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La Terapia Insulinica nel Diabete Mellito Tipo 2 · 2016-09-27 · nuovi farmaci, la strategia di...

Date post: 16-Mar-2020
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La Terapia Insulinica nel Diabete Mellito Tipo 2 Coordinamento Scientifico Stefano Del Prato Giorgio Sesti Comitato di Esperti Riccardo C. Bonadonna, Agostino Consoli, Francesco Dotta, Carmine G. Fanelli, Edoardo Mannucci, Roberto Miccoli, Antonio E. Pontiroli, Paolo Pozzilli, Giacomo Vespasiani, Riccardo Vigneri Attualità in Diabetologia e Malattie Metaboliche La posizione degli Esperti ®
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La Terapia Insulinica nel Diabete Mellito Tipo 2

Coordinamento ScientificoStefano Del Prato

Giorgio Sesti

Comitato di EspertiRiccardo C. Bonadonna, Agostino Consoli, Francesco Dotta,

Carmine G. Fanelli, Edoardo Mannucci, Roberto Miccoli, Antonio E. Pontiroli, Paolo Pozzilli, Giacomo Vespasiani,

Riccardo Vigneri

Attualità in Diabetologia e Malattie MetabolicheLa posizione degli Esperti®

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Coordinamento organizzativo

Attualità in Diabetologia e Malattie MetabolicheLa posizione degli Esperti®

Stefano Del Prato (Coordinatore Scientifico)Dipartimento di Endocrinologia e MetabolismoUniversità degli Studi di Pisa

Giorgio Sesti (Coordinatore Scientifico)Dipartimento di Medicina Sperimentale e ClinicaUniversità degli Studi «Magna Græcia» di Catanzaro

Riccardo C. BonadonnaDivisione di Endocrinologia e Malattie MetabolicheOspedale Civile Maggiore di Verona

Agostino ConsoliDipartimento di Medicina e Scienze dell’InvecchiamentoUniversità degli Studi di Chieti «G. d’Annunzio»

Francesco DottaU.O. Diabetologia Dipartimento di Medicina Interna, Scienze Endocrine e MetabolicheUniversità degli Studi di Siena

Carmine G. FanelliDipartimento di Medicina Interna, Scienze Endocrine e MetabolicheUniversità degli Studi di Perugia

Edoardo MannucciAgenzia DiabetologicaAzienda Ospedaliero-Universitaria «Careggi» - Firenze

Roberto MiccoliDipartimento di Endocrinologia e MetabolismoUniversità degli Studi di Pisa

Antonio E. PontiroliDipartimento di Medicina, Chirurgia e OdontoiatriaUniversità degli Studi di Milano e Ospedale «San Paolo» - Milano

Paolo PozzilliArea di Endocrinologia e DiabetologiaUniversità Campus Bio-Medico di Roma

Giacomo VespasianiU.O. Diabetologia - ASL 12 - Ospedale «Madonna del Soccorso»San Benedetto del Tronto - Ascoli Piceno

Riccardo Vigneri Dipartimento di EndocrinologiaOspedale «Garibaldi» di Nesima - Catania

AUTORI

La Terapia Insulinica nel Diabete Mellito Tipo 2

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INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5

Esiste un difetto β-cellulare nel DMT2?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 7

Quando insorge il difetto β-cellulare nel DMT2? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 9

Quando iniziare il trattamento insulinico? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 10

Insulinizzazione basale o prandiale per iniziare? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 11

Insulina in monoterapia o in combinazione con ADO?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 13

Come progredire con il trattamento insulinico? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 15

Qual è il rischio di ipoglicemia con la terapia insulinica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 16

Qual è il rischio di incremento ponderale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 18

Il trattamento insulinico aumenta il rischio CV?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 19

Il trattamento insulinico aumenta il rischio di neoplasia? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 21

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 23

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INTRODUZIONE

La terapia insulinica ha rappresentato un modello esemplare nella storia della medicina della traslazionedalla clinica alla ricerca e viceversa. L’insulina è stato il primo ormone isolato per scopi terapeutici, il pri-mo ormone dosato mediante tecnica radio-immunologica, il primo ormone prodotto in larga scala me-diante la tecnica del DNA ricombinante, il primo ormone modificato per ottenere analoghi con caratteri-stiche farmaco-cinetiche e farmaco-dinamiche particolarmente utili al trattamento. Contemporaneamen-te alla evoluzione delle nuove formulazioni insuliniche si sono evolute le strategie di trattamento volte agarantire un controllo metabolico ottimizzato con il minore impatto possibile sulle complicanze. Questaevoluzione ha sicuramente contribuito ad un più efficace trattamento del diabete tipo 1. Al contrario, neldiabete tipo 2 il trattamento insulinico continua ad essere oggetto di discussione e di incertezza. Le proble-matiche ancora aperte sono numerose e interessano il momento in cui iniziare il trattamento insulinico, iltipo di trattamento iniziale (basale o prandiale?), le possibili combinazioni con antidiabetici orali e connuovi farmaci, la strategia di somministrazione (basal plus o basal bolus?), il rischio di ipoglicemia,l’impatto sul peso corporeo, sul rischio cardiovascolare e, come recentemente discusso, quello di neoplasia.Questo documento redatto da un gruppo di esperti esplora tutti gli aspetti della terapia insulinica nel pa-ziente con diabete tipo 2 prendendo spunto da alcuni elementi di fisiopatologia necessari per comprendereil razionale del trattamento insulinico. Il documento, come è ormai tradizione di questa formula, procedeper quesiti cui viene data una risposta quanto più possibile basata sulle evidenze della letteratura. Siamo,per questo, convinti che il documento possa offrire una sintetica ma valida guida per il medico, specialistae non, che affronti questa forma di trattamento e possa contribuire a superare l’inerzia terapeutica e lebarriere spesso frapposte al corretto uso di questa fondamentale terapia.

Stefano Del Prato Giorgio Sesti

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ESISTE UN DIFETTO β-CELLULARE NEL DMT2?

Il difetto a carico delle β-cellule del paziente con dia-bete tipo 2 (DMT2) è il risultato della concomitanteriduzione della loro massa e della loro funzione. Aquesti difetti contribuiscono sia fattori genetici cheambientali in un complesso processo di interazionesemplificato nella Figura 1(1).Il difetto β-cellulare rappresenta un’alterazione preco-ce nella storia naturale della malattia. Lo studio UKPDS(2) ha evidenziato come, già al mo-mento della diagnosi di diabete, la funzione β-cellula-re è ridotta del 50%, e che tale compromissione con-tinua a progredire negli anni seguenti. Vari meccanismi possono contribuire alla riduzionedella massa β-cellulare tra cui un’insufficiente neoge-nesi insulare, un aumento dell’apoptosi (nei pazientidiabetici, per ogni nuova β-cellula che si forma nemuoiono circa 10), l’ipertrofia compensatoria. Alla ri-duzione della massa, più tipicamente, si associa un’al-terata funzione β-cellulare. Nel DMT2 la risposta al-lo stimolo glucidico è deficitaria anche se persiste unarisposta ad altri tipi di stimoli (arginina o sulfonilu-ree), suggerendo una selettività del difetto(3). Diversi fattori ambientali, combinati con una predi-sposizione genetica, rendono le β-cellule più suscettibi-li ad insulti patogeni ed a stimoli dannosi come la lipo-tossicità e l’accumulo intrapancreatico di amiloide(4). Negli ultimi anni sono state individuate varianti ge-

netiche associate ad una vulnerabilità β-cellulare. Unruolo particolare è stato attribuito a polimorfismi delPPARγ, del Kruppel-like factor-11 (KLF11) e delTranscription factor 7-like 2 (TCF7L2). Le varianti ge-niche del TCF7L2 rappresentano, al momento, il fat-tore genetico in grado di conferire un elevato rischiodi diabete. Il TCF7L2 regola l’espressione del pro-glucagone e la sua mutazione è stata associata ad unaridotta risposta al GLP-1 (Glucagon-Like Peptide-1),incretina che svolge un importante ruolo nei mecca-nismi di compenso della β-cellula. Un difetto di fun-zione β-cellulare è stato associato anche a varianti ge-niche del gene KCNJ11 codificante per un compo-nente del canale del potassio ATP-dipendente, ele-mento determinante per la stimolazione della secre-zione insulinica.Come già ricordato, su questo background genetico siinserisce l’insulto ambientale. L’obesità rappresentauno dei principali fattori di rischio per il DMT2, conun meccanismo legato sia all’esacerbazione dell’insuli-no-resistenza sia all’azione deleteria diretta sulla β-cel-lula mediata dall’eccesso di acidi grassi circolanti(FFA) e dal concomitante stato infiammatorio, unacondizione stigmatizzata come lipotossicità.L’esposizione di isole pancreatiche umane a concen-trazioni elevate di FFA determina un aumento di sti-moli pro-apoptotici nelle β-cellule, riduzione della se-crezione insulinica ed alterazione del metabolismo in-tracellulare del glucosio(5). In soggetti con DMT2, aparità di massa corporea, è stato riscontrato un accu-mulo anomalo di lipidi all’interno delle β-cellule; talidepositi lipidici sono inversamente proporzionali allafunzione β-cellulare(6). I meccanismi di danno da li-potossicità sono molteplici ed articolati, quali la for-mazione di cataboliti tossici come ceramide ed acidigrassi a catena lunga, l’attivazione della protein china-si-C (PKC) e l’aumento dello stress ossidativo. Anche l’iperglicemia, una volta instauratasi, contri-buisce, mediante l’esacerbazione dello stress ossidati-vo, ad accelerare la perdita di funzione β-cellulare.Dati sperimentali hanno dimostrato un’aumentataespressione di geni pro-apoptotici (Bad, Bid, Bik) incellule di pancreas umano esposte ad alte concentra-zioni di glucosio. Al contrario, l’espressione del geneanti-apoptotico Bcl-2 non risultava aumentata, men-tre ridotta era quella di Bcl-xL(7). Anche l’attivazionedel sistema immunitario sembra contribuire al danno

Messaggi chiave

• Il difetto di secrezione nel diabete mellito tipo 2 èsecondario a:- difetto di massa β-cellulare;- difetto di funzione β-cellulare.

• La predisposizione genetica (p.es. TCF7L2) insie-me alle alterazioni metaboliche (gluco- e lipotos-sicità) ha un ruolo determinante nell’inizio e nellaprogressione del danno β-cellulare.

• La sopravvivenza delle isole pancreatiche agli agen-ti farmacologici è variabile (Sulfoniluree < Metfor-mina < TZD < GLP-1).

• Evidenze sperimentali hanno dimostrato un pos-sibile effetto protettivo dell’insulina nei confrontidelle β-cellule.

LA TERAPIA INSULINICA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2

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β-cellulare probabilmente modulando la risposta in-fiammatoria associata all’aumento del tessuto adiposoe alle perturbazioni metaboliche.Un ruolo chiave nella disfunzione della β-cellula delpaziente con DMT2 è stato attribuito anche all’accu-mulo di amiloide extracellulare. La secrezione di insu-lina da parte delle 2000/3000 β-cellule presenti inogni isola di Langerhans è altamente sincronizzatacon un ciclico rilascio di insulina che avviene ognicirca 4 minuti. Tale sincronia dipende da messaggi in-tercellulari di tipo elettrico (depolarizzazioni di mem-

brana) trasmessi attraverso le tight- e le gap-junction.Gli oligomeri di amiloide extracellulare (human IsletAmyloid Polypeptide - h-IAPP) sarebbero in grado dialterare la propagazione del segnale intercellulare conconseguente rallentamento del processo di sincroniz-zazione e riduzione della secrezione insulinica(8). La sopravvivenza della β-cellula nel DMT2 può esse-re influenzata dal tipo di trattamento anti-iperglice-mizzante(9). Lungamente e largamente usate, le sulfoniluree sonostate recentemente poste sotto osservazione a causa di

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LA TERAPIA INSULINICA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2

Figura 1. Meccanismi implicati nella patogenesi del DMT2. (Mod. da: Kahn SE, et al. Nature, 2006)(1)

Geni dell’obesità e dell’insulino-resistenza:• Leptina• Recettore della leptina• PC1• POMC• Recettore MC4• Recettore dell’insulina• PPARγ

β-cellula normale β-cellula suscettibile

Aumento della funzionalità β-cellulareAumento della crescita β-cellulare

Normale tolleranza al glucosioIperinsulinemia compensatoria

Fattori ambientali Grassi/calorieAttività fisica

Geni della crescita e della disfunzione β-cellulare:• HNF1α• HNF4α• Kir6.2• TCF7L2• DNA mitocondriale

Disfunzione β-cellulareApoptosi β-cellulare

Ridotta tolleranza al glucosio

Diabete Tipo 2

Obesità/insulino-resistenza

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LA TERAPIA INSULINICA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2

supposti effetti apoptotici, anche se vanno considera-te differenze che possono esistere tra le varie moleco-le. Studi in vivo hanno indicato un effetto negativosoprattutto per la glibenclamide, ma non per la glicla-zide, che svolgerebbe, invece, un effetto antiossidan-te(10). Risultati intermedi sono stati descritti per altrisecretagoghi, come repaglinide e nateglinide(11). Per quanto riguarda la metformina, gli studi in vivonon hanno dimostrato evidenti effetti sulla secrezionedi insulina, mentre in vitro è stato riportato un effettoprotettivo mediato da azioni anti-ossidanti(12). Più re-centemente è stato osservato che la metformina au-menta la disponibilità di GLP-1 con potenziali effettibenefici sulla β-cellula(13). Dal punto di vista clinico è più evidente l’effetto pro-tettivo o di «ringiovanimento» dei glitazoni. Nellostudio ADOPT(14) la perdita di funzione β-cellulareannua era massima con la glibenclamide, intermediacon la metformina e minima con il rosiglitazone. Aquesto effetto «protettivo» veniva ascritta, unitamentealla nota azione insulino-sensibilizzante, la maggiorepersistenza di un buon controllo glicemico. Questidati sono anche supportati da risultati in vitro secon-do i quali i glitazoni eserciterebbero una protezionedella funzione β-cellulare dal danno lipotossico(15).Effetti spiccati di protezione sono stati descritti in vi-tro e nell’animale da esperimento con le terapie basatesu GLP-1(16). Il GLP-1, fisiologicamente, partecipa almantenimento del giusto equilibrio tra apoptosi e ri-generazione β-cellulare(17). A fronte dell’evidenza pre-clinica, la prova di un efficace effetto protettivo nel-l’uomo è ancora mancante. L’unico studio di sufficiente durata(18) suggerisce che,almeno nel paziente con DMT2 di diagnosi non re-cente, l’effetto di miglioramento della funzione β-cel-lulare che si osserva con il trattamento con inibitoridell’enzima DPP-4 viene perso con la sospensionedella terapia.Infine, è utile ricordare un possibile effetto protettivodella terapia insulinica instaurata al momento delladiagnosi. I dati dello studio cinese di Weng et al.(19) dimostranoche un trattamento insulinico di breve durata in sog-getti con nuova diagnosi di DMT2 si associa ad unamaggiore incidenza e persistenza di remissione dellamalattia rispetto a quanto ottenuto con terapia congli antidiabetici orali (ADO).

QUANDO INSORGE IL DIFETTO β-CELLULARE NEL DMT2?

Negli ultimi decenni sono state condotte ricerche sul-la massa e sulla funzione β-cellulare sia in vitro sia invivo su modelli animali. I risultati di tali studi hannofornito importanti informazioni riguardo alla patoge-nesi del danno insulare e al suo corrispettivo clinico.Nell’uomo, tuttavia, con gli attuali test funzionali èpossibile «misurare» soltanto la massa funzionale β-cel-lulare, intesa come una media della funzione delle sin-gole cellule, espressione del prodotto della massa β-cellulare per la funzione di una singola β-cellula. Al momento della diagnosi del DMT2 oltre il 90%dei pazienti possiede una massa funzionale β-cellulareinferiore alla soglia del primo quartile della massafunzionale β-cellulare dei soggetti normali. Questa soglia, pur arbitraria, è identica a quella indi-viduata nella distribuzione dell’insulino-sensibilitàper definire un individuo insulino-resistente(20) co-sicchè in parallelo al deficit di massa funzionale β-cellulare anche l’insulino-resistenza è presente in cir-ca il 90% dei pazienti con diabete tipo 2 neo-dia-gnosticato. Funzione β-cellulare e insulino-resistenza sono impli-cate nel rischio di DMT2, ma non sono gli unici fat-tori. Numerose evidenze hanno dimostrato che l’obe -sità (calcolata come Body Mass Index - BMI), l’alterataglicemia a digiuno (Impaired Fasting Glucose - IFG),l’alterata tolleranza al glucosio (Impaired Glucose Tole-

Messaggi chiave

• Al momento della diagnosi del DMT2 il 90% deipazienti presenta sia un difetto di secrezione siaun difetto di azione insulinica (insulino-resisten-za).

• Un difetto di sensibilità della β-cellula al glucosioè già presente in soggetti con IFG o IGT.

• I soggetti con predisposizione familiare presenta-no una ridotta capacità di compensazione dell’in-sulino-resistenza.

• Una riduzione congenita della massa β-cellulare èipotizzabile nei soggetti a rischio.

• Gli studi di chirurgia bariatrica suggeriscono cheè possibile un recupero della funzione β-cellularea seguito di una consistente perdita di peso.

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rance - IGT), l’insulino-resistenza (calcolata medianteHOMA-IR Score)(21) e la ridotta massa β-cellulare(misurata mediante Sluiter’s Index)(22) sono predittoriindipendenti di rischio per DMT2(23). La secrezione insulinica si divide in due fasi: la primaè quella basale (o post-assorbimento) e la seconda èquella stimolata (o post-prandiale). La prima prevaledurante le fasi interprandiali e svolge un ruolo impor-tante durante il digiuno notturno; la seconda inveceregola il metabolismo del glucosio e si attiva quandola concentrazione plasmatica di glucosio è elevata. Asua volta la secrezione glucosio-stimolata riconosceuna prima fase rapida, della durata di pochi minuti,ed una seconda fase che perdura con il perdurare del-l’iperglicemia. Numerosi dati nell’animale e nell’uo-mo sostengono il ruolo cruciale della prima fase di se-crezione insulinica nell’omeostasi della glicemia post-prandiale. In questo processo, la funzione principale èsvolta dal fegato che, in risposta all’insulina, riducesensibilmente la produzione di glucosio, limitandonecosì l’aumento delle concentrazioni. Nel DMT2 laperdita della prima fase di secrezione insulinica e delsuo conseguente effetto sul fegato svolge un ruolo pa-togenetico chiave nell’iperglicemia post-prandiale(24).È interessante notare come la riduzione della primafase di secrezione insulinica sia già dimostrabile nellefasi precoci della malattia(25). In pazienti obesi di etàpediatrica è stato dimostrato come il peggioramentodella tolleranza glucidica si associa ad una lineare ri-duzione della prima fase di secrezione insulinica,mentre la seconda fase secretoria sarebbe alterata solonel passaggio da IGT a diabete conclamato(26). I fami-liari di primo grado di soggetti affetti da diabete, oltrea presentare un maggior rischio di sviluppare la ma-lattia, sono caratterizzati da un’alterazione della primafase di secrezione e da un iniziale aumento della glice-mia dopo carico orale di glucosio pur in presenza dinormoglicemia a digiuno(25). Poiché la massa funzionale β-cellulare è il risultato delprodotto della massa cellulare moltiplicata per la fun-zione media β-cellulare, basterebbe misurare nellostesso individuo massa funzionale e massa cellulareper ottenere tutti i termini dell’equazione. Purtroppoquesto è, al momento, tecnicamente impossibile. Stu-di autoptici, invece, si sono dedicati alla valutazionediretta della massa β-cellulare. I pazienti affetti daDMT2 presentano una riduzione del 65% della mas-

sa β-cellulare rispetto ai soggetti non diabetici. Lamassa residua è inversamente correlata alla durata del-la malattia(27). Peraltro, è ancora incerto se questa ri-duzione della massa β-cellulare possa da sola rendereconto del difetto di secrezione (massa funzionale β-cellulare) tipico del paziente con DMT2. A suggerireche probabilmente è più il difetto funzionale respon-sabile dell’alterata secrezione di insulina sono i risul-tati ottenuti dopo chirurgia bariatrica. Dopo l’inter -vento ed in una fase molto precoce, quando ancora ilcalo ponderale è insignificante, la glicemia spesso ten-de a normalizzarsi con recupero della funzione β-cel-lulare(28). Alla luce di questi dati, si può affermare che il deficit dimassa β-cellulare è in grado di rendere conto solo diuna parte del deficit secretorio presente nel DMT2.Inoltre, il difetto organico non sembra facilmente re-versibile, mentre maggiori possibilità si intravedonoper modificare positivamente il danno funzionale.

QUANDO INIZIARE IL TRATTAMENTOINSULINICO?

L’esposizione cronica all’iperglicemia correla conun’aumentata incidenza di complicanze microvasco-lari e comporta un maggior rischio di complicanzecardio- e cerebrovascolari(29). È ormai ampiamente di-mostrato che i livelli di HbA1c sono associati in ma-niera lineare ad un incremento del rischio per morta-lità totale e cardiovascolare (CV); questo tipo di rela-zione si conferma anche in pazienti con valori diemoglobina glicata considerati normali (ovvero tra il5 e il 7%)(30,31). L’iperglicemia nel paziente diabetico

Messaggi chiave

• Non esiste un consenso universale sul momentopiù opportuno in cui iniziare il trattamento insu-linico.

• Il trattamento insulinico deve essere preso in con-siderazione ogni qualvolta le altre forme di tera-pia non permettano di raggiungere il target glice-mico individuale.

• Il trattamento insulinico, anche temporaneo, al-l’esordio in pazienti scompensati (A1c >9%) ga-rantisce un’efficacia terapeutica.

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può essere, pertanto, considerata come un fattore dirischio indipendente per eventi CV; il controllo glice-mico deve quindi integrarsi con il trattamento di tut-ti gli altri fattori di rischio cardiovascolare. Il raggiun-gimento e, soprattutto, il mantenimento di un buoncontrollo glicemico richiede però una tempestività diintervento e, soprattutto, l’assunzione di un atteggia-mento pro-attivo grazie al quale si possa eliminareogni forma di inerzia terapeutica. Un siffatto atteggia-mento deve comprendere anche l’attenta valutazionedella terapia da attuare, incluso l’impiego della terapiainsulinica nel paziente con DMT2. La terapia insuli-nica non deve essere considerata come l’ultima opzio-ne terapeutica. Al contrario, essa dovrebbe essere pre-sa in considerazione sin dal momento della diagnosi,se esistono le indicazioni, nell’ambito delle decisionicondivise con il paziente e finalizzate alla prevenzionedelle complicanze. Le Linee Guida correnti, tra l’altro,indicano l’uso di insulina, eventualmente anche inter-mittente, in tutti i soggetti con un valore di HbA1c>9% al momento della diagnosi(32).Tale precocità di trattamento potrebbe avere risvoltipositivi anche in termini di protezione β-cellulare. Inuno studio condotto su circa 400 pazienti diabetici direcente diagnosi, il trattamento per un breve periodocon insulina (mediante microinfusori o con tecnicabasal bolus) si è dimostrato, rispetto al trattamentocon antidiabetici orali (ADO), in grado di assicurareuna maggior percentuale di remissione del diabete eper un periodo più lungo con concomitante persi-stenza di valida funzione β-cellulare(19). L’insulina,grazie ad un più efficace controllo glicemico, è in gra-do di migliorare il profilo lipidico, migliorare la sensi-bilità insulinica e la secrezione, con un effetto positi-vo su glico- e lipotossicità indotta dallo scarso con-trollo metabolico. Ne consegue un miglioramentodella funzione endoteliale(33) e una riduzione del ri-schio di sviluppare complicanze cardiovascolari(34).Inoltre l’insulina, al contrario di alcune sulfoniluree,ha effetti anti-apoptotici sulle β-cellule(35). Infine, laterapia insulinica è in grado di mantenere la secrezio-ne endogena di insulina stessa, preservando la funzio-ne β-cellulare(36). Peraltro, la maggior parte dei pazienti con DMT2viene inizialmente avviata ad un trattamento non in-sulinico. Ciononostante, nell’arco di qualche annomolti di questi pazienti andranno incontro ad un fal-

limento terapeutico(37). Numerosi sono i fattori che influenzano tale fallimen-to, quali il momento in cui è stata posta la diagnosirispetto alla storia naturale della malattia, il relativogrado di funzione β-cellulare, il grado di sovrappeso odi obesità associati, il tipo di ADO utilizzati, il gradodi controllo metabolico, la positività di auto-anticor-pi anti-β-cellula. Nel nostro Paese, circa il 4,5% dei pazienti diagnosti-cati come DMT2 presenta una positività per anticor-pi anti-GAD e/o anti-tirosina-fosfatasi IA-2. La ricer-ca di questi auto-anticorpi può permettere di identifi-care soggetti classificati con DMT2, ma in realtà af-fetti da diabete autoimmune latente dell’adulto (LA-DA). Età e titolo anticorpale anti-GAD sono impor-tanti predittori di una più rapida progressione all’in-sulino-dipendenza(38,39), per cui individuare i soggetticon LADA può evitare un ritardo nell’introduzionedell’insulina. In linea di massima si può concludere che la terapiainsulinica debba essere opportunamente considerata:• nei casi in cui il target glicemico non viene raggiun-

to durante altre forme di terapia, evitando quantopiù possibile l’inerzia terapeutica e l’utilizzo di far-maci poco efficaci, sebbene più maneggevoli;

• in pazienti con diabete scompensato all’esordio,con la possibilità, una volta ripristinato il buoncontrollo glico-metabolico, di ridurre o sostituire laterapia insulinica con altri farmaci.

INSULINIZZAZIONE BASALE O PRANDIALE PER INIZIARE?

Messaggi chiave

• Esistono ragioni fisiopatologiche alla base dell’im-piego dell’insulinizzazione sia basale che prandiale.

• Le Linee Guida suggeriscono l’insulinizzazionebasale come prima scelta anche alla luce di un piùfacile impiego e gestione.

• Seppure pochi, gli studi di confronto dimostrano:- una tendenziale maggiore riduzione del livello di

HbA1c con insulina prandiale;- un maggiore aumento ponderale con l’insulina

prandiale;- un minore rischio di ipoglicemia con l’insulina ba-

sale.

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Fatto salvo il valore e la necessità di implementare ereiterare l’importanza dell’intervento sullo stile di vita,è comunque esperienza comune che la maggior partedei pazienti diabetici non riesce a raggiungere unbuon controllo metabolico attuando solo tali provve-dimenti. L’American Diabetes Association (ADA) e laEuropean Association for the Study of Diabetes (EASD)nel documento di consenso diffuso nel 2006(40) hannosottolineato la necessità di iniziare un trattamento checombini modificazione dello stile di vita e metforminasin dal momento della diagnosi di DMT2 (Fig. 2).Il documento si sofferma anche nel definire un obiet-tivo glicemico ed invita ad operare pronte variazionidell’intervento terapeutico non appena vi sia uno sco-stamento da detto obiettivo. Così, se il trattamentofarmacologico e le modifiche dello stile di vita nonsono in grado di garantire il raggiungimento del-l’obiettivo o, se una volta raggiunto, si manifesta unpeggioramento, deve essere rapidamente presa in con-siderazione l’associazione di un altro farmaco a scelta

fra insulina basale (miglior rapporto costo/beneficio),sulfoniluree o tiazolidinedioni e i farmaci di recenteintroduzione basati sulle incretine. Nel caso in cui si intraprenda il trattamento insulini-co, il documento ADA/EASD suggerisce l’impiego diuna insulina basale. Gli Standard Italiani per la curadel Diabete Mellito lasciano al medico la scelta tra in-sulina basale (detemir, glargine, NPH o lispro prota-mina), insulina rapida ai pasti(41,42), la combinazionedelle due con schema basal-bolus o il ricorso ad insuli-ne pre-miscelate (bifasica). In generale questi approc-ci si differenziano per l’uso o meno dell’insulina pran-diale. La scelta tra questi due approcci può essere gui-data dai risultati di alcuni trial clinici.Nell’APOLLO Study(43) sono stati messi a confrontodue diversi schemi insulinici in associazione con far-maci ADO: insulina glargine basale vs insulina lisproai pasti. In entrambi i gruppi l’HbA1c si riduceva nel-la stessa misura con una maggiore riduzione della gli-cemia a digiuno con insulina glargine, mentre l’insu -

Figura 2. Algoritmo per il controllo metabolico del DMT2. (Mod. da: Nathan DM, Diabetologia 2009;52:17-30)

Dieta + Metformina+

Sulfonilurea

Dieta + Metformina+

Trattamento insulinico intensivo

STEP 1 STEP 2 STEP 3

Gruppo 1: Terapie ben validate

Dieta + Metformina+

GLP-1 agonista(No ipoglicemia/perdita di peso/nausea/vomito)

Gruppo 2: Terapie meno validate in selezianati contesti clinici

Alla diagnosi:Dieta

+Metformina

Dieta + Metformina+

Insulina basale

Dieta + Metformina+

Pioglitazone(No ipoglicemia /edema (CHF)/osteoporosi)

Dieta + Metformina+

Insulina basale

Dieta + Metformina+

Pioglitazone+

Sulfonilurea

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lina lispro comportava una minore escursione glice-mica post-prandiale. Agire sulla glicemia a digiunopotrebbe essere preferibile dato che all’aumentare deivalori di HbA1c corrisponde un progressivo aumentoe contributo della glicemia basale(44). Infine, a paritàdi controllo glicemico, la frequenza di eventi ipoglice-mici e l’incremento ponderale erano maggiori con in-sulina lispro.Risultati simili sono stati riportati da altri due studi:l’INITIATE(45) e il 4T(46). Il primo ha paragonatol’utilizzo di insuline pre-miscelate due volte al giornovs insulina basale, mentre il secondo studio ha consi-derato tre gruppi di trattamento (insulina detemiruna o due volte al giorno, insulina pre-miscelata duevolte al giorno, insulina aspart tre volte al giorno).Entrambi gli studi hanno dimostrato una minima su-periorità delle insuline pre-miscelate e rapide nel rag-giungimento del target di HbA1c a scapito di una piùalta incidenza di ipoglicemie e di un maggior aumen-to ponderale.In conclusione, l’impiego di una insulina basale periniziare la terapia insulinica nel paziente con DMT2rappresenta un modo semplice ed efficace per raggiun-gere un buon controllo glicemico esponendo il pazien-te ad un minore rischio di ipoglicemia e un minoreaumento di peso. La scelta degli analoghi lenti (glargi-ne e detemir) possono contribuire a ridurre il rischiodi ipoglicemia rispetto all’insulina isofano. Peraltro, glistudi randomizzati e controllati evidenziano come nonpiù del 50% dei soggetti raggiunga il target glicemico,per cui si rende necessario, in questi pazienti, impiega-re schemi di terapia insulinica più complessi. In questicasi, il ricorso all’insulina pre-miscelata può apparirepiù semplice, ma la mancanza di flessibilità e la diffi-coltà di adeguamento della posologia suggeriscono dilimitare l’impiego di queste formulazioni a casi parti-colari.In caso di necessità di intensificazione della terapia,può risultare utile l’aggiunta, una volta ottimizzatal’insulinizzazione basale, di una dose di un analogo ra-pido dell’insulina in occasione del pasto principale ocomunque di quello con la massima escursione glice-mica(47). Rimane comunque evidente che la caratteristi-ca progressione della malattia diabetica rende necessa-rio un attento monitoraggio del paziente, un costanterinforzo delle modificazioni dello stile di vita, una pe-riodica ripresa dei principi di educazione terapeutica.

INSULINA IN MONOTERAPIA O INCOMBINAZIONE CON ADO?

Numerosi studi hanno confrontato gli effetti della te-rapia insulinica isolata rispetto alla terapia insulinicaassociata ai farmaci ADO. I vantaggi di tale associazione sono diversi a secondadelle caratteristiche farmacologiche delle varie mole-cole impiegate. In generale, si può affermare che l’as -sociazione comporti un miglior rapporto rischio/beneficio, un utilizzo di dosi minori di insulina e lapossibilità di beneficiare di alcuni effetti ancillari de-gli ADO. Nello studio UKPDS(48) solo una piccola percentualedi pazienti raggiungeva l’obiettivo glicemico con lamonoterapia, mentre una sotto-analisi dello studio hamostrato come l’insulina in monoterapia causava unmaggior numero di ipoglicemie rispetto all’associa-zione con sulfonilurea(49). In effetti, l’associazione conADO permette di ridurre la dose di insulina, ha effet-ti positivi sull’aumento di peso, sull’incidenza di ipo-glicemie e quindi sull’aderenza alla terapia(50).La combinazione della terapia insulinica con sulfoni-luree o glinidi può trovare una giustificazione nel po-tenziamento della secrezione insulinica nella faseprandiale, consentendo un più efficace controllo del-l’escursione glicemica post-prandiale. Ovviamente,un approccio di questo tipo presuppone la persistenzadi una certa funzione β-cellulare residua(51).

Messaggi chiave

• La terapia di associazione di due farmaci con di-verso meccanismo d’azione può garantire un du-plice vantaggio:- effetti terapeutici additivi;- riduzione degli effetti collaterali associati a ele-

vati dosaggi di un unico farmaco.• Nel caso di associazioni insulina-ADO è impor-

tante considerare per ciascuna molecola il rappor-to rischio/beneficio e valutare la migliore strategiaterapeutica.

• La terapia di associazione insulina-metforminaappare vantaggiosa.

• Il trattamento con metformina, se tollerato ed inassenza di controindicazioni, dovrebbe esseremantenuto in tutti i pazienti con DMT2 che pra-ticano terapia insulinica.

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D’altra parte, dati recenti suggerirebbero che le sulfo-niluree possono accelerare la perdita della funzione β-cellulare potenziando l’apoptosi(11). Il concomitanteuso di metformina si assocerebbe a un compenso gli-cemico migliore e più duraturo.L’associazione insulina-tiazolidinedioni (rosiglitazone,pioglitazone) si basa sul noto effetto sensibilizzante diquesti farmaci oltre che sul potenziale effetto di pro-tezione della β-cellula. Studi controllati mostrano co-me l’associazione insulina+pioglitazone comporti, ri-spetto alla terapia con la sola insulina, un migliora-mento dei valori di HbA1c, della glicemia a digiuno ela riduzione del fabbisogno di insulina e delle concen-trazioni di C-peptide(52). A fronte di questi possibilieffetti positivi alcuni potenziali effetti negativi devo-no essere presi in considerazione. Una recente meta-analisi ha evidenziato che l’aggiunta di tiazolidinedio-ni alla terapia insulinica si associa ad un aumento delrischio di scompenso cardiaco (Hazard Ratio: 2,1 -95% CI 1,35, 3,27; p=0,001), di edema periferico, diaumento di peso e di fratture ossee soprattutto nelsesso femminile(53). Gli inibitori della dipeptidil-peptidasi-4 (DPP-4) so-no farmaci antidiabetici orali che, attraverso l’inibi -zione di tale enzima, aumentano i livelli circolanti diGLP-1 (Glucagon-Like Peptide-1) e di GIP (Glucose-dependent Insulinotropic Polipeptide) con miglioramen-to della funzione β-cellulare, rallentamento della mo-tilità gastrica insieme a un certo grado di inibizionedell’appetito. Gli studi che hanno verificato l’impiegodi questi farmaci in associazione all’insulina rimango-no limitati. L’aggiunta di vildagliptina ad un pre-esi-stente trattamento insulinico ha dimostrato una mo-desta riduzione dell’HbA1c ma un’interessante ridu-zione del rischio di ipoglicemia(54). Uno studio, non direttamente confrontabile, conl’aggiunta di sitagliptina ha confermato il migliora-mento del controllo glicemico ma non la riduzionedegli eventi ipoglicemici(55). Al di là di tutte le associazioni sopra riportate, quellacon metformina rimane la più consolidata e confer-mata anche nelle varie Linee Guida grazie alle eviden-ze di efficacia e tollerabilità. Nel LANCET randomiza-tion trial(56) sono stati messi a confronto quattro grup-pi di pazienti trattati con: placebo, placebo+insulinaglargine, placebo+metformina, insulina glargine+metformina. Lo studio ha mostrato un miglioramen-

to in termini di controllo glicemico (HbA1c, glicemiaa digiuno e post-prandiale) e di minore aumento dipeso nel gruppo insulina+metformina. Anche l’HomeStudy(57) ha valutato gli effetti dell’associazione met-formina+insulina vs insulina+placebo dimostrandoche la metformina, in pazienti con DMT2 trattaticon insulina, previene l’incremento ponderale, mi-gliora il controllo glicemico e riduce il fabbisogno diinsulina, sebbene non migliori l’end-point primarioaggregato (mortalità e morbilità per cause micro- emacrovascolari). Nel follow-up a 4,3 anni è stato co-munque dimostrato che la metformina è in grado diridurre il rischio di eventi macrovascolari, sottoline-ando così l’importanza di continuare tale terapia an-che quando viene instaurata la terapia insulinica. Piùrecentemente, alla metformina è stato attribuito an-che un effetto di riduzione del rischio di neoplasiache potrebbe controbilanciare i possibili effetti sfavo-revoli dell’insulina(58). I vantaggi dell’associazione insulina-ADO sono staticonfermati in una recente meta-analisi(59) che ha di-mostrato come, con questo approccio, il fabbisognogiornaliero di insulina possa ridursi del 40% mentre,su 14 studi presi in considerazione, 13 non hanno di-mostrato differenze significative nella frequenza dieventi ipoglicemici. Sembra dunque che la metformi-na possa rappresentare l’ADO di scelta per l’effettoadditivo nei confronti della terapia insulinica e per-tanto, fatte salve le controindicazioni o l’intolleranzaal farmaco, dovrebbe essere mantenuta anche nel casodell’associazione di un ulteriore ADO (Tab. 1).

Tabella 1

Tabella riassuntiva di valutazione dell’associazioneinsulina-antidiabetici orali.

FARMACO A FAVORE CONTRO

Sulfoniluree • • •

Tiazolidinedioni • • • • •

Inibitori DPP-4 • ? ? ?

Metformina • • • • ---

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COME PROGREDIRE CON ILTRATTAMENTO INSULINICO?

Nel corso degli anni si è osservato un incremento delnumero di soggetti trattati con metformina e con in-sulina, associato ad una lieve riduzione della percen-tuale di pazienti in terapia con sulfoniluree (circa8%), come riportato negli annali AMD 2009(60). Datipreliminari di uno studio italiano [CREDIT Study -Cardiovascular (CV) Risk Evaluation in People with Type 2 Diabetes (T2D) on Insulin Therapy], che ha pre-so in considerazione 417 pazienti affetti da DMT2,indicano che circa il 55% di essi inizia la terapia insu-linica mediamente 10 anni dopo la diagnosi di diabe-te mellito, con valori medi di HbA1c di circa 9%. Èintuibile che ci troviamo di fronte ad un’inerzia tera-peutica che comporta, nel lungo termine, un aumen-to della percentuale di pazienti che presentano com-plicanze micro- e macrovascolari. In Italia la terapia insulinica viene prescritta inizial-mente soprattutto presso i centri di diabetologia(75% dei casi) o presso gli ospedali (20% dei casi). Laterapia insulinica viene iniziata soprattutto per il ri-scontro di un cattivo controllo glicemico (nel 75%dei casi) o per complicanze insorte con l’uso di ADO.Secondo i dati del CREDIT, il regime insulinico ini-ziale più comunemente impiegato è lo schema con lasola insulina basale, seguito da quello con insulina ba-sale+rapida.Lo studio 4T(46) ha dimostrato che dopo tre anni diosservazione, il trattamento con insulina prandiale ocon insulina basale, cui venivano aggiunte nel corsodel trial, rispettivamente, una insulina basale o insuli-na prandiale, era in grado di garantire un buon con-

trollo metabolico (HbA1c <7%) in una percentualedi pazienti con DMT2 maggiore rispetto al tratta-mento con insulina bifasica. Inoltre, il trattamentoiniziale con insulina basale era associato ad un minoreincremento ponderale e ad una riduzione degli eventiipoglicemici rispetto agli altri due schemi di tratta-mento insulinico. Questi dati confermano l’indica zione all’avvio dellaterapia insulinica con insulina basale, ma lascianoaperta la questione di come procedere una volta chequesto approccio non sia più in grado di risponderealle esigenze di controllo glicemico. Una possibilità èquella di ricorrere alle insuline pre-miscelate al postodi trattamenti complessi come può essere lo schemabasal-bolus. Peraltro, dati della letteratura evidenzianocome l’insulina pre-miscelata richieda una titolazionepiù lenta e complicata, un aumento del rischio di ipo-glicemia, limiti che diventano più evidenti nel pa-ziente anziano ed in quello con basso grado di com-pliance. Di contro, l’insulina pre-miscelata offre unaopportunità per un migliore controllo dei picchi gli-cemici post-prandiali(61).Una via intermedia è quella del «basal plus», ovverouno schema che prevede la somministrazione di insu-lina basale associata ad una somministrazione di insu-lina rapida in occasione del pasto principale o comun-que di quello con l’escursione glicemica più marcata. Nello studio OPAL, condotto in pazienti in tratta-mento con ADO e insulina basale(62), la somministra-zione di insulina rapida a colazione aveva gli stessi ef-fetti sui livelli di HbA1c della somministrazione diinsulina rapida al pasto principale. Ovviamente l’introduzione di una dose di insulina ra-pida, impone una corretta istruzione del paziente pertitolare la dose in base all’autocontrollo domiciliare.Lo studio ELEONOR (Evaluation of Lantus EffectON Optimization of use of single dose Rapid insulin) hamesso a confronto due metodi di monitoraggio dellaglicemia: la telemedicina e la metodica classica di mo-nitoraggio glicemico ambulatoriale, previa elaborazio-ne di un algoritmo di calcolo della dose di insulinapre-prandiale di facile applicazione da parte del pa-ziente. Dati preliminari indicano che, in questa situazione,non vi sono differenze in termini di HbA1c, glicemiaa digiuno e qualità di vita dei pazienti. Gli algoritmi,peraltro, devono essere semplici e chiari (the easier, the

Messaggi chiave

• La scelta del modello di terapia insulinica deve te-nere conto delle esigenze del paziente e delle ca-ratteristiche farmacocinetiche delle varie formula-zioni di insulina.

• Il modello Basal plus può rappresentare una mo-dalità di intensificazione progressiva della terapiainsulinica.

• È necessario disporre di sistemi di titolazione del-le insuline basali e rapide che siano razionali madi facile applicazione (the easier, the better).

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LA TERAPIA INSULINICA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2

better), di facile gestione da parte del paziente.La scelta del processo di intensificazione del tratta-mento insulinico deve comunque sempre prendere inconsiderazione anche altri parametri quali il grado dicontrollo glicemico, la capacità di autocontrollo glice-mico, la qualità di vita, la frequenza delle ipoglicemiee la difficoltà di titolazione (Tab. 2).

QUAL È IL RISCHIO DI IPOGLICEMIA CON LA TERAPIA INSULINICA?

L’ipoglicemia può essere severa, sintomatica ed asin-tomatica. La prima può essere associata a convulsionie/o disturbi della coscienza fino al coma; si caratteriz-za per la necessità di assistenza da parte di terzi e si ri-solve con la somministrazione di glucosio (e.v.), glu-cagone e può necessitare di ricovero in ambienteospedaliero. L’ipoglicemia sintomatica si presenta consintomi tipici (sudorazione, pallore, capogiro, cardio-palmo, astenia, fame, annebbiamento della visione,cefalea, tremori, difficoltà di concentrazione) e convalori di glicemia <70 mg/dl (3,9 mmol/l). Il terzo ti-po di ipoglicemia procede asintomatica seppur convalori di glicemia <70 mg/dl(63). L’ipoglicemia può essere causata da una serie di fattori: • durata del diabete;• combinazione di sulfoniluree con insulina; • età del paziente: più colpiti gli anziani, nei quali la

percezione dei sintomi dell’ipoglicemia è ridotta e lacomparsa di disfunzione cognitiva è anticipata;

• tipo di regime insulinico (trattamento intensivo vsnon intensivo);

• presenza di fattori di rischio. Tra i fattori di rischio devono essere considerati: pre-cedenti eventi ipoglicemici, HbA1c <6% (spesso in-dicativa di un controllo glicemico gravato da ipoglice-mie ricorrenti), neuropatia autonomica e insensibilitàai sintomi dell’ipoglicemia («hypoglycemia unaware-ness»). I meccanismi alla base dell’ipoglicemia ricor-rente come causa di hypoglycemia unawareness e del-l’ipoglicemia grave sono illustrati in Figura 3.

Messaggi chiave

• L’ipoglicemia nel DMT2 in terapia insulinica èmeno frequente che nel DMT1 (~10-15%).

• I pazienti con DMT2 in terapia insulinica, con ilprogressivo aumento di durata di tale terapia, svi-luppano disturbi della contro-regolazione glice-mica simili al DMT1.

• Gli analoghi lenti si associano a minor rischioipoglicemico rispetto all’insulina NPH, a paritàdi valori di HbA1c.

• Gli analoghi rapidi si associano ad un rischio ipo-glicemico simile a quello dell’insulina umana re-golare, in presenza di valori di HbA1c e glicemiapost-prandiale inferiori.

• Nei pazienti che presentano fattori di rischio peripoglicemia e fattori di rischio cardiovascolare, ilcontrollo glicemico stretto dovrebbe essere evitatoe il target glicemico innalzato.

Tabella 2Caratteristiche dei diversi regimi di terapia insulinica

Basale Basal Plus Basal Bolus Premix Short

Numero delle ipoglicemie + ++ ++ +++ ++++

Difficoltà di applicazione + + +++ +++ ++algoritmo titolazione

Valutazione sulla qualità APOLLO ELEONOR 4T 4T 4Tdella vita dei pazienti

Autocontrollo settimanale 3 digiuno 3 digiuno 3 digiuno 3 digiuno 3 digiunominimo per attuare + + + +i protocolli di titolazione 3 al pasto scelto 3 ai 3 pasti 3 ai 3 pasti 3 ai 3 pasti

Totale stick x settimana 3 6 12 12 12

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LA TERAPIA INSULINICA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2

L’eccessivo esercizio fisico e il ritardo nell’assunzionedei pasti rappresentano fattori precipitanti, soprattuttoin corso di terapia insulinica. L’insufficienza renale è unaltro fattore che favorisce l’insorgenza di ipoglicemia. Nel DMT2 di nuova diagnosi l’ipoglicemia è pococomune a causa della resistenza insulinica, di un siste-ma di contro-regolazione efficiente e per una riservaβ-cellulare valida. Al contrario, con il passare del tem-po la contro-regolazione diviene meno efficiente. Peresempio, la risposta del glucagone è ridotta nei pa-zienti affetti da DMT2 in terapia insulinica (general-mente con durata di malattia più lunga) rispetto a pa-zienti in terapia con ADO(64) ed è simile a quella deipazienti affetti da DMT1 che tipicamente presentanouna risposta contro-regolatoria glucagone-mediatapraticamente assente e una secrezione ridotta di adre-nalina(65).Non sorprende, quindi, che i dati sulla frequenza diipoglicemia nel DMT2 riportati in letteratura dimo-strino una sensibile variabilità. Ad esempio, nel Ku-mamoto Study(66) i pazienti trattati per 8 anni con tera-

pia insulinica intensiva non presentavano un aumen-to del numero di ipoglicemie severe rispetto al grup-po in terapia insulinica convenzionale; una certa dif-ferenza si riscontrava, invece, per le ipoglicemie digrado medio con un’incidenza 1,6 volte maggiore nelgruppo intensivo.Nello UKPDS 33(67) la prevalenza dell’ipoglicemia eramaggiore nei pazienti in terapia insulinica (~1,8% peranno) rispetto ai pazienti trattati con ADO (~1-1,4%per anno). Inoltre, risultava evidente un aumento li-neare degli episodi ipoglicemici in relazione all’au-mento della durata del trattamento insulinico. Lo UK Hypoglycaemia Study Group(68) ha confrontatopazienti con DMT2 in terapia con sulfoniluree o in-sulina e DMT1 ed ha calcolato l’incidenza di ipogli-cemie dopo 2 e 5 anni dall’inizio del trattamento: lamaggiore incidenza di ipoglicemie si verificava in pa-zienti che praticavano la terapia insulinica da piùtempo. È comunque utile ricordare che la sommini-strazione serale di metformina+insulina rispetto aquella con sulfonilurea e insulina si associa ad un mi-

Figura 3. Meccanismi legati all’ipoglicemia ricorrente.

Iperinsulinemiaterapeutica

Obiettivoquasi-normoglicemia Assenza di risposta del

glucagone all’ipoglicemia

IPOGLICEMIARICORRENTE

IPOGLICEMIASEVERA

HYPOGLYCEMIAUNAWARENESS

Ridotta secrezione di adrenalina

Perdita dei sintomidell’ipoglicemia

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LA TERAPIA INSULINICA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2

nor numero di ipoglicemie, soprattutto notturne(69). Studi recenti condotti in pazienti diabetici ad elevatorischio cardiovascolare con l’intento di confrontarel’impatto della terapia intensiva (con largo impiegodella terapia insulinica con e senza ADO) sul rischiocardiovascolare hanno rivelato una possibile relazionetra ipoglicemia e gli eventi cardiovascolari. Lo studio VADT(70) ha dimostrato che la maggior in-cidenza di ipoglicemie che si verificava nel gruppo intrattamento intensivo era associata ad un maggior ri-schio di morte cardiovascolare e ne rappresentava unimportante predittore. Lo studio ACCORD, il cui obiettivo era il raggiun-gimento di HbA1c<6% nel gruppo in terapia inten-siva(71), è stato interrotto prima del termine previsto acausa dell’aumento sia della mortalità globale(HR=1,22; IC 95% 1,01-1,46) che della mortalitàcardiovascolare (HR=1,35; IC 95% 1,04-1,76). Anche in questo studio, l’incidenza di ipoglicemiagrave era associata ad un aumentato rischio di morte,indipendentemente dal tipo di trattamento (intensivovs standard). Tuttavia, una sub-analisi dei dati ha evi-denziato come il rischio di mortalità associato al-l’evento ipoglicemico fosse maggiore nei pazienti concontrollo glicemico meno buono e con maggiore ri-schio cardiovascolare. È verosimile che, in questi pa-zienti ad alto rischio cardiovascolare con un controlloglicemico meno efficiente, le note modificazioniemodinamiche, emo-reologiche ed elettrocardiografi-che indotte dall’ipoglicemia e mediate dall’attivazione«precoce» del sistema adrenergico (in relazione allospostamento verso valori più elevati della soglia glice-mica di attivazione adrenergica per effetto dell’iper-glicemia cronica), possano favorire l’incidenza dieventi e di morte.Per ridurre il rischio di ipoglicemia è fondamentaleconsiderare la presenza o meno dei fattori di rischiolegati a tale evento avverso. Nei pazienti che presenta-no tali fattori di rischio e sono ad elevato rischio car-diovascolare, lo stretto controllo glicemico dovrebbeessere evitato e il target glicemico di conseguenza in-nalzato (ad esempio, HbA1c >7%). Infine, dovrebbeessere posta attenzione alla formulazione di insulinada impiegare: gli analoghi dell’insulina (soprattuttogli analoghi basali) presentano un minor rischio diipoglicemia, per qualsiasi valore di HbA1c, e sono,quindi, da preferire alle insuline umane.

QUAL È IL RISCHIO DI INCREMENTO PONDERALE?

Per quanto la terapia insulinica risulti di fondamen-tale importanza nei soggetti diabetici con inadegua-to controllo glicemico e rappresenti la migliore op-zione in casi selezionati (pazienti emodializzati, af-fetti da cardiopatia ischemica, pazienti chirurgici,ecc.), non si può ignorare l’aumento ponderale chene consegue. L’insulina favorisce l’utilizzazione del glucosio a li-vello del muscolo e del tessuto adiposo, blocca la li-polisi e favorisce la lipogenesi. L’aumento di peso durante trattamento intensivo inpazienti diabetici è sostanzialmente causato dalla ri-duzione della glicosuria (segno di un miglior con-trollo glicemico), dalla stimolazione della lipogenesie da ritenzione idrica, oltre che dall’aumento deglispuntini per prevenire l’ipogli cemia. In alcuni studiè stato dimostrato che una riduzione di HbA1c del2,5% rispetto all’inizio del trattamento insulinico ouna riduzione della glicemia a digiuno di circa 90mg/dl si associa ad un aumento ponderale di circa 5Kg in un anno(72). Inoltre, la durata della terapia in-sulinica e la frequenza di ipoglicemie correla in ma-niera direttamente proporzionale con l’aumento dipeso corporeo. Uno studio condotto in pazienti obesi e diabetici hadimostrato che la riduzione delle calorie assuntegiornalmente, e il conseguente calo ponderale, ga-

Messaggi chiave

• Il trattamento insulinico promuove l’incrementoponderale attraverso vari meccanismi (riduzioneglicosuria, stimolazione processi lipogenetici).

• L’aumento di peso è indipendente dal peso iniziale.

• Con regimi insulinici multi-iniettivi si ha un mag-giore incremento ponderale.

• Durata della terapia insulinica, grado di controlloglicemico raggiunto e frequenza di ipoglicemiecorrelano con l’aumento di peso.

• Il rischio di incremento ponderale può esserecontrollato mediante dieta adeguata, esercizio fi-sico e concomitante uso di metformina.

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LA TERAPIA INSULINICA NEL DIABETE MELLITO TIPO 2

rantiscono un miglioramento delle concentrazioniplasmatiche di glucosio e permettono di ridurre ledosi di insulina o addirittura, in una buona percen-tuale di casi, di passare a terapia antidiabetica ora-le(73). L’aumento di peso durante terapia insulinica èstato riscontrato in pazienti con BMI molto diversi(<26, tra 26 e 30, >30 kg/m2) ed è risultato diretta-mente proporzionale alle dosi di insulina sommini-strata(74). I pazienti che non rispondono ad una dieta ipocalo-rica e ad un adeguato esercizio fisico (o che sono im-possibilitati a svolgere attività motoria) possono be-neficiare di una terapia ipoglicemizzante orale a basedi metformina. È stato dimostrato che, se la terapia ipoglicemizzan-te orale pre-esistente alla terapia insulinica era a basedi metformina, si riscontrava calo ponderale, che in-vece non si verificava in caso di terapia ipoglicemiz-zante con sulfoniluree(75). L’utilizzo di glitazonici, come già precedentementeaccennato, va considerato con una certa cautela inrelazione agli effetti pro-edemigeni correlati alla loroassunzione. Molti studi sono stati condotti per confrontare effi-cacia ed eventi avversi di insuline rapide e lente. Lo studio 4T(46) dimostra come l’aggiunta alla tera-pia con ADO di insulina prandiale o di insuline bi-fasiche determini, ad un anno dall’inizio del tratta-mento, un migliore compenso metabolico rispetto altrattamento con insulina basale (detemir), a scapitodi un aumento degli eventi ipoglicemici e del pesocorporeo. L’APOLLO Study(43) non ha invece evidenziato so-stanziali differenze di incremento ponderale nelconfronto tra insulina rapida (lispro) e basale (glar-gine). Un trial randomizzato della durata di 26 settimanecondotto su pazienti diabetici in terapia ipoglice-mizzante orale ha dimostrato che, a parità di con-centrazioni plasmatiche di HbA1c, l’aggiunta del-l’analogo detemir induceva un minor incrementoponderale rispetto all’aggiunta di insulina NPH(76). Una dieta adeguata, l’utilizzo di insuline basali e ilmantenimento della terapia con metformina che, ol-tre a migliorare il profilo glicemico, riduce anche ilrischio di ipoglicemie, possono contribuire a teneresotto controllo il rischio di aumento ponderale.

IL TRATTAMENTO INSULINICO AUMENTA IL RISCHIO CV?

Il controllo glicemico riduce il rischio cardiovascolaree le complicanze micro- e macrovascolari. Una recen-te meta-analisi(77) ha dimostrato che il trattamento in-tensivo nel DMT2 determina una significativa ridu-zione dell’incidenza di infarto miocardico (a frontedella riduzione dell’1% di HbA1c si verifica una ridu-zione del 15% di IMA), mentre non ha effetto sul-l’incidenza di ictus e sulla mortalità CV globale.L’ipoglicemia, al contrario, è associata con un aumen-to della mortalità cardiovascolare. Infatti, nei trial incui sono stati confrontati gli effetti del trattamentoantidiabetico sugli eventi cardiovascolari, è stato os-servato che le ipoglicemie (ACCORD, VADT) asso-ciate all’intensificazione della terapia comportavanoun aumento del rischio di mortalità cardiovascolare.In presenza di un numero di ipoglicemie contenuto(UKPDS, ADVANCE, PROACTIVE) l’intensifi -cazione della terapia si associava a una tendenziale ri-duzione della mortalità(77). Sia nell’ACCORD che nelVADT, le ipoglicemie gravi risultavano un predittoredi evento o di morte cardiovascolare. Inoltre, le anali-si post-hoc dell’ACCORD(78) sottolineano che l’au -mentato rischio di ipoglicemie è particolarmente evi-dente in età più avanzata, ovvero proprio in quei sog-getti che di per sé hanno un maggior rischio di ipogli-cemie ed eventi cardiovascolari. L’ipoglicemia è un evento avverso frequente nei pa-zienti in terapia con insulina. Estrapolando i dati deitrial di confronto diretto tra analoghi ad azione pro-

Messaggi chiave

• Il miglioramento del controllo glicemico, ottenu-to con terapia insulinica o altre terapie, si associaa riduzione dell’incidenza di eventi cardiovascola-ri nei pazienti con DMT2.

• La maggiore incidenza di ipoglicemia, provocatada insulina o da altre terapie, si associa ad un au-mento della mortalità cardiovascolare.

• A livello della parete vascolare, l’insulina ha effettisia aterogeni che anti-aterogeni. Gli studi dispo-nibili non indicano alcun effetto favorevole o sfa-vorevole dell’insulina sul rischio cardiovascolareindipendentemente dalla glicemia.

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lungata dell’insulina (glargine e detemir) ed insulinaNPH nel DMT2(79), si può predire che almeno unpaziente su 4 che inizia un trattamento con analoghiad azione lenta, ed uno su tre che inizia un trattamen-to con insulina NPH, sia destinato ad avere almenoun episodio di ipoglicemia grave nei dieci anni suc-cessivi. La questione dei possibili effetti pro- o anti-aterogenidiretti dell’insulina, indipendenti dall’azione ipoglice-mizzante, è dibattuta da molti anni. A livello delle pa-reti vasali, l’attivazione da parte dell’insulina della viaIRS-1/PI3K/Akt/eNOS, attraverso l’aumento dell’os-sido nitrico, ha effetti prevalentemente anti-aterogeni(vasodilatazione, inibizione della flogosi, inibizionedell’espressione di molecole di adesione, ecc.).L’insulina determina però anche l’attivazione della viaMAPK, che ha effetti prevalentemente pro-aterogeni(sintesi del vasocostrittore endotelina-1, aumento del-le molecole di adesione e delle citochine pro-infiam-matorie, aumentata proliferazione delle cellule mu-scolari lisce vasali) (Fig. 4). Nei pazienti insulino-resi-stenti (come i diabetici di tipo 2), la trasmissione delsegnale attraverso la via IRS-1/PI3K/Akt/eNOS ècompromessa, mentre rimane attiva la via di trasdu-

zione delle MAPK cui è attribuibile un effetto pro-aterogeno(80). Le semplici considerazioni fisiopatolo-giche sono quindi insufficienti a stabilire se l’insulina,indipendentemente dal suo effetto ipoglicemizzante,abbia un’azione diretta pro- o anti-aterogena. Anchegli studi epidemiologici sono poco informativi: nellapopolazione generale, all’aumentare dell’insulinemiaaumenta il rischio cardiovascolare, ma ciò potrebbeessere dovuto alla condizione di insulino-resistenza,più che all’iperinsulinemia di per sé. Tra i pazientidiabetici di tipo 2, in tutti gli studi epidemiologici, laterapia insulinica si associa ad un aumento del rischiocardiovascolare(81); peraltro, la terapia insulinica è unindicatore di gravità e durata della malattia diabetica,e ciò potrebbe spiegare le differenze di rischio.L’unica fonte affidabile di informazioni è quindi rap-presentata dagli studi di intervento. Numerosi studihanno confrontato gli effetti della terapia ipoglice-mizzante intensiva rispetto alla terapia convenzionalein pazienti affetti da cardiopatia ischemica in faseacuta. Lo studio DIGAMI(82) ha dimostrato come iltrattamento insulinico intensivo in fase acuta ed ilsuo mantenimento al momento della dimissione siaassociato ad una significativa riduzione della mortali-

Figura 4. Trasduzione del segnale insulinico e suoi effetti sull’aterosclerosi.(Mod. da: Potenza MA, et al. Am J Physiol Endocrinol Metab. 2009)(80)

Insulina

MAPK

ET-1

Vasocostrizione

Molecole di adesioneInfiammazione

Proliferazione CML

Effetto pro-aterogeno Effetto anti-aterogeno

IRS-1

PI-3-K

NO

Vasodilatazione

InfiammazioneProliferazione CML

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tà nel primo anno di follow-up, rispetto ad un tratta-mento antidiabetico convenzionale; ciò sembra dovu-to alla riduzione dell’iperglicemia, più che al tratta-mento insulinico. Nello studio NICE-SUGAR(83), condotto su pazientiricoverati in terapia intensiva coronarica, i soggettirandomizzati a trattamento intensivo (target glicemi-co 81-108 mg/dl), presentavano un maggiore tasso dimortalità per cause CV, molto probabilmente a causadi un’aumentata incidenza di ipoglicemie nel gruppoin trattamento intensivo rispetto al gruppo in tratta-mento standard (16,8% vs 0,5%). L’ipoglicemia, in-ducendo nel paziente coronaropatico un’iperattivitàcompensatoria del sistema adrenergico, potrebbe pre-cipitare o peggiorare l’ischemia e di conseguenza ildanno miocardico. Nello studio di Van Den Berghe et al.(84), in cui i tar-get glicemici erano meno aggressivi rispetto al NICE-SUGAR, la mortalità CV risultava minore nel grup-po di pazienti ischemici trattati con terapia ipoglice-mizzante. Nel loro complesso, quindi, gli studi dellafase acuta non permettono di stabilire se l’insulina ab-bia effetti favorevoli o deleteri indipendentementedalla glicemia. La riduzione dell’iperglicemia (co-munque ottenuta) riduce il rischio di eventi cardiova-scolari, mentre le frequenti ipoglicemie (comunquedeterminate) si associano ad un aumento della morta-lità cardiovascolare.

IL TRATTAMENTO INSULINICO AUMENTA IL RISCHIO DI NEOPLASIA?

Studi epidemiologici hanno evidenziato un aumentodi incidenza della maggior parte delle neoplasie nelpaziente con diabete mellito, ad eccezione del cancrodella prostata che, in alcuni studi, è risultato ridot-to(85). Gli studi epidemiologici sull’associazione tradiabete e rischio tumorale sono principalmente retro-spettivi e presentano una serie di fattori confondenti.Pertanto, risulta difficile interpretare in maniera uni-voca i risultati e raggiungere un grado elevato di evi-denza. Inoltre, i pazienti diabetici hanno caratteristi-che diverse rispetto ai non diabetici e tali differenzepotrebbero influire sulla diversa incidenza di tumori.Tra i fattori confondenti vanno considerati l’obesità,la durata del diabete e dell’iperglicemia, il compensometabolico, le co-morbidità e le terapie anti- diabete,inclusa l’insulina(86)

Il cancro, nei soggetti diabetici, può essere favorito dameccanismi generali (che riguardano tutti o la granparte dei pazienti) e meccanismi sito-specifici, chepromuovono il cancro solo in alcuni organi o tessuti(ad esempio: l’epatite, la steatosi epatica e la cirrosi so-no più frequenti nei diabetici e possono favorire l’in -sorgenza del carcinoma epatico, l’infezione da Helico-bacter pylori può predisporre al carcinoma gastrico).I pochi studi che hanno corretto per i fattori confon-denti e per quelli sito-specifici (per esempio la steatosiepatica e l’epatite HCV e HBV-correlata per il carcino-ma del fegato) hanno dimostrato che il rischio relativodi sviluppare tumore è comunque significativamenteaumentato nei soggetti diabetici (più del doppio per ilcancro del fegato rispetto ai soggetti normali)(85).Pur considerando il diabete tipo 2 come una malattiaeterogenea e che possono essere impiegati numerositipi di trattamenti, elementi comuni a tutti i diabeticisono l’iperglicemia e l’iperinsulinemia (endogena oesogena). Per quanto riguarda l’iperglicemia vi sono diverseipotesi alla base della sua capacità di favorire il cancro.L’ipotesi energetica prevede che l’iperglicemia possacostituire un vantaggio selettivo di crescita per le cel-lule tumorali, che hanno bisogno di un substratoenergetico per la loro proliferazione. Vi è poi la possi-bilità che l’iperglicemia regoli i livelli di TXNIP(thioredoxin-interacting protein), con conseguente au-mento della concentrazione di specie reattive dell’os-sigeno e danno a livello del DNA. Infine, l’effettopro-infiammatorio dell’iperglicemia potrebbe contri-

Messaggi chiave

• Il diabete è associato ad un aumentato rischio relati-vo di neoplasia (ad eccezione del tumore prostatico).

• La relazione è complessa, ma sia iperglicemia cheiperinsulinemia (endogena ed esogena) possonosvolgere un ruolo sulla progressione della malattiaoncologica.

• L’insulina non promuove la carcinogenesi (lacomparsa di nuovi tumori), ma probabilmentepromuove la progressione tumorale.

• Non vi sono, al momento attuale, evidenze solideche inducono a scegliere la terapia del diabete inbase al rischio oncologico.

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buire alla trasformazione neoplastica. Per quel che concerne il legame tra iperinsulinemia ecancro bisogna distinguere due possibili meccanismi:un effetto di iniziazione (effetto mutageno o carcino-geno) per cui viene favorita la trasformazione di unacellula normale in neoplastica e l’effetto sulla progres-sione tumorale (promozione della crescita del tumoreper gli effetti mitogeni derivati dalla stimolazione delrecettore insulinico). In questo caso l’insulina pro-muoverebbe la progressione di un cancro già esisten-te, magari allo stato subclinico e stazionario, stimo-lando la proliferazione delle cellule neoplastiche.L’aumento delle mitosi, di per sé, aumenta la proba-bilità di sviluppare mutazioni geniche e quindi la pro-gressione del tumore. Il paziente affetto da diabete tipo 1 e 2 è sempre ipe-rinsulinemico: nel soggetto normale la concentrazio-ne di insulina post-prandiale è compresa tra 150 e250 pmol/l, per una durata complessiva di 6-10 oredurante tutta la giornata; nei pazienti diabetici, chesono iperinsulinemici per l’insulino-resistenza o cheassumono insuline o analoghi lenti, troviamo elevateconcentrazioni di insulina per tempi prolungati, an-che per tutte le 24 ore.Il ruolo dell’iperinsulinemia è evidenziato anche dauno studio clinico condotto su donne non diabeticheaffette da tumore mammario: quando sono state sud-divise per quartili in base a valori crescenti di insuline-mia, la mortalità per il cancro era tre volte maggiore inquelle con concentrazioni di insulinemia >53 pmol/l. Gli effetti mitogeni dell’insulina e dei suoi analoghisono intrinseci alla stimolazione del recettore dell’in-sulina e alle sue vie di trasduzione post-recettoriali: lavia mitogena (via della MAP-chinasi) viene stimolataanche quando quella metabolica (via dell’AKT) puòessere inibita in condizioni di insulino-resistenza.Dunque l’iperinsulinemia, in condizioni para-fisiologi-che, stimola la proliferazione tramite il suo recettore enon tanto per l’interazione con il recettore dell’IGF-1

(Insulin Growth Factor-1). Peraltro, nelle cellule tumo-rali troviamo una condizione di aumentata espressio-ne dell’isoforma A del recettore insulinico (che ha ef-fetti prevalentemente mitogeni) e del recettore diIGF-1. È noto che nei tumori mammari il recettoreinsulinico è iper-espresso(87), come lo è anche nel tu-more tiroideo, del polmone e del colon(88). Per questomotivo le cellule tumorali possono rispondere all’ipe-rinsulinemia in maniera diversa (maggiormente proli-ferativa) rispetto alle cellule normali. Infine, alcuni analoghi dell’insulina (specie quelli adazione prolungata) interagiscono sia con il recettoreinsulinico sia con quello dell’IGF-1, con una affinitàdi legame maggiore rispetto all’insulina endogena(89) equesto potrebbe aumentarne l’effetto mitogeno. Tut-tavia, gli studi epidemiologici ad oggi disponibili sulconfronto tra insulina umana e analoghi dell’insulinasono insufficienti, per qualità e dimensioni, per stabi-lire eventuali differenze tra le singole molecole cheabbiano rilevanza clinica per il rischio oncologico.Tra i farmaci orali anti-diabete va ricordato un possi-bile ruolo protettivo della metformina attraverso unmeccanismo indiretto (mediato dalla correzione del-l’insulino-resistenza e dell’iperinsulinemia) e un mec-canismo diretto (sulla proliferazione e sull’apoptosicellulare mediante l’effetto sulla AMPK e quindi sumTOR)(58). In conclusione, si può affermare che esiste un rappor-to di associazione tra diabete e cancro e che quindi ilcancro va annoverato tra le possibili complicanze deldiabete. Diverse linee di evidenza indicano che lecondizioni di iperinsulinemia spontanea (obesità,IFG, IGT, DT2) o causate da trattamenti (insulina,analoghi, secretagoghi) devono essere, di fatto, consi-derate alla stregua di fattori di rischio oncologico. Leevidenze scientifiche di base (non quelle cliniche)permettono di sostenere che l’iper-insulinemia, purnon promuovendo la carcinogenesi, potrebbe favorirela progressione tumorale.

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Coordinamento Organizzativo

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Questo Documento è stato possibile grazie ad un grant incondizionato di:

Eli Lilly e Sanofi-Aventis


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