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LA STRADA DELLA PACE LA FINE DEL SOGNO OCCIDENTALE La... · che è sempre più raro non indicate...

Date post: 16-Feb-2019
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1 LA STRADA DELLA PACE LA FINE DEL SOGNO OCCIDENTALE
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Page 1: LA STRADA DELLA PACE LA FINE DEL SOGNO OCCIDENTALE La... · che è sempre più raro non indicate per loro ... ma coltivate voi stessi il cuore e la mente ... nemmeno tu mi hai mai

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LA STRADA DELLA PACE

LA FINE DEL SOGNO OCCIDENTALE

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Non insegnate ai bambini (Giorgio Gaber)

Non insegnate ai bambini

non insegnate la vostra morale

è così stanca e malata

potrebbe far male

forse una grave imprudenza

è lasciarli in balia di una falsa coscienza.

Non elogiate il pensiero

che è sempre più raro

non indicate per loro

una via conosciuta

ma se proprio volete

insegnate soltanto la magia della vita.

Giro giro tondo cambia il mondo.

Non insegnate ai bambini

non divulgate illusioni sociali

non gli riempite il futuro di vecchi ideali

l'unica cosa sicura è tenerli lontano

dalla nostra cultura.

Non esaltate il talento

che è sempre più spento

non li avviate al bel canto, al teatro alla danza

ma se proprio volete

raccontategli il sogno di un'antica speranza.

Non insegnate ai bambini

ma coltivate voi stessi il cuore e la mente

stategli sempre vicini

date fiducia all'amore il resto è niente.

Giro giro tondo cambia il mondo.

Giro giro tondo cambia il mondo.

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1.

Irriducibile a un unico territorio, l’Occidente non è soltanto un’entità religiosa, etica, razziale o

anche economica. In quanto unità sintetica di questi diversi elementi, l’Occidente è una entità

“culturale”, un fenomeno di civiltà. La pertinenza di questa idea di Occidente, come unità

fondamentale soggiacente a tutta una serie di fenomeni che si sono dispiegati nella storia, si

può’ cogliere solo seguendone l’andamento. Inseparabile dall’originario ceppo geografico, la

sua estensione e le sue derivazioni tendono a ridurlo a una entità immaginaria.

Geograficamente e ideologicamente, è un poligono a tre dimensioni principali: è giudeo-

ellenico-cristiano. I contorni del suo spazio geografico sono più o meno precisi a seconda delle

epoche. Le sue frontiere diventano sempre più ideologiche.

Terra dell’ellenismo, poi della cristianità nascente, dell’impero romano trionfante, addirittura

dell’arabo-islamismo, la sua forma assume i tratti più caratteristici spostandosi dal bacino del

Mediterraneo alle coste dell’Atlantico. Lungo un processo di piccole mutazioni, il poligono

occidentale è tributario per la sua espansione di altre influenze culturali meno visibili, perché

senza tracce “intellettuali”. E’ degno di nota il fatto che l’ambito del dinamismo cristiano

comprenda l’area occupata dai Celti, di cui risulta ancora possibile individuare i numerosi

apporti pur se di minore importanza. E non è meno inquietante notare come questo stesso

spazio sia pressappoco quello delle invasioni germanica e dei posteriori Vichinghi. C’è una certa

prefigurazione della libera concorrenza e, allo stesso tempo, della libertà civile e delle

avventure coloniali nella libertà germanica, di cui si vedono le tracce nella feudalità, e ancor

più nelle saghe vichinghe e normanne.

Chi potrà mai dire qual è stata la circostanza che ha svolto il ruolo di catalizzatore in questo

incrocio culturale, tale da fare dell’Occidente questa formidabile macchina in grado di

sconvolgere il pianeta?

Regni marittimi da cui partono le caravelle, repubbliche mercantili e manifatturiere di Italia e di

Fiandra, terre del carbone e del ferro, dell’industrializzazione, l’Occidente mette radici nel

continente europeo, con la sua eccezionale posizione geopolitica di istmo all’incrocio degli assi

commerciali e culturali e la sua storia plurale, prima di partire alla conquista e alla riconquista

del mondo in offensive in cui la violenza rivaleggia con la seduzione; esso si prolunga e

rinasce sull’altra sponda dell’oceano, e forse nell’impero del Sol Levante. Dove sarà domani?

Sulle coste del Pacifico, il Rim, come predicono certi strateghi da caffè?

Esso si è identificato quasi totalmente con il paradigma deterritorializzato cui ha dato i natali.1

1 Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Elèutera, Nuova edizione 2015

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Com'è bella La Città

Giorgio Gaber

Vieni, vieni in città

che stai a fare in campagna?

Se tu vuoi farti una vita

devi venire in città.

Com'è bella la città

com'è grande la città

com'è viva la città

com'è allegra la città.

Piena di strade e di negozi

e di vetrine piene di luce

con tanta gente che lavora

con tanta gente che produce.

Con le réclames sempre più grandi

coi magazzini le scale mobili

coi grattacieli sempre più alti

e tante macchine sempre di più.

Com'è bella la città

com'è grande la città

com'è viva la città

com'è allegra la città.

Vieni, vieni in città

che stai a fare in campagna?

Se tu vuoi farti una vita

devi venire in città.

Com'è bella la città

com'è grande la città

com'è viva la città

com'è allegra la città.

Piena di strade e di negozi

e di vetrine piene di luce

con tanta gente che lavora

con tanta gente che produce.

Con le réclames sempre più grandi

coi magazzini le scale mobili

coi grattacieli sempre più alti

e tante macchine sempre di più.

Com'è bella la città

com'è grande la città

com'è viva la città

com'è...

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Vieni, vieni in città

che stai a fare in campagna

se tu vuoi farti una vita

devi venire in città.

Com'è bella la città

com'è grande la città

com'è viva la città

com'è allegra la città.

Piena di strade e di negozi

e di vetrine piene di luce

con tanta gente che lavora

con tanta gente che produce.

Con le réclames sempre più grandi

coi magazzini le scale mobili

coi grattacieli sempre più alti

e tante macchine sempre di più.

Com'è bella la città

com'è grande la città

com'è viva la città

com'è allegra la città.

Com'è bella la città

comvè grande la città

com'è viva la città

com'è allegra la città.

Piena di strade e di negozi

e di vetrine piene di luce

con tanta gente che lavora

con tanta gente che produce.

Con le réclames sempre più grandi

coi magazzini le scale mobili

coi grattacieli sempre più alti

e tante macchine sempre di più

sempre di più, sempre di più, sempre di più!

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2.

Questo progetto occidentale si è caratterizzato come un’anticultura. L’Occidente è culturofago

o culturicida. E’ anticulturale, prima di tutto, perché è puramente negativo e uniformante. Per

poter parlare di una cultura, bisogna che ce ne siano almeno due. Non esiste una cultura di

tutte le culture. Soprattutto, questa civiltà non dà una risposta al problema dell’esistenza

sociale dei perdenti. Integrando astrattamente il mondo intero, elimina concretamente i deboli

e dà diritto di vita e di cittadinanza solo ai più efficienti. Da questo punto di vista, è il contrario

di una cultura, la quale implica una dimensione olistica ed è concepita per offrire una soluzione

alla sfida dell’esistenza a tutti i suoi membri.

In certe regioni della Cina e dell’Indocina, la consuetudine esige che siano dati ai bambini nomi

spesso ripugnanti per allontanare la sfortuna. Prima di dare ai propri figli il nome definitivo,

bisogna attendere che si formi il carattere, al fine di controbilanciare le loro tendenze asociali.

All’ambizioso si darà un nome che implichi la mediocrità; alla ragazza troppo bella un nome

che evochi la bruttezza… Ogni superiorità è considerata un pericolo per l’equilibrio sociale e

deve essere scongiurata attraverso strategie simboliche.

In Nuova Guinea, i papuani Gahuku-Kama avevano adottato con entusiasmo il football, ma

l’avevano adattato ai loro valori culturali. Era escluso che ci fosse un vincitore e un perdente.

La partita continuava, veniva sospesa o riprendeva finchè i risultati non si fossero equilibrati.

Ciò non escludeva assolutamente l’eccitazione per ogni goal e l’esaltazione degli eroi del gioco.

Ogni partita rinforzava la gloria e la soddisfazione dei due campi, ma l’aggressività era

facilmente scongiurata.

Per non aver adottato questa forma di saggezza, i Baluba e i Lulua del Kasai si sono

impietosamente massacrati tra il 1959 e il 1962 in seguito a un match fra etnie a Luluabourg….

Ma il Terzo mondo non ha l’esclusiva dei match sanguinosi. Il Belgio ne ha ospitato un tragico

esempio allo stadio Heysel nel 1985, grazie ai tifosi d’oltremanica… Le minime differenze

possono dare luogo ad uno scatenarsi inaudito di aggressività. Un partito di automobilisti

svizzeri ha inserito nel suo programma il progetto di passare al lanciafiamme i verdi e gli

ecologisti! Esiste una metasocietà mondiale la quale più che essere favorevole all’egemonia

britannica o americana, per non dire di quella dell’ONU, è favorevole al dominio di un

meccanismo (non solo economico) di scambi che metta in relazione tutte le parti del pianeta.

Le più grandi civiltà non possono resistere alla forza corrosiva di questo meccanismo che

conduce almeno una parte delle loro élite a fare carriera in questa società-mondo. Qui,

indubbiamente, si tocca con mano ciò che costituisce la specificità dell’Occidente e la sua

natura di anticultura. Unica società fondata sull’individuo, essa non ha vere e proprie frontiere.

Il progetto civilizzatore della modernità non ha né soggetto proprio né basi territoriali definite

rigorosamente. E tuttavia, la cultura occidentale in questo non è molto diversa da “movimenti”

universalistici come l’Islam. Ciò che è proprio dell’universalismo occidentale è che il suo motore

è la concorrenza tra gli individui e la ricerca della performance. Tutti possono parteciparvi e

misurarsi, e anche se le possibilità sono straordinariamente disuguali, non è impossibile

vincere. La totalità sociale è in grado di funzionare come un mercato. Il “selvaggio” della zona

più remota del pianeta può diventare un number one dei media vincendo la maratona ai giochi

olimpici, o come vedette del cinema per essersi fatto scoprire da un regista; ci sono mille modi

di prendere posto nella società-mondo e, con un po’ di fortuna di issarsi in prima fila.

L’Occidente è emancipatore perché affranca dalle costrizioni della società tradizionale e apre

infinite possibilità; tuttavia, questo affrancamento e queste possibilità si realizzeranno solo per

una infima minoranza. In compensa, la solidarietà e la sicurezza saranno distrutte per tutti.2

2 Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Elèutera, Nuova edizione 2015

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Uno su mille

Gianni Morandi

Se sei a terra non strisciare mai

se ti diranno sei finito

non ci credere

devi contare solo su di te

uno su mille ce la fa

ma quanto è dura la salita

in gioco c'è la vita

il passato non potrà

tornare uguale mai

forse meglio perché no tu che ne sai

non hai mai creduto in me

ma dovrai cambiare idea

la vita è come la marea

ti porta in secca o in alto mare

com'è la luna va.

Non ho barato né bleffato mai

e questa sera ho messo a nudo la mia anima

ho perso tutto ma ho ritrovato me

uno su mille ce la fa

ma com’ è dura la salita

in gioco c'è la vita

tu non sai che peso ha

questa musica leggera

ti ci innamori e vivi

ma ci puoi morire quand'è sera

io di voce ce ne avrei

ma non per gridare aiuto

nemmeno tu mi hai mai sentito

mi son tenuto il mio segreto

tu sorda e io ero muto.

Se sei a terra non strisciare mai

se ti diranno

sei finito non ci credere

finché non suona la campana vai.

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3.

Il messianesimo cristiano ha rappresentato una importante componente dell’Occidente.

L’occidentalizzazione del mondo è stata a lungo, e lo è ancora in parte, un processo di

cristianizzazione. Ancora nel 1930, il congresso eucaristico di Cartagine vedeva sfilare nelle vie

di Tunisi i bambini delle scuole cristiane vestiti da crociati, con grande scandalo del Destur, il

nascente partito nazionalista di Habib Burghiba. La cristianità è però un insieme eterogeneo, e

questo fin dalle origini. Le comunità cristiane d’Oriente (copte, melkite), dell’Africa (Etiopia), o

dell’Europa dell’Est (ortodosse), benché indubbiamente più vicine al cristianesimo originario,

non hanno manifestato un dinamismo interno ed esterno significativo. Ripiegate su se stesse,

sulla difensiva, sono più tentate dal ritiro eremitico (e non soltanto dal monachesimo dei

conventi) che dal progetto secolare di dominio dell’universo. Significativamente, gli ortodossi

hanno rifiutato gli orologi sui campanili e l’organo nelle navate. La religiosità non si è volta

verso i valori laici della scienza e della tecnica, e i lumi del cielo non hanno rischiarato il secolo.

E’ noto che lo scisma d’Oriente si è verificato essenzialmente in seguito al rifiuto di riconoscere

nel credo che lo Spirito Santo procede dal Figlio come dal Padre. Il rifiuto del filioque è

echeggiato fortemente fino ad oggi. Nella Russia Sovietica, il conflitto tra i due poteri, civile e

religioso, non si presenterà come in Polonia. Lo scontro tra papato e imperatore, decisivo per

l’emancipazione delle città commerciali, e i molteplici conflitti fra le due spade (temporale e

spirituale) non avranno motivo di esistere. La società civile resterà sempre inibita e atrofizzata,

e l’individualismo conserverà la sua forma marginale, come nelle società olistiche (quelle che

definiscono lo status del singolo come parte del tutto); sarà l’ambito degli asceti, degli erranti,

dei Rasputin…. La religione del padre, dove il principe è santificato e gli uomini di Chiesa dotati

di benefici temporali, è imperiale piuttosto che imperialista. Al di là delle ambizioni immediate

di potere, nessuna forza, nessun fermento, agisce al fine di proiettare durevolmente la società

fuori di sé. L’originario proselitismo dei cristiani orientali, che porta i nestoriani in Cina, non è

stato che un fuoco di paglia. Al contrario, la cristianità cattolica occidentale, relativamente

autonoma, ha sostenuto l’espansionismo delle crociate e, in una certa misura, quello della

prima e perfino della seconda colonizzazione. La vocazione missionaria dell’occidente di molto

anteriore alla prima crociata, si manifesta già nelle ondate di autocristianizzazione.3

3 Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Elèutera, Nuova edizione 2015

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Si chiamava Gesù

Fabrizio De Andre

Venuto da molto lontano

a convertire bestie e gente

non si può dire non sia servito a niente

perché prese la terra per mano

vestito di sabbia e di bianco

alcuni lo dissero santo

per altri ebbe meno virtù

si faceva chiamare Gesù.

Non intendo cantare la gloria

né invocare la grazia o il perdono

di chi penso non fu altri che un uomo

come Dio passato alla storia

ma inumano è pur sempre l'amore

di chi rantola senza rancore

perdonando con l'ultima voce

chi lo uccide fra le braccia di una croce.

E per quelli che l'ebbero odiato

nel getzemani pianse l'addio

come per chi l'adorò come Dio

che gli disse sia sempre lodato,

per chi gli portò in dono alla fine

una lacrima o una treccia di spine,

accettando ad estremo saluto

la preghiera l'insulto e lo sputo.

E morì come tutti si muore

come tutti cambiando colore

non si può dire che sia servito a molto

perché il male dalla terra non fu tolto

Ebbe forse un po’ troppe virtù,

ebbe un volto e un nome: Gesù.

Di Maria dicono fosse il figlio

sulla croce sbiancò come un giglio.

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4.

Si credeva che la grande piramide di Città del Messico fosse andata completamente distrutta.

Le fondamenta erano invece soltanto sprofondate nel suolo spugnoso di Tenochtitlan, il nome

azteco della città; scavando dei parcheggi, si è avuta la sorpresa di riscoprirle così come quelle

delle piramide sottostanti che l’hanno preceduta. La stessa cosa accade per numerose culture.

Il rullo compressore occidentale uniforma in apparenza tutto, ma i resti delle culture

schiacciate non vengono ridotti in polvere: sono soltanto sprofondati in un suolo friabile.

Nell’Africa nera, in particolare, l’adesione al sistema dei bianchi spesso non è stata che

apparente. Quando era indispensabile (conoscere le carte), secondo l’azzeccata espressione

locale, e recitare la parte, acquisire la magia dei bianchi per compiacerli e tenere loro testa, ciò

è stato fatto, ma parallelamente alla conservazione dei valori culturali tradizionali. A Saint

Louis, in Senegal, si può ancora vedere l’edificio di una scuola per i figli dei capi

soprannominata “scuola degli ostaggi”. Ma per molto tempo questi stessi capi si sono ben

guardati dal mandarvi i propri figli, spedendovi piuttosto i figli dei loro subordinati. Queste

strategie fondate sul doppio gioco e sull’astuzia si sono sviluppate durante il periodo coloniale e

si prolungano oggi a livello di villaggio con le istanze internazionali, le ONG o le istituzioni

ufficiali. Ovviamente, non lasciano intatta la cultura di origine. Il potere coloniale e la logica

tecnoeconomica esigevano ed esigono un impegno sempre maggiore. Molti vi hanno perduto

l’anima, ma molto più numerosi sono quelli che hanno resistito e che resistono, non in maniera

esplicita e cosciente, ma proprio con la vita stessa alla quale sono condannati. La modernità è

accettata e in parte integrata in un pensiero e in una pratica che le rimangono estranei.

L’Occidente non può proporre una “cultura” della tecnica e dell’industrializzazione che incanti di

nuovo il mondo e gli dia un senso. Non può più mantenere le sue promesse di abbondanza.

Questo doppio insuccesso nutre la resistenza “culturale” nei suoi confronti.

Esistono uomini che non sono affatto persuasi che il “progresso”, come lo chiamiamo noi con

bella sicurezza, corrisponda a qualcosa di meglio per l’uomo; e questi uomini vivono, non si

accontentano di sopravvivere: sviluppano la propria umanità, amano, pensano, lavorano, si

assumono responsabilità, fanno scambi, si conoscono, guardano in faccia la morte. Il che è

davvero impressionante, no?4

4 Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Elèutera, Nuova edizione 2015

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Eppure Soffia

Pierangelo Bertoli

E l'acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi

la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi

uccelli che volano a stento malati di morte

il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte

un'isola intera ha trovato nel mare una tomba

il falso progresso ha voluto provare una bomba

poi pioggia che toglie la sete alla terra che è vita

invece le porta la morte perché è radioattiva

Eppure il vento soffia ancora

spruzza l'acqua alle navi sulla prora

e sussurra canzoni tra le foglie

bacia i fiori li bacia e non li coglie

Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale

ha dato il suo putrido segno all'istinto bestiale

ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario

e tutta la terra si è avvolta di un nero sudario

e presto la chiave nascosta di nuovi segreti

così copriranno di fango persino i pianeti

vorranno inquinare le stelle la guerra tra i soli

i crimini contro la vita li chiamano errori

Eppure il vento soffia ancora

spruzza l'acqua alle navi sulla prora

e sussurra canzoni tra le foglie

bacia i fiori li bacia e non li coglie

eppure sfiora le campagne

accarezza sui fianchi le montagne

e scompiglia le donne fra i capelli

corre a gara in volo con gli uccelli

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5.

Paradossalmente, la deculturazione generata dall’Occidente (industrializzazione,

urbanizzazione, nazionalitarismo) offre le condizioni insperate per un rinnovamento religioso.

L’individualismo, scatenato come non mai, dà un senso al progetto di ricomposizione del corpo

sociale sulla base del legame religioso astratto, cancellando ogni altro carattere di

appartenenza territoriale. La religione diventa la base di un progetto di ricostruzione della

comunità. Essa si vede attribuire il ruolo di rappresentare la totalità del patto sociale. I

movimenti integralisti islamici hanno toccato prima di tutto le città e le bidonvilles dei paesi in

cui la tradizione ha sofferto maggiormente i progetti di industrializzazione: l’Iran della

rivoluzione bianca, l’Egitto postnasseriano, l’Algeria “socialista”. La religione, che canalizza le

frustrazioni degli esclusi dalla modernità e dei delusi dai progetti di modernizzazione del

nasserismo, del Baas o del socialismo arabo, è una credenza astratta, rigorosa, universalista.

L’universalismo occidentale si trova così a confronto con un universalismo altrettanto forte e

reattivo. Eppure, non si tratta di una via veramente diversa; l’antioccidentalismo di questa

corrente è più ostentato che profondo. Il funzionamento teocratico dello stato è una

perversione della modernità più che un progetto radicalmente diverso. Certamente, implica un

rifiuto della metafisica materialista dell’Occidente, ma ha bisogno di conservare la base

materiale e, in particolare la tecnica. Il più delle volte questi movimenti antioccidentali si

adattano alla tecnica e all’economia di mercato (alla modernizzazione senza la modernità,

appunto). Il contenuto specifico di ciò che si chiama «economia islamica”, senza essere

totalmente assente, resta molto limitato: le banche islamiche e un volontarismo etico

abbastanza sfumato. E non esclude un liberismo quasi totale. La minaccia di una deriva

totalitaria di questi movimenti demagogici e teocratici non è trascurabile. Nondimeno questa

formidabile deviazione esercita un azione corrosiva sull’occidentalizzazione e può sbocciare in

movimenti sorprendenti comprese alcune forme molto inquietanti dal punto di vista dei valori

dell’universalismo occidentale.

Il mondo islamico non ha comunque il monopolio di questi fenomeni, che si ritrovano in una

forma rigorosa nell’induismo radicale o nell’integralismo cristiano in particolare di certe sette, a

Nord come a Sud. Tutti i fondamentalismi islamici ma anche i loro equivalenti induisti e, fino

a un certo punto, gli integralismi cristiani, si iscrivono nella direzione di un neopopulismo

religioso portatore di imprecisi progetti sociali. Il discorso è ugualitario e ripropone ad nauseam

la denuncia della “corruzione” dei dirigenti. L’utilizzo politico della religione è evidente.

Inoltre il fondamentalismo va a inserirsi in una etnicità “feticizzata”, generando un vero e

proprio integralismo civile. Laddove l’apparato statuale portatore del progetto modernista

appare estraneo alle popolazioni locali le reazioni di fronte all’insuccesso dello sviluppo e

all’uniformazione planetaria prendono la forma di rivendicazioni «nazionaliste» più tradizionali.

Il particolarismo etnico, linguistico, storico, in breve culturale, costituisce la base del progetto

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di autonomia. Sono di questo tipo le rivendicazioni dei curdi e dei tamil, ma anche quelle dei

berberi di Algeria, dei baschi di Spagna o dei corsi.

La fine dell’imperialismo sovietico è all’origine di un formidabile risveglio delle nazionalità che

ricorda tanto il periodo 1848-1919 quanto quello della decolonizzazione. Si assiste a un

apparente ritorno in forze dello stato-nazione. Il fascino del modello sull’immaginario è sempre

forte, anche quando i vecchi Stati-nazione conoscono una decisiva crisi di cittadinanza e una

disaffezione politica. Ma il contesto è profondamente differente: ceceni, bosniaci, ingusci,

aarahoui sono presi nelle maglie di un sistema mondializzato.

In mancanza di altre forme di organizzazione politica, lo Stato-nazione appare come il solo

modo di espressione dell’esistenza rispetto agli altri e rispetto a se stessi. Ciò non toglie che

questo nazionalismo si riduca alle dimensioni di comunità omogenee, o sedicenti tali. Esso

canalizza provvisoriamente sia le aspirazioni identitarie sia quelle comunitarie. Il mito

mobilitante della nazione, tuttavia, è nella specie tanto illusorio quanto quello della religione.

L’identità che si afferma nella rivendicazione non ha più contenuto di quanto ne abbia il ricordo

della sua scomparsa. Spesso la violenza dei conflitti con i vicini esterni e con le popolazioni

allogene (ebrei, gitani, minoranze diverse) è proporzionale all’indifferenziazione crescente fra

gli individui. L’uniformazione planetaria favorisce lo scatenarsi delle “crisi mimetiche”. Più ci si

assomiglia, più ci si sente minacciati nella propria identità e più l’esistenza dell’altro così vicino,

ci diventa insopportabile. L’ex impero sovietico è un fantastico terreno sperimentale per

fenomeni di questo genere, come lo sono stati e lo sono sempre, ma a livelli inferiori, gli ex

imperi ottomano e austro-ungarico. E’ il trionfo dell’etnicità con il suo sinistro corollario, la

purificazione. La ex Jugoslavia è l’esempio clinico di questo processo che erode anche l’Africa

nera, sotto il nome più esotico di “tribalismo”. Il Ruanda, la Somalia, la Liberia sono gli esempi

più recenti di questo fenomeno, ma si cercherebbe invano un solo paese del sub continente in

cui le tensioni, spesso alimentate dai cosiddetti processi di democratizzazione, non minaccino

di degenerare in aperti conflitti etnici.5

5 Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Elèutera, Nuova edizione 2015

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La Storia siamo noi Francesco de Gregori

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,

siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.

La storia siamo noi, attenzione,

nessuno si senta escluso.

La storia siamo noi,

siamo noi queste onde nel mare,

questo rumore che rompe il silenzio,

questo silenzio così duro da masticare.

E poi ti dicono "Tutti sono uguali,

tutti rubano alla stessa maniera".

Ma è solo un modo per convincerti

a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.

Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,

la storia entra dentro le stanze, le brucia,

la storia dà torto e dà ragione.

La storia siamo noi,

siamo noi che scriviamo le lettere,

siamo noi che abbiamo tutto da vincere,

tutto da perdere.

E poi la gente,

perché è la gente che fa la storia,

quando si tratta di scegliere e di andare,

te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,

che sanno benissimo cosa fare.

Quelli che hanno letto milioni di libri

e quelli che non sanno nemmeno parlare,

ed è per questo che la storia dà i brividi,

perché nessuno la può cambiare.

La storia siamo noi,

siamo noi padri e figli,

siamo noi, bella ciao, che partiamo.

La storia non ha nascondigli,

la storia non passa la mano.

La storia siamo noi,

siamo noi questo piatto di grano.

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6.

Colpite al cuore, le società non occidentali possono solo girare a vuoto. La perdita di senso che

le colpisce e le corrode come un cancro, progressivamente non è un’acculturazione. Il semplice

fatto che l’occidente è lì, presenza che non può essere eliminata ne assimilata, non comporta

che le sue molle e i suoi segreti vengano integrati. Questa presenza, senza alcuna violenza

fisica, senza alcun tentativo di spoliazione e di sfruttamento, è di per sé disastrosa. La favolosa

società di Bali? E’ stata più destrutturata da trent’anni di turismo internazionale che da

duecento anni di colonizzazione olandese, seppure considerata dura. Il verme è nel frutto.

Il vuoto creato dalla perdita senso insidiosa e progressiva, generata dall’esistenza

dell’Occidente, è colmato, in certo qual modo, dallo pseudo-senso occidentale, ossia dal fascino

del modello. Questa sostituzione non è un’acculturazione, perché non si tratta dei miti

dell’Occidente e dell’integrazione dei suoi valori. Più semplicemente: non avendo più occhi per

vedersi, parole per dirsi, braccia per agire, la società ferita adotta lo sguardo dell’altro, si dice

con le parole dell’altro, agisce con le braccia dell’altro. Il suo mondo è proprio disincantato. I

questo caso la parola disincanto va presa alla lettera. Che cosa le resta quando i suoi dei sono

morti, i suoi miti sono dichiarati favole, le sue imprese appaiono impotenti e inutili? La società

non occidentale può solo scoprirsi in una nudità insensata, così come l’Occidente ha decretato:

essa è miserabile. Destinata alla mortalità infantile, a una derisoria speranza di vita, divorata

da parassitosi di ogni genere, non possiede che tecniche arcaiche e ridicole che le danno un

bassissimo PIL procapite. Nei suoi miti vede solo mostruose proliferazioni (cannibalismo,

sacrifici umani …) generate dal delirio della miseria e dall’oscurantismo. Stretta nella morsa

delle norme dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), essa è vinta. Ammette di essere

vinta. Chiede perfino con insistenza di essere classificata tra le meno progredite. E’ ormai

buona soltanto per la mendicizzazione internazionale.6

6 Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Elèutera, Nuova edizione 2015

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Ballata Degli Impiccati

Fabrizio De Andre

Tutti morimmo a stento

ingoiando l'ultima voce

tirando calci al vento

vedemmo sfumare la luce

L'urlo travolse il sole

l'aria divenne stretta

cristalli di parole

l'ultima bestemmia detta

Prima che fosse finita

ricordammo a chi vive ancora

che il prezzo fu la vita

per il male fatto in un ora

Poi scivolammo nel gelo

di una morte senza abbandono

recitando l'antico credo

di chi muore senza perdono

Chi derise la nostra sconfitta

e l'estrema vergogna ed il modo

soffocato da identica stretta

impari a conoscere il nodo

Chi la terra ci sparse sull'ossa

e riprese tranquillo il cammino

giunga anch'egli stravolto alla fossa

con la nebbia del primo mattino

La donna che celò in un sorriso

il disagio di darci memoria

ritrovi ogni notte sul viso

un insulto del tempo e una scoria

Coltiviamo per tutti un rancore

che ha l'odore del sangue rappreso

ciò che allora chiamammo dolore

è soltanto un discorso sospeso

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7.

Riducendo lo scopo della vita alla felicità terrena, riducendo la felicità al benessere materiale e

il benessere al PIL, l’economia universale trasforma la ricchezza plurale della vita in una lotta

per l’accaparramento di prodotti standard. La realtà della sfida economica che doveva

assicurare a tutti la ricchezza non è altro che la guerra economica generalizzata. Come tutte le

guerre, essa ha vincitori e vinti; i vincitori chiassosi e superbi, appaiono risplendere di gloria e

di luce; nell’ombra, la folla dei vinti, gli esclusi, i naufraghi dello sviluppo, costituiscono masse

sempre più fitte. Le crisi politiche, i fallimenti economici e i limiti tecnici del progetto della

modernità si rafforzano vicendevolmente e trasformano il sogno dell’Occidente in un incubo.

Soltanto un reinnesto dell’economia e della tecnica nel sociale potrebbe consentire di sfuggire

a queste cupe prospettive. Bisogna decolonizzare il nostro immaginario per cambiare

veramente il mondo, prima che il cambiamento del mondo ci condanni a tutto questo, e nella

sofferenza. 7

7 Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Elèutera, Nuova edizione 2015

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Gesù raccontò anche questa parabola: 'Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane disse a

suo padre: 'Padre, dammi la mia parte d'eredità'. Allora il padre divise il patrimonio tra i

due figli.

13'Pochi giorni dopo, il figlio più giovane vendette tutti i suoi beni e con i soldi ricavati se

ne andò in un paese lontano. Là, si abbandonò a una vita disordinata e così spese tutti i

suoi soldi.

14'Ci fu poi in quella regione una grande carestia, e quel giovane non avendo più nulla si

trovò in grave difficoltà. 15Andò da uno degli abitanti di quel paese e si mise alle sue

dipendenze. Costui lo mandò nei campi a fare il guardiano dei maiali. 16Era talmente

affamato che avrebbe voluto sfamarsi con le ghiande che si davano ai maiali, ma nessuno

gliene dava.

17'Allora si mise a riflettere sulla sua condizione e disse: 'Tutti i dipendenti di mio padre

hanno cibo in abbondanza. Io, invece, sto qui a morire di fame. 18Ritornerò da mio padre

e gli dirò: Padre ho peccato contro Dio e contro di te. 19Non sono più degno di essere

considerato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi dipendenti'.

20'Si mise subito in cammino e ritornò da suo padre.

'Era ancora lontano dalla casa paterna, quando suo padre lo vide e, commosso, gli corse

incontro. Lo abbracciò e lo baciò. 21Ma il figlio gli disse: 'Padre, ho peccato contro Dio e

contro di te. Non sono più degno di essere considerato tuo figlio'.

22'Ma il padre ordinò subito ai suoi servi: 'Presto, andate a prendere il vestito più bello e

fateglielo indossare. Mettetegli l'anello al dito e dategli un paio di sandali. 23Poi prendete

il vitello, quello che abbiamo ingrassato, e ammazzatelo. Dobbiamo festeggiare con un

banchetto il suo ritorno, 24perché questo mio figlio era per me come morto e ora è tornato

in vita, era perduto e ora l'ho ritrovato'. E cominciarono a far festa.

25'Il figlio maggiore, intanto, si trovava nei campi. Al suo ritorno, quando fu vicino alla

casa, sentì un suono di musiche e di danze. 26Chiamò uno dei servi e gli domandò che

cosa stava succedendo. 27Il servo gli rispose: 'È ritornato tuo fratello, e tuo padre ha fatto

ammazzare il vitello, quello che abbiamo ingrassato, perché ha potuto riavere suo figlio

sano e salvo'.

28'Allora il fratello maggiore si sentì offeso e non voleva neppure entrare in casa. Suo

padre usci e cercò di convincerlo a entrare.

29'Ma il figlio maggiore gli disse: 'Da tanti anni io lavoro con te e non ho mai disubbidito a

un tuo comando. Eppure tu non mi hai dato neppure un capretto per far festa con i miei

amici. 30Adesso, invece, torna a casa questo tuo figlio che ha sprecato i tuoi beni con le

prostitute, e per lui tu fai ammazzare il vitello grasso.

31'Il padre gli rispose: 'Figlio mio, tu stai sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo.

32Non potevo non essere contento e non far festa, perché questo tuo fratello era per me

come morto e ora è tornato in vita, era perduto e ora l'ho ritrovato''. (Lc 15,11-32)

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La storia di Serafino

Adriano Celentano

Perché continuano a costruire le case

e non lasciano l'erba, non lasciano

l'erba, non lasciano l'erba, non lasciano l'erba.

Eh no! se andiamo avanti

così, chissà come si farà! chissà!

E così la seconda storia

che vi voglio raccontare,

è quella del pastore Serafino!

al mondo antico, chiuso nel suo cuore,

la gente del duemila ormai non crede più!

Con le pecore e un cane fedele,

tre amici sempre pronti,

nei pascoli sui monti,

a una spanna dal "regno dei cieli"

viveva felice così!

coro:

oh Serafino... difendi,

difendi la tua libertà! la libertà!

voce:

quel giovane pastore piaceva alle ragazze

perché negli occhi aveva l’avventura!

E quando prese in pugno la fortuna

e un gruzzolo di soldi per caso ereditò.

coro:

si fece una grande festa da fare girar la testa!

scoppiarono i mortaretti, si fecero dei banchetti!

Per tutti ci fu un sorriso, che giorni

di paradiso per il pastore ricco Serafino!

voce:

regalò qualche cosa agli amici,

che gioia nel paese per quelle pazze spese.

Uno scialle, una radio, un coltello e una macchina rossa per se!

coro:

oh Serafino... le donne, le donne ti dicono di sì.

Beato te! "tiero, tiero, tiero, tiero, tierà, tierà, tierà".

Lui spinge la macchina che in un burrone va e scoppierà!

voce:

dopo i giorni dell'allegria amaro resta il vino...

si trova in tribunale Serafino!

I suoi nemici per prendere i suoi soldi

lo fan passar per matto e lui che fa!

Si riprende le pecore e il cane,

gli amici sempre pronti

e torna là sui monti,

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nella casa più grande del mondo

che soffitto e pareti non ha!

coro:

oh Serafino... difendi,

difendi la tua libertà! la libertà!

voce:

ti voglio bene pastore Serafino!

Un uomo con il cuore da bambino!

coro:

e libero come aria purissima

del mattino per vivere là sui monti,

ritorna Serafino!

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“Questo vi dico, fratelli. Il tempo ormai si è fatto breve. D’ora innanzi quelli che hanno moglie

vivano come se non l’avessero, coloro che piangono come se non piangessero e quelli che

godono come se non godessero, quelli che comprano come se non possedessero, quelli che

usano del mondo come se non l’usassero, perché si sta ammainando la vela di questo mondo.”

Paolo di Tarso8

Thomas Merton (1915-1968) ritiratosi nel silenzio della “trappa” nel Kentucky,

contempla da lontano la città di New York, nella quale aveva vissuto prima di entrare in

monastero, e ce la presenta così in questo testo poetico del 1947.

La luna e più pallida di un’attrice, e ti piange, New York;

cercando di vederti attraverso i ponti a brandelli,

e si china per sentire il timbro falso

della tua voce troppo raffinata

i cui canti non si odono più!

…Come sono state distrutte, come sono crollate,

quelle grandi e possenti torri di ghiaccio e d’acciaio,

fuse da quale terrore e da quale miracolo?

Quali fuochi, quali luci hanno smembrato,

nella collera bianca della loro accusa,

quelle torri d’argento e d’acciaio?

...Le ceneri delle torri distrutte si mescolano ancora alle volute del fumo,

velando le tue esequie nella loro bruma;

e scrivono il tuo epitaffio di braci:

“Questa fu una città

che si vestiva di biglietti di banca...

...Era senza cuore come un taxi,

aveva gli occhi altocoturnati talvolta blu come il gin,

e li inchiodava, ogni giorno della sua vita

sul cuore dei suoi sei milioni di poveri.

Ora e morta nel terrore d’una improvvisa contemplazione,

annegata nelle acque del proprio pozzo avvelenato”.

8 1 Cor 7, 29-31

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Testimonianza di Mariàm detta Maddalena

Mi chiamo Mariàm, sono di Magdala, lassù, sulle rive del Mar di Galilea. Le acque

azzurre, nelle giornate d’inverno, sfumano contro il bianco delle montagne del Golan.

Ho portato per tutta la vita quei colori dentro di me e con questi le tradizioni della

mia gente semplice e povera. Tutto questo, però, io l’ho rinnegato, era la Giudea che

mi attraeva, la sua città principe, Gerusalemme, con i suoi simboli del potere; ho

vissuto così soddisfacendo sempre e soltanto i miei egoismi; se facevo qualcosa di

bene era solo per mostrarmi agli altri, ero prigioniera del mio io come un

un’ossessa, tremendamente infelice, anche se cercavo di non darlo a vedere. Quello

che facevo lo facevo tutto di fretta, dovevo essere sempre la prima. Un giorno che

ero scesa in Giudea l’ho incontrato; fu a Betania, non lontano da Gerusalemme. Ho

incrociato il suo sguardo e ho capito che potevo essere salva, ho baciato l’orlo della

sua veste, ma lui, guardandomi in volto , m’ha sollevato: in quell’istante ho deciso di

seguirlo anche se mi aveva detto che non aveva nemmeno una pietra per posare il

capo, anche se mi aveva fatto intendere che la sua vita era a rischio e che anch’io

potevo esserne coinvolta.

Poco tempo dopo quell’incontro, infatti, accadde che all’imbrunire del giorno14 del

mese primaverile di Nisan, di quello stesso anno, antivigilia della festività di Pesach,

un reparto della polizia del Tempio lo ha arrestato. L’arresto è avvenuto in un orto

situato sulla collina detta degli ulivi, al di là del fiume Cedron; favoriti dall’oscurità

Pietro, Andrea, Giacomo e tutti gli altri si sono rapidamente dileguati lasciandolo

solo. Da fonti vicine alla presidenza del Tempio sappiamo che è stato interrogato nel

corso della notte. Alle ore 15 del 15 Nisan 3793 è stato condannato a morte secondo

la procedura romana della crocefissione: ancora oggi non si conoscono le motivazioni

della condanna.

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Dio è morto Francesco Guccini

Ho visto la gente della mia età andare via

lungo le strade che non portano mai a niente,

cercare il sogno che conduce alla pazzia

nella ricerca di qualcosa che non trovano

nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate,

dentro alle stanze da pastiglie trasformate,

lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,

essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà

e un dio che è morto,

ai bordi delle strade dio è morto,

nelle auto prese a rate dio è morto,

nei miti dell' estate dio è morto...

Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede

in ciò che spesso han mascherato con la fede,

nei miti eterni della patria o dell' eroe

perché è venuto ormai il momento di negare

tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,

una politica che è solo far carriera,

il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto,

l' ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto

e un dio che è morto,

nei campi di sterminio dio è morto,

coi miti della razza dio è morto

con gli odi di partito dio è morto...

Ma penso che questa mia generazione è preparata

a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,

ad un futuro che ha già in mano,

a una rivolta senza armi,

perché noi tutti ormai sappiamo

che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,

in ciò che noi crediamo dio è risorto,

in ciò che noi vogliamo dio è risorto,

nel mondo che faremo dio è risorto...

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1. Credo che chi guadagna quanto mangia non ruba il pane di nessuno, ma chi

guadagna più di quel che mangia sempre ruba il pane di qualcuno.

2. Credo che nel nostro sistema sociale e culturale il denaro sia la radice di ogni

male, di ogni ingiustizia.

3. Credo che i valori delle monete siano falsi valori; come i pesi delle monete sono

falsi pesi.

4. Credo che quella che viene chiamata “economia di mercato” sia un sistema

costruito ad arte per arricchire i già ricchi e impoverire i già poveri.

5. Credo che la produzione di massa in agricoltura non sia frutto dell’amore per

l’altro, per il fratello, ma dettata dalla bramosia di denaro.

6. Credo che la coltivazione di un unico prodotto, la monocultura, impoverisca la

campagna rendendola serva della città, quando invece è la città che dovrebbe

convertirsi alla campagna.

7. Credo che il futuro dell’umanità sia garantito soprattutto dal lavoro della terra, dal

suo “coltivarla”, e non dal suo sfruttamento ad uso commerciale.

8. Credo che in ogni angolo di questo nostro mondo si debba produrre per i bisogni

delle persone e non a fini consumistici, per fare profitto o affari, ingannando il

proprio fratello: anche questo è rubare.

9. Credo che l’unico salario giusto sia quello che tiene conto dei bisogni della

famiglia, e l’unica struttura di impresa giusta sia quella gestita dall’ente pubblico,

dalla comunità, o quella cooperativistica o famigliare.

10. Credo che la competizione, adottata come schema culturale di ogni relazione, sia

stata, molte volte, in modo più o meno conscio, la causa di tante guerre e di molta

violenza, e questo ancora oggi.

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DIO, CHE A NOI TUTTI CI SEI PADRE,

GIUSTIZIA SIA FATTA OGNI DOVE;

LIBERACI DALLE CATENE DEI NOSTRI EGOISMI;

FA’ CHE MAI RIMANIAMO AMMALIATI

DAGLI IDOLI

DELLA RICCHEZZA, DEL DENARO, DEL SUCCESSO, DEL NON VERO,

DEL POTERE, DELLA VIOLENZA;

RENDICI CAPACI DI RICONCILIARCI

OGNI VOLTA CHE INFRANGIAMO I LEGAMI DI FRATERNITA’

CHE UMANIZZANO IL NOSTRO VIVERE.

COSI’ SIA!

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E' la pioggia che va

(Shel Shapiro:1967)

Sotto una montagna di paure e di ambizioni

c'è nascosto qualche cosa che non muore

Se cercate in ogni sguardo, dietro un muro di cartone troverete tanta luce e tanto amore

Il mondo ormai sta cambiando

e cambierà di più

Ma non vedete nel cielo

quelle macchie di azzurro e di blu

È la pioggia che va, e ritorna il sereno

È la pioggia che va, e ritorna il sereno

Quante volte ci hanno detto sorridendo tristemente

le speranze dei ragazzi sono fumo

Sono stanchi di lottare e non credono più a niente proprio adesso che la meta è qui vicino

Ma noi che stiamo correndo

avanzeremo molto di più

Ma non vedete che il cielo

ogni giorno diventa più blu

È la pioggia che va, e ritorna il sereno

È la pioggia che va, e ritorna il sereno

Non importa se qualcuno sul cammino della vita

sarà preda dei fantasmi del passato

Il denaro ed il potere sono trappole mortali

che per tanto e tanto tempo han funzionato

Noi non vogliamo cadere

non possiamo cadere più giù

Ma non vedete nel cielo

quelle macchie di azzurro e di blu

È la pioggia che va, e ritorna il sereno È la pioggia che va, e ritorna il sereno


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