+ All Categories
Home > Documents > La struttura logica del Capitale di Marx - TIM e … Ma Lenin si è pronunciato anche in modo più...

La struttura logica del Capitale di Marx - TIM e … Ma Lenin si è pronunciato anche in modo più...

Date post: 18-Feb-2019
Category:
Upload: dangminh
View: 212 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
24
1 Enrico Grassi La struttura logica del Capitale di Marx [L’impianto logico che tiene insieme le parti del Capitale è apertamente dichiarato dall’autore in alcune righe dell’introduzione e nelle prime pagine del secondo e del terzo libro. Questo modulo va cercato nella Logica di Hegel. La ricostruzione nel pensiero di ogni evento deve passare, secondo Hegel e Marx, per tre momenti costitutivi: il processo genetico, la specifica articolazione interna, la totalità esterna entro cui vive ogni cosa. Seguendo la prima sezione del Capitale (dove Marx confessa di scimmiottare Hegel) possiamo avere un esempio di come agisce la dialettica oppositoria qualità-quantità nel rapporto merce-denaro, attraverso le varie figure del valore. I prodotti hanno una natura dapprima qualitativa, sono valori d’uso indipendenti, poi sul mercato, nello scambio, riferendosi l’uno all’altro, l’uno esprime il suo valore quantitativo nell’altro, diventa per altro, in un processo di riferimento sempre aperto ad altre merci. Il valore di tutte le merci è riferibile al valore di ogni altra merce, perché tutti i valori sono uguali, essendo comune il loro fondamento: il lavoro. Ogni valore, riferendosi ad un altro valore, si riferisce a sé, all’unico valore, all’unità dei valori. Ma l’unità dei valori non può essere una merce al pari delle altre merci, altrimenti non potrebbe rappresentarle tutte. Per essere la misura di tutte le merci deve separarsi dal proprio valore d’uso (dalla propria qualità), per assumere l’aspetto del valore, della pura quantità. Nel Capitale il processo continua fino ad arrivare alla formazione matura dell’organismo capitale. Passando ora alla dialettica specifica del secondo aspetto, o della totalità interna, notiamo che essa è caratterizzata non già dallo sviluppo quantitativo e verticale in crescita dell’organismo, quanto piuttosto dalla relazione orizzontale tra le parti di cui si compone: il capitale è primariamente produzione, ma per produrre deve articolarsi in un processo interno a più momenti. Denaro-produzione-merce-denaro rappresentano infatti un circolo riflessivo in cui ogni figura è posta dalla precedente, non avendo una fondazione in sé. L’opposizione quindi è tutta interna all’organismo già costituito, e quindi è una contraddizione senza divenire, senza storia. Nel terzo momento infine, si passa alla dialettica del sistema nel suo complesso, per descrivere la comparsa delle sue molteplici manifestazioni di superficie (profitto, interesse, rendita), dando luogo ad una dialettica della distinzione. Nel Capitale assistiamo ad un rovesciamento di tipo hegeliano. Le nuove forme che i capitali assumono (Marx si riferisce al saggio medio del profitto, al nuovo rapporto tra plusvalore e profitto, e quindi ai prezzi) trasformano in momenti particolari gli aspetti del capitale nati nella produzione e nella circolazione. Momento particolare nella terminologia dialettica sta ad indicare momento subordinato all’interno di un tutto. Marx vuol dire che la produzione e la circolazione, così come le ha esposte nei primi due libri, hanno una forma astratta, e che pertanto, dopo averle analizzate nella loro immediatezza, vanno riviste alla luce del sistema complessivo. Per Hegel il concetto, la legge del pensiero, pur comparendo alla fine, è l’intima sostanza di tutto ciò che lo ha preceduto. Per Marx all’apparenza è vero il contrario: ciò che si presenta per ultimo nell’esposizione è la superficie del sistema, nascondendo in sé la vera sostanza. Però per Marx, come per Hegel, è l’ultimo (per Hegel il più interno, per Marx il più esterno) che assegna un rango al primo e al secondo momento] Alcune testimonianze a) In una lettera del 14 gennaio del 1858 Marx ci parla in termini espliciti del suo recupero del metodo dialettico di Hegel. Eccone il testo: “Del resto faccio dei bei passi avanti. P. es. tutta la teoria del profitto, quale è stata finora, l’ho mandata a gambe all’aria. Quanto al metodo del lavoro mi ha reso un grandissimo
Transcript

1

Enrico Grassi

La struttura logica del Capitale di Marx

[L’impianto logico che tiene insieme le parti del Capitale è apertamente dichiarato

dall’autore in alcune righe dell’introduzione e nelle prime pagine del secondo e del terzo libro. Questo modulo va cercato nella Logica di Hegel.

La ricostruzione nel pensiero di ogni evento deve passare, secondo Hegel e Marx, per tre momenti costitutivi: il processo genetico, la specifica articolazione interna, la totalità esterna entro cui vive ogni cosa.

Seguendo la prima sezione del Capitale (dove Marx confessa di scimmiottare Hegel) possiamo avere un esempio di come agisce la dialettica oppositoria qualità-quantità nel rapporto merce-denaro, attraverso le varie figure del valore. I prodotti hanno una natura dapprima qualitativa, sono valori d’uso indipendenti, poi sul mercato, nello scambio, riferendosi l’uno all’altro, l’uno esprime il suo valore quantitativo nell’altro, diventa per altro, in un processo di riferimento sempre aperto ad altre merci. Il valore di tutte le merci è riferibile al valore di ogni altra merce, perché tutti i valori sono uguali, essendo comune il loro fondamento: il lavoro. Ogni valore, riferendosi ad un altro valore, si riferisce a sé, all’unico valore, all’unità dei valori. Ma l’unità dei valori non può essere una merce al pari delle altre merci, altrimenti non potrebbe rappresentarle tutte. Per essere la misura di tutte le merci deve separarsi dal proprio valore d’uso (dalla propria qualità), per assumere l’aspetto del valore, della pura quantità. Nel Capitale il processo continua fino ad arrivare alla formazione matura dell’organismo capitale.

Passando ora alla dialettica specifica del secondo aspetto, o della totalità interna, notiamo che essa è caratterizzata non già dallo sviluppo quantitativo e verticale in crescita dell’organismo, quanto piuttosto dalla relazione orizzontale tra le parti di cui si compone: il capitale è primariamente produzione, ma per produrre deve articolarsi in un processo interno a più momenti. Denaro-produzione-merce-denaro rappresentano infatti un circolo riflessivo in cui ogni figura è posta dalla precedente, non avendo una fondazione in sé. L’opposizione quindi è tutta interna all’organismo già costituito, e quindi è una contraddizione senza divenire, senza storia.

Nel terzo momento infine, si passa alla dialettica del sistema nel suo complesso, per descrivere la comparsa delle sue molteplici manifestazioni di superficie (profitto, interesse, rendita), dando luogo ad una dialettica della distinzione.

Nel Capitale assistiamo ad un rovesciamento di tipo hegeliano. Le nuove forme che i capitali assumono (Marx si riferisce al saggio medio del profitto, al nuovo rapporto tra plusvalore e profitto, e quindi ai prezzi) trasformano in momenti particolari gli aspetti del capitale nati nella produzione e nella circolazione. Momento particolare nella terminologia dialettica sta ad indicare momento subordinato all’interno di un tutto. Marx vuol dire che la produzione e la circolazione, così come le ha esposte nei primi due libri, hanno una forma astratta, e che pertanto, dopo averle analizzate nella loro immediatezza, vanno riviste alla luce del sistema complessivo.

Per Hegel il concetto, la legge del pensiero, pur comparendo alla fine, è l’intima sostanza di tutto ciò che lo ha preceduto. Per Marx all’apparenza è vero il contrario: ciò che si presenta per ultimo nell’esposizione è la superficie del sistema, nascondendo in sé la vera sostanza. Però per Marx, come per Hegel, è l’ultimo (per Hegel il più interno, per Marx il più esterno) che assegna un rango al primo e al secondo momento]

Alcune testimonianze a) In una lettera del 14 gennaio del 1858 Marx ci parla in termini

espliciti del suo recupero del metodo dialettico di Hegel. Eccone il testo: “Del resto faccio dei bei passi avanti. P. es. tutta la teoria del profitto, quale è stata

finora, l’ho mandata a gambe all’aria. Quanto al metodo del lavoro mi ha reso un grandissimo

2

servizio il fatto che by mere accident - Freligrath trovò alcuni volumi di Hegel appartenenti a Bakunin e me li mandò in dono - mi ero riveduto la Logica di Hegel. Se tornerà mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di rendere accessibile all’intelletto dell’uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma allo stesso tempo mistificato” (1).

Questo passo è importante per tre aspetti: 1) perché Marx vi dichiara di

servirsi della Logica di Hegel per l’elaborazione del metodo; 2) per l’importanza che attribuisce a tale metodo in relazione all’elaborazione della sua nuova teoria del profitto; 3) per gli elementi di razionalità del metodo scoperto e mistificato da Hegel.

Il secondo richiamo ad Hegel si ha nella lettera ad Engels del primo febbraio del 1858, in cui Marx, rimproverando Lassalle per il suo Eraclito, alla fine osserva:

“Da questa sola affermazione vedo che il tipo ha l’intenzione di esporre l’economia

politica alla Hegel in un suo secondo grande opus. Imparerà a sue spese che ben altra cosa è arrivare a portare per mezzo della critica una scienza al punto di poterla esporre dialetticamente, ed altra applicare un sistema di logica astratto e bell’e pronto a presentimenti per l’appunto di un tale sistema» (2).

Marx mostra di essere perfettamente consapevole della differenza che

intercorre tra applicazione diretta del metodo hegeliano e analisi critica di una scienza fino al punto di poterla esporre dialetticamente, nel senso che in ogni analisi l’organizzazione dialettica del materiale deve nascere dall’interno e non presentarsi come un'aggiunta esterna.

Questo stesso argomento viene ripreso ed ampliato nel Poscritto del 1873 alla seconda edizione del primo libro del Capitale, in cui Marx, accettando l’interpretazione che del suo metodo dava il Messaggero Europeo di Pietroburgo, aggiunge:

“Nel rappresentare quel che egli chiama il mio metodo effettivo, in maniera così

esatta e così benevola per quanto concerne la mia applicazione personale di esso, che cos'altro ha rappresentato l’egregio autore se non il metodo dialettico?” (3).

E dopo aver in tal modo riconosciuto di essersi servito del metodo

dialettico, così continua: “Certo, il modo di esporre un argomento deve distinguersi formalmente dal modo di

compiere l’indagine. L'indagine deve appropriarsi il materiale nei particolari, deve analizzare le sue differenti forme di sviluppo e deve rintracciarne l’interno concatenamento. Solo dopo che è stato compiuto questo lavoro, il movimento reale può essere esposto in maniera conveniente. Se questo riesce, e se la vita del materiale si presenta ora idealmente riflessa, può sembrare che si abbia a che fare con una costruzione a priori”.

All’indagine specifica del materiale deve dunque seguire la sua

organizzazione secondo i criteri dell’esposizione dialettica, che deve cogliere il movimento reale stesso se non vuole essere una costruzione a priori imposta sulla realtà.

1 - K. Marx - F. Engels, Carteggio, Editori Riuniti, 1972, vol. II, pp. 154-155. J. Dietzgen nei suoi Scritti filosofici minori trascrive il testo di una lettera inviatagli da Marx nel 1868, in cui si legge: “Quando mi sarò sgravato del peso economico, scriverò una Dialettica. Le veri leggi della dialettica sono già enunciate in Hegel, tuttavia in forma mistica. Bisogna spogliarle di questa forma”. 2 - Ivi, p. 166. 3 - K. Marx, Poscritto alla prima edizione del Capitale, in: Il capitale, Editori Riuniti, 1970, Libro I, vol. 1°, p. 27.

3

Infine, dopo la frase sul rovesciamento del suo metodo rispetto a quello di Hegel, conclude con il passo più famoso:

“Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho

perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico” (4) (i corsivi sono miei, E.G.).

Due punti di questo passo risaltano per importanza: 1) l’imitazione di

Hegel, di cui si dichiara discepolo, nell’esposizione della teoria del valore; 2) la validità delle forme generali di movimento della dialettica hegeliana, nonostante la mistificazione. Per forme generali di movimento si deve intendere la dinamica generale del processo e lo specifico rapporto fra le parti. Comunque solo la lettura del Capitale potrà spiegarci cosa intenda Marx con questa formulazione.

b) Considerazioni pertinenti sul metodo di Marx vengono fatte successivamente da alcuni marxisti.

Engels dedica tutta la Recensione a Per la critica dell’economia politica a sottolineare il rapporto tra metodo di Hegel e metodo di Marx.

“Marx era ed è il solo - dice Engels - che si poteva accingere al lavoro di estrarre

dalla logica hegeliana il nocciolo che racchiude le vere scoperte fatte da Hegel in questo campo, e di stabilire il metodo dialettico spogliato dei suoi veli idealistici, nella forma semplice in cui esso è la sola forma giusta dello sviluppo del pensiero. Noi pensiamo che questa elaborazione del metodo che è la base della critica dell’economia politica di Marx, costituisce un risultato quasi altrettanto importante quanto la concezione materialistica fondamentale” (5).

Non meno importanti sono le osservazioni di Lenin sul rapporto

Capitale-Logica. Egli ritiene che tra le due opere vi sia uno stretto rapporto nell’impianto metodico generale, al punto che nei suoi Quaderni filosofici si possono cogliere passi di questo tipo:

«Marx ha applicato la dialettica di Hegel nella sua forma razionale all’economia

politica” (6), oppure: “Non si può comprendere appieno il Capitale di Marx, e in particolare il suo primo capitolo, se non si è studiata attentamente e capita tutta la logica di Hegel. Di conseguenza, dopo mezzo secolo, nessun marxista ha capito Marx!!” (7). 4 - Ivi, p. 28. Sull’uso della dialettica nel Capitale, si veda anche la lettera di Marx ad Engels del 31 luglio 1865 (Carteggio). 5 - P. Engels, Recensione, in: K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, 1969, p. 208. Anche nella Dialettica della natura Engels riprende questo tema: “È merito di Marx - egli dice - ...di avere, in primo luogo, messo di nuovo in luce l’obliato metodo dialettico, il suo rapporto con la dialettica hegeliana come la sua differenza da essa, e di avere applicato al tempo stesso, nel Capitale, questo metodo ai fatti di una scienza empirica, l’economia politica”. Rinunciamo tuttavia a citare tutto ciò che può essere utile a questo proposito delle opere di Engels, dato che, particolarmente in Italia, si è voluto vedere, a nostro parere ingiustamente, una profonda frattura tra la concezione di Marx e quella di Engels, tema che peraltro esula dalla nostra trattazione. 6 - V .I. Lenin, Quaderni filosofici, Editori Riuniti, 1971, p. 165. 7 - Ivi, p. 167. Ancora Schumpeter molti anni dopo Lenin, come osserva Rosdolsky, pensava di far torto al Marx scienziato usando la dialettica come chiave ermeneutica per penetrarne la teoria economica. In epoca più recente V. Wygodskij nella sua Introduzione ai Grundrisse di Marx (La Nuova Italia, 1974) è arrivato a dire che Marx, quanto al metodo, pur essendo partito nel 1858 da un impianto hegeliano, se ne è disfatto successivamente: “Se seguiamo, egli dice, passo per passo il modo in cui Marx elaborò la struttura del Capitale vediamo come egli liberava via via questa struttura dall’impalcatura filosofica entro cui l’aveva originariamente racchiusa”. Ad una conclusione simile è giunto S. Timpanaro in: Sul materialismo, Nistri-Lischi, Pisa 1970, p. 79.

4

Ma Lenin si è pronunciato anche in modo più specifico sul rapporto tra

le due opere quando ha detto: “L’analisi dei sillogismi in Hegel (I-P-U, individualità-particolarità-universalità,

particolarità-individualità-universalità, ecc.) ricorda l’imitazione di Hegel da parte di Marx nel I capitolo” (8).

Lenin vuol dire che la prima sezione del I libro del Capitale si modella,

quanto al metodo, sulla prima sezione della terza parte della Logica, ossia sulla Dottrina del concetto. Solo in seguito potremo chiarire il senso di questa frase.

Se ripercorriamo sinteticamente tutti i passi fin qui citati possiamo vedere che Marx nel '58 sosteneva di aver rifondato la teoria del profitto con l’ausilio metodologico della Logica. Nel '73 riconosceva di aver imitato Hegel nell’esposizione della teoria del valore, cioè nella I sezione del I libro del Capitale. Per esplicita confessione di Marx quindi risulta che la teoria del valore, parte fondamentale del I libro, e la teoria del profitto, parte fondamentale del III libro, si ispirino direttamente, quanto al metodo, alla Logica di Hegel.

c) Le citazioni potrebbero continuare. Si vedano per esempio le pagine del Capitale sulla Tendenza storica dell’accumulazione capitalistica in cui Marx sostiene:

“Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale la propria negazione. È la negazione della negazione” (9).

Da questo passo tra l’altro si può già vedere come Marx non distingua tra dialettica della storia e dialettica della natura. A maggior garanzia di ciò, si legga la pagina in cui Marx dice, a proposito del passaggio dal feudalesimo al capitalismo:

“Qui, come nelle scienze naturali, si rivela la validità della legge scoperta da Hegel nella sua Logica, che mutamenti puramente quantitativi si risolvono a un certo punto in distinzioni qualitative”. E aggiunge in nota: “La teoria molecolare applicata alla chimica moderna, sviluppata scientificamente per la prima volta da Laurent e da Gerhardt, non si basa su altra legge” (10).

8 - Ivi, p. 164. Alcuni critici negli ultimi anni, riprendendo questo suggerimento di Lenin, hanno iniziato a studiare il metodo di Marx sulla base di un'analisi puntuale dei testi. Si vedano ad esempio le opere di R. Rosdolsky, Genesi e struttura del Capitale di Marx, Laterza, Bari 1971 e di H. Reichelt, La struttura logica del concetto di capitale in Marx, De Donato, Bari 1973. Questi interpreti hanno avuto il merito di mettere in risalto il rapporto tra Marx ed Hegel attraverso l’analisi delle prime categorie del Capitale. Ci sembra però che non siano riusciti a cogliere il rovesciamento delle forme generali di movimento delle categorie della Logica di Hegel, secondo i propositi di Marx. 9 - Il Capitale, Libro I, cap. 24°, p. 223. Alcuni strutturalisti francesi, tra cui Althusser e Godelier, hanno negato la possibilità di un rovesciamento della dialettica hegeliana da parte di Marx, sulla base dell’identità con se stessa di una struttura in ogni contesto determinato. Ogni momento del pensiero di Marx sarebbe un tutto organico e rappresenterebbe una risposta puntuale alle scoperte che egli andava facendo. 10 - Ivi, Libro I, cap. 90, p. 337. Si veda G.W.F. Hegel, Scienza della logica, Laterza, Bari 1968, Libro I, sez. II, cap. 2°, par. c, e la relativa nota.

5

In breve - per Marx - in economia come in chimica vigono le stesse leggi dialettiche. Il pensiero deve riflettere in modo ideale la dialettica della storia e della natura.

Engels non sbaglia, a nostro giudizio, quando sostiene che nella sezione IV del I libro del Capitale Marx applica la dialettica quantità-qualità a proposito della cooperazione (11); e quando vede applicata nel Capitale la legge della negazione della negazione (12).

Il fatto che nessuno dei grandi rappresentanti del marxismo, Marx compreso, abbia dedicato un'opera al metodo del Capitale, non può essere sostituito dalle brevi, anche se importanti notazioni che abbiamo riportato. Necessariamente, quando si parla per cenni, o si abbraccia il complesso, ma nelle linee generali, o ci si riduce al particolare trascurando l’insieme. Per cui siamo in possesso di una serie di affermazioni utilissime, ma purtroppo solo indicative. Bisogna ancora cercare di capire cosa significhi la frase di Marx secondo cui tutto il Capitale è esposto dialetticamente.

Che la partizione del Capitale non sia “per materie”, come giustamente sostiene Rosdolsky (13), lo dimostra il fatto che le stesse categorie ritornano più volte nell’opera. Il lavoro, per esempio, è trattato nel 1° capitolo del I libro, come nel 5°, nel 7°, nell’11° e altrove, in fasi diverse dell’esposizione. Lo stesso accade per tutte (o quasi) le altre categorie, come il denaro, la compra e la vendita, la merce, la produzione, il valore, il plusvalore, ecc. che ricompaiono mutate ad ogni nuovo livello raggiunto dall’esposizione.

D'altra parte la struttura espositiva del Capitale non può essere fondata sulla dinamica “sostanza-attributi”, perché in tal caso le categorie fondamentali (lavoro e valore) del I libro rimarrebbero intatte nel loro processo di sviluppo. Marx invece sostiene che la rotazione (nel II libro) modifica le determinazioni delle categorie del I libro. I tempi della produzione e della circolazione diventano determinanti, interagendo sulla produzione e quindi modificandola. Il fatto diventa più evidente quando passiamo alle conseguenze fenomeniche del modo di produzione capitalistico nel III libro, cioè in primo luogo alla concorrenza, in cui le categorie del I e del II libro vengono, come dice Marx, rovesciate (14).

Se è vero però che Marx non ha mai esposto il suo metodo hegeliano-rovesciato, è anche vero che ha ripreso questo metodo nel Capitale (15).

Nessun'altra opera può assolvere questo compito di depositaria del metodo complessivo, perché il Capitale è l’unico lavoro organico, diviso metodicamente in parti, mentre tutti gli altri o sono frammenti di analisi più o meno organizzati, come i Grundrisse (16), o sono libri dedicati ad un solo aspetto del modo di produzione capitalistico, come il Per la critica dell’economia politica, in cui tratta solo la teoria della merce e del denaro.

Cercheremo di ricostruire il metodo di Marx attraverso il Capitale, tenendo conto di tutte le indicazioni analizzate.

11 - F. Engels, Antidühring, Rinascita, Roma 1950, p. 39. 12 - Ivi, pp. 146-147. È opportuno precisare che non si pensa di risolvere il problema della dialettica della natura in Marx con queste poche battute, che possono avere solo un valore indicativo. 13 - R. Rosdolsky, op. cit., p. 49. 14 - Il Capitale, Libro II, cap. 12°, pp. 258-61. 15 - Lenin a questo proposito scrive nei Quaderni filosofici: “Anche se Marx non ci ha lasciato una Logica (con la lettera maiuscola), ci ha lasciato però la logica del Capitale, che bisognerebbe utilizzare al massimo nella questione data. Nel Capitale si applica ad una sola scienza la logica, la dialettica, la teoria della conoscenza [non occorrono tre parole: sono una stessa cosa] del materialismo, che ha attinto da Hegel quanto vi è in lui di più prezioso e lo ha sviluppato ulteriormente” (V. I. Lenin, Op. cit., p. 341). 16 - Nel corso dell’esposizione si useranno indifferentemente i termini Grundrisse o Lineamenti per indicare: K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1969.

6

7

Il Capitale Primo libro a) Si deve innanzitutto notare che l’inizio logico del Capitale non va

ricercato nell’inizio effettivo dell’opera, cioè nell’analisi del doppio valore della merce, ma, come dice lo stesso Marx, nel momento in cui lo scambio tra due merci genera il valore di scambio. Ecco il testo:

“Quel che s'è detto, parlando alla spiccia, all’inizio di questo capitolo, che la merce è

valore d'uso e valore di scambio, è erroneo, a volersi esprimere con precisione. La merce è valore d'uso ossia oggetto d'uso, e "valore". Essa si presenta come quella duplicità che è, appena il suo valore possiede una forma fenomenica propria differente dalla sua forma naturale, quella del valore di scambio; e non possiede mai questa forma se considerata isolatamente, ma sempre e soltanto nel rapporto di valore o di scambio con una seconda merce, di genere differente” (17).

Solo in seguito si potrà comprendere l’importanza di questa

precisazione per lo sviluppo storico-logico del sistema delle categorie economiche del primo libro. Per il momento va sottolineato che l’unico valore esistente prima del processo di scambio è il valore d'uso. Il valore di scambio non è connaturato con la merce (o meglio con il prodotto), perché la merce lo assume solo nello scambio. Possiamo quindi cominciare dalla forma di valore.

Seguiamo sinteticamente il processo di sviluppo del rapporto tra le merci.

1) La merce A si esprime nella merce B, B esprime il valore di A e non di se stessa (forma relativa di valore) (18).

2) B assume la forma di equivalente. Il valore di A si fenomenizza nel valore d'uso di B. Il valore d'uso diviene forma fenomenica del suo opposto, del valore (19). Nessuna merce può essere l’equivalente di se stessa, ma solo di un'altra. In nota Marx definisce questo modello dialettico come determinazione della riflessione, nel senso che il valore di una merce è tale solo in rapporto ad un'altra merce e non a se stessa. L’impianto dialettico di questi passi è evidente e Marx lo sottolinea quando dice:

“Forma relativa di valore e forma di equivalente sono momenti pertinenti l’uno

all’altro, l’uno dei quali è condizione dell’altro, inseparabili, ma allo stesso tempo sono estremi che si escludono l’un l’altro, ossia opposti, sono cioè poli della stessa espressione di valore; essi si distribuiscono sempre sulle differenti merci che l’espressione di valore riferisce l’una all’altra” (20).

3) Tutte le merci si esprimono in tutte le merci: la serie delle merci a cui

è rapportabile la merce A non si chiude mai. In questa forma di valore sviluppata si verifica il processo della “cattiva infinità”, per il fatto che manca una forma fenomenica unitaria di valore (21). Vale a dire, A si rapporta a B, C,

17 - K. Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma 1970, Libro I, cap. 1°, p. 74. Questo passo ed altri analoghi non debbono condurci alla conclusione, sostenuta dall’ultimo Colletti nel saggio Marxismo e dialettica, che nel valore d'uso, come si presenta in epoche non capitalistiche, sia assente ogni contraddizione dialettica. Marx invece sostiene che nelle epoche in cui il valore d'uso non rinvia al valore di scambio si sviluppano tuttavia altre forme di contraddizione. 18 - Ivi, pp. 61-62. 19 - Ivi, pp. 69-70. 20 - Ivi, p. 61. 21 - Ivi, pp. 76-78.

8

D, all’infinito e similmente per tutte le merci: per esempio B si rapporta ad A, C, D, ecc.

4) Nella forma generale di valore si ha la prima unificazione quando una merce ed un lavoro diventano espressioni generali di valore (semplici e comuni). Quando cioè tutte le merci A, B, ,C, D, si scambiano solo con la merce X (22).

Per riassumere: nel caso 1) e 2) A e B sono scambiabili; nel caso 3) A rende tutte le altre merci equivalenti; ma ogni merce è in rapporto ad ogni altra merce; nel caso 4) solo X è equivalente. Tale merce X è esclusa dalla forma di valore, perché dovrebbe essere l’equivalente di se stessa. L’equivalente generale si esprime solo attraverso ciò che esprime. Cioè: A, B, C, D, si esprimono in X, di conseguenza l’unico modo di esprimere X è A, B, C, D, all’infinito.

L’equivalente generale è il denaro. Marx attribuisce al denaro la funzione di superare e quindi di conservare la contraddizione insita nel processo di scambio delle merci. Seguiamo il testo:

“S'è visto che il processo di scambio delle merci implica relazioni contraddittorie che

si escludono a vicenda. Lo svolgimento della merce non supera tali contraddizioni, ma crea la forma entro la quale esse si possono muovere. Questo è, in genere, il metodo col quale si risolvono le contraddizioni reali. P. es., è una contraddizione che un corpo cada costantemente su di un altro e ne sfugga via con altrettanta costanza. L'ellisse è una delle forme del moto nelle quali quella contraddizione si realizza e insieme si risolve” (23).

A parte l’uso di esempi di dialettica della natura - la contraddizione fra

forza centrifuga e forza centripeta si risolve nel movimento ellittico - per spiegare fenomeni di dialettica storico-economica, va notato come per Marx la dinamica contraddittoria tra le merci e i lavori, tra le qualità e le quantità delle merci e dei lavori, crei la forma in cui tali contraddizioni possono muoversi e coesistere.

Il denaro è la sintesi nel processo storico-dialettico delle merci, in cui i valori d'uso, attraverso una progressiva mediazione, assumono un valore quantitativo, fino a realizzare la pura quantità nell’equivalente generale o meglio nel denaro. Ecco l’immagine che Marx ci offre nei Grundrisse a questo proposito:

“Nel denaro il mezzo di scambio stesso diventa cosa, o il valore di scambio della

cosa acquista una esistenza autonoma al di fuori della cosa stessa” (24). Siamo partiti dalla massa delle merci. Quindi dallo scambio tra valori

d'uso, così come si sviluppa in un rapporto tra merci esterne le une alle atre, è scaturito il valore di scambio, la pura quantità, il denaro. Si era partiti da semplici qualità (masse di valori d'uso) e si è arrivati, attraverso un processo di successive mediazioni storico-dialettiche ad una progressiva unificazione di tutti i valori d'uso nella pura quantità del denaro. Con questo equivalente generale si chiude il processo della cattiva infinità.

b) Il denaro è pura quantità solo in superficie, in realtà è una merce tra le merci. Diventa universale, ma rimane merce: merce universale. Solo se il denaro fosse un simbolo, creato per convenzione, potrebbe essere pura quantità. Ma nell’analisi di Marx il denaro nasce dal processo di scambio delle merci o meglio dalla produzione delle merci per lo scambio, sulla base di un

22 - Ivi, p. 78. 23 - Ivi, p. 118. Si veda G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari 1951, par. 270. 24 - K. Marx, Lineamenti, La nuova Italia, Firenze 1969, vol. I, p. 155.

9

lavoro socialmente necessario. Dal processo di scambio emerge storicamente la merce-denaro, che presenta immediatamente una forma inversa rispetto alle altre: tutte le altre merci sono prima valori d'uso e quindi di scambio; la merce-denaro, l’oro, è prima valore di scambio e quindi valore d'uso.

Dal rapporto contraddittorio delle merci è emerso il denaro; dalla forma contraddittoria del denaro emergeranno tutte le sue determinazioni fino al capitale.

Innanzi tutto il denaro è misura ideale, “immaginata”, della merce, vale a dire è il suo prezzo (25). I valori delle merci vengono trasformati in quantità immaginate d'oro.

In secondo luogo il denaro assume la forma di mezzo di circolazione. Merce e denaro sono tra loro in una contrapposizione esterna, ma la contrapposizione è anche interna a ciascuno, in quanto tutti e due sono valori d'uso e di scambio, con la differenza che l’ordine della contrapposizione è inverso: cioè la merce è realmente valore d'uso e idealmente valore di scambio; il denaro invece è realmente valore di scambio e idealmente valore d'uso (26). Questo inverso rapporto determina le reali forme di movimento del loro processo di scambio, che si effettua in due metamorfosi opposte e reciproche: trasformazione della merce in denaro e ritrasformazione del denaro in merce (l’ideale e il reale della merce e del denaro si scambiano l’uno con l’altro) (27).

Nella vendita (M-D) la merce perde le sue caratteristiche. Nella forma di moneta infatti ogni merce è uguale alle altre (28). Ma la vendita di una merce è contemporaneamente il suo acquisto (D-M) per il compratore. La merce possiede al suo interno due movimenti opposti (vendita e acquisto), e tale condizione si riflette in due caratteri economici opposti, sia interni a ciascun individuo, infatti colui che compra deve anche vendere, sia esterni, sociali, per cui se esistono acquirenti debbono esistere venditori. Quindi, se una merce è insieme valore d'uso e di scambio, assume la forma sia dell’acquisto che della vendita; di conseguenza l’acquirente per essere tale deve aver venduto e il venditore deve aver comprato. Pertanto le metamorfosi di una merce implicano le metamorfosi di due altre merci e così di seguito. L'intero processo non è che la circolazione delle merci (29).

Riassumendo: la contraddizione tra le merci è culminata nel denaro; la contraddizione interna al denaro e la contraddizione interna alla merce sono culminate in un rapporto prima ideale tra merce e denaro (il prezzo) e, successivamente, nel rapporto reale della circolazione complessiva, ricca di molteplici metamorfosi, cioè di mutamenti di una categoria nel suo opposto.

Ma il denaro in questa sua funzione reale di mezzo di circolazione non ha ancora raggiunto una sua vera e propria autonomia, perché la forma-denaro della merce è una forma che si dilegua (30). L'oro media il ricambio organico sociale, svanendo continuamente. La circolazione monetaria è funzione della circolazione delle merci (31). Il vero, reale movimento avviene tra le merci, anche se bisogna tener presente che non avverrebbe senza la circolazione del denaro. Infatti la massa di denaro necessaria per la circolazione delle merci dipende dalla somma dei prezzi delle merci divisa per il numero delle rotazioni delle monete (32). Che li denaro sia ancora una

25 - Il Capitale, Libro I, cap. 3°, pp. 108-109. 26 - Ivi, pp. 118-119. 27 - Ivi, p. 119. 28 - Ivi, p.123 29 - Ivi, pp. 123-126. Si veda a questo proposito il passo sulla crisi economica (I, 1°, pp. 127-128) esempio di dinamica storico-dialettica. 30 - Ivi, p. 145. 31 - Ivi, p. 130. 32 - Ivi, p. 134.

10

funzione lo dimostra sia la sua dipendenza dalle rotazioni, sia la possibilità di renderlo simbolico, dato che il suo fine è il ricambio organico sociale.

Il denaro come mediatore del ricambio organico sociale è in funzione della circolazione delle merci (anche se appare il contrario). Se il processo della circolazione s'interrompe, e vendita e acquisto cessano di essere reciproci e alla vendita non segue l’acquisto, allora il denaro da perpetuum mobile diviene immobile, da moneta diviene denaro in quanto denaro e si pietrifica in tesoro.

Non si deve dimenticare che tutti i passaggi dialettici finora analizzati hanno la loro radice in processi storici. Lo scambio per esempio, come si è determinato in una certa fase, ha reso contraddittoria la merce; analogamente il vendere più che l’acquistare, ha determinato il processo della tesaurizzazione.

Con lo sviluppo del sistema creditizio si tende a sopprimere la barriera metallica. Infatti il suo intervento fisico si limita al saldo di spareggi spesso insignificanti. Siamo giunti in tal modo al denaro come mezzo di pagamento. Al rapporto venditore-compratore si aggiunge quello creditore-debitore (solo nelle crisi il denaro come mezzo di pagamento perde la sua funzione) (33).

Nel mercato mondiale, nei periodi di crisi internazionale, il denaro torna alla sua forma originaria, all’oro; il denaro perde la sua funzione di mezzo di circolazione per riassumere quella di mezzo di scambio, ma questa volta ad un livello più vasto. Il valore universale delle merci - l’oro - si sviluppa nel mercato mondiale. Il valore delle merci appare come moneta mondiale, la sua maniera di esistere si adegua all’idea (34).

Il denaro era emerso dalla contraddizione tra le merci, lo sviluppo storico della contraddizione fa sviluppare il denaro in varie forme, facendogli assumere un ruolo sempre più egemonico. Col passaggio da semplice misura a funzione essenziale si è avuto il primo sviluppo; nelle fasi successive il denaro arriva a svincolarsi dalla merce, a porsi come tesoro; poi sopprime la barriera metallica e si trasforma in mezzo di pagamento. Nel mercato mondiale ritrova la sua caratteristica originaria, sviluppatasi a dimensione mondiale: l’oro diventa valore universale, la sua esistenza materiale si separa e coincide con la sua idea. L'idea del valore si è materializzata e universalizzata: abbiamo cioè la pura quantità universale.

Ciò non toglie però che la contraddizione originaria da cui si è sviluppato tutto il processo non prema ancora sul denaro universale, rendendogli difficile la vita. Formalmente il denaro si è reso progressivamente indipendente dalle merci e dalle loro contraddizioni, in realtà la contraddizione tra denaro e merce è ancora più acuta. Il denaro voleva essere tiranno ed è tiranneggiato dalle merci, anche se in modo più mediato (35). La circolazione semplice non può risolvere questa contraddizione: la porta al massimo sviluppo, ma non la supera. Ormai il denaro accenna al capitale (36).

In sintesi: lo scambio ha trasformato i valori d'uso in valori di scambio, le qualità in quantità; le quantità si sono compendiate in un'unica quantità: il denaro. Il denaro ha provato a svincolarsi da questo suo peccato di origine (cioè dalla contraddizione), ma nel momento in cui credeva di esserci riuscito si è accorto che la sua vita è una contraddizione vivente. In quanto forma generale della ricchezza ha di fronte tutte le merci e le domina, non le rappresenta più, ma è rappresentato da esse. È la ricchezza materializzata. Ma in quanto forma generale della ricchezza le reali ricchezze gli sono esterne, la ricchezza è fuori di lui. Non si realizza che a patto di entrare in circolazione per svanire nelle ricchezze determinate. Se lo si trattiene è un fantasma, se lo si tramuta in merci non si riesce ad accumularlo. Ma anche se 33 - Ivi, pp. 149-50. 34 - Ivi, pp. 157-58. 35 - A questo proposito si vedano i Lineamenti, vol. I, pp. 197-199. 36 - K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 216.

11

lo si accumula ha un valore solo nella misura in cui si accumulano altre ricchezze. Sembra indipendente dalla circolazione, ma ne dipende. È merce tra merci, sottoposto alle leggi della domanda e dell’offerta. Se per un verso è la ricchezza assoluta e sicura, per un altro verso è l’insicurezza assoluta. La quantità resa autonoma è già ricaduta nelle molteplici qualità.

“L'accumulazione di oro e argento, di denaro, - dice Marx - è il primo fenomeno

storico dell’accumulazione del capitale e il suo primo mezzo rilevante; ma in quanto tale essa non è ancora accumulazione di capitale. Per questo dovrebbe verificarsi il rientro di ciò che si è accumulato nella circolazione stessa come momento e mezzo dell’accumulazione.

Il denaro nella sua ultima e completa determinazione si presenta ora in tutti i sensi come una contraddizione che si risolve da sé, che spinge alla sua propria risoluzione” (37).

c) Scopo del denaro è l’accumulazione, quantità che produce quantità, ma perché questo possa verificarsi è necessario che il denaro accumulato rientri nella circolazione per rinnovare il processo di accumulazione. La contraddizione spinge il denaro a ritornare verso le merci, nella circolazione. Ma dallo scambio tra eguali nel processo di circolazione semplice non deriva nessun plusvalore.

L’ultimo prodotto della circolazione delle merci (la sintesi finale) è la prima forma fenomenica del capitale (la tesi, il capitale immediato) (38). Ciò spiega perché Marx abbia iniziato il Capitale con “la circolazione delle merci”. Denaro come denaro e denaro come capitale si distinguono all’inizio solo mediante la loro diversa forma di circolazione (39). Da M-D-M si passa nel capitale a D-M-D. In quest'ultimo tipo di circolazione sia il denaro che la merce fungono da differenti modi di esistenza del valore: il denaro, come suo modo di esistere generale; la merce, come suo modo di esistere particolare (40). Il ciclo del capitale (D-M-D) si presenta con un ordine inverso delle stesse e opposte fasi del ciclo della merce. La circolazione semplice delle merci inizia con la vendita e termina con l’acquisto, mentre la circolazione del capitale rovescia la successione (41). Il capitale valorizza se stesso in questo processo (acquistare per vendere). Depone uova d'oro (42). Capitale = valore in processo o denaro in processo al fine di aumentare se stesso. Quantità che genera quantità.

Il denaro in quanto denaro non era riuscito a raggiungere una reale indipendenza dai valori d'uso, dalle merci particolari. Il capitale in processo compie un tentativo di generare quantità da quantità.

Marx sottolinea subito che il plusvalore non nasce dallo scambio tra equivalenti e quindi non deriva dalla circolazione (43). Il processo di valorizzazione deve accadere dietro le spalle della circolazione, in modo invisibile: occorre cercare un'essenza, un fondamento della valorizzazione. D'altra parte non può avvenire fuori della circolazione. In conclusione il denaro o il denaro-merce non può produrre denaro nella circolazione, ma è anche impossibile che non derivi da essa (28). Il denaro deve acquistare le merci al loro valore, le deve vendere al loro valore, eppure alla fine del processo si deve passare da D a D'. Il denaro quindi da bruco diventa farfalla entro e non entro la circolazione. Se nessun valore di scambio può creare plusvalore, il mutamento non può avvenire altro che nella merce acquistata nel primo atto (D-M), ma non nel suo valore, giacché si scambiano

37 - Lineamenti, vol. I, pp. 197-98. 38 - Il Capitale, Libro I, cap. 4°, p. 162. 39 - Ivi, p. 163. 40 - Ivi, p. 170. 41 - Ivi, pp. 164-5 e p. 172. 42 - Ivi, p. 170. 43 - Ivi, p. 182.

12

equivalenti. Il mutamento può quindi derivare solo dal valore d'uso della merce, cioè dal suo consumo. Bisognerebbe trovare una merce nell’ambito della circolazione, cioè sul mercato, il cui stesso valore d'uso abbia la specifica proprietà di essere fonte di valore (44). Tale merce, tale valore d'uso è quello della forza lavorativa.

Adesso finalmente potremo scoprire il segreto del plusvalore, cioè il segreto di ciò che sta dietro alla superficie del processo e che da essa veniva nascosto (45). Come il denaro conservava il duplice aspetto di ogni merce (valore d'uso e di scambio), così questa merce speciale, la forza lavoro, al pari delle altre conserva questo duplice carattere qualitativo e quantitativo:

“Inoltre se confrontiamo il processo di creazione del valore col processo lavorativo,

quest'ultimo consiste nel lavoro utile, che produce valori d'uso. Qui il movimento viene considerato qualitativamente, nel suo modo e nella sua caratteristica particolari, secondo il suo fine e il suo contenuto. Il medesimo processo lavorativo si presenta invece solo dal suo Iato quantitativo nel processo di creazione del valore. Qui si tratta ormai soltanto del tempo del quale il lavoro abbisogna per condurre a termine le sue operazioni ossia della durata del dispendio utile di forza-Iavoro” (46).

A questo proposito, già precedentemente, Marx così si era espresso: “Se dunque riguardo al valore d'uso il lavoro contenuto nella merce conta solo

qualitativamente, riguardo alla grandezza del valore conta solo quantitativamente, dopo essere stato già ridotto a lavoro umano senza ulteriore qualificazione. Là si tratta del come e del cosa del lavoro, qui del quanto di esso, della sua durata temporale” (47).

Vale a dire, il processo lavorativo qualitativo o utile produce valori

d'uso, il processo lavorativo quantitativo crea valori. In quanto questo secondo processo lavorativo viene protratto nel tempo non solo crea valori, ma anche la valorizzazione, cioè il capitale (48). Quindi la produzione capitalistica intesa come:

“unità di processo lavorativo e di processo di creazione di valore, è processo di

produzione di merci; in quanto unità di processo lavorativo e di processo di valorizzazione, è processo di produzione capitalistico, forma capitalistica della produzione delle merci” (49).

L’ultima fase del ciclo produttivo consisteva nella produzione di

plusvalore. Adesso il plusvalore si scambia di posto con il capitale e da generato diventa generatore; infatti se il plusvalore non assume la forma di capitale non può riprendere il processo produttivo e tanto meno l’accumulazione (50). Ma il plusvalore da cui riparte il processo non è che frutto del lavoro.

A questo punto si svela un nuovo elemento: si è partiti dallo scambio tra uguali sul mercato, il capitale e il lavoro, ciascuno proprietario della sua merce, ed essi si sono scambiati al loro valore reale. Nel processo di produzione e di circolazione, basato sulla proprietà, è avvenuto però un rovesciamento: la legge della proprietà privata si è ribaltata dialetticamente, per sua forza intrinseca, nel suo contrario (51). Quello che in origine appariva come uno scambio tra equivalenti, si è trasformato in un rapporto in cui non si

44 - Ivi, pp. 183-84. 45 - Ivi, p. 193. 46 - Ivi, cap. 5°, p. 214. 47 - Ivi, cap1°, p. 58. 48 - Ivi, cap. 5°, p. 213. 49 - Ivi, p. 216. 50 - Ivi, cap. 22°, p. 23. 51 - Ivi, p. 27.

13

effettuano scambi che in apparenza. In effetti il capitalista scambia lavoro con lavoro, lavoro passato – dalla cui appropriazione è nato il suo capitale - con lavoro vivo. Ma il lavoro passato in realtà non gli appartiene. All’inizio del processo il capitalista appariva come il proprietario del suo capitale e l’operaio della sua forza; ora è manifesto che la proprietà è dalla parte del capitalista, come diritto di appropriarsi di lavoro altrui non pagato e come impossibilità per l’operaio di impadronirsi del suo prodotto. La scissione tra proprietà e lavoro diviene necessaria conseguenza di una legge che apparentemente si basava sulla loro identità (52).

“Dunque, per quanto il modo di appropriazione capitalistico sembri fare a pugni

direttamente con le leggi primordiali della produzione delle merci, esso non deriva affatto dall’infrazione, ma, viceversa, dall’applicazione di queste leggi” (53).

Ciò è dipeso dal fatto che il suo valore di scambio è diverso e minore

del suo valore d'uso: queste sono le pagine che la Luxemburg definisce un capolavoro di dialettica storica. Si vedano anche i Grundrisse (54).

Lo scambio semplice delle merci ha dato origine al denaro; il denaro trapassa in capitale; il capitale si presenta come il creatore del lavoro salariato e del plusvalore (55); ma alla fine del processo si scopre che l’ultimo è il primo, che “il lavoro è la sostanza e la misura immanente dei valori” (56), che il plusvalore, derivato dal pluslavoro, genera il capitale, che il capitale assume la forma del denaro e il denaro si trasforma in merce e quindi, in ultima analisi, che il lavoro è alla base di tutto (57). La forza lavoro ha prodotto non solo l’altrui ricchezza, ma anche il rapporto fra questa ricchezza e la propria miseria, cioè lo stesso rapporto capitalistico (58).

Marx è partito da uno scambio di merci tra uguali ed è arrivato a rovesciare questo rapporto nel suo contrario: da un rapporto giuridico tra pari è giunto ad un rapporto di sfruttamento. È partito da un rapporto tra due elementi (nella merce, tra le merci, nel denaro) ed è arrivato al fondamento unitario di tutto, al lavoro. Questo elemento unitario scaturisce alla fine, ma la sua scissione è l’origine di tutto il processo. Dialetticamente l’ultimo è la ragione di ciò che si presenta fenomenicamente per primo. In tal modo si spiega perché Marx abbia sentito l’esigenza di accennare al duplice aspetto del lavoro fin dalle prime pagine dell’opera.

Movendo dal valore d'uso e dal valore di scambio, dalla qualità e dalla quantità, da ciò che è naturalmente utile all’uomo e dalla sua misura unitaria, Marx ha scoperto che il valore di scambio, la quantità e la misura unitaria sono il risultato di un imponente processo storico di appropriazione del lavoro altrui e quindi di espropriazione del prodotto altrui. Il valore di scambio ha un carattere storico e, in quanto tale, può essere superato.

Lo scambio delle merci sembrava il fondamento del sistema di produzione capitalistico; in effetti, nella forma in cui si presenta ora, non è che il fondato. Lo scambio delle merci quindi non è, nel caso del I capitolo, un fenomeno precapitalistico, ma anzi rappresenta la superficie percepibile del sistema capitalistico stesso.

52 - Ivi, p. 28. 53 - Ivi, p. 28. 54 - Lineamenti, vol. II, pp. 73-74. 55 - Il Capitale, libro I, cap. 22°, pp. 53-54. 56 - Ivi, cap. 170, p. 253. 57 - Si vedano anche i Lineamenti, vol. II, pp. 68-70. 58 - Il Capitale, libro I, cap. 21°, pp. 21-22. Si vedano anche i Lineamenti, vol. II, pp. 71-79.

14

Secondo libro a) Il processo capitalistico complessivo non è soltanto produzione, ma

anche circolazione. “Se riassumiamo tutte e tre le forme [i tre cicli del processo della circolazione

complessiva], tutti i presupposti [i fondamenti] del processo appaiono come suo risultato [fondato], come un presupposto [fondamento] da esso stesso prodotto [fondato] [e tutti i suoi risultati appaiono come suoi presupposti]. Ciascun momento appare come punto di partenza, punto intermedio e punto di ritorno. Il processo totale si presenta come unità di processo di produzione e processo di circolazione; il processo di produzione diviene mediatore del processo di circolazione e viceversa “ (59).

Il processo capitalistico complessivo non è un insieme visto come

somma di parti esterne, di cui una gioca il ruolo della sostanza e le altre di attributo (60), è bensì un tutto organico in cui gli elementi - denaro, produzione e merce - si condizionano reciprocamente e dalla cui unione nasce la valorizzazione, fine e causa di tutti e tre i cicli (61). Solo se analizziamo i capitali presi individualmente possiamo pensare a cicli separati e indipendenti, ma nel suo complesso il capitale (sociale complessivo) è un insieme di tre stadi (62). Ogni ciclo è implicite l’altro, ma anche esplicitamente, quando una parte del capitale si converte in capitale monetario, un'altra parte si immette nella circolazione come merce, ecc. (63). Il capitale industriale nella continuità del suo ciclo si trova contemporaneamente in tutti i suoi stadi (64). Il capitale industriale non è solamente unità di processo di produzione e di circolazione, ma unità di tutti e tre i suoi cicli. Esso può essere tale unità solo perché ogni sua diversa parte è in grado di ricoprire tutte le fasi del ciclo; perciò il capitale industriale, in quanto insieme di queste parti, si trova nello stesso tempo nelle diverse fasi e funzioni e in tal maniera percorre allo stesso tempo tutti e tre i cicli (65). Se il ciclo complessivo si interrompe in un punto, tutto il processo ne risente. Ogni interruzione della successione porta il disordine nella contiguità (66).

La circolazione modifica e integra le categorie così come erano emerse nella produzione: quanto più è elevata la velocità della circolazione, tanto più è elevato il capitale che circola (pur rimanendo identica la massa). Massa e velocità sono in funzione reciproca. Nella circolazione il denaro e la merce subiscono continue metamorfosi trapassando l’uno nell’altra.

Marx ci tiene a sottolineare l’unità, ma anche la distinzione tra produzione e circolazione (67). Se è vero che non c'è l’una senza l’altra è pure vero che la produzione non è la circolazione:

“Nella produzione di merci - dice Marx - la circolazione è altrettanto necessaria che la

produzione stessa, quindi gli agenti di circolazione altrettanto necessari che gli agenti di produzione. Il processo di riproduzione comprende ambedue le funzioni del capitale, quindi anche la necessità della rappresentanza di queste funzioni, sia attraverso il capitalista stesso, sia attraverso salariati, agenti di questo. Ma ciò non è motivo per scambiare gli agenti della

59 - Il Capitale, libro II, cap. 4°, p. 106. 60 - Lineamenti, vol. II, p. 152 e p. 316. 61 - Il Capitale, libro II, cap. 4°, p. 106. 62 - Ivi, p. 107. 63 - Ivi, p. 107. 64 - Ivi, p. 109. 65 - 50 - Ivi, p. 109. 66 - Ivi, pp. 109-110. 67 - Ivi, cap. 5°, p. 131.

15

circolazione con gli agenti della produzione, come non lo è per scambiare le funzioni di capitale-merce e capitale monetario con quelle di capitale produttivo” (68).

Ambedue le funzioni sono essenziali, ma diverse e dialetticamante non

coordinate. La produzione mantiene il ruolo egemonico, perché in essa avviene la creazione del plusvalore, mentre alla circolazione è riservata soltanto la sua realizzazione, anche se va ribadito che non c'è l’una senza l’altra o l’una prima dell’altra (69).

Nel I libro si è analizzato il processo di produzione del plusvalore e del capitale (70), in base al tempo di lavoro (71). Dato che ora la produzione si integra con la circolazione, è necessario analizzare di nuovo le stesse categorie alla luce del tempo di circolazione.

Nella I sezione del II libro Marx esamina le diverse forme assunte dal capitale nei suoi tre cicli. All’analisi dei cicli si riallaccia l’analisi del tempo di circolazione (72). Nella I sezione del Il libro il processo della produzione del plusvalore basato sul lavoro diventa più complesso, perché lo si studia in rapporto al tempo d'acquisto e di vendita. Abbiamo visto infatti come il capitale produttivo cambia continuamente forma, subendo metamorfosi nel processo dei cicli del capitale complessivo, e come muta dimensioni in rapporto alla velocità della circolazione.

In sintesi: non si produce se non si realizza, come non si realizza se non si produce. La produzione di plusvalore è nulla se non si realizza nella vendita in un determinato tempo. Ma questi fenomeni solo apparentemente si presentano come corollari, in effetti mutano la configurazione stessa del capitale così come si presentava nel I libro, dove era stato analizzato nella sua immediatezza, in sé.

Quindi in questa I sezione vengono studiate le forme successive che il capitale individuale assume e abbandona di continuo.

Nella I sezione del II libro Marx mostra come le diverse parti del capitale attraversino in diversi periodi e in diverse maniere il ciclo delle forme (cap. 7°); analizza poi i motivi che determinano differenze nella durata dei periodi lavorativi e di circolazione; quindi passa a studiare l’influenza dei periodi ciclici e dei diversi rapporti tra i loro elementi sull’estensione dello stesso processo produttivo (cap. 15°) e sul saggio annuo di plusvalore (cap. 16°): in base alla velocità della rotazione può esserci un mutamento nel saggio annuo di plusvalore, pure a massa invariata. In sostanza mentre nella I sezione vengono analizzati i cicli in quanto tali, nella II si studia il modo in cui un capitale si va ripartendo allo stesso tempo tra capitale produttivo, capitale monetario, capitale-merce, in maniera che non solo si alterna, ma si trova anche contemporaneamente, in proporzioni diverse, in questi diversi stadi. Inoltre si fissano i criteri in base ai quali grandezze diverse di capitale monetario debbono essere anticipate e rinnovate di continuo perché un capitale possa funzionare senza interruzioni in determinate condizioni di rotazione.

Conviene notare fin d'ora il progressivo intrecciarsi dei vari stadi e delle varie parti che compongono il singolo capitale e osservare come ogni suo aspetto non è che un momento che rinvia ad altri momenti o che si accinge a mutar forma per rimpiazzare o per essere rimpiazzato. Marx vuole mostrarci come la vita di un capitale circoli indifferentemente in ogni suo punto e come il rapporto in cui si trovano le parti non sia tra esterni.

68 - Ivi, pp. 132-133. 69 - Ivi, cap. 6°, p. 137. 70 - Ivi, cap. 18°, pp. 8-9. 71 - Ivi, p. 9. 72 - Ivi, p. 9.

16

b) Passiamo ora alla III sezione del II libro. Marx fa subito il punto: “Nella prima come nella seconda sezione si è però trattato sempre soltanto di un

capitale individuale, del movimento di una parte autonomizzata del capitale sociale. Ma i cicli dei capitali individuali si intrecciano gli uni con gli altri, si presuppongono e condizionano reciprocamente, e appunto in questo intrecciarsi formano il movimento del capitale sociale complessivo...Rimane ora da esaminare...il processo di circolazione di questo capitale complessivo sociale” (73). (il corsivo è mio, E. G.).

Tale processo viene analizzato nei capitoli sulla riproduzione semplice

e allargata. A proposito della prima, Marx scrive: “La questione si presenta immediatamente in questo modo: il capitale consumato

nella produzione come viene sostituito, secondo il suo valore [e secondo la sua forma naturale] dal prodotto annuo, e come si intreccia il movimento di questa sostituzione con il consumo del plusvalore da parte dei capitalisti e del salario da parte degli operai?” (74).

L’intreccio dei vari stadi e delle varie parti che compongono il singolo

capitale si complica nel momento in cui il capitale ha bisogno per la sua riproduzione di mediarsi con gli altri capitali. Vengono fissati i due settori della produzione, quello dei beni di consumo e quello dei mezzi di produzione, che devono essere perfettamente integrati, affinché il sistema nel suo complesso possa funzionare. Il fenomeno si complica ulteriormente quando al problema della riproduzione si aggiunge quello dell’accumulazione. Infatti all’inizio del capitolo 21° Marx così schematizza l’argomento:

“Nel libro I è stato mostrato quale sia lo svolgimento dell’accumulazione per il singolo

capitalista. Con la monetizzazione del capitale-merce viene monetizzato anche il plusprodotto, nel quale è rappresentato il plusvalore. Il capitalista ritrasforma in elementi naturali addizionali del suo capitale produttivo questo plusvalore così trasformato in denaro. Nel successivo ciclo della produzione il capitale ingrandito fornisce un prodotto ingrandito. Ma ciò che avviene per il capitale individuale deve avvenire anche per la produzione annua complessiva, così come, esaminando la riproduzione semplice, abbiamo visto nel caso del capitale individuale, che il successivo depositarsi in denaro, che viene tesaurizzato, delle sue parti costitutive fisse consumate trova la sua espressione anche nella riproduzione sociale annua” (75).

Il condizionamento reciproco dei capitali deve essere tale che si possa

verificare in tutto il sistema sia il fenomeno della riproduzione che quello dell’accumulazione. A questo livello l’integrazione delle parti è completa.

Si può schematizzare il II libro nel modo seguente: I sezione: i cicli di un capitale. Il sezione: gli effetti della rotazione sulle varie parti di quel capitale e il

loro influsso sui processi produttivi e lavorativi, sul saggio del plusvalore e sull’entità del capitale monetario, necessario, perché il ciclo possa continuare.

III sezione: la sintesi dei due precedenti processi, visti alla luce del capitale sociale complessivo, vale a dire di tutti i capitali nel loro intersecarsi.

c) Come nel I libro, anche nel Il abbiamo una disposizione che va dal semplice al complesso, dall’astratto al concreto secondo un ordine progressivo. Le categorie della III sezione presuppongono quelle più semplici della Il e della l, ma l’essenza o la verità della Il e della I è nella III. L'ultimo

73 - Ivi, p. 9-10. 74 - Ivi, cap. 20°, p. 51. 75 - Ivi, cap. 21°, p. 150.

17

diventa primo. L'ultimo nell’esposizione è il primo nell’organizzazione logica del concreto, ossia del fenomeno preso nel suo complesso.

Il II libro non è che il I visto nel processo complessivo, tenendo fermo che la circolazione non è un accidente esterno alla produzione, ma rappresenta un'integrazione del processo produttivo. Per Marx integrare non significa aggiungere o giustapporre, significa invece modificare (76).

Gli schemi dialettici del I libro non possono essere identificati con quelli del II, perché nel I si studia il formarsi di un sistema produttivo, nel II invece il suo ruotare. Le leggi della formazione di un organismo sono diverse dalle leggi del movimento del sistema di cui l’organismo è parte integrante, ma distinta.

Nel I libro si procede sulla base del passaggio di una categoria in un'altra superiore, in un processo di crescita. La merce diventa denaro, il denaro diventa capitale, il capitale a sua volta diviene plusvalore fino all’inversione finale. Nel II libro invece le leggi dialettiche si fondano essenzialmente sulla complessa reciprocità delle parti, in cui gli elementi sono già dati in partenza. Marx raccomanda spesso di non confondere la produzione con la circolazione, attribuendo a questa ciò che spetta solo alla prima. Si devono distinguere le leggi della vita organica interna dalle leggi dei rapporti esterni di vita (77).

76 - Si veda libro III, cap. 2°, p. 73, e cap. 4°, p. 104. 77 - Ivi, libro III, cap. 2°, p. 73.

18

Terzo libro. a) Il terzo libro si apre con una pagina metodica di grande interesse per

stabilire il ruolo di questo libro nel contesto generale Marx dice: “Scopo del presente volume non può essere quello di esporre riflessioni generali su

siffatta unità; si tratta piuttosto di scoprire ed esporre le forme concrete che sorgono dal processo di movimento del capitale considerato come un tutto” (78).

In questo passo evidentemente Marx non si riferisce alla forma del

capitale complessivo della III sezione del Il libro, cioè alla riproduzione allargata, in cui studia i rapporti tra le varie parti dei capitali nel processo di riproduzione. L’unificazione dei capitali in un processo complessivo viene vista ormai non più per capire come ogni parte esista e si riproduca in rapporto al tutto, bensì come la riproduzione comporti una serie di sviluppi particolari in conseguenza del saggio generale del profitto prodotto dalla concorrenza.

“Nel loro movimento reale, prosegue Marx, i capitali assumono l’uno nei confronti

dell’altro tali forme concrete, in rapporto alle quali l’aspetto del capitale nel processo immediato di produzione, così come il suo aspetto nel processo di circolazione, appaiono soltanto come momenti particolari” (79).

Le nuove forme che i capitali assumono - sicuramente Marx si riferisce

al saggio medio del profitto, al nuovo rapporto tra plusvalore e profitto e quindi ai prezzi - trasformano in momenti particolari gli aspetti del capitale nati nella produzione e nella circolazione. Momento particolare, secondo la terminologia dialettica, significa, in questo contesto, momento subordinato all’interno di un tutto. Non è quindi la produzione che nel sistema capitalistico assegna le parti alla circolazione o al movimento effettivo dei capitali nei confronti l’uno dell’altro, bensì è quest'ultimo movimento che assegna un ruolo alla circolazione e alla produzione, rendendole particolari.

Marx vuol dire che la produzione e la circolazione, così come ce le ha esposte nei primi due libri, hanno una forma astratta, da laboratorio, ma che i fenomeni alla superficie, cioè nella realtà effettiva, sono molto più complessi. O, più precisamente, che le cose vanno viste prima nella loro semplice immediatezza e poi alla luce del sistema complessivo, da cui otterranno un ruolo subordinato.

“Gli aspetti del capitale, - dice infatti Marx - come noi li svolgiamo nel presente

volume, si avvicinano quindi per gradi alla forma in cui essi si presentano alla superficie della società, nell’azione dei diversi capitali l’uno sull’altro, nella concorrenza e nella coscienza comune degli agenti stessi della produzione” (80).

Seguiamo il procedimento di Marx in modo più dettagliato. Il capitale anticipato è uguale al prezzo di costo (81). Solo il capitale

variabile crea plusvalore, anche se le altre parti del capitale sono necessarie (82). Differenze tra saggio del plusvalore e saggio del profitto (83), ma loro identità quantitativa (84). Plusvalore e saggio del plusvalore sono l’invisibile, 78 - Ivi, cap. 1°, p. 55. 79 - Ivi, p. 55. 80 - Ivi, p. 55. 81 - Ivi, pp. 60-61. 82 - Ivi, cap. 2°, p. 71. 83 - Ivi, p. 72. 84 - Ivi, p. 77.

19

l’essenziale da scoprire, mentre profitto e saggio del profitto (forme del plusvalore) sono evidenti alla superficie (85). Il plusvalore diventa profitto e non viceversa (86).

Segue una pagina riassuntiva molto importante in cui Marx dice: “Nel processo di circolazione, accanto al tempo di lavoro, entra in azione il tempo di

circolazione, il quale in tal modo limita la massa del plusvalore realizzabile in un determinato intervallo di tempo. Anche altri fattori derivanti dalla circolazione interferiscono in misura determinante nel processo immediato della produzione. I due processi, quello immediato di produzione e quello di circolazione, confluiscono e si compenetrano costantemente, e quindi falsano di continuo i loro caratteristici segni distintivi. La produzione del plusvalore e del valore in genere riceve, come già mostrammo in precedenza, nuove determinazioni nel processo di circolazione; il capitale percorre il ciclo delle sue trasformazioni; esso alla fine trapassa per così dire dalla sua vita organica interna [l e Il libro] a rapporti esterni dI vita, a rapporti, in cui si contrappongono non capitale e lavoro, ma capita;le e capitale da una parte, gli individui come compratori e venditori dall’altra” (87). (l corsivi sono miei, E. G.).

Intersecandosi quindi produzione e circolazione sembra che il tempo di

produzione e quello di circolazione determinino entrambi il plusvalore. Il plusvalore sembra derivare dalla eccedenza del prezzo di vendita sul prezzo di costo (88). Pluslavoro e plusvalore vengono mascherati. Marx invece vuol dire che la circolazione influenza la produzione del plusvalore fino a generare nuove determinazioni di esso, agisce sul plusvalore, lo modifica ma non lo crea.

Gli economisti classici scambiano il profitto con il plusvalore, ciò che va al capitale con ciò che produce il lavoro, il soggettivo con l’oggettivo (89). Nel plusvalore viene data evidenza al rapporto capitale-lavoro; nel profitto al capitale con se stesso (hegelianamente). Il profitto vela il plusvalore. Il profitto, essendo la forma fenomenica del plusvalore, deve essere tratto da questo tramite un processo di analisi (90). Marx vuol dire che nella realtà il plusvalore esiste come l’interno del profitto e che per conoscere il primo bisogna penetrare all’interno del secondo. Nel primo libro sembrava vero tutto il contrario, che cioè il profitto fosse una manifestazione del plusvalore, da esso deducibile attraverso la detrazione di certi costi. Per riprendere la stessa formula di Marx, come nel III libro il plusvalore si cela nel profitto e bisogna tirarlo fuori per analisi, così nel primo il profitto si cela nel plusvalore e lo si tira fuori per analisi.

Alla superficie del sistema quindi il capitale appare come rapporto a se stesso, cioè come processo di autogenerazione (91).

Lo stesso discorso torna nei Grundrisse, dove si legge: “Il capitale è ora realizzato non solo come valore che si riproduce e quindi si

perpetua, ma anche come valore che crea valore...Esso si riferisce al plusvalore come il fondamento a ciò che da esso è fondato. Il suo movimento consiste nel fatto che, mentre esso si produce, si riferisce contemporaneamente, come fondamento di sé in quanto fondato, come valore presupposto, a sé medesimo in quanto plusvalore o al plusvalore in quanto posto da esso…Il capitale, muovendo da sé quale soggetto attivo, soggetto del processo...si riferisce a sé come al valore moltiplicantesi, ossia si riferisce al plusvalore come a ciò che esso ha creato e fondato; come fonte di produzione, a se stesso come prodotto; come valore

85 - Ivi, p. 72. 86 - Ivi, p. 72. 87 - Ivi, p. 73. 88 - Ivi, pp. 72-73. 89 - Ivi, p. 74. 90 - Ivi, p. 77. 91 - Ivi, p. 78.

20

che produce, a se stesso come valore prodotto. Esso perciò misura il valore nuovo prodotto non più attraverso la sua misura reale, ossia attraverso il rapporto tra pluslavoro e lavoro necessario, bensì su se stesso come suo presupposto” (92).

Marx critica il tentativo di svincolare il profitto dal plusvaIore, il capitale

dal lavoro, e afferma che tutto ciò che determina il saggio del plusvalore (valore del denaro, rotazione, produttività, lunghezza della giornata lavorativa, intensità, salario) determina anche il saggio del profitto (93).

b) Nella Il sezione Marx riprende lo stesso discorso, ma non più in relazione alle differenze del saggio del profitto che si verificano in un singolo capitale a causa delle variazioni della composizione organica e della rotazione, bensì in relazione alle differenze del saggio del profitto che si verificano nei capitali investiti in varie sfere della produzione, coesistenti nel medesimo periodo di tempo (94). Le cause di tale diversità dipendono ancora dalla composizione organica e dalla rotazione nelle varie branche produttive, rimanendo immutata ogni altra circostanza (95).

Nel capitolo 9° della stessa sezione Marx inserisce una delle categorie fondamentali del III libro: la concorrenza e, conseguentemente, il saggio generale del profitto. Fondamentale perché essa determina una condizione di esistenza identica per tutti i singoli capitali, togliendo importanza alle peculiari caratteristiche di ciascuno e creando una dimensione unitaria a cui non è possibile sfuggire. In termini diversi, potremmo dire che la concorrenza determina il formarsi di una condizione storica universale, entro cui il singolo capitale è costretto a muoversi.

Dal punto di vista del metodo è molto importante sottolineare che per Marx è possibile parlare di universale in termini materialistici. L'universale è quella condizione generale che, volta per volta, la storia, anche se fatta di individui, impone agli individui stessi. Come infatti non è stato possibile sottrarsi individualmente nel medioevo ai rapporti di produzione feudali e alle loro regole, così non è possibile sottrarsi individualmente in epoca moderna ai rapporti di produzione capitalistici

La concorrenza quindi, creando condizioni generali di esistenza, unifica il saggio del profitto (96). Ciò dipende dal fatto che il capitale individuale è un'astrazione, perché in realtà esiste sempre all’interno del capitale sociale complessivo. Infatti riguardo al profitto i capitalisti sono come azionisti di una società per azioni (97). La concorrenza inoltre, unificando i profitti, unifica quella parte del prezzo che dipende dal profitto (98).

L’avvento del saggio generale del profitto assume per Marx una funzione essenziale, al punto che le principali categorie dei libri precedenti si ripresentano ora con caratteristiche diverse e, a volte, dialetticamente opposte.

Seguiamo da vicino il procedimento del Capitale. Marx in un primo momento aveva detto che il valore della merce derivava dai prezzi di costo più il plusvalore; ora, sulla base del saggio medio del profitto, fa derivare il prezzo di produzione dal prezzo di costo più il saggio del profitto (99). Il saggio generale del profitto, calcolandosi sulla base di tutte le sfere della produzione,

92 - Lineamenti, vol. Il, pp. 455-56. 93 - Il Capitale, libro III, cap. 3°, pp. 79-82. 94 - Ivi, cap. 8°, p. 187. 95 - Ivi, pp. 192 e 195. 96 - Ivi, cap. 9°, p. 203. 97 - Ivi, p. 203. 98 - Ivi, p. 203. 99 - Ivi, p. 203.

21

dipende quindi non solo dalla composizione organica di ogni singolo settore, ma anche dalla grandezza del capitale impegnato in ogni sfera (100).

Ma la metamorfosi delle categorie prosegue. Dice infatti Marx: “Nei libri I e II abbiamo studiato soltanto i valori delle merci. Ora, da un lato il prezzo

di costo si presenta per conto proprio alla nostra osservazione come una parte di questo valore, mentre dall’altro assistiamo allo sviluppo di una nuova forma del valore, il prezzo di produzione della merce” (101).

Se il prezzo di produzione fosse solo il risultato della somma di vecchie

grandezze non si parlerebbe di una nuova forma del valore. È a questo punto che Marx compie un importantissimo passo avanti, mostrando come il rapporto tra prezzi di costo e prezzi di produzione si complica ulteriormente fino a confondersi. Questo il testo del Capitale:

“L'esposizione ora fatta introduce invero una modificazione nella determinazione del

prezzo di costo delle merci. Si era dapprima partiti dalla supposizione che il prezzo di costo di una merce sia eguale al valore delle merci consumate nella produzione di essa. Però, per il compratore, il prezzo di produzione di una merce si identifica col prezzo di costo di essa e può quindi entrare come tale nella formazione del prezzo di una nuova merce. Dato che il prezzo di produzione può differire dal valore della merce, anche il prezzo di costo di una merce, in cui è incluso il prezzo di produzione di altre, può essere superiore o inferiore a quella parte del valore complessivo di essa costituita dal valore dei mezzi di produzione che entrano in quella merce. È necessario tener presente questo nuovo significato del prezzo di costo e ricordare quindi che un errore è sempre possibile quando, in una determinata sfera di produzione, il prezzo di costo della merce viene identificato col valore dei mezzi di produzione in essa consumati. L’indagine che stiamo presentemente compiendo non richiede che ci si addentri in un esame più particolareggiato di questo punto” (102).

Come i prezzi di produzione non corrispondono al valore, così anche i

prezzi di costo non vi corrispondono, in quanto le merci che entrano nel ciclo produttivo sono acquistate al prezzo di produzione. Marx ci dà una indicazione di metodo essenziale per il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione, ma non ritiene di doverla sviluppare (103).

c) Finora si era constatata una differenza tra saggio del profitto e del

plusvalore, ma non tra profitto e plusvalore. Nel momento in cui viene prodotto un saggio del profitto generale diventa casuale che massa di profitto e di plusvalore, in una specifica sfera della produzione, corrispondano.

“Si deve ora soltanto al caso se il plusvalore, e quindi il profitto, effettivamente

prodotto in una particolare sfera di produzione coincide col profitto contenuto nel prezzo di vendita della merce. Di regola il profitto e il plusvalore, e non soltanto il loro saggio, sono ora grandezze effettivamente differenti” (104).

Nei prezzi tutto si maschera data la differenza tra profitto e plusvalore,

e si maschera non solo al capitalista ma anche all’operaio (105).

100 - Ivi, p. 208. 101 - Ivi, p. 208. 102 - Ivi, p. 210. 103 - Al passo precedente fa per lo più riferimento l’annosa discussione sul “problema” della trasformazione. Qui tuttavia astraiamo completamente da tale questione e ci limitiamo a ricostruire il ragionamento di Marx, così come è presente nel testo, al fine di evidenziarne il metodo. 104 - Il Capitale, libro III, cap. 9°, p. 213. 105 - Il Capitale, libro III, cap. 9°, p. 213.

22

È essenziale capire cosa si cela, a parere di Marx, sotto la maschera dei prezzi.

La famosa “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” non deve essere intesa, a nostro parere, come se i valori si possano esprimere matematicamente in prezzi; è vero piuttosto che i valori hanno ora perduto la forma e il ruolo che possedevano nelle astrazioni del I libro, per assumere forma e ruolo di prezzi, dato che questi ultimi ormai non sono più una diretta filiazione dei valori. Infatti i prezzi non rappresentano più la somma meccanica dei valori incorporati, vale a dire non sono la loro espressione monetaria, ma piuttosto la loro metamorfosi. Nei prezzi, secondo Marx, i valori ci sono e non ci sono. Ci sono perché il lavoro crea valore e le merci sono lavoro oggettivato; non ci sono perché nei prezzi lavoro e valore non corrispondono.

Marx osserva come per l’intervento del saggio generale di profitto: “Sulla base del valore di scambio si sviluppi un prezzo di mercato diverso da questo

o, meglio, come la legge del valore di scambio si realizzi soltanto nel proprio opposto” (106). Mentre nel I libro si hanno provvisoriamente prima i valori-lavoro e poi i

prezzi, come derivati, nel III invece, cioè nella realtà, si hanno prima i prezzi e poi i valori (107).

Non si annulla in tal modo il I libro, se ne rovescia soltanto il rapporto. Se nel I libro era il lavoro sociale incorporato in una merce individuale, e come tale misurabile con esattezza, a formare il prezzo, nel III vediamo che la concorrenza ha sconvolto tutto, unificando i capitali individuali in un solo capitale sociale. Li ha così incatenati alla stessa sorte, trasferendo le differenze tra capitale e capitale, in relazione alla divisione del profitto, dall’ammontare della parte variabile all’ammontare del capitale complessivo e rendendo impossibile la misurazione individuale del valore e del plusvalore.

“La trasformazione - dice Marx - dei valori in prezzi di produzione, impedisce di

vedere la base su cui si fonda la determinazione del valore...Il profitto gli appare [al capitalista] come qualcosa che rimane al di fuori del valore immanente della merce. A questa idea viene ora pienamente data conferma, solidità, struttura; poiché infatti, se si considera una particolare sfera di produzione, il profitto aggiunto al prezzo di costo non è determinato dai limiti della formazione di valore che in esso avviene, ma è invece determinato completamente al di fuori di essi” (108).

È opportuno ricordare tuttavia che Marx non nega mai la legge del

valore-lavoro, anche se nel III libro essa è applicabile soltanto al capitale complessivo. Ciò che nel I libro sembrava valido per un singolo capitale ora è valido solo per il capitale nella sua totalità. In esso plusvalore e profitto coincidono e non coincidono: coincidono dal punto di vista della totalità, non coincidono nelle parti, poiché si distribuiscono in modo ineguale, parallelamente ai prezzi.

d) Ormai si spiega come il fondamento, da cui il capitalista trae l’idea che il profitto derivi tutto dal capitale totale, sia reale anche se superficiale (109).

Le formule del I libro, tendenti a stabilire i rapporti tra le varie parti del capitale, il plusvalore e quindi i prezzi, sono provvisorie, perché astratte. Esse funzionerebbero se il capitale non circolasse e se non ci fosse un uguale saggio del profitto (ed altri fenomeni secondari). Quindi non le dobbiamo 106 - K. Marx, cit. sec. R. Rosdolsky, op. cit., p. 432. 107 - S veda anche la prefazione di Engels al III Libro del Capitale. 108 - Il Capitale, libro III, cap. 9° , p. 214. 109 - Ivi, pp. 215-216.

23

considerare formule false, ma soltanto volutamente provvisorie, e tali che debbano essere superate in una visione più complessiva del sistema capitalistico. Nell’esposizione dialettica ogni momento è provvisorio e attende di essere superato.

Quindi, mentre nel I libro la misura del valore-lavoro determina il prezzo nel capitale singolo, ora, nel III, il prezzo contiene il valore. Cioè, mentre nel I libro il lavoro incorporato determina il plusvalore e quindi il profitto e il prezzo, ora, nel III libro, sempre in riferimento al capitale individuale, avviene esattamente l’opposto: è il prezzo che determina la quota di plusvalore che spetta ad ogni singolo capitale.

Il rapporto però si inverte di nuovo se consideriamo il capitale complessivo. La sequenza torna a procedere dal lavoro (complessivo), al plusvalore (complessivo), al prezzo (complessivo) (110).

Nel I libro Marx ipotizza, per il capitalista singolo, la possibilità di acquistare tutto, lavoro compreso, a prezzo di costo, cioè al valore di scambio; nel III libro, cioè nel rapporto tra capitali, sostiene che non esiste più il prezzo di costo (o il valore di scambio), perché quest'ultimo è trapassato in prezzo di produzione. Mentre nel I libro il prezzo corrisponde al valore e al lavoro, nel III viene annullata ogni corrispondenza per la diversa distribuzione del plusvalore. Nel I libro si ha un determinato rapporto tra le categorie, ora:

“Nella concorrenza tutto ciò sembra invertito. La forma definitiva dei rapporti

economici, quale si manifesta alla superficie, nella sua esistenza reale, e quindi l’idea che gli agenti attivi e passivi di tali rapporti cercano di farsene per arrivare a comprenderli, differiscono considerevolmente dalla intima, essenziale, ma nascosta struttura fondamentale di questi rapporti e dal concetto che ad essi corrisponde, anzi ne rappresentano addirittura il rovesciamento, l’antitesi” (111).

Si mediti anche sul seguente passo dei Grundrisse: “Poiché il valore creato nel processo di produzione realizza il suo prezzo nello

scambio, il prezzo del prodotto si presenta determinato in realtà dalla somma di denaro che esprime l’equivalente della quantità complessiva di lavoro contenuta nella materia prima, nel macchinario, nei salari e nel pluslavoro non pagato. Qui dunque il prezzo si presenta ancora soltanto come modificazione formale del valore; valore espresso in denaro; ma la grandezza di questo prezzo è presupposta nel processo di produzione del capitale. Quindi il capitale qui determina il prezzo, sì che il prezzo è determinato dagli anticipi fatti dal capitale + il pluslavoro da esso realizzato nel prodotto. Noi vedremo in seguito come viceversa il prezzo determinerà il profitto. E se qui i costi di produzione complessivi reali si presentano come costi che determinano il prezzo, in seguito il prezzo determinerà i costi di produzione. La concorrenza, per imporre al capitale le sue stesse leggi immanenti come una necessità esterna, apparentemente le sconvolge tutte. Le inverte” (112).

Marx in sostanza vuol dire che il lavoro, il plusvalore e i costi di

produzione rimangono sempre la struttura basilare del profitto e dei prezzi, anche se in superficie l’ordine viene rovesciato e il fenomenico si mostra come il sostanziale. Non bisogna assolutamente confondere tra le priorità dei due ordini. Il profitto e i prezzi sono ultimi nell’ordine sostanziale, ma primi nell’ordine fenomenico. Sarebbe però errato credere che l’apparenza, in questo caso, equivalga ad una semplice mistificazione soggettiva. L'apparenza, ossia il mondo fenomenico, è la realtà del sistema capitalistico così come si manifesta in superficie, cioè nel mondo percepibile

110 - Ivi, cap. 10, pp. 219-27. 111 - Ivi, cap. 12°, p. 259. 112 - Lineamenti, vol. II, pp. 477-78.

24

quotidianamente. Il mondo fenomenico, l’esterno, è esattamente antitetico, opposto rispetto all’interno. Ma l’uno esiste al pari dell’altro.


Recommended