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La Religione. Umanità in ricerca€™attenzione era sulla comune condizione di dalit, cioè di...

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1,24 1 Le donne e gli intoccabili Le donne e i «senza casta» sono nella religione induista categorie colpite da una discrimi- nazione che, nonostante l’introduzione di leggi sull’abolizione delle caste e in favore delle donne, non cambia. Recentemente sono state costituite numerose organizzazioni che si bat- tono per i diritti delle donne e per la fine della discriminazione degli «intoccabili», ma la si- tuazione è ancora molto critica. Leggi il testo e rispondi alle domande che seguono. La società vedica era dominata dai maschi: gli uomini comandavano la famiglia ed ereditavano le pro- prietà. Il dharma, o compito, delle donne era quello di dare alla luce figli maschi: «La nascita di una figlia, concedila altrove. Qui concedi un figlio» (Atharva Veda 3,23). Questa idea perdura, come mo- stra la seguente preghiera femminile: «Possano le case essere piene di nuore e di pochissime figlie; pos- sano vedere i volti di nipoti e pronipoti maschi». Anche molti racconti autobiografici di donne indiane confermano questa sensazione, e cioè che la nascita di una figlia non sempre è benvenuta. L’incapa- cità di dare alla luce un figlio maschio è spesso vista come una punizione per il comportamento ri- provevole in una vita precedente, con conseguenze negative in quella presente. I figli maschi, oltre a essere per tradizione il sostegno della famiglia e i responsabili delle esequie dei genitori, portano ric- chezza al momento del matrimonio. Le figlie, invece, sono un salasso per le risorse di casa, perché quando vanno spose i loro genitori devono dare denaro e beni (la dote) allo sposo e alla sua famiglia. La pratica della dote è stata vietata con una legge del 1961, ma se una volta era limitata alle comunità di casta più elevata, ora è sempre più diffusa; come se non bastasse, i costi per sposare una figlia crescono di anno in anno. Sebbene tanto gli uomini quanto le donne affermino di essere contrari, l’abitudine è consolidata. Ancora più preoccupanti sono i maltrattamenti, cui le donne sono sottoposte a causa della dote. Spesso il marito e i parenti d’acquisto chiedono altro denaro e altri beni anche dopo il matrimonio, non di rado estorcendoli con la vio- lenza. Gli uxoricidi sono in aumento. Le giovani mogli sono assassinate (di solito bruciandole) in modo che il marito sia libero di risposarsi e ot- tenere un’altra dote; capita anche che le donne si uccidano a causa dei continui maltrattamenti. «Ragazza muore per le ustioni» («The Hindu», 16 febbraio 1995); «Casalinga si uccide per le vessazioni legate alla dote» («The Deccan Herald», 20 novembre 1994). Dalla fine degli anni Settanta molti uomini e donne hanno condotto un’attiva propaganda contro la dote sia in India sia fuori dell’India. Al- cune famiglie rifiutano di partecipare alla consegna o all’accettazione della dote, un’idea sostenuta da numerosi gruppi religiosi. La legge in- diana sulla dote è stata emendata nel 1983, e da allora parecchi mariti violenti sono finiti in prigione, ma distinguere un incidente di cucina da un omicidio si è rivelato difficile per la polizia e i tribunali. […] Come i maltrattamenti delle donne, anche i crimini contro gli intoc- cabili sono fin troppo frequenti nelle cronache dei giornali indiani (si superano i 10 000 casi l’anno). Quelli che il governo definì «Scheduled Castes» e Ghandi chiamò harijans (figli di Dio), insieme con le popo- lazioni tribali, costituiscono quasi un quinto della popolazione del- l’India; per lo più vivono nei villaggi come braccianti agricoli senza terra, e spesso sono vincolati a persone di caste più alte. Nonostante il loro numero, l’eguaglianza con gli altri indiani sancita nella Costitu- zione e una legge del 1955 promulgata per proteggerli, gli intoccabili sono spesso vittime di violenza, stupro, omicidio individuale o di F. PAJER, La Religione. Umanità in ricerca © SEI 2011 on line Pag. 156 vol. 2 LABORATORIO
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Le donne e gli intoccabiliLe donne e i «senza casta» sono nella religione induista categorie colpite da una discrimi-nazione che, nonostante l’introduzione di leggi sull’abolizione delle caste e in favore delledonne, non cambia. Recentemente sono state costituite numerose organizzazioni che si bat-tono per i diritti delle donne e per la fine della discriminazione degli «intoccabili», ma la si-tuazione è ancora molto critica. Leggi il testo e rispondi alle domande che seguono.La società vedica era dominata dai maschi: gli uomini comandavano la famiglia ed ereditavano le pro-prietà. Il dharma, o compito, delle donne era quello di dare alla luce figli maschi: «La nascita di unafiglia, concedila altrove. Qui concedi un figlio» (Atharva Veda 3,23). Questa idea perdura, come mo-stra la seguente preghiera femminile: «Possano le case essere piene di nuore e di pochissime figlie; pos-sano vedere i volti di nipoti e pronipoti maschi». Anche molti racconti autobiografici di donne indianeconfermano questa sensazione, e cioè che la nascita di una figlia non sempre è benvenuta. L’incapa-cità di dare alla luce un figlio maschio è spesso vista come una punizione per il comportamento ri-provevole in una vita precedente, con conseguenze negative in quella presente. I figli maschi, oltre aessere per tradizione il sostegno della famiglia e i responsabili delle esequie dei genitori, portano ric-chezza al momento del matrimonio. Le figlie, invece, sono un salasso per le risorse di casa, perchéquando vanno spose i loro genitori devono dare denaro e beni (la dote) allo sposo e alla sua famiglia.La pratica della dote è stata vietata con una legge del 1961, ma se una volta era limitata alle comunità dicasta più elevata, ora è sempre più diffusa; come se non bastasse, i costi per sposare una figlia cresco nodi anno in anno. Sebbene tanto gli uomini quanto le donne affer minodi essere contrari, l’abitudine è consolidata. Ancora più preoccupantisono i maltrattamenti, cui le donne sono sottoposte a causa della dote.Spesso il marito e i parenti d’acquisto chiedono altro denaro e altribeni anche dopo il matrimonio, non di rado estorcendoli con la vio-lenza. Gli uxoricidi sono in aumento. Le giovani mogli sono assassinate(di solito bruciandole) in modo che il marito sia libero di risposarsi e ot-tenere un’altra dote; capita anche che le donne si uccidano a causa deicontinui maltrattamenti. «Ragazza muore per le ustioni» («The Hindu»,16 febbraio 1995); «Casalinga si uccide per le vessazioni legate alladote» («The Deccan Herald», 20 novembre 1994).Dalla fine degli anni Settanta molti uomini e donne hanno condottoun’attiva propaganda contro la dote sia in India sia fuori dell’India. Al-cune famiglie rifiutano di partecipare alla consegna o all’accettazionedella dote, un’idea sostenuta da numerosi gruppi religiosi. La legge in-diana sulla dote è stata emendata nel 1983, e da allora parecchi maritiviolenti sono finiti in prigione, ma distinguere un incidente di cucinada un omicidio si è rivelato difficile per la polizia e i tribunali. […]Come i maltrattamenti delle donne, anche i crimini contro gli intoc-cabili sono fin troppo frequenti nelle cronache dei giornali indiani (sisuperano i 10 000 casi l’anno). Quelli che il governo definì «ScheduledCastes» e Ghandi chiamò harijans (figli di Dio), insieme con le popo-lazioni tribali, costituiscono quasi un quinto della popolazione del-l’India; per lo più vivono nei villaggi come braccianti agricoli senzaterra, e spesso sono vincolati a persone di caste più alte. Nonostante illoro numero, l’eguaglianza con gli altri indiani sancita nella Costitu-zione e una legge del 1955 promulgata per proteggerli, gli intoccabilisono spesso vittime di violenza, stupro, omicidio individuale o di

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massa, e continuano a vedere negati i loro diritti (all’istruzione, all’ingresso nei templi, alla libertà diresidenza e all’uso dei pozzi). La politica del governo, che ha riservato agli intoccabili una quota nellescuole e nell’amministrazione pubblica, ha fatto infuriare gli indù di casta più alta, che devono con-quistarsi un posto in base ai propri meriti, e spesso ne è derivata una violenza diffusa.Al pari delle donne, la minoranza degli intoccabili non è un gruppo omogeneo ma è diviso per castae per lingua. Le differenze interne hanno reso difficile l’azione congiunta ma, intorno agli anni Settanta,dall’attività di scrittori e di piccoli gruppi rurali in tutta l’India, è cominciata ad emergere un’identitànuova e distinta. L’attenzione era sulla comune condizione di dalit, cioè di «rovinati», «dispersi» e «op-pressi». Grazie ai libri e alle manifestazioni di protesta, a giornali e periodici come «The Dalit Voice»,ad azioni locali di resistenza e all’intervento nel dibattito politico di parlamentari delle Scheduled Ca-stes, gli indiani intoccabili e di provenienza tribale incominciarono ad agire insieme e a fare sentire lapropria voce.

K. KNOTT, Induismo, Einaudi, Torino

a. Perché nella società indiana la nascita di una figlia viene ritenuta una punizione?b. Perché è stata vietata la pratica della dote? Quale vantaggio avrebbe dovuto creare que-

sta disposizione?c. Quali sono i crimini più frequenti contro gli intoccabili?d. Quale tipo di azione è stata fatta dalle associazioni di lotta politica per ottenere parità di

diritti dei «senza casta»?e. Quale immagine ti eri costruito sulla discriminazione di donne e intoccabili nella società

delle caste indiana, prima di leggere queste pagine?

Il cammino verso la felicitàIn un libro che il Dalai Lama, la massima autorità religiosa buddhista, ha pubblicato in Oc-cidente, si dedica un capitolo all’insegnamento di che cosa sia la felicità, secondo il pensierobuddhista. Leggi il testo e rispondi alle domande che seguono.Riconoscere che il nostro stato mentale è il fattore essenziale al raggiungimento della felicità non si-gnifica negare di dover soddisfare i bisogni fisici elementari, come mangiare, vestirsi e ripararsi sottoun tetto. Ma una volta che tali necessità siano state soddisfatte, il messaggio è chiaro: non abbiamobisogno di più soldi, più fama e più successo, né di un corpo o un partner perfetti; in qualsiasi mo-mento della vita, compreso quello presente, abbiamo una mente, l’unico strumento indispensabile alconseguimento della vera felicità.Illustrando il suo approccio all’addestramento mentale, il Dalai Lama cominciò col dire: «Vi sono moltitipi di “mente” o “coscienza”. Come accade con le condizioni e gli oggetti esterni, certe cose sono assaiutili, altre assai nocive e altre ancora neutre. Quando affrontiamo la materia esterna, in genere cerchiamoinnanzitutto di capire quali delle diverse sostanze o elementi chimici siano utili, così da servircene e daaumentare il loro raggio di azione; ed eliminiamo invece le sostanze nocive. Allo stesso modo, quandoaffrontiamo la materia mentale dobbiamo capire che vi sono migliaia di pensieri, o “menti”, diversi. Al-cuni sono preziosi, e vanno coltivati e alimentati; altri sono molto dannosi e negativi, e vanno ridotti.Perciò il primo passo verso la ricerca della felicità è l’apprendimento. Dobbiamo prima di tutto im-parare in che modo le emozioni e i comportamenti negativi ci danneggino e in che modo le emozionipositive ci giovino. E capire che le emozioni negative non nuocciono solo al singolo individuo, maanche alla società nel suo complesso e al futuro del mondo intero. Se comprenderemo questo, ci raf-forzeremo nella volontà di affrontare e superare simili sentimenti. Poi occorre capire gli aspetti bene-fici di emozioni e comportamenti positivi e, una volta che siano stati compresi, sforzarsi di coltivarli,ampliarli e intensificarli, anche se l’impresa può essere molto ardua. Esiste una disponibilità sponta-nea che viene da dentro. Attraverso il processo di apprendimento, ossia tramite l’analisi dei pensierie dei sentimenti benefici e di quelli nocivi, a poco a poco maturiamo la ferma determinazione di cam-biare, perché pensiamo: “Ora il segreto della mia felicità, di un futuro personale migliore, è nelle miemani. Non devo lasciarmi sfuggire l’opportunità”.

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Nel buddhismo, il principio di causalità è ritenuto una legge naturale.Quando si affronta la realtà, bisogna considerare questa legge. Pren-diamo il caso delle esperienze quotidiane: se non desideriamo che cicapitino eventi certi, il metodo migliore per assicurarsi che non si ve-rifichino è fare in modo che le condizioni da cui sono generati non sipresentino più. Analogamente, se vogliamo che ci capitino particolarieventi o particolari esperienze, dovremo cercare che insorgano e si ac-cumulino le cause e le condizioni che li favoriscono.Il discorso vale anche per gli stati e le esperienze mentali. Se deside-riamo la felicità, dovremo vedere quali cause la producono e, se nondesideriamo la sofferenza, dovremo assicurarci che le cause e le con-dizioni da cui si origina non insorgano più. Capire questo principiocausale è della massima importanza».

DALAI LAMA, L’arte della felicità, Mondadori, Milano

a. Nelle prime righe del testo si dice che la felicità si ottiene siaattraverso la propria mente sia attraverso il proprio corpo;che cosa però viene specificato a proposito dei «bisogni ma-teriali»?

b. Quale distinzione fa il Dalai Lama tra emozioni positive e ne-gative? E tra comportamenti negativi e positivi?

c. Perché nel testo si dice che il segreto della felicità è nelleproprie mani?

I monaci zenNella sua diffusione in Oriente il buddhismo raggiunse la Cinae il Giappone. Una delle più celebri scuole cinesi fu quella Chan,che in Giappone prese il nome di Zen. Nel testo che segue unmonaco cistercense occidentale scrive a proposito del monachesimo zen e lo confronta inparte con quello di matrice cristiana. Leggi il testo e rispondi alle domande che seguono.I monaci zen sono noti per la semplicità e austerità della loro vita, per la loro povertà assoluta, per illavoro manuale, per l’estrema severità e schiettezza della vita comune. […] Molte pratiche monasti-che richiamano alla mente alcune delle più basilari tradizioni monastiche dell’occidente. Ma è neces-sario avvertire fin dall’inizio che da un certo punto di vista il monachesimo zen ha avuto uno scopodel tutto diverso dal nostro. […] Il nostro punto di vista sul monachesimo, come cistercensi, si concentra naturalmente sulla con-sacrazione a Dio per tutta la vita in un monastero al quale, per di più, siamo vincolati stabilmente daun voto. Il monaco zen è non meno deciso di noi nel dedicare la sua vita allo scopo di raggiungere lasalvezza. Ma per lui il monastero non è ciò che è per san Benedetto. […] Il monastero zen, con la sua sala di meditazione, o zendo, somiglia in un certo senso più a un se-minario che a una famiglia monastica. È un luogo di formazione e di addestramento, e quindi l’in-tensità e la pressione della disciplina dello zendo si comprendono più facilmente se si tiene conto cheesso deve durare solo pochi anni e non un’intera vita.Infatti, lungi dall’impegnarsi a rimanere per tutta l’esistenza nella stessa comunità, il monaco zen è vin-colato per un periodo relativamente breve, analogo a un «corso» scolastico. Alla fine di questo periodoè libero di andare in un altro monastero (come si può cambiare scuola o università). È anche soggettoa esami, e se non viene approvato non gli è permesso di ritornare allo stesso monastero e sarà ancherespinto dagli altri.Scopo di questa formazione, come vedremo fra poco, è di dare al monaco, più presto e più efficace-mente possibile, un grado di maturità e libertà spirituale che lo metterà in condizione di proseguire dasolo il cammino verso l’illuminazione mediante la pratica tradizionale dei precetti (sila), della medita-

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zione (dhyana), e della saggezza (prajna) buddhisti. Una volta raggiunta questa matura formazione, eglipuò lasciare il monastero per trasferirsi come prete in una città, o come eremita in un solitario santua-rio di montagna. Può anche andare in un altro monastero, darsi al pellegrinaggio, o tornare alla vita laica.Oppure può rimanere nel monastero per insegnare agli altri e guidarli. Ma in ogni caso è evidente che,almeno nello zen, il monaco buddhista non è incorporato per la vita in una famiglia monastica. In re-altà, come nel primitivo eremitismo cristiano, il monaco zen aspira a un particolare monastero più peril roshi, o «venerabile insegnante», che vi trova, che per amore della comunità o della regola. […]Per comprendere qualcosa dello spirito zen, possiamo citare una dichiarazione apertamente antimo-nastica attribuita a Buddha in uno dei suoi ultimi discorsi.«Perciò, Ananda, tu devi essere la tua lampada, essere il tuo rifugio. Non rifugiarti in niente che sia fuoridi te. Tieni ferma la verità come una lampada e un rifugio, e non cercare rifugio in qualcosa fuori dite. Il monaco diventa la propria lampada e il proprio rifugio cercando continuamente nel suo corposentimenti, percezioni, stati d’animo e idee, in modo da vincere le voglie e gli scoraggiamenti degli uo-mini ordinari, e da essere sempre attivo, padrone di sé e di animo pacato. Chi fra i miei monaci si com-porterà così, ora o quando io sarò morto, se è ansioso di imparare, raggiungerà la vetta».

T. MERTON, Mistici e maestri zen, Garzanti, Milano

a. Quale scopo ha l’addestramento in un monastero zen?b. Dove viene messa in pratica la formazione ricevuta nel monastero?c. Con quali mezzi si raggiunge la piena formazione monastica? Chi è un roshi?d. Che cosa significa secondo te, alla luce di quanto detto sul monachesimo zen, il detto del

Buddha al suo discepolo Ananda?

LABORATORIO 5

I mandalaTra gli esercizi di meditazione bud-dhisti ce n’è uno che si basa sullacostruzione e sulla meditazione diun’im magine fortemente simbolicache prende nome di mandala. Il mandala ha un’origine antichissima:il suo nome in sanscrito significa cer-chio o centro. In effetti, questa imma-gine simbolica si fonda sulle figuregeometriche del cerchio e del qua-drato, che vogliono rappresentare idue aspetti della vita: quello spiritualee quello materiale.I mandala vengono tracciati a terracon polveri colorate, o possono es-sere dipinti, o costituire la base di unintero edificio.Ne esistono moltissime varietà. Spesso,sulle figure geometriche di base, ven-gono inseriti elementi del paesaggioe personaggi. Per esempio il mandala

chiamato vajradhatu («cerchio del diamante») contiene, nella forma diffusa in Giappone, ben1314 divinità.Nella meditazione orientale, il mandala aiuta a visualizzare i diversi elementi della realtà ele loro relazioni, e, attraverso un itinerario spirituale, permette di cogliere la realtà dell’uni-verso e di raggiungere l’armonia interiore.

a. Osserva l’immagine: quanti cerchi e quadrati riesci a individuare?b. Quali e quante figure di divinità vedi? Ti sembra di riconoscerne qualcuna? Quali parti-

colari ti permettono di identificarla?c. Quali altri elementi naturali o oggetti riconosci?

Un caffè di ParigiProva a immaginare di essere in un caffè di Parigi(o di Londra, se preferisci), dove le culture e lepopolazioni si sono molto mescolate e dove èpossibile vedere persone appartenenti a popolidiversi che convivono nella quotidianità. Sei se-duto a un tavolino con altri ragazzi, decidi tu diquale nazionalità o religione; al vostro tavolo sitrova anche una ragazza indu, che vi spiega le ra-gioni delle associazioni per la rivendicazione deidiritti delle donne in India. Prova a immaginare lavostra conversazione; se ti è utile, serviti delle in-dicazioni che seguono.

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a. In quale caffè vi trovate? In quale città siete? Ci sono molte persone intorno a voi? Checosa state bevendo?

b. Per quale motivo vi trovate lì? Vi siete incontrati per caso o avete deciso di ritrovarvi peruno scopo preciso?

c. Come ha inizio la conversazione sui diritti delle donne? Quale motivo la introduce (unafoto su un giornale, una donna in costume tradizionale nel caffè, un annuncio perradio…)?

d. Fatti spiegare innanzitutto come stavano le cose nella tradizione: la considerazione delledonne, l’importanza degli uomini, il sistema della dote…

e. I tuoi amici chiedono qualche chiarimento? Conoscono qualche fatto e aggiungono qual-che notizia?

f. Fatti spiegare come stanno cambiando le cose ora, quali sono i motivi per i quali le donneindiane si battono e quali sono gli obiettivi del movimento.

g. Il vostro discorso si avvia alla conclusione, perché decidete di andare altrove o perché ar-riva un altro amico che cambia la situazione; tuttavia il tuo racconto si conclude su un ul-timo pensiero della tua protagonista…


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