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Capitolo 1
La sindrome di Williams
1.1 Premessa
La sindrome di Williams (SW) deve il suo nome al cardiologo neozelandese che per
primo la descrisse nel 1961, anche se la sua scoperta potrebbe essere fatta risalire al
1952 ad opera di Fanconi.
Williams, Barratt-Boyes e Lowe descrissero quattro casi di bambini che presentavano le
medesime anomalie: stenosi aortica sopravalvolare (SVAS), stenosi multiple delle arterie
polmonari periferiche, una peculiare forma di ritardo mentale con un quoziente intellettivo
lieve/moderato e dismorfismi facciali. Tutti i casi avevano avuto difficoltà di crescita nei
primi anni e al momento dell’osservazione presentavano cifoscogliosi e scarsa
coordinazione dei movimenti.
Quasi parallelamente, nel 1962, Beuren, Apitz e Harmjanz descrissero quattro bambini
che presentavano un quadro simile a quello individuato da Williams, ed è per questo
motivo che inizialmente la sindrome fu denominata di “Williams-Beuren”. Essi aggiunsero
alle caratteristiche già evidenziate una personalità particolarmente socievole, estroversa e
loquace.
Nel 1963 fu rilevata da Black e Bonham-Carter una connessione tra l’ipotetica sindrome
e l’ipercalcemia infantile (IIH) che provocherebbe nei primi mesi di vita: difficoltà di
crescita, costipazione, vomito, anomalie renali, ritardo mentale e dismorfismi facciali
(Fanconi, Girardet e altri, 1952). L’ipercalcemia, quando presente, tenderebbe a
scomparire nel corso del secondo anno di vita; più raramente si riscontrerebbero forme
persistenti e sintomatiche. A questa scoperta è possibile far risalire la denominazione di
Ipercalcemia Infantile, comunemente impiegata per identificare la SW.
A partire dagli anni ’70 sono stati individuati, oltre al caratteristico fenotipo clinico, un
fenotipo comportamentale ed un fenotipo cognitivo della sindrome.
Secondo Dilts e collaboratori (1990) il fenotipo comportamentale, riscontrabile anche nei
pazienti adulti, sarebbe caratterizzato da: iperattività, loquacità, comportamento
perseverante, ricerca di approvazione sociale e, con il crescere dell’età, una maggior
difficoltà nel rapporto sia con i coetanei che con gli adulti.
Per quanto riguarda il fenotipo cognitivo alcuni autori hanno sottolineato un profilo
neuropsicologico non armonico, dove le abilità linguistiche sarebbero sufficientemente
mantenute in contrapposizione con le prestazioni altamente deficitarie presenti in ambito
visuo-spaziale (Bellugi, Bhirle e altri, 1989).
Negli anni ’90 sono stati pubblicati sempre più studi inerenti ai diversi aspetti del
linguaggio come la semantica (Wang e Bellugi, 1993), la grammatica e le abilità narrative
(Bellugi e altri, 1990).
Una scoperta di grande rilievo è stata compiuta nel 1993 quando si è identificata la
causa della sindrome in una piccola delezione di una copia di una ventina di geni sul
cromosoma 7, in cui il difetto primitivo sembra legato ad un’alterazione del metabolismo
del calcio. In questo gruppo di geni deleti è sempre presente quello che codifica per
l’elastina (Ewart e altri, 1993; Morris e altri, 1993); la sua emizigosità è la causa di molte
caratteristiche della SW, tra le quali le alterazioni cardiache e vascolari, la voce roca e la
pelle facile all’invecchiamento, ma non spiega il ritardo mentale ed il profilo cognitivo e
comportamentale di questi pazienti. Negli anni seguenti sono stati identificati altri geni
nella regione deleta (Frangiskakis e altri, 1996) ed è stato ipotizzato che la SW sia una
sindrome da geni contigui, anche se gli ultimi risultati della ricerca non confermano questa
ipotesi.
1.2 Profilo clinico
1.2.1 Manifestazione della sindrome e fenotipo clinico
La sindrome di Williams ha un’incidenza compresa tra 1 su 10.000 e 1 su 20.000 nati,
ed è difficoltosa una stima più precisa dal momento che è solo da pochi anni che questa
sindrome viene diagnosticata con sicurezza mediante l’esame FISH (Fluorence In Situ
Hybridization).
La SW è causata da un’alterazione genetica e si trasmette con modalità autosomica
dominante.
La diagnosi si basa sull’aspetto fenotipico, sulle alterazioni cardiovascolari, sul profilo
cognitivo, sulla caratteristica personalità e, nel 95% dei casi, può essere confermata da
esami di laboratorio. E’ una patologia progressiva e con il passare degli anni divengono
sempre più importanti gli aspetti medici; per questo è fondamentale una diagnosi precoce
che, accompagnata dalle nuove tecniche cardiochirurgiche, ha permesso la riduzione dei
casi di mortalità, dovuti soprattutto a complicazioni cardiovascolari.
Il parto è generalmente post-termine, i bambini affetti possono presentare basso peso
alla nascita e, durante i primi mesi di vita, difficoltà nell’alimentazione, vomito, stipsi, facile
irritabilità ed un conseguente scarso accrescimento ponderale. E’ inoltre tipico un ritardo
nello sviluppo delle abilità sia cognitive e linguistiche che motorie (Thal, Bates e Bellugi,
1989; Doherty e Bellugi, 1992). Raramente questi bambini cominciano a camminare e a
produrre le prime parole prima dei due anni di età e, in alcuni casi, arrivano fino ai quattro
anni senza aver ancora raggiunto queste tappe evolutive.
Il quadro clinico è caratterizzato principalmente da:
- ritardo mentale, generalmente di grado medio;
- tipici dismorfismi facciali, che iniziano ad evidenziarsi dopo il secondo anno di vita e si
accentuano con l’età. I segni caratteristici sono: restringimento bitemporale,
sopracciglia rade nel terzo interno, pienezza dei tessuti periorbitali, radice del naso
infossata, narici anteverse, ipoplasia degli zigomi, anomalie dentarie (microdontia e
malocclusione), labbra grosse con il caratteristico atteggiamento della bocca che viene
mantenuta aperta, e una modesta micrognazia. In figura 1.1 è riportata un’immagine
del caratteristico viso “elfico” di questi pazienti, ottenuta al computer attraverso una
media di diverse fotografie di bambini affetti da SW;
Figura 1.1 Viso ottenuto al computer calcolando la media di diverse fotografie di bambini SW.
- bassa statura, che può essere considerata il risultato del fenomeno della “pubertà
accellerata e breve”. Ciò significa che la statura tenderebbe a migliorare nel corso dei
primi anni di vita, arrivando a valori quasi normali in fase prepuberale, per poi tornare a
livelli notevolmente inferiori alla norma. Alcuni autori hanno ipotizzato che la bassa
statura possa essere attribuita alla progressiva limitazione articolare ed alla
cifoscogliosi che spesso si accompagna al quadro clinico (Morris e altri, 1988); ma una
più ampia casistica raccolta fino ad oggi ha permesso di confermare altri dati che
suggerirebbero l’accelerazione della maturazione scheletrica e la rapida fusione delle
cartilagini accrescitive come cause più probabili della bassa statura finale.
- anomalie cardiovascolari, geneticamente determinate, che riguardano essenzialmente
la circolazione sistemica e quella polmonare. La lesione più frequente è quella
sopravalvolare aortica (SVAS), che consiste in un restringimento dell’aorta ascendente
che ha origine a livello della giunzione sino-tubolare. L’etiopatogenesi non è nota,
anche se si suppone possa essere dovuta ad alterazioni fetali del metabolismo calcio-
fosforico (Friedman e Roberts, 1966). L’evoluzione clinica dei soggetti con SVAS
consiste in una prima fase asintomatica, successiva riduzione della tolleranza allo
sforzo e, nelle fasi più avanzate della malattia, angina pectoris e sincope, sintomo
quest’ultimo legato ad una riduzione acuta della perfusione cerebrale. Studi
ecocardiografici ed emodinamici seriati hanno chiarito l’evoluzione della SVAS
evidenziando che il grado di ostruzione tende ad aumentare rapidamente con il
passare del tempo (Ino e altri, 1988) mentre solo raramente si osserva un lento e
progressivo miglioramento nel corso del follow-up (Geggel e altri, 1992). La terapia è
chirurgica e la prognosi a lungo termine è buona. Le stenosi periferiche delle arterie
polmonari presentano invece una minore incidenza rispetto alle arterie sistemiche,
sebbene siano indicatori clinici importanti della SW. Esse provocano un sovraccarico
sistolico ventricolare destro che può esitare, nel lungo termine, nello scompenso
cardiaco. Nella maggior parte dei casi la molteplicità delle lesioni e la loro
localizzazione rendono problematica la terapia chirurgica correttiva. Studi prospettici
hanno però evidenziato che l’evoluzione naturale di questo tipo di stenosi vascolari
polmonari periferiche è tendenzialmente benigna, con una progressiva regressione nel
tempo (Giddings, 1989). Appare pertanto plausibile un atteggiamento conservativo,
riservando il trattamento soltanto ai casi di maggior gravità. Nei pazienti affetti da SW
sono state riscontrate anche numerose altre anomalie cardiovascolari, ma con
un’incidenza notevolmente inferiore;
- un ulteriore aspetto peculiare di questa Sindrome concerne la caratteristica personalità
definibile come accattivante (Morris e altri, 1988), mostrata dalla maggior parte di
questi pazienti, che si manifesta attraverso un’eccessiva facilità ad entrare in relazione
con gli altri.
Sono inoltre da includere nella descrizione del fenotipo clinico una serie di anomalie.
Tra le principali: iperacusia; ipertensione; anomalie scheletriche; anomalie del tessuto
connettivo, causate in particolare dalla delezione del gene che codifica per l’elastina;
anomalie endocrine, causate da un’alterazione della funzione tiroidea (che tenderebbe a
normalizzarsi nel corso della vita); anomalie oculari, tra le quali è tipica la presenza di iride
stellata (in particolare nei pazienti con occhi azzurri); anomalie renali; anomalie genitali ed
incanutimento precoce nei pazienti adulti.
1.2.2 Le basi biologiche
Tra gli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90 si è cercato di localizzare il gene responsabile
della SW, attraverso il riscontro di anomalie cromosomiche occasionalmente associate alla
sindrome. In questo modo sono state identificate alcune regioni ipotetiche, che studi
successivi hanno però dimostrato non essere patogeneticamente correlate con la SW.
La comprensione delle basi biologiche è iniziata nel 1993 per il concorso di tre
circostanze. La prima si riferisce all’evidenza della consistente associazione tra la
sindrome e la SVAS, che si manifesta in circa tre quarti dei pazienti. La seconda riguarda
l’identificazione del gene responsabile della SVAS, che due studi hanno mappato sul
braccio lungo del cromosoma 7 (Eward e altri, 1993; Curran e altri, 1993). La terza
circostanza è stata la localizzazione, nella regione 7q11.23, del gene che codifica per
l’elastina (ELN) (Fazio e altri, 1991), proposto come “candidato” per spiegare la SVAS.
Lo studio di numerosi pazienti ha confermato la delezione del locus ELN in circa il 98%
dei casi, ma è oggi chiaro che la delezione è più estesa e comprende un segmento
genomico di dimensioni relativamente eterogenee e non correlabili con la gravità del
fenotipo clinico.
L’emizigosità di ELN spiegherebbe le anomalie del tessuto connettivo presenti nei
pazienti, come l’iperlassità articolare, le ernie, il prolasso rettale, le diverticolosi della
vescica e del colon, l’ipotonia muscolare, la voce roca e in particolare le caratteristiche del
viso, compreso l’invecchiamento precoce della cute, la sua lassità attorno agli occhi, la
prominenza delle guance, le labbra grosse e la malocclusione dentale. Non sono invece
riconducibili all’aploinsufficienza di ELN gli altri sintomi clinici, in particolare quelli neuro-
comportamentali, visto che l’elastina non è presente in livelli significativi nel cervello.
La conoscenza degli aspetti genetici della sindrome ha avuto un impatto sulla
consulenza genetica delle famiglie dei pazienti. La conferma della diagnosi in presenza di
genitori non affetti attribuisce l’origine della sindrome ad una nuova mutazione nella
gametogenesi di un genitore, senza predilezione per la spermatogenesi o la oogenesi. In
caso di successiva gravidanza questo meccanismo permette di assegnare ai genitori un
rischio di ricorrenza pari a quello di tutte le coppie. D’altra parte la mutazione della SW si
comporta in maniera autosomica dominante, quindi per i rari pazienti che si riproducono il
rischio di trasmissione è del 50% per i figli.
1.3 Profilo neuroanatomico
Alcuni autori hanno tentato di identificare eventuali basi anatomiche in grado di spiegare
il complesso profilo neurocomportamentale presente nei soggetti affetti da SW,
caratterizzato dalla relativa preservazione di alcune capacità linguistiche pur nel contesto
di un discreto ritardo mentale con grave deficit delle abilità visivo-spaziali e visivo-motorie.
A tale scopo la maggior parte degli studi sono stati condotti mediante l’impiego della
Risonanza Magnetica.
Le maggiori evidenze in questi pazienti riguardano una microcefalia con aspetto
dolicocefalico, ma senza alterazioni a carico degli emisferi cerebrali, del cervelletto e del
corpo calloso (Fariello, Orazi e Schingo, 1994); si tratterebbe di una riduzione del volume
cerebrale rispetto ai soggetti normali, anche se la sostanza grigia sarebbe rappresentata
in proporzioni sovrapponibili.
Appaiono invece relativamente preservate le regioni superiore-temporale e cerebellare.
Le tonsille cerebellari, la porzione più attendibilmente riconoscibile agli emisferi
neocerebellari, risultano essere paragonabili in dimensioni assolute a quelle dei soggetti
normali, ma appaiono di dimensioni aumentate in proporzione all’encefalo (Wang e altri,
1992). Inoltre a livello del verme cerebellare le aree VI e VII di origine neocerebellare sono
preservate e spesso iperplastiche. A questo proposito, ed in relazione alle buone capacità
linguistiche mostrate da questi pazienti, è importante osservare che il neocervelletto gioca
un ruolo di rilievo nella coordinazione dei meccanismi preposti alla fluidità del linguaggio
(Leiner e altri, 1989). E’ stato inoltre ipotizzato che il cervelletto contribuisca all’analisi dei
suoni: questa potrebbe essere coinvolta nella creazione di associazioni tra le parole alla
velocità necessaria per la comunicazione verbale (Deacon,1997).
La sostanza grigia sovratentoriale è significativamente ridotta, tuttavia il volume della
corteccia frontale è sostanzialmente normale rispetto a quello della corteccia posteriore.
Questa predominanza prefrontale nei bambini con SW riveste due principali funzioni, che
risultano essere molto interessanti per il profilo cognitivo e comportamentale di questi
soggetti. In primo luogo permette una precoce scoperta delle relazioni tra le parole, a
discapito di quelle tra parole ed oggetti, grazie al ruolo che l’area prefrontale ha nella
costruzione di un’architettura mnemonica tale da permettere la creazione di associazioni
tra simboli. Secondariamente, considerando il ruolo rilevante che quest’area ha nella
manifestazione del comportamento sociale, è possibile ipotizzare che l’ipersocialità
manifestata da questi pazienti sia la conseguenza della predominanza dei lobi frontali.
Anche le strutture limbiche del lobo temporale (uncus, amigdala, ippocampo e giro
ippocampale) sono risparmiate, ad eccezione dell’amigdala che apparirebbe di dimensioni
ridotte.
Lo sviluppo normale di queste strutture, dei lobi frontali e del neocervelletto, potrebbe
spiegare la non-compromissione delle funzioni linguistica ed affettiva in questi pazienti.
Alcuni autori ritengono infatti che il sistema composto da neocervelletto e corteccia
frontale abbia un ruolo rilevante nell’elaborazione del linguaggio, e che le due aree che lo
compongono siano sotto il controllo degli stessi geni (Deacon,1997).
Molte strutture sottocorticali come il talamo, il putamen ed il pallido, hanno invece un
volume ridotto, in proporzione alla riduzione globale del volume cerebrale (Jernigan,
Bellugi e altri 1993); anche il volume assoluto del nucleo caudato e del corpo calloso
appaiono significativamente ridotti.
Alcune analisi neuroanatomiche sono state compiute anche attraverso l’uso di campioni
di autopsie (Galaburda e altri, 2000). Una consistente scoperta neuroanatomica riguarda
l’anormale lunghezza del solco centrale, che produce un’insolita configurazione nella
regione dorsale-centrale includendo una porzione del lobo superiore-parietale e del giro
dorsale-frontale. Vengono inoltre confermate le tesi secondo le quali il cervello delle
persone affette da SW mostrerebbe una mancanza di asimmetria a livello temporale ed
alcune riduzioni nella regione posteriore. Sempre grazie agli studi di Galaburda è stata
anche rilevata una peculiarità della corteccia visiva dove sembrerebbe che i neuroni siano
di dimensioni maggiori, ma con una densità minore. A questo riguardo è possibile
ipotizzare un collegamento tra l’anomalo raggrupparsi dei neuroni nell’area 17 ed i deficit
nelle abilità spaziali manifestati dai pazienti.
Studi neuroanatomici recenti, infine, hanno tentato di spiegare il talento musicale, una
delle capacità peculiari delle persone con SW (Lenhoff e altri,1997). Dai risultati emerge
che la porzione uditiva dei lobi temporali ed il planum temporale, anch’esso implicato
nell’elaborazione dei suoni, sono proporzionalmente più grandi rispetto ai soggetti normali.
Per di più, la porzione sinistra del planum temporale, generalmente di volume inferiore a
quella destra, è più grande negli individui con SW, raggiungendo le dimensioni riscontrate
nei musicisti professionisti.
1.4 Profilo neuropsicologico
La SW presenta un quadro neuropsicologico tipico, caratterizzato da ritardo mentale
classificato come medio-lieve (Burn, 1986). Il Quoziente Intellettivo si colloca tipicamente
intorno al valore 50, con un range che varia da 40 a 90 (Karmiloff-Smith, 1992).
E’ qui opportuno precisare che per ritardo mentale (RM) si intende una condizione
eterogenea caratterizzata da un deficit dello sviluppo intellettivo e da una ridotta capacità a
far fronte alle richieste adattive del contesto sociale ed ambientale (American Association
on Mental Deficiency, 1992). Inoltre secondo alcune recenti ricerche (Stella, 1992) ci
sarebbe un’altissima correlazione tra il RM ed “alcune microcomponenti dei processi
cognitivi” quali l’attenzione, i tempi di reazione, la memoria a breve termine nelle varie
modalità spaziale e verbale e l’efficienza nell’immagazzinamento dei dati. Le persone con
RM non riuscirebbero a trovare strategie di compenso a questi deficit.
I profili cognitivi, e soprattutto neuropsicologici dei bambini con SW sono stati e
continuano ad essere oggetto di osservazione in numerose ricerche, che spesso prendono
direzioni opposte.
Uno studio condotto da Dall’Oglio, Milani e Vicari (1994) con questi piccoli pazienti ha
messo in evidenza come l’insufficienza mentale sia una condizione di diversità non solo
quantitativa, ma anche qualitativa. I soggetti affetti da SW, così come le persone con
ritardo mentale paragonabile, hanno difficoltà che si possono definire metacognitive,
perché riguardano trasversalmente tutte le funzioni. Inoltre, quando sono sottoposti a
prove più impegnative attuano specifiche modalità di processamento delle informazioni,
come la tendenza a confabulare, a perseverare, ad aderire al modello, a comportarsi in
modo disinibito. Gli autori ipotizzano che queste modalità di comportamento siano un
tentativo di risposta del bambino che si trova nell’incapacità di rappresentazione cognitiva
e nell’impossibilità di utilizzare strategie di elaborazione adeguate al compito richiesto:
questi pazienti si collocherebbero prevalentemente allo stadio del pensiero preoperatorio.
Il profilo neuropsicologico, sul quale si è concentrato gran parte dell’interesse dei
ricercatori a partire dagli anni ’70, è stato indagato in modo particolare attraverso gli studi
condotti da Bellugi e collaboratori (1988). In queste ricerche si è evidenziata una
dissociazione tra abilità linguistiche, apparentemente preservate, e abilità visuo-spaziali,
fortemente deficitarie. In anni più recenti, anche le osservazioni sperimentali e cliniche di
altri autori, hanno indicato la presenza, nei soggetti affetti da SW, di questa peculiare
“dissociazione” cognitiva, che non è però confermata da altri studi. La maggioranza dei
ricercatori (Vicari, Brizzolara e altri, 1996) condividono, infatti, l’idea che i soggetti con SW
abbiano un profilo neuropsicologico complesso, nel quale, sia nel dominio linguistico che
in quello visuo-spaziale, alcune capacità sono preservate e altre sono danneggiate.
Infine, un’acquisizione che risulta comune a molti studi che si sono occupati dei primi
anni di vita di questi soggetti, riguarda il fatto che il bambino con SW abbia un ritardo nello
sviluppo delle abilità sia motorie che cognitive e linguistiche. Lo sviluppo del linguaggio
oltre che in ritardo, si presenta anche come atipico, perché la produzione delle prime
parole inizia più tardi del normale e non è accompagnata dalla normale attività
d’indicazione degli oggetti, ma da una particolare concentrazione dello sguardo sul volto
degli adulti (Mervis e Bertrand, 1993).
1.4.1 Competenza linguistica
Alcuni autori (Bellugi e altri, 1996) sostengono che le abilità linguistiche dei bambini ed
adolescenti con SW appaiano, spesso, meno compromesse di altre abilità cognitive.
Considerando il generale deficit cognitivo, è infatti sorprendente la facilità con la quale la
maggior parte di questi pazienti utilizzino un linguaggio a volte anche complesso. Pertanto,
si è recentemente parlato di questi soggetti come esempi di una possibile indipendenza
del linguaggio dalla cognizione, ma i numerosi studi condotti non sempre giungono a
risultati uniformi.
Tutte le ricerche concordano, invece, sul fatto che i bambini con SW abbiano un iniziale
ritardo nello sviluppo delle abilità linguistiche. Le prime parole compaiono tardi, non prima
dei due anni di età, ed il ritardo è marcato sia nella comprensione che nella produzione
lessicale (Bellugi, Bhirle e altri, 1990). La fase successiva dello sviluppo, ossia il
passaggio dalle singole parole alle frasi, è caratterizzata, così come per i bambini normali,
da una rapida presa di possesso delle basi strutturali morfosintattiche, e comincia allo
stesso livello di vocabolario dei normodotati. Non appena emergono le prime acquisizioni
a livello grammaticale, i bambini affetti da SW subiscono uno straordinario miglioramento
linguistico generale.
Altri studi neuropsicologici si sono indirizzati ad esaminare in maggior dettaglio le
prestazioni linguistiche, analizzando i vari sottodomini, fonologico, lessicale e
grammaticale, sia in comprensione che in produzione. Anche se questi studi non sempre
giungono alle stesse conclusioni, sembra comunque emergere un profilo linguistico non
armonico, con prestazioni disomogenee nei differenti sottodomini indagati.
Nel campo sintattico-morfologico, Wang e Bellugi (1993) riferiscono di notevoli abilità
nei piccoli pazienti. Essi dimostrano di utilizzare, nel loro linguaggio spontaneo, frasi
grammaticalmente complesse, ben costruite, con molte clausole e subordinate. Inoltre
questi soggetti, se confrontati con un gruppo di controllo, utilizzano più idiomi e frasi sociali
stereotipate, insieme ad una modalità superfamiliare di comunicazione con l’adulto che ha
portato alla denominazione di “cocktail party speach” per descrivere il loro caratteristico
linguaggio (Udwin e Yule, 1990).
Un altro aspetto tipico di questi soggetti, emerso da una ricerca di Karmiloff-Smith e
Grant (1992), concerne la loro capacità di ripetere correttamente parole senza senso al
primo tentativo, dimostrando di recepire e ripetere semplicemente la forma fonologica, non
processando attivamente gli input linguistici e facendo, quindi, ipotizzare una modalità di
sviluppo del linguaggio simile all’apprendimento di una seconda lingua.
Bisogna però evidenziare che emergono anche delle peculiari ed atipiche cadute nella
loro produzione. Sono frequenti i problemi legati all’uso del genere grammaticale
(Karmiloff-Smith e Grant, 1992), ed un’analisi degli errori fa emergere la tendenza ad
omettere alcuni elementi, come gli articoli, e a sostituire nomi o preposizioni, creando
spesso frasi inaccettabili dal punto di vista grammaticale (Rubba e Klima, 1991).
Uno studio di Volterra (Pezzini, Volterra e altri, 1994) sottolinea che nella comprensione
morfosintattica le prestazioni dei soggetti con SW tendono a migliorare con l’aumentare
dell’età mentale. Gli errori più ricorrenti riguardano le frasi comparative, le frasi sulle
relazioni degli elementi che compongono l’enunciato, le frasi sulle strutture reversibili con
verbo attivo e sulle relative strutture gerarchiche. La percentuale degli errori morfologici è
risultata sensibilmente più elevata, rispetto a errori lessicali o sintattici.
Inoltre, sia in produzione che in comprensione, sono errori ricorrenti quelli che
coinvolgono l’uso delle preposizioni spaziali (Bellugi e altri, 2000).
Per quanto riguarda il dominio semantico e lessicale è riconosciuta da più autori
(Bellugi, Bhirle e altri, 1990) la sorprendente loquacità sostenuta da un ricco vocabolario,
inusuale considerato il livello delle altre capacità cognitive in questi individui. Se analizzati
nel corso di una comunicazione informale, questi soggetti ricorrono frequentemente a
parole inattese usandole in modo sintatticamente corretto, anche se a volte, da un punto di
vista semantico, non del tutto appropriato al contesto. Inoltre una ricerca condotta da
Bellugi ed altri (2000) per indagare il processamento degli omonimi in questi pazienti, ha
suggerito come potrebbero esserci alcuni aspetti insoliti nella loro analisi semantica. I
soggetti Williams, infatti, in un compito di somiglianza tra omonimi, scelgono in numero
equivalente parole con un significato primario, ossia che più frequentemente viene
associato all’omonimo, e parole con un significato secondario, di uso meno comune.
Questo dato, confrontato con il gruppo di controllo, che tende invece a scegliere parole
con un significato primario, fa pensare ad un’organizzazione semantica anormale nei
pazienti. E’ stato ipotizzato che questa modalità di procedere possa essere correlata al
sistema neuronale sottostante. Nello stesso studio è stata allora utilizzata la tecnica dei
potenziali evocati (ERPs) durante un compito di frasi contenenti anomalie semantiche, ed
è effettivamente emersa una diversa distribuzione delle onde nei due gruppi (Williams e
controlli) confermando l’ipotesi neuronale.
Non tutti gli studi sulla semantica confermano, però, i risultati esposti dalla Bellugi
relativi ad una sua buona preservazione; in altre ricerche il linguaggio dei bambini con SW
appare deficitario, al pari di quello dei soggetti con ritardo mentale paragonabile. In
particolare, dalle ricerche di Volterra (Volterra, Capirci e altri, 1996) emerge che i bambini
con SW hanno una produzione lessicale per categoria semantica sovrapponibile a quella
di bambini normali di pari età mentale, e che i termini prodotti sono quasi tutti ad alta
frequenza di denominazione. Solo alcuni soggetti mostrano prestazioni superiori alla
norma in due aspetti: la fluenza fonologica e la lunghezza media dell’enunciato, anche se
questo risultato sembra essere più legato a fattori esperienziali, e quindi all’età
cronologica, che non ad una effettiva migliore abilità semantica e grammaticale. Inoltre, gli
errori più frequenti risultano essere le parafasie, cioè la sostituzione del termine corretto
con una parola appartenente alla stessa categoria semantica, e le circonlocuzioni, cioè la
descrizione della funzione d’uso dell’oggetto al posto della sua denominazione.
Questi risultati contrastanti possono essere dovuti al fatto che i soggetti degli studi di
Volterra erano molto più giovani di quelli di Bellugi.
E’ opportuno infine precisare che il linguaggio dei bambini con SW risulta maggiormente
deficitario nelle situazioni di osservazione più strutturate (test), mentre nella vita quotidiana
i genitori riportano prestazioni migliori (Arnold, Yule e Martin, 1985). Questa incongruenza
potrebbe essere spiegata sostenendo che i pazienti, nelle interazioni di tutti i giorni,
riescono a sopperire al deficit linguistico attraverso l’abile mimica e l’intonazione.
Il linguaggio negli scambi sociali. Un altro aspetto molto interessante della sindrome
concerne l’abilità nell’utilizzare le capacità linguistiche per impegnarsi in scambi sociali.
Molti individui con SW mostrano, infatti, una propensione sorprendente verso
l’espressione affettiva e il contatto interpersonale. I bambini affetti da SW sono molto
chiacchieroni, hanno buone capacità imitative ed utilizzano il linguaggio per scopi sociali
(Bellugi, Bhirle e altri, 1990). Sembra, infatti, che comincino a usare le parole per
sostenere relazioni sociali prima di comprendere il significato di molte di esse (Karmiloff-
Smith, 1992).
L’interazione tra linguaggio e comportamento sociale in questi pazienti è ben indagata
attraverso una serie di compiti narrativi, nei quali viene chiesto al soggetto di raccontare
una storia a partire da una serie di immagini statiche. Dagli studi di Bellugi emerge
l’utilizzo di un linguaggio espressivo carico affettivamente, ricco di indici di prosodia
paralinguistica, come i cambiamenti di tono, la lunghezza vocalica o la modificazione del
volume, e dove ricorrono verbi che esprimono stati mentali ed affettivi, marcatori enfatici,
onomatopee, discorso diretto, connettori causali, inferenze, e attrattori, come frequenti
frasi esclamative ed altre strategie per impegnare gli ascoltatori (Reilly, Klima e Bellugi,
1991). Gli individui con SW, inoltre, fanno uso di una ricca architettura narrativa che va
oltre ciò che viene esplicitamente presentato nelle figure, e sono in grado di manipolare la
propria narrazione secondo gli scopi della storia narrata.
Risultati contrastanti arrivano da Volterra (Volterra, Capirci e altri, 1996), che afferma
come le capacità narrative dei bambini con SW siano paragonabili o inferiori a quelle dei
bambini normali di pari età mentale, sia sul piano funzionale che su quello formale.
Per quanto riguarda gli aspetti funzionali, gli autori ritengono che i pazienti con SW
appaiono, talvolta, bravi conversatori, il loro discorso sia fluente ed utilizzino abilmente
routine sociali e forme intonazionali, ma i loro contenuti siano spesso inappropriati al
contesto. Inoltre, i soggetti Williams avrebbero difficoltà ad adeguarsi alle richieste
dell’interlocutore e, nel racconto spontaneo, faticherebbero a riferire avvenimenti reali a
loro accaduti anche poco tempo prima.
Per quanto riguarda gli aspetti formali, le prestazioni più deficitarie si evidenziano a
livello morfologico, piuttosto che lessicale e sintattico.
In conclusione, l’ipotesi sostenuta da Bellugi che questa sindrome possa costituire un
buon esempio di indipendenza o dissociazione tra linguaggio e cognizione, non può
essere provata dai dati di Volterra, dal momento che le abilità linguistiche appaiono
compromesse e collegate, in modo corrispondente, alle capacità cognitive raggiunte in
ambito non verbale, se non addirittura inferiori.
1.4.2 Abilità mnestiche
La memoria costituisce una capacità cognitiva la cui integrità è indispensabile per un
corretto sviluppo intellettivo. La sua valutazione in persone con ritardo mentale potrebbe
aiutare la comprensione della natura del deficit cognitivo sottostante.
Vicari e Carlesimo (1994) dopo una ricerca finalizzata alla descrizione delle capacità
mnestiche di bambini con ritardo mentale, hanno confermato l’ipotesi secondo la quale
bambini con ritardo mentale di diversa eziologia mostrano difficoltà specifiche e aspetti
differenziali nelle prestazioni che forniscono in prove di memoria.
Wang e Bellugi (1994) hanno condotto una studio volto ad indagare la memoria a breve
termine (MBT) in bambini affetti da SW e SD (sindrome di Down) ed i loro risultati hanno
mostrato performance speculari nei due gruppi. Per quanto riguarda i soggetti con SW
emergono prestazioni deficitarie in prove di memoria visiva immediata, mentre appaiono
relativamente preservate, se non addirittura brillanti, le capacità manifestate in compiti di
memoria verbale a breve termine.
Vicari, Pezzini e Brizzolara (1996) in una ricerca con bambini affetti da SW si sono
occupati dello studio della memoria a breve e a lungo termine. In sostanza le capacità
mnestiche dei ragazzi con SW appaiono caratterizzate da una memoria visuo-spaziale
deficitaria, sia a breve che a lungo termine, e da una dissociazione nella memoria verbale,
con un relativo risparmio della memoria a breve termine ed una compromissione di quella
a lungo termine. In particolare nello studio della MLT episodica sono state indagate
separatamente le fasi di codifica, consolidamento e recupero del materiale. I dati fanno
emergere:
- una capacità di codifica, con materiale verbale, relativamente preservata;
- una significativa caduta di prestazione nelle prove di rievocazione differita, suggerendo
l’ipotesi di un accelerato decadimento della traccia mnestica;
- buone capacità di recupero attivo dei dati verbali e pessime prestazioni nel richiamo e
nel riconoscimento di materiale visuo-spaziale.
Infine in un ulteriore studio di Vicari e collaboratori (1996) i dati sottolineano, per la
maggior parte dei bambini con SW, che la MBT funziona in modo relativamente
indipendente dalla MLT semantica e che la codifica mnestica, per parole sia ad alta che a
bassa frequenza d’uso, avviene prevalentemente e rigidamente sulla base di
caratteristiche di tipo fonologico, anziché fonologico e semantico-lessicale, come avviene
nel funzionamento normale. Inoltre, i soggetti affetti da SW dimostrano di ricordare
significativamente meglio le parole dell’ultima parte di una lista (recency effect) rispetto a
quelle della prima parte (primacy effect). Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che il
ricordo degli ultimi items è basato principalmente sugli aspetti fonologici e non sul
processamento semantico dello stimolo come per i primi.
Gli individui affetti da SW mostrano, quindi, una dissociazione tra un uso normale delle
caratteristiche fonologiche e un deficit nel contributo di elementi lessicali-semantici nei
compiti di memoria.
1.4.3 Competenze visuo-spaziali e prassico-costruttive
Il problema dell’organizzazione visuo-spaziale e visuo-costruttiva è all’ordine del giorno
per i soggetti con SW, ed è spesso aggravato dall’iter scolastico che li obbliga a confronti
continui con richieste di questo genere, spesso rivolte loro con l’intenzione di facilitare,
rispetto ad una modalità verbale ritenuta troppo complessa.
I dati riportati dalla letteratura, per quanto riguarda il profilo neuropsicologico della SW,
sono abbastanza concordi nel segnalare una maggior compromissione delle abilità visuo-
spaziali e prassico-costruttive, con un relativo risparmio all’interno delle funzioni visuo-
percettive della capacità di riconoscimento dei volti.
Quando ad un soggetto con SW si chiede di disegnare, copiando una figura o facendo
un disegno libero, la sua produzione è tipicamente povera in coesione e l’organizzazione
generale è priva di immagine. Sembrerebbe, infatti, una caratteristica di questa sindrome
la produzione di particolari e piccoli elementi a scapito delle forme globali.
Una ricerca condotta da Dall’Oglio, Milani e Vicari (1994) ha evidenziato, in questi
individui, una tendenza alla frammentazione, che si ridurrebbe con l’aumentare dell’età
mentale. Gli autori ipotizzano che a gradi di ritardo mentale minori, corrisponda una
maggior capacità di considerare la globalità dell’immagine.
Tuttavia questi risultati contrastano con quanto riferito da Bellugi ed altri autori (Bhirle,
Bellugi e altri, 1989), i quali sostengono, in tutti i soggetti con SW, la prevalenza di un
tipico stile cognitivo, che potremmo definire analitico, caratterizzato da una particolare
attenzione per le forme locali ed una tendenza a trascurare le relazioni tra le parti.
Questo tipo di deficit, però, è spesso compensato dal linguaggio; è infatti frequente
osservare come questi pazienti cerchino di mediare verbalmente i propri disegni, fornendo
descrizioni ricche di relazioni per permettere all’altro di interpretare le varie componenti
frammentate.
L’ipotesi è che l’estrema difficoltà incontrata nel disegno non sia semplicemente dovuta
a difficoltà motorie, ma sia la conseguenza di uno specifico deficit visuo-spaziale.
Questo quadro di dissociazione tra funzioni linguistiche preservate e abilità visuo-
spaziali fortemente compromesse è stato assimilato a quello presente in adulti con lesioni
dell’emisfero cerebrale destro. I risultati di numerose ricerche, però, hanno portato diversi
autori, tra cui la stessa Bellugi, a chiedersi se non sia più lecito spostare l’osservazione
dall’asse cerebrale laterale destra-sinistra a quello antero-posteriore. Un dato
sorprendente, infatti, è emerso in una ricerca di Bellugi e altri autori (1988). Essi hanno
osservato come al test di riconoscimento dei volti (Benton Facial Recognition Test) i
pazienti con SW ottengono prestazioni sovrapponibili a quelle dei bambini normali di pari
età cronologica, e quindi superiori rispetto a quelle attese sulla base della loro età
mentale. Questa capacità di riconoscimento dei volti è un’abilità neuropsicologica
normalmente mediata dall’integrità dell’emisfero destro, e fa quindi emergere un profilo
neuropsicologico complesso in questi pazienti. Questo dato sottolinea come all’interno
della cognizione visuo-spaziale i soggetti Williams esibiscano una profonda dissociazione
tra la capacità di processamento dei volti, assolutamente integra e ben sviluppata sin
dall’infanzia, e il profondo deficit mostrato negli altri compiti basati sulla cognizione visiva.
Inoltre, l’integrità di questa abilità potrebbe confermare la strategia cognitiva analitica
utilizzata dai soggetti Williams, che li favorirebbe in questo compito esclusivamente
percettivo.
A sostegno dell’ipotesi di un deficit molto più simile a quello presentato da adulti con
danno frontale, si evidenziano tre comportamenti, tipici dei ragazzi con SW e comuni ad
individui con lesioni frontali. Queste caratteristiche sono tanto più evidenti nei soggetti
Williams quanto maggiore è il loro ritardo mentale. Innanzitutto si tratta della difficoltà a
programmare e pianificare un compito; in un esercizio di riproduzione spesso sembra che
questi pazienti non sappiano da quale elemento cominciare e la loro produzione risulta
confusa, semplificata e ripetitiva. In secondo luogo, essi tendono ad eseguire la loro
rappresentazione tanto vicini al modello da aderirvi quasi, come se non possedessero una
sufficiente capacità di rappresentazione cognitiva e di sequenzialità. Infine, mostrano una
chiara tendenza alla perseverazione, continuando a fornire la medesima risposta
stereotipata.
E’, quindi, più probabile che il profilo neuropsicologico dei pazienti con SW sia
paragonabile a quello di individui con danno frontale, piuttosto che a quello di adulti con
lesioni a carico dell’emisfero cerebrale destro.
Per concludere, è interessante osservare come rappresentazioni spaziali e linguistiche
interagiscano nella SW. Attestato il chiaro deficit cognitivo spaziale presente in tutti questi
pazienti, Bellugi ed altri (2000) hanno svolto alcuni studi sul linguaggio dei soggetti
Williams ed hanno osservato come anche gli adulti tendano a fare un cattivo uso delle
preposizioni spaziali nei loro racconti, suggerendo l’utilizzo di una modalità linguistica
problematica per descrivere le relazioni spaziali. Un’indagine ulteriore, compiuta dagli
stessi autori, ha indagato la qualità degli errori compiuti permettendo di chiarire come le
scarse abilità spaziali interferiscano con le capacità linguistiche, o meglio come potrebbe
essere difficile per questi pazienti mettere in relazione le rappresentazioni spaziali e quelle
linguistiche.
1.5 Profilo comportamentale e psicopatologico
Dalla revisione della letteratura su soggetti affetti da SW si riscontra la possibilità di
definire un profilo comportamentale-psicologico caratteristico della sindrome stessa. Molti
autori hanno descritto in questi pazienti delle specifiche caratteristiche di personalità, fino
ad individuare un vero e proprio fenotipo comportamentale. Esse risultano essere:
accentuata ansietà e insicurezza, iperattività, distraibilità, prolungata dipendenza dalle
figure genitoriali ed eccessiva facilità a stabilire rapporti interpersonali con gli adulti,
caratterizzati da adesività, iperverbosità e superficialità.
Già nel 1964 Von Armin e Engel hanno sottolineato in questi individui la presenza di un
comportamento estremamente amichevole e, successivamente, questi pazienti sono stati
descritti come socievoli, loquaci e particolarmente sensibili ed emotivi. Gli stessi autori
hanno anche rilevato indici di insicurezza e ansia. Negli anni seguenti, sempre più ricerche
hanno evidenziato l’incidenza di comportamenti psicopatologici in questi soggetti.
Se confrontati con altri gruppi di ritardati mentali, essi non differiscono riguardo
l’incidenza di comportamenti nevrotici, antisociali e di disturbi psichiatrici, anche se una
ricerca di Marcheschi (Marcheschi, Pfanner e altri, 1988) evidenzia in soggetti Williams la
frequenza di tratti nevrotici come ansia, conflitti circa l’inadeguatezza personale e, in alcuni
casi, disturbi ipomaniacali.
Una differenza significativa è stata riscontrata riguardo al comportamento iperattivo che
i ragazzi Williams mostrano sia in ambito familiare che scolastico (Arnold, Yule e Martin,
1985).
Sono stati inoltre riferiti, dagli stessi autori, un comportamento solitario, che verrebbe
manifestato soprattutto a scuola, e cattivi rapporti con i coetanei. Sembra quindi che la loro
accattivante personalità li favorisca nel porsi positivamente in relazione con gli adulti, ma
non altrettanto con i coetanei. Dalla tarda adolescenza in poi, questa difficoltà ad
intraprendere e a mantenere rapporti con i coetanei si accentua.
Sempre in relazione ad altri soggetti con deficit cognitivo riconducibile a differenti
etiologie, è stato trovato che gli individui con SW mostrano un’incidenza di disturbi
emozionali e comportamentali più alta (Udwin, Yule e Martin, 1987). Questi soggetti
presentano disturbi dell’alimentazione e del sonno, alcune difficoltà motorie, irrequietezza,
comportamenti ossessivi, attacchi di panico, irritabilità e ipersensibilità ai rumori; hanno
una scarsa capacità di concentrazione e spesso manifestano comportamenti intesi ad
attirare l’attenzione degli adulti. Sono molto ansiosi, espansivi, socialmente disinibiti, e
mostrano un attaccamento indifferenziato verso gli adulti.
La loro personalità è dunque caratterizzata da estrema socievolezza, labilità emotiva,
crisi di ansia e intolleranza alle frustrazioni (Battaglia, Brizzolara e altri, 1986).
Studi condotti confrontando le caratteristiche comportamentali di pazienti affetti da
sindromi diverse con soggetti normodotati hanno posto in evidenza alcuni tratti sindromici
caratteristici.
Wiegers, De Meyer e altri (1994) utilizzando un campione composto da individui con la
SW, con la sindrome di Prader-Willi e con la sindrome dell’X fragile, hanno trovato che tutti
i soggetti sindromici presentano alti livelli di dipendenza e irritabilità, e bassi livelli di
apertura rispetto al controllo; che i bambini con la SW e con la sindrome di Prader-Willi
hanno disturbi nell’attività motoria; e che i punteggi più alti nell’instabilità emotiva sono
raggiunti dalle bambine con SW.
Uno studio successivo, condotto da Gosch e Pankau (1996), ha confrontato la SW, la
SD e la sindrome di Brachmann ed ha trovato che i bambini con SW, oltre ad avere una
maggiore incidenza di problemi comportamentali, risultano essere i più ansiosi, curiosi,
irrequieti, inibiti ma anche meno riservati nei confronti degli estranei.
Gli stessi autori si sono anche occupati di verificare la stabilità nel tempo del fenotipo
comportamentale (Gosch e Pankau, 1997) ed hanno studiato tre gruppi di individui con
SW di età differenti (infanzia, adolescenza ed età adulta). Gli autori, pur affermando che
con l’aumentare dell’età ci sia un incremento degli aspetti più accettati socialmente e dei
sintomi depressivi, concludono che il fenotipo tipico della sindrome è generalmente stabile
nel tempo, e che i problemi sociali e comportamentali persistono nell’età adulta.
Un ulteriore aspetto riguarda la possibilità per questi pazienti di condurre una vita
indipendente. Essa generalmente risulta limitata da problemi psicologici ed adattativi,
piuttosto che fisici cronici; soltanto una piccola percentuale di questi individui (dal 2 al 4%
secondo le ricerche) vive sola, conducendo una vita semplice e spesso esercitando facili
mansioni lavorative. L’autonomia personale costituisce un grosso problema per questi
pazienti; molti adulti con SW rimangono infatti “dipendenti” dai familiari per molti aspetti del
quotidiano (lavarsi, vestirsi, preparare da mangiare, effettuare compere, ecc.). La
condizione cognitiva ha comunque un peso fondamentale, e importanti sono anche le
differenze individuali che, in ogni storia di ritardo mentale, possono risultare determinanti
nel definire il buon esito adattativo.
In conclusione, quindi, le persone con SW continuano ad avere bisogno di sostegno e di
controllo anche in età adulta. Le difficoltà motorie, l’ansia, la distraibilità rendono loro
difficoltoso lo svolgimento di semplici attività quotidiane. I deficit visuo-spaziali,
l’intolleranza ai rumori e la scarsa percezione della velocità rendono le strade molto
pericolose. La loro disinibizione sociale e l’estrema amichevolezza li espongono
continuamente al rischio di sfruttamento. Gli adulti con SW hanno bisogno di essere
controllati molto più che altri adulti con disturbi cognitivi (Devies, Howlin e Udwin, 1997).
Un’ultima considerazione che è doveroso fare concerne le possibili cause che
determinano il profilo comportamentale e psicologico dei pazienti.
Pfanner e collaboratori (1993) hanno descritto nei bambini con SW una struttura
armonica, con immaturità affettiva e tendenza alla dipendenza dalle figure adulte di
riferimento; sono frequenti nuclei ansiosi e depressivi, con sentimenti di inadeguatezza,
scarsa autostima e conflittualità. Spesso questi soggetti esibiscono un comportamento
aggressivo come difesa da un nucleo depressivo profondo, espresso attraverso momenti
di inibizione e ansia di separazione. La tendenza ad esprimere la pulsione, il movimento e
l’agito vengono letti dagli autori come un tentativo di mantenere l’equilibrio attraverso
l’azione, per coprire falle narcisistiche precoci.
Secondo Caviglia e Gentile (1994) è possibile ipotizzare più cause determinanti del
particolare profilo:
- grande importanza sembra assumere il periodo perinatale e i primi anni di vita
caratterizzati da un’accentuata sofferenza fisica e psicologica a causa della frequente
separazione forzata dalla madre per ospedalizzare il figlio. In una situazione in cui i
genitori devono già fronteggiare le ansie relative al prendere coscienza della “diversità”
del proprio bambino ed elaborare il trauma della nascita di un figlio con sindrome,
questo non facilita nelle madri la possibilità di riconoscere emotivamente ed
empaticamente il loro bambino. L’impossibilità di allattare al seno rende ancora più
difficile per la madre riconoscere emotivamente ed empaticamente il bambino. Inoltre
le difficoltà di assunzione del cibo, lo stato di malattia e di ricovero sembrano
determinare in molti soggetti con SW una reazione depressiva e caratterizzare il
rapporto madre/bambino, con conseguente difficoltà ad instaurare un adeguato
rapporto di attaccamento;
- la scarsa crescita, il viso peculiare che lo fa apparire come più giovane, il ritardo nello
sviluppo motorio, producono nell’ambiente primario una reazione di iperprotezione e
prolungata dipendenza dalla madre, che sarà sperimentata come positiva ed adottata
successivamente come modalità di relazione con gli adulti. Questi pazienti tendono a
chiedere continuamente sostegno agli adulti, che svolgono per loro una funzione di Io
ausiliario al loro Io fragile e poco strutturato;
- le difficoltà visuo-motorie e prassico-costruttive sembrano portare il bambino con SW
all’evitamento dalle attività in cui quelle capacità sono implicate e ad un
iperinvestimento delle capacità linguistiche, soprattutto formali, che gli permettono di
difendersi dal vissuto di inadeguatezza e quindi di riparare le ferite narcisistiche dell’Io.
In generale secondo questi autori, ed in accordo con i risultati ottenuti da vari ricercatori
italiani (Dilts e altri, 1990), l’atteggiamento iperattivo, l’eccessiva loquacità ed il
comportamento adesivo potrebbero rappresentare una difesa di tipo maniacale da un
nucleo depressivo profondo formatosi nel primo periodo di vita.