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La Via Crucis - Centro Missionario...Dio dell’Esodo, Yhwh Liberatore dei bimbi, delle donne e...

Date post: 09-Mar-2020
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LE TREDICI STAZIONI Siamo nel mese della Pasqua e le donne, i piccoli e i poveri della terra ben conoscono il cammino che porta a questa celebrazione. Una memoria dell’antico Israele e della cristianità ci spinge verso un contare e raccontare la storia di Salvezza basata sul numero dodici. Vorrei proporre, umilmente, un altro modo di contare e raccontare la storia, forse un modo con la lettera minuscola, insignificante, ma che di certo abbraccia il corpo delle donne, dei piccoli, dei poveri della terra. Un modo “lunare”, errante, mendicante di sapore e sapere. Propongo un cammino di spiritualità che ci aiuti a comprendere la storia di Salvezza a partire dal numero tredici. Del resto, non ci sono solo i dodici mesi del calendario solare, ci sono anche le tredici lune del lunario di un anno. Perché, come dice il libro del profeta Isaia: «Quando Yhwh Dio avrà fasciato e curato tutte le ferite del suo popolo, la luna brillerà come il sole» (Is 30,26). La Via Crucis delle donne Testo di MARIA SOAVE BUSCEMI Illustrazioni di MINO CEREZO BARREDO dossier 4/2012
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LE TREDICI STAZIONI

Siamo nel mese della Pasqua e le donne, i piccoli e i poveri della terra ben conoscono il cammino che porta a questa celebrazione. Una memoria dell’antico

Israele e della cristianità ci spinge verso un contare e raccontare la storia di Salvezza basata sul numero dodici. Vorrei proporre, umilmente, un altro modo

di contare e raccontare la storia, forse un modo con la lettera minuscola, insignificante, ma che di certo abbraccia il corpo delle donne, dei piccoli, dei poveri della terra. Un modo “lunare”, errante, mendicante di sapore e sapere. Propongo un cammino di spiritualità che ci aiuti a comprendere la storia di

Salvezza a partire dal numero tredici. Del resto, non ci sono solo i dodici mesi del calendario solare, ci sono anche le tredici lune del lunario di un anno. Perché,

come dice il libro del profeta Isaia: «Quando Yhwh Dio avrà fasciato e curato tutte le ferite del suo popolo, la luna brillerà come il sole» (Is 30,26).

La Via Crucis delle donne

Testo di MARIA SOAVE BUSCEMIIllustrazioni di MINO CEREZO BARREDO

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XIIITredici sono le lune nel cielo di un anno, fino ad in-contrare di nuovo la luna piena di primavera che ci parla della Pasqua. Della Pasqua antica, quando gli steccati degli ovili erano ricoperti dal sangue me-

struale delle donne, l’unico sangue che non significava spa-da e violenza, ma cambiamento, conversione, accoglienza e difesa della Vita.

Tredici sono le lune di un anno fino a incontrare la luna piena di primavera, che ci illumina nella memoria del pas-saggio dalla schiavitù d’Egitto alla Terra Promessa. La luna piena di primavera che ci riempie di memoria, parola anti-ca che viene dal sanscrito e che significa “riaccendere il de-siderio”.

Luna piena di primavera, memoria di Dio che ha nome e si chiama Yhwh, Dio che ascolta il grido del suo popolo, che conosce le sue afflizioni a causa del faraone e per questo scen-de a liberarlo e a far salire lui, il popolo oppresso, alla Terra Promessa, Terra dove scorrono latte e miele. In quest’esperien-za profonda di Dio Yhwh Liberatore, il Popolo fa esperienza del vivere del necessario affinché nessuno, né l’Umanità né la Terra, si impoveriscano (Es 16,1-30).

In questa esperienza di Esodo, il popolo apprende dal vec-chio suocero africano di Mosè* l’importanza di condividere il potere (Es 18,13-24), fa esperienza del cuore della Legge, cioè che quel che conta nella vita è difendere la Vita stessa, in tut-ti i suoi tempi e momenti, soprattutto quando essa è minac-ciata (Es 20,1-17).

Tredici sono le lune di un anno fino a incontrare, sempre e di nuovo nel cielo, la luna piena della Pasqua di Liberazione, Pasqua di Gesù, il Cristo, Colui che vince la morte e abbrac-cia la nostra Vita nella sua Resurrezione.

Tredici sembrano essere anche le tribù che fecero l’espe-rienza di Liberazione da tutti i tipi di ingiustizia e di oppres-sione, e impararono a vivere uno stile di vita nella condivisio-ne dei beni secondo le necessità, nella condivisione del potere e nella difesa della Vita.

Tredici erano le tribù, probabilmente anche perché tredi-ci erano i figli di Giacobbe. La nostra memoria patriarcale della Bibbia ci invita a ricordare i dodici figli maschi del pa-

* Secondo il capitolo 12 del Libro dei Numeri, Mosé aveva preso in sposa una donna Kushita; Kush era il territorio che andava tra il Su-dan e l’Egitto.

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triarca, ma Giacobbe ebbe anche una figlia, che si chiamava Dina. Donna silente e violata, Dina è la tredicesima figlia di Giacobbe e di lei le memorie ufficiali non mantengono il ri-cordo (Gen 34,1-2).

Dina, donna ammutolita e violentata, come molte volte sono le donne, i bambini e gli impoveriti della storia, è lì per ricordarci che non ci furono solo i dodici apostoli, fondamen-ta della fede della nostra Chiesa, ma anche Maria Maddale-na, apostola degli apostoli, fedelmente presente ai piedi del-la croce di Gesù, e nella sua memoria ci furono anche tutte le donne che lo seguirono fin dalla Galilea (Mt 27,55-56) e che là, nella terra degli impoveriti e degli impuri, lo riconobbero Resuscitato (Mc 16,1-7).

E allora percorriamola questa Via Sacra delle donne nella sequela di Gesù, e, alla fine di ogni tappa, ricordiamo i ver-si di Alda Merini:

Io non voglio...... che si canti come pena di Dio,né come esaltazione di un paloche appartiene solo ai Romani.Il supplizio della Croce non è un dolore vero,ma è una verità,e questa verità trapela solo attraverso il legno.Il legno è poroso, è un canto.E io su questo legno ho scritto i Vangeli.La croce è scrittura,l’urlo della croce non è altroche un’invocazione assoluta dei cieli.

(Il Cantico dei Vangeli)

La “giné–logia” di Gesù

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo (Mt 1,1-14).

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IINelle genealogie ufficiali di tradizione patriarcale, come sono le nostre giudaico-cristiane, siamo abituati a leggere o a sentire proclamare nomi e cognomi di uomini. La storia uf-ficiale, quella che solitamente si scrive con lettera maiuscola, è configurata da nomi di uomini illustri, normalmente bian-chi, ricchi e militari.

La comunità di Matteo, comunità giudaica che si sta aprendo all’annuncio del Vangelo anche per chi è straniero, rompe la regola patriarcale delle genealogie ricolme di nomi di uomini bianchi, ricchi e militari. In questo modo troviamo quattro nomi di donne nella genealogia ufficiale di Gesù.

È dunque, questa di Matteo, una giné-logia. Queste quattro donne rompono lo schema patriarcale degli elenchi ufficiali di chi è importante. Sono quattro “crocefisse” dalla violenta legge patriarcale: Tamar, donna impura e straniera, appar-tenente a una religione diversa da quella dell’Israele antico, che, pur di vedere assicurato il suo diritto a vivere e ad ave-re figli (e perciò eredità), è costretta a prostituirsi; Raab – “la ampia”, questo significa il suo nome in ebraico –, colei che aveva dovuto ingrandire e ammutolire il suo corpo, tessu-to della sua anima, donna prostituta, che non aveva diritto a vivere nella città e perciò viveva ai margini, lungo la mu-raglia di Gerico. Raab che accoglie le spie israelite che orga-nizzano l’occupazione di Gerico; donna di un altro popolo e di un’altra religione, esclusa dalla città, che si prende cura dei suoi anziani genitori. Betsabea, «quella che fu la moglie di Uria, l’Ittita», anche lei donna ammutolita e violentata

dalla legge del tempio e del palazzo del re. Rut, straniera e di altra religione, che si fa compagna di sua suocera Noe-mi e del Dio che Noemi segue. Donna che vive nella croce dell’impoverimento e lotta per il diritto dei poveri, cioè quel-lo di spigolare nei campi di grano; donna che lotta affinché il diritto al riscatto della propria dignità venga assicurato.

All’epilogo di queste quattro donne crocefisse dalla legge patriarcale e dal potere dei re c’è infine Maria, anzi c’è Giu-seppe, del quale si dice che era lo “sposo di Maria”, nella rot-tura definitiva della “legge del padre-padrone”. In questa “giné-logia” non è Maria a essere definita come sposa di Giu-seppe, ma avviene il contrario... ed è in questo contrario che si scrive la storia di Salvezza dell’Incarnazione di Gesù, e in questo contrario che si scrive la Resurrezione di Cristo.

Il lato giusto del contrario

Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotentee Santo è il suo nome: di generazione in generazionela sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi.Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».

(Lc 1,46-55)

Esiste “un’altra economia possibile” nel canto del Magni-ficat. Un’economia per cui “il contrario” è il lato giusto. Il Dio dell’Esodo, Yhwh Liberatore dei bimbi, delle donne e del-le persone impoverite, è un dio che “scende” mentre i faraoni potenti “salgono” (Es 1,8). Nell’altra economia, fatta di amo-re e liberazione, i potenti sono rovesciati dai troni e gli umi-li sono innalzati.

Nel “contrario” come lato giusto, i ricchi sono rimandati a mani vuote e gli affamati sono ricolmi di beni; e ciò che ritor-na al cuore di dio Yhwh, Dio di utero, che crea e ricrea la Vita, Dio di misericordia, ha a che vedere con il sentimento di una madre, che porta nel ventre la vita. Misericordia per i crocefissi e le crocefisse della storia affinché un’altra economia, quella del contrario, dell’escluso, dell’emarginato, sia il lato giusto.

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Nello spazio della Grotta

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». (Mt 2,1-12)

Betlemme significa “casa del pane”. “Bet ab” è l’antico modo ebraico per definire la casa. La casa del padre. Per loro, però, non c’è stata né casa né pane, anche se Giuseppe stava tornando alla casa dei suoi padri, dei suoi antenati. Secondo la tradizione, era figlio della casa di Davide.

Non ci fu però casa per Maria e per Gesù che stava per na-scere. La “casa di Davide” non era più casa da molto tempo. Molti re si erano avvicendati dopo Davide, obbligando il po-polo povero e semplice a pagare pesanti tasse e tributi.

Al tempo di Maria e Giuseppe, ogni dieci sacchi di frumen-to, sette servivano per pagare le tasse al potere romano, al re che era succeduto a Davide e al tempio di Gerusalemme. Da molto tempo la casa di Davide non era più casa, soprattutto per gente impoverita come erano Maria e Giuseppe.

La croce delle donne impoverite, che portano in grembo bambini, ci dice che la casa dei potenti non è casa dei pove-ri. Un’altra “casa” deve sorgere per essere spazio a voci altri-menti inascoltate. Un’altra “casa” che non è la casa dei po-tenti... è grotta, luogo dove tutti e tutte, soprattutto le persone considerate escluse e impure, trovano spazio per vivere.

Sei erano le giare

Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le giare», e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva da dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. (Gv 2,1-11)

Da quando alcuni tra il po-polo avevano detto, mille anni prima: «Vogliamo un re!», le

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cose si erano evolute sempre allo stesso modo. Erano giun-ti prima i re dell’Israele unito e questi, per assicurare la co-struzione del loro palazzo e la forza del loro esercito, aveva-no chiesto un tempio anche per Dio, che fino ad allora aveva abitato una tenda come il suo popolo. Erano poi giunti i re dei regni divisi e poi i re stranieri, sempre più violenti e oppres-sori. Si erano succeduti gli assiri, poi i babilonesi, i persiani, i greci e adesso i romani. Regnanti violenti, imperatori mas-sacratori soprattutto di donne, bimbi e persone impoverite.

Intanto un altro “impero” era cresciuto sempre più massa-crando la vita soprattutto della gente umile e semplice. Questo “impero” era l’istituzione della religione del tempio. Infinite leggi e regole erano state stabilite per mettere continuamente la gente in situazione di impurità. Le infinite leggi del tempio massacravano la vita del popolo attraverso la teologia del puro e dell’impuro e la teologia della retribuzione che ne de-rivava. Leggi che non erano di cuore e di carne, ma di pietra.

Il popolo sapeva che i numeri nella spiritualità hanno un valore oltre la matematica. Sette indicava sempre il tempo perfetto per fare qualcosa di importante, per questo Dio fece il mondo in sette giorni, perché il riposare è una forma di fare. Al contrario, il numero sei simboleggiava l’imperfezione.

Quel giorno alle nozze c’erano sei giare di pietra pronte per la purificazione.

Maria, donna del contrario della storia, donna degli umili innalzati e dei potenti fatti scendere dai troni, forzò il tempo di Gesù e iniziò a far cadere il tempo del tempio. Sei erano le giare di pietra, la legge che massacra le donne, i bimbi e i po-veri non è mai sette. Dalle sei giare di pietra ricolme d’acqua finalmente sgorgò il vino della festa. Dalla croce si costruisce sempre resurrezione!

Servire…

La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. (Mc 1,30-31)

C’è una donna anziana crocefissa nel suo letto. Una febbre ha assalito il suo corpo, ormai percorso dalle molte strade che segnano la pelle, tessuto di anima. Che tipo di febbre è questa che ha assalito la suocera di Pietro? In poche righe il Vangelo ci dice che la febbre sta impedendo a questa donna di fare ciò che, appena guarita, si metterà a fare: servire.

La tradizione interpretativa delle parole ci porta a pensa-re che servire, per questa anziana donna, significhi il pren-dersi cura degli ospiti, pulendo, apparecchiando e facendo da mangiare. Non voglio escludere queste forme così radicate nelle nostre culture patriarcali che fissano ancora oggi i ruo-li di genere e di età. Voglio però permettermi, umilmente, di pensare che la febbre abbia proprio a che vedere con l’impe-dimento, a causa della cultura e della religione, a servire, a essere ministra e diacona, le due parole, in latino e greco, che indicano “servizio”.

Gesù, prende per mano questa donna, la solleva dalla sua condizione di crocefissa. La febbre dell’esclusione abbando-na la suocera di Pietro, come abbandona tutte noi che ci sen-tiamo prese per mano e sollevate e ricominciamo a servire la Vita ed il Regno.

Si fa brocca l’anima…

Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani.Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose

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VGesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli disse la donna –, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è

giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?» o «Perché parli con lei?». La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». (Gv 4,5-39)

In quest’America afroamerindia, dove vivo da oltre vent’anni, scorgo in continuazione i sentieri che in Africa percorrono corpi di bambine e donne, crocefisse da una tani-ca di acqua sulla testa. Corpi e anime che si spezzano sotto il peso di una tanica di acqua. Fa la totale differenza, in que-ste terre, avere o meno accesso all’acqua potabile in casa. Il corpo delle donne e delle bambine è fatalmente incatenato a una tanica di acqua, che fa loro percorrere in media 15 chi-lometri al giorno.

Anche il corpo di questa donna al pozzo di Sicar è croce-fisso da una brocca di acqua. Donna crocefissa dal giudizio del paese, una situazione che la porta ad andare al pozzo in un’ora totalmente impropria, quando il sole è allo zenit. An-che Gesù va alla stessa ora impropria, lui senza neppure la brocca per attingere acqua, in totale stato di necessità. Gesù legge le croci di questa donna. Cinque mariti che l’hanno massacrata. Sama-ritana è questa donna. Il suo popolo ha vissuto il massa-cro e l’oppressione di cinque imperi. Prima gli assiri, poi i babilonesi, poi i persiani, poi i greci e infine i roma-ni. Cinque mariti che ti por-tano al totale smarrimento. Da questa vita e da questo corpo, che è quasi una broc-ca senza grande utilità, Gesù chiede acqua. La brocca si spezza in quest’incontro. Si fa brocca l’anima, tessuto di corpo di questa donna, ripie-na dell’unico annuncio che conta: Gesù è il Messia! La Vita in Lui vince ogni forma di oppressione e morte!

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VIIIl nostro sangue è sacro!

Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». (Mc 5,25-34)

Dodici è un numero importante per la nostra fede. Quan-do però questo numero è fondamento di esclusione, deve es-sere messo in discussione. C’è una donna che sanguina da dodici anni. Questa storia fa da centro a un’altra che l’ab-braccia prima e dopo: il racconto di una bambina chiamata comunemente Talita, che muore a dodici anni ed è figlia di Giairo, il capo religioso della sinagoga.

C’è una donna che perde sangue da dodici anni. Non c’è

nessuno spazio di accoglienza nella religione ufficiale per questa donna. È troppo impura! Il suo corpo è crocefisso da tantissimo tempo, troppo: dodici anni! Questo corpo impuro, quest’anima sanguinante, si mette come “pietra di inciam-po” nel cammino di Gesù e dei suoi discepoli.

Far scendere dalla croce questa donna significa per Gesù salire sulla croce con lei. Gesù si fa impuro con lei impura e riconosce umilmente che la sua fede l’ha salvata. Il nostro sangue è sacro!

Per tutti…

Partito, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi. Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. Ed egli le disse: «Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma essa replicò: «Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola va’, il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato. (Mc 7,24-30)

Ci sono due racconti della moltiplicazione dei pani nel Vangelo di Marco. Tra i due troviamo l’incontro di Gesù con questa mamma della regione di Tiro e Sidone, cioè straniera e appartenente a un’altra religione. Nel primo racconto avan-zano dodici cesti di pani e di pesci.

Dodici... il numero delle tribù secondo il conteggio del-la tradizione; il numero degli apostoli nella nostra tradizio-ne di Chiesa.

Il numero dodici indica l’annuncio del Vangelo di Gesù “ai nostri”, a quelle persone che appartengono alla nostra cultu-ra, etnia, religione, classe economica... e ci sono molti piccoli e piccole sotto l’oppressione di ciò che è demoniaco, che spez-za dentro, dalla fame all’ingiustizia, all’esclusione…

Questa mamma porta nel suo ventre la croce di una fi-glia oppressa da ciò che spezza dentro, la croce della figlia è la croce della mamma. Questa mamma obbliga umilmente Gesù a sentire nella sua carne la croce di sua figlia.

Nessun dolore entrerà nella casa di mia sorella, di mio fra-tello, senza farsi lacrima nei miei occhi. E la croce non ha più l’ultima parola, il demonio della morte è sconfitto! Nella se-conda moltiplicazione avanzeranno sette cesti di pani e pesci.

Sette… il numero dei gentili, di tutti i popoli! L’annuncio e la salvezza sono per tutti e tutte!

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vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». (Gv 11,17-27)

La tradizione teologica delle nostre Chiese ci dice che l’af-fermazione cristologica, cioè il proclamare che Gesù è il Cri-sto, il Figlio di Dio, appartiene a Pietro. Il quarto Vangelo, comunemente chiamato Vangelo di Giovanni, colloca que-sto annuncio centrale sulla bocca di Marta, sorella di Maria e di Lazzaro.

È un momento di profondo dolore e perdita quello che Marta, con sua sorella Maria, sta vivendo. Lazzaro è morto ed è nel sepolcro da ormai tre giorni. Betania è una comuni-tà molto amata da Gesù, la comunità attorno al ministero di Marta, Maria e Lazzaro.

I Vangeli ci narrano alcuni episodi su Marta e Maria, Laz-zaro invece rimane muto e muore nella narrazione, senza proferire parola. Che società è questa che “fa morire” uomini che cercano di vivere un’altra maschilità possibile, non vio-lenta e androcentrica? Che religione era questa che puniva uomini che rispettavano e seguivano donne nella loro mi-nisterialitá ecclesiale? Gesù piange la morte di quest’amico. Gesù piange per la croce che religioni e società buttano sul corpo di uomini e donne che cercano di vivere un mondo di

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Ministerialità femminile

Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». (Lc 10,38-42)

Una croce difficile da superare è quella che la società pa-triarcale e androcratica mette sul corpo delle donne facendo sì che fino all’anima esse vivano conflitti e competizioni le une con le altre. La costruzione patriarcale delle prime comu-nità cristiane pone in questo testo un problema di ministeria-litá, di diaconia, di servizio delle donne all’interno della co-munità. Questa è una ferita, una croce silenziosa che molte donne portano all’interno delle nostre comunità ecclesiali.

Sembra chiaro che Marta è presa da tanta diaconia, da tanti impegni di servizio ministeriale nella “casa”, nella co-munità cristiana. È chiaro anche che la leadership delle don-ne nelle prime comunità inizia a essere un argomento di con-flitto all’interno della struttura patriarcale.

Sembra ormai stabilito che alle donne non verrà confer-mata per molto tempo la ministerialità né la diaconia. Maria però non cede e non si lamenta della violenta patriarcalizza-zione delle prime comunità cristiane, che toglie alle donne la piena ministerialità. Maria non si lamenta. Fa l’unica cosa veramente necessaria. Rimane con Gesù e guarda la sua pa-rola. Dabar. Parola: ciò che dice avviene. È Resurrezione!

Annunciano le donne

Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betania distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore,

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e nella memoria delle nostre Chiese. In memoria di lei, per-ché la memoria di lei non sia dimenticata. Nel testo del Van-gelo di Giovanni questa donna ha un nome ed è Maria, la sorella di Marta e di Lazzaro. Negli altri racconti dei Vange-li non ha nome o diviene una peccatrice nella casa di Simo-ne il lebbroso. Che sia Maria di Betania oppure la peccatri-ce nella casa di Simone, lei conosce la croce dello stare come donna in un mondo fortemente violento e patriarcale. Cono-sce le paure che si devono affrontare quando si sta come don-na al mondo; la paura di non essere in grado, la paura della violenza fisica o psicologica; la paura della violenza sessua-le in ogni strada isolata di campagna o di città; la paura del-la violenza religiosa, che ancora oggi dice che le donne sono meno umane degli uomini e per questo devono soffrire muti-lazioni nel corpo, che è mutilazione di anima, o devono esse-re escluse dalla ministerialità della tavola della frazione del Pane e della Parola.

La paura... Maria conosceva bene la paura in sé, per que-sto poteva leggere, nell’amore e nell’empatia, la paura che attanagliava l’anima che stava tutta nel corpo di Gesù. Andò alla ricerca di nardo, balsamo di una pianta che cresceva tra i nidi degli aspidi. Pianta caricata dell’energia di chi deve vincere la paura del veleno mortifero delle vipere per poter raccogliere le foglie e i fiori profumati.

Maria conosceva la paura di Gesù. Maria aveva scelto la parte migliore di chi ascolta la profondità dell’anima. Cono-sceva la paura e per questo fece di tutto per trovare la cura. Un vaso contenente balsamo di nardo per preparare il corpo di Gesù alla morte e alla morte di croce, sapendo che la mor-te non ha mai l’ultima parola.

XIrelazioni dove il potere è servizio e la religione si fa umilmen-te grembiule. È dalla bocca di Marta che esce il credo cristolo-gico. Uomini e donne uguali nel servizio, nella diaconia del-la comunità cristiana. Così la resurrezione avviene e Lazzaro torna a sorridere.

In memoria di lei

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria, allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». (Gv 12,1-8)

Il testo dell’Unzione è presente in tutti e quattro i Vange-li. È un testo, questo, di grande importanza nella tradizione

LA VIA CRUCIS DELLE DONNE - Le tredici stazioni

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XIIta che abbraccia la vita di Gesù sulla terra. Grotta, luogo semplice di accoglienza di tutte le persone, soprattutto le più escluse. “Grotta”, questa può essere la traduzione del nome kefa, Pietro, non solo semplicemente e duramente “pietra”, ma “pietra scavata, accogliente”. La Chiesa, che sgorga dal corpo di Gesù, lui stesso divenuto grotta, perché tutti e tutte abbiano spazio e amore. È Resurrezione!

Noi, ai piedi della croce

C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto. (Mc 15,40-47)

C’è un gruppo di donne che osserva silenziosamente la croce di Gesù. Nei quattro Vangeli l’unico nome ripetuto delle donne che stanno sotto la croce è quello di Maria Maddalena. Osservano in silenzio, queste donne. L’atto spirituale dell’os-servare è molto importante. È un vedere non solo con gli oc-chi. È uno scrutare con l’anima per permettersi domande.

C’è un uomo che “cospira”, cioè respira lo stesso respi-ro di queste donne, che è lo stesso respiro di Gesù. Quest’uo-mo è Giuseppe di Arimatea, uomo del potere del sinedrio, che però non ne appoggia le decisioni. Giuseppe è uomo giu-sto e aspetta il Regno di Dio. Le donne osservano che cosa fa Giuseppe. Egli chiede il corpo di Gesù a Pilato perché il cor-po dei crocefissi nel Crocefisso non appartiene agli assassini. Giuseppe depone dalla croce Gesù. Nel Crocefisso, fa scende-re dalla croce tutti i crocefissi e le crocefisse della Storia. Le donne osservano, cioè si assicurano che tutti i passi neces-sari vengano compiuti. Giuseppe si prende cura del corpo di Gesù, lo avvolge in panni di lino con la cura e la tenerezza di madre. Ci sono poi parole lente e lunghe in relazione al luo-go dove Giuseppe depone Gesù. È un sepolcro, scavato in una roccia, come una grotta.

Le donne si assicurano che il sepolcro sia così: una grot-ta. Una grotta per l’Incarnazione di Gesù e una grotta per ac-cogliere il suo corpo nell’attesa della Resurrezione. È la grot-

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LA VIA CRUCIS DELLE DONNE - Le tredici stazioni

XIIIC’è poi un secondo passo che costruisce resurrezione nel “ve-dere” di questa donna. È l’osservare domandandosi, permet-tendosi domande che spesso decostruiscono i poteri stabiliti, come chiedere il corpo di Gesù a Pilato o l’osservare angeli e giardinieri quando non si trova più il Corpo.

E, infine, proprio perché è l’inizio di tutto, c’è un “vedere” che non ha nessuna arroganza, ma è semplicemente intui-zione, albeggiare, profumo incipiente quando, uscito dalla boccetta, si sparge liberamente e nulla più può ingabbiarlo. Questo è il “vedere” della fede, che Maria riconosce nel Cor-po di Gesù che lei tocca e non può più trattenere; è il “vede-re” del Corpo di Gesù che tocca lei, nel suo animo più profon-do, che è il suo nome.

I suoi sono passi di testarda fedeltà al Corpo di Gesù nel corpo delle persone crocefisse della storia. La morte non ha più l’ultima parola! «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1). ■

L’apostola degli apostoli

Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte

del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di

Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro:

«Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto

questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore», e anche ciò che le aveva detto. (Gv 20, 11-18)

In questo capitolo, il Vangelo della comunità di Giovan-ni utilizza tre verbi per indicare “visione”. Sono tre verbi che gradualmente approfondiscono il significato spirituale del “vedere”. Esiste una prima visione che è quella fisica, quella del vedere con gli occhi. C’è poi una seconda visione, più pro-fonda, che è l’osservare con attenzione e perplessità. C’è, infi-ne, una terza visione, che è la visione interiore, l’atto di fede.

In questo capitolo, che vede al sepolcro prima Pietro e Gio-vanni, il discepolo amato, sono utilizzati questi tre verbi, ma è solo in Maria Maddalena che tale visione raggiunge la visione di fede. È lei l’apostola degli apostoli, come la tradizione antica della Chiesa la chiama; è lei che di fronte al sepolcro “vede”.

È lei che, davanti agli angeli e Gesù come “giardiniere” vede più profondamente, con attenzione, cioè “osserva”. È lei che quando Gesù la chiama per nome “intuisce la verità”, vede il Maestro risorto. Maria e le donne ci mostrano un cam-mino di esperienza di Gesù risorto.

C’è un primo passo che è lo “stare” permanentemente, senza abbandonare la posizione presso la croce ed il sepolcro di Gesù e della storia dei poveri. A volte può essere un “per-manere” e un “vedere” ammutolito, senza nessuna possibili-tà di azione, questo “vedere” che spesso gli impoveriti hanno.


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