali ed emergenti29 Capaci di tutto? di Stefano Commodo

32 Figli legittimi e figli naturali nella crisi della coppia genitoriale:

tutele processuali e prassi nel distretto della Corte d’appello

di Torino di Giulia Facchini

34 Cohousing – condominio solidale – comunità di famiglie

e altro ancora di Davide Mosso

36 La difficile attesa di un figlio adottivo di Fulvio Villa

38 L’attualità del delitto di maltrattamenti in famiglia di Valentina Zancan

41 La deontologia dell’avvocato familiarista di Marina Notaristefano

44 Nasce la Camera minorile di Torino di Assunta Confente

46 Palazzo di Giustizia e umanità limitrofe di Gianpaolo Zancan

47 In ricordo di Fiorino Giuseppe

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Il Consiglio,– esaminata la situazione attuale della Fondazione

dell’Avvocatura Torinese Fulvio Croce;– richiamati gli scopi delineati all’art. 3 dello Statuto della

Fondazione e confermata la validità della scelta delibera-ta a suo tempo dall’Ordine e sostenuta dall’adesione deiSoci Fondatori;

– richiamata altresì la delibera del Consiglio dell’Ordinedel 29.01.2007 nella quale il Consiglio manifestava l’in-tento di «offrire ai propri iscritti un articolato insieme diiniziative formative idonee a garantirne la doverosa for-mazione permanente», instaurando «una stretta collabo-razione con la Fondazione dell’Avvocatura TorineseFulvio Croce nell’organizzazione delle dette iniziative for-mative» (delibera che si allega alla presente);

– ritenuta la necessità di un intervento complessivo di carat-tere qualitativo, quantitativo e finanziario, coordinato tral’Ordine, la Società Capris s.r.l. e la Fondazione stessa,finalizzato a una ripresa dell’attività e a un potenziamen-to di quest’ultima;

– verificata altresì la necessità di rendere più stretto il coor-dinamento tra l’attività di formazione e aggiornamentoprofessionale propria dell’Ordine e l’attività culturalesvolta dalla Fondazione;

auspicache la Fondazione possa costituire il centro di riferimentoper il coordinamento dell’attività di programmazione perla formazione e l’aggiornamento professionale e l’attivitàculturale di più ampio respiro, precisandosi che, mentrel’attività culturale potrà essere decisa autonomamente, ledecisioni in ordine alla formazione e all’aggiornamentospettano unicamente al Consiglio dell’Ordine (laFondazione proporrà ed attuerà quanto deliberato eapprovato dall’Ordine). La Fondazione potrà affiancare alproprio Consiglio di Amministrazione un più ampio orga-nismo costituito, oltre che dalla Commissione Scientificadell’Ordine, da tutti coloro che intenderanno valorizzarel’attività della Fondazione, proponendo iniziative edincontri da attuarsi anche in sede diversa da quella dellaFondazione;

auspica altresìche la Fondazione estenda il più possibile le opportunità diutilizzo della sede a beneficio non soltanto dei singoli colle-ghi per motivi di aggiornamento e di cultura, ma altresì ditutte le Associazioni Forensi e degli Studi Legali, che verran-

no invitati ad avvalersi dei locali della Fondazione sia per gliincontri interni sia per le loro iniziative culturali;

auspica altresìun collegamento permanente della Fondazione con laFacoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi diTorino (già socio fondatore), nonché con gli altri Enti collet-tivi pure soci fondatori (Comune, Provincia, Regione, ecc.),nonché con le altre categorie appartenenti all’universo deigiuristi, trasmettendo le informazioni circa i programmi e leiniziative della Fondazione tanto ai Magistrati, quanto aiCommercialisti e ai Notai.

Si impegnaa valorizzare e pubblicizzare l’attività della Fondazioneattraverso la Pazienza, le newsletters, la stampa dei pro-grammi mensili ed ogni altra utile promozione;

si impegnaa versare alla Fondazione una dotazione finanziaria annua –previa specifica deliberazione del Consiglio dell’Ordine – atitolo di riconoscimento delle attività svolte per l’organizza-zione e l’attuazione del programma di formazione e aggior-namento nella misura di € 50.000,00 (cinquantamila);

invitala Società Capris s.r.l. a dar corso al rimborso progressivodel finanziamento ricevuto dal socio unico, nei limiti di legge,oppure a distribuire gli utili conseguiti;

invitala Società Capris s.r.l., che incasserà tutti i proventi derivan-ti dai servizi svolti nell’interesse degli avvocati, nonché deri-vanti dall’attività formativa e di aggiornamento, e chegestirà tutti i rapporti con i fornitori ed i gestori dei serviziofferti nella sede della Fondazione (tenendo conto altresì chela licenza di ristorazione è intestata alla Fondazione), a con-sentirne l’utilizzo da parte della Fondazione a titolo di como-dato gratuito non esclusivo, in ragione dell’attività svolta daquest’ultima nell’interesse dell’intera Avvocatura;

invita altresìla Società Capris s.r.l. a completare la dotazione di strumentazioneall’interno della Fondazione, a supporto dell’attività degli iscritti.

Invita infineil Consiglio di Amministrazione della Fondazione a vagliareal più presto forme e condizioni per la ripresa dell’attività diristorazione e per assicurare una ragionevole apertura dellasede di Palazzo Capris.

la Pazienza

Ritengo indispensabile che tutti gli avvocati possano conoscere con agio il tenore integrale della delibera approvata il 23 apri-le 2008 dal Consiglio dell’Ordine a riguardo degli obiettivi, degli assetti e del funzionamento della Fondazionedell’Avvocatura Torinese Fulvio Croce.Per questo motivo l’editoriale di questo numero de la Pazienza è dedicato in esclusiva alla pubblicazione di questo impor-tante documento, con il quale tutti gli avvocati di Torino sono invitati a confrontarsi in vista di ogni possibile approfondi-mento e miglioramento futuro.

Mauro Ronco

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Per capire quali siano le basi su cui sifonda il complesso sistema del

diritto internazionale privato si può par-tire da una domanda che ci si pose agliinizi del XIV secolo nelle più famoseUniversità italiane quali Perugia eBologna, ossia: “Se a Modena vienechiamato in giudizio un Bolognese,cosa accade?”. Le risposte furonomolte e di diverso contenuto fino aquando Bartolo da Sassoferrato giunsealla conclusione che: “Se si parla didiritti personali, si applica il diritto diBologna, se si parla di diritti reali, quel-lo di Modena”.

Da allora molta strada è stata fatta edoggi nell’Ordinamento GiuridicoItaliano il diritto internazionale privatoè disciplinato dalla l. 218/95 che trovacollocazione tra le leggi complementarial Codice Civile.

La legge è composta da cinque titoli:il primo ne indica l’oggetto; il secondosi occupa della competenza giurisdizio-nale; il terzo contiene le norme per l’in-dividuazione del diritto applicabile; ilquarto si occupa del riconoscimento edesecuzione di atti o decisioni straniere;il quinto porta le disposizioni transito-rie.

Interessante notare come la l. 218/95sia molto più aperta all’internazionali-smo rispetto al codice del 1942, il qualecome è ovvio, ha risentito dei fattoricaratterizzanti il periodo in cui ha avutoorigine (il fascismo, la guerra) contrariallo “straniero”.

Negli anni passati la l. 218/95 erapredominio di pochi tecnici del diritto(fortuna o sfortuna?) in quanto la disci-plina dei rapporti tra soggetti con nazio-nalità differenti o con la collocazionedei propri interessi patrimoniali in Statidiversi erano l’eccezione alla regola.L’evoluzione del tessuto sociale, sem-pre più multietnico e globalizzato,porta invece oggi molti avvocati a tro-

varsi nella necessità di avvalersi deldiritto internazionale privato regola-mentato, oltre che dalla l. 218/95 ancheda numerose convenzioni. Tale neces-sità sta divenendo propria anche degliavvocati che si occupano di diritto difamiglia, dato l’aumento dirompentedei matrimoni misti e della necessità diregolare la crisi coniugale che investeunioni celebrate in Italia tra cittadinistranieri o celebrata in altri Stati tra cit-tadini italiani o che successivamenterisiedono in Italia.

Il primo problema che deve essereaffrontato quando ci si trova in talisituazioni è quello della giurisdizione,che in passato era affrontato dall’art. 4del c.p.c., secondo cui il coniuge stra-niero poteva essere convenuto davantial giudice italiano, se era residente odomiciliato, anche elettivamente inItalia, oppure se aveva accettato la giu-risdizione italiana e nel caso reciproco,il giudice dello Stato al quale lo stranie-ro apparteneva, poteva conoscere delledomande proposte contro un cittadinoitaliano. Tale norma è stata abrogatadalla l. 218/95 che ha disciplinato lequestioni inerenti la competenza giuri-sdizionale in materia di nullità e diannullamento del matrimonio, di sepa-razione personale e di scioglimento delmatrimonio, sia all’art. 3 stabilendo chela giurisdizione italiana sussiste quandoil convenuto è domiciliato o residentein Italia sia all’art. 32 secondo cui lagiurisdizione italiana sussiste, oltre chenei casi previsti dall’articolo 3, anchequando uno dei coniugi è cittadino ita-liano o il matrimonio è stato celebratoin Italia.

È evidente, dunque, che la l. 218/95prescinde completamente dal principioactor sequitur forum rei, con unampliamento della giurisdizione alleipotesi in cui nessuno dei coniugi pos-sieda la cittadinanza italiana, il matri-

monio sia stato celebrato all’estero e ilconvenuto sia residente all’estero oirreperibile. Il solo legame territorialedella residenza o del domicilio delricorrente è stato considerato sufficien-te per l’esercizio della giurisdizione ita-liana.

Affrontata la questione della giuri-sdizione e quindi individuato quale siail giudice da adire, sarà necessario sta-bilire quale sia la legge applicabile perla regolamentazione della crisi coniu-gale. Viene a tal fine in soccorso l’art.31 della l. 218/95 secondo cui ci sidovrà riferire alla legge nazionalecomune ai due coniugi al momentodella domanda di separazione o di scio-glimento del matrimonio o, in mancan-za di una cittadinanza comune, allalegge dello Stato nel quale la vita matri-moniale risultava prevalentementelocalizzata, facendo riferimentocomunque alla legge italiana sia nelcaso in cui la separazione o lo sciogli-mento del matrimonio non siano previ-sti dalla legge straniera applicabile, sianel caso in cui i coniugi abbiano più cit-tadinanze comuni tra cui quella italia-na.

La preferenza data dall’art. 31 n. 1al criterio della cittadinanza comunedei coniugi si giustifica in quanto sitratta del collegamento più utilizzatoin materia nei sistemi di conflittodell’Europa continentale e costituisceil principio fondamentale di regola-mentazione internazional-privatisticadelle relazioni giuridiche famigliari.Ciò però non ha impedito che nellanorma di conflitto di cui all’art. 31 siastato introdotto, seppure in via sussi-diaria, un elemento di flessibilità rap-presentato dal ricorso alla prevalentelocalizzazione della vita comune cheha investito il metodo tradizionale disoluzione dei conflitti di leggi.Ovviamente si tratta di un criterio

la Pazienza

Famiglia: profili internazionali

IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E LA FAMIGLIA

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meno semplice da applicare perché necessita di unacerta esperienza da cui far derivare le circostanze chedefiniscano la localizzazione della vita matrimoniale,ma il frequente ricorso alla residenza abituale deiconiugi, determinerebbe una sostanziale coincidenzacon la soluzione prevalente in altri sistemi europei.

Il comma 2 dell’art. 31, è invece la chiara espressionedell’applicazione di un principio di ordine pubblico delForo. La norma in questione infatti prevede che se ilsistema normativo straniero applicabile alla fattispecieda regolare non preveda l’istituto della separazione odello scioglimento del matrimonio, si dovrà applicare lalegge del Foro a prescindere da qualsiasi connessionedella fattispecie con lo Stato Italiano. Questa scelta legi-slativa è il sintomo della volontà del legislatore di tutela-re il diritto alla separazione, tanto da poterci spingere adire che il sistema di conflitto italiano si ispira al favordivortii.

Il criterio della lex Fori, però, rischia di creare il pro-blema del riconoscimento della pronuncia italiana all’e-stero, soprattutto quando si tratti di pronunce concer-nenti soggetti entrambi stranieri, che abbiano ottenutorisultati che non avrebbero avuto intraprendendo l’ini-ziativa innanzi al giudice che dovrebbe effettuare ilriconoscimento. Va comunque detto come oggi le pro-nunce di separazione e di divorzio possono circolare inmodo assai agevole nell’ambito della ComunitàEuropea in virtù del Regolamento n. 2201/03, che haconsentito l’esercizio di competenza comunitaria in unsettore come quello del diritto di famiglia tradizional-mente escluso dai poteri normativi di un’organizzazio-ne internazionale originariamente ispirata a finalità dicarattere economico.

Il giudizio sul riconoscimento automatico delle deci-sioni straniere, sicuramente più semplice perché liberodagli ostacoli frapposti dalle singole leggi nazionali, puònon essere univoco a seconda che si auspichi o meno l’a-pertura del nostro ordinamento verso quelli stranieri conmodelli normativi a noi sconosciuti quali le unioni regi-strate e i matrimoni tra omosessuali.

Ad oggi, però, la diffidenza mostrata dai giudici ita-liani nonché la chiusura manifestata dalla Corte Europeadei diritti umani, così come dalla stessa Corte di Giustiziadell’Unione europea, non può escludere che in un futuroil principio del mutuo riconoscimento, oggi conosciutoin altri ambiti, non venga ad applicarsi anche al diritto difamiglia.

In merito alla determinazione della legge applicabileai rapporti di filiazione, gli artt. 33, 34, 35, 36 sono tutticontraddistinti dal fatto che la figura del “figlio” in essicitata è al centro dell’attenzione giuridica. Infatti, lo sta-tus del “figlio” è determinato dalla legge nazionale delsuddetto al momento della nascita, salvo (anche in talcaso) discostarsene quando l’applicazione della leggenazionale di uno dei genitori possa condurre a un risulta-to più favorevole alla condizione giuridica del figlio stes-so. Ed è sempre la legge nazionale del figlio a disciplina-re anche i rapporti con i genitori (soprattutto ove si con-sideri che questi ultimi possono avere cittadinanze diver-se), confermando la centralità del primo all’interno dellafamiglia.

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Altro problema da affrontare riguar-da il cosiddetto rinvio, ossia quando lalegge italiana rimanda alla legge di unostato straniero.

Per cogliere appieno la delicatezza ela potenziale complessità di tale aspettoè utile ricordare il noto caso Colliercontro Rivaz deciso il 3 agosto 1841dalla Prerogative Court di Canterbury.Si trattava della validità formale dialcuni codicilli contenuti nel testamen-to di un suddito britannico il quale,secondo il diritto inglese, era domicilia-to in Belgio al tempo della morte. Talicodicilli erano redatti secondo le formerichieste dal diritto materiale inglese enon, invece, secondo le forme richiestedalla legge belga che avrebbe dovutoapplicarsi quale lex domicilii. La cortesi pronunciò affermando che i giudiciinglesi, nelle particolari circostanze delcaso, dovevano decidere come se si tro-vassero in Belgio. E poiché venneaccertato, sulla base delle testimonian-ze di esperti uditi nel corso del giudizio,

che i giudici belgi avrebbero fatto ricor-so al diritto inglese, fu proprio questodiritto ad esser applicato, con la conse-guenza che i codicilli furono dichiaratiformalmente validi.

Questa fortunata situazione è peròsolo una di quelle potenzialmente inne-scabili da un rinvio legislativo che sonoalmeno tre: la legge straniera è conforme(in questo caso tutto bene); la legge stra-niera rinvia indietro (in questo caso siapplica la legge italiana); la legge stra-niera rinvia oltre (la legge italiana riman-da a quella belga, quella belga rimanda aquella tedesca, la legge tedesca rimandaa quella francese, e così via). Fortu-natamente nella maggior parte dei casi,come in quello citato, ci si trova innanzialla seconda ipotesi. Ciononostante, perovviare a questi teorici pericoli, la leggedi riferimento italiana fornisce opportu-ne limitazioni ben elencate nel secondocomma dell’art. 13.

È indubbia la complessità dei casiche vedono come protagonisti soggetti

legati a Stati differenti per interessi onazionalità, complessità che grava sugliavvocati, ma soprattutto sui magistratichiamati a decidere in applicazione dileggi che come è ovvio non conoscononel quotidiano, scontrandosi a volte conlegislazioni povere di principi scritti ebasate prevalentemente su pronuncegiurisprudenziali. Da ciò l’esigenza diuna compatta collaborazione tra avvo-cati e magistrati e proprio per tale ragio-ne nella bozza di protocollo per i proce-dimenti di separazione e divorzio,redatto dall’Osservatorio per la giusti-zia civile di Torino – Gruppo famiglia eminori – è stata inserita all’art. 3 l’indi-cazione che nel caso in cui debba appli-carsi la legge straniera, gli avvocatidelle parti si adopereranno al fine diindicarne al Giudice gli estremi ocomunque di individuare la fonte nor-mativa straniera per una maggiore cele-rità del processo.

Germana Bertoli

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11la Pazienza

L’apertura delle frontiere, i massic-ci fenomeni migratori sia di sog-

getti singoli che di nuclei familiari giàformati all’estero, nonché la mobilitàall’interno dell’Unione europea hannofavorito il contatto fra i cittadini deivari Stati, anche extraeuropei, e deter-minato un sensibile aumento deimatrimoni extranazionali, caratteriz-zando la nostra società in chiavenecessariamente multietnica.

Ma anche nel nostro mondo globa-lizzato, in cui l’amore non ha certa-mente confini, nella scelta del partnercontinuano a giocare un ruolo deter-minante tradizioni e radici culturali,con la conseguenza che le unioniavvengono più frequentemente frapersone appartenenti a paesi storica-mente o culturalmente vicini.

Anche a prescindere dal caso limitedell’ottantatreenne italiano che cercadi sposare la badante rumena di 44anni (è di questi giorni la notizia delmatrimonio che avrebbe dovuto esserecelebrato il 25 aprile scorso aBologna, ma è stato sospeso dal PM aisensi dell’art. 102 c.c.), o delle italianeaffascinate dai giovani khabibi (termi-ne arabo che letteralmente vuol diretesoro e con il quale si indicano i beigiovani orientali), va osservato chel’incidenza dei matrimoni misti nel1995 era meno del 5% di quelli com-plessivamente celebrati; nel 2003 lapercentuale è passata all’8,8% su untotale di 258.580 matrimoni, mentrenel 2005 i matrimoni misti rappresen-tavano ben il 13,5% di quelli registratiin Italia.

Nel 2007 questa percentuale è arri-vata sino al 14,3% del totale (Fam.Min., 2008, 2,13), e cioè un matrimo-

nio su sette presenta un elemento diestraneità: nel frattempo è diminuito ilnumero dei matrimoni (dai 270.000nel 2002 ai 242.000 nel 2007), vale adire che è diminuito il numero deimatrimoni italiani ed è cresciuto quel-lo dei matrimoni misti o tra stranieri.

Vediamo in particolare i numeri diTorino: su 1480 matrimoni civili cele-brati nella nostra città nel 2006, 266(17,97% del totale) erano stati contrat-ti da stranieri ed in 476 di essi (32,16%del totale) uno solo dei coniugi erastraniero, quindi con una incidenzacomplessiva di matrimoni con ele-menti di estraneità di oltre il 50%(riferita, ripetiamo, ai soli matrimonicivili); nel 2007, su 1434 matrimoni,235 (16,37%) sono tra stranieri e 435(30,31%) tra un cittadino italiano eduno straniero (in sei di essi la sposaitaliana aveva almeno vent’anni in piùdel marito, mentre in quindici matri-moni era il maschio italiano ad averevent’anni di più della sposa straniera).

Poiché l’amore può anche finire, eda volte finisce malamente, con litigi sututto e tensioni per i figli, capire qualelegge applicare per la regolamentazio-ne dei rapporti personali tra i coniugi,per l’affidamento dei figli ed il loromantenimento, per la divisione deibeni comuni ed altre fondamentaliquestioni, diventa per noi avvocati dibasilare importanza per la qualitàdella vita di quelle persone e per l’af-fermazione dei loro diritti.

La Commissione europea ci fasapere che nell’Unione il numero tota-le dei divorzi fra il 2000 e il 2004 èstato in netto aumento, ad eccezione diPortogallo ed Estonia.

Alcune cifre: ogni anno si celebra-

no circa 2,2 milioni di matrimoni, dicui 350.000 internazionali, mentre idivorzi toccano quota 875.000, e fraquesti 170.000 internazionali.

In Italia l’aumento delle separazio-ni delle coppie miste è stato sbalorditi-vo: nel 2000 si sono separate 4.266coppie, che nel 2005 sono diventateben 7.536 con un incremento quindidel 76,6%.

È evidente che è già difficile di persé affrontare i problemi che derivanodalla semplice convivenza; quando viassociamo anche le profonde differen-ze culturali, capiamo perché la percen-tuale di fallimenti di queste unioni èpari all’80% (quindi circa il doppio diquelli italiani), senza contare il “som-merso”, ovvero le scissioni delle cop-pie miste che convivono senza esseresposate.

Se a tutto ciò aggiungiamo la pre-senza, sempre più numericamentesignificativa, di persone singole pro-venienti da paesi extracomunitari, ci sirende conto di come non si possa piùpensare di fare a meno di una buonaconoscenza delle norme di dirittointernazionale privato. Chi di noiinfatti non ha mai ricevuto in studiouna persona, residente o no in Italia,appartenente ad un paese Ue o extra-comunitario, con problemi di affida-mento di minori, soldi e casa, trovan-dosi anzitutto di fronte al problema diquale giurisdizione applicare? Oppureè stato nominato curatore speciale diun minore straniero presente sulnostro territorio in apparente stato diabbandono? Che dire poi al cliente ita-liano che intende sposare una donnaappartenente ad un paese di ispirazio-ne coranica, alla quale però viene

MATRIMONI MISTI: OCCASIONE DI AGGIORNAMENTOPROFESSIONALE

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la PazienzaFamiglia: profili internazionali 12

negato il nulla osta ex art. 116 c.c.? Edai due cittadini dello stesso sessoconiugati in Spagna, in Belgio o inOlanda, o che hanno contratto unacivil partnership registrata secondo ildiritto inglese ma che non viene rico-nosciuta in Italia?

Poiché il nostro legislatore non si ènemmeno posto il problema dell’esi-stenza e della compatibilità dei nuovie diversi istituti familiari previsti daaltri ordinamenti, in Italia le disposi-zioni fondamentali vanno ricercatenella legge 218/95 che riguarda – perquanto qui ci occupa – la sola famiglialegittima ed ha optato, nella scelta deicriteri di collegamento, anzitutto perla legge nazionale comune dei coniugie in mancanza per la legge dello Statoin cui la vita matrimoniale risulta pre-valentemente localizzata.

La Germania e l’Austria hannoinvece scelto, come criterio successi-vo, quello della residenza abituale deiconiugi, il Regno Unito la lex fori,mentre la Francia ha inserito unanorma unilaterale di conflitto.

Per evitare quindi disarmonieapplicative, da diverso tempol’Unione Europea sta valutando lapossibilità di introdurre anche neldiritto di famiglia e delle persone –tradizionalmente ritenuto prerogativainterna del singolo Stato – regolecomuni a livello europeo, che defini-scano quale giurisdizione nazionaledebba applicarsi in simili situazioni, apartire dall’importanza di informaregli sposi o i conviventi sulle implica-zioni pratiche delle proprie scelte,sulla mediazione familiare, sulla pos-sibilità di scegliere la legge nazionaleda applicare, sull’obbligo di informarele parti su possibili cambiamenti dellalegge scelta o circa l’applicazionedella lex fori.

Poiché l’Unione Europea non hacompetenza legislativa al riguardo, inquanto legiferare spetta ai singoli Statimembri, questi ultimi si sono tutti resiconto della necessità di cominciare apensare di darsi delle regole comuni.

Negli anni vi sono stati quindidiversi interventi della Comunità, siacon i regolamenti (il c.d. Bruxelles I inmateria di competenza ed esecuzionedelle sentenze rese in materia di sepa-razione e di potestà genitoriale ed ilRegolamento 2201/2003, c.d.Bruxelles II, in tema di riconoscimen-

to delle decisioni negli stati membri),che con il Libro Verde sul divorzio.

In questo disegno di armonizzazio-ne del diritto sostanziale e processualedi famiglia si è inserito il convegnointernazionale sulle procedure didivorzio in Europa tenutosi a Lione loscorso 13-14 e 15 dicembre 2007“Divorcer en Europe: règles, choix etstratègies” organizzato dallaCommissione di Diritto delle Personedel locale Consiglio dell’Ordine, conla collaborazione della sottocommis-sione di Diritto Comparato, convegnoche prendeva le mosse dalla constata-zione che in Francia ben l’8% dei liti-gi familiari presentano un elemento diestraneità.

Al termine di queste giornate, aper-te da Adrien-Charles Dana, Presidentedel Consiglio dell’Ordine di Lione, sipuò dire che siano stati centrati tuttigli obiettivi che gli organizzatori sierano preposti, a partire dalla esigenzadi fare il punto di tutti i testi normativiapplicabili relativi alle regole di com-petenza ed alla legge applicabile (ledisposizioni nazionali, i regolamentidi Bruxelles I e II bis, il Roma III, iloro spazi applicativi e la compatibi-lità, la convenzione dell’Aja).

Particolarmente interessante èstata la giornata intitolata “Divorceren Europe: y a-t-il place pour unstratégie?” dai contenuti più tecni-co-giuridici ed alla quale sono statiinvitati relatori da diversi paesidell’Unione per conoscere ed ap-profondire le specificità delle singo-le legislazioni.

Dopo un approfondimento sullagenesi ed i contenuti del regolamentoBruxelles II bis, effettuato da CyrilNourissat, prorettore dell’UniversitàJean Moulin di Lione e da AlainDevers, docente nella medesima uni-versità, l’indagine si è spostata sulregolamento Roma III e sulla leggeapplicabile al divorzio, operata daChristelle Huppert, presidente dellasezione famiglia e persone delTribunale di Lione.

Ai relatori intervenuti dai diversipaesi (Mallory Volker, Giudice dellaCorte Costituzionale tedesca, giàGiudice della Famiglia presso ilTribunale cantonale di Sarrebruck perla Germania, Luis Zarraluqui, avvoca-to in Madrid per la Spagna, JohnCross, Giudice distrettuale inglese per

la Gran Bretagna, Valerie Dupong,avvocato del foro del Lussemburgo ela sottoscritta), è stato proposto unarticolato caso concreto e richiesto aivari partecipanti di esporre le rispostegiudiziarie nei rispettivi ordinamenti.

I risultati sono stati alquanto sor-prendenti: salvo che per il Lus-semburgo – dove non pare esservi unagran tutela del coniuge debole – lerisposte sono apparse tutte abbastanzaequilibrate ed in linea con i principigenerali del diritto del minore allabigenitorialità, dal mantenimento diun equilibrato rapporto con entrambele figure parentali, ed anche circa leconseguenze economiche per i minorie per i coniugi.

Significative sono state invece ledifferenze circa il peso dato alla“colpa” di uno dei due nel fallimentodell’unità coniugale, nei tempi deldivorzio (ricordo che nella Ue la sepa-razione è prevista in 12 paesi su 25 edi tempi variano dai sei mesi dellaFinlandia ai quattro anni dell’Irlanda,dove bisogna anche superare l’esamedel Tribunale per appurare l’esistenzadi ragionevoli prospettive di riconci-liazione, mentre a Malta ci si può soloseparare in quanto non è previsto ildivorzio), nelle risposte processuali enei tempi giudiziari.

Si è trattato di giornate volte ad evi-denziare i problemi legati alle diffe-renti legislazioni nell’ottica di armo-nizzare le diverse discipline nazionali,nel tentativo di darsi regole comuniapplicabili e di dotarsi degli strumentipiù idonei per risolvere tali questioni eper assicurare al cliente la scelta dellastrategia migliore.

Proprio in questi giorni si stannochiudendo gli articoli della raccoltadegli atti, che saranno quanto primapubblicati.

Per concludere, aggiungo che legiornate, di per sé già interessanti,sono state vivacizzate dalla notizia,apparsa sui giornali il giorno prima,della proposta di legge di affidare ainotai la separazione consensuale(ricordo che in Portogallo, Estonia eDanimarca il divorzio congiunto vienerichiesto ad organi amministrativianziché giudiziari): i colleghi francesi,come potete immaginare, erano sem-plicemente furibondi.

Magda Naggar

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13la Pazienza

Nel decennio passato, l’attenzionerivolta al Diritto Europeo è anda-

ta sempre più concentrandosi sul dirit-to privato, in particolare sul diritto deicontratti. Al contrario, una scarsaattenzione è stata sin qui riservata aldiritto di famiglia quale materia diarmonizzazione o unificazione, alpunto che ci si potrebbe chiedere se lafamiglia sia in qualche modo oggetto

dell’integrazione europea. Di recente,anche l’intenso dibattito dedicato alCodice Civile Europeo sembra nonaccordare alcuna considerazione aldiritto di famiglia. In apparenza, que-st’ultimo viene ancora ritenuto unaquestione per lo più di interesse nazio-nale. Diversamente dall’armonizza-zione del diritto dei contratti, la pro-spettiva di armonizzare il diritto di

famiglia in Europa viene comunemen-te intesa come una questione moltoproblematica e/o peculiare. Secondol’impostazione tradizionale, il dirittodi famiglia – molto più di altri settorinel diritto privato – si propone obietti-vi politici. Esso è concepito come unostrumento di intervento a caratterepolitico. Inoltre, i condizionamentiposti dal diritto costituzionale sono

UNIFORMAZIONE DEL DIRITTOEUROPEO E ARMONIZZAZIONEDEL DIRITTO DI FAMIGLIA

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la PazienzaFamiglia: profili internazionali 14

ritenuti determinanti nei sistemi didiritto di famiglia, in quanto la lorodisciplina interferisce con i diritti fon-damentali tanto degli individui, quantodei gruppi.

La non-armonizzazione del diritto difamiglia in Europa rivela peraltro i suoieffetti paradossali in quanto si traducein un fattore di incertezza nell’attuazio-ne dei meccanismi basilari dell’integra-zione europea, quali sono le disposizio-ni in tema di libertà di circolazione.

In tale contesto, le Istituzioni euro-pee mostrano di concepire il diritto difamiglia e la sua armonizzazione ripro-ponendo la questione dei limiti allasovranità nazionale e la tradizionaleopposizione mercato/famiglia.

Tuttavia, i sistemi europei di diritto difamiglia – come sottolineano i fautoridell’armonizzazione – stanno conver-gendo fronteggiando una sfida comune:la c.d. privatizzazione delle relazioniFamiliari.

Nel far ciò, essi si propongono dipromuovere l’autonomia e l’autodeter-minazione delle persone; in una pro-spettiva di armonizzazione, ciò avvici-nerebbe il diritto di famiglia alla logicadi mercato, offrendo ai membri delnucleo familiare l’opportunità di rego-lare i loro reciproci doveri ed obblighimediante accordi alternativi al regimelegale, cioè attraverso gli strumentidella libertà contrattuale.

È naturale però, che a questo punto sisollevino una serie di questioni: fino ache punto i contratti squilibrati sarannovincolanti in Europa? Quali accordifamiliari che si concludano in alternati-va al regime legale, saranno ritenutivalidi? In che misura la disparità econo-mica o sociale tra le parti, tra i coniugi –per esempio – sarà rilevante/irrilevanteai fini di una valutazione in termini digiustizia contrattuale?

La Nozione Europea di FamigliaPer confrontarci con queste domandeoccorre innanzitutto fare riferimentoalla nozione stessa di famiglia che èstata ritagliata nel diritto giurispruden-ziale comunitario.

La Corte di Giustizia, attraverso lesue pronunce, dimostra, in effetti, diuniformarsi alla giurisprudenza dellaCorte Europea dei Diritti dell’Uomo edi far proprio un concetto di famigliaristretto alle unioni matrimoniali trapersone di sesso diverso che esclude

dalla protezione del diritto comunita-rio altre forme di vita familiare. Inparticolare, la Corte enuncia tale con-cezione in due diversi ambiti: nel set-tore della libera circolazione dellepersone e in tema di parità tra i sessi.In ordine al primo ambito, la pronun-cia di riferimento è costituita dal casoReed (sent. 17 aprile 1986, PaesiBassi c. Reed, causa 59/85, in Racc.,1986, 1283).

Nella specie, Ann Florence Reed,cittadina britannica, convivente di unlavoratore britannico occupato neiPaesi Bassi, vede respinta la sua richie-sta di un permesso di soggiorno inOlanda, in quanto compagna di unlavoratore cittadino di un altro Statomembro. La controversia che ne segue,dopo due pronunce favorevoli allaReed, viene portata dinanzi alla Cortedi Giustizia, che è chiamata a stabilirese la condotta del Governo olandeseabbia un carattere discriminatorio neiconfronti dei lavoratori cittadini di altriStati membri. In particolare, la Cortestabilisce che “lo Stato Membro il qualeconsenta ai propri cittadini di ottenereche il compagno non coniugato, noncittadino di questo Stato membro, sog-giorni nel suo territorio, non può nega-re di attribuire lo stesso vantaggio ailavoratori migranti cittadini di altriStati membri”. Nell’emettere tale sen-tenza, però, i giudici affermano che innessun caso a questi fini il conviventepossa essere equiparato al coniuge perrientrare nella nozione di “familiare”del lavoratore e beneficiare quindi deldiritto di stabilimento.

La nozione di famiglia, quale si rica-va dalle pronunce della Corte nel setto-re della libera circolazione delle perso-ne, coincide quindi con le unioni trapersone di sesso diverso suggellate dalmatrimonio, con la conseguenza che,secondo il ragionamento dei giudici, ildivorzio ha l’effetto di estinguere lostatus di familiare e i diritti ad essolegati: in tal senso si veda: Corte diGiustizia, sent. 13 febbraio 1985,Diatta c. Land Berlino, causa 267/83, inRacc., 1985, 567.

Tale concezione di famiglia trovaun riscontro nelle pronunce dellaCorte concernenti il divieto di discri-minazione per ragioni legate agliorientamenti sessuali. In particolare,nel caso Grant (Corte di Giustizia,sent. 17 febbraio 1998, Grant c. South-West Trains Ltd., causa C-249/96, in

Racc., 1998, I-621), i giudici qualifi-cano come non discriminatoria la con-dotta dell’Amministrazione ferrovia-ria inglese la quale non aveva esteso aduna coppia di omosessuali i beneficiprevisti per i familiari dei lavoratori.Ciò sta a significare che, secondo laCorte di Giustizia, un’unione tra per-sone dello stesso sesso non può rien-trare nella nozione di “famiglia” nelmomento in cui le libertà di circolazio-ne e di stabilimento vengono estese aifamiliari dei lavoratori.

Tale posizione viene ulteriormentechiarita dalla Corte in una pronunciadel 2001 (Corte di Giustizia, sent. 31maggio 2001, D. e Regno di Svezia c.Consiglio dell’Unione Europea, causeriunite C-122/99 P e C-125/99 P, inRacc., 2001, I-4319). In tale circostan-za, i giudici rilevano che le unioni omo-sessuali, anche quando siano registratesecondo la legge nazionale, rimangonodistinte dalla nozione di “matrimonio”e non possono godere dello statuto giu-ridico dell’unione matrimoniale. Ora laCorte stessa, nel caso Reed del 1986,sopra descritto, aveva riconosciuto lapossibilità di modificare l’interpreta-zione restrittiva da essa data al termine“coniuge” seguendo i futuri mutamentisociali. Non si può fare a meno di nota-re che nel caso D. e Svezia c. Consiglio,intervenuto 15 anni dopo la pronunciaReed, la Corte abbia invece ribadito lemedesime valutazioni in merito al con-cetto di famiglia vigente nel dirittodell’Unione Europea.

In tali materie è intervenuto ilRegolamento del Consiglio (CE) 27novembre 2003, n. 2201 relativo allacompetenza, al riconoscimento e all’ese-cuzione delle decisioni in materia matri-moniale e in materia di responsabilitàgenitoriale che abroga il Regolamento(CE) n. 1347/2000, in G.U.C.E. n. L338del 23.12.2003 p. 0001-0029.

Questo nuovo atto normativo, chesostituisce il precedente a partire dal1° marzo 2005, è destinato a colmarele lacune del Regolamento BruxellesII, il quale non trovava applicazione intutta una serie di ambiti, tra cui i pro-cedimenti relativi a rapporti non basa-ti su vincolo matrimoniale e le questio-ni attinenti alla potestà genitoriale, sedisgiunte dal giudizio di scioglimentodel matrimonio. Il RegolamentoBruxelles II bis si pone invece comestrumento unico che disciplina sia lequestioni matrimoniali, sia quelle atti-

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la Pazienza Famiglia: profili internazionali 15

nenti alla responsabilità genitoriale1. Tale provvedi-mento si inscrive in quel più ampio processo di edifi-cazione dell’Unione quale Spazio di Libertà,Sicurezza e Giustizia (c.d. III Pilastro), le cui lineeguida sono indicate dal Consiglio Europeo diTampere (15 e 16 ottobre 1999) ed ora dalleConclusioni del Consiglio Europeo di Bruxelles del 4e 5 novembre 2004 (Tampere II). In questa occasioneè stato adottato un nuovo programma pluriennale peri prossimi 5 anni, il c.d. Programma dell’Aja, il qualecontempla gli aspetti principali delle politiche legateallo SLSG: diritti fondamentali e cittadinanza, asilo emigrazione, cooperazione in materia giudiziaria.

Ove, quindi, si considerino i passi ulteriori da com-piere nel processo di armonizzazione del diritto privatoeuropeo, un’ulteriore questione schiettamente politica sipone: quale modello nazionale europeo prevarrà questavolta?

La difficile ricerca della regola miglioreIl diritto di famiglia in Europa converge verso unmodello unitario?

Ritengo, in realtà, che i sistemi europei di diritto difamiglia siano troppo multiformi ed incoerenti al lorointerno2 per poter essere definiti semplicemente comeconvergenti o non convergenti, oppure come progressi-sti o conservatori (modo, questo, ampiamente diffusodi valutare il diritto di famiglia).

Ne deriva che l’eterogeneità dei sistemi di diritto difamiglia rappresenta necessariamente una questionecon la quale confrontarsi. A tale riguardo, una partedella dottrina del diritto di famiglia coinvolta nel pro-cesso di armonizzazione si affida ad un approccio fon-dato sulla ricerca della regola migliore (better lawapproach). Tale approccio fa propria l’idea secondocui, nel disciplinare determinate questioni di diritto difamiglia, alcuni ordinamenti giuridici europei rivelinoun’attitudine maggiormente progressista rispetto adaltri. Tale visione è di solito presentata come non incontrasto con la ricerca di un common core e ciò poichélegislatori progressisti sarebbero in grado di anticiparetendenze di regolamentazione che ordinamenti giuridi-ci conservatori seguiranno in seguito. In altre parole, isistemi giuridici riformisti darebbero inizio ad un irre-sistibile processo di convergenza.

Tipico esempio di un’evoluzione di questo tipo ècostituito dalla realizzazione della parità tra i coniuginegli ordinamenti giuridici scandinavi: in questo ambi-to, Svezia e Norvegia hanno giocato il ruolo di precur-sori molti anni prima che gli altri sistemi giuridici euro-pei si orientassero lungo questa stessa via.

A tal proposito ritengo che ogni singolo diritto euro-peo della famiglia rechi in sé sviluppi riformisti maanche involuzioni inaspettate.

Ad esempio, la legislazione belga riconosce i matri-moni tra omosessuali, ma per lungo tempo ha mante-nuto in vigore una disciplina discriminatoria in ordineai diritti e agli obblighi dei genitori verso i figli natifuori dal matrimonio. Ancora, il diritto inglese negacapacità matrimoniale ai transessuali, mentre in Italia

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(paese ritenuto fortemente condiziona-to dalla Chiesa cattolica, soprattutto perciò che attiene le questioni di diritto difamiglia) i transessuali possono con-trarre matrimonio (con partners etero-sessuali) ed adottare bambini (quandosiano sposati con una persona del sessoopposto). Tuttavia, il diritto inglese nonvieta la pratica della maternità surroga-ta e, inoltre, la recente giurisprudenzamostra una graduale apertura nei con-fronti della vincolatività degli accordidi surrogacy; al contrario, la legge ita-liana proibisce l’inseminazione etero-loga.

Tutte le norme menzionate riguarda-no la natura e il ruolo del matrimoniointeso quale istituzione. Tutte coinvol-gono (e plasmano) il legame matrimo-nio-procreazione e le sue conseguenzegiuridiche: la paternità, soprattutto.Ma, nell’ambito di una medesima legi-slazione nazionale, mentre una normaassume e qualifica la riproduzionecome strettamente legata al matrimo-nio-istituzione, un’altra norma intenderecidere tale legame.

Ora, assumendo la discriminazionebasata sul genere e/o sull’orientamen-to sessuale quale parametro valutativo,dobbiamo riconoscere che l’Olanda èstata la prima nazione europea a supe-rare la discriminazione contro le cop-pie dello stesso sesso, riconoscendo imatrimoni gay. Tuttavia, la giurispru-denza olandese rivela un’impostazio-ne discriminatoria nei confronti dellavoro e dei diritti della moglie casa-linga, ciò poiché il regime di separa-zione dei beni interpretato nella suaaccezione letterale, quando questo siascelto da entrambi i coniugi o partners,viene fatto prevalere su di una correttavalutazione circa l’effettivo apportodella donna alla produzione della ric-chezza familiare. In questo modo leistanze egalitarie, che si realizzanoattraverso il riconoscimento del matri-monio gay, sono invece disattese inquesto secondo contesto.

Quella appena esposta costituisceun’efficace argomentazione contro laricerca della regola migliore: infatti,che cosa ci indica quale sia la regola

migliore? Quale concezione di moder-nità e di progresso? Forse una di tipopaternalistico/egalitario? Oppure unaconcezione liberale che enfatizza ilruolo dell’auto-responsabilità?

Prendiamo in esame il seguentecaso. Le questioni legate alla parità trai sessi influenzano la disciplina deldivorzio e dell’assegno di manteni-mento in tutti i Paesi europei. Tuttavia,le strategie di regolamentazione sirivelano divergenti. Secondo la legi-slazione tedesca, ad esempio, la paritàtra i sessi si realizza (anche) mediantela libertà contrattuale; di conseguenza,i futuri sposi, in vista del matrimonio,possono validamente rinunciare almantenimento in caso di divorzio: innome dell’uguaglianza formale tra iconiugi, l’interesse di mogli o sposibisognosi di mantenimento non vieneritenuto degno di considerazione. Alcontrario, la legge italiana consideragli accordi di questo tipo nulli perchélesivi della parità tra i coniugi, ciò inquanto essi finirebbero per minacciarele possibilità di negoziazione dellaparte più debole, compromettendo ilsuo diritto ad una difesa in giudizio incaso di divorzio.

Entrambi i modelli trovano attua-zione in differenti legislazioni euro-pee, entrambi sono mossi da determi-nanti egalitarie. Perciò, l’opzione tradi essi nella ricerca della miglioredisciplina non può fondarsi su di unasemplice operazione di etichettatura,in base alla quale si dovrebbe preferirela soluzione fondata sulla libertà con-trattuale perché volta ad accrescerel’autodeterminazione del singolo nellequestioni di diritto di famiglia, rifiu-tando invece l’altro modello comefrutto di un paternalistico approccio aquesto settore e alle relative questionidi genere. Ad un livello operazionale,entrambi i modelli presentano nellasostanza implicazioni impreviste.Così, la Corte Costituzionale tedescaha recentemente stabilito che unaccordo prematrimoniale il quale com-prometta gravemente la futura posi-zione finanziaria di uno dei coniuginon ne accresce certo l’auto-determi-

nazione, ma deve essere inteso comeun atto di etero-determinazione, cioè:di subordinazione all’altro coniuge (econtroparte contrattuale).

Il carattere “nomico” del diritto di famigliaA questo punto si può formulare unaconclusione provvisoria. Tanto l’ap-proccio fondato sull’individuazione diun common core, quanto la ricercadella migliore disciplina si rivelanoarbitrari in linea di principio e dovreb-bero quindi essere abbandonati.

La prospettiva di indagine e ricercami pare accolta anche dal recente librodi Linda McClain3, il cui titolo, non acaso, pone proprio in questione il postoriservato alla famiglia tanto nel dibatti-to politico, onde delineare la relazionetra apparato pubblico e di governo,diritto, società, individui, quanto neldibattito giuridico per comprenderne lesue attuali potenzialità e funzionalità,nella consapevolezza che «familieshave dual roles as both a site of privatelife and institution of public importancebecause of the goods they foster and thefunctions they serve»4.

L’individuazione degli ambiti dicompetenza del diritto di famiglia, ladefinizione del modello di famiglia chesi intende proporre e sostenere, i rap-porti tra questo modello di famiglia e lealtre istituzioni sociali, la regolazionedelle relazioni che entro la famigliaprendono corpo, il riconoscimento giu-ridico e l’estensione della tutela anchead altre unità sociali che non risultinoconformi al modello di famiglia pre-scelto sono tutte questioni di nomos,che colgono, nella regione più intima,le reciproche determinazioni storichedello spazio pubblico e privato nel lorocostituirsi come ordinamenti discreti,ma al contempo strutturalmente coordi-nati5.

Sono questioni che attengono allaforma stessa dell’esistenza storica, perla determinazione della quale l’attualeestablishment comunitario può anche aragione apparire inadeguato.

P.G. Monateri

la PazienzaFamiglia: profili internazionali 16

Note1 Sul punto si veda M. SESTA, Diritto di famiglia, Cedam 2005, 321.2 Si veda l’analisi condotta da M.R. MARELLA, L’armonizzazione del diritto di famiglia in Europa. Metodo e Obiettivi, comparsa anche in inglese sullo EuropeanLaw Journal del 2005.3 L. MCCLAIN, The Place of Families: Fostering Capacity, Equality and Responsibility, Harvard University Press, Cambridge Mass., 2006.4 L. MCCLAIN, op. ult. cit., p. 22.5 Così C. COSTANTINI, Diritto di famiglia: teorie e prospettive. Una indagine oltre le tradizioni, in uscita, 2008.

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17la Pazienza

1. IntroduzioneL’esperienza giuridica contemporaneaa riguardo della famiglia è contrasse-gnata da due fenomeni apparentementein conflitto, ma che sono in realtà stret-tamente interdipendenti. Per un verso,si assiste a un progressivo offuscamen-to delle ragioni intime che costituisco-no la giuridicità della famiglia, di quel-le ragioni profonde per cui essa non puòfare a meno di un essenziale riferimen-to al diritto. Su questo versante è sem-pre più trascurata la dimensione meta-biologica della familiarità, intrinseca-mente informatrice della disciplina giu-ridica espressiva del ruolo sociale dellafamiglia. Per un altro verso, si assiste aun fenomeno inverso, di espansionelegiferatrice, frutto della volontà diregolamentare positivamente, con pro-posizioni normative analitiche, intese acreare nuove tipologie di relazioniparafamiliari.

Questo fenomeno di “giuridificazio-ne” (che i giuristi conoscono assai beneormai da svariati decenni con l’incre-mento geometrico dei prodotti normati-vi nei diversi campi del diritto) dilataenormemente la normatività esterna opositiva, a scapito della razionalitàinterna dei singoli istituti giuridici. La“giuridificazione” costituisce espres-sione di un processo che JürgenHabermas ha definito come di “colo-nizzazione dei mondi vitali”, in virtùdel quale, con l’eterogenesi dei fini cuiaspira un mondo che vorrebbe liberarsidalla costrizione del diritto, ogni rap-porto viene all’opposto iper-giuridiciz-zato1. La sempre più diffusa tendenza acreare legislativamente, nei vari paesioccidentali, accanto al diritto dellafamiglia, un «diritto della convivenza»corrisponde al dinamismo intrinseco diquesto processo, che è di svuotamentodelle ragioni giuridiche della familia-rità, surrogando la famiglia con formedi giuridicità alternativa, senza alcunaattenzione al significato essenziale

della familiarità per la continuità gene-razionale e per la sopravvivenza etica,sociale e, financo, economica, di qual-siasi popolo.

Inevitabili sono le tensioni che siproducono tra coloro che vorrebberorivitalizzare l’istituto familiare e coloroche, al contrario, sollecitano l’introdu-zione di un apparato normativo radical-mente innovativo. In questo quadrosembra ragionevole che gli appartenen-ti ai due campi opposti esaminino conrispetto intellettuale le ragioni del ver-sante opposto, verificando se, forse,non sia possibile trovare soluzioni cherispettino sia le ragioni giuridicheprofonde della familiarità, sia i bisogni,le esigenze, le aspettative e gli interessidi coloro che non hanno intenzione, peri motivi più diversi, di accedere all’isti-tuto familiare.

2. Le dimensioni della giuridicità inerenti all’istituto familiareÈ opportuno, anzitutto, delineare ledimensioni della giuridicità, come siesprimono, o dovrebbero idealmenteesprimersi, secondo la loro proprianatura, nell’ambito della famiglia. Laprima dimensione della familiarità vaalla radice del giuridico, attingendolinfa vitale da quello stabile riconosci-mento reciproco che, al di là della pul-sione biologica e del richiamo affettivo,fonda la relazione giuridica tra le perso-ne, confermando ciascuno nella suaidentità personale. Se nel riconosci-mento dell’altro, che garantisce ancheil riconoscimento di se stesso come per-sona, sta – come io credo – il fonda-mento della relazione giuridica, lafamiglia è il luogo in cui si sperimenta-no concretamente, tanto nella lineaorizzontale quanto in quella verticale,tutte le dimensioni del riconoscimentopersonale che vanno a costituire l’iden-tità di ciascuno. Nel rapporto coniuga-le, in quello tra padre/madre e figli, tra ifratelli e le sorelle, nonché nel rapporto

tra le generazioni, delineato sia verti-calmente nella figura dei nonni, sialateralmente nella figura degli zii, sirealizza e si compie l’identità persona-le, secondo una molteplicità di dimen-sioni, tutte definibili in termini di rico-noscimento, ma ciascuna secondo unasua specifica modalità2.

La famiglia, in questo senso, èsocietà naturale anteriore allo Stato,siccome portatrice essa stessa, in quan-to tale, di diritti e doveri, come statuiscecon icastica precisione l’art. 29 dellaCostituzione. Essa viene prima delloStato, giacché in essa e grazie a essaavviene la formazione dell’identità diciascuno, secondo una pluralità di pro-fili, che intercettano le varie possibilipolarità dell’esistenza: mascolinità,femminilità, fecondità, paternità,maternità, continuità generazionale,perduranza nel tempo e, insieme, sensodel limite e della finitudine. La pedago-gia interna alla famiglia si sprigiona,indipendentemente dalle parole pro-nunciate per bocca dei suoi componen-ti, dalla stessa realtà oggettiva.Ciascuno può così apprendere concre-tamente che l’io individuale non rap-presenta la totalità, ma soltanto unframmento della realtà.

L’apprendimento di questa lezionesospinge la persona al riconoscimentosia dell’altro che di se stesso, costituen-do il preludio ineludibile del riconosci-mento dello statuto ontologico dell’hu-manum, definito dalla radicale nonautosufficienza, dalla povertà e dalbisogno, non soltanto sul piano biologi-co o materiale, ma anche spirituale.Assumono così consistenza nella fami-glia, come più sopra accennato, ladimensione della sessualità, rispettiva-mente maschile e femminile, che è allabase della fecondità, nonché della geni-torialità/filiarità, che, nella asimmetriache la caratterizza, radica l’archetipodel principio di responsabilità. HansJonas ne Il principio di responsabilitàha scritto al riguardo che l’archetipo di

Famiglia: principi fondativi

FAMIGLIA E CONVIVENZA

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ogni responsabilità è quello dell’uomoper l’uomo, promanante dalla nonautarchia di ciascuno, che non è ricusa-bile perché: «[...] ciascuno ha speri-mentato anzitutto su se stesso la respon-sabilità originaria delle cure parenta-li»3. All’interno della famiglia ciascunosperimenta, poi, il principio di frater-nità, in perenne tensione tra le istanzedella libertà e dell’uguaglianza, che sirealizza con il riconoscimento dellareciprocità dei diritti e dei doveri cheastringono ogni componente dellafamiglia nella linea orizzontale. A fon-damento e al centro della famiglia stainfine il rapporto di coniugio, chedistende nel tempo l’impegno esisten-ziale di due persone4, costituendo laproiezione stabile e feconda di duevalori essenziali nella vita dell’uomo,che definiscono la verità del suo rap-portarsi alla totalità del mondo, chesono l’impegno per il bene e la fedeltàalla vocazione per i compiti liberamen-te assunti5. Infine, l’istituzione familia-re, pur consentendo di sperimentare lastabilità dell’impegno personale e ladurata nel tempo, è anche il luogo cheevita l’assolutizzazione della dimensio-ne temporale, imponendo a ciascuno diriconoscere, attraverso l’esperienzadell’avvicendarsi generazionale, la pro-pria caducità e la propria finitudine.

3. Istituto familiare e formazione dell’identitàpersonale

Francesco D’Agostino nel libroLinee di una filosofia della famiglia, dacui ho tratto ispirazione nello scriverequeste righe, menziona uno dei raccon-ti chassidici tramandati da MartinBuber, in cui Rabbi Sussja riconducel’allontanarsi del figlio dalla famiglia alpieno costituirsi della sua soggettività,in se stesso e di fronte a Dio, per ricor-darci che la famiglia, ove si sperimentala temporalità, è anche il luogo fonda-mentale di formazione della soggetti-vità, che si consuma nel distacco delfiglio dal genitore.

Esci dal tuo paese

Rabbi Sussja insegnava: «Dio dissead Abramo: “Esci dal tuo paese, dalluogo della tua nascita, dalla casa di tuopadre, nel paese che ti mostrerò”. Diodice all’uomo: “Prima di tutto esci daltuo paese, dal torbido che ti sei procura-

to tu stesso. Poi dal luogo della tuanascita, dal torbido procurato da tuamadre. Infine dalla casa di tuo padre,dal torbido che ti ha procurato tuopadre. Solo allora sarai capace di anda-re nel paese che ti mostrerò”»6.

La famiglia è il luogo di formazionedella personalità, ove però non tutto èlimpido e trasparente, come icastica-mente insegna Rabbi Sussja, tanto chebisogna liberarsi dal torbido di se stes-so, dal torbido della madre e del padreper diventare veramente se stessi, maove sono offerti gli elementi indispen-sabili affinché ciascuno riconosca lapropria identità personale e assuma laresponsabilità di una vita indipendente.Con il distacco dalla famiglia l’uomo siemancipa dal legame parentale perdiventare a sua volta padre o madre,secondo quanto è detto con durezzaanche nel Vangelo (Mt. 19, 4-5)7. Ma sidiventa compiutamente padre e madreall’interno della famiglia, apprendendoin essa, per essa e con essa le dimensio-ni della responsabilità, della fecondità,della complementarietà, della recipro-cità, della fraternità, della fedeltà e del-l’impegno nella continuità del tempo,in uno sforzo di trascendimento conti-nuo delle naturali pulsioni biologiche edelle contingenti tempeste emotive.

A queste dimensioni intrinseche dellafamiliarità la legge fornisce consistenzagiuridica precisa attraverso la definizio-ne dei doveri e dei diritti, delle facoltà edelle soggezioni, secondo una ‘libertà diforma’, che articola variamente, allaluce del cambiamento del costumesociale, le molteplici interrelazioni chesi danno nell’universo familiare. Lavicenda della riforma del diritto di fami-glia in Italia non è ancora conclusa. Il‘modello tradizionale’, patriarcale, dellafamiglia è completamente superato. Mail modello che si è profilato, per quantosia positivamente contrassegnato dalprincipio costituzionale della paridignità e uguaglianza morale e giuridicadei coniugi (art. 29, co. 2 Cost.), nonchédal primato del bene dei figli sugli inte-ressi egoistici dei genitori, è tuttaviaoffuscato, almeno nella pratica, da unatendenza individualistica e utilitaristica,che non riesce a cogliere nella famigliaun valore permanente, più ricco e fecon-do rispetto alla somma delle utilità edelle soddisfazioni individuali. Da que-sto punto di vista, molto potrebbero inse-gnare gli sforzi che sono stati compiuti, a

differenti livelli culturali e istituzionali,allo scopo di delineare importanti proto-colli dei diritti relativi alla famiglia, inquanto tale, troppo spesso misconosciu-ti8, ovvero dei protocolli relativi ai dirittidel fanciullo9.

Se le forme giuridiche della famigliasono controverse e se è meritorio l’im-pegno di chi, sul terreno politico e legi-slativo, nonché su quello giurisdiziona-le e dei servizi sociali, cerca di curare leferite che l’utilitarismo e l’individuali-smo infliggono ai bambini e, più ingenerale, alle parti deboli del rapportofamiliare, sembra praticamente incon-gruo e concettualmente contraddittorioaffrontare legislativamente la crisi del-l’istituto familiare mediante l’affianca-mento al diritto di famiglia di un «dirit-to della convivenza», che, esaltando leesigenze dell’individuo singolo e leprospettive dell’utilità individuale, nonpotrebbe non contribuire all’ulterioredepotenziamento dell’istituto familia-re, soprattutto nei profili, oggi troppotrascurati, relativi alla tavola dei doverie al rispetto dovuto al principio diresponsabilità, che maggiormente con-trastano la deriva disgregante degliegoismi individuali.

4. Le esigenze giuridichedelle relazioni di convivenza

Le relazioni di convivenza esprimo-no anch’esse esigenze di carattereintrinsecamente giuridico, che è giustosiano tenute in considerazione dal dirit-to. Si tratta di esigenze diverse da quel-le espresse dalla relazione di familia-rità, che vanno risolte al loro livello,che sta nel riconoscimento della tuteladei diritti individuali, contro il rischiodella sopraffazione e dell’ingiustiziaprovocati da una delle parti del rappor-to, ma non al livello della creazione diun nuovo istituto di carattere parafami-liare. Ciò costituirebbe una intrinsecacontraddizione, giacché la convivenza,per volontà di coloro che a tale situazio-ne si determinano di accedere (tenendofuori da questo quadro le convivenzecontingenti, per necessità, di coloro,cioè, che scelgono la convivenza inattesa di regolarizzare con il coniugiouna situazione temporanea di diffi-coltà) non è normalmente accompagna-ta dai due aspetti fondamentali dellarelazione familiare, costituiti, comesopra si è visto, dalla apertura indeter-minata nel tempo e dalla rilevanzasociale e pubblica del rapporto.

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Il diritto vigente riconosce già, alme-no in gran parte, alle convivenze lo spa-zio necessario alla tutela delle posizioniindividuali. Ciò vale per il riferimentoanagrafico, che parifica le famiglie alleconvivenze (art. 1 d.p.r. 30.5.1999, n.223); per il coinvolgimento del convi-vente more uxorio nelle decisioni inordine alla salute del partner (art. 3 l.1.4.1999, n. 91); per i profili relativi allaassistenza, che equiparano i conviventiai familiari (art. 1 l. 29.7.1975, n. 405;art. 30 l. 26.7.1975, n. 354; art. 4 l.8.3.2000, n. 53); per l’estensione ai con-viventi delle disposizioni del codicecivile su interdizione, inabilitazione eamministrazione di sostegno (ex l.9.1.2004, n. 6); per la tutela della partedebole e dei minori all’interno dellaconvivenza (l. 4.4.2001, n. 154); per lasuccessione nel contratto di locazione alconvivente more uxorio in caso di mortedel compagno conduttore dell’immobi-le, ovvero quando costui si sia allonta-nato dall’abitazione per cessazione delrapporto di convivenza in presenza diprole naturale (C. Cost. sentenza n. 404del 7.4.1988); per il diritto al possessodella casa familiare in capo al conviven-te non proprietario, per tutelare gli inte-ressi della prole, quando costui sia affi-datario dei figli (C. Cost. sentenza n.166 del 6.5.1998); per il diritto al suben-tro nell’assegnazione dell’alloggiopopolare in caso di morte dell’assegna-tario (C. Cost. sentenza n. 559 del12.12.1989); per la tutela del rapporto dilavoro nell’impresa familiare (Cass.Civ., Sez. Lav., 13.12.1986, n. 7486);per la risarcibilità a favore del conviven-te del danno patrimoniale e non patri-moniale in caso di morte del partnerprovocata dal fatto ingiusto altrui, con laconseguente legitimatio ad causam delsoggetto che convive con la vittima delreato commesso dal terzo (così, tra leprime, Cass. Civ., Sez. III, 28.3.1994, n.2988); per la assegnazione di provvi-denze a favore delle vittime del terrori-

smo e della criminalità organizzata (art.4, l. 20.10.1990, n. 202), nonché dell’u-sura (art. 8, l. 23.2.1999, n. 44); per ladeterminazione del reddito ai fini del-l’ammissione al gratuito patrocinio(Cass. Pen., Sez. IV, 5.1.2006, n. 109);per vari profili della responsabilità e deidoveri processuali (cfr., tra i tanti, l’art.199 c.p.p., co. 3, che riconosce la facoltàdi astenersi dalla testimonianza al con-vivente dell’imputato). Infine, i figligenerati dai conviventi hanno dirittiuguali rispetto a quelli generati daconiugi: l’art. 30 della Costituzionepone in capo ai “genitori” il “dovere ediritto” di “mantenere, istruire ed edu-care i figli, anche se nati fuori dal matri-monio”. La riforma del diritto di fami-glia (l. 19.5.1975, n. 151), introducendonel codice civile l’art. 317 bis, ha attri-buito ai genitori naturali conviventi l’e-sercizio congiunto della potestà suifigli. La l. 22.5.1978, n. 194 ha previstoall’art. 5 la partecipazione alla procedu-ra di interruzione volontaria della gravi-danza del “padre del concepito”, siaesso coniuge o convivente. La convi-venza, qualora sia stabile e continuativae preceda il matrimonio per un periodominimo di tre anni, ha rilievo per deter-minare l’idoneità della coppia ad adotta-re un bambino (l’art. 6, co. 4, l.4.5.1983, n. 184, come modificata alla l.28.3.2001, n. 149). L’art. 44, co. 3 dellastessa l. 184 permette l’adozione anchea chi non è coniugato in casi particolari.Infine, l’art. 5 della l. 19.2.2004, n. 40permette l’accesso alle tecniche difecondazione artificiale per le “coppiedi maggiorenni di sesso diverso, coniu-gate o conviventi”.

5. ConclusioneA partire dalla seconda metà degli

anni Ottanta il legislatore ordinario,nonché la giurisprudenza costituziona-le e quella ordinaria hanno progressiva-mente esteso ai conviventi singoli dirit-ti che venivano di volta in volta ricono-

sciuti, ampliati, o integrati per il coniu-ge o per gli altri familiari, a mano amano che emergevano esigenze enecessità. Se il problema posto dalleconvivenze è colmare eventuali vuoti ditutela per il partner del rapporto, ilmetodo tecnicamente adeguato è com-piere interventi per materia mirati alriconoscimento, caso per caso, dei dirit-ti non tutelati, quando essi siano merite-voli di tutela. Questa consolidata tecni-ca normativa corrisponde intrinseca-mente alle esigenze delle relazioni diconvivenza che, per definizione e perscelta libera dei soggetti che a essaaccedono, non intendono aprirsi allaincondizionata durata nel tempo e alrilievo pubblicistico e sociale che carat-terizzano il matrimonio.

Legiferare, invece, sul filo condutto-re costituito dalla affermazione ideolo-gica della esistenza di un tipo di fami-glia radicalmente diverso da quelloconosciuto, implicherebbe l’inevitabiledepotenziamento dell’istituzione fami-liare, cui è demandato il compitoimprescindibile, nell’attuale situazionesociale di egoismo esasperato, di con-trastare, nel segno della solidarietàgenerazionale, i rischi di disgregazionesociale, che sono il portato inevitabiledi una mentalità troppo spesso dimenti-ca dei doveri verso il prossimo, speciese più vicino e più bisognoso di assi-stenza, di cure e di sostegno morale.

Rinunciare alla creazione di unnuovo, complesso, indefinibile neiprincìpi e indefinito nelle pratiche appli-cazioni, diritto parafamiliare non signifi-ca dimenticare la tutela dei diritti e dellelegittime aspettative individuali, bensìoperare in vista del rilancio, anche trami-te l’introduzione delle opportune prov-videnze giuridiche, di una mentalità soli-dale in cui il ‘principio responsabilità’,ritrovi il suo ruolo di guida per il conse-guimento del bene comune.

Mauro Ronco

Note1 Cfr. il volume curato da J. HABERMAS, Observations on “The spiritual Situation of the Age”, Cambridge, Mass., 1984, citato da F. D’AGOSTINO, Linee di unafilosofia della famiglia. Nella prospettiva della filosofia del diritto, Milano, 1991, 56.2 Cfr. D’AGOSTINO, Linee di una filosofia della famiglia, cit., passim e, in specie, 58-64.3 H. JONAS, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, tr. it. Torino, 1990, 124-125.4 Su questo punto insiste con particolare profondità la dottrina della Chiesa cattolica. Cfr. al riguardo il commento alla Familiaris Consortio di JosephRATZINGER, Matrimonio e famiglia nel piano di Dio, in AA.VV., La “Familiaris Consortio”, Città del Vaticano, 1982, 79.5 Cfr. D’AGOSTINO, Linee di una filosofia della famiglia, cit., 74.6 M. BUBER, I racconti dei Chassidim, Milano, 1979, 289.7 «Non avete detto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e idue saranno una carne sola?» (Mt. 19.4-5).8 Cfr. per esempio la Carta dei diritti della famiglia, che la Santa Sede ha emanato il 22 ottobre 1983, che si può leggere in Carta dei diritti della famiglia, a curadi L. CONCETTI, Roma, 1984.9 Cfr. soprattutto la Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989.

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20la Pazienza

la Pazienza si è proposta da ultimo diaffrontare di volta in volta i grandi

temi del momento.Il tema scelto per primo è stato: “Il

mercato”.Per secondo “La famiglia, oggi”.L’ampiezza degli argomenti lascia

che, su ciascuno di essi, chiunqueesponga le proprie osservazioni assu-mendo anche posizioni personali e dun-que non impegnative. Della Famiglia,dei suoi nodi (o chiodi?) che riguardanonon soltanto i nostri assistiti ma anchele questioni private di ciascuno di noi,si potrebbe dire oggi quello che dell’ap-parato parlamentare usava dire WinstonChurchill: “per ora non abbiamo sottomano niente di meglio”.

Una dichiarazione sospesa nelvuoto, capace di esprimere nel contem-po amarezza, timori, speranze. Unatteggiamento polivalente che sorge dalprofondo in vista di una società che sivorrebbe capace di trovare continuesoluzioni alle sempre più complicatedifficoltà di vita dei consociati.

Tutte le società moderne sono chia-mate ogni giorno a farsi “istituenti” allaricerca di assetti sempre più attuali:all’interno di una realtà globale giac-ché, come stiamo sperimentando, nonsi globalizzano oggi solo i mercati maanche le idee.

Stando al nostro tema, per dare sullarealtà italiana un’occhiata panoramicaall’istituto de “la Famiglia”, giova par-tire da quello del divorzio, conquistamolto sofferta, introdotta, come è noto,nel dicembre del 1970 con una leggeche si tentò, da parte di alcune forzepolitiche, di abrogare attraverso ilricorso al referendum. Gli italiani, chia-mati il 12-5-1974 a decidere se abroga-re la legge c.d. Fortuna-Baslini, a mag-gioranza, votarono quel no che poseuna pietra tombale su un sofferto passa-to. Allorché per principio si impedivache il matrimonio civile non si scio-gliesse all’infuori della eufemistica-mente chiamata “naturale conclusio-

ne”. Insomma fino all’anno di grazia1974, per un “sì”, pronunciato magariin un momento di giovanile entusia-smo, la convivenza di due persone sitrasformava in una gabbia antropologi-ca simile all’ergastolo dove soltanto lamorte, in certi casi invocata, augurata(se non addirittura cagionata!), restaval’unico mezzo per riconquistare la per-duta libertà.

Dicono che Amintore Fanfani, poli-tico attento e acuto osservatore dellerealtà sociali, la sera della sua sconfittacome paladino del vincolo matrimonia-le, posizione in forte scontro con loschieramento laico, ebbe a dire, guar-dando la piazza festante per la conqui-sta del divorzio: “Questo è il principiodella fine”.

In realtà, a pensarci bene, quel gior-no segnò anche la fine di un principio.O meglio di alcuni principi. Quelli cherisalgono all’Antico e NuovoTestamento secondo l’impostazionereligiosa di San Paolo. Chi invoca leradici cristiane del matrimonio e dellafamiglia non fa riferimento a Gesù (“difronte al quale ogni ginocchio si pie-ghi!”) ma agli insegnamenti di SanPaolo che attenendosi come ebreo allatradizione ebraica ferocemente anti-femminista, faceva dipendere la sicu-rezza della famiglia dalla donna, esseresenza testa e senza anima, da teneresotto controllo come pericolosa tenta-zione del demonio. Tentazione allaquale si doveva porre rimedio con qual-che “regola di tenuta”. Attraverso le piùimportanti delle quali si arriverebbe alcapolavoro della donna perfetta la cuifisionomia, tanti secoli dopo San Paolo,il nostro grande Carnelutti, con pochema significative parole, così scolpiva:“la donna si vuole che piasa, che tasa,che staga a casa”.

Aproposito del Carnelutti, alzando iltono della polemica come suggerisce ilbuon gusto, scrive molto bene la colle-ga Silvana Fantini nel suo articolo “la

Famiglia: dal sentire comune al precet-to penale”. Silvana Fantini, in tema direato di violenza sessuale all’internodel rapporto matrimoniale, ricorda,riportando le loro personali opinioni,Francesco Carnelutti e GiulianoVassalli.

Carnelutti, nel 1925, collocava ildiritto del marito sul corpo della mogliefra i “diritti reali” alla stregua di quellidi proprietà. Il Vassalli nel 1944 valuta-va la possibilità di “configurare ladonna come un fondo servente di unaservitù di amore!”.

Ma in tema di regole di “tenuta” delmatrimonio, ben in anticipo sulla pro-clamazione del divorzio, erano già statiinferti alcuni colpi ai principi sostenutidai grandi Soloni e a quel dispositivofamigliare che, basato sul padre, sullamadre e sulla prole doveva – come scri-ve Foucault – “servire da supporto allegrandi manovre di una società repressi-va”. Con il 1919, grazie all’opera del-l’intrepida Lidia Poet, le donne venneroammesse ad esercitare tutte le profes-sioni, anche quella dell’avvocatura percui per la donna non sarebbe più stato“turpe” (aiscros) parlare in pubblico.

A partire dal giugno 1946 le donnepoterono votare ed essere votate e col1963 venne consentito alle donne(avvenimento da segnare albo lapillo)di entrare in Magistratura e quindi diaprire personalmente il vaso di Pandoraper valutare e giudicare tutti i mali delmondo.

Fu la riforma del diritto di Famigliadel 1975 a sancire definitivamente l’u-guaglianza formale dei due coniugi:parità di diritti del marito e della moglietra loro e nei confronti dei figli legittimio naturali. Dunque si assiste ad un ince-dere progressivo verso lo sfaldamentodi quel patto granitico fra un uomo e unadonna al quale il tempo e le leggi hannotolto via via lo smalto simbolico. Ogginon esiste più un modello unico diFamiglia. Essa è diventata una entitàcamaleontica. Esistono in effetti al pre-

LA FAMIGLIA, OGGI

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sente diversi modelli relazionali per cuiil legislatore si vede obbligato a ricorre-re al principio della “interpretazioneadeguatrice”. Al pari della famiglialegittima viene tutelata la convivenzamore uxorio. Una situazione alla qualein passato – è interessante notarlo – i c.d.“poveri” già ricorrevano spontanea-mente. Senza attendersi alcun ricono-scimento. Non avendo beni da dividerené una reputazione borghese da difende-re i c.d. nullatenenti, spostandosi conuna valigia di cartone, costruivano fuoridel sistema le loro personali realtà.

L’orientamento della Cassazioneoggi è consolidato nel riconoscere(almeno ai fini dell’applicazione del-l’art. 572 c.p.) la famiglia di fatto comefamiglia legittima dovendosi conside-rare Famiglia ogni consorzio di personefra le quali siano sorti rapporti di assi-stenza e solidarietà. Talvolta senzanemmeno la necessità della convivenzaessendo degno di tutela un regime divita improntato a rapporti di umanaassistenza e solidarietà.

È in crescita e in qualche modo tute-lato, il fenomeno ad esempio della con-vivenza di chi, pur essendo libero olibera, non intende contrarre matrimo-nio con la persona convivente.

Anche in presenza di figli. Una aspi-razione alla sincerità che il legislatorerispetta in vista della libera contratta-zione della coppia.

Sull’onda della medesima sinceritàsi accetta al contrario che le coppieritualmente sposate e anche rallegratedalla presenza di figli e magari di nipo-tini, disfino liberamente il loro rapportomatrimoniale. Di qua l’amara riflessio-ne del cardinale Tarcisio Bertone che(v. La Repubblica del 5 aprile ’08) inoccasione della messa per la Giornatadel Consiglio Pontificio per laFamiglia, rimarcando “la forza rassicu-rante dei nonni rispetto al nucleo fami-gliare”, prendeva atto con amarezza chele coppie si disfano al presente anche inetà matura quando abitudini e timoridovrebbero consigliare al meglio i sedi-centi “prigionieri di lungo corso”.

Una serie di esempi di vita vissutatratti dalla cronaca quotidiana (“tredonne uccise in ventiquattro ore: il col-pevole è in famiglia”) suggeriscono,attraverso un’opera di svelamento, dinon alimentare oltre misura “la propa-ganda rosa del tutto mio-tutta tua” cheirritando i “desideri istintivi sepolti”sono oggi oggetto di studio da parte di

chi si occupa di psicopatologia dei pro-cessi interattivi.

È quindi ragionevolmente sostenibileche le antiche leggi che hanno regolatonei secoli i momenti fondamentali dellavita dell’uomo e della donna si aprano adopzioni di novità. Di fronte alle quali ilnostro legislatore, premuto da spinte lai-che e religiose si vede costretto a proce-dere per ignes. In cerca di nuovi valoriverso quello che i filosofi chiamano “l’al-trove”. Tutto da scoprire. Già Cavourmetteva in guardia il legislatore ricono-scendo che lo Stato “non deve produrre ivalori di cui lo Stato ha bisogno persopravvivere”. Quei valori devono pro-dursi appunto altrove. Nella sfera del pen-siero che, spingendo in un angolo la Fede,anzi le Fedi, deve lasciare spazio alle libe-re laiche iniziative. Che non saranno dis-sennate o nutrite di false edonistiche vol-garità. Laicità non significa bassezza diintenti, povertà di riferimenti etici. Alcontrario. Vanno salvati dunque proprio iprincipi di laicità contro cui la Chiesasferra oggi una vera crociata al grido: “siala Famiglia il luogo stabile dell’amore”.

Ma proprio a proposito dell’amore odell’Amoreiore non sarà che su di esso,temuto e tenuto nei secoli dalla Chiesacome un tabù, si siano all’improvvisoscatenati tutti i venti più selvaggi daivasti orizzonti dell’immaginazione?

Oggi l’antagonismo è veramente fralaicità e religiosità? O non piuttosto fral’ortodossia cattolica e la secolarizza-zione della società? Le armature logi-che della religione e dei relativi canonimatrimoniali sono saltati sotto la spintadel progresso scientifico, della tecnicae, oggi, in mancanza di una diversa,seppur laica, educazione alla vita, di unedonismo volgare e senza regole.

Mentre la secolarizzazione avanzatravolgendo ogni forma di ascetismo, ilcorpo, considerato fino a ieri carne daredimere o organismo da curare, sem-bra volere a tutti i livelli, scoprendo sel-vaggiamente se stesso, selvaggiamenteappropriarsi della sua dimensione sen-soriale. Il cristianesimo che pone a fon-damento del suo credo una felicità lon-tana ed utopica si è sempre tenutodistante da quelle gioie del corpo alquale va dato tutto il dovuto riconosci-mento. Come scriveva Nietzsche “c’èpiù ragione nel tuo corpo che nella tuamigliore sapienza”. Mentre la metafisi-ca e le sue discipline impediscono alcorpo di sentirsi liberamente presso disé, mentre la fede continua ad alimenta-re forzatamente un io decorporeizzato,il piacere viene lasciato allo sbando.

E alla malavita. Come merce da traf-ficare.

Romana Vigliani

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22la Pazienza

Lo Stato punisce con la sanzionepenale le trasgressioni di norme

etico giuridiche che sono ritenute, in undeterminato momento storico, assoluta-mente indispensabili al mantenimentodell’ordine politico sociale.

Tuttavia non è infrequente che tra ivalori tutelati con la sanzione penale equelli del sentire comune sussista unadiscrasia. Essa spesso discende, banal-mente, dal fatto che il legislatore disse-mina qua e là fattispecie a rilevanzapenale per garantire l’osservanza diprecetti marginali, rispetto ai quali temedi non ottenere l’obbedienza dei cittadi-ni. Talvolta, invece, essa si verifica indeterminati momenti storici nei quali illegislatore o non riesce ad adeguaretempestivamente le norme all’effettivomutamento dei costumi, oppure precor-re le evoluzioni sociali.

In questi contesti di trasformazionisocioculturali la giurisprudenza hasvolto e svolge un ruolo importante diricettore del sentire comune, che vienetrasfuso nell’interpretazione e nell’ap-plicazione delle norme poste a tuteladei valori in evoluzione.

La famiglia, la sua fisiologia e la suapatologia costituiscono materia in cui èspesso presente uno scollamento trasentire comune e precetti del legislatorepenale: in alcune situazioni la normarisulta fattore trainante e di rotturarispetto a tradizioni secolari, mentre, inaltre, troppo lentamente si evolve nelrecepire valori nuovi o addirittura nel-l’attuare principi enunciati dallaCostituzione, o, ancora, nel confrontar-si con situazioni sociali complesse erepentinamente modificatesi.

Nel passato emblema di tale discrasiafurono i reati di adulterio e di concubinato.

Nonostante la Costituzione avesseconsacrato sin dal primo gennaio 1948,nell’art. 3, il principio di Uguaglianza

dei cittadini, senza distinzione di sesso,e, nell’art. 29, quello dell’eguaglianzamorale e giuridica dei coniugi all’inter-no della famiglia, nel codice penalesopravvissero per quasi venti anni duereati che trattavano i coniugi in manierapalesemente differente, essendo stabili-ta la reclusione fino ad un anno per lamoglie che commettesse adulterio,aumentata a due in caso di relazioneadulterina, e non essendo puniti, inve-ce, i rapporti sessuali del marito al difuori del matrimonio, se non quandoessi, avendo caratteristiche di pubblicanotorietà o essendo intrattenuti con per-sona coabitante nella casa coniugale,configurassero il reato di concubinato.

La spinta posta in essere dallaCostituzione verso l’eguaglianza digenere, valore ancora poco sentito dalcontesto sociale, non venne percepitadal legislatore, che radicava il suoimmobilismo interpretando la locuzio-ne “con i limiti stabiliti dalla legge agaranzia dell’unità familiare”, inseritain fine all’art. 29 Cost., nel senso chefossero lecite disparità di trattamentotra i coniugi non solo connesse con lanecessità di un unitario indirizzo dellafamiglia da stabilirsi ad opera del mari-to e padre, ma anche con le diversitàfisiologiche relative alla procreazione.

Furono i giudici costituzionali adeliminare la disuguaglianza normativa,ma ciò avvenne con enorme ritardo,persistendo a lungo l’interpretazionesopra richiamata sia nel sentire socialesia nelle decisioni giurisprudenziali.

Infatti, la Corte Costituzionale, ancoranel 1961 (Sent. 28/11/1961 n. 64), avevaaffermato che non fosse contraria ai prin-cipi costituzionali la previsione di reatosolo per l’adulterio della moglie e nonanche per quello dei coniugi in generale“posto che con tale norma non è statacreata a carico della moglie alcuna posi-zione di inferiorità, ma soltanto è statopreso atto di una situazione diversa”; nel

1965, poi, la Cassazione (Sez. II,5/10/1965, n. 1310), quanto al reato diadulterio, riteneva punibile non solo lacongiunzione carnale della moglie, maanche i meri atti di libidine e affermavache non fosse necessaria la sorpresa inflagranza, ma sufficiente la desumibilitàdella condotta da elementi di carattereindiziario; nel 1968, invece, il marito cheavesse una stabile convivenza con altradonna non era stato ritenuto punibile peril delitto di concubinato, non essendo laconvivenza sufficiente ad integrare l’ele-mento della notorietà, essendo necessa-rio che la relazione, anche se non conno-tata dal pubblico scandalo, fosse comun-que a conoscenza di un determinatonumero di persone (Cass. Sez. IV,21/12/1968, n. 1926).

Solo nel 1968 la Corte Costituzionaleaffermò, con la sentenza n. 126, che “ladiscriminazione tra l’adulterio dell’uo-mo e della donna, lungi dall’essere utile,è di grave nocumento alla concordia edall’unità familiare, lede la dignità delladonna e costituisce mero privilegio assi-curato al marito” e dichiarasse l’incosti-tuzionalità della norma che puniva l’a-dulterio della moglie. Poco più tardi, nel1969, con la sentenza n. 147, venne affer-mata anche l’incostituzionalità della fat-tispecie attinente alla relazione adulteri-na della moglie e, contemporaneamente,di quella relativa al concubinato.

L’evoluzione dei valori ai quali i giu-dici fanno riferimento nella loro operainterpretativa, che è stata così significa-tiva per le condotte sopra ricordate, dellacui rilevanza penale oggi nessuno piùdiscute, è apprezzabile anche rispetto aquasi tutti i reati contro la famiglia.

Laboratorio di principi morali, edu-cativi e della mutata concezione dellarilevanza dei diritti della persona,anche se si tratta di bambini e bambine,è l’interpretazione degli artt. 571 e 572del codice penale: abuso dei mezzi di

LA FAMIGLIA: DAL SENTIRECOMUNE AL PRECETTO PENALE

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correzione e maltrattamenti in famiglia.La consacrazione nell’art. 571 c.p.

dello “jus corrigendi”, che legittimal’uso della violenza come mezzo edu-cativo e disciplinare, punibile solo se nederivi il pericolo di una malattia nelcorpo o nella mente, appariva anacroni-stica già negli Anni ’50.

Negli ultimi decenni, con l’evoluzio-ne dei rapporti intrafamiliari e con l’eli-minazione della violenza, anche se limi-tata alla “vis modica”, dai metodi disci-plinari, educativi, di cura, di vigilanza, odi istruzione, il reato di abuso dei mezzidi correzione è stato sempre più spessoritenuto soccombente rispetto al reato dilesioni o di maltrattamenti, mentre se nesono ravvisate nuove condotte con riferi-mento agli aspetti psicologici.

Se, fortunatamente, sin dal 1950(Cass. 29/5/1950) era stata dichiarata l’il-liceità dell’uso della “vis modica” neiconfronti dei figli maggiorenni e, ahimè,solo dal 1958 (Cass. 21/11/58) nei riguar-di della moglie, in tempi più recenti lagiurisprudenza ha preso atto del nasceree crescere nel contesto sociale di unavisione del minore non più solo oggettodi protezione, ma titolare di diritti.

Di conseguenza, la giurisprudenzaattuale manifesta una mera tolleranza perquegli atti di minima violenza fisica neiconfronti della persona bambina cherisultino necessari per rafforzare unaproibizione, non arbitraria né ingiusta, dicomportamenti oggettivamente perico-losi o dannosi o di sottovalutazione delpericolo (Cass. 28/6/2007 n. 42648); rav-visa nell’uso della violenza, anche semodica e a fini educativi, il più gravereato di cui all’art. 572 c.p. (Cass. Sez.VI, 18/3/1996) e, invece, afferma la sus-sistenza del reato di cui all’art. 571 c.p.nei casi in cui sia fatto uso in funzioneeducativa di un mezzo astrattamente leci-to, di natura fisica, psicologica o morale,che trasmodi in abuso in ragione dellaintempestività della sua applicazione odell’eccesso della misura, anche se que-st’ultima non attinga a forma di violenza(Cass. Sez. VI, 7/11/1997 n. 3789).Inoltre, i giudici di legittimità hanno rav-visato tale reato anche nel caso in cui siamantenuto per un tempo apprezzabile uncomportamento che umilia, svaluta,denigra il minore, in quanto le modalitàdi educazione afflittiva e deprimentedella personalità contrastano con la fina-lità della promozione della persona ad ungrado di maturità tale da renderla capacedi integrale e libera espressione delle sueattitudini, inclinazioni ed aspirazioni

(Cass. 28/6/2007 n. 45283 e Cass. Sez.VI, 7/2/2005 n. 16491).

Criterio ispiratore di questa evolu-zione è la protezione del soggetto debo-le, criterio che è stato ritenuto determi-nante nelle scelte interpretative anchenel passato. Basti ricordare che laSuprema Corte nel 1959 (Cass. 16/6/59n. 577), in un periodo di piena vigenzadel reato di adulterio e di concubinato,nell’interpretazione della fattispecie dimaltrattamenti in famiglia, ha estesodetto ultimo concetto anche alla situa-zione di due concubini, con ciò ritenen-do degno di protezione il più debole deidue ipotetici correi di concubinato edando dignità giuridica, ai fini dellaconfigurazione del reato di maltratta-menti, alla loro convivenza ed alla loro“affectio”, pur essendo questi ultimielementi costitutivi di altro reato. Lastessa Corte ha, poi, ribadito, in altrapronuncia (Cass. Sez. II, 1/3/66, n.320), che il reato di cui all’art. 572 c.p.può sussistere in ogni consorzio di per-sone tra le quali, per intime relazioni econsuetudini di vita, siano sorti legamidi reciproca assistenza e protezione.

Il criterio della protezione del sog-getto più debole è stato ritenuto, invece,per lungo tempo soccombente rispettoal diritto del marito di disporre delcorpo della moglie quale “rimedio allaconcupiscenza” tant’è che a lungo si ènegata configurabilità del reato di vio-lenza sessuale all’interno del rapportodi coniugio.

Infatti, l’affermazione della punibilitàdei rapporti sessuali ottenuti senza ilconsenso del coniuge ha trovato moltiostacoli anche in dottrina, se si conside-ra che il Carnelutti nel 1925 collocava ildiritto del marito sul corpo della moglietra i diritti reali, alla stregua di quello diproprietà. Il Vassalli, nel 1944, dissertan-do ironicamente su tale teorizzazione,incentrata sullo “jus in corpore”, o “jusin corpus”, spettante al marito, valutavala possibilità di “configurare la donnacome un fondo servente di una servitùd’amore”. Quale che fosse la soluzionedella questione di diritto civile vigenteprima della riforma del 1975, per moltotempo non si ritenne che la congiunzio-ne carnale contro il volere della sposaricadesse sotto la previsione dell’art. 519

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c.p. (ora abrogato), a meno che non fosseeffettuata nei confronti del coniuge sepa-rato o per atti “contro natura” o mettessein pericolo la vita o la salute.

Si è dovuto attendere sino ad oltre lametà degli anni Settanta, non a caso dopola riforma del diritto di famiglia, perchéla Cassazione affermasse con la sentenza12855 del 1976 la sussistenza del reato dicui all’art. 519 c.p. a carico del marito,anche non separato, che costringesse l’al-tro coniuge alla congiunzione carnale.

La legge 66/96, che ha inserito,finalmente, il reato di violenza sessualetra quelli contro la persona, evidenzian-do come il bene giuridico tutelato sia,appunto, la persona e non, come prece-dentemente cristallizzato nel codiceRocco, la pubblica moralità ed il buoncostume, è il frutto del recepimento daparte del legislatore di precise istanzeprovenienti dal contesto sociale e matu-rate nel corso di almeno due decenni.

Il diritto-dovere della soddisfazionedella reciproca concupiscenza tra coniu-gi, secondo la giurisprudenza della finedegli anni Settanta sopra richiamata, nonpoteva più legittimare il potere di impor-re con la violenza fisica o morale un rap-porto non desiderato, ma il dissensoingiustificato veniva ritenuto costituireingiuria reale e violazione degli obblighidi assistenza nei confronti del coniugerespinto, rilevante sia ai fini di un even-tuale addebito della separazione, siacome condotta riconducibile alla fatti-specie di cui all’art. 570 c.p.

Negli ultimi anni, però, anche a segui-to di due sentenze del 2005 (Cass.6276/05 e 9801/05), sembra sul viale deltramonto l’orientamento secondo il qualela negazione di rapporti sessuali rende-rebbe configurabile il reato di violazionedegli obblighi di assistenza coniugale.

Quest’ultimo reato, al di là dellequerelles che hanno assillato gli inter-preti relativamente alle varie fattispeciedi tutela penale del coniuge e del mino-re rispetto al versamento delle contribu-zioni per il mantenimento dopo la sepa-razione e dopo il divorzio, è stato sog-getto ad evoluzioni interpretative con-nesse con il mutamento dei costumi,anche con riferimento alla fattispecie diabbandono del domicilio ed a quellaconfigurata dalla condotta contrariaall’ordine ed alla morale delle famiglie.

Nel 1964 e, ancora, nel 1970, la CorteCostituzionale dichiarò non fondata laquestione sollevata relativamente allaprima parte dell’art. 570 c.p. per ilsospetto contrasto con i principi di egua-

glianza dei coniugi e di libertà personale.La Suprema Corte, negli Anni ’60

(Cass. pen. 14/6/1960, e Cass. pen.9/7/1962), aveva statuito che neppure ilconsenso di un coniuge all’allontana-mento dell’altro bastasse ad escludernela punibilità, in quanto trattavasi di con-dotta contraria all’ordine ed alla moraledelle famiglie. Tuttavia, anche in quelperiodo, l’allontanamento doveva esse-re caratterizzato dal rifiuto ingiustifica-to e persistente di coabitazione (Cass.sez. II 28/10/1963) e l’obbligo di segui-re il marito doveva avere come presup-posti la notorietà e serietà della di luidecisione, non potendo convertirsi inun dovere di inseguimento del consortein vari e capricciosi mutamenti (Cass.sez. VI, 9/4/1969).

Dopo la riforma del 1975 si è consoli-dato l’orientamento che il reato previstodall’art. 570 c.p. non sia integrato nédalla relazione extraconiugale di uno deiconiugi, né dall’allontanamento dallacasa familiare, a meno che tali condottenon siano connotate da una effettiva epersistente sottrazione agli obblighi diassistenza. Inoltre si è ampliato il nume-ro dei casi in cui l’allontanamento è rite-nuto giustificato, sino a ricomprendereanche la sola manifestazione da parte diuno dei coniugi dell’intenzione di rom-pere il vincolo matrimoniale.

L’evoluzione dei valori socialmentediffusi e il criterio della protezione deisoggetti deboli caratterizzano anchel’elaborazione giurisprudenziale di altridue reati posti a tutela della famiglia,quello di sottrazione consensuale diminorenne, previsto dall’art. 573 c.p. equello di sottrazione di persone incapa-ci, previsto dall’art. 574 c.p.

Solo nel 1964 la Corte Costituzionale(sent. 22/2/1964 n. 9) ha riconosciutol’illegittimità di entrambi detti articoli,nella parte in cui limitavano il diritto diquerela al genitore esercente la patriapotestà. Tale disposizione escludeva,infatti, implicitamente che detto dirittospettasse anche alla madre, sul presup-posto che il bene tutelato dalle duenorme è il diritto di esercitare la patriapotestà, diritto che alla madre era ricono-sciuto solo eccezionalmente ed in via deltutto subordinata e sussidiaria.

Se una sentenza del 1967 (Cass. sez.II 24/10/1967) affermava che, in regi-me di separazione di fatto, la sottrazio-ne del figlio minore ad uno dei coniugiad opera dell’altro non fosse idonea adintegrare il reato di cui all’art. 574 c.p.,

altra sentenza dello stesso periodo(Cass. sez. VI 3/6/1969) sosteneva cheil reato fosse configurabile da partedella madre che sottraesse il minore alpadre, proprio in considerazione delmarginale e subordinato esercizio dellapotestà spettante alla genitrice.

Nell’ambito del processo di valoriz-zazione del minore, come portatore didiritti e non mero oggetto di protezione,si è fatto strada un indirizzo dottrinaleche ha ritenuto soggetto passivo deireati di cui agli artt. 573 e 574 c.p. anchela persona minorenne, sul presuppostoche la potestà viene esercitata non iureproprio, ma nell’interesse del minore,che pertanto è colui che viene diretta-mente danneggiato. Nell’ipotesi previ-sta dall’art. 573 c.p., che presuppone ilconsenso dell’ultraquattordicenne allasottrazione, si verserebbe, dunque, inuna delle ipotesi in cui l’interesse delquale è portatore il soggetto passivo delreato non è disponibile e viene perciòtutelato contro la sua stessa volontà(Manna 1993, Fiorella 1997).

In ultimo la Suprema Corte, vedasi inparticolare la sentenza del 12/2/2007, n.14102, ha stabilito che il delitto di sottra-zione di persona incapace è configurabi-le anche da parte di un genitore nei con-fronti dell’altro, dal momento cheentrambi sono contitolari dei poteri-doveri disciplinati dall’art. 316 c.c., e chela norma incriminatrice in questionepunisce tanto la “sottrazione” del minoredegli anni quattordici alla potestà deigenitori quanto una “specie” della sottra-zione stessa e cioè la “ritenzione” delminore contro la volontà dei genitori, chesi realizza con il ritenere indebitamente ilminore che si trova nella disponibilitàdell’agente per una causa lecita.

Entrambe le condotte sottraggono ilminore ai compiti di vigilanza e di edu-cazione riservati ai due genitori dall’or-dinamento nell’interesse del minorestesso e della società. L’affermazione ditale principio unitamente alla ritenutaconfigurabilità del delitto di sequestrodi persona concorrente con quello disottrazione di persone incapaci, sia nelcaso di infante privo di autonoma capa-cità di locomozione, sia in quello in cuinon venga espletata alcuna forma dicoercizione fisica sul bambino, assumeuna precipua rilevanza nella patologiadelle famiglie allargate e, soprattutto, diquelle multietniche o transnazionali.

Infatti, l’esigenza di garanzia delrientro in Italia del minore portato dalgenitore non affidatario con il consenso

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di quello affidatario per un breve sog-giorno in un’altra Nazione ha indotto laSuprema Corte ad affermare, nella pro-nuncia sopra richiamata, da un lato, cheil reato di cui all’art. 574 c.p. è da consi-derare plurioffensivo (perché lesivo deldiritto di chi esercita la potestà di genito-re e del diritto del figlio a vivere secondole indicazioni e determinazioni del geni-tore stesso) e, dall’altro lato, che essopuò concorrere con il reato di sequestrodi persona previsto dall’art. 605 c.p. poi-ché anche il minore è titolare del benegiuridico della libertà personale, costitu-zionalmente garantito, che può essereleso da qualsiasi apprezzabile limitazio-ne della libertà stessa intesa quale possi-bilità di movimento privo di costrizioni.

Su questo tema sarà interessanteverificare l’orientamento dellaSuprema Corte in casi simili a quelloche ha originato la pronuncia ricordata,laddove si sia però in presenza non diun affidamento esclusivo ad uno deiconiugi, ma di un affidamento condivi-so, regime divenuto normale dopo larecente novella legislativa.

La sottrazione internazionale deiminori è solo uno dei molteplici aspettidelle patologie familiari connesse con ilnuovo panorama etnico, culturale e

religioso conseguente all’immigrazio-ne da Paesi lontani e all’abbattimentodelle frontiere intracomunitarie. Lapoligamia, la concezione dei figli comeproprietà del padre, il ripudio, l’eserci-zio di mezzi vessatori di persuasioneper l’educazione religiosa, il figlicidioper la salvaguardia dell’onore, le muti-lazioni genitali, il rifiuto del consensoalla effettuazione di terapie su minori,necessarie per garantirne la sopravvi-venza, sono argomenti che sempre piùvengono trattati nelle aule di giustizia.

Tali condotte, che configurano reatianche gravissimi e non solo contro lafamiglia, sono commesse spesso conriferimento a valori religiosi o a conce-zioni della famiglia diverse da quellealle quali si ispira il sentire comune dellamaggioranza del contesto sociale italia-no. Escluso che, laddove i reati sianocommessi per ottemperare a precettireligiosi, possa essere invocata la scrimi-nante dell’esercizio del diritto costitu-zionale di praticare la propria religione,si è spesso discusso se dette motivazionipossano assumere rilievo sul piano cir-costanziale, nell’ambito della attenuantecomune di cui all’art. 62, n. 1, c.p. (reatocommesso per motivi di particolarevalore morale e sociale). Un simile pro-

blema si è più volte affrontato nel passa-to nei numerosi processi contro testimo-ni di Geova, relativamente al loro rifiutodel servizio militare e, per quanto riguar-da il tema della presente riflessione,rispetto alla omissione di cure per iminori non consentite da tale fede.

Così come da alcuni decenni in temadi delitto motivato dal fine di reintegra-re l’onore dell’offeso si è affermato cheper l’applicazione dell’attenuante inesame “non basta che l’agente abbia laconvinzione di perseguire un finemoralmente apprezzabile, ma è neces-saria l’obiettiva rispondenza del motivoa valori etici riconosciuti preminentidalla coscienza della collettività”(Cass. sez. I del 2/7/1971), anche conriferimento al sentire morale e religiosodi minoranze della popolazione, sisostiene che i motivi debbono corri-spondere in forma particolarmentesignificativa alla morale corrente inquel momento storico, in modo da smi-nuire l’antisocialità dell’azione crimi-nale e da riscuotere il consenso dellacollettività, non potendosi far discende-re automaticamente la meritevolezzadal solo fatto che una certa azione siastata dettata da ragioni di fede.

Silvana Fantini

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26la Pazienza

Sembra evidente che, per definireuna trasformazione, è necessario

partire da ciò che s’intende in generecon il concetto di “famiglia”: di cosaparliamo, o almeno di cosa abbiamoparlato fino a non molto tempo fa,quando parlavamo di famiglia? Qualisono gli elementi strutturali che lacaratterizzano e la specificano?

In un interessante libro (E. Scabini-R.Lafrate, Psicologia dei legami familiari,Bologna, Il Mulino, 2003), partendodalle due questioni fondamentali nellariflessione delle scienze psicosocialisulla famiglia – ovvero l’identità (checos’è la famiglia, come si definisce) e ilmutamento (come evolve) – e dopoun’attenta disamina delle varie posizioniespresse dalla psicologia, le autrici indi-viduano la specificità della famiglia neitipi di legame che la caratterizzano strut-turalmente e nell’obiettivo che essa sipone: essa ha il compito di dare formaalla struttura soggettiva dei nuovi nati, equesto attraverso una guida e un soste-gno che consentano loro di strutturare inmodo adeguato la propria personalità edi inserirsi adeguatamente nella realtàimparando man mano a conoscerla, aprenderla in conto per quello che essa è,a stabilire con essa una relazione suffi-cientemente sana e soddisfacente evitan-do chiusure o fughe patologiche.

A partire dalla mia esperienza tera-peutica mi sembra di poter dire che, perassolvere tale compito, la famiglia deveporsi (ed è proprio questo che possiamopensare come elemento strutturale chela caratterizza e la specifica) come illuogo all’interno del quale è possibiletrasmettere qualcosa di un limite, di unimpossibile, e che ciò può concreta-mente avvenire attraverso la circolazio-ne di un discorso in cui tutti i suoi mem-bri sono inseriti, vale a dire di un sim-bolico che preesiste alla famiglia e alquale tutti i suoi membri sono assogget-tati, simbolico che definisce dei posti,

dei ruoli e delle funzioni. Detto in altritermini: la famiglia è il luogo all’inter-no del quale, in un ambiente affettiva-mente ricco e gratificante che si prendecura di lui con amore, il bambino puòimparare, senza troppa fatica, ad accet-tare il fatto che non tutto si può, chesiamo inevitabilmente messi a confron-to con qualcosa che norma e pone unlimite al nostro desiderio nella misurain cui tale desiderio non può porsi comeassoluto ma deve fare i conti con quellodegli altri, che non siamo onnipotenti equindi inevitabilmente dobbiamo fare iconti con la rinuncia, la mancanza, laperdita di godimento. Cioè a dire: lafunzione della famiglia è quella di ren-dere familiare, e quindi accettabile, ilfatto che ci sia dell’impossibile; e talefunzione è strutturante per il soggetto,ossia dà forma alla struttura psichicasoggettiva e getta le basi per un’integra-zione non troppo difficile del bambinoin un contesto sociale più ampio.

Il problema è che ciò implica qualco-sa che può sembrare un paradosso. Ladimensione dell’impossibile, di cui lafamiglia consente al bambino di prende-re atto in modo concreto nel campo dellarealtà, è infatti ciò che nutre il desiderio,che ne è addirittura la condizione; direche la famiglia consente la nostra strut-turazione come soggetti significa direche ci forma come soggetti desideranti,destinati – ecco il paradosso, che è quel-lo stesso del desiderio – a rincorrere con-tinuamente il nostro desiderio, struttu-ralmente mai del tutto colmabile (inquanto non esiste l’oggetto “giusto” chelo colmerebbe completamente, che loestinguerebbe; e, del resto, se il desideriosi estinguesse, si estinguerebbe con essociò che ci tiene in vita) e quindi comesoggetti necessariamente votati ad unmargine di insoddisfazione e di scacco lacui accettazione è il prezzo da pagare perpoter sostenere un rapporto non patolo-gico con la realtà.

Accettazione che, già di per sé nonfacile, viene resa oggi sempre più diffici-le dalla trasformazione del contestosociale al cui interno la famiglia si collo-ca. L’elemento che maggiormente colpi-sce – per dirlo in estrema sintesi – mipare il passaggio, avvenuto nell’arcodegli ultimi decenni, da un’organizza-zione sociale verticale, in cui era ricono-sciuta l’autorità e l’autorevolezza deiPadri simbolici (Dio, lo Stato, il re, ilpresidente...) e della loro parola adun’organizzazione orizzontale, un fun-zionamento collettivo che sembra voler-si emancipare da ogni riferimento ad unaposizione di autorità, in cui ogni asim-metria e ogni gerarchia appaiono incon-grue. Il legame sociale sembra non costi-tuirsi più in nome di un’appartenenzasimbolica ma dello schieramento sottouna bandiera, che può essere abbando-nata in qualunque momento per sceglier-ne un’altra più confacente alla situazio-ne: quello che fa legame non è un riferi-mento simbolico – il riferimento a unanorma costituita che consenta di media-re tra posizioni diverse, garantendo unambito all’interno del quale i conflitti,anziché esplodere, possano trovare unamediazione – ma piuttosto un riferimen-to immaginario, una posizione inter-sog-gettiva, un “fare gruppo” poggiante sul-l’identificazione a quei personaggi chesembrano capaci di sbarazzarci delle“vecchie” modalità di rapporto realiz-zando un progetto di società senza padri,fatta di pari, di simili, di fratelli, e questoin nome di una libertà individuale chenon sopporta mediazioni né costrizioni.

Tale modificazione non è senza con-seguenze sulla strutturazione psichicadel soggetto, la quale implica necessa-riamente che venga riconosciuta lanecessità di una perdita di godimento,di una rinuncia pulsionale, l’accettazio-ne di un limite. Un sistema sociale rettosul riconoscimento dell’autorità delPadre simbolico sosteneva e veicolava

LE TRASFORMAZIONI DELLA FAMIGLIA

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tale necessità, la quale veniva letta (edera iscritta nell’immaginario collettivo)come limite imposto dal Padre e dal suocomandamento; e l’iscrizione di unimpossibile, l’interiorizzazione di uninterdetto aveva come contropartita, loabbiamo visto, la costituzione di séattorno all’inevitabile rinuncia pulsio-nale e dunque la lacerazione interiore.

Oggi assistiamo ad un doppio feno-meno:– da un lato si va nella direzione, se

non di eliminare, almeno di masche-rare questa necessità: basta pensareal discorso della scienza, che spostasempre più in là ogni limite, fino adilluderci di eliminarlo, o al liberismosfrenato che, mettendoci a disposi-zione sempre nuovi oggetti, ci illudeche si possa avere tutto;

– dall’altro, non essendoci più unPadre ritenuto imporla, essendociemancipati da ogni riferimento aduna posizione di autorità, è caduta lapossibilità, per il sociale, di renderevisibile e di supportare la necessitàdella perdita, del limite.L’unione di questi due fenomeni fa sì

che si tenda a credere che la perdita nonsia necessaria, non sia strutturale estrutturante per il soggetto, e che dun-que nulla sia impossibile. Se il prezzo

da pagare per la propria strutturazionesoggettiva fino a poco tempo fa eral’autolimitazione e la conseguente lace-razione interiore, oggi sembra essere inatto il rifiuto di tale modalità con la con-seguente impossibilità di fare dellescelte (nella misura in cui sceglieresignifica necessariamente perdere qual-cosa) assumendosene il rischio e laresponsabilità: siamo cioè passati da unsintomo a un altro.

Come incide tutto questo sulla fami-glia?

Fino a non molto tempo fa la fami-glia era considerata la forma nuclearedel legame sociale regolamentata dalloStato e dalla Chiesa, il tassello di unordine che da più parti veniva invocatocome uno dei mattoni costitutivi dellaconvivenza civile. Non tutti si ricono-scevano in questo modo di funziona-mento: anche senza evocare la continuatrasgressione individuale dell’ordinericonosciuto (trasgressione che consi-dererei piuttosto come pilastro fondan-te della permanenza dell’ordine stesso),c’era chi militava per il diritto indivi-duale alla “libera” convivenza, alla“libertà” dei rapporti tra gli uomini, alla“libertà” dei rapporti degli uomini conle donne, alla “libertà” dei rapporti trale donne e alla “libertà” dei rapporti tra

uomini, donne e i loro eventuali figli.La parola “libertà” è sempre virgoletta-ta perché mi pare, e non vedo comepotrebbe essere diversamente, che l’i-dea di “libertà” sia un’idea che nascecontro. Oggi direi che siamo invece inpresenza dell’aspirazione a vedere rico-nosciuto dalla legge il proprio dirittoindividuale, qualunque esso sia, e lalegge è chiamata a prendere atto e ariconoscere tale inalienabile diritto:non si tratta più di chiamarsi fuori dallalegge in nome di una propria scelta,politica, ideologica o sessuale, si trattapiuttosto di domandare alla legge dinon esser più tale, di non produrre bar-riera tra che è dentro e chi è fuori: il sog-getto sembra rifiutarsi di essere “sog-getto a” ed aspira piuttosto ad essere“soggetto di”, soggetto dei propri dirit-ti e fonte della propria autoaffermazio-ne, senza riconoscere alcun limite.

Vorrei provare a sintetizzare tre ele-menti che mi sembrano rendere visibilequesta differenza.

Il primo, e forse il più evidente, ècostituito dal fatto che, non essendo piùindissolubile e finalizzato alla riprodu-zione, il matrimonio si è trasformato da“patto sociale” in “impresa personale”, alcui centro si pone oggi il legame senti-mentale affettivo di coppia: da una parte

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si assiste a un forte investimento in talerapporto e nella richiesta di intese e con-divisioni potenzialmente coinvolgentitutti gli aspetti della vita, dall’altro si èaffievolito l’aspetto sociale e istituziona-le del vincolo: la coppia si fa “norma a sestessa” e diventa autoreferente, la fami-glia istituzionale diventa una famiglia“intimizzata”. Ciò comporta un parados-so: da un lato, infatti, la coppia è sogget-ta a una precarietà sempre incombente (ilvincolo si rappresenta fin da subito comenon necessariamente duraturo), dall’al-tro essa è vista come un referente centra-le, ci si rappresenta la vita adulta comevita di coppia, si considera la vita di cop-pia un ideale altamente desiderabile. Lasua fragilità è così il frutto sia di troppoelevate aspettative, più facilmente sog-gette a delusioni, sia dello sbilanciamen-to della relazione sul versante affet-tivo/espressivo a scapito di quelloetico/normativo e di impegno del patto. Eforse proprio questo sbilanciamento puòaiutarci a capire la fortissima conflittua-lità che sempre più spesso accompagnale separazioni: se infatti già durante laconvivenza l’aspetto simbolico del pattonon costituiva un elemento dominante,perché pensare che un patto, sia purediverso, possa funzionare una volta finitala convivenza, nel tentativo di salvaguar-dare il benessere dei figli?

Un secondo elemento mi sembracostituito dal fatto che anche nei con-fronti dei figli si è verificata un’analogatrasformazione: anch’essi non sono piùil frutto – come avveniva fino a una tren-tina di anni fa – di un imperativo sociale

che affidava alla famiglia il compito diperpetuare la specie e di fornire nuovimembri alla comunità attraverso lariproduzione e l’educazione, tesa a faredei nuovi nati degli esseri adeguati allasocietà, ma sono frutto di un desiderioprivato, del legame sentimentale affetti-vo di coppia: oggi i figli si fanno per sé,perché li si vuole e quando si vuole. Èuna trasformazione che si presenta comeuna medaglia a due facce: da un lato,infatti, assistiamo ad una drastica dimi-nuzione delle nascite, dall’altro al ricor-so sempre più frequente a varie tecnichedi riproduzione assistita e all’adozione,ad una ricerca a volte quasi ossessiva diun figlio “a tutti i costi”, sostenuta dall’i-dea sempre più diffusa del “diritto ad unfiglio”: si è cioè passati, nell’arco di unatrentina di anni, da una situazione diimpotenza e di destino subito a unasituazione di controllo e di sfida al desti-no. Quali effetti produce tutto questo?Non sono di poco conto le conseguenzeche un così forte investimento affettivoavrà sui genitori, sulle loro aspettative(dal “figlio che desidero” al “figlio cosìcome lo desidero” il passo è breve), sulledelusioni che queste potranno eventual-mente subire. E conseguenze altrettantopesanti ciò avrà sui figli, messi nellacondizione di dover rispondere a taliaspettative e a un’impegnativa immagi-ne di sé (“sono quello che i miei genitorihanno voluto?”), sospesi al senso dellapropria contingenza e della propria pre-carietà (“avrei anche potuto non esserevoluto”) e a un continuo bisogno di con-ferma di quel desiderio da cui sono nati.

E mi sembra che proprio la concezionedel figlio come “diritto” provochi le veree proprie guerre, senza esclusione dicolpi, alle quali assistiamo spesso insituazioni di separazione per accaparrar-sene l’affido.

Guerre che spesso utilizzano anche,per conseguire la vittoria, quello checostituisce, a mio parere, un terzo ele-mento importante di differenza, vale adire il modo non solo di vivere maanche di concettualizzare la famigliacui oggi assistiamo: essa non è più vistacome una struttura della parentelaincentrata sull’autorità di genitori o illuogo di passaggio dalla natura alla cul-tura attraverso interdetti e funzioni sim-boliche, ma come il luogo di un poteredecentrato e dai molti volti, un potereorizzontale equamente distribuito fratutti i membri, senza distinzione diruoli: la famiglia si configura come unnucleo fraterno, senza gerarchia néautorità e soprattutto senza disimme-trie, in cui i genitori sembrano abdicarealla propria responsabilità educativa,inevitabilmente foriera di conflitti, afavore di un clima di amicizia e in nomedei “diritti” dei bambini. Bambini che,da un lato, sembrano non essere piùconsiderati dei piccoli che bisognasocializzare, umanizzare, educare, per-ché possano divenire soggetti, ma finda subito soggetti a tutti gli effetti, allostesso titolo degli altri membri dellafamiglia e della società; e, dall’altro eparadossalmente, vengono sovrainve-stiti (in quanto ardentemente desidera-ti) e iperprotetti, nel tentativo di metter-li al riparo da ogni fatica, frustrazione ecostrizione ritenute dannose al loro“libero” sviluppo, rendendo difficilissi-ma l’accettazione della realtà cheincontrano fuori dalla famiglia. Ed èsempre più frequente incontrare genito-ri che, nella guerra che li oppone inmerito all’affido, fanno ricorso al“diritto” del figlio di esprimere il pro-prio parere, di “scegliere” un genitorepiuttosto che l’altro, inconsapevolidella sua impossibilità di farlo e del-l’angoscia in cui tale richiesta lo getta.

Sono solo alcune delle questioni conle quali l’epoca in cui viviamo ci mettea confronto. E l’apporto che al loroapprofondimento può offrire lo scam-bio fra competenze diverse può aiutaretutti a muoversi con un po’ più di con-sapevolezza, evitando sia gli inutilipessimismi sia le pericolose illusioni.

Elena Sormano

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29la Pazienza

Thomas Beatie era una donna contendenze omosessuali fino a dieci

anni fa e si chiamava Tracy; incontratala sua attuale compagna – Nancy –decise di cambiare sesso, mantenendoil suo apparato riproduttivo; non poten-do Nancy avere figli, Thomas-Tracy èriuscito ad avere la gravidanza con unadonazione di sperma congelato; unprimo tentativo è fallito con un aborto,ma il secondo – come si vede chiara-mente dalla foto – è andato a buon fine;Thomas-Tracy ha dichiarato: “Sonouna persona ed ho diritto ad avere unmio figlio biologico”.

In una società dove tutto diventa spet-tacolo, Thomas-Tracy ha fatto un grandeeffetto comparendo nel seguitissimotalk-show condotto da Oprah Winfrey,che lo ha presentato dicendo “questocaso rappresenta una nuova definizionedi quel che significa la diversità”.

La storia di Thomas-Tracy, con i suoievidenti interrogativi etici, soprattuttonella prospettiva dello status del nascitu-ro e dell’impatto psicologico che potràsubire quando Thomas – come ha affer-mato – le dirà (si tratta infatti di unabimba) come è venuta al mondo, fa tor-nare in mente un’altra vicenda, conosciu-ta come la “Storia del bimbo che qualcu-no volle bimba”: Bruce Reimer nato il 22agosto 1965, a Winnipeg, in Canada.

Bruce, sottoposto a circa due anni dietà ad un banale intervento per ovviaread una fimosi, ebbe il pene completa-mente bruciato da una cauterizzazionedisastrosamente eseguita dal medico; igenitori si chiusero in un isolamentoassoluto sin quando non incontraronoJohn Money, chirurgo esperto di cam-bio del sesso presso il Johns HopkinsHospital di Baltimora, che li convinsedi trasformare il loro bambino in unabimba: non più Bruce ma Brenda.

Per il dottor Money, teorico militantedella tesi secondo cui l’identità di genere

è socialmente costruita e assolutamenteindipendente dal sesso genetico, Bruceera l’occasione perfetta per dimostrare lavalidità delle sue tesi: il 3 luglio 1967asportò i testicoli di “Brenda” e modellòlo scroto dandogli la forma di grandi lab-bra, ordinò poi ai genitori di vestirlacome bambina, trattarla da bambina, par-larle come si parla ad una bambina.

Brenda-Bruce però non ci stava: gio-cava da maschio, si picchiava con gliamichetti di suo fratello gemello, face-va la pipì in piedi: la vicenda (verifica-bile cercando Money su Google; vede-re in particolare Wikipedia; cercareanche notizie su As Nature Made Him illibro che ha raccontato questa terribilestoria) si complica con la crescita diBruce-Brenda ed avrebbe aspetti comi-ci su cui sorridere se non fosse per il suoesito tragico. Le visite presso il dottorMoney continuavano ed il dottore letentava tutte per indirizzare la sua“creatura” verso la femminilità, maquando tentò di farla incontrare con untransessuale Bruce-Brenda, aveva tre-dici anni quando ciò avvenne, fuggìminacciando di suicidarsi se i genitorigli/le avessero imposto un nuovoincontro con il dottor Money; due annidopo il padre confessò la verità, cosìBrenda seppe di essere Bruce; tentò direcuperare i caratteri maschili con laricostruzione chirurgica del pene, tentòanche di uccidere il medico che loaveva mutilato quando era bambino,infine il 5 maggio 2004 si è suicidato,mentre il dottor Money – morto nel frat-tempo il 7 luglio 2006 – era acclamatocome uno dei più affermati psicoses-suologi americani, divenendo anche ilportabandiera della teoria secondo cuila pedofilia non sempre sarebbe sinoni-mo di violenza sui bambini.

Questi sono solo due esempi dellenuove ed inquietanti frontiere del dirit-to, che vedranno avvocati e giudici

impegnati a trovare – sotto la poderosaazione degli interessi economici chesostengono la “tecnoscienza” – il confi-ne del giusto nel possibile.

È questo lo scenario creato dall’incon-tro tra le nuove tecniche e la cosiddettateoria del gender, del “genere”, secondocui le distinzioni sessuali sarebbero fruttoesclusivamente della cultura di un paese edi un’epoca determinati; mentre il termine“sesso” è tratto dalla natura, il termine“genere” è tratto dalla linguistica, in cuicome è noto si distinguono tre varianti:maschio, femmina e neutro; le differenzetra l’uomo e la donna sarebbero mere dif-ferenze culturali: “il genere è una costru-zione culturale; di conseguenza non è néil risultato causale del sesso, né è tantoapparentemente fisso come il sesso ... ilgenere è una costruzione radicalmenteindipendente dal sesso, il genere stessoviene ad essere un artificio libero da vin-coli, di conseguenza uomo e maschilepotranno essere riferiti sia a un corpofemminile, sia a uno maschile; donna efemminile sia a un corpo maschile sia auno femminile” (Judith Butler, femmini-sta radicale, docente a Berkeley, inGender Trouble. Feminism and theSubversion of Identity, Routledge, NewYork; a sua volta criticata da chi, ancorapiù radicalmente, nega ogni incidenzadella dimensione biologica).

Nature or nurture? Natura o educa-zione? La nostra identità di genere, ossiala coscienza dell’appartenenza a undeterminato sesso, delle differenze conl’altro sesso, dei fattori psicologici e cul-turali connessi al ruolo che gli individuidi un sesso o dell’altro svolgono nellasocietà, è inscritta profondamente nellanostra natura o piuttosto è “socialmentecostruita”, frutto dell’apprendimento,come affermano da decenni attive cultu-re femministe e gay che accusano ilmaschio di aver progettato la società

la Pazienza

Famiglia: problemi attualied emergenti

CAPACI DI TUTTO?Suggestioni e pericoli dell’ideologia gender

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occidentale allo scopo di conservare pri-vilegi economici e sociali? Alcunerecenti notizie su cui riflettere: un giudi-ce spagnolo di Algeciras ha stabilito chein una coppia lesbica unita in matrimo-nio (in Spagna dal 2005 si può) ha dirit-to a essere riconosciuta automaticamen-te come madre non solo la donna che hapartorito un bambino da fecondazioneartificiale, ma anche l’altra, che fino aoggi doveva ricorrere all’adozione; laCommission on Parenthood’s Future,organizzazione indipendente americana,in un suo rapporto (“Revolution inparenthood. The emerging global clashbetween adult rights and children’sneeds”, a cura di Elizabeth Marquardt inwww.americanvalues.org/parenthood/parenthood.htm) sottolinea come “ilmodello che prevede due persone, unamadre e un padre, è oggetto di cambia-menti finalizzati ad assicurare il dirittodegli adulti alla procreazione, anziché atutelare il bisogno dei bambini di cono-scere la propria madre e il proprio padre,e di essere da essi allevati”.

Il rapporto segnala – tra i tanti esempiche confortano tale affermazione – che inCanada si prevede la sostituzione, nellalegislazione federale, del termine “genito-re naturale”, con la dizione di “genitorelegale” e che in Spagna, da quando è

diventato legale il matrimonio tra personedello stesso sesso, nei certificati di nascitasi legge ora “progenitore A” e “progenito-re B” e non più padre e madre (e del restoin Massachusetts, nei certificati di nozze,non c’è più scritto “moglie” e “marito” ma“parte A” e “parte B”); mentre in NuovaZelanda si sta considerando la possibilità,per i nati da donazione di gameti, di unatrigenitorialità legale per il padre e lamadre committenti e per il donatore, e cheun’idea simile è al vaglio in Irlanda, alloscopo di garantire alla donna che affittal’utero un ruolo materno legalmente rico-nosciuto, sempre in aggiunta alla madrecommittente e al padre. Sono solo alcunitra le decine di esempi condensati nelle 44pagine dello studio della Commission onParenthood’s Future. Tutti indicano unforte ruolo degli Stati nella forzata ridefi-nizione del termine “genitore”.

In questa prospettiva, i termini“madre” e “padre” sono poco meno cheinsulti, ciarpame da azzerare con defini-zioni meno biologicamente deterministi-che, mentre la via della liberazione passaper la possibilità di costruire ciascuno ilproprio “genere”: un’operazione chesembra una sorta di bricolage identitario,nel quale la natura (l’essere nati maschi ofemmine) è qualcosa di cui sbarazzarsi alpiù presto e senza rimpianti.

Le teorie sul “genere” hanno avutoinfluenza anche in campo giuridico,come approfondito in un interessantearticolo della prof. Maria RosariaMarella (Diritto e donne, in Pòlemos –diretta dal prof. Pier GiuseppeMonateri – 1/2007, pag. 105) che mettebene in evidenza le diverse anime ed idiversi obiettivi del c.d. femminismogiuridico: l’ala liberal, che si batte perl’uguaglianza formale e predica la sim-metria fra i sessi, quindi anche la garan-zia di diritti simmetrici, le pari-oppor-tunità; il suo obiettivo è quello di aboli-re la diversità di trattamento e con essalo stereotipo della inferiorità culturaledella donna; il femminismo culturale diCarol Gilligan, che muove dalle pecu-liarità morali delle donne e afferma ladifferenza femminile come valore; ilfemminismo radicale di CatharineMacKinnon, largamente ispirato almarxismo che ispira l’analisi dellasubordinazione della donna non dalpunto di vista economico ma sessuale:“il genere è l’indice di un potere basatosulla sessualità: il sessismo che produ-ce è un fatto del tutto indipendentedalla biologia, è un fatto unicamentesociale” (Femminism Unmodified,Harvard University Press, 1987).

In un numero de la Pazienza intera-mente dedicato alla famiglia ed alle

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tematiche che la coinvolgono, ritengoinevitabile accennare – e solo di accen-no si tratta stante la complessa vastitàdei problemi che si porta dietro – allateoria del gender, in particolare alleprospettive non sempre serene dell’in-contro di tale ideologia, con la suacapacità di forzare la realtà ad unmodello, con le scoperte della tecnicain campo genetico che stuzzicano l’e-terna tentazione dell’Uomo di diventa-re padrone della vita e della morte.

Avvocati e Magistrati devono pren-dere atto che si sta proponendo unanuova frontiera per i diritti dellaPersona, con un impatto rivoluzionariosul nostro tessuto sociale, non sottraen-dosi ad una lettura critica di tale feno-meno se necessaria per la costruzione diuna società che corrisponda ad una cor-retta visione antropologica e che – purcon le variabili anche dolorose propriedella natura e delle vicende umane –possa consentire a ciascuno il maggiortasso di possibile felicità.

PERSONA e DIRITTI sono semprestati al centro dell’azione del giurista, inparticolare di chi si occupa di famiglia,che è il luogo dove abitualmente la per-sona cresce e prende coscienza del suostesso esistere e delle sue relazioni

(limiti) con gli altri, come ben illustratodalla dott.ssa Elena Sormano nel suoarticolo in questo numero, ma la fami-glia che conosciamo, pur con le modifi-cazioni che il variare dei costumi ha por-tato, è quella dell’art. 29 dellaCostituzione (“società naturale fondatasul matrimonio”), ovvero dallo spirito edalla lettera della Convenzione suiDiritti del Fanciullo di New York del20.11.1989, sempre vista come soggettocomplesso, mentre le tendenze in atto –in cui un ruolo fondamentale ha la teoriadel gender, privilegiano una visioneprettamente individualistica e materiali-stica in cui “avere” ed “essere” si intrec-ciano in maniera inquietante: “Sono unapersona ed ho diritto ad avere un miofiglio biologico”, dice Thomas-Tracy.

In un recente articolo comparso suL’Osservatore Romano, partendo dal-l’esame della contingenza economicama con un approccio che ha senza dub-bio portata più generale, Ettore GottiTedeschi, Presidente del banco diSantander Italia, scriveva: “Lo sviluppoè squilibrato quando è troppo tecnolo-gico e poco spirituale. E poiché l’uomonon è solo materia ma anche spirito,non solo corpo ma anche anima, comemeravigliarsi se uno sviluppo solo tec-nologico, trascurando l’aspetto spiri-

tuale, non riesce a soddisfare l’uomo?Come meravigliarsi se l’uomo di questitempi pensa solo ai suoi diritti, soprat-tutto se acquisibili a breve termine, eritiene di essere autorizzato a fare qual-siasi cosa, se si sente creatore di se stes-so, autonomo e onnipotente? ... Se l’uo-mo rinuncia a pensare e si limita adagire, senza domandarsi se ciò che fa èbene o male, il pensiero di quest’uomonon saprà influenzare il suo comporta-mento, cosicché a poco a poco sarà alcontrario il suo comportamento ainfluenzarne il pensiero.”

Ed oggi i diritti della Persona sonoinfluenzati dall’evoluzione delle cono-scenze scientifiche e dalle loro applica-zioni tecniche, che assicurano risultatiimpensabili: se giusto e possibile coinci-dono, la genetica può divenire eugeneti-ca e le nuove bioingegnerie possonomettersi al servizio di una visione consu-mistica in cui “nulla sia impossibile”,come rilevato dalla dott.ssa Sormano.

È quindi obbligatoria una riflessione,che dovrà avere carattere interdisciplina-re, per considerare come ad ogni dirittoaffermato possa corrispondere un dannosubìto e come i bambini sono sempre isoggetti più deboli: una bella dose dibuon senso è fortemente consigliata.

Stefano Commodo

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32la Pazienza

Prima dell’entrata in vigore dellalegge sull’affido condiviso (L. n.

54 del 2006), la situazione era chiara:dei figli legittimi si occupava ilTribunale Ordinario che, in forza del-l’art. 155 c.c. e all’interno della proce-dura di cui agli artt. 706 e seguentic.p.c., disponeva, in punto affidamen-to, regime di visite al genitore non affi-datario, assegnazione della casa coniu-gale e contributo al mantenimento deifigli.

La tutela dei figli naturali era, inve-ce, divisa tra il Tribunale per iMinorenni, che si occupava dell’affi-damento e regime di visite al genitorenon affidatario (e ciò tramite un’inter-pretazione ampia dell’art. 317 bis c.c.e con il rito di cui all’art. 336, ultimocomma, c.c.) e il Tribunale Ordinarioche, in forza dell’art. 148 c.c.(anch’esso utilizzato in modo ampio,anche per la semplice liquidazione delcontributo al mantenimento) o degliart. 443-446 c.c. sugli alimenti, sioccupava delle questioni economiche.

La legge 54 del 2006 sembra, final-mente, avere attuato quel “... processounitario che coinvolge il momentodella sorte dei figli comuni e quellodella regolazione dei rapporti patri-moniali relativi al mantenimento dellaprole” auspicato dalla CorteCostituzionale nella sentenza n. 166del 1998.

L’art. 4 prevede, infatti, che: “Ledisposizioni della presente legge –che ricordiamo sono sia sostanzialiche processuali – si applicano anche

in caso di scioglimento, di cessazionedegli effetti civili o di nullità delmatrimonio, nonché ai procedimentirelativi ai figli di genitori non coniu-gati”.

Tralasciando le opposte interpreta-zioni della disposizione in esame datedai Tribunali ordinari e minorili nel-l’imminenza della pubblicazione dellanorma, si deve ricordare che la Cortedi Cassazione, chiamata a dirimere ilconflitto di competenza negativosorto, tra gli altri, tra i TribunaliOrdinario e Minorile di Milano, conuna ordinanza (n. 8362 del 3 aprile2007) ha statuito: “La contestualitàdelle misure relative all’eserciziodella potestà e dell’affidamento delfiglio da un lato, e di quelle economi-che inerenti il loro mantenimento dal-l’altro, prefigurata dai novellati arti-coli 155 e ss. c.c., ha peraltro determi-nato – in sintonia con l’esigenza dievitare che i minori ricevano dall’or-dinamento un trattamento diseguale aseconda che siano nati da genitoriconiugati o meno, oltre che di esclude-re soluzioni interpretative che com-portino un sacrificio del principio diconcentrazione delle tutele, che èaspetto centrale della ragionevoledurata del processo – una attrazione,in capo allo stesso giudice specializ-zato, della competenza a provvedere,altresì, sulla misura e sul modo con cuiciascuno dei genitori naturali devecontribuire al mantenimento delfiglio”.

La Corte, in sostanza, ha sostenuto

che: l’art. 155 c.c., modificato dallalegge 54/2006, riplasma (e non abro-ga, come altri avevano sostenuto) l’art.317 bis c.c.; il 317 bis c.c. è di compe-tenza del T.M. in forza dell’art. 38disp. att. c.c. che non è stato modifica-to; vi è, in ogni caso, necessità di evi-tare disuguaglianze processuali trafigli legittimi e naturali, anche nelrispetto del principio della “concen-trazione delle tutele”, che deriva dallanorma costituzionale (art. 111 Cost.)sul giusto processo ed ha a che fareanche con il criterio della “ragionevo-le durata del processo”.

Dal 3 aprile del 2007, ovvero circada un anno, dunque, è pacifico (?!) chela competenza a decidere sulle que-stioni di affidamento, diritto di visita,contributo al mantenimento ed asse-gnazione della casa coniugale nellacrisi delle coppie di fatto è delTribunale per i Minorenni, nel casoche ci occupa, di Torino, quantomenoquando le domande siano propostecontestualmente.

Eccomi, dunque, al punto esclama-tivo ed interrogativo lanciato nel para-grafo precedente.

Vi è, infatti, da sottolineare che, acontrario, ovvero quando le domandenon siano proposte congiuntamente,ad esempio quando le parti abbiano giàin precedenza raggiunto un accordo oabbiano ottenuto un provvedimentosulle questioni relative ad affido e visi-te, ci si dovrebbe, invece, rivolgere,per la decisione sulle sole questionieconomiche, al Tribunale Ordinario,

FIGLI LEGITTIMI E FIGLI NATURALI NELLA CRISI DELLA COPPIA GENITORIALE: tutele processuali e prassi nel distretto della Corte di Appello di Torino

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ma così non è o perlomeno così non èin tutti i Tribunali del distretto dellaCorte di Appello.

Se, infatti, i Tribunali cosiddettiminori hanno continuato tranquilla-mente a statuire sui ricorsi ex art. 148c.c., in ossequio ad una marcata ten-denza dei colleghi dei loro Fori a risol-vere, anche con qualche forzatura, inmodo bonario le questioni legate adaffido e visite dei loro assistiti pur dinon sobbarcarsi la fatica ed i costi dicondurre la causa a Torino avanti alTribunale per i Minorenni, non così ilTribunale Ordinario di Torino.

Con una sentenza 2/7-28/8 del2007, ampiamente e coerentementemotivata la nostra Settima SezioneCivile sostiene al contrario che: “Ledue questioni, relative all’aspettoeconomico del mantenimento e all’af-fidamento e alla regolamentazionedegli incontri con il genitore non con-vivente, sono strettamente intrecciatee le valutazioni da effettuare per ladecisione in ordine alla previsione diun assegno a carico del genitore nonconvivente sono inscindibili dall’a-spetto riguardante l’affidamento, lacollocazione prevalente del minore ele modalità e i tempi di incontro con ilgenitore non convivente, secondo icriteri previsti dall’art. 155 comma 2e comma 4 cod. civ. sopra riportati;stretto intreccio e inscindibilità divalutazione evidenziati dall’ordinan-za della Corte di Cassazione. Solouna soluzione che ravvisi la compe-tenza del Tribunale per i Minorenniper tutte le controversie relative almantenimento dei figli minori natura-li, siano esse proposte unitamentealla domanda di affidamento o sianoproposte separatamente, è conformeai principi enunciati dall’ordinanzadella Suprema Corte ed in particolareai principi costituzionali di egua-glianza e di concentrazione delletutele”.

Purtroppo, però, il TribunaleMinorile non regge il gioco e, conprovvedimento in data 5 luglio 2007, asua volta si è dichiarato incompetentecon la seguente motivazione: “... rite-nuto che questo Tribunale non è com-petente a decidere in ordine al ricorsopresentato, in quanto esso involgeesclusivamente questioni di carattereeconomico non contestuali a quellasull’affidamento, a nulla rilevando

che quest’ultima sia stata precedente-mente stabilita dal Tribunale per iMinorenni”.

Quindi, per fare un bilancio su que-sto primo punto, nel nostro distretto diCorte di Appello non è ancora statarealizzata una piena parità di tutela deifigli naturali rispetto a quelli legittimi(anzi al momento i figli naturali chenecessitino di sole disposizioni econo-miche non sanno a che giudice rivol-gersi, tanto che, pare opportuno, sug-gerire ai colleghi di presentare ricorsial T.M. chiedendo, unitamente allaliquidazione o revisione dell’assegnodi mantenimento, anche una qualcheseppur minima modifica in punto affi-do o visite, in modo da radicare concertezza la competenza ed evitaresituazioni di denegata giustizia).

Vi sono altri punti, invece, sui qualila tutela giudiziaria resta differenziatama non necessariamente a sfavore deifigli naturali.

Occorre ricordare, infatti, che nelluglio del 2008 è entrata in vigore, asorpresa e dopo anni di rinvii, la parteprocessuale della legge sull’adozione– legge 149 del 2001 –, la quale haprofondamente innovato il processoper la dichiarazione di adottabilità deiminori in stato di abbandono, renden-dolo più consono all’art. 111 Cost. emodificando anche l’art. 336 c.c., conl’introduzione dell’obbligo della dife-sa tecnica di tutte le parti coinvolte,compreso il minore.

Tralasciando le complesse questio-ni sulla difesa del minore, deve, dun-que, sottolinearsi che oggi i due geni-tori naturali che intendano regolamen-tare la cessazione della loro conviven-za, anche se sono d’accordo, debbonopresentarsi avanti al TribunaleMinorile muniti di difensore, a diffe-renza dei coniugi che, per una inter-pretazione per nulla condivisa da chiscrive dell’art. 707, 1° comma, c.p.c.,a sua volta modificato dal cosiddettodecreto competitività, possono, quan-tomeno a Torino – non così in tutti iTribunali del distretto – proporre dasoli il ricorso e presentarsi alPresidente senza l’assistenza deldifensore, con tutti i noti soprusi neiconfronti delle parti emotivamente oeconomicamente più deboli.

Sotto il profilo della difesa tecnica,dunque, i figli naturali sono oggi invantaggio rispetto a quelli legittimi.

Vi è un altro punto che, recentemen-te, fa segnare un importante vantaggioalla tutela dei primi: si tratta dellaprassi e dei tempi processuali previstial T.M. a seguito della nuova gestionedelle questioni relative agli artt. 317bis c.c. fortemente voluta dal nuovoPresidente, dott. Fulvio Villa.

Il dott. Villa, infatti, superata la pre-cedente organizzazione tabellare cheprevedeva che le cause ex artt. 317 bise 155 c.c. venissero smistate tra imagistrati secondo un criterio di ripar-tizione territoriale, ha organizzato ungruppo di giudici, tra cui lui stesso,che si occuperanno di tutte le cause dicessazione della convivenza, indipen-dentemente dalla residenza delle parti,quantomeno fino all’emissione di unprovvedimento provvisorio.

È dunque previsto che, per i ricorsipresentati successivamente al 1°marzo 2008, sia emesso un decreto cheprevede: la data di fissazione dell’u-dienza entro 60 giorni dal deposito, iltemine di notifica del ricorso e decretoal convenuto (entro giorni 30 dall’u-dienza), il termine di costituzione delconvenuto 10 giorni liberi prima del-l’udienza di comparizione (che saràtenuta, a seconda delle problematichedibattute dai magistrati togati o onora-ri), l’ordine alle parti di produrre ladocumentazione fiscale (e nella speciei modelli fiscali degli ultimi due anni),l’avviso che le parti possono rivolger-si alla mediazione familiare con alcunidettagli su come funziona e gli indiriz-zi utili per individuare i centri dimediazione presenti sul territorio,l’avviso alle parti che debbono farsiassistere da un difensore con l’indica-zione dei requisiti per il patrocinio acarico dello Stato. Nel decreto vieneanche concesso un termine successivoall’udienza di comparizione di giorni10 per le memorie conclusive e di gior-ni 5 per le repliche e viene indicata ladata in cui la questione verrà discussain Camera di Consiglio.

Non c’è dubbio, dunque, che, tenu-to conto dei tempi di attesa di quat-tro/cinque mesi, per ottenere un’u-dienza di separazione, quantomenoavanti al Tribunale di Torino, la prassiinstaurata vede la tutela dei figli natu-rali primeggiare nettamente su quelladei figli legittimi.

Giulia Facchini

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viviamo e con i temi che si fanno piùurgenti del c.d. sviluppo sostenibile.

Così da un lato si presta sempre piùattenzione agli aspetti ecologici(quanto al riscaldamento, all’uso dellecose, agli acquisti anche dei beni diprimo consumo), dall’altro si possonoprevedere servizi “condominiali”comuni: ad esempio di baby sittingovvero di assistenza alle persone, percondizioni di salute o per età, piùbisognose di accudimento.

Quanto al condominio solidaleanche in questo caso, come le parolestesse attestano, siamo in presenza diun modello di comunità di vicinato.

Che però vede le famiglie che scel-gono di andare a vivere nello stessostabile fare fin da subito una scelta dicondivisione più profonda anche divita.

Si va oltre gli spazi fisici e le atti-vità condivise solo dai membri dellacoabitazione; si guarda all’esterno, inparticolare nella direzione di coloro iquali/le quali, a cagione delle propriecondizioni personali si trovano più indifficoltà.

Gli spazi comuni sono così deputa-ti all’incontro anche con queste perso-ne, e per loro possono essere tenuti adisposizione anche uno o più apparta-menti per soggiorni temporanei.

È quanto ad esempio accade aTorino dal 2005 nell’esperienza dicondominio solidale di Corso Farinidi cui fanno parte 7 famiglie.

L’esperienza nasce nel solco diun’associazione – ACF ovveroAssociazione Comunità e Famiglia –nata in Italia oltre 30 anni fa e che sipropone un modello di condivisione

anche materiale (nel senso che coloroche partecipano al progetto condivi-dono i loro guadagni traendo poi dallamassa comune quanto ogni nucleofamiliare ritiene gli abbisogni) e desti-nando ciò che eventualmente restavolta a volta all’Associazione così daconsentire a questa l’investimento inaltri progetti comunitari.

La finalità è quella di superare ladifficoltà del nostro tempo caratteriz-zata dalla frammentazione socialeinstaurando relazioni di tipo “familia-re” tra i membri del progetto e nelleforme di famiglia allargata (ad esem-pio attraverso affidi familiari ovvero,come si diceva, con l’accoglienza diterzi in difficoltà).

A tal fine nell’immobile ci sonoaltresì due appartamenti disponibiliper accoglienze di lungo e medioperiodo.

La circostanza che l’immobile inquestione sia di proprietà del Comunedi Torino, al quale viene perciò corri-sposto l’affitto, rende questo esempioal contempo rappresentativo di unnuovo percorso svolto negli ultimianni dal nostro Comune (e da moltealtre amministrazioni locali) in temadi politiche abitative.

Si cerca attraverso questa, ed altreforme, di dare una risposta a situazio-ni in cui l’emergenza abitativa è solouno degli aspetti del disagio, cometale non risolvibile con la sola via del-l’edilizia residenziale pubblica.

Sempre a Torino il Comune ha cosìfatto nascere nel 2000 il servizio“Locare”: si aiutano le famiglie in dif-ficoltà a trovare un contratto d’affittostimolando l’offerta con il riconosci-mento ai proprietari di alloggi di

la Pazienza

Afronte delle profonde trasforma-zioni che, nel mondo occidentale

in particolare, ha conosciuto e cono-sce la vita familiare, se si assumequale modello tradizionale quellonobiliare e borghese cittadino da unlato e quello contadino di fine ‘800inizi ‘900 dall’altro, si assiste allo svi-luppo di nuove forme di vita comune ecomunitaria.

Volendo semplificare, e di molto,ciò può essere ricondotto tanto allavolontà di ottimizzare la propria qua-lità di vita quanto a quella di offrirenuove risposte ai desideri ed ai biso-gni di condivisione e solidarietà.

Non si tratta ovviamente di feno-meni completamente nuovi, la storia ècaratterizzata da vicende di vitacomunitaria, ma vi sono degli aspettiper certi versi di novità ovvero diritorno all’antico secondo nuovi para-digmi.

Ciò posto vediamo due di questeforme, senza la pretesa ovviamente diesaurire un argomento vastissimo, ecominciamo dal cohousing.

Il termine sta ad indicare unità abi-tative composte da più abitazioni pri-vate con spazi destinati all’uso comu-ne ed alla condivisione.

Tra i servizi comuni in particolarevi possono essere cucine, lavanderie,spazi per gli ospiti e per il tempo libe-ro, ludoteche, biblioteche, strutturesportive.

Nato in Danimarca verso la finedegli Anni ‘60 si è via via diffuso nelNord America ed in Europa.

Con il passare del tempo questaforma di comunità di vicinato va raffi-nandosi, in linea con il tempo che

COHOUSING - CONDOMINIO SOLIDALE - COMUNITÀ DI FAMIGLIE ED ALTRO ANCORA

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la Pazienza Famiglia: problemi attuali ed emergenti 35

benefici economici e fiscali e con laprevisione di un fondo di garanzia perle eventuali morosità.

In tempi più recenti poi, il Comuneha dato in locazione all’AssociazioneAcmos del Gruppo Abele degli appar-tamenti in un immobile del centro sto-rico ove vivono più famiglie in rap-porto con i servizi sociali.

Viene corrisposto un canone d’af-

fitto basso ma in cambio si “lavora”per vicini: doposcuola, spesa aglianziani, contatti con i servizi.

Iniziative per certi versi analoghe oquantomeno simili sono state assuntealtresì da soggetti privati.

In particolare la Compagnia di SanPaolo ha destinato a progetti di hou-sing sociale 4 milioni di euro nell’arcodi tre anni.

Un primo intervento è stato quellodi ospitare in un immobile con affittiparametrati al reddito 40 famiglie incondizioni di difficoltà.

Un altro progetto di cui laCompagnia è promotrice è quellofinalizzato ad offrire appartamenti inlocazione a giovani (età 18-35 anni)disponibili a coabitare.

Davide Mosso

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36la Pazienza

Nell’affrontare il tema della ado-zione, mettendosi dalla parte

della coppia che aspira ad intraprende-re una scelta di genitorialità adottiva, èinevitabile per un giudice che trattaquesta materia fermarsi e rifletteresulle difficoltà e sulla sofferenza checaratterizzano il lungo iter finalizzatoad un abbinamento o comunque ad unaauspicata pronunzia di idoneità deiconiugi alla adozione: esami medici,lunghe indagini sociali e psicologiche,corsi regionali, esame da parte del giu-dice.

Bisogna veramente volerlo moltointensamente questo figlio adottivo sela coppia (per lo più si tratta di coniugiche non riescono a procreare), spessoreduce da altrettanto estenuanti, invasi-ve e prolungate indagini mediche fina-lizzate al concepimento di un figliobiologico, ha la capacità di non smette-re di sperare e di continuare a coltivareil (legittimo) desiderio di avere comun-que un figlio, anche se procreato dadiversi soggetti. Salvo poi alla fine,dopo avere superato innumerevoliprove e difficoltà, correre il rischio ditrovarsi come in un vicolo cieco, con ilsilenzio di una non chiamata da partedell’Ufficio Adozioni, ovvero con unaltrettanto difficile e lungo percorso diabbinamento con un bambino stranie-ro, ovvero ancora infine con un decretoche motivatamente respinge l’istanzaassumendo che nella coppia mancano irequisiti ritenuti necessari per poterintraprendere un percorso di genitoria-lità adottiva nei confronti di un bambi-no straniero.

Un primo punto deve subito esserechiarito allo scopo di ridimensionaredeterminate immaginabili aspettative: idati di realtà ci dicono che le domande diadozione sono molte ed i bambini italia-ni dichiarati adottabili sono molto pochi.

Basta pensare che nell’anno 2007, afronte di 884 domande di adozionenazionale (cioè finalizzata ad adottareun bambino italiano in stato di abban-dono), in Piemonte ed in Valle d’Aostasono stati 26 i neonati non riconosciutialla nascita (figli di genitori ignoti) e47 i bambini, figli di genitori noti,dichiarati adottabili. Di questi 47 bam-bini una buona parte non è in tenera età(molti superiori ai sei anni di età) ed èportatrice di problematiche personalinon facili da gestire: maltrattamenti,abusi sessuali, deprivazioni, disturbipsicologici gravi. Inoltre alcuni di que-sti bambini (per fortuna pochi) sonoportatori di handicap gravi dalla nasci-ta e su di loro non esistono disponibi-lità per cui è difficilissimo trovare unafamiglia (adatta) che sia disponibilealla loro adozione.

È quindi evidente che l’abbinamen-to con un bambino italiano in stato diabbandono ha alte probabilità di nonrealizzarsi, entro il termine di leggescaduto il quale la domanda decade.

Ed esaminiamo ora lo spinoso pro-blema dei giudizi di inidoneità allaadozione, giudizi contenuti nei provve-dimenti del Tribunale per i minorenni edella Corte d’Appello.

Può avvenire, infatti, che l’iter pro-cedurale si concluda con un decretoche respinge l’istanza di idoneitàall’adozione di un minore straniero.Decreto che ha un significato evidenteanche in relazione alla domanda diadozione di un bambino italiano, nor-malmente presentata cumulativamen-te.

Ciò che gli interessati dovrebberocomprendere è che non esiste un dirittoad avere un figlio adottivo (un figlio atutti i costi) ma che invece esiste ildiritto del minore, in stato di abbando-no, ad avere comunque una famiglia,

che lo accolga con amore incondizio-nato e lo aiuti a crescere ed a superarele difficoltà di cui è portatore (quantomeno esiste lo stato di abbandono) eche sia la migliore possibile per “quel”bambino.

E dovrebbero altresì capire che lecaratteristiche che la famiglia adottivadeve avere costituiscono un quid plurisrispetto alle generiche capacità genito-riali.

Con l’adozione si incontra e siaccetta come proprio figlio un bambinoabbandonato, che è portatore di unapropria storia, connotata da legami,speranze, investimenti affettivi e ancheda delusioni, spesso maltrattamenti,impossibilità di un sano attaccamentoad una figura genitoriale, talvolta da unesplicito abbandono. È un soggettoestraneo, che è portatore di una diversaappartenenza familiare (anche soltantosul piano simbolico), spesso di espe-rienze di vita diversissime rispetto aquelle che hanno caratterizzato la vitadegli aspiranti genitori adottivi. È unbambino che prima o poi potrà farnascere nel genitore adottivo confronticon il figlio idealizzato, anche involon-tariamente.

Chi si propone come genitore adot-tivo deve quindi avere determinatecaratteristiche di personalità: aperturaall’incontro ed all’accoglienza versoil prossimo, capacità di confronto ade-guato con le novità e con gli imprevi-sti, flessibilità, apertura mentale,capacità di adattarsi a non avere sottocontrollo la situazione; sotto l’aspettoemozionale profondo dovrà essere ingrado di accettare la diversità, lediverse radici biologiche, simbolicheed esperienziali. Dovrà avere le capa-cità per far sentire il bambino apparte-nente alla nuova famiglia senza peròmai dover negare il passato e le sueorigini.

LA DIFFICILE ATTESA DI UN FIGLIO ADOTTIVO

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Spesso ciò non è facile.L’adulto che si propone per l’ado-

zione dovrà avere risolto i nodi fonda-mentali del proprio equilibrio persona-le ed avere instaurato col coniuge unrapporto di coppia armonico, che com-prenda senza riserve la piena condivi-sione del progetto adottivo. La delusio-ne provocata dalla impossibilità di pro-creare dovrà essere adeguatamente ela-borata, senza pericolosi strascichi (ilrischio è costituito dal fatto che l’ado-zione costituisca l’ultima possibilitàper poter avere, nonostante tutto, unfiglio, senza capire che il figlio adotti-vo non potrà mai prendere il posto delfiglio sognato e mai nato).

L’adozione risponde alla realizza-zione di un desiderio di genitorialità insenso lato: ciò è comprensibile e natu-rale e preoccupante sarebbe il contra-rio; significa però anche assumersiresponsabilità durature verso un bambi-no reale che, prima di dare al genitoresoddisfazioni, sarà molto richiedente,lo metterà alla prova, esprimerà esigen-ze evolutive che molto dipenderannodai suoi precedenti vissuti e dalle suecondizioni sanitarie e psicologiche. Perpoter aiutare il bambino ad evolvere ilgenitore adottivo dovrà necessariamen-te possedere determinate caratteristichedi personalità: attitudine al confrontocon l’infanzia, capacità di empatia, divedere oltre le apparenze, di cogliere ibisogni inespressi o negati, le sfumatu-re, il non detto. Dovrà essere capace ditollerare le frustrazioni, di essere elasti-co, di avere la capacità di riagganciarela relazione, di reinventarla, di rifletteresulle più adeguate strategie educative; enel contempo dovrà costantementesaper offrire con continuità, affetto eamore, emozioni, accoglienza incondi-zionata e accudimento adeguato.

Il bambino adottabile è un bambinoche ha subito il trauma dell’abbandono,che non è stato accettato da chi lo hagenerato, o che è stato gravemente tra-scurato (o anche maltrattato, abusatopsicologicamente o sessualmente). Glieffetti di queste esperienze a volte sonodevastanti, tali da incidere sul futuroequilibrio psicologico del soggetto, siache vi sia stato un abbandono repentinoe definitivo (evento traumatico ancheper il neonato, privato delle primenecessarie cure materne), sia che taleabbandono sia stato preceduto da undoloroso, lungo e devastante alternarsidi speranze e di delusioni. Spesso l’am-

biente relazionale in cui è vissuto èanormale e patologico, ambiguo e pre-cocemente adultizzante, violento e ses-sualmente anormale. Il genitore adotti-vo deve essere in grado di accogliere ildolore del bambino, specialmentequando questo dolore non riesce ad“uscire”, ad essere espulso verso l’e-sterno (condizione necessaria peravviare una elaborazione mentale deipregressi vissuti devastanti); deve sapertollerare il dolore mentale del ricorso edella rievocazione del passato senzacadere nella (naturale ma errata) tenta-zione di volerlo cancellare. Deve sapercondividere con il figlio tale dolore perpermettergli di dare un senso al passato;deve saper confrontarsi con il dolore,quello vero e più autentico che si puòcogliere nello sguardo smarrito delbambino sofferente. Deve sapersi con-frontare con realtà per lui sconvolgenti,lontanissime dal suo stile di vita e daisuoi valori, e saper far nascere nel bam-bino la speranza nell’adulto e nella vita.

Un giudice onorario dell’UfficioAdozioni del Tribunale per i Minorennidi Torino recentemente ha scritto:

“Adottare un bambino non puòvoler dire sperare che il bambino possadimenticare, e quindi tanto meno favo-rire la crescita di un adattamentosociale del tutto apparente, ma accet-tare profondamente di potersi occupa-re di un bambino spesso gravementedanneggiato, in un processo educativoche si connota anche di valenze ripara-tive molto specifiche”.

Nel caso di adozione di un minorestraniero alle problematiche sopra evi-denziate va aggiunta la capacità di aiu-tare il bambino ad adattarsi ad una cul-tura, ad una lingua e ad abitudini diver-se dalle sue (sempre più spesso, ormai,il bambino che arriva da lontano non èin tenera età); ed inoltre non va sottova-lutato il fatto che talvolta le pregresseesperienze e problematiche del minorenon sono state sufficientemente eviden-ziate al momento dell’abbinamento.Non ultima per importanza è la diffe-renza somatica a volte molto visibileche richiede piena accettazione intimadella diversità e capacità ulteriore diaiutare il bambino ad inserirsi nelnuovo contesto sociale.

Tutto quanto esposto permette dicomprendere quanto difficile sia la

valutazione preventiva della idoneitàdegli aspiranti genitori adottivi.

Man mano che il giudice si calanella concreta realtà del diritto minori-le ha occasione, purtroppo, di confron-tarsi con abbinamenti che nella realtàdei fatti si rivelano problematici e diffi-cili. Quando poi deve gestire una resti-tuzione (fatto eccezionale, per fortu-na), quale conseguenza di una adozio-ne fallita, il giudice comprende che laprecedente valutazione della coppiaadottiva era stata sbagliata e che deter-minati aspetti erano stati evidentemen-te sottovalutati.

Il denominatore comune di questesituazioni è costituito dal sempre mag-giore dolore del bambino.

La conseguenza, vista l’irreversibi-lità del danno subito dal bambino (cheal precedente abbandono deve somma-re il trauma del secondo rifiuto), è chesaranno aumentate le cautele nel giudi-zio e che nel dubbio, si preferirà pren-dere tempo, svolgere ancora approfon-dimenti ed infine eventualmente invita-re la coppia a riflettere ulteriormentesul proprio progetto.

Devo ammettere che spesso un giu-dizio negativo, un “no”, ha effetti “tera-peutici” sulla coppia nel senso che laspinge a proseguire nel cammino del-l’approfondimento della propria moti-vazione (anche con colloqui psicologicio frequentando comunità per minori).

L’esperienza mi ha anche permesso diriconoscere spesso il ruolo positivo deldifensore, professionista esperto deldiritto minorile che riesce ad indirizzarela coppia verso soluzioni utili ed a soste-nerla in un momento personalmente dif-ficile. Sono il primo a dover ammettereche coppie, inizialmente ritenute inido-nee alla adozione, a seguito di ulterioripercorsi personali, sono state in grado dievolvere e di pervenire ad una genitoria-lità adottiva con ottimi risultati.

In questi casi la mentalizzazione delbambino ideale è stata sostituita dalconfronto con il bambino reale, total-mente accettato con tutto il suo baga-glio di sofferenze ed amato per quelloche è e non per quello che avrebbe potu-to essere.

Fulvio Villagià consigliere presso la Sezione Minori

della Corte d’Appello di Torino,oggi Presidente del Tribunaleper i Minorenni del Piemonte

e della Valle d’Aosta

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38la Pazienza

La disamina degli elementi costitu-tivi del reato di “maltrattamenti

in famiglia o verso fanciulli”, previstoe punito dall’art. 572 del codice pena-le, così com’è andato delineandosinell’evoluzione giurisprudenziale, dàluogo ad alcune riflessioni su temi distretta attualità.

È noto che la condotta tipizzata dallegislatore espressamente individuaquali soggetti passivi da un lato i

minori degli anni quattordici, dall’al-tro coloro che hanno con l’autore delreato relazioni di “famiglia” ovverosono “sottoposti alla sua autorità”, oa lui affidati per ragioni di “educazio-ne, istruzione, cura, vigilanza, custo-dia, o per l’esercizio di una professio-ne o di un’arte”, e può pertanto esseredefinita “propria” non potendosi pre-scindere dall’esistenza di un precisorapporto tra i due soggetti in forza del

quale l’uno è titolare di un obbligo diassistenza nei riguardi dell’altro.

Proprio la tutela offerta dallanorma a diverse categorie di persone,ben più ampia di quella che la sua col-locazione sistematica fra i delitti con-tro la famiglia lascerebbe presuppor-re, ne ha consentito la contestazione,in assenza di diversa e più specificaprevisione legislativa, nelle ipotesi dic.d. “mobbing”.

L’ATTUALITÀ DEL DELITTO DIMALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

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la Pazienza Famiglia: problemi attuali ed emergenti 39

Ma è sul versante che qui interessa,cioè l’ambito famigliare, che l’artico-lo in esame si è rivelato un ottimobanco di prova in ordine all’estensio-ne del suo ambito applicativo: non daoggi ma da oltre cinquant’anni la giu-risprudenza considera “famiglia” nonsoltanto quel consorzio di personeavvinte da vincoli di parentela natura-le o civile ma anche quell’insieme dipersone tra le quali “per strette rela-zioni o consuetudini di vita, sianosorti rapporti di assistenza e solida-rietà senza la necessità della convi-venza e della coabitazione”.

Ciò che conta, nella previsione dellegislatore, è il riconoscimento dell’e-sistenza di un preciso dovere di soli-darietà, esteso ad ogni “persona dellafamiglia”, anche quando il grado diparentela non sia prossimo, o comun-que nel caso dell’affidamento.

Si è pertanto ritenuto sussistente ilreato ove realizzato al di fuori dellafamiglia legittima in presenza di unrapporto stabile di convivenza (nellaspecie esisteva un matrimonio con-tratto all’estero e non dichiarato effi-cace in Italia), ed anche laddove laconvivenza non abbia avuto una certadurata “purché istituita in una pro-spettiva di stabilità”, se realizzato neiconfronti del convivente more uxorio,con il quale si è creato “uno stabilerapporto di comunità famigliare, siapure naturale e di fatto, con legami direciproca assistenza e protezione”,ovvero dell’ex coniuge o ex conviven-te in caso di separazione legale o difatto e di conseguente cessazionedella convivenza “restando integrianche in tal caso i doveri di rispettoreciproco, di assistenza morale emateriale e di solidarietà”.

Può dunque affermarsi che l’ogget-to giuridico del reato in questione siaallo stesso tempo pubblicistico e pri-vatistico essendo costituito non sol-tanto dall’interesse dello Stato allasalvaguardia della famiglia, intesa neldescritto senso lato, da comportamen-ti vessatori e violenti, ma soprattuttodalla “difesa dell’incolumità fisica epsichica delle persone indicate nellanorma, interessate al rispetto dellaloro personalità nello svolgimento diun rapporto fondato su vincoli fami-gliari”1.

I comportamenti integranti maltrat-tamento, cioè aventi effetti offensivi

in quanto idonei a far soffrire, nonsono in concreto precisati dal legisla-tore, ed infatti la fattispecie rientra traquelle cosiddette “a forma libera”.

La casistica degli atti malevoli sipresenta nell’esperienza numerosa evariegata; in generale, può dirsi che ilSupremo Collegio li ha individuati intutti quegli “atti di vessazione conti-nui e tali da cagionare sofferenze, pri-vazioni, umiliazioni, le quali costitui-scono fonte di un disagio continuo edincompatibile con normali condizionidi vita”2.

A mero titolo esemplificativo sipossono ricordare, tra le altre, la con-dotta di chi avendo un minore in affi-damento “consente che viva in stato diabbandono per strada, per venderepiccoli oggetti e chiedere l’elemosina,appropriandosi poi del ricavato edisinteressandosi del suo stato di mal-nutrizione e delle situazioni di perico-lo fisico e morale cui egli si troviesposto”3 (così ravvisandosi il delittodi maltrattamenti anziché l’assai piùlieve contravvenzione dell’impiego diminori nell’accattonaggio), quella dichi “abbia tenuto ripetutamente neiconfronti della figlia minore atteggia-menti diretti e idonei a stimolare in leiun’impropria e precoce inclinazioneerotico-sessuale, con palese turba-mento della sua equilibrata evoluzio-ne psichica”4, di chi abbia abitual-mente richiesto “atti sessuali contronatura alla convivente di cui si cono-sca l’indisponibilità e benché ladonna resista ed esiga rispetto perchéla ripetizione insistente della richie-sta le cagiona sofferenze per ildisprezzo che l’uomo mostra delle suecondizioni”.

È evidente che il giudizio sulla por-tata offensiva di taluni comportamen-ti, specie quando gli stessi non sianooggettivamente prevaricatori ma inci-dano sull’onore, la reputazione e ladignità personale, dovrà comportarevalutazioni approfondite sulla perso-nalità della vittima, la quale, per età,sesso, livello socio-culturale, o sensi-bilità individuale, potrà avere diffe-rente percezione dell’abituale impie-go nei suoi confronti di taluni compor-tamenti.

Al contrario, e rispetto all’autoredel reato, non potrà essere esclusa lasussistenza del richiesto dolo genericodi maltrattamento “per il solo fatto

che l’agente, straniero di religionemussulmana, ritenga la propria con-dotta conforme alla sua diversa con-cezione della convivenza famigliare edelle potestà a lui spettanti qualecapo famiglia, ponendosi tale conce-zione in contrasto ... con i diritti invio-labili della persona sanciti dallaCostituzione”5.

Si è discusso infine se potessecagionarsi maltrattamento per omis-sione e la conclusione è stata afferma-tiva poiché, ad esempio, anche “uncostante disinteresse e rifiuto, a frontedi un evidente stato di disagio psico-logico e morale del minore, può gene-rare o aggravare una condizione diabituale e persistente sofferenza che ilminore non ha alcuna possibilità némateriale né morale di risolvere”.

Proprio con riferimento ai minoried ai comportamenti violenti tenutinei loro confronti per asseriti scopieducativi (c.d. eccesso disciplinare),si era, soprattutto in tempi passati,vista sostenere la configurabilità delsolo delitto di “abuso dei mezzi corre-zione”, previsto dall’art. 571 c.p.

La Suprema Corte ha ora chiaritoche possono considerarsi mezzi dicorrezione soltanto quelli che per laloro natura sono a ciò destinati, checomportano al più l’utilizzo di una vismodicissima, e risultano “necessariper rafforzare la proibizione, nonarbitraria né ingiusta, di comporta-menti pericolosi o dannosi rispec-chianti sottovalutazione del pericoloovvero disobbidienza gratuita”, men-tre l’adozione di mezzi ulteriori, sep-pure a scopo educativo, integra la fat-tispecie di cui all’art. 572 c.p.

Ne è derivato che tale più grave fat-tispecie venga più frequentementecontestata rispetto a quella di cuiall’art. 571 c.p., rispetto alla quale sipone in esplicito rapporto di sussidia-rietà (art. 572 c.p.: “Chiunque, fuoridei casi indicati nell’articolo prece-dente, ...”).

È comunque pacificamente ricono-sciuto che non sono sufficienti a con-figurare il reato di maltrattamenti epi-sodi sporadici e del tutto occasionalidovendo, al contrario, la condotta ves-satoria avere carattere di ripetitivitàed abitualità, sia pure con parentesi dinormalità, tali da integrare un vero eproprio “sistema di vita di relazionedolorosa ed avvilente”.

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Il reato è procedibile d’ufficiomentre sono, come noto, procedibili aquerela i fatti di ingiuria, minaccia,percossa e lesione: poiché spesso èdifficile la dimostrazione del caratterecontinuativo e seriale che unisce i sin-goli episodi di maltrattamento, è pos-sibile sostenere per ciascuno unadiversa qualificazione giuridica ed ilconseguente difetto di procedibilitàper mancanza di querela.

Per la persona offesa denunciante èpertanto sempre consigliabile la pre-sentazione di un atto di querela tempe-stivo quantomeno rispetto agli ultimiepisodi vessatori subiti.

La sanzione prevista per il delittodi maltrattamenti, e cioè la reclusioneda uno a cinque anni, consente l’ado-zione nei confronti dell’autore delreato di misure cautelari tra cui quella

coercitiva, di recente introduzione (exlege n. 154 del 4/4/01), prevista dal-l’art. 282 bis c.p.p. e consistente nel-l’allontanamento dalla casa famiglia-re, misura che appare più proporzio-nata, rispetto a quella tipicamenteafflittiva della custodia in carcere, allacondotta in esame e comunque dotatadi concreta efficacia.

Il termine massimo di prescrizioneper il reato di maltrattamenti, in assen-za di situazioni di recidiva aggravata oreiterata, è ora (art. 6 legge n. 251 del5/12/05, che ha modificato l’art. 157del codice penale) di sette anni emezzo, a prescindere dalla concessio-ne delle circostanze attenuanti generi-che.

Meritano, da ultimo, un accenno leipotesi aggravate previste dal comma2 dell’art. 572 c.p. nei casi in cui dal

fatto derivi una lesione personalegrave (di competenza del GiudiceMonocratico così come l’ipotesi delprimo comma), gravissima (di compe-tenza del Tribunale Collegiale) ovve-ro la morte (di competenza della Cortedi Assise).

Si tratta di eventi che vengono postia carico dell’agente, con ovvio incru-delimento della sanzione, per il solorapporto di causalità materiale, inquanto derivati, come conseguenzenon volute, da atti dolosi costituentimaltrattamenti.

Laddove invece le lesioni o la mortesiano sorrette da autonoma determina-zione volitiva, cioè cagionate intenzio-nalmente, esse configureranno autono-mo reato in concorso materiale conquello di maltrattamenti.

Valentina Zancan

la PazienzaFamiglia: problemi attuali ed emergenti 40

Note1 Cass. pen., sez. VI, 27-5-2003, n. 37019, in Riv. pen., 2004, pag. 1137.2 Cass. pen., sez. IV, 4-12-2003, n. 7192, in Riv. pen., 2005, pag. 500.3 Cass. pen., sez. VI, 9-11-2006, n. 3419, in Cass. pen., 2007, pag. 4593.4 Cass. pen., sez. VI, 13-7-2007, n. 38962.5 Cass. pen., sez. IV, 8-11-2002, in Riv. pen., 2003, pag. 220.

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41la Pazienza

Intervento al Convegno di deontologia 8/2/2008 Ordine Avvocati TortonaCredo che un approfondimento par-

ticolare meriti, nell’ambito di unariflessione sulla deontologia professio-nale, la figura dell’avvocato familiari-sta.

Come tutti gli avvocati – con il giu-ramento pronunciato all’ingresso nellaprofessione dobbiamo “adempiere idoveri professionali per i fini della giu-stizia” e armonizzare questo dovere conquelli che ci fanno capo nei confrontidella parte assistita (colei che è stata edè la nostra Maestra Paola De Benedettiha ben parlato di “doppia lealtà”). Emolto spesso, con riferimento ai casi danoi trattati, è difficile comprenderequali siano questi “fini della giustizia”,dal momento che la legge nella nostramateria propone concetti necessaria-mente “in bianco”, da riempire di con-tenuto, quali ad esempio “interessemorale e materiale della prole”, “inte-resse del minore”, “assistenza morale emateriale”, “rapporti significativi conil minore” ed altri ancora.

I minori coinvolti nelle procedurenon sono quasi mai rappresentati equindi le conseguenze dei provvedi-menti che il Giudice assumerà ricadran-no su di loro senza che una loro voce siapresente in causa. Sappiamo infatti chela L. 149/2001, di recente entrata invigore, prevede sì l’assistenza tecnicadel minore (l’”avvocato del minore”),ma solamente nelle procedure di limita-zione e decadenza della potestà ed inquelle per la dichiarazione di adottabi-lità. Nessuna previsione – per ilmomento – di difesa del minore in rela-zione alle procedure per separazione odivorzio ovvero a quelle di cui all’art.317 bis c.c.

Non possiamo quindi non tenere in

debito conto il fatto che le difese da noiproposte – concorrendo a determinarela decisione del Giudice – avranno rica-dute anche sugli eventuali minori.

Quali, allora, i particolari canonideontologici che dovranno guidare ilnostro operato?

Partiamo, naturalmente, dalle normedel nostro Codice Deontologico.

L’art. 12 è dedicato al dovere di com-petenza = “l’avvocato non deve accet-tare incarichi che sappia di non potersvolgere con adeguata competenza ...l’accettazione di un determinato inca-rico professionale fa presumere la com-petenza a svolgere quell’incarico”.

Anche il codice deontologico euro-peo prescrive: “l’avvocato non accettaun incarico se egli sa o dovrebbe sape-re che ... non ha la competenza neces-saria per occuparsene”.

Che cosa esattamente impone questaprescrizione all’avvocato che si occupadi famiglia e di minori?

Io credo certamente qualche cosa dipiù che la mera conoscenza delle normeche disciplinano le varie fattispecie chesi troverà ad affrontare.

Sono possibili in questa materia duediversi tipi di approccio: l’uno mera-mente giuridico e l’altro, per così dire,giuridico-interdisciplinare.

Nel primo caso l’avvocato appron-terà i mezzi legali per tutelare gli inte-ressi del suo cliente, agendo in un certosenso acriticamente: metterà la suacompetenza giuridica al servizio dellepretese che gli vengono prospettate dal-l’assistito, assumendo per veridica larappresentazione della situazione com-plessiva e dell’eventuale conflitto chelo stesso gli propone, e lo inviterà a ridi-mensionare le sue pretese solo nel casoin cui non le ritenga tecnicamentesostenibili in giudizio. È, questo, certa-mente un approccio “facile”: totalmen-

te – o quasi – adesivo alle richieste delcliente (e quindi vissuto dallo stessocome molto confortante e solidale) enello stesso tempo snello sotto il profi-lo della scelta delle azioni legali daintraprendere, delle quali è sufficienteverificare la proponibilità “giuridica”.

Ma non va dimenticato che se l’av-vocato è tenuto ad un dovere di fedeltànei confronti del proprio assistito (art. 7Codice Deontologico Forense), è altre-sì obbligato ad un “dovere di indipen-denza” (art. 10) ed all’“autonomia delrapporto” professionale (art. 36).Indipendenza ed autonomia che debbo-no sussistere anche nei confronti delcliente, come chiarito dalla nostra giu-risprudenza disciplinare. E tanto più, ioritengo, in una materia come la nostra,con riferimento alla quale i “fini dellagiustizia” non possono non riguardareanche la tutela dei minori coinvolti.

Non mi pare sia in definitiva condi-visibile e deontologicamente accettabi-le un approccio acriticamente adesivoalle richieste del cliente nelle cause inmateria di persone e famiglia.

Quello che ho prima definito approc-cio giuridico-interdisciplinare compor-ta invece che l’avvocato, escludendo unatteggiamento di aprioristica contrap-posizione con l’altra parte, si ponga inuna prospettiva di interazione cognitivacon l’intero contesto, e cioè non solocon la posizione del suo cliente, o larappresentazione della situazione forni-tagliene dallo stesso, ma con tutto ilquadro famigliare.

Ciò significa che in primo luogo sarànecessario approfondire quanto piùpossibile la situazione complessiva, intal senso sollecitando l’assistito – ilquale in genere al primo contatto connoi porta un vissuto di grande turba-mento – ridiscutendola e rivalutandolainsieme, soprattutto quando nel conflit-to siano coinvolti dei minori.

LA DEONTOLOGIA DELL’AVVOCATO FAMILIARISTA

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Dovremo poi far presente al clienteche un’ottica di mediazione (intenden-do il termine in senso lato) spesso con-sente di accedere a soluzioni della crisipiù efficacemente tutelanti gli interes-si dei minori, tanto direttamente cheindirettamente (sappiamo infatti cheun genitore scontento o “perdente”spesso interagirà negativamente coifigli).

Sarà necessario altresì, con corret-tezza e competenza, dare al clienteinformazioni circa quali concreti risul-tati potrebbe presumibilmente ottenererivolgendosi al giudice. Ciò significache, caso per caso, potrà prospettarsi lanecessità di invitarlo a ridimensionarele sue pretese, ovvero – se invece si trat-ta, ad esempio, di un coniuge psicologi-camente “schiacciato” dall’altro – dirimarcargli i suoi diritti, non alimentan-do la conflittualità, ma tuttavia espo-nendoglieli con chiarezza, a maggiorragione se la loro tutela avrà ricadute suquelli dei figli minori.

È doveroso anche prospettareall’assistito, con la massima esausti-vità possibile, modalità e tempi delleazioni giudiziarie, così che egli possavalutarne la “tollerabilità” anche sottoil profilo psicologico. Occorre, in que-sto, molta cautela: l’avvocato familia-rista (e ancora una volta mi richiamoall’insegnamento di Paola DeBenedetti) può molto spesso trovarsidi fronte un cliente che vuole “vince-re” tutto e non comprende che la causanon gli porterà ragionevolmente que-sto risultato (e se glielo portasse nonsarebbe davvero una vittoria, il piùdelle volte). Altre volte, al contrario,capita che il cliente sia così “stremato”da anni di veri e propri soprusi patiti adopera dell’altro coniuge, che debbaessere per così dire “rafforzato” nellasua richiesta – sempre privilegiandoove possibile una soluzione concorda-ta – perché sarebbe portato ad accetta-re condizioni vessatorie proposte dal-l’altra parte, spesso pregiudicanti laserenità dei figli o le loro esigenzeanche materiali di crescita.

Se per attuare questo tipo di approc-cio è necessario – a mio avviso – avereconoscenza di psicologia, occorre esse-re ben attenti a non incorrere nell’erro-re di esercitare competenze di altrefigure professionali, principalmenteproprio quella dello psicologo: i saperipropri di altre professionalità acquisiti

dall’avvocato debbono costituire stru-menti di miglior comprensione da uti-lizzare nell’ambito ben delimitato delleproprie competenze professionali.

Questi saperi saranno determinanti,peraltro, per valutare la necessità dirichiedere l’intervento di un’altra figu-ra professionale, quale quella dello psi-cologo o del mediatore.

Un esempio: l’avvocato che ha stu-diato i meccanismi della dissimulazio-ne credo si possa spingere a porre indubbio le “verità” che il cliente gli pro-spetta ed a compiere una propria valuta-zione del suo racconto alla luce dei suoicomportamenti, che spesso chiarisconoben più delle verbalizzazioni. Tutto ciònell’ottica di una più compiuta com-prensione del conflitto al fine di valu-tarne la possibilità di risoluzione, nel-l’interesse del cliente stesso e deglieventuali minori coinvolti. Questoapproccio a mio avviso porterà frutti siadi trovare una soluzione concordata chenella prospettiva di rivolgersi al giudi-ce. Sappiamo infatti che le decisioni delmagistrato, quando le parti arrivano inTribunale in un clima di conflitto anco-ra molto acceso, spesso non contentanonessuno e fanno crescere il disagioemotivo delle parti adulte e, conse-guentemente, dei minori.

Ma quando l’avvocato constata cheil suo intervento, pur arricchito daglistrumenti di cui si è dotato, non è suffi-ciente e che non è riuscito, ad esempio,a far superare atteggiamenti strumenta-lizzanti dei figli o persecutori nei con-fronti dell’altro coniuge, (ovvero a“rinforzare” il coniuge che subisce que-sti atteggiamenti), a mio parere ha ildovere di affiancare a sé una figura pro-fessionale competente (naturalmente siporrà la necessità del consenso delcliente e sappiamo che a volte il clientesi perderà perché non accetterà questaimpostazione...).

Posso ora ritornare al mio punto dipartenza: al dovere di competenza pre-scritto dal codice deontologico forensee dal codice deontologico europeo, percompletare la citazione degli articoliche ho prima ricordato.

Entrambi i codici prescrivono chel’avvocato debba “per il caso di contro-versie di particolare impegno e com-plessità, valutare l’opportunità dellaintegrazione della difesa con un altrocollega” (art. 12 Cod. Deont.). Codiceeuropeo: “l’avvocato non accetta unincarico se egli sa o dovrebbe sapere

che ... non ha la competenza necessariaper occuparsene, a meno di collabora-re con un altro avvocato che abbia talecompetenza”.

Io credo che queste norme deontolo-giche potrebbero, in una rielaborazionegiurisprudenziale e, auspico, anchenormativa, del nostro codice, ritenersiapplicabili altresì al caso in cui l’avvo-cato familiarista, per tutelare al meglioil cliente ed espletare con piena compe-tenza il suo mandato, necessiti di ricor-rere ai saperi di un’altra figura profes-sionale.

Credo, in definitiva, che in alcuneoccasioni si venga a creare la doverosaopportunità da parte nostra di richiede-re ad un altro professionista, lo psicolo-go il più delle volte, un intervento peruna più efficace valutazione della situa-zione, nell’ottica del perseguimento diquegli scopi di cui già ho detto di atte-nuazione delle conflittualità e di media-zione tra le richieste del cliente ed i suoieffettivi interessi, tenuto conto altresì diquelli dei minori coinvolti.

Quindi, un dovere di competenza chein certe situazioni per l’avvocato fami-liarista potrebbe far sorgere – ma, siachiaro, questa è la mia personale opinio-ne – il dovere anche deontologico diricorrere ad un’altra professionalità.

Richiesto l’intervento, occorreràverificare se lo stesso, effettuato in fasepre-processuale, determini l’incompa-tibilità con un futuro ruolo di ctp (per lopsicologo potrà consultarsi l’art. 16delle linee guida deontologiche per lopsicologo forense).

Mi pare che non dovrebbe ravvisarsiincompatibilità se l’intervento si è limi-tato ad una fase di “ascolto” sia pur confini valutativi e prognostici e non è statasvolta attività terapeutica (sempre chesia possibile ben distinguere le due atti-vità). Naturalmente, come sapete, par-liamo di ascolto dell’adulto: lo psicolo-go non può avere contatti con il figliominore se non con il consenso dientrambi i genitori.

Se non è possibile raggiungere unasoluzione concordata – e noi avvocatisappiamo quante energie in questosenso si adoperino... spesso il magistra-to non immagina quanto lavoro abbiapreceduto un accordo che gli presentia-mo e che magari appare “semplice” – esi giunge in fase giudiziale, a volteverrà disposta una consulenza tecnica.Vorrei ora approfondire il tema dellaconsulenza d’ufficio e di parte sotto il

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la Pazienza Famiglia: problemi attuali ed emergenti 43

profilo delle prescrizioni deontologicheforensi.

L’art. 54 del Codice deontologicoforense che titola “rapporti con arbitri econsulenti tecnici” recita: “l’avvocatodeve ispirare il proprio rapporto conarbitri e consulenti tecnici a correttezzae lealtà, nel rispetto delle reciprochefunzioni”.

Il codice deontologico europeo pre-scrive che siano applicabili ai rapportitra avvocato e consulente del giudice lestesse regole dettate per i rapporti traavvocato e giudice; parallelamente, èstato ritenuto che nei rapporti tra avvo-cato e consulente tecnico di parte valga-no le regole dettate per i rapporti traavvocato e co-difensori.

Qualche spunto di applicazione: poi-ché l’art. 53 del codice deontologicoforense prescrive che l’avvocato nonpossa discutere del processo civile incorso con il giudice incaricato dellostesso senza la presenza del legaleavversario, ritengo che l’avvocato nonpossa chiedere al proprio consulente diparte un intervento presso il ctu senza lapresenza del ctp dell’altra parte, diverso– naturalmente – da quelli già concor-dati tra i consulenti.

Quanto al consulente di parte, acco-gliendo il richiamo del Codice deonto-logico europeo l’avvocato dovràimprontare il proprio comportamentonei suoi confronti alle regole deontolo-giche, ovviamente in quanto applicabi-li, dettate per i suoi rapporti con il co-difensore.

La norma che disciplina tali rap-porti è l’art. 23 numero 5 del codicedeontologico: “nei casi di difesa con-giunta è dovere del difensore consul-tare il proprio co-difensore in ordinead ogni scelta processuale ed infor-marlo del contenuto dei colloqui conil comune assistito, al fine della effet-tiva condivisione della strategia pro-cessuale”.

A parte la scelta – che spetta ovvia-mente all’avvocato – delle informa-zioni da condividere, valutato lo speci-fico ambito dell’incarico conferito alconsulente, vi è da chiedersi qualevalenza abbia in questo rapporto traprofessionisti il dovere di segretezza eriservatezza di cui all’art. 9 del codicedeontologico forense: in una prece-dente stesura il codice prevedevaespressamente che l’avvocato potessefornire ai consulenti gli atti processua-li necessari per l’espletamento dell’in-

carico e le informazioni in suo posses-so anche nelle ipotesi di intervenutasecretazione dell’atto. La vigente ver-sione ha eliminato questo specificoriferimento ed ha enucleato, tra leeccezioni alla regola generale, quellache prevede la divulgazione di infor-mazioni relative alla parte assistita chesiano necessarie per lo svolgimentodelle attività di difesa.

Ed allora, trattandosi di informazio-ni definite “necessarie”, occorrerà unanostra valutazione (sul punto relativo alconsenso dell’assistito occorrerebbe unulteriore, specifico approfondimentooggi non possibile).

Sull’altro fronte sappiamo chel’art. 15 del codice deontologico deglipsicologi prescrive che “nel caso dicollaborazione con altri soggetti pari-menti tenuti al segreto professionale,lo psicologo può condividere soltantole informazioni strettamente necessa-rie in relazione al tipo di collabora-zione”.

Che cosa allora il ctp può riferireall’avvocato di quanto ha appreso nel-l’espletamento del suo mandato? Ciòche riguarda strettamente lo specificoincarico di consulenza o anche notizie ovalutazioni che potrebbero meglioorientare il legale nella sua attività didifesa? E che ruolo riveste in questorapporto a due facce il consenso del“paziente-cliente”?

Ma torniamo alla nostra professione:che uso deve fare il difensore delle noti-zie apprese? Deve senz’altro comuni-carle al cliente in nome del dovere diinformazione (art. 40 codice deont.forense) che gli impone di riferire quan-to appreso nel corso del mandato ovve-ro deve, consultatosi con il suo consu-lente, omettere la comunicazione chepotrebbe determinare turbamento del-l’assistito o riaccendere la conflittua-lità?

Giungiamo così a trattare dell’ulti-mo punto, quello dell’informazione alcliente, senz’altro di grande rilievo perl’avvocato familiarista.

Io credo che occorra una attenta let-tura dell’art. 40 che recita “il difensoreha l’obbligo di riferire al proprio assi-stito il contenuto di quanto appreso nel-l’esercizio del mandato se utile all’inte-resse di questi”.

Il riferimento al “contenuto” dà spa-zio ad una nostra valutazione – a mioavviso doverosa – sulla opportunità disottoporre al cliente atti che potrebbero

creare a lui o a terzi, quali i figli minori,gravi danni.

Ad esempio, sottoporre all’assistitola relazione di consulenza psicologica opsichiatrica che formula determinatediagnosi o giudizi può creargli disagioo inasprire la conflittualità.

Altrettanto delicate sono leRelazioni dei Servizi: leggerle potrebbea volte ulteriormente aggravare il con-flitto o pregiudicare il rapporto delcliente con i Servizi stessi, i quali devo-no potere invece continuare ad essereun punto di riferimento.

L’avvocato familiarista dovrà farsicarico – ed è responsabilità non certo dipoco momento – di decidere cosacomunicare e cosa no, ed in qualimomenti, affidandosi alla sua esperien-za ed attitudine professionale.

Non è certo un compito facile.Voglio chiudere riallacciandomi al

discorso iniziale: non è sufficiente laconoscenza delle leggi, dobbiamoricorrere alla nostra – ed eventualmentea quella altrui – esperienza professiona-le per acquisire anche l’attitudine pro-fessionale.

È – quello dell’attitudine – un con-cetto espresso dall’art. 17-bis dellaLegge n. 134 del 29 marzo 2001 sulPatrocinio a spese dello Stato, che pre-vede che per formare gli elenchi deidifensori ogni Consiglio dell’Ordinedegli Avvocati debba valutare la sussi-stenza di attitudini ed esperienza pro-fessionale.

È un segnale a mio avviso positivo,che delinea una figura professionaledell’avvocato sempre più attenta acurare, con riferimento alla materia incui opera, non soltanto la preparazionegiuridica, ma la formazione attitudina-le, che per noi familiaristi significa,oltre all’esperienza, un bagaglio diconoscenze psicologiche e sociologi-che, umanistiche in genere.

E potrà essere questa la nostra rispo-sta ai tentativi di alcuni che vorrebberoassimilare la nostra professione ad unaattività commerciale in nome di undichiarato fine di tutela del “consuma-tore”: noi avvocati curiamo la nostraformazione anche e ben al di là di quan-to ci viene imposto, avendo di mira nonsolo la tutela del nostro assistito (consu-matore) ma anche di soggetti indifesi –nel senso letterale di non difesi – suiquali le nostre scelte professionali pos-sono ricadere.

Marina Notaristefano

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44la Pazienza

La Camera Minorile di Torino, si ècostituita in data 11.4.2008.

È aperta a tutti gli avvocati i quali,come dice il suo Statuto, “con passio-ne e frequenza operano nel settoreminorile e di famiglia nel distrettodella Corte d’Appello di Torino” e chesi propongono “lo studio, la promo-zione e la tutela dei diritti della perso-na bambina e della persona in età evo-lutiva all’interno di qualsiasi situazio-ne giuridica o di fatto viva e crescasino alla maggiore età”.

Oggi più che mai gli avvocati chefrequentano le aule del Tribunale per iMinorenni sentono la necessità diincontrarsi e confrontarsi sui nuovis-simi temi e problemi sorti con la rifor-ma delle procedure di limitazione edecadenza della potestà genitoriale edi dichiarazione di adottabilità (leggen. 149 del 28.3.2001 entrata in vigorel’1.7.2007).

Una riforma di straordinaria impor-tanza perché prevede – è il caso discriverlo – finalmente l’obbligo dinominare un difensore al minore ed aigenitori, nella prospettiva di un pro-cesso più “giusto” di fronte ad unTribunale per i Minorenni più “terzo”.

Al di là della disciplina introdotta –peraltro ancora assai lacunosa – l’e-vento è di portata storica perché lalegge riconosce al minore la qualità diparte processuale e prevede la difesadei suoi diritti all’interno delle regoledel processo.

Viene così valorizzata ulteriormen-te l’esigenza di una tutela forte deidiritti dei minori intervenuta sulla sciadelle disposizioni di alcuneConvenzioni Internazionali qualiquella di New York del 20.11.1989,ratificata con legge n. 176 del27.5.1991, e quella di Strasburgo del1996, ratificata con legge 20.3.2003.

L’entrata in vigore della sopraindi-cata riforma è stata per molti di noi unmomento di riflessione importante sulnostro nuovo ruolo di avvocati deiminori, sui nostri limiti, sulle nostrecompetenze, sulle nostre possibilità diincidere nel processo, sul rapporto datenere con i minori aventi capacità didiscernimento, e ci è parso assoluta-mente evidente che solo una particola-re specializzazione e formazione del-l’avvocato del minore potrà davverorendere operativa questa particolarefigura.

Fondare la Camera Minorile diTorino è stato quindi logicamenteconseguente alle esigenze prospettate,una risposta concreta ed una scom-messa per il futuro.

L’avvocato del minore non puòinfatti essere un avvocato qualsiasi,deve essere un avvocato specializzatonella materia minorile che si pongasempre come obiettivo la piena tuteladell’interesse della persona bambina,che abbia familiarità con le disciplinepsicologiche e sociologiche con parti-colare riferimento ai problemi relativiai mutamenti sociali in corso ed aiproblemi di integrazione delle varieculture e più in generale all’evoluzio-ne in senso multietnico della nostrasocietà, che sappia difendere il mino-re non solo da genitori e parentiabbandonici e/o abusanti, ma anchedalle Istituzioni, che pur perseguendola stessa finalità di tutela del minore, avolte sono assenti, altre volte sonoeccessivamente invadenti: deve esse-re insomma un avvocato che abbiapiena consapevolezza del significatoetico della propria professione.

La Camera Minorile ritiene che lafunzione di assicurare una effettivadifesa del soggetto più debole del pro-cesso, cioè del minore, comporti una

attività processuale oltre che di con-trollo del rispetto delle regole proce-durali anche di proposizione di solu-zioni concrete affinché siano rispetta-ti tutti i diritti dei minori, primo fratutti il diritto ad una giustizia celereche rispetti le esigenze della personabambina.

Il rispetto del diritto di difesa e delcontraddittorio di tutti i soggetti inte-ressati, la possibilità di discutere tuttii punti di vista, permetterà poi al giu-dice di assumere decisioni più consa-pevoli e quindi maggiormente equili-brate.

L’Associazione Camera Minoriledi Torino aderisce all’Unione delleCamere Minorili Italiane e partecipaquindi al dibattito che si sta svolgendoa livello nazionale sulla giustiziaminorile sostanziale e processuale,civile e penale.

Per il raggiungimento dei suoiscopi intende promuovere il dialogocon tutte le professioni che operanonel settore minorile e favorire la spe-cializzazione delle tematiche minorilicivili e penali attraverso la costituzio-ne di apposite commissioni studioanche interdisciplinari.

I temi ed i problemi processuali,sostanziali e deontologici che l’asso-ciazione dovrà affrontare nei prossimimesi sono numerosi e di volta in voltane sarà data notizia attraverso il sito:www.cameraminoriletorino.it. Il sitosarà uno strumento utile per tutti i col-leghi che vorranno avere maggioriinformazioni sulle attività dell’asso-ciazione e che vorranno mantenerecontatti con la stessa.

Molti di noi peraltro ritengono cheil nostro compito non possa fermarsiallo studio del diritto minorile finaliz-zato esclusivamente all’attività pro-cessuale, ma che si debba invece

NASCE LA CAMERA MINORILEDI TORINO

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la Pazienza Famiglia: problemi attuali ed emergenti 45

essere portatori all’interno dellasocietà di una nuova cultura delrispetto dei diritti e degli interessi deiminori. In questo senso stiamo pen-sando di renderci promotori della dif-fusione tra gli studenti ed i giovani diogni età della cultura del rispetto

delle regole e della giustizia e delladiffusione della conoscenza dei dirittidelle persone minori.

La Camera Minorile di Torino sipropone quindi come associazionecon finalità molteplici, giuridiche esociali, che sottolineano comunque

sempre il ruolo fondamentale dell’av-vocato a fianco del minore nel proces-so civile e penale e più in generalenella società.

In una parola la difesa e la tutela deiminori a trecentosessanta gradi.

Assunta Confente

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Paolo Berti e Mario Napoli hanno pubblicato per i tipidi Paola Caramella Editrice un piccolo libro di filastroc-che, poesie e pensieri sul Palazzo di Giustizia e sull’uma-nità che l’anima, con le illustrazioni di Albertina Bollati ela prefazione di Gianpaolo Zancan che qui di seguitoriportiamo

Una chicca

“Alla ricerca di equilibrio fra torto e ragioneAlla difesa dei diritti senza alcuna distinzione”

(pag. 32)

Albertina, Mario e Paolo hanno confezionato una chiccaper tutti gli avvocati e per tutti coloro che, secondo il prezio-so suggerimento di Gide, per conoscere una città e suoi abi-tanti visitano per primo il Palazzo di Giustizia e si affrettanoa conoscere “Les gens de Justice”.

Albertina – che ho scoperto danzare come disegna e dise-gnare come danza – ha preparato tavole di grande raffinatez-za che fanno delicato contrappunto ai testi.

La mia preferita porta il titolo “Quanto resta da fare”: vi èdentro tutta la malinconica impotenza della Giustizia a ripa-rare i misfatti di noi umani “prigionieri sotto la luna”.

Un evidente filo rosso lega i testi di Mario e Paolo: la pas-sione per la professione più bella del mondo, quella dell’av-vocato.

La penna di Mario è venata di ironia e dolcezza, quella diPaolo talora intrisa di tristezza, quasi che la professioneforense fosse una malattia incurabile che deve essere accetta-ta con superiore disincanto.

Dentro il piccolo libro c’è tutto il nostro mondo giudizia-rio torinese (per la verità più Via Corte d’Appello che CorsoVittorio Emanuele): c’è il grande eroe borghese “chi sin dalnome porta in serbo la Croce”, i tanti avvocati che lavorano“con onestà e umile caparbietà” e credono in una “Giustiziaa fari spenti” lontana dai clamori mediatici, il finto Giudicedel “Diritto spaziale”, gli operai che bussano alla porta delTribunale per ottenere giusta mercede e conservazione del“bene grande il lavoro”.

C’è persino il parere che Mario, quale consigliere

dell’Ordine, mi predispose – ero appena stato elettoPresidente – per valutare se le colleghe avvocato potesseroindossare il cappello in udienza (rimando al testo per l’im-portante decisione).

Ma ormai il medesimo filo rosso mi si sta avvolgendoaddosso e non riesco a conservare il necessario distacco: que-sto è stato ed è il mio mondo da oltre quarant’anni, questi imiei compagni di avventura, questa la mia vita.

Meglio, molto meglio scacciare la malinconia con i versidi Gianni Rodari che ho sentito recitare da Mario in una seradi amicizia e di buona tavola:

“Dice un proverbio chissà perchéChi fa da solo fa per treDa questo orecchio io non ci sentoChi ha cento amici fa per cento”

Grazie ai miei amici Albertina, Mario e Paolo per la lorochicca.

Gianpaolo Zancan

PALAZZO DI GIUSTIZIA E UMANITÀ LIMITROFE

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47la Pazienza

Caro papà,sabato mattina 12 aprile non ti sei svegliato ... sei andato

via così ... in silenzio e con un sorriso.La tua morte è stata per tutti noi improvvisa e inaspettata,

stavi bene, non avevi malattie, per cui noi non eravamo pre-parati. Ma forse non si è mai preparati alla morte dei propricari, anche dopo lunghe malattie ed estenuanti cure.

La vita ti ha risparmiato la sofferenza. Abbiamo vissutomolti anni insieme con te e la mamma, siamo stati felici. Seistato allietato dai nipotini e con uno in particolare hai condi-viso partite accanite agli scacchi. Abbiamo condiviso opinio-ni, valori, idee politiche, l’amore per la natura nel nostro giar-dino e ultimamente anche il tuo lavoro di avvocato.

Sei stato per noi, ma anche per tutti quelli che ti hannoconosciuto, un esempio di rettitudine, di correttezza e dibontà. Eri semplice, non ti sei mai dato “arie” eri riservatoe allegro. Ci hai insegnato, con le tue parole e il tuo com-portamento, l’onestà, ci hai insegnato che è più importanteessere che avere. Nel tuo lavoro di avvocato ogni cliente èstato importante e da te seguito con affetto, impegno e peri-zia, sia chi aveva un problema semplice sia chi arrivava conquestioni complicate e ingarbugliate. Per te non è mai statala parcella a stabilire la priorità e l’importanza di un caso.Alcune persone le hai assistite gratuitamente, “perché nonavevano soldi”.

Ci manchi molto, tantissimo, ma noi siamo una famigliareligiosa. Noi sappiamo che questa vita è un viaggio. È comeprendere un treno per arrivare in un altro posto. Ora tu seiarrivato alla meta stabilita; ora tu conosci il vero significatodella vita.

Pasy, Patrizia, Paola, Dhebora e la mamma

In ricordo di Fiorino Giuseppe

*La Pazienza 98 27-05-2008 16:52 Pagina 47


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