LA ST A M PA C L A N D E ST IN A D E LL A R E SIST E N Z A
IN U N A R A C C O LTA D O C U M EN T A RIA
Abbiamo già avuto occasione di dare sommaria notizia, al Congresso di Genova, della raccolta di tutta la stampa del M ovi' mento di Liberazione Nazionale, che è in corso presso l’Istituto Giacomo Feltrinelli di Milano: vogliamo qui illustrare più ampia- mente i criteri che hanno ispirato tale raccolta, e le difficoltà che si sono incontrate nel corso della sua formazione.
Quanto alle difficoltà, esse dipendono, per la maggior parte, dal fatto che molta parte del materiale propagandistico è andata distrutta, durante la stessa occupazione nazifascista, e in tempi posteriori. Che durante l’occupazione il materiale venisse distrutto, appena compiuta la propria funzione, è cosa ovvia, dato il rischio mortale che il possesso di giornali o volantini implicava. Tuttavia, le dimensioni di questa sistematica distruzione non sono note, neppure approssimativamente: ne potremmo avere un’idea, se sapessimo quale volume ebbe all’incirca la propaganda clandestina di: quell’epoca e confrontassimo questo dato con l’entità del materiale superstite: ma, purtroppo, non si può conoscere il punto di partenza, se non per induzione, in base a qualche cifra che riguarda questa o quella zona, in questo o quel ristretto periodo, per questo o quel movimento.
Quello che è certo, comunque, è il fatto che le proporzioni della propaganda clandestina erano molto più vaste di quanto generalmente si possa ritenere: e che il materiale superstite, per quanto ne rappresenti una minima parte, costituisce ancora un patrimonio considerevole. La ricerca avviata dall’Istituto Feltrinelli, ricerca che ancora è ben lungi dal potersi ritenere compiuta, ha posto sotto i nostri occhi più di quattromilacinquecento oggetti diversi, tra opuscoli, giornali, manifestini, riviste. Si ha pertanto ragione di ritenere che assai più numerosi siano stati i testi pubblicati alla macchia se si pensa che, per esempio, nella sola Torino, per un periodo di diversi mesi, le sole organizzazioni comuniste provinciali e di settore pubblicarono quotidianamente diversi testi differenti, che si aggiun
4 Laura Conti
gevano ai giornali e alle riviste di ispirazione centrale, come l'Unita e La nostra lotta. Le tirature erano naturalmente basse, se si con- frontano con le tirature dei giornali legali, ma molto alte se si paragonano con la possibilità di diffusione delle pubblicazioni clandestine, e con i pericoli che tale diffusione portava con se. Nelle grandi città le tirature del materiale stampato si aggiravano, in media, tra le diecimila e le ventimila copie: ma la tiratura normale di cinquemila copie per una piccola città, come per esempio Verona, dimostrava la grande audacia dell’impegno. Si deve considerare infatti che, particolarmente nelle città di provincia, il raggio di diffusione era molto ristretto, così che, ad esempio, il materiale veronese non giunse nè a Trento nè a Padova. Più ampio era però il raggio di diffusione delle pubblicazioni che venivano preparate nelle grandi città, tanto che a Padova, dove non si trova materiale proveniente da Verona, si trova invece materiale proveniente da Milano, e altrettanto accade a Trento: anomalia apparente, che si spiega col fatto che l’organizzazione politica clandestina tendeva a collegare le città minori piuttosto alle città principali che tra di loro.
E ’ da ritenere che i testi preparati per la diffusione clandestina abbiano superato largamente il numero di diecimila: e questa ipotesi concerne solo gli oggetti che sono passati sotto i nostri occhi sino ad oggi, e quelli di cui, nel corso della ricerca, abbiamo sentito parlare: ma può darsi che altri e molto numerosi siano quelli che non abbiamo mai visto e di cui non ci è pervenuta neppure una vaga notizia: tuttavia, preferiamo attenerci a un’ipotesi molto ristretta, ma che sia basata o su prove o almeno su notizie di una certa fondatezza. Di questi testi le tirature erano in media, come si è visto, relativamente alte, pur tenendo conto del fatto che il materiale ciclostilato o dattiloscritto non potè avere che tirature molto basse, di poche centinaia o poche decine di copie. Si ragiona qui, forzatamente, per induzione; ma non si è lontani dal vero se si pensa a diecimila testi, e a una tiratura media di mille copie: nel qual caso si giunge a una cifra molto ragguardevole, di dieci milioni di copie. Anche volendo ridurre di molto, per prudenza, questo totale, dobbiamo' sempre considerare cifre di qualche milione.
Ora si presenta spontanea una riflessione; sono esistiti in Italia, non moltissimi anni fa, ma quindici anni fa, alcuni milioni di oggetti indubbiamente interessanti, sia sotto il punto di vista storico, sia sotto quello della semplice curiosità. Ebbene, è accaduto il contrario
La stampa clandestina 5
di quel che è accaduto alle schegge della croce di Cristo, che si dice siano così numerose da poter con esse ricostruire non un albero ma una foresta di alberi: nel caso nostro invece, quel che è rimasto è rigorosamente autentico, ma di una foresta è rimasta solo qualche scheggia. Una distruzione impressionante: chi di noi vuol indagare, non nell’ambito dei resistenti, ovviamente, ma in una più larga cerchia di conoscenti, e soprattutto fra i giovani, quanti abbiano avuto modo di leggere qualche giornale o volantino del Movimento di Liberazione, si stupirà di udire un’enorme quantità di risposte negative. Non vi è un giovane, di una certa cultura, o almeno ani- mato da qualche interesse, che non abbia avuto tra le mani o sottocchio, una volta nella sua vita, un francobollo raro, o un frammento di vaso etrusco, o uno scarabeo egiziano, o una pianta tropicale, o un animale esotico... ma la quasi totalità dei giovani italiani, anche colti e curiosi, non ha mai potuto prendere visione di qualcuno di quei milioni di fogli che pure hanno circolato nel nostro Paese, circa quindici anni fa.
Questo fatto ci costringe a riflettere sulle nostre responsabilità: e perfino, qualche volta, a chiederci se non avremmo dovuto arrischiare qualche cosa di più per non disperdere e non distruggere in modo così imponente un patrimonio prezioso. Questo, naturalmente, è un pensiero ozioso, perchè tutti noi, messi ancora una volta nel rischio di perdere la vita per salvare un giornale, con molto buon senso sacrificheremmo ancora una volta il giornale: e però consideriamo con grande gratitudine e ammirazione quei pochi che, con grave rischio, hanno conservato qualcuno di quei cimeli che oggi con fatica raccogliamo.
Abbiamo, tuttavia, molte responsabilità per quel che è accaduto in questi quindici anni: per l ’inerzia e l’incuria con cui abbiamo troppo lungamente dimenticato l’esistenza di questo problema, e lasciato disperdere il nostro patrimonio, o almeno quel che ne rimaneva, cessato il terrore nazifascista. Per quindici anni abbiamo lasciato che la polvere cancellasse i cattivi inchiostri di guerra, o che l’umidità ammuffisse la cattiva carta di guerra; per quindici anni abbiamo lasciato che i topi divorassero quel che rimaneva di ciò per cui molti sacrificarono la vita, o che gli eredi stolti lo vendessero allo straccivendolo o lo gettassero nella stufa; per quindici anni abbiamo lasciato che persone di buona volontà e di ottime intenzioni facessero scempio di oggetti preziosi, malamente incollandoli su pannelli,
6 Laura Conti
e trascinandoli in mostre ed esposizioni di cui poi il materiale è andato disperso, e forse termina oggi di ammuffire e scolorirsi in qualche magazzino o cortile dimenticato. Questo è purtroppo il quadro incredibile della nostra incredibile negligenza: e dobbiamo dire di noi stessi che siamo davvero persone per lo meno molto strane, se ci è stato più facile partecipare a una lotta rischiosa, che costringerci a una elementare e ovvia diligenza. Dopo aver constatato con amarezza tutto ciò, dobbiamo però cercare di: rimediare agli errori compiuti.
A questo punto, stanno sotto i nostri occhi le schede, come si è detto, di circa quattromilacinquecento oggetti. Vediamo un po’ quali sono state sinora le fonti di raccolta e di reperimento; di che tipo sono gli oggetti che abbiamo avuto occasione di considerare e come se ne può avviare una classificazione e suddivisione, che ne agevoli l’uso agli studiosi.
Anzitutto, si deve riconoscere che, nel quadro di una generale negligenza, alcuni ambienti ristretti hanno fatto lodevolissima eccezione: proprio per questo si è potuto accedere ad alcune raccolte che ci hanno fornito un primo contingente di materiale, e la possibilità di una prima fondamentale suddivisione, sulla quale articolare poi le ricerche e gli inserimenti successivi. Le raccolte più importanti sono tre: quella dell’ Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, a Torino, quella dell’ Istituto Nazionale per la Storia del M. d. L. a Milano e quella dell’ Istituto Feltrinelli. Oltre a queste principali, sono ottimamente ordinate, per quanto il loro materiale sia molto limitato, la raccolta di Trento presso il Museo del Risorgimento e della lotta per la Libertà, e alcune raccolte romane, precisamente quella del Museo della Liberazione di Roma, e quella dell’Istituto Gramsci. In altre città e provincie tuttavia non abbiamo la possibilità di disporre di raccolte già ben ordinate. E ’ vero, ad esempio, che una collezione importante esiste a Padova: ma ci sembra di dover ritenere che il materiale veneto sia ancora in grandissima parte disperso; è vero che in Toscana e nelle Marche abbiamo trovato persone gentilissime che ci sono state larghe di informazioni preziose e ci hanno mostrato del materiale molto utile, ma la raccolta e la sistemazione dei documenti da parte dell’ Istituto Storico di Firenze è agli inizi: per troppi anni si è rinunciato a tentare un reperimento che, in quella città, avrebbe dovuto riuscire assai fruttuoso. Analoghe osservazioni si possono fare per quel che riguarda
La stampa clandestina 7
la Liguria, ma, soprattutto, questo discorso deve farsi per l’Emilia: dove forse più che in qualsiasi altra regione il Movimento di Libe- razione fu organizzato e forte, dove si ebbe ricco, anzi ricchissimo, materiale di propaganda elaborato e stampato perifericamente, con' forme alle occasioni e alle contingenze che si verificavano giorno per giorno in questa o quella zona: e dove, tuttavia, ancor oggi, la ri' cerca si affida molto di più alla cortesia dei privati cittadini, che alla collaborazione di istituti o di organizzazioni.
Una delle più gravi difficoltà che si incontrano, è quella che dipende dalle successive vicissitudini politiche, che hanno varia' mente modificato la compagine dei movimenti e delle organizza' zioni che avevano partecipato alla lotta di Liberazione nazionale. Per questa ragione, il materiale più facile da reperire è senza dubbio quello comunista, poiché il partito comunista ha conservato un’inin- terrotta continuità nel corso di questi anni. Il partito socialista ha invece subito una scissione, che, a ogni livello della sua struttura organizzativa, ha sconvolto i suoi apparati; di ciò si percepiscono le conseguenze, quando, nel corso delle ricerche che svolgiamo, sen- tiamo parlare di raccolte e di fondi che sono, purtroppo, andati di' spersi. Inoltre, un diverso sistema di selezione dei quadri dirigenti e degli attivisti nei due partiti ha fatto sì che nel partito comunista vi sia stato un avvicendamento assai minore, e quindi fu assai meno vasto il fenomeno di recessione dalla vita politica di persone che a suo tempo avevano partecipato attivamente alla lotta di Liberazione e che in tempo successivo si ritirarono invece a vita privata, alien- tando anche i vincoli di personale amicizia e rendendosi quindi, persino, difficilmente reperibili.
E ’ strano come questo destino di dispersione abbia colpito il patrimonio documentario del partito d’azione meno gravemente che quello del partito socialista, per quanto il partito d’azione si sia sciolto: coloro che ne fecero parte conservano tutt’oggi frequentemente, pur militando in organizzazioni politiche diverse o non partecipando più attivamente alla vita politica, rapporti di amicizia tra loro, così da agevolare in qualche modo le nostre ricerche. E ’ probabile che ciò si debba alla particolare contingenza che saldò queste amicizie, e all’impegno molto intenso e combattivo che il partito d’azione assolse nella lotta antifascista prima ancora che nella lotta di Liberazione nazionale; inoltre, era proporzionalmente più elevato, tra le file azioniste, il numero degli intellettuali e degli
8 Laura Conti
studiosi, che più volentieri degli altri, per la loro formazione culturale, sono portati a collezionare e ad archiviare.
Grave è stata la dispersione di materiale di propaganda clandestina tra i liberali, che negli anni successivi alla lotta di Liberazione si separarono, seguendo destini politici diametralmente divergenti. Grave, inoltre, è stata tale dispersione tra le file dei cattolici, poiché, dei cristiani che nella Resistenza militarono differenziandosi dagli altri resistenti sulla base di un pensiero politico e sociale cristiano, soltanto una piccola parte ha conservato una certa unità organizzativa, tramandandola alle organizzazioni della D. C. La parte più numerosa di essi affluì invece ad altre formazioni politiche, oppure si è ritirata dalla politica militante.
Grave è stata poi la dispersione nell’ambito del movimento militare partigiano, perciò la stampa di tali formazioni è oggi la più difficile da ritrovare; il che dobbiamo constatare con disappunto, perchè se i problemi politici della lotta di Liberazione si ritrovano agevolmente nella stampa dei partiti, il substrato morale e psicologico della lotta politica era tuttavia documentato, in modo forse prevalente, proprio nella stampa dell’organizzazione militare parti- giana.
Ancor più radicalmente sono state spazzate via dalla scena della politica, col rischio di perdere anche la loro documentazione storica, certe formazioni politiche minori, esterne o anche interne al C .L .N .: non si parla solo della « destra », per esempio dell’antifascismo monarchico, nè solo di quelle formazioni politiche la cui esistenza dipendeva più da accordi di vertice che da consenso di masse, come la democrazia del lavoro; ma anche di movimenti politici di base o di massa, di origine operaia o comunque popolare, e di movimenti di categorie, sia operaie che tecniche e intellettuali, legati o no al C .L .N . Compagini più o meno organizzate, più o meno strutturate, più o meno forti, ma che, tuttavia, si impegnarono energicamente nella lotta. Cessata la contingenza che aveva originato tali formazioni, gli uomini che le avevano create non ne conservarono i documenti. Ebbe questa sorte — per esempio — anche il Fronte della Gioventù, che pure contava numerosi e audaci militanti, e una buona organizzazione, ma la documentazione che ne rimane è assai scarsa. Sembra quasi che gli uomini, portati dalla loro vitalità e dalla loro maturazione a superare il proprio passato, cerchino in qualche modo di « rompere » con il passato stesso, e di-
La stampa clandestina 9
struggerne le prove; almeno così pare, quando si cede alla tentazione, forse legittima del resto, di interpretare come semplice negligenza la negligenza individuale, ma di interpretare invece come intenzione, se pure oscura e semi-inconsapevole, la negligenza collettiva di migliaia di persone.
Questa interpretazione non è del resto del tutto arbitraria, quando si pensi che nel corso della nostra ricerca siamo spesso ostacolati non solo dalla pigrizia e dalla negligenza di alcuni tra coloro ai quali ci rivolgiamo (e duole ammetterlo), ma ci troviamo, a volte, anche di fronte a rifiuti, motivati dal fatto che la persona che interpelliamo per ottenere un volantino o un giornale, non crede più che le cose scritte su quel volantino siano state giuste. A me personalmente è accaduto di vedermi rifiutare la collezione di un giornale istriano, con questa spiegazione: « no la xe stampa che la se ri- speti »; e con ciò il mio interlocutore intendeva dire che oggi gli pare che l’impostazione data allora su quel giornale al problema dei rapporti tra Italiani e Sloveni, fosse sbagliata. A un mio collaboratore è accaduto di vedersi togliere di mano un volantino che stava schedando, perchè il linguaggio col quale quel volantino si rivolgeva agli operai occupati in fabbricazioni di guerra era un linguaggio di rottura e non di persuasione, un linguaggio, dunque, politicamente sbagliato. Un simile substrato psicologico, che la natura della nostra indagine ha permesso di cogliere, e che giustifica alcuni degli episodi che si manifestano nel corso di questa stessa indagine, probabilmente è più vasto, latente e inconsapevole, e spiega ancor più chiaramente ciò che non avviene, vale a dire il fatto che non si consegni spontaneamente il materiale agli Istituti di raccolta e di studio, come sarebbe desiderabile. Questo discorso ci conduce, ovviamente, sul terreno accidentato dai rapporti fra politica e storia, e della difficoltà di intendere e di scrivere la storia recente: ma in un caso del tutto particolare, per quanto si riferisce alla circostanza, certamente non consueta, che protagonisti di avvenimenti storici, e tuttora in possesso della documentazione che li testimonia, siano le masse popolari o gli individui stessi del popolo, non le élites degli intellettuali.
Non tutte di questo genere sono però le inespresse -—- o reticenti — obiezioni, che vengon mosse alla ricerca che noi conduciamo. A parte l’attaccamento sentimentale che molti hanno per gli oggetti, di cui credono li si voglia privare — mentre molte volte ci
IO Laura Conti
si accontenterebbe solo di una documentazione fotografica — esiste spesso, e particolarmente negli ambienti colti, là dove quindi ci si potrebbe aspettare un maggiore aiuto, una certa sfiducia verso1 le istituzioni di studio; sfiducia la cui origine non è del tutto irragio- nevole, se si pensa che purtroppo gli italiani colti sanno benissimo che il materiale affidato alle istituzioni pubbliche non è sempre ben affidato: qualche volta è mal conservato, qualche volta si smarrisce, spesso viene sepolto in un’anonima eterogenea congerie che non sollecita lo studio e la consultazione, ma li scoraggia. Si finisce perciò con l’aver più fiducia nell’organizzazione di studio personale, propria o degli amici, piuttosto che in quella pubblica.
Se queste sono, e solo in parte accennate, le difficoltà che incontriamo nel momento della ricerca del materiale, bisogna poi considerare le altre difficoltà, che sorgono in un momento successivo, e cioè quando si tratta di riordinare il materiale, e di classificarlo e descriverlo in maniera tale da farne quel valido strumento che vogliamo offrire agli studiosi del movimento di Liberazione nazionale.
Secondo un ordine più logico che cronologico, il primo problema che ci siamo trovati di fronte è stato quello di dare omogeneità alla raccolta iniziata, e quindi di stabilire esattamente l’oggetto della nostra ricerca. Difatti, la dizione « stampa clandestina del movimento di Liberazione nazionale » è solo apparentemente chiara ed inequivocabile; è evidente che, per esempio, un giornaletto ciclo- stilato o un volantino dattiloscritto (o manoscritto) rientrano a buon diritto tra la « stampa » clandestina anche se, tecnicamente, non sono « stampati ». Questa interpretazione in senso lato della parola « stampa » apre tuttavia un grosso problema: la distinzione tra norme organizzative, direttive politiche, e materiale di propaganda, non è infatti sempre molto agevole. Accade molto spesso che ci capiti tra le mani una cartella dattiloscritta, che, non si può assolutamente giudicare « omogenea » rispetto al materiale di propaganda che andiamo cercando. Se si tratta di disposizioni organizzative, la cosa è evidente : ma molto spesso è soltanto sfumata la differenza tra le disposizioni organizzative e le direttive politiche. E le direttive politiche, possono essere nettamente distinte dalla propaganda? Questa distinzione appare artificiosa, quando si riflette che l’enunciazione di un indirizzo politico ̂ può essere di per sè un atto di propaganda. Pelota ci atteniamo a questo criterio: escludiamo dalla nostra raccolta tutti i dattiloscritti e i ciclostilati, che recano esclusivamente dispo
La stampa clandestina ii
sizioni organizzative; e di quelli che recano direttive politiche, escludiamo quelli che portano direttive destinate all’esecuzione in ambiente ristretto, e includiamo invece quelli che indirizzano i loro suggerimenti ad una massa molto vasta. Per fare un esempio: un suggerimento politico indirizzato ai rappresentanti di un partito in seno a un C .L.N . provinciale, non lo consideriamo « propaganda »; ma un suggerimento politico indirizzato ai rappresentanti di un partito in seno ai C .L.N . di fabbrica, o ai partigiani, iscritti al partito, che militano in una formazione militare, lo riteniamo « propaganda ». Questo criterio non offre un’assoluta sicurezza, nella discriminazione, e naturalmente finisce anche con l’aprire il campo a valutazioni personali, soggettive e criticabili. Però sino ad oggi ci è stato abbastanza utile, e perciò è probabile che lo seguiremo sino alla fine della nostra raccolta, anche se è possibile, per contro, che nel corso del lavoro si finisca per elaborare un criterio differente.
La difficoltà nasce dal fatto che non esistono « dati esterni » capaci di rispecchiare il contenuto degli oggetti: nella vita legale, nessuno penserebbe che un foglio manoscritto sia destinato alla propaganda; se è scritto a mano, evidentemente porta un’informazione, oppure un consiglio, oppure una disposizione, o una testimonianza: ma sicuramente non si può ritenere che faccia « propaganda ». In tempo illegale invece, questa relazione tra il mezzo tecnico e il contenuto non esisteva. In secondo luogo, in tempi legali la propaganda specializza i propri strumenti, e in tempo illegale invece questa specializzazione non esiste; e, come già aveva riconosciuto Lenin, lo stesso strumento svolgeva compiti diversi, di agitazione, di propaganda e di organizzazione; e poteva anche essere, nonostante la complessità dei compiti, uno strumento tecnicamente elementare e rozzo. E ’ quindi prevedibile sin da oggi che la scelta che noi stiamo facendo apparirà a molti e sotto diversi aspetti criticabile.
Tuttavia, coloro che rammentano l’epoca in cui abbiamo vissuto, e coloro che dalla documentazione raccolta sapranno interpretarla, certamente comprenderanno che non abbiamo potuto valerci di un criterio esterno, oggettivo e rigido, ma che abbiamo dovuto foggiarci un criterio più elastico, che tenesse conto anche delle intenzioni e delle finalità degli oggetti che andiamo collezionando: delle finalità intenzionali in chi ha preparato questi oggetti, e in chi li ha distribuiti, e delle finalità che effettivamente sono state raggiunte.
12 Laura Conti
Difatti a un certo punto, non si poteva più continuare a raccogliere dei documenti sulla base di una loro oggettiva ed esterna omogeneità, ma si doveva definire chiaramente lo scopo della raccolta: che cosa, realmente, volevamo documentare?
Volevamo documentare l’opinione politica degli Italiani che partecipavano alla lotta di Liberazione nazionale: il formarsi clandestino di questa opinione, il suo clandestino esprimersi, il suo rischioso divulgarsi; la sua unità e compattezza, nell’indicare gli obbiettivi immediati della lotta, e le sue differenziazioni; il suo progressivo maturare, e il suo progressivo estendersi. Questo compito non poteva trovare esempi e precedenti molto validi, da cui trarre suggerimento e modello, perchè lo stesso evento storico che abbiamo vissuto non aveva avuto precedenti: un lungo movimento sotterraneo, clandestinamente organizzato, clandestinamente efficiente sul piano politico e sul piano militare, sul piano economico e sindacale come sul piano del sabotaggio o degli attentati, poteva trovare dei precedenti (per quanto, anch’essi, soltanto parziali) nelle azioni delle élites rivoluzionarie, ma non ne trovava nelle azioni delle vaste masse popolari. V i è una specie di contraddizione in termini tra le parole « movimento clandestino » e le parole « movimento di massa » : come vi è una specie di contraddizione in termini tra il sostantivo « propaganda » e l’aggettivo « clandestina » : come vi è contraddizione tra l’impulso a scendere sulla piazza, alla luce del sole, e la necessità di nascondersi nell’ombra. Questa è la contraddizione che ci costò tanta angoscia, che fu difficile e rischioso superare. E questo è il volto del movimento di Liberazione che vogliamo illuminare: la formazione di un’opinione di massa, un’opinione unitaria e tuttavia differenziata, un’opinione « clandestina » che tuttavia tendeva a uscire di sotterra, capace di divulgarsi con milioni e milioni di fogli stampati, ciclostilati, scritti a mano.
Se questo è l’obbiettivo del nostro lavoro -—• documentare il formarsi e il divulgarsi di un’opinione di massa e clandestina — allora il campo della nostra ricerca si allarga, perchè questa opinione cercava informazioni o conferme dappertutto, si maturava e si sviluppava, nell’ombra, attingendo a tutte le fonti possibili e proibite. Allora vediamo che non ci può interessare soltanto il giornale stampato alla macchia, ma anche il giornale che proveniva dalla Svizzera, come quello che proveniva dall’Italia liberata, ma che veniva scritto e stampato nell’ intenzione di aiutare il movimento di Libera
La stampa clandestina 13
zione nel nostro paese; e che, se veramente riusciva a inserirsi nel processo di formazione di un’opione politica della Resistenza, se riusciva ad esprimerne validamente le fasi, o a fornirle i dati su cui appoggiare una speranza o confermare un piano di lotta, trovava nel nostro paese tante persone audaci nel diffonderlo, e tanti lettori appassionati, quanti ne trovavano i nostri giornaletti scritti e stampati di nascosto. Per questa ragione, abbiamo ritenuto di dover includere, nella nostra raccolta, anche giornali ed opuscoli scritti in Svizzera, o in America, nonché i volantini lanciati dall’aviazione inglese o americana.
Tuttavia, non ci è sembrato il caso di includere tutto il materiale che potè venir diffuso clandestinamente nell’Italia occupata dai nazisti, ma solo quello di cui ci risulta senz’ombra di dubbio che ebbe, di fatto, questa diffusione. Non ci interessa — in questa sede — sapere quali piani di propaganda ebbero le forze armate delle Nazioni Unite nei confronti del popolo italiano: se questo ci interessasse, sarebbe facile scrivere ai comandi militari per avere copia dei giornali che vennero aviolanciati e se ne avrebbero le collezioni complete. Ma a noi interessa invece sapere su quali elementi, con quale materiale, si è formata di fatto l’opinione delle masse popolari italiane durante la Resistenza, e perciò cerchiamo e collezioniamo quei volantini aviolanciati che ancora rimangono nelle case di quei contadini, a cui portarono le notizie del mondo libero: volantini dei quali perciò siamo sicuri che vennero raccolti, letti, distribuiti. Allo stesso modo, non inseriremo nella nostra raccolta le collezioni dei giornali che vennero pubblicati a Roma o a Firenze dopo la liberazione di quelle città: ma vi andiamo inserendo quei giornali che ritroviamo al di qua della linea Gotica, e di cui siamo quindi certi, per le testimonianze che raccogliamo, che vennero rischiosamente portati attraverso il fronte, rischiosamente diffusi e letti. Si vede, dunque, come l’aver precisato l’obbiettivo fondamentale del nostro lavoro ci abbia aiutati ad elaborare un criterio di scelta. Ci rendiamo conto del fatto che questo criterio rischia di trascurare qualche cosa, 0 molte cose: perchè è probabile che oggi non si trovi più traccia di qualche giornale o di qualche volantino, che venne diffuso, ma che poi fu distrutto. Questo, certamente è accaduto spesso. Pertanto, offrendo la nostra raccolta agli studiosi potremo dire: « questo non è tutto il materiale su cui si formò l’opinione della Resistenza italiana; ma tutto questo materiale è servito
14 Laura Conti
alla formazione di quell’opinione, e non vi si sono infiltrati a poste' riori elementi estranei » : ci sembra di fornire, così, un elemento di studio molto valido.
Per quel che riguarda, invece, il materiale elaborato e stampato direttamente negli ambienti della Resistenza italiana, il criterio se- guito ha una maggiore larghezza. Difatti, il materiale proveniente d’oltre frontiera o d’oltre fronte ebbe un legame con le opinioni della Resistenza solo nel senso che, nella sua diffusione, fornì infor' mazioni, dati, orientamenti: ma un articolo scritto da un resistente non soltanto contribuiva a creare le opinioni e gli ideali della Resistenza, ma li esprimeva; non incontrava le idee della Resistenza solo nell’atto della sua divulgazione, ma era figlio ed espressione, per l’appunto, di quelle idee. Per il materiale proveniente dall’esterno, quindi, requisito essenziale per annetterlo alla nostra raccolta è che abbia effettivamente « circolato » durante la nostra lotta di Liberazione: ma per il materiale elaborato dagli stessi ambienti che parteciparono alla lotta, il fatto di aver potuto circolare oppure no è una caratteristica di secondaria importanza; e perciò abbiamo annesso alla raccolta, per esempio, anche giornali stampati alla macchia che non poterono essere distribuiti a causa di un’ondata di arresti che scompaginò per qualche tempo le reti solite di distribuzione.
11 materiale da noi raccolto ha dunque sempre almeno un punto di contatto con l’opinione della Resistenza italiana, o al termine, e cioè nel momento della sua diffusione, come elemento sul quale quell’opinione si è formata; oppure all’ inizio, e cioè al momento della sua elaborazione e stesura, come espressione e documento di quell’opinione.
E se qualcuno può ancora trovare strano che preoccupazioni di merito e di contenuto stiano alla base di quel che dovrebbe essere « soltanto » una raccolta bibliografica, diremo che ciò dipende forse da un senso di nascita che si sprigiona da queste carte che andiamo raccogliendo: ne esce l’immagine di un mondo incredibilmente giovane, davvero nascente: come tutte le cose nascenti appare grezzo, primitivo, ma non semplice; perchè, anzi, nella sua primitiva rozzezza, stanno i germi di tutte le successive differenziazioni; questa complessità e rozzezza insieme, rendono difficile non solo lo studio e l’interpretazione delle superstiti documentazioni, ma anche la raccolta e l’ordinamento.
Si vede, da questa raccolta di carte, nella sua espressione origi-
i5
n aria , il b isogno d eg li uom ini di com unicare tra loro, quasi un b isogno n uovo , quasi un ’ in ven zion e, dopo un ven ten n io di silenzio, o di ufficiali conform istiche bu gie . P are d a vve ro che in quei due an n i, dal 19 4 3 al 19 4 5 , g li ita lian i abbian o in ven tato ex novo il g iornalism o, la com unicazione di m assa, la p rop agan d a; e la p rim it iv ità tecnica v a certam ente sul conto delle d iffico ltà m ateriali in cu i si d ib attevan o , m a una certa rozzezza di contenuto e di form a v a invece sul conto d ell’ inesperienza, d ell’ im m aturità e della stessa n o v ità della cosa.
I g io rnali che m eglio m an ifestan o queste caratteristiche sono i g io rnali delle form azion i m ilitari. S i tratta per lo p iù di fascicoletti d attiloscritti o ciclostilati, che ariegg ian o ai num eri unici che si fan n o in qualche scuola m ed ia : con in gen u e pretese di ornato e di illustrazione, laboriosam ente com poste sulla m acchina da scrivere; con un « rifare il verso » ai g io rnali v e ri e propri nel m odo che i ra gazz i assum ono per prendere in giro e g li adulti e se stessi, in una caricatura che -— dati i tem pi e le circostanze — h a del patetico (« d irettore Jim , d isegn i di J im : si stam pa nelle m oderne ro tative del d attilo g rafo C e llo »); e l ’um orism o sui p idocchi, e le barzellette scontatissim e, e qua e là qualche consunta scurrilità da scuola m ed ia. N o n m an cano m ai, nei num eri d i fine dicem bre, g li articoli di circostanza sul N a ta le e sul C apod an n o; e non m ancano quasi m ai orrende poesie, alle quali ritualm en te v ien fa tta precedere una no- terella redazionale, che cerca di scusare la bruttezza dei versi con la considerazione della sincerità, della n obiltà d ell’ isp irazione e delle circostanze o g g ettivam en te m olto d ifficili in cui la poesia è stata scritta. L a nostalg ia di casa, il desiderio di tornare alla fam ig lia , alla scuola, a l lavoro , sentim enti m olto sem plici e n atu ra li, dettano versi d i in cred ib ile b ru ttezza e ricercatezza: « A i nostri lid i — noi riede- rem o un g io rn o ... ».
T u tta v ia , q uesta ban a lità insiem e incolta e in n atu rale , insiem e grezza e sofisticata, non riesce a soffocare u n o slancio sincero che appare, com e sopra si d iceva , quasi il resp iro di un m ondo allo stato
nascente.
Q uesti ragazzi, nello scrivere questi go ffi e m ediocri g io rn aletti, si pon gon o delle dom ande elem entari, tendono a rim ettere in discussione il m ondo intero; e non è che lo facciano per p rincip io e in tenzion alm en te, anzi, par che g iu n gan o soltanto loro m algrado, a porre a se stessi degli in terro gativ i. E sono in terro gativ i che in
La stampa clandestina
i6 Laura Conti
parte concernono temi e problemi della loro vita quotidiana sui monti: che rapporto c’è tra libertà e disciplina? Come mai dopo aver scelto di lottare per la libertà ci si trova a dover sostenere il peso di una disciplina anche dura? Le prime polemiche, le prime discussioni, avvengono su questo problema, la cui soluzione appare certamente, oggi, piuttosto ovvia. Nello stesso tempo sembra strano che le questioni politiche facciano su questo tipo di giornale apparizioni estremamente rare; ancor più strana poi appare una presa di posizione che esprime l’intenzione ed il programma di « non occuparsi di politica ». Intenzione e programma che certamente, a posteriori, appaiono semplicemente assurdi, da parte di formazioni partigiane; e la cui assurdità del resto veniva riconosciuta nell’atto stesso dell’enunciazione; perchè proprio intorno a queste asserzioni sorgeva la polemica, ed era impossibile che i giovani che avevano scelto l’aspra via della lotta sui monti non si chiedessero il motivo ed il significato della loro scelta. Così l’intenzione di « non fare politica » primitivamente annunciata veniva poi rapidamente abbandonata, attraverso discussioni vivaci, disordinate, generalmente piuttosto confuse; e, tuttavia, molto utili. Per questo abbiamo osservato con rammarico che, essendo andata smarrita molta della stampa militare, è andata smarrita molta documentazione del substrato morale e psicologico della lotta politica: perchè, attraverso i loro foglietti dattiloscritti o ciclostilati, questi ragazzi avevano cercato faticosamente la loro strada; dopo aver obbedito a un generoso impulso morale, riflettevano sulla scelta fatta, e ne cercavano il significato e il valore, sul piano storico e sul piano politico.
Questa ricerca veniva fatta in condizioni di isolamento; mancavano i contatti con la generazione più anziana, mancavano libri e giornali, mancavano anche i giornali clandestini di città, che non sempre giungevano alle formazioni. Mancavano, a quei ragazzi dalle scarpe rotte, tutte le occasioni e le possibilità di confrontare la propria esperienza presente con le esperienze del passato; e cioè di interpretare storicamente, e vorrei dire culturalmente, la propria esperienza. Avevano, come solo bagaglio culturale, qualche ricordo di scuola; di una scuola gonfia di retorica, di una scuola alla quale non credevano più. Eppure cercavano, da quello smilzo bagaglio, di trarre qualcosa che li confortasse, e che li aiutasse. Se c’è qualche cosa che davvero, pateticamente, commuove, è questo ingenuo e goffo riandare tra le memorie di scuola, e trascrivere a memoria i
La stampa clandestina 17
versi del Berchet sul rovescio di trafugate bollette del dazio, perchè anche la carta era preziosa per quei ragazzi senza pane e senza scarpe.
Quello che colpisce, è il bisogno di rintracciare in una tradi' zione culturale una conferma, una convalida delle scelte effettuate sul piano della vita pratica e militante, e nello stesso tempo la constatazione che il patrimonio culturale di questi ragazzi fosse cosi povero, così inadeguato alla drammatica necessità. Può accadere che nella vita si abbia bisogno, in appoggio alla propria scelta, di una testimonianza che ci venga dal mondo della cultura, come si ha bisogno di pane e di scarpe; quando nella vita di questi ragazzi si verificò una circostanza di tal genere, un sano intuito li condusse a scartare, dal loro bagaglio, i pesanti orpelli dannunziani; e (ma con minore sicurezza) anche i tronfi accenti della poesia civile carducciana ; sani e sinceri, ma certamente inadeguati, emersero dalla memoria ricordi di Verdi, accenti del Manzoni o del Berchet o del Nievo, gli accenti che richiamavano i motivi romantici del Risorgimento. « Oh giornate del nostro riscatto » riecheggia su molte delle pagine di questi giornaletti di montagna. Ci si chiede di quanta capacità di vivere culturalmente la sua esperienza, l’ insegnamento della scuola fascista abbia defraudato questa gioventù, defraudandola di alcuni aspetti della poesia moderna, o di un contatto proficuo con le letterature straniere; perciò ci sorprende il leggere su di un volantino partigiano una delle epigrafi dell’antologia di Spoon River; cosa che ci è sembrata alquanto significativa.
E ’ triste pensare come tutta una ricca e colta tradizione del popolo italiano lavoratore sia rimasta inutilizzata; la sospensione ventennale della vita democratica aveva innalzato un’impenetrabile cortina di silenzio tra le generazioni, anche all’interno delle famiglie, anche tra padri e figli. La vita, le memorie, la formazione culturale dei padri, avrebbero potuto orientare i figli nelle tragiche scelte di guerra, ed aiutarli a intendere il più vero e profondo significato delle circostanze interne, e delle scelte a cui i giovani venivano condotti più da un impulso morale che da un saldo e maturo criterio politico. Perchè le generazioni si aiutino tra loro è necessario che la circolazione delle idee avvenga liberamente, fondendo in un’unica collettiva esperienza le multiple frammentarie esperienze degli individui, dei gruppi, delle generazioni. La stampa clandestina ha cercato di assolvere questa funzione, ma proprio il fatto che circolasse solo
i8 Laura Conti
clandestinamente, e quindi con raggio molto ristretto, impediva che la funzione venisse assolta con efficacia.
Di questa scarsa efficacia, o per lo meno delle gravi difficoltà in cui si compiva questo travaglio, è testimonianza la grande difiEe- renza che si riconosce tra la stampa partigiana (militare, di montagna) e la stampa politica (di partito, di città).
Mentre la stampa partigiana esprime il laborioso formarsi di un’opinione antifascista tra la gioventù educata dal fascismo, e ignara totalmente o quasi della fervida vita politica italiana che il fascismo aveva compromesso e annientato, la stampa che circolava prevalentemente nella città è invece espressione del rifiorire di quella vita politica, con una fisionomia ricca e polimorfa.
Non si tratta però del semplice rinascere della vecchia vita politica italiana; quasi tutti si rendevano conto che non si trattava di cancellare dal volto d’ Italia il fascismo e di ricominciare con un patetico e inutile « fieri dicebamus... ». I più vivi e significativi dei giornali di partito, che circolavano nelle città, cercavano di stimolare la riflessione degli italiani a indagare sulle ragioni per le quali il fascismo aveva potuto sorgere e affermarsi, a porre sotto accusa gli istituti e le classi che di quel sorgere e di quell’affermarsi portavano la responsabilità. Questi appelli e queste esortazioni appaiono però, alla lettura attuale, seguire molto spesso la via della reiterazione, anche declamatoria, più che quella dell’approfondimento. Anche sulla stampa di partito la mozione dei sentimenti appare assai più frequente che il ragionamento politico, e di ciò si scorgono due ragioni molto valide; l’una è l’urgenza della lotta contro gli aspetti più immediati dell’oppressione fascista e nazista, l’altra è l’obbiettiva difficoltà di condurre un ragionamento storico-politico documentato, quando si scrive alla macchia, in fuga, senza poter fare ricorso a strumenti di studio. Alcuni di questi giornali e di queste riviste tentano di abbozzare, qualche volta, un’analisi della società italiana, su cui fondare una corretta interpretazione del fascismo, e una, sia pur sommaria, enunciazione programmatica. T uttavia dopo anni di statistiche menzognere, dopo anni di sospensione di ogni seria documentazione, dopo decenni di sospensione di ogni indagine economica, sociale e politica, la realtà italiana costituiva, si può dire, un mistero. Un mistero di cui soltanto alcuni aspetti qualitativi si mostravano all’occhio di osservatori che non potevano nè condurre inchieste, nè consultare statistiche e neppure
La stampa clandestina 19
liberamente parlare col loro popolo. Esistevano, e per di più defor- mate nella situazione di guerra, la miseria contadina e la disoccu- pazione operaia; questi erano i dati di cui si possedeva una grezza conoscenza qualitativa; ma la guerra, l'occupazione, la carestia, ave- vano alterato e sovvertito situazioni e rapporti: e la demagogia della « socializzazione » fascista introduceva ancora nuovi elementi di confusione. Discernere, in questa misteriosa confusione, il permanente dal contingente; discernere i lineamenti fondamentali e determinanti della società italiana; discernere per quali vie e con quali strumenti la società italiana, dopo la fine della guerra e la cacciata dell’oppressore, avrebbe potuto iniziare uno sviluppo democratico, che non solo cancellasse le tracce dell’odiosa oppressione, ma ne abolisse ogni radice modificando le strutture che l’oppressione avevano resa possibile: questo è il complesso di esigenze alle quali, assai più che la stampa partigiana di montagna, si rivela sensibile la stampa politica di città, sia pure attraverso insufficienze, rozzezze, gravi approssimazioni.
Non si può evitare, rileggendo questa stampa, un senso quasi di oscurità medioevale; come, d’altronde, non si può evitare di riconoscere che molti temi di oggi, che riteniamo qualche volta essere esclusivi di oggi, inerenti a trasformazioni politico-sociali «modernissime », furono sin d’allora, sia pure intuitivamente e genericamente, impostati. Per cui la lettura vien fatta con occhio critico, sì, ma con una critica che si rivolge non solo al passato ma anche al presente, nello sforzo di riconoscere se e quanto da quell'intuizione generica abbiamo progredito, sulla strada di più profondi esami e più documentate conoscenze.
Del resto la critica, se fatta con questo spirito, è più che legittima, e non può essere invalidata dall’accusa d’essere ispirata dal « senno di poi », come dimostra il fatto che all’interno stesso della stampa clandestina si rivela il medesimo giudizio di approssimazione e di insufficienza che oggi ci è più facile formulare. Pertanto, il fatto che venne formulato allora, sin d’allora, non può limitarci al solo compiacimento della distanza superata, ma deve spingerci a misurare criticamente questa distanza. In questo senso, non si può qui non rammentare il saggio pubblicato (se non andiamo errati, da Franco Venturi) sul n. 1 dei « Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà » : che non ci trova consenzienti in tutte le valutazioni formulate, ma che va ammirato per la coraggiosa lucidità con cui
2ó Laura Conti
rifiuta di contribuire al mito di autoesaltazione della stampa clandestina, ch’egli sottopone a uno stringato e severo ragionamento critico. Certo, non si deve dimenticare che quell’autoesaltazione era sotto certi punti di vista giustificabile e funzionale, poiché l’audacia nell’affrontare i più gravi pericoli dell’esistenza fisica trova nei miti e nell’esaltazione un valido appoggio, e persino nella retorica uno strumento di indiscutibile utilità pratica; tuttavia, son proprio le rare isolate voci critiche di allora, che ci permettono oggi di entrare in possesso di una chiave molto utile per leggere e intendere questa stampa, e di un metro per commisurarne la validità, confrontandola non soltanto, come troppo spesso avviene, con le difficoltà in cui si dibatteva, ma con le necessità, e con le possibilità. Se il confronto con le difficoltà è positivo, il confronto con le necessità è negativo; e il confronto con le possibilità dà un esito dubbio, e richiede un esame ed una conoscenza molto più vasti e profondi di quelli che in genere sono sinora stati effettuati. Ad ampliare e approfondire questo esame e questa conoscenza deve appunto servire la raccolta che andiamo laboriosamente preparando.
Come già nel corso di questa nota si è avuto occasione di sottolineare, la scelta di criteri e modalità per ordinare la raccolta stessa va di pari passo con un acquisto di consapevolezza, da parte di chi ordina una raccolta, anche delle questioni di merito e di contenuto inerenti agli oggetti che fotografa e che scheda. E ne portiamo qui un ulteriore esempio.
Questi accenni critici, che si son fatti nelle ultime righe, e più ancora l’accenno a un’oscuro e implicito riconoscimento delle proprie insufficienze, da parte della stampa clandestina, trovano una conferma indiretta neìl’ordinamento e nella suddivisione dei periodici, che abbiamo fatto nel nostro lavoro di raccolta.
Lo studioso si troverà difatti, nel consultare il nostro elenco di voci bibliografiche, di fronte a una suddivisione che, a prima vista, gli sembrerà corrispondere soltanto a dati esterni, o a particolarità organizzative. Egli vedrà, difatti, nell’elencazione dei periodici di una stessa formazione politica, una triplice suddivisione; il periodico principale nelle sue varie edizioni (che corrisponde generalmente al « quotidiano » della vita legale); poi una categoria di « riviste e periodici differenziati »; poi una terza categoria di « periodici periferici ».
Questa suddivisione a noi è venuta quasi spontanea nel classi
La stampa clandestina 21
ficare i molteplici e disparati oggetti. Solo in tempo successivo, quando il lavoro ha preso sotto i nostri occhi una fisionomia unitaria, ci siamo resi conto che questa suddivisione di comodo, rifletteva in realtà una articolazione di contenuti, che rispondevano a diverse esigenze della difficile lotta del momento. E questa suddivisione non costituisce quindi semplicemente uno strumento del- l’indagine bibliografica, ma rivela di per se, allo studioso, la complessità della vita politica del periodo che egli si accinge a prendere in esame attraverso questi documenti. S ’intende che queste osservazioni sono valide solo in linea di massima, e non si vuole con esse indulgere a facili ma sterili schematismi.
In generale, il periodico principale (che corrisponde al quotidiano della vita legale) è ispirato e diretto dal centro nella sua edizione principale, e ispirato dal centro nelle edizioni locali. Il suo contenuto è per lo più inerente alla contingenza di lotta armata contro il fascismo e il nazismo. Rare e circoscritte le riflessioni sul passato e le prospettive sul futuro. La contingenza drammatica vive in esso con tutta la sua urgenza e con la tendenza a realizzare una solidarietà di lotta armata, che sovrasti e attutisca e scolorisca le differenziazioni che, sorgendo da divergenti analisi del passato, o da divergenti aspirazioni per l’avvenire, possano incrinare quell’unità che è condizione, perfino, di fisica sopravvivenza. In quella contraddizione dialettica tra la ricerca dell’unità e l’esigenza della differenziazione, che si riscontra sempre nella politica e nella storia, ma che nel periodo della Resistenza fu veramente drammatica, in genere si tendeva soprattutto allora a sottolineare il momento dell’unità.
Il momento della differenziazione, altrettanto vivo e prepotente, era evidente, per contro, in quelli che abbiamo raccolto insieme come « riviste, e periodici differenziati ». Riviste, cioè pubblicazioni di maggiore respiro, che pubblicavano lunghi saggi e studi, su argomenti diversi, in un panorama sintetico, rivolte a un pubblico più ristretto e più qualificato, di persone più impegnate e responsabili; e periodici differenziati, quelli cioè che si rivolgevano a un pubblico più ristretto e omogeneo, a un pubblico di giovani, o di donne, o di intellettuali, o a categorie professionali. Meno urgente qui, meno sottolineato, l’appello alla lotta immediata; più vivo e più sottolineato l’appello a riflettere sulla costruzione del
22 Laura Conti
l’Italia nuova; e quindi differenziazioni più sottili, o sarebbe meglio dire: « meno grezze ».
V i erano poi i periodici periferici, che tenevano alcuni caratteri di ambedue le categorie sopra accenate, secondo l’intensità della vita politica che si svolgeva nella zona a cui appartenevano. Generalmente si accontentavano di fornire notizie locali, in aggiunta alle notizie generali date dal periodico principale; appaiono quindi come sue appendici, suoi supplementi locali. Pertanto, nelle città in cui la vita economica e politica era più vivamente articolata, i periodici periferici assumevano i caratteri delle « riviste e dei periodici differenziati » ; periodici sindacali operai, periodici intellettuali e studenteschi in città come Torino e Milano; a Milano anche periodici dei tecnici della produzione e dei professionisti.
Una suddivisione di questo genere, come si vede, non è un semplice strumento di classificazione bibliografica, ma riflette degli aspetti di contenuto, e quindi riflette indirettamente diverse esigenze di una vita politica drammaticamente complessa, e diversa- mente complessa nelle diverse zone.
Nel nostro lavoro, dunque, non solo i criteri di scelta, ma anche i criteri di ordinamento e di classificazione ci appaiono, ogni giorno più, inscindibili dalla conoscenza storica del periodo intorno al quale raccogliamo la documentazione; di per se strumenti di conoscenza, e insieme convalidati dalla conoscenza.
Questi criteri di scelta sono forse discutibili, per un loro carattere che può essere giudicato soggettivo; che si è tuttavia cercato di oggettivare il più possibile, ma che non può non rispecchiare le caratteristiche, così nuove e così singolari, degli avvenimenti al cui studio portiamo questo contributo.
Tutto il materiale viene raccolto presso l’Istituto Feltrinelli in microfilm; quel che è possibile raccogliere negli originali viene, naturalmente, raccolto negli originali. Agli studiosi si potrà quindi fornire un film che raccoglierà un panorama molto vasto, di giornali e di opuscoli, di libri e di volantini; stampati o ciclostilati o dattiloscritti nell’Italia occupata dai nazisti; oppure stampati nell’Italia liberata o in Francia, in Svizzera, nelle Nazioni Unite, ma diffusi clandestinamente nell’ Italia occupata. I lineamenti fondamentali di questo panorama verranno forniti da una descrizione ed elencazione degli oggetti raccolti, con un sistema di indici che, oltre a facilitare la ricerca e la consultazione, potrà fornire allo studioso
La stampa clandestina 23
una visione d’insieme, da un punto di vista quantitativo, del contributo dato da questa o quella organizzazione politica o formazione militare, oppure della intensità dell’attività propagandistica clandestina in questa o quella regione o provincia.
Con questo faticoso lavoro, si spera di rendere effettivamente collettiva, anche nel ricordo, nella riflessione e nello studio, un’esperienza che fu collettiva più come esperienza di lotta, di speranze, di paure e di volontà, che come esperienza di pensiero; infatti, coloro che più attivamente parteciparono alla lotta di Liberazione troveranno proprio in questa raccolta un materiale di studio molto più vasto di quello che poterono osservare nel tempo della lotta, tra una fuga e un’imboscata. Unita in un comune ardore, l’ Italia democratica fu dal terrore nazista, disgregata e suddivisa in una miriade di mondi circoscritti e chiusi in se, cui l’ illegalità impediva di comunicare tra loro. Se potremo dare un’eco alle parole che a quel tempo furono mormorate clandestinamente, potremo forse oggi — a po' steriori — trasformare in vero colloquio quella che fu troppo spesso una serie di monologhi; in questo senso riteniamo che si possa mutare in esperienza collettiva quella che fu una vasta somma di esperienze individuali, riservate ad ambienti circoscritti. Con quest’opera di ricerca e di raccolta, speriamo di consegnare, all’ Italia di oggi, una viva e parlante immagine dell’Italia di ieri, di un ieri così recente, eppure così poco noto.
L a u r a C onti