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L’America nell’era dell’austerità - Aspen Institute · a crescere dopo la contrazione...

Date post: 30-Apr-2020
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Sono tre gli indicatori economici che servono a fotografare la realtà degli Stati Uniti nell’epoca dell’austerità: quelli sulla crescita economica, sul tasso di disoccupazione e sull’indebitamento del governo federale. Questi dati stanno dettando le regole del dibattito politico americano e, in tutta probabilità, determineranno le sorti del pre- sidente Barack Obama, in corsa per la rielezione l’anno prossimo, dei suoi avversari repubblicani e dei membri del Congresso di entrambi i partiti. IL POTERE DEL PIL. Nonostante il prodotto interno lordo americano sia tornato a crescere dopo la contrazione occorsa al picco della crisi, tra fine 2008 e inizio 2009 – la peggiore degli ultimi cinquant’anni – il bilancio positivo degli ultimi mesi è in- feriore alle attese. Il dato sul terzo trimestre dell’anno, durante il quale il PIL è cre- sciuto del 2,5%, ha rappresentato una boccata d’aria per gli osservatori dell’economia statunitense, ma si tratta di un balzo comunque insufficiente alla vera ripresa econo- mica. In agosto, il Congressional Budget Office (CBO) stimava che, se tra il 2013 e il 2016 il PIL dovesse crescere a un ritmo del 3,6%, gli Stati Uniti ritroverebbero la piena occupazione nel 2017. Al tasso di crescita attuale, assai più lento, questo non avverrebbe per chissà ancora quanto tempo. In novembre, la Federal Reserve ha ri- visto le proprie previsioni di crescita per il 2012, passate dal 3,3-3,7% prospettato a giugno, a un più tiepido 2,5-2,9%. Fra l’altro, il PIL americano rappresenta oggi una percentuale minore del PIL mondiale che nel 1969. In realtà, si tratta di un dato che è rimasto sorprendentemente stabile in passato. Anzi, dopo un breve declino negli anni Ottanta, la proporzione tra PIL La crescente polarizzazione della politica federale di Washington, dove re- pubblicani e democratici sono diventati più intransigenti, rischia di esa- cerbare i problemi economici del paese, giacché le parti in causa sono, per ora, poco disposte a raggiungere i compromessi necessari a far ripartire l’economia. L’America nell’era dell’austerità
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Page 1: L’America nell’era dell’austerità - Aspen Institute · a crescere dopo la contrazione occorsa al picco della crisi, tra fine 2008 e inizio 2009 – la peggiore degli ultimi

Sono tre gli indicatori economici che servono a fotografare la realtà degli Stati Uniti

nell’epoca dell’austerità: quelli sulla crescita economica, sul tasso di disoccupazione

e sull’indebitamento del governo federale. Questi dati stanno dettando le regole del

dibattito politico americano e, in tutta probabilità, determineranno le sorti del pre-

sidente Barack Obama, in corsa per la rielezione l’anno prossimo, dei suoi avversari

repubblicani e dei membri del Congresso di entrambi i partiti.

IL POTERE DEL PIL. Nonostante il prodotto interno lordo americano sia tornato

a crescere dopo la contrazione occorsa al picco della crisi, tra fine 2008 e inizio 2009

– la peggiore degli ultimi cinquant’anni – il bilancio positivo degli ultimi mesi è in-

feriore alle attese. Il dato sul terzo trimestre dell’anno, durante il quale il pil è cre-

sciuto del 2,5%, ha rappresentato una boccata d’aria per gli osservatori dell’economia

statunitense, ma si tratta di un balzo comunque insufficiente alla vera ripresa econo-

mica. In agosto, il Congressional Budget Office (cbo) stimava che, se tra il 2013 e il

2016 il pil dovesse crescere a un ritmo del 3,6%, gli Stati Uniti ritroverebbero la

piena occupazione nel 2017. Al tasso di crescita attuale, assai più lento, questo non

avverrebbe per chissà ancora quanto tempo. In novembre, la Federal Reserve ha ri-

visto le proprie previsioni di crescita per il 2012, passate dal 3,3-3,7% prospettato a

giugno, a un più tiepido 2,5-2,9%.

Fra l’altro, il pil americano rappresenta oggi una percentuale minore del pil mondiale

che nel 1969. In realtà, si tratta di un dato che è rimasto sorprendentemente stabile

in passato. Anzi, dopo un breve declino negli anni Ottanta, la proporzione tra pil

La crescente polarizzazione della politica federale di Washington, dove re-pubblicani e democratici sono diventati più intransigenti, rischia di esa-cerbare i problemi economici del paese, giacché le parti in causa sono, per ora, poco disposte a raggiungere i compromessi necessari a far ripartire l’economia.

L’America nell’era dell’austerità

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mondiale e pil americano è tornata a girare a favore degli Stati Uniti durante il boom

degli anni Novanta. La crisi economica degli ultimi anni ha, però, causato un nuovo

cambiamento di tendenza, con la percentuale di pil mondiale prodotta negli Stati

Nota: dati dal primo trimestre 2007 al terzo trimestre 2011 compreso, corretto per tenere conto dell’inflazione.Fonte: US Department of Commerce, Bureau of Economic Analysis.

Figura 1 • PIL per trimestri

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2007 2008 2009 2010 2011

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Figura 2 • PIL dal 1930 al 2010

Nota: su base annuale e corretto per tenere conto dell’inflazione. Fonte: US Department of Commerce, Bureau of Economic Analysis.

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Uniti che è tornata a calare. Proiezioni fatte sui prossimi vent’anni prevedono che,

data l’ascesa economica di paesi come la Cina e l’India, questa tendenza è destinata

a continuare.

DISOCCUPAZIONE. Il tasso di disoccupazione e il livello di indebitamento

pubblico hanno risposto, in maniera per altro prevedibile, all’andamento deludente

del pil americano. La disoccupazione ha superato il tetto del 10% nell’ottobre 2009

(sfondato l’ultima volta durante il primo mandato del presidente Reagan tra il 1982

e il 1983), e si è assestata ormai sul 9%, livello da cui non accenna a diminuire.

Figura 3 • Proporzione del PIL mondiale (a)

100,00

75,00

46,43

23,11

1,89

16,41

100,00

72,07

43,98

25,65

2,28

18,70

100,00

67,24

41,05

30,29

2,47

22,56

201020052000

Fonte: ERS International Macroeconomic Data Set.

100,00

76,67

49,59

19,13

4,20

13,90

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76,48

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100,00

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2,07

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1980

100,00

78,23

51,89

17,56

4,21

12,14

1975

100,00

79,64

52,31

16,08

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11,05

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Mondo

Sviluppato

Sviluppato meno USA

In via di sviluppo

Ex economia pianificata

Mercati emergenti

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ASIA/OCEANIA USA AMERICA LATINA MEDIO ORIENTESUD AFRICA

UE 15

Figura 4 • Proporzione del PIL mondiale (b)

Fonte: United States Department of Agriculture, Economic Research Service.

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Secondo le ultime stime della Federal Reserve, la disoccupazione rimarrà sopra l’8,5-

8,7% per tutto il 2012 e, a fine 2014, si troverà ancora tra il 6,8% e il 7,7% (la piena

occupazione è calcolata oggi tra il 5,2% e il 6%).

INDEBITAMENTO PUBBLICO. Per rispondere alla crisi, il governo americano

ha aumentato la spesa pubblica, per esempio con l’intervento, deciso dal presidente

George W. Bush a fine 2008, volto a evitare il collasso del sistema finanziario (tarp)

e con il pacchetto di stimolo economico voluto da Obama a inizio 2009. Il debito pub-

blico è aumentato di circa 4.000 miliardi di dollari dal 2007 e, oggi, sta per superare

la cifra storica di 15.000 miliardi. Questi dati hanno provocato uno scontro frontale

tra i due partiti durante l’estate, quando l’amministrazione Obama ha dovuto chiedere

l’autorizzazione del Congresso per incrementare il tetto legale di indebitamento. La

maggioranza repubblicana alla Camera ha opposto duramente quella che riteneva una

crescita incontrollata della spesa pubblica.

Va notato, però, che il debito pubblico ha cominciato a aumentare vertiginosamente

già dalla presidenza del repubblicano Ronald Reagan, per poi calare sul finire dell’e-

ra di Bill Clinton e tornare a crescere sotto George W. Bush.

1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 20202

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Nota: le aree ombreggiate indicano periodi di recessione. Fonte: US Department of Labor, Bureau of Labor Statistics.

Figura 5 • Tasso di disoccupazione, su base annualepe

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INDEBITAMENTO PRIVATO. Lo stato critico in cui versano le finanze federali

degli Stati Uniti rispecchia quello in cui si trovano le famiglie americane che, negli

anni del boom e del credito facile, si sono indebitate pesantemente e si trovano ora,

d’improvviso, a dover rivedere il rapporto tra risparmio e debito. Dall’inizio della

crisi, le famiglie hanno cominciato a ripagare i passivi incorsi negli ultimi dieci

anni (secondo calcoli di usa Today, versando circa 549 miliardi di dollari dal 2007),

in particolare quelli contratti con le società emittenti carte di credito e attraverso

i mutui casa e auto. Continuano a pesare sui bilanci familiari il crollo del mercato

immobiliare e le difficoltà attraversate da Wall Street negli ultimi anni.

MERCATO IMMOBILIARE. Il crollo del mercato immobiliare è stato senz’altro

tra le cause scatenanti la crisi finanziaria delle famiglie americane. In seguito alla

bolla cominciata nel 2000, i prezzi hanno cominciato ad andare in discesa libera già

da fine 2006. Il loro precipitare si è in qualche modo arrestato verso metà 2009, ma

il mercato è ben lungi da una ripresa.

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T RooseveltTaft

Wilson HardingCoolidge

FD RooseveltTruman

Eisenhower

NixonFord

KennedyJohnson Carter

ReaganBush

Clinton Obama

GW Bush

Presidenzademocratica

Presidenzarepubblicana

Congresso controllato daidemocratici

Congresso controllato dairepubblicani

Congressodiviso

Debito/PIL Debito/PILstimato

Figura 6 • Debito pubblico americano come percentuale del PIL

Fonte: dshort.com

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Secondo cbs News, tra il 2008 e il 2009 il mercato immobiliare ha perso quasi 5.000

miliardi di dollari di valore. Il risultato è stato che milioni di americani si sono trovati

a pagare mutui dal costo superiore al valore delle case per cui erano stati contratti,

provocando una valanga di insolvenze e pignoramenti. Ancora oggi – ha calcolato

Laurie Goodman di Amherst Securities, tra i maggiori esperti del settore – dei 55

milioni di mutui casa in America, 10 milioni finiranno per non essere mai ripagati.

Figura 7 • Risparmi e debiti privati

Fonte: Federal Reserve Bank of San Francisco.

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1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010

RISPARMI DEBITI

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ale

DEBITO PER CATEGORIA. Mentre continuano le difficoltà delle famiglie con i

mutui casa, e mentre diminuiscono i debiti con le società emittenti carte di credito,

sono, invece, in crescita rapida quelli contratti dai giovani americani per pagarsi gli

studi universitari. Questa categoria di debito ha superato a fine ottobre la cifra storica

dei 1.000 miliardi di dollari, una media di 4.963 per studente universitario a tempo

pieno e un balzo del 63% dal decennio scorso. Per molti esperti, si tratta del dato più

preoccupante sul medio e lungo termine.

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MOBILITÀ. La crescita della disuguaglianza sta mettendo a repentaglio anche la

mobilità economica degli americani, in altre parole l’idea che, negli Stati Uniti, ci si

sposti con relativa facilità tra diverse classi di reddito. Oggi si calcola che ci sia meno

mobilità in America che in paesi europei come la Francia e Germania.

DISUGUAGLIANZA ECONOMICA. Ad accompagnare la crisi economica e a

rendere l’era dell’austerità ancora più indigesta a una parte della popolazione (di

cui sono rappresentative le manifestazioni “Occupy Wall Street”) è stato un processo

ormai trentennale di progressiva concentrazione della ricchezza nazionale nelle mani

di una minoranza della popolazione, con conseguente aumento delle disuguaglianze

economiche e sociali. L’1% di americani più ricchi controlla oggi oltre il 21% del

reddito nazionale netto. Nel 1979, subito prima dell’insediamento di Ronald Reagan

alla Casa Bianca, questa percentuale si aggirava sul 10%. Gli Stati Uniti hanno svi-

luppato, così, un livello di disuguaglianza economica superiore a quello che si ritrova

in molti altri paesi occidentali.

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1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010

Debito familiare Ricchezza immobiliare Reddito disponibile Patrimonio azionario

Figura 8 • Ricchezza, debito, reddito famiglie

Nota: le serie sono normalizzate perché 1 corrisponda all’inizio 1960.Fonte: Federal Reserve Bank of San Francisco.

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Si tratta di una tendenza cui tutti guardano con preoccupazione. Anche per i con-

servatori, infatti, il paese può tollerare maggiore disuguaglianza, ma a patto che sia

accompagnata da una certa mobilità di reddito, perché al concetto di ridistribuzione

della ricchezza e giustizia economica preferiscono quello di opportunità.

mili

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olla

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1999

-Q1

1999

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2000

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250

500

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1.000

Debito carte di credito Prestiti auto Prestiti per studenti

Nota: non sono compresi i mutui immobiliari.Fonte: Federal Reserve Bank of New York.

Mutui ipotecariAltri prestiti

Figura 9 • Studenti indebitatipe

rcen

tual

e 275

250

200

150

50

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100

Primo 1% Quinto più povero

Quinto medio

18,3%35,2%

Fonte: CBO/Pro Publica.

Figura 10 • Crescita del reddito netto, 1979-2007 275%

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Fonte: CBO/Pro Publica.

Figura 11 • Reddito per gruppo

1979 2007

1% più ricco

Quinto più povero

Tre quinti centrali

Quinto più ricco meno primo 1%

7,8% 2,9%

10,5%

39,1%

38,5%

25,3%

21,3%

38,6%

FRANCIA 0,239 POLONIA 0,305 GRECIA 0,307 STATI UNITI 0,378 MESSICO 0,476

Figura 12 • Disuguaglianza economica in cinque paesi

Nota: scala da 0 a 1, in cui 1 rappresenta il massimo della disuguaglianza. Fonte: Pro Publica.

0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

GRAN BRETAGNA

STATIUNITI

FRANCIA GERMANIA SVEZIA CANADA FINLANDIA NORVEGIA DANIMARCA

Fonte: The Economic Mobility Project (Pew Charitable Trust).

Figura 13 • Mobilità di reddito, USA vs. altri paesi

In ra

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In calo, inoltre, la mobilità geografica degli americani, una delle forze dell’economia

statunitense, in cui la lingua e la moneta comuni hanno sempre permesso ai lavoratori

di spostarsi da uno stato all’altro in cerca di un posto di lavoro migliore. Uno studio

dei dati dell’ultimo censimento effettuato dal Carsey Institute dell’Università di New

Hampshire ha rilevato una diminuzione del tasso di migrazione verso gli stati del sud

che sono stati al centro del boom (Arizona, Florida, Nevada).

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OPINIONE PUBBLICA. Non c’è da sorprendersi che gli elettori americani vivano

questa nuova era dell’austerità in maniera conflittuale. Il 74% è convinto che il paese

stia andando nella direzione sbagliata (e solo il 22% crede stia andando in quella

giusta), un picco superato solo, in passato, alla fine delle presidenze di Bush senior

e di Bush junior. Negli ultimi dieci anni, inoltre, è sceso del 20% il numero di ame-

ricani che si dice soddisfatto della propria situazione economica, mentre è cresciuto

dell’oltre il 20% quello di chi la definisce in termini negativi. Cala anche il numero

di genitori convinti che i figli avranno un tenore di vita superiore al proprio (dal 62%

nel 2009 al 42%).

CRISI ED ELEZIONI. Complessivamente, questi sono dati che devono preoccu-

pare il presidente in carica Barack Obama, che potrebbe pagare con la propria man-

cata rielezione la frustrazione dell’elettorato rispetto alla situazione economica. Per

Obama la minaccia più insidiosa è l’andamento del tasso di disoccupazione.

Nessun presidente dai tempi di Franklin Delano Roosevelt è mai stato rieletto quando

questo era superiore al 7,5%. Le previsioni degli esperti lo danno, a fine 2012, oltre

l’8,5%. Ancor più che il dato sulla disoccupazione al momento del voto, quello che

conta è la tendenza mostrata da questo indicatore nei mesi precedenti alle elezioni.

Se un presidente dimostra di essere in grado di far calare il tasso di disoccupazione,

le sue chance di rielezione aumentano. Nel caso contrario, invece, la strada per un

ritorno alla Casa Bianca si fa proibitiva, come accadde a Jimmy Carter nel 1980 e a

George H. W. Bush nel 1992.

L’altro indicatore spesso citato con riferimento alle speranze di rielezione di un pre-

sidente in carica è il tasso di approvazione. Un gruppo nutrito di esperti sostiene,

però, che la relazione tra questi fattori sia tenue, almeno fino a che non si arriva in

immediata prossimità del voto.

050

100150200

ARIZONA

2005 2009

+4.989

FLORIDA

2005

2009

-30.158

NEVADA

2005

2009

-4.105

Fonte: The Carsey Institute of the University of New Hampshire.

Figura 14 • Mobilità geografica Ca

mbi

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Molto interessanti sono, invece, i dati sul tasso di approvazione dei membri del

Congresso. Per la durata di una legislatura, questo tende prevedibilmente a seguire

l’andamento dell’economia, in particolare la crescita del pil. Nel momento in cui

gli elettori si recano alle urne, però, pare che quasi tutti i suoi effetti scompaiano.

Figura 16 • Percezione della direzione complessiva in cui sta andando il paese

Direzione giusta

18%

Incerti

8%

Direzione sbagliata

75%

Fonte: Lake Research Partners e The Tarrance Group.

Nota: i dati riflettono le risposte alla domanda “Lei crede che le cose stiano andando nella direzione giusta o hanno preso una brutta piega negli Stati Uniti?”

Figura 15 • Tasso di approvazione Congresso e correlazione con la percen-tuale di deputati e senatori in carica rieletti

20

40

60

80

100%

Fonte: Open Secrets (Center for Responsive Politics).

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TASSO DI RIELEZIONE DEI DEPUTATI

TASSO DI APPROVAZIONE CONGRESSO

TASSO DI RIELEZIONE DEI SENATORI

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Tant’è che, storicamente, deputati e senatori sono stati rieletti in percentuali superiori

all’80% anche quando il loro tasso di approvazione al momento del voto era inferiore

al 20%, ad esempio nel 2008. Indipendentemente da quanto gli elettori approvino il

lavoro del Congresso oggi, è probabile che i suoi membri pagheranno meno del pre-

sidente le conseguenze del perdurare della crisi economica.

Figura 17 • Percezione della propria situazione finanziaria pe

rcen

tual

e

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30

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2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

ECCELLENTE/BUONO MEDIO/NEGATIVO

Fonte: The Economic Mobility Project.

Ottimisti

21%

Incerti

12%

Pessimisti

67%

Figura 18 • I genitori sono meno ottimisti sul futuro dei figli

Nota: dati colti dalle risposte alla domanda “Nel pensare al futuro economico, prevede una situazione migliore o peggiore per la prossima generazione?”

Fonte: Lake Research Partners e The Tarrance Group.

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IN CONCLUSIONE: POLARIZZAZIONE POLITICA. Quello che preoccupa

maggiormente rispetto al futuro dell’economia americana è l’accresciuta polarizza-

zione del dibattito politico a Washington, dove deputati e senatori – sia democratici

sia repubblicani – sembrano arroccati su posizioni sempre più intransigenti e poco

disponibili al dialogo (basti pensare allo scontro di quest’estate sul tetto di indebi-

PARTITO IN CARICA TASSO DISOCCUPAZIONE ELEZIONE

Anno Presidente Candidato Inizio campagna Elezione Cambiamento Margine

1912 Taft Taft 5,1% 5,3% +0,2% -18,6%

1916 Wilson Wilson 4,9% 5,6% +0,7% +3,1%

1920 Wilson Cox 5,2% 5,2% +0,0% -26,2%

1924 Harding/Coolidge Coolidge 8,7% 5,8% -2,9% +25,2%

1928 Coolidge Hoover 4,9% 5,0% +0,1% +17,4%

1932 Hoover Hoover 4,6% 18,8% +14,2% -17,7%

1936 Roosevelt Roosevelt 19,8% 16,6% -3,2% +24,3%

1940 Roosevelt Roosevelt 14,1% 14,6% +0,5% +10,0%

1944 Roosevelt Roosevelt 14,6% 1,2% -13,4% +7,5%

1948 Roosevelt/Truman Truman 1,9% 3,8% +1,9% +4,5%

1952 Truman Stevenson 4,3% 2,8% -1,5% -10,9%

1956 Eisenhower Eisenhower 2,9% 4,3% +1,4% +15,4%

1960 Eisenhower* Nixon 4,2% 6,1% +1,9% -0,1%

1964 Kennedy/Johnson Johnson 6,6% 4,8% -1,3% +22,6%

1968 Johnson Humphrey 4,9% 3,4% -1,5% -0,7%

1972 Nixon Nixon 3,4% 5,3% +1,9% +23,2%

1976 Nixon/Ford Ford 4,9% 7,8% +2,9% -2,1%

1980 Carter Carter 7,5% 7,5% +0,0% -9,7%

1984 Reagan Reagan 7,5% 7,2% -0,3% +18,2%

1988 Reagan* Bush 7,3% 5,3% -2,0% +7,7%

1992 Bush Bush 5,4% 7,4% +2,0% -5,5%

1996 Clinton Clinton 7,3% 5,6% -1,7% +8,5%

2000 Clinton* Gore** 5,3% 3,9% -1,4% +0,5%**

2004 Bush Bush 4,2% 5,4% +1,2% +2,4%

2008 Bush* McCain 5,3% 6,8% +1,5% -7,2%

* Il presidente in carica non era eleggibile (finiti i mandati).** Il candidato ha vinto il voto popolare ma perso l’elezione.

Fonte: FiveThirtyEight, The New York Times.

Figura 19 • Disoccupazione e rielezione dei presidenti, 1912-2008

REPUBBLICANI

DEMOCRATICI

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tamento o al fallimento del “super committee” di trovare un accordo sul deficit di

bilancio). Secondo lo scienziato politico Keiko Ono dell’Università di Oklahoma, si

tratta di un fenomeno che deriva naturalmente dai cambiamenti che si sono verificati

(in parte grazie anche al processo di redistricting, con cui sono ridisegnati regolar-

mente i distretti congressuali) a livello della composizione dell’elettorato locale. Il

numero di distretti considerati sicuri per l’uno o l’altro partito è aumentato a dismi-

sura negli ultimi decenni (incoraggiando quindi candidature di politici apertamente

ideologici), mentre stanno scomparendo quelli swing, ovvero i distretti moderati e

contesi dai due partiti, che, tradizionalmente, li costringono a lavorare assieme.

In un momento storico in cui l’economia nazionale ha bisogno di un’azione decisa da

parte della leadership politica del paese, si teme che la polarizzazione ideologica di

Washington abbia ibernato il processo legislativo.

Questa edizione del “Watch” è stata curata da Valentina Pasquali. Collaboratrice di

Aspenia online, vive e lavora a Washington, DC.

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