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La Storia in breve di CastelBrando, attraverso i milenni

Date post: 09-Jan-2017
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CastelBrando GUIDA STORICA AL CASTELLO
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CastelBrandoGUIDA STORICA AL CASTELLO

CastelBrando affonda le sue radici in 2000 anni di storia e rappresenta una pagina aperta sul passato del territorio e sulle gesta di popolazioni, condottieri e illustri personaggi, che ne hanno evidenziato eroiche imprese.

Abitato sin dalla preistoria, il primo castrum fu eretto a partire dall’età romana, come struttura di controllo e difesa della Via Imperiale Claudia Augusta, che collegava l’Adriatico al nord Europa.

Nel corso dei secoli conobbe una serie di ampliamenti: fu dimora dei Signori Da Camino, i quali lo cinsero interamente di un’imponente merlatura alla guelfa e vi eressero una torre centrale; passò poi sotto il controllo della Repubblica di Venezia, che lo diede in feudo prima a Marin Faliero e poi, per meriti d’arme, ai capitani di ventura Giovanni Brandolino ed Erasmo da Narni, più noto come il Gattamelata.

Con la famiglia Brandolini, che più delle altre ne ha segnato la storia ed il carattere, nel cinquecento, il maniero fu ampliato nella sua parte centrale con gusto sansoviniano, che ne impresse un garbo veneziano.

L’ultimo a sorgere è il corpo settecentesco a ferro di cavallo progettato dall’architetto Ottavio Scotti di Treviso; una struttura lineare e imponente, volta ad un rigoroso classicismo.

Rimase di proprietà dei Conti Brandolini fino al 1959, anno in cui fu venduto ai padri Salesiani, che lo riadattarono per utilizzarlo come centro di studi spirituali.

Nel 1997 CastelBrando viene acquistato e restaurato completamente dalla Quaternario Investimenti S.p.A., che lo ha riportato al fascino dei tempi del suo massimo splendore.

GUIDA STORICA AL CASTELLO

Indice

CastelBrando e la Valmareno5pag.

Primi insediamenti nella Valmareno6-7pag.

L’evoluzione di CastelBrando8-9pag.

La famiglia Da Camino17-18pag.

Il dominio della Serenissima Rep. Veneziana19pag.

I compagni d’armi Gattamelata e Brandolini20pag.

La fam. Brandolini,unica proprietaria di Valmareno21pag.

La Lega di Cambrai e l’intervento di G. Brandolini22pag.

I lavori cinquecenteschi dei Brandolini23pag.

Il teatro Sansovino24pag.

Le prigioni del castello25-26pag.

Il settecento e l’ampliamento del castello27-31pag.

L’Alcova del Conte Brandolini32-33pag.

La chiesa di San Martino34-35pag.

1998- 200336pag.

5 Anni di lavori ciclopici37pag.

La “Regio X Venetia et Histria”e il Castrum romano di Valmareno

10-12pag.

La zona strategica di Valmareno: dalle invasionibarbariche all’infeudazione delle famiglie nobili

13-16pag.

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

CastelBrando e la Valmareno(1)

Eretto a 400 metri s.l.m., CastelBrando domina e protegge la valle ed i passi alpini (passo di Praderadego e passo San Boldo); per duemila anni CastelBrando è stata una fortezza inespugnata a difesa del fronte Nord, soprattutto durante la Serenissima Repubblica Veneziana (1300-1797).

Vista aerea della Vallata

Il borgo di Cison di Valmarino dominato da CastelBrando.

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Primi insediamenti nella Valmareno

Palafitte del Parco Archeologico Didattico del Livelet.

Vista aerea del Gruppo della Carega.Prealpi Trevigiane.

Selci scheggiate ritrovate a Roncavazzai (a Follina, a 5 km da CastelBrando) fanno risalire la presenza dell’uomo nelle Prealpi Venete già al 30.000 a. C.Con il ritiro dei ghiacciai, nel 30.000-40.000 a.C.,

la Vallata inizia a godere di un clima favorevole all’uomo; abili agricoltori e artigiani iniziano ad instaurarsi nelle vicinanze dei laghi di Revine Lago, creando i primi villaggi palafitticoli d’Italia,

precursori di Venezia (Parco Archeologico Didattico del Livelet presso Revine Lago, a 5 km da CastelBrando. Sito internet: livelet.provincia.treviso.it) (2).

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Cacciatore delle Alpi

Stipe sacra di San Pietro

Ricostruzione di un costumedei Veneti antichi del Museodi I costumi del poteredi CastelBrando;

GUIDA STORICA AL CASTELLO

Popolazioni indoeuropee attraversano le Alpi per raggiungere questa valle verso il 1000 a.C. e, unendosi ai popoli autoctoni, formano il popolo dei Paleoveneti (3). Si trattava di un popolo di abili cavalieri che, negli anni, dimostrarono la loro potenza con molteplici vittorie nelle gare equestri greche.

I Paleoveneti sono un popolo indoeuropeo che si è stanziato nell’Italia nord-orientale verso la metà del II millennio a.C. Si narra che i Veneti antichi fossero grandi amanti dei cavalli, tanto da farsi seppellire con loro. Omero li ricorda nell’Illiade, descrivendoli come “gli Eneti che nelle corse dei cavalli primeggiavano vestiti di azzurro”, il colore che li rappresentava e che è poi diventato il colore nazionale.

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46 a.c. ~ 400 CASTRUM ROMANO

Imperatore Claudio Augusto

BRANDOLINI GATTAMELATAReasmo da Narni

IL CASTRUM ROMANO VENNE DEMOLITO E LE PIETRE VENNERO UTILIZZATE PER

EDIFICARE LA REGGIA PATRIZIA

INVASIONI BARBARICHE LONGOBARDICAROLINGIOTTOMANI

(Imperatore Carlo Magno,Ottone I° & Teodolinda)

400 ~ 600 600 ~ 900

1400 ~ 1600

1700 ~ 2000

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GHERARDO E GAIA DA CAMINO

MARINO FALIERO Doge di venezia

CASTELBRANDO è fra i più grandi e storici castelli europei:20.000 mq. coperti, 260 stanze, 365 finestre

900 ~ 1200

1200 ~ 1400

2000 ad oggi

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La “Regio X Venetia et Histria”e il Castrum romano di ValmarenoIn modo pacifico iniziano i rapporti tra Veneti e Romani che fannodi “Venetia et Histria” la decima provincia romana, la X Regio (4).

L’imperatore Claudio Augusto inaugura nel 46 d.C. la strada imperiale che prende il suo nome “Via Claudia Augusta” (5), iniziata dal padre Druso nel 15 a.C. E’ il primo collegamento fra il mondo latino e quello germanico e fra il Mediterraneo ed il centro Europa.

Percorso della strada imperiale Via Claudia Augusta. Tratto di strada della Via Claudia Augusta Altinate presso Praderadego e ponte romano di Villa Jacur presso Susegana.

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

CastelBrando, dai reperti ritrovati, vede lo stanziarsi tra il 1000 e il 600 a.C. dei Paleoveneti. Nel 40 d.C. circa, viene eretto il Castrum (attuale CastelBrando) quale base logistica e di controllo della pianura e dei passi alpini lungo la Claudia Augusta.

Il Castrum viene alimentato da 5 km di condotte in pietra e terracotta, presenta i Roman Bath e probabilmente un tempio votivo (molti reperti sono affioranti grazie agli scavi archeologici).

Monete romane ritrovate nel sito di CastelBrando. Ricostruzione del Castrum

Sorgente d’acqua che alimenta CastelBrando e condotte romande dell’antico Castrum.

Si ipotizza che il Castrum sia stato distrutto da un terremoto di un’intensità stimata intorno all’XI grado della scala Mercalli che, il 21 luglio 365 d.C., provocò grandissime distruzioni a Belluno, Padova e Verona; le conseguenze furono disastrose, tanto da far “precipitare” il monte Soccher a Ponte nelle Alpi e da far probabilmente cambiare il percorso del fiume Piave.

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Tre pareti dell’antico Castrum romano sono tuttora visibili, compreso il suo antico ingresso. Dalla grandezza delle pareti (2-3 metri) si è calcolata l’altezza di ca. 30 metri.

Il forno per il pane, quasi intatto, ha un diametro di oltre 3,2 metri; si è calcolato che provvedeva al pane per più di 200 armigeri. Sopra al forno si trova un’ulteriore camera utilizzata dai romani per essiccare le carni, che venivano poi mantenute nelle sacche della cintura dai soldati per alcune settimane o addirittura mesi.

La presenza dei Roman Bath (Bagni romani) testimonia l’esistenza di un tempio votivo nelle vicinanze o all’interno del Castrum, probabilmente dedicato alla dea Minerva o a Giove, com’era in uso nell’Impero romano.Il Castrum romano quindi era un luogo strategico per un efficiente controllo dei passi e della valle e una stazione di posta.

Forno Romano visitabile all’interno

della Cantina di Ottone a

CastelBrando

Scudo Romano ritrovato all’interno di CastelBrando

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Caduto l’Impero Romano, tra il 360 e il 476 d.C., iniziano le invasioni barbariche con Goti, Visigoti e Unni. Si racconta che Attila, re degli Unni, abbia conquistato ed usato il Castrum per le sue orde e continue invasioni di popoli Nordici e dall’Oriente.

Molto documentata è l’invasione da parte dei Longobardi (6) che, nel 568, si insediano nella Vallata, sotto la guida di re Alboino. La tradizione narra che la regina Teodolinda (7), strettamente legata alla sua fede cattolica, dopo aver soggiornato per un periodo nell’antica fortezza di CastelBrando, dona la Valmareno al nascente vescovado di Ceneda.

La regina Teodolinda, illustrazione di “Cronache di Norimberga”di Hartmann Schedel

La zona strategica di Valmareno:dalle invasioni barbaricheall’infeudazione delle famiglie nobili

Invasioni barbariche in Europa

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La regina Teodolinda, di fede cattolica, rappresentò il primo collegamento tra i Longobardi ariani e la Chiesa di Roma. Il suo forte legame alla fede cattolica la indusse a costringere le proprie genti ad abbandonare la poligamia, scegliendo la religione cristiana che, invece, imponeva una stretta monogamia, pena il taglio della testa; ovviamente molti o, più probabilmente, quasi tutti si convertirono. Vennero incise le croci all’ingresso di ogni casa o fortezza, croci che sono ancora nettamente visibili nell’antico ingresso al Castrum.

Le popolazioni venete adottarono le leggi longobarde, in particolar modo l’Editto di Rotari (8), ben documentato anche nei successivi codici del Feudo della Valmareno che, con svariati adattamenti ed inserimenti dei codici della Serenissima e degli ordini feudali, fu utilizzato fino alla caduta della Repubblica Veneziana (1797).

Particolare di CastelBrando: croci longobarde

Parte del documentodell’Editto di Rotarie degli Statutidella Repubblica Veneziana

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Verso l’800 le invasioni proseguono con l’arrivo dei Carolingi, comandati dall’imperatore Carlo Magno, che occupano il castello ed i territori circostanti per quasi 100 anni. Un altro importante imperatore occupa successivamente il castello e i suoi territori:

si tratta di Ottone I, re di Germania e Sassonia, che, incaricato di proteggere il territorio dai molteplici attacchi degli Ungari, restituisce la giurisdizione temporale a Sicario, vescovo di Ceneda, nominato successivamente feudatario dell’Impero.

E’ del 739 un documento firmato dal vescovo-conte di Ceneda (9), che trasferisce il Castrum (CastelBrando) con la “Camera della chiesa” ad una famiglia longobarda.Nel XI secolo, i vescovi cenedesi diedero in feudo la Valmareno ai Conti di Porcia, i quali, nel 1154, con il matrimonio dell’erede Sofia di Colfosco (10) (nata dal matrimonio

tra Walfredo Conte di Colfosco e Adelaide di Porcia) con Guecellone da Camino (11), permettono il passaggio del feudo di Valmareno sotto la giurisdizione dei Caminesi.I Caminesi, divisi poi in Caminesi di Sopra (con base anche in CastelBrando), espandono l’originale Castrum-fortezza in Castello comitale.

Carlo Magno, imperatoredel Sacro Romano Impero

Stemma dellafamiglia Da Camino

Immagine del castellodel Vescovado

di Ceneda (Vittorio Veneto)

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All’originale ingresso al Castrum, che era rivolto ad Ovest, verso la Claudia Augusta, viene aggiunta una strada ed un ingresso verso Est, con muraglie e torri di guardia.

Addossate al lato Est del Castrum, vengono edificate le prigioni ed una serie di stanze e saloni, tutt’oggi ben visibili.

Torri duecentesce di CastelBrando

Particolare delle Torri

Mura Guelfa che circonda CastelBrando Ingresso alle torri

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

“Il Buon Gherardo e la figlia Gaia”, vengono cantati da Dante nel Purgatorio e nel Convivio come esempio di Buon Governo, a dispetto di quel Da Camino Guecello (dei Caminesi di Sotto) ucciso dai sudditi per la troppa tirannia in Treviso.

Ben v’èn tre vecchi ancora

in cui rampogna l’antica età la nova,

e par lor tardo che Dio a miglior vita li ripogna:

Currado da Palazzo e ‘l buon Gherardo

e Guido da Castel, che mei si noma,

francescamente, il semplice Lombardo.

[... diss’io:] Ma qual Gherardo

è quel che tu per saggio

di’ ch’è rimaso de la gente spenta,

in rimprovèro del secol selvaggio?”.

“O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta”,

rispuose a me; “ché, parlandomi tosco,

par che del buon Gherardo nulla senta.

Per altro sopranome io nol conosco,

s’io nol togliessi da sua figlia Gaia. 

(Dante Alighieri, Purgatorio - Canto sedicesimo)

Pognamo che Gherardo da Cammino fosse stato nepote del più vile villano che mai bevesse del Sile o del Cagnano, e la oblivione non fosse ancora del suo avolo venuta. Chi sarà oso di dire che Gherardo da Cammino fosse vile uomo? e chi non parlerà

meco dicendo quello essere stato nobile? Certo nullo, quanto vuole sia presuntuoso, però che elli fu, e fia sempre la sua memoria. E se la oblivione del suo basso antecessore non fosse venuta, sì come s[i s]uppone, ed ello fosse grande di nobilitade e la

nobilitade in lui si vedesse così apertamente come aperta si vede, prima sarebbe stata in lui che ‘l generante suo fosse stato: e questo è massimamente impossibile. 

(Dante Alighieri,  Convivio, quarto trattato, cap. 16)

La famiglia Da Camino

Ingresso alle torri

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Grazie ad alcuni matrimoni, la famiglia Da Camino inizia ad estendere il proprio territorio oltre la valle.

La famiglia, però, spesso cede la Contea a dei Vicari e Gastaldi.

Molti sono quindi i proprietari che si susseguono in questi secoli, fino al 1312, quando Rizzardo Da Camino viene assassinato nella loggia del suo palazzo, senza lasciare eredi maschi.

Nonostante la rivendicazione da parte dei Caminesi del ramo di Sotto, la Valmareno ritorna sotto la giurisdizione del vescovo di Ceneda, che infeuda nella Contea i procuratori di San Marco: Marco Morosini, Marco Giustiniani e Giustiniano Giustiniani.

Nel 1343, il vescovo Ramponi decide di lasciare il feudo a Rizzardo e Gherardo, facenti parte del ramo dei Caminesi di Sotto.

Abbazia Santa Maria di Follina, costruita da Sofia Da Camino.

Nel scegliere il nome della figlia, Gherardo si rifece all’aggettivo provenzale “gay”, con il significato di “valore” e “cortesia”. Lo stesso Dante, riferendosi a Gherardo, utilizza il termine “gaio”, intendendo la sua “gentilezza lieta e cortesia cavalleresca”. A Gaia è dedicata una delle torri del castello.

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Piazza San Marco, Venezia.

François Pradilla,“Marino Faliero Dux LV”, 1883.

Il dominio dellaSerenissima Repubblica Veneziana

Il loro dominio, però, dura ben poco perché, a causa dei debiti, sono costretti a cedere tutto alla Repubblica Veneziana (12) che ne infeuda il noto Marin Faliero (13), podestà che non fu affatto accettato dalla popolazione locale e, per questo motivo, il suo dominio fu molto breve.

Marin Faliero fu il cinquantacinquesimo doge della Repubblica Veneziana. Dopo aver lavorato per anni per la Repubblica come un valente soldato, l’11 settembre 1354 fu proclamato doge. Il suo dogado però fu molto breve e travagliato. Nel 1355 fu decapitato, dopo aver congiurato contro la Repubblica. Il Consiglio dei Dieci decise in seguito di eliminare dal Palazzo Ducale la foto del doge traditore e di inserire, al suo posto, la scritta “Hic est locus Marini Faletri, decapitati pro criminbus”.

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I compagni d’armi Gattamelatae BrandoliniNel 1355 il doge Marin Faliero fu condannato a morte, costringendo la Repubblica ad infeudare nella Contea di Valmareno un nuovo Podestà. Ricominciano così le lotte per la conquista del feudo di Valmareno che terminano nel 1436, anno in cui il doge Francesco Foscari infeuda nella Contea due suoi valorosi capitani di ventura, come ricompensa per i servizi resi allo stato: si tratta dei fratelli d’armi Erasmo da Narni, noto come Gattamelata (14) e Brandolino “Brando” IV da Bagnacavallo.

Deciso a combattere ancora per la Serenissima per conquistare il più alto grado di condottiero (il Comando generale), il Gattamelata vende il feudo per 3000 ducati d’oro e continua a combattere fino al raggiungimento dei suoi settant’anni, nel 1439, un anno dopo aver acquisito il titolo di Capitano generale.

A CastelBrando si trova un prezioso tavolo da campo quattrocentesco, appartenente al condottiero Gattamelata, sul quale è ancora visibile la bruciatura del cero, necessario ad illuminare le parole delle sue numerose lettere.

Dettaglio della statua di Gattamelata,Piazza del Santo (PD). Ricostruzione del costume di Brandolino IV, presso Museo dei Costumi antichi, CastelBrando.Vista della Vallata, antica Contea di Valmareno.

Scrivania quattrocentescadel Gattamelata,presso CastelBrando.

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

La famiglia Brandolini,unica proprietaria di Valmareno

Nato nel 1370 a Narni, Ersamo di Paolo lo Strenuo, meglio noto come Gattamelata, fu uno dei più importanti condottieri italiani, inizialmente al servizio di Firenze, poi del Papa Martino V e infine della Repubblica veneziana.

Varie sono le ipotesi sul suo soprannome: alcuni sostengono che riassumi il suo comportamento, ovvero “la dolcezza dei suoi modi congiunta a grande furbizia”; altri dicono che derivi dal cognome della madre, Melania Battelli.

Alla sua morte, nel 1443, la vedova

Giacoma Boccarini Brunori commissionò al Donatello la creazione di un monumento in onore del cavaliere. Il Donatello si mise presto all’opera e, nel 1453, consegnò la prima opera pubblica puramente celebrativa, situata in piazza del Santo a Padova.

La famiglia Brandolini proveniva da Bagnacavallo. Alcuni autori raccontano che il principe Brando, proveniente da “Brandeborgo”, ebbe in feudo Bagnacavallo come premio per aver lottato al fianco di Belisario, generale bizantino. I Brandolini vengono

anche ricordati per la partecipazione alla prima Crociata con Sigismondo e Tiberto Brandolini; in ricordo di questa crociata, si ha l’aggiunta del simbolo degli scorpioni neri nello stemma della famiglia.

Uno dei più importanti componenti della famiglia è Brandolino III Brandolini, il primo membro dei Brandolini a stanziarsi nelle zone dell’attuale regione Veneto. Nel 1300, infatti, questo capitano, al servizio di Galeazzo Visconti, ricevette la Contea di Zumelle come premio per le sue imprese militari contro i Da Carrara.

Dipinti della famiglia Brandolinidel Settecento edi Brandolino Brandolini.

Mentre il Gattamelata scelse la strada del combattimento, il compagno Brandolini, avendo ormai 52 anni e un braccio rotto, decise di lasciare la propria carriera. Acquistò quindi il resto del feudo, venduta dal Gattamelata, divenendo così unico conte di Valmareno e signore di Solighetto.

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La Lega di Cambrai e l’interventodi Gianconte BrandoliniIl Cinquecento diventa un secolo importante per la famiglia Brandolini. La Repubblica Veneziana, infatti, a causa della sua politica espansionistica, viene ostacolata dalla Lega di Cambrai (15) (formata dalle maggiori potenze europee: Germania, Spagna, i Savoia, i Gonzaga, il Papato, Firenze). Nel 1510, la Lega inizia a conquistare parte del territorio appartenente alla Repubblica Veneziana e, in particolar modo, l’Imperatore Massimiliano

I conquista Feltre, Belluno e Vittorio Veneto.Su richiesta della Repubblica Veneziana, Gianconte Brandolini crea un piccolo esercito e libera Vittorio Veneto, Belluno e Feltre. Conquistati i territori, decide di mandare un segnale

all’Imperatore: toglie gli occhi e taglia le mani al capitano reggente dei germanici e lo rispedisce a Massimiliano I, che era appostato a Trento.Offeso di questo suo

gesto, l’Imperatore crea un esercito di 40.000 uomini e inizia la marcia verso Feltre. Gianconte, astutamente, decide di abbandonare Feltre e rifugiarsi nei monti, per poi, in un secondo momento, riconquistare Feltre e liberare le zone fino quasi a Trento.Grazie a questo episodio e a tanti altri, Gianconte e la famiglia Brandolini sono ancora oggi ricordati nella storia della Repubblica Veneziana come abili condottieri.

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

I lavori cinquecenteschidei Brandolini

Mentre Gianconte Brandolini combatteva per la protezione della Repubblica Veneziana, Antonio Maria Brandolini si occupò dell’ampliamento del castello.

In perfetto stile veneziano, con l’utilizzo di bifore e trifore, si ipotizza che la creazione dell’Ala Rinascimentale, costruita nei primi anni del

Cinquecento, sia opera del maestro Jacopo Sansovino (16),

Proto (massimo architetto) della Repubblica di Venezia e amico di famiglia.

Sicuramente lo stile veneziano è stato scelto in onore della Repubblica, grandissima potenza per la quale la famiglia Brandolini ha sempre lavorato.

Ma è possibile anche che la scelta sia stata influenzata dallo stretto legame con la Regina Cornaro (17), amante di tali canoni estetici. I due camini cinquecenteschi nel Teatro del Sansovino sono, infatti, regalo della Regina di Cipro.

Ad arricchire questa facciata, tre stemmi a testimonianza dei legami più importanti della famiglia con le nobili famiglie dei Cornaro, dei Da Collalto (18) e dei Malatesta (19).

Uno dei tre stemmi che decorano la facciata

Rinascimentale

Fontana cinquecentescadel Fauno,

figura mitologica romana

Facciata cinquecentesca dell’Ala

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Stemma di matrimonio della famiglia Brandolini

Il Teatro Sansovino

Nel 1683, Guido VIII Brandolini fece costruire un teatro nell’Ala Rinascimentale del castello. Non si trattava solo di un teatro per feste di ballo e rappresentazioni musicali, ma era anche il luogo dove i sudditi ricevevano una formazione culturale e civile. L’incendio del 1872 e il successivo terremoto del

1873, però, distrussero una parte del teatro e dell’Ala cinquecentesca. Fu successivamente risistemato dai fratelli Vincenzo Sigismondo, Guido, Paolo e Annibale che lasciarono, come testimonianza, una lastra con l’iscrizione: “Questo castello di Valmarino ricordo di Erasmo Da Narni detto el Gattamelata

e di Brandolino Brandolini quasi distrutto dalle fiamme nella notte del 5 e 6 luglio dell’anno 1872. I fratelli Brandolino, Vincenzo, Sigismondo, Guido, Paolo, Annibale conti Brandolini ristaurarono per volontà concorde e lo resero monumento di amor fraterno e di indissolubile affetto di famiglia”.

Oggi il Teatro Sansovino viene anche chiamato Salone degli Stemmi, in quanto, lungo le pareti, presenta dipinti gli stemmi restaurati della famiglia Brandolini uniti in matrimonio con alcune delle famiglie più note della storia italiana ed europea, dal 1240 al 1934.Lastra dell’Ottocento

Teatro Sansovino

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Uno dei Caminetti del Teatro Sansovino

Famiglia Brandolini all’ingressoal Teatro Sansovino (Porta in Alabastro)

Gli stemmi rappresentavano i matrimoni della famiglia: all’interno dello stemma, veniva posto a sinistra il simbolo della famiglia dello sposo e a destra il simbolo della famiglia della sposa. Inoltre, in alto, sono scritti i nomi dei due coniugi e la data del matrimonio.

Teatro Sansovino

Due imponenti caminetti decorano il teatro Sansovino. Si tratta del dono di nozze da parte della Regina Caterina Cornaro per il matrimonio tra un suo nipote e un membro della famiglia Brandolini. In occasione di queste nozze, fu concesso ai Brandolini di inserire la corona reale a nove punte nel loro stemma.L’elegante ingresso dell’Ala Rinascimentale

bianco, la specie più pregiata di roccia evaporitica di origine gessosa.

dalla corte interna presenta una porta realizzata nei primi anni del Cinquecento, diamantata in prezioso Alabastro

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Le prigioni del castelloL’ala duecentesca, collegata al Teatro Sansovino, disponeva anche delle prigioni, che si sviluppavano in tre celle (20).

Nella prima cella avveniva l’esame ed il contradditorio fra il giudice ed il condannato. Molto spesso la pena era pecuniaria ed il

condannato doveva versare una somma per riconquistare la libertà o veniva trasportato nella terza sala, quella “dei tormenti”.

In quest’ultima sala, la Sala delle Torture, sono ritornati alla luce (grazie a scavi e restauri) il camino, dove venivano arroventati i ferri di tortura, il vano di tortura all’acqua, la carrucola per gli stiramenti e l’accetta per il taglio degli arti o della testa, oltre ad un’uscita, attraverso un tunnel, verso il bosco, dove probabilmente venivano portati gli arti o i cadaveri.

Museo delle Prigioni Antiche, CastelBrando

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Tra le pene più diffuse, c’era la Berlina. Le donne che commettevano reati che intaccavano i pubblici costumi, ad esempio l’adulterio o la prostituzione, venivano rinchiuse in una gabbia ed esposte nelle zone più frequentate della Contea. “Mettere alla berlina” significa, infatti “umiliare”.Inoltre esisteva un pozzo a coltelli. Il reo veniva appeso ad una balestra, posizionata sopra il pozzo, per poi lasciarlo cadere al suo interno.

Museo delle Prigioni Antiche, CastelBrando

Pozzo dei coltelli con stemma dei Brandolini

Berlina di CastelBrando

E’ di questo periodo il racconto, arrivato fino ai giorni nostri, della dama nera e dama bianca, spiriti erranti o fantasmi di dame trucidate nel castello e portatrici di fortuna, se l’incontro è con la dama bianca, o di sfortuna, se l’incontro è con la dama nera.

Una leggenda narra che un serpente, periodicamente di notte, si alza sul pozzo della morte e con grida lugubri ricorda le crudeltà usate in castello.

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Il settecento e l’ampliamentodel castelloNel Settecento, Guido IX Brandolino affidò all’architetto Ottavio Scotti (21) l’ampliamento del castello.Demolendo quindi una parte del castello (“… è già demolito in gran parte l’antico palazzo quale era tutto irregolare e pressoché informe, affinché di considerabile estensione e, rinnovandolo, non si lasci in piedi del vecchio palazzo o castello, come lo chiamano, che la gran sala”), l’architetto Scotti progetta e costruisce, tra il 1710 e il 1730, l’Ala Barocca, un ampio edificio in stile anti sismicità. Inoltre copia il sistema di climatizzazione a radiazione dell’Ermitage

di San Pietroburgo: le possenti mura centrali hanno una serie di canalizzazione, percorse da aria riscaldata da una settecentesca caldaia a legna (visibile ancora oggi sotto i criptoportici), unica

nel suo genere, e che climatizza il castello come una grande stufa.All’interno del Giardino di Corte sono ancora visibili le fondamenta di edifici risalenti al 900-1200-1500.

Facciata Barocca

Fondamenta visibilinel giardino di corte

Caldaia settecentesca Giardino di corte

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Lo scalone è unico nella sua specie: è composto, infatti, di 69 gradini monolitici, divisi in 5 ordini da 5 terrazzi veneziani ed è contornato da armature originali del 1200, del

All’ingresso principale, i Brandolini decisero di esporre una propria collezione di armi e armature, fieri del proprio mestiere delle armi.

1500 e del 1700.Al di sotto di questo scalone, si trovava lo scalone cinquecentesco che accompagnava armoniosamente gli ospiti all’interno dell’Ala

Rinascimentale. Gli scalini erano molto più larghi, cosicché era possibile percorrerlo anche a cavallo.

Nel Settecento la scala rappresentava

il potere.Per questo motivo, il Conte attendeva gli ospiti a metà scalone, quando

questi erano graditi, oppure nel

pianerottolo più alto, quando questi non erano i benvenuti,

così da sottolineare ancora di più il proprio potere.

Ingresso principale ala Barocca

Scalone principale del ‘700

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Data l’altezza del palazzo, le scale svolgevano un ruolo fondamentale di collegamento. Esistevano quindi “lo scalone reale”, eleganti scale nobili e alcune scale della servitù.

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

L’ingresso principale era percorso anche dalle carrozze, che venivano ricoverate sotto ai criptoportici.Per alcuni anni, i Brandolini utilizzarono i criptoportici come deposito e stalla. Nella parte più alta dei criptoportici, erano mantenute, durante il periodo invernale, circa 1000 vasi di gerani che, per 9 mesi l’anno, decorano ancora oggi le 365 finestre del castello. Oggi ospitano invece una collezione di carrozze antiche, dalla Biga romana alla Break da caccia.Adiacente ai criptoportici, si eleva il torrione di guardia. Da qui i guardiani avevano un ampio

controllo su buona parte della Contea, da Tarzo a Follina.Il torrione di guardia quindi era fondamentale per la protezione del castello e del feudo.Nella zona retrostante, invece, si trovava la serra per i fiori dei Brandolini.

Lo stesso torrione di guardia, grazie allo spessore dei propri muri e quindi alla temperatura stabile che si creava al suo interno, fu utilizzato come una vera e propria serra, specialmente per le piante di limoni e di arance.

Si racconta che la Contessa usasse, appena svegliata, sorseggiare il caffè

ogni giorno dell’anno affacciata ad una finestra diversa.

Serra dei Brandolini

Giardino di corteTorrione di guardia

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L’Alcova del Conte BrandoliniL’Ala Settecentesca ospitava i piani nobili della famiglia Brandolini e, in particolar modo, l’Alcova del Conte.Due anticamere collegavano l’alcova allo scalone principale. L’alcova, inoltre, possedeva diverse vie di fuga, tra cui una botola posizionata sotto al letto del Conte, che conduceva alla Casagrande, abitazione dei Conti Brandolini, al centro del borgo di Cison di Valmarino (quindi fuga verso l’Est); si dice inoltre che ci fosse un tunnel che arrivava fino alla Chiesetta di S.Giacomo e S.Filippo giù a Valmareno.

Era uso in passato la tradizione del “ius primea noctis”: le spose della Contea di Valmareno dovevano trascorrere la prima notte di nozze con il Conte, presso la sua alcova. Quando però la neo sposa o il neo sposo si ribellavano al Conte, quest’ultimo li uccideva per poi gettare il corpo all’interno della botola della sua stanza.Una funzione positiva la ebbe durante la prima guerra mondiale, quando la Marchesa Serra di Cassano riuscì a sfuggire all’invasione austriaca percorrendo il condotto della botola fino alla Casagrande.

Alcova del Conte

Vista notturna del Castello

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Altre vie di fuga, “le segrete”, conducevano verso la valle, a Sud. Il tunnel è visibile al lato dell’ascensore (livello 2) ed una terza via di fuga verso il bosco e foresta a Nord.Il castello ebbe la fortuna di essere posizionato in un punto del monte ideale per le sorgenti di acqua, che cominciano il proprio corso a 4 km a monte (in Corin) e che da 2000 anni alimentano il castello. Per questo motivo vi sono molte fontane e molti pozzi all’interno del castello.Le prime condotte furono costruite dai Romani in terracotta e pietra forata e sono visibili in diverse aree del castello.

Il “pozzo dei desideri”, costruito già nel 1250, fu utilizzato per nascondere i tesori raccolti dai Brandolini nelle varie battaglie, includendo anche parte del tesoro conquistato dai propri avi durante le crociate. Si narra che ogni desiderio espresso in questo pozzo, diventi realtà.

La “fontana della fertilità” racchiude tra le sue acque una leggenda: si narra che, se una coppia, insieme, esprime un forte desiderio di maternità guardando la fontana, la maternità si realizza. Si tratta di una fontana costruita nel 1700.

Una delle sorgenti che alimenta CastelBrando

Fontana della fertilità Fontana della fertilità

Pozzo dei desideri

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La chiesa di San Martino

Opera di Ottavio Scotti è anche la chiesetta di San Martino. Costruita nel Settecento sopra i resti di una precedente chiesetta romanica del duecento e probabilmente sopra i resti di un tempio votivo romano, è un connubio di architettura classica e armoniosamente decorata con affreschi e stucchi in stile rocaille.Su progetto di Ottavio Scotti, architetto che si è occupato della costruzione dell’Ala Barocca, la chiesa segue uno stile classico, assolutamente inconsueto per la cultura barocca dell’epoca.Egidio dall’Oglio (22) ha invece creato i capolavori interni, caratterizzati da colori delicati e da uno stile tendente al rococò.

Le opere della chiesa di S. Martino sono i Dodici Apostoli, i Santi Paolo, Tiziano e Pietro, il Riposo durante la fuga in Egitto, la Fuga in Egitto, la Natività e l’Assunzione della Vergine.La chiesa presenta anche un’opera di un allievo di Jacopo da Bassano, raffigurante San Martino. La chiesa, infatti, è dedicata proprio a questo santo, protettore dei cavalieri e condottieri.

Chiesa di San Martino

San Martino dipinto della Chiesa di CastelBrando

Interno Chiesa San Martino

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

Al centro del pavimento della navata centrale, spicca una botola con il motto “Impavidum Ferient”, probabilmente tratto dalla celebre frase di Orazio “Impavidum ferient ruinae” (le rovine lo colpirono impavido). All’interno della chiesa si trovano anche le tombe della famiglia dopo il 1800 fino l’ultimo Brandolini (il Conte Brandolino Brandolini d’Adda, morto nel 2001) e l’ossario della grotta precedente dei Brandolini dal 1200.Sulla facciata esterna, invece, si trova il famoso bassorilievo di Brandolino III De Brandoli, collocato tra la sua lastra tombale e gli stemmi di famiglia. Ai piedi la scritta “Qui giace Brandolino De Brandolini uomo potente per intelletto e per spada che Bagnacavallo partorì, fu Capitano della chiesa e Conte per meritata virtù di Zumelle, che avrebbe condotto grazie al suo nome insigne azioni coraggiose in tutte le terre se le parche non avessero rotto i fili con la rocca veloce”; le altre pietre tombali, portate in castello con le ossa dei Guerrieri e Conti nel 1500 ca., da Bagnacavallo, sono risalenti ad epoche più antiche (900-1100-1300).

Il Castello rimase proprietà dei Brandolini fino al 1959, data in cui fu acquistato dai Padri Salesiani (23) che ne crearono un centro spirituale, per ospitare corsi di aggiornamento culturale e religioso.

Particolare della botola all’inteno della Chiesa

Particolare del bassorilievo di Brandolino III De Brandoli

Particolare del bassorilievo di Brandolino III De Brandoli

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1998- 2003

Nel 1998 il castello

viene acquistato dalla

Quaternario Investimenti

S.p.A. (24), e in particolar

modo da Massimo

Colomban, imprenditore

italiano e fondatore della

Permastelisa che ha

fatto di CastelBrando

uno dei più raffinati

esempi di riqualificazione

del patrimonio storico-

artistico italiano.

Il recupero, la

rifunzionalizzazione e

l’apertura al pubblico

e alla comunità, dopo

2000 anni di fortezza e

residenza patrizia privata.

Vista aerea di CastelBrando

Vista delle facciate di CastelBrando

Particolare di CastelBrando

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GUIDA STORICA AL CASTELLO

• funicolare panoramica, lungo 200 m, ad una pendenza del 75%

•26.000 m3 di roccia scavati per la creazione di 3 garage, del Teatro Tenda e servizi annessi e funicolare

•37.000 kg di canali d’aria

•40.000 kg di tubazioni in ferro nero e zincate

•8.000 metri di tubazioni in rame

•12.000 metri di tubazioni per la distribuzione di acqua sanitaria, acqua grezza e antincendio

•1.300 metri di tubazioni per la distribuzione gas metano

•458.000 metri di cavi elettrici

•64.000 metri di tubi elettrici

•1.000 metri di canali elettrici

•8.000 metri di fibra ottica (1 Giga di velocità di trasmissione)

•72 quadri elettrici di distribuzione primaria

•65 quadri di distribuzione secondaria

•8 caldaie per il riscaldamento a gas metano (c.a. 2000 kw/h)

•6 gruppi refrigeranti (c.a. 650 kw/h)

•21 centrali di trattamento dell’aria per la climatizzazione e controllo dell’umidità interna

5 Anni di lavori ciclopici

Ingresso funicolare panoramica

Funicolare panoramica

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NOTE

1) Valmareno oggi è una frazione del Comune di Follina, posizionata ai piedi del Passo Praderadego. L’antico termine con cui veniva denominata la vallata era “Vallis Mareni”, poi modificata in “Val di Maren” e, infine, in “Val Marena”. Ci sono varie ipotesi riguardo alla denominazione di Valmareno. Alcuni studiosi ritengono che “Valmareno” sia un nome dato dal Doge Marin Falier (che ha risieduto in CastelBrando intorno al 1349); questo, però, è sfatato dalla presenza di documenti del 1150 in cui appare già questo nome. Un’altra ipotesi sostiene che questa denominazione ricordi un precedente specchio d’acqua rimasto dopo il ritiro del Mare Adriatico, il quale invadeva tutta la Valle Padana; ciò spiegherebbe la scoperta di fossili marini nei suoi dintorni. Ipotesi più credibile è quella di un possibile torrente, il Valmareno, che scendeva da Praderadego, attraversava il paese per poi raggiungere la vicina Follina, modificandone anche il proprio nome in “Follina”. L’ipotesi più veritiera è la possibilità che Valmareno derivi da un termine di origine gallica; la radice indoeuropea di “mareno” indica la palude, lo stagno e l’acquitrino. Probabilmente è stato attribuito questo nome al paese per ricordare la caratteristica zona paludosa che fu bonificata nel 1100 dai monaci cistercensi. Si ritiene, infatti, che la Via Claudia Augusta Altinate, la strada imperiale che collegava Altino con i paesi del Nord e che passava proprio per il Passo Praderadego, affiancasse questo corso d’acqua che offriva molti vantaggi.

PREISTORIA VENETA

2) Le Prealpi Venete rappresentano una delle aree meglio documentate della preistoria italiana; già in un momento avanzato del Paleolitico inferiore (fra 500.000 e 300.000 anni fa) erano abitate da piccoli gruppi di nomadi che si dedicavano alla raccolta di vegetali, alla pesca, alla caccia di animali e alla scheggiatura della pietra e dell’osso. Nel Paleolitico Medio (30.000-35.000 anni fa), l’Homo Sapiens, uomo più evoluto, domina il territorio e, grazie a nuove tecniche di caccia, ha la possibilità di procurarsi cibo (anche animali di grossa taglia come i mammut e l’orso delle caverne). Terminata l’ultima glaciazione, nel periodo chiamato “Epigravettiano evoluto-finale” (20.000 anni fa), l’uomo inizia a spostarsi nelle montagne, lasciando tracce attraverso graffiti ed incisioni figurative e geometriche; inoltre vi sono le prime sepolture umane. L’Homo sapiens sapiens (che ha iniziato ad abitare le zone nel Paleolitico Superiore, 40.000-35.000 anni fa) svolgeva già delle prime vere attività commerciali, attraverso lo scambio dell’Ambra e il culto per i santuari d’acqua, legati alla fertilità. A questi periodi, seguono l’Età del rame (5.000-4.000 a.C.), l’Età del bronzo (3.500-1.200 a.C.) e l’Età del ferro (1.200 a.C.), in cui si trova un passaggio “dal villaggio alla città” (civiltà palafitticola), i primi documenti scritti in una lingua indoeuropea molto simile al latino e, infine, nella seconda metà dell’Età di ferro, segni evidenti della stabilizzazione di alcuni gruppi celtici. Per una conoscenza più approfondita della preistoria del Veneto, ci sono molte testimonianze tra le province di

Treviso e di Belluno: innanzi tutto il Parco Archeologico e Didattico di Livelet, presso Revine Lago, Si tratta di una ricostruzione archeologica di alcune abitazioni primitive relative al Neolitico, all’Età del Rame e del Bronzo. Altre mete interessanti sono il Museo Civico del Castello (Conegliano), il Museo Civico Archeologico “Eno Bellis” (Oderzo), il Museo di Storia Naturale “Brandolini Giol” (Oderzo), il Museo del Cenedese (Vittorio Veneto), il Museo Civico di Asolo, il Museo Civico “La terra e l’uomo” (Crocetta del Montello), il Museo di Storia Naturale e Archeologia (Montebelluna), il Museo Civico dei reperti archeologici del territorio zumellese (Mel), il Museo Civico della Val Fiorentina “Vittorino Cazzetta” (Selva di Cadore), l’abitato fortificato in località Noal (Sedico), il Museo Civico di Belluno, il Museo Civico di Feltre, il Museo Palazzo Corte Metto (Auronzo di Cadore).

3) Molte sono le fonti, arrivate ai nostri giorni, che narrano del popolo dei Veneti antichi. Scrittori greci e latini affermano che i Veneti provengono dalla Paflagonia (che, come dice Omero, è collegata al topos dei loro famosi cavalli), Asia Minore. Gli scrittori romani (in particolar modo Livio e Virgilio) raccontano che i Veneti, guidati dal duce Pilemene, giungono a Troia (intorno al 1300-1200 a.C.) per allearsi con gli abitanti nella famosa omonima guerra; morto Pilemene e già espulso il suo popolo dalla Paflagonia a seguito di una sedizione (ribellione), Antenore prende il comando, giungendo così “in intimum maris Adriatici sinum” dove, dopo aver cacciato gli Euganei, fonda la città di Padova e li stabilisce la sede del popolo. Si deduce quindi che gli antichi Veneti si stabilirono nel territorio, che coincide con l’attuale regione veneta, tra il XIII e XII secolo a.C. Noti per la loro grande abilità a cavallo, vengono ricordati da molti autori, in particolar modo da Omero. I loro centri abitativi più importanti (testimoniati da fonti epigrafiche di tipo funerario e votive) erano Este, Padova, Altino, Treviso, Oderzo, Concordia, Montebelluna, Mel, Vittorio Veneto, Cadore.

I ROMANI IN VENETO E LA X REGIO

4) La colonizzazione latina dell’Italia ebbe inizio nel II secolo a.C.; n tutta Italia fu creata una rete stradale che diede inizio alla centuriazione e romanizzazione del territorio. In Veneto, per esempio, furono costruite nel 153 a.C. la via consolare Annia (da Adria ad Aquileia), nel 148 a.C. la via consolare Postumia (da Genova ad Aquileia)e nel 132 a.C. la via Popilia (da Rimini ad Aquileia). Con l’inizio della divisione del territorio italiano in 11 circoscrizioni (regiones), nel 49 a.C. il proconsole Cesare permise la cittadinanza agli abitanti dei territori ormai latini. Nel 7 d.C., l’imperatore Augusto creò la “Regio X Venetia et Histria” (la decima regione), grazie all’instaurarsi di un rapporto pacifico tra i romani e i popoli Galli Cenomani, Euganei, Veneti, Rezi, Gallo Carni, Istri. La X Regio comprendeva gli attuali territorio di: Veneto, Friuli, Carnia, Venezia Giulia, Carso, Istria, Trentino, parte dell’Alto Adige, Cremona, Brescia, Sondrio e Mantova.

5) Via Claudia Augusta Altinate è una via militare di epoca romana che, per la prima volta, segue un tracciato transalpino

che collega il mondo latino al mondo germanico. Negli anni 46 e 47 d. C., l’imperatore Claudio Augusto (che diede il nome a questa costruzione) aveva costruito con “modalità e infrastrutture regolamentari” questa via imperiale, iniziata già dal padre Druso Maggiore nel 15 a.C. quando, durante le campagne militari in Rezia-Vindelicia e nel Nordico, aveva spalancato le porte delle Alpi combattendo le popolazioni del nord e della Gallia. Ciò è testimoniato da alcune iscrizioni incise su due cippi cilindrici ritrovati a Rablà (BZ) e a Cesiomaggiore (BL), che indicano però due diversi punti di partenza; per questo si ipotizza che la Via Claudia Augusta abbia due rami, uno che partiva da Ostiglia (MN), l’altro da Altino (VE) (passando ai piedi del Col de Moi, sul quale si erge CastelBrando) e che poi si ricongiungevano a Trento per proseguire in un unico percorso fino alla Baviera. Creata inizialmente come arteria di conquista e di difesa, fu modificata da Claudio Augusto per puntare ad uno sviluppo civile. Oltre ai due cippi, sono stati ritrovati altri reperti (ad esempio, alcuni tratti di strada presso l’area archeologica di Altino, alcuni ponti romani nelle zone tra il Montello e il Quartier del Piave e presso Quarto d’Altino, un ponte presso Villa Jacur a Susegana e un tratto di strada nel Passo Praderadego).

LE INVASIONI BARBARICHE

6) I longobardi sono una popolazione germanica orientale che, alle origini, abitava la Scania (Svezia). Tra il II e il VI secolo inizia la loro migrazione dall’Elba all’Italia, soffermandosi nel medio corso del Danubio e in Pannonia. Nel 568, guidati dal re Alboino, si insediano in Italia creando il Regno longobardo, un regno indipendente formato da numerosi ducati. La prima città a cadere nelle mani di Alboino è Cividale del Friuli, seguita da Aquileia, Vicenza, Verona e, poco a poco, tutta la zona nord-orientale d’Italia, tra cui Pavia che diventa la capitale del regno. Al re Alboino (ucciso nel 572), succede Clef, che, però regna per soli 2 anni. Nei successivi 10 anni, non viene eletto un nuovo re, ma segue un periodo di interregno, nel quale i vari ducati conquistano gli Appenini centro-meridionali. Ma, a causa dei troppi disordini interni, viene eletto re Autari (figlio di Clef), sposo di Teodolinda. Alla morte di Autari, Teodolinda sposa Agilufo (duca di Torino) che diventa re longobardo. Riprendono così le conquiste dell’Italia e inizia anche un’integrazione religiosa tra Longobardi e Italiani. Nel 616 muore Agilufo e a lui susseguono numerosi re fino al 773-774, quando Carlo Magno entra in Italia, conquistando Pavia e facendosi chiamare “Gratia Dei rex Francorum et Longobardum”, unendo così il Regno Longobardo al Regno Franco.

7) Teondolinda è stata Regina dei Longobardi e d’Italia dal 589 al 616. Proveniente da stirpe regale, figlia del duca di Bavari, sposa Autari, re dei Longobardi (588). Dopo poco più di un anno, Autari muore assassinato e Teodolinda decide di risposarsi con Agilulfo, che diventa così nuovo re longobardo. Nel 602 nasce il loro figlio Adaloaldo, primo sovrano longobardo battezzato nella fede cattolica. Alla morte di Agilulfo, sale al trono il figlio che, ancora minorenne, viene affiancato dalla madre

GUIDA STORICA AL CASTELLO

Teodolinda. Molto amata dal proprio popolo, Teodolinda intensifica l’appoggio alla Chiesa Cattolica. Muore nel 627 e il suo corpo viene sepolto nel Duomo di Monza. Con la sua morte, termina il periodo monzese dei Longobardi.

8) Rotari è stato Re dei Longobardi e Re d’Italia dal 636 al 652. Nato a Brescia, dalla stirpe degli Aroldingi (dinastia che regnò sui Longobardi a metà del VII secolo), fu inizialmente duca di Brescia. Morto il re Arioaldo, nel 636, sale al trono, sposando poi Gundeperga, moglie del suo predecessore e figlia della regina cattolica Teodolinda. Molte sono le campagne militari intraprese da Rotari che gli permettono di ampliare notevolmente i territori longobardi, conquistando tutta la Liguria e Oderzo (grazie anche alla crisi interna dell’Impero bizantino). Morto nel 652, è sepolto a Pavia, nella basilica di San Giovanni Battista. Rotari è ricordato soprattutto per l’Editto promulgato da lui stesso alla mezzanotte del 22 novembre 643. Attraverso questo editto, codificò il diritto longobardo, che fino a quella data era ancora orale, e apportò delle innovazioni, probabilmente influenzato anche dal diritto romano.

IL VENETO DAL X SECOLO

9) Ceneda oggi è un quartiere di Vittorio Veneto. Già in età romana si trovava in Ceneda un “vicus” (aggregato di case e terreni) fortificato che appoggiava il Castrum di Serravalle; oggi sono ancora visibili alcuni tratti della centuriazione originale. L’omonima diocesi, però, si estendeva sul territorio Opiterginum (corrispondente all’attuale territorio di Oderzo). Con l’inizio delle invasioni barbariche, decade Oderzo e Ceneda accresce la propria importanza, divenendo prima sede del ducato longobardo, poi diocesi e, grazie all’avvento del Cristianesimo, sede vescovile. Nel 962, l’imperatore Ottone I permette ai vescovi di esercitare il potere temporale sul territorio, diventando così Vescovado-contea. Anche se sotto il dominio della Repubblica Veneziana, Ceneda continua ad essere una Contea vescovile fino al 1768, anno in cui viene trasformata in una Podestà ecclesiastica.

10) Sofia di Colfosco fu una delle più importanti donne della Marca Trevigiana, contessa e condottiera italiana. Grazie al matrimonio con Guecellone II da Camino, fa confluire alla famiglia del marito una grande quantità di possedimenti feudali: Sofia, infatti, è figlia di Walfredo di Colfosco e Adelita, contessa di Zumelle, e nipote di Ermanno, conte di Porcia. Sofia di Colfosco è ricordata nella storia come una delle più valorose donne italiane che ha osato opporsi con le armi all’imperatore Federico Barbarossa nelle battaglie di Cassano e Balchignano. Nel 1170 fa erigere l’Abbazia Santa Maria di Follina (oggi monastero cistercense). Alla sua morte dona la chiesa di Santa Margherita di Serravalle, le chiese di Zumelle, Lago, Valmareno, Farrò, Colfosco e Fonte all’Abbazia di Follina, dove è stata sepolta e dove si trova la sua tomba (costruita XVI secolo da san Carlo Borromeo).

11) I Da Camino o Caminesi sono una famiglia della Marca Trevigiana che ha avuto rilievo fin dai primi anni del XII secolo.

Di origine longobarda e probabilmente facente parte di un ramo della famiglia dei Collalto, si sono affermati con Guidone, figlio di Rambaldo I. Egli, infatti, salvò la vita all’imperatore Corrado di Franconia che, per premiarlo, gli donò il castello di Montanara (nell’attuale Montanara di Sarmede, ai piedi del Consiglio). In seguito anche i figli Alberto e Guecello vengono infeudati nelle terre tra il Piave e il Livenza per poi stabilirsi in un luogo a Nord di Oderzo, dove sorgeva un borgo con una grossa fornace. Qui decidono di risiedere nel castello di Camino e modificano il proprio nome da conti di Montanara a conti Da Camino. Presto iniziano a conquistare grandi territori e, dopo un secolo, sono già proprietari di Serravalle, Feltre, Belluno, Cadore, Comelico. Inizia la loro decadenza che li fa sottomettere al Comune di Treviso per un breve periodo, dal 1183 al 1199. Da questo momento, iniziano ad acquisire una grande autorità e, schierati con la fazione dei guelfi, sconfiggono i Da Romano, della fazione dei ghibellini. Nel 1283 Gherardo Da Camino diventa signore assoluto di Treviso, stringendo una grande amicizia con il Sommo poeta Dante Alighieri che lo ricorderà nelle sue opere. A causa però degli errori di gestione dei figli Rizzardo IV e Guecellone, termina la signoria caminese. Nel 1335 si estingue il ramo dei Caminesi di Sopra con l’assassinio di Rizzardo VI e tutti i territori della famiglia si incorporano al dominio della Repubblica Veneziana.

IL DOMINIO VENEZIANO (dal Trecento al Settecento)

12) Abitata già da popolazioni preromane, Venezia è stata una delle potenze che hanno caratterizzato maggiormente la storia di tutta l’Europa. La sua nascita è dovuta alle varie invasioni da parte di Unni, Ostrogoti, Franchi e Longobardi, che hanno costretto le popolazioni dell’Italia Settentrionale a fuggire e rifugiarsi nella laguna, un luogo formato completamente da isole e per questo molto più sicuro rispetto alla Terraferma. Pian piano queste popolazioni trasformano la laguna in una vera città, soprattutto quando nell’810 la sede del governo ducale si trasferisce a Rialto. Venezia si distingue presto per la sua abilità a socializzare e commercializzare con le altre popolazioni. Negli anni successivi, la popolazione veneziana si specializza nelle attività del mare, grazie alla sua favorevole posizione, e presto Venezia diventa una delle più temute potenze marittime. Proprio per questo motivo, Venezia è costretta a combattere molte guerre contro alcune potenti rivali, come pisani, ungheresi, genovesi e popolazioni del vicino Oriente. Nonostante ciò, riesce ad espandere il proprio territorio in tutto il Veneto (compreso la Valmareno) e in parte del Friuli e della Lombardia. La Repubblica di Venezia quindi domina l’entroterra fino al 1797, anno della caduta della stessa Serenissima a causa dell’avanzare delle milizie francesi di Napoleone Bonaparte.

13) La storia di Marin Falier è sconosciuta fino ai suoi trentenni, probabilmente a causa del demnatio memoriae (cancellazione della memoria) voluto dalla Repubblica in seguito al suo tradimento. Nato nel 1285, all’età di trent’anni svolge servizi onorevoli

in guerra e nelle ambasciate, diventando così membro del Consiglio dei Dieci (una delle più alte cariche veneziane). L’11 settembre 1354 viene proclamato Doge della Repubblica veneziana, mentre si trova ad Avignone, come ambasciatore presso papa Innocenzo VI (precedentemente erano stati eletti altri due dogi della famiglia Falier: tra il 1084 e il 1095 il Doge Falier Bodoni Vitale e tra il 1102 e il 1118 il Doge Falier Bodoni Ordelaf). A causa della fragile situazione in cui si trova Venezia (aveva appena affrontato una guerra contro i veronesi, stava combattendo con Genova e aveva superato la peste con conseguenze gravi, sia dal punto di vista economico, che commerciale) e di un’offesa da parte del patrizio Michele Steno, Marin Falier organizza una congiura contro la Repubblica veneziana, che prevede l’uccisione dei membri dei vari Consigli e la sua nomina in “Signore di Venezia”. La congiura però viene sventata e, dopo la sua confessione, il 17 aprile del 1355 viene condannato a morte per alto tradimento e quindi decapitato. Nella Sala del Maggior Consiglio, presso il Palazzo Ducale, viene cancellata la sua effigie e inserito, tra i ritratti dei vari dogi, l’iscrizione “Hic fuit locus ser Marini Faletri, decapitati pro crimine proditionis”, che, dopo l’incendio al Palazzo Ducale del 1577 è stata sostituita con l’iscrizione “Hic est locus Marini Faletri decapitati pro criminibus”.

14) Erasmo di Paolo da Narni, meglio conosciuto come “Gattamelata”, nasce a Narni nel 1370 (il suo nome di battesimo è Stefano) e inizialmente è soprannominato “lo Strenuo” (soprannome del padre Pietro, robusto e instancabile fornaio). Gattamelata inizia la sua carriera come soldato al seguito di Cecchino Broglio, signore di Assisi. Ormai trentenne, viene notato da Braccio da Montone che ne diviene suo maestro e dal quale apprende l’astuzia e la rapidità. Grazie al Gattamelata, Braccio da Montone riesce a conquistare Todi, Rieti, Narni e Spoleto. Nel 1410 sposa Giacoma Bocarini Brufoli di Leonessa, sorella di un suo compagno d’armi. Da questa unione nascono 6 figli, ma solo 1 maschio (Giannantonio). Nel 1424, durante una battaglia al fianco dei Bracceschi all’Aquila, viene sconfitto e imprigionato, ma riesce a fuggire e unirsi con il Piccinino al servizio di Firenze, contro il duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Nel 1427, passa al servizio del pontefice Martino V, che necessitava di liberarsi degli irrequieti signorotti di Umbria, Emilia e Romagna. Poi si unisce a Brandolino IV Brandolini, formando una compagnia di ventura. Non gradito al nuovo pontefice, Eugenio IV, il Gattamelata (e di conseguenza il compagno d’armi Brandolini) si mette al servizio della Repubblica di Venezia. Nel 1430 riceve il comando unico nella guerra contro i Visconti, che terminerà con la vittoria veneziana. Intanto, la figlia Polissena Gattamelata sposa Tiberto VIII Brandolini, figlio di Brandolino IV, e nasce la loro figlia, Giacoma Brandolini. Il 17 febbraio 1436 i due condottieri chiedono a Venezia la conferma della propria condotta; inoltre ricevono l’investitura della Contea di Valmareno con piena giurisdizione. Subito sorgono dei contrasti tra i due compagni, che, però vengono risolti con un accordo:

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in cambio del possesso a pieno titolo di Valmareno, il Brandolini avrebbe pagato 3000 ducati d’oro e si sarebbe ritirato dalla professione militare. Accettato l’accordo, il Gattamelata continua a combattere al servizio della Repubblica e sostituisce il traditore Gonzaga, ricevendo così il titolo di governatore generale. Attraverso la sconfitta dei Visconti, ottiene anche il titolo di Capitano generale delle armi venete. Combatte fino ai settant’anni, quando, ormai malato, si ritira a Padova, dove muore nel 1443. La vedova Bocarini Brunori commissiona al Donatello la statua equestre, che ora domina in Piazza del Santo, a Padova. Per quanto riguarda lo stemma del Gattamelata, nei vari anni ebbe 4 diverse forge, ma che contenevano di solito 2 elementi principali: i 3 cappi (che probabilmente rappresentavano le tre trecce di crini di cavallo o corregge di cuoio) e una gatta (non sempre presente). La sua armatura ora è esposta all’Arsenale di Venezia: era formata da 134 pezzi per un’altezza di 206 cm e peso di 49 kg.

15) La Lega di Cambrai è un’alleanza creata nel 1508 dal pontefice Giulio II, contro la Repubblica di Venezia, troppo potente nella sua politica espansionistica. Alla Lega si allearono anche Luigi XII di Francia, Massimiliano I del Sacro Romano Impero, Ferdinando d’Aragona dei Regni di Napoli e della Sicilia, Alfonso I d’Este del Ducato di Ferrara, Carlo III del Ducato di Savoia e Francesco II Gonzaga, Marchese di Mantova. Il trattato prevedeva che, una volta sconfitta Venezia, tutti i suoi domini fossero ripartiti tra i membri della Lega. Attraverso le battaglie di Agnadello e di Polesella, la Lega riesce ad entrare nel territorio veneziano e spingersi quasi fino alle coste della laguna, mettendo sotto assedio Padova. Impaurito però dalla minaccia francese, papa Giulio II decide di abbandonare la Lega di Cambrai per creare la Lega Santa contro la Francia, alla quale aderisce anche la Repubblica Veneziana.

16) Jacopo Titti, detto il Sansovino è uno dei più importanti architetti e scultori italiani. Nato a Firenze nel 1486, a vent’anni si trasferisce a Roma per iniziare il suo apprendistato nella bottega di Andrea Cantucci, chiamato “Sansovino”, dal quale Titti prende il soprannome. Fuggito da Roma, si rifugia negli anni Venti a Venezia, con l’intento di proseguire poi per la Francia. Qui, però, gli viene commissionato, dal Doge Andrea Gritti, il restauro della cupola della basilica di San Marco. Decide quindi di rimanere a Venezia a progettare eleganti edifici, che tutt’ora decorano la città lagunare, aggiudicandosi nel 1529 il titolo di “Proto delle Procuratie de supra”. Tra le sue opere più conosciute: la Libreria Marciana, la Loggetta del Campanile, le Procuratie Nuove, la Chiesa di Santa Maria della Misericordia, la Zecca, il Palazzo Corner, i raffinati interni delle Chiese di San Francesco della Vigna, di San Martino, di San Salvador e di San Zulian. Dal punto di vista scultoreo, vanno ricordate le statue di Marte e Nettuno della Scala dei Giganti e la Scala d’Oro del Palazzo Ducale, la Madonna con Bambino, presso l’Arsenale di Venezia, il Miracolo del fanciullo Parissio e la Guarnigione della giovane Carilla presso la Basilica di Sant’Antonio di Padova, le sculture e la porta bronzea della Sacrestia

di San Marco. Morto nel 1570 a Venezia, le sue ceneri sono racchiuse nel Battistero della Basilica di San Marco.

17) Caterina Cornaro è stata Regina di Cipro e Armenia dal 1474 al 1489. Nata a Venezia nel 1454, è membro della famiglia Corner (italianizzato Cornero), una delle dodici famiglie tribunizie della Repubblica di Venezia. A 14 anni viene prescelta come sposa di Giacomo II di Lusingano, re di Cipro e Armenia. Nel 1468, vengono celebrate le nozze in procura per poi proseguire con delle suntuose nozze a Cipro al suo arrivo, nel 1472. Lo Stato Veneto decide di attribuirle l’appellativo di “Figlia adottiva della Repubblica”. Nel 1473, muore re Giacomo II, pochi mesi prima della nascita di suo figlio. Per volere del re, l’eredità al trono passa a Caterina. Ciò suscita delle sommosse da parte di alcuni nobili dell’isola che pretendevano la salita al trono di Carlotta, figlia legittima del precedente re Giovanni II (mentre Giacomo II era un suo figlio illegittimo). La Repubblica Veneziana interviene subito a proteggere la regina, mentre i nobili ribelli fuggono dall’isola. Nel 1474, muore il figlio Giacomo III a causa di febbri malariche. Dopo una seconda congiura, la Repubblica chiede a Caterina di abdicare e, dopo un primo rifiuto, decide, nel 1489, di lasciare il trono. Ritornata a Venezia, viene accolta in modo talmente memorabile che, ancora oggi, ogni anno (5 settembre) viene organizzata la Regata Storica in memoria dell’accoglienza veneziana alla Regina. Caterina Cornaro viene nominata “domina Aceli” (signora di Asolo), ma può comunque mantenere il titolo di “Reina de Jerusalem Cypre et Armeniae”. Scappata dalle truppe tedesche, nel 1510 si rifugia a Venezia dove, ormai malata, muore.

18) La famiglia Collalto è probabilmente di origine longobarda. Si narra che il capostipite Rambaldo sia sceso in Italia con il re Alboino nel 570. I Collalto ricevono il titolo di “conti di Treviso” da Carlo Magno, mentre, verso il 959, a Pavia, il re d’Italia, Berengario II, dona a Rambaldo I di Collalto alcuni possedimenti a destra del fiume Piave. Rambaldo divide l’eredità tra i suoi due figli: a Gutcillo I vengono affidate le terre tra il Livenza e il Tagliamento (dove crea la dinastia dei Da Camino), mentre a Rambaldo II i territori a sud-ovest del Tagliamento. Il primo centro fortificato della famiglia viene eretto su una collina che guarda il Piave (verso il 1100) in quanto uno dei suoi membri, Adesio, era stato incaricato di controllare i guadi del fiume. Nel 1312 il potere della famiglia si concentra nei castelli di Collalto e San Salvadore e, ricevuta piena giurisdizione feudale, Rambaldo VIII fa della Contea un territorio simile ad un principato indipendente. Sotto la Repubblica Veneziana, diventano loro Patrizi. La famiglia Collalto è nota anche per la leggenda di Bianca Collalto. Si narra che, dopo le nozze tra Tolberto di Collalto e Chiara Da Camino (unione che contribuisce alla fine delle discordie tra le due famiglie), il conte Tolberto mise al capo della servitù femminile di Chiara una ragazza, probabilmente orfana: Maria. Alla partenza di Tolberto per una guerra, Chiara vide della complicità tra il marito e Maria e, presa dalla gelosia, la fece immurare viva in una delle

torri del castello. La tradizione racconta che, da quel giorno, il fantasma di Maria appare alla famiglia dei Collalto, precedendo momenti di gioia (Maria appare con una veste bianca) o di catastrofe (appare con un velo nero sul volto).

19) La famiglia Malatesta dominò gran parte della Romagna e in particolar modo Rimini (1295-1528), estendendo poi i territori a San Marino, Pescara, Ancona, Forlì, Cesena e Ravenna. Secondo la tradizione, i Malatesta sono originali della Roma Antica. Secondo un’ipotesi più veritiera, il primo componente della famiglia è un certo Giovanni di Ravenna (VIII secolo). Nel X secolo, Rudoldfo, esponente della famiglia, respinge in modo tenace, gli attacchi esterni di Papi e Imperatori, guadagnandosi il soprannome di “Malatesta”. Nel 1239, Malatesta Pennabilli, del ramo dei Malatesta da Verucchio, riceve il titolo di podestà di Rimini, per poi nominarsi, in seguito, signore della città. Ciò gli permette, nel 1295, di espellere dalla città tutte le famiglie ghibelline. La famiglia Malatesta è ricordata anche da Dante Alighieri, in particolar modo nella Divina Commedia (Canto V, Inferno) attraverso la storia di Paolo e Francesca: Giovanni Malatesta è costretto ad allontanarsi dalla moglie, Francesca da Polenta, per motivi di guerra; la moglie inizia a frequentare il cognato Paolo, per dedicare insieme del tempo alla lettura di un libro narrante le storie amorose di Lancilotto. Queste letture però diventano sempre più intime fino ad arrivare al loro innamoramento e, scoperti da Giovanni, al rientro dalla guerra, vengono assassinati barbaramente.

LA GIUSTIZIA NELLA CONTEA DI VALMARENO

20) La Contea di Valmareno comprendeva dodici “Villi”: Cison, Maren, Miane, Visnà, Tovena, Rolle, Vergoman, Combai, Campea, Premaor, Col e Solighetto. All’interno della Contea, il Conte era la persona più potente e godeva di “mero e misto imperio”, cioè del più alto grado di potere sia sugli uomini che sulle cose appartenenti al feudo. I processi della Contea si sviluppavano in tre fasi: la formulazione dell’accusa, la testimonianza e il dibattito processuale. Quest’ultimo presentava tre gradi di giudizio: il grado di prima istanza era sostenuto dal Podestà, quello di seconda istanza dal Giudice di Appellazione e il grado di terza istanza dai Magistrati veneziani (Auditori novi per le cause civili, Avogaria de Comun per le cause penali). Dato il costo elevato dei processi, spesso i condannati preferivano rivolgersi direttamente al Conte per chiedere la grazia. La legislazione della Contea era ampia e varia, composta dagli “Statuti della Valle” (statuti che regolavano tutti i feudi soggetti ai Vescovi di Ceneda), integrati con leggi veneziane e con ordini feudali della famiglia Brandolini, sempre adeguati alla continua trasformazione economico-politica e sociale della vita della Contea. La maggior parte dei reati riguardava danni al patrimonio agricolo-forestale (ad esempio l’87% delle denunce dell’anno 1574 riguardava questo reato). Ulteriori approfondimenti sulla giustizia della Contea di Valmareno sono raccolti nel libro “Potere e giustizia” della Collana di studi in CastelBrando.

GUIDA STORICA AL CASTELLO

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L’ARTE NEL SETTECENTO

21) Ottavio Scotti, nato nel 1680 da una nobile ricca trevigiana e morto nel 1748, è stato un architetto italiano che ha operato in particolar modo nella sua provincia. Allievo di Pietro Simoni, a 46 anni scrive “Studio di Architettura”, opera che raccoglie le centinaia di tavole da lui disegnate. Tra le sue opere principali, oltre all’edificio di ampliamento di CastelBrando, vi sono, a Treviso, il Palazzo Giacomelli, alcune parti del Seminario Vescovile e le chiese di Santo Stefano e di Santa Croce, mentre al di fuori della sua città si è occupato della ricostruzione della cattedrale di Ceneda e della creazione del municipio di Conegliano. A lui si devono anche la scalinata del monastero di San Felice a Vicenza e la chiesa del convento delle Carmelitane a Mantova.

22) Egidio Dall’Oglio è l’autore degli affreschi e stucchi della chiesa di San Martino in CastelBrando. Nato nel 1705 a Cison Di Valmarino, iniziò i propri studi artistici presso la bottega di Giambattista Piazzetta nel 1725 (grazie alle disponibilità economiche del padre Bartolomeo, amministratore dei beni dei Brandolini). Dal Piazzetta apprende buona parte delle sue tecniche, divenendo probabilmente uno dei suoi primi aiuti e uno dei principali divulgatori della sua scuola. Dall’Oglio si occupò principalmente dell’entroterra veneto, arricchendo, con le sue opere, le principali chiese della Vallata: la chiesa arcipretale di Miane, l’Abbazia di Follina, la chiesa di San Giacomo di Rolle, l’oratorio di Sant’Eurosia di Zuel di Qua, la chiesa di San Gottardo di Mura, la Chiesa Parrocchiale di Tovena, la chiesa di San Giorgio di Lago, la chiesa di Santa Maria di Lago, la chiesa Parrocchiale di Revine Lago, il santuario di San Francesco di Revine Lago e molte opere a Cison come la chiesa parrocchiale, la chiesetta di San Francesco, la chiesa Arcipretale, il tempio della Beata Vergine delle Grazie, l’oratorio di San Martino in CastelBrando, la chiesetta di San Salvatore di Campomolino. Inoltre, ampliando i suoi confini, opera in alcune chiese della zona di Feltre-Belluno, di Oderzo-Vittorio Veneto, di Castelfranco-Cornuda, di Piove di Sacco. La sua opera più importante e caratteristica Madonna col Bambino e i Santi Giovannino, Giuseppe, Anna e Giovacchino si trova nella cattedrale di Belluno.

IL NOVECENTO

23) La Società Salesiana di San Giovanni Bosco è un istituto religioso maschile di diritto pontificio. Fondato nel 1859 da san Giovanni Bosco, è una congregazione clericale composta da sacerdoti, chierici e laici che, attraverso oratori, scuole, collegi, centri per la formazione professionale e agraria, centri di orientamento vocazionale e case di spiritualità, assicurano ai giovani una buona formazione e educazione e la possibilità di trovare lavoro; il loro scopo (specificato anche nelle costituzioni approvate dalla Santa Sede nel 1874) è, infatti, quello di “essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specie ai più poveri”.

24) La Società Finanziaria Quaternario Investimenti S.p.A., il cui fondatore e unico amministratore è Massimo Colomban, fu

creata negli anni Sessanta; si tratta del principale gruppo al mondo nelle architetture monumentali “building envelpes”. Dagli anni Novanta, oltre che dello sviluppo immobiliare, si occupa anche di sviluppo turistico (con la ristrutturazione, recupero e rilancio di CastelBrando e di altre aree “resort”) e di gestione e sviluppo d’impresa (“Q1-Quaternario Space e Talent’s Lab”). Sito internet: www.quaternarioinvestimenti.it. I lavori della Quaternario Investimenti S.p.A. presso CastelBrando sono descritti in “La fabbrica di CastelBrando”, della Collana di studi in CastelBrando.

Via Brandolini, 29 - 31030 Cison di Valmarino (TV) ItalyTel. +39 0438 9761 - Fax +39 0438 976000

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